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Pio X nacque a Riese (oggi Riese Pio X – Treviso) nel 1835 e morì a Roma nel 1914. Papa (1903-1914), si oppose al movimento modernista nel cattolicesimo. Al secolo Giuseppe Melchiorre Sarto, studiò a Castelfranco Veneto e poi nel seminario di Padova, prendendo gli ordini nel 1858. Era cardinale e patriarca di Venezia quando, nel 1903, venne eletto papa. Conservatore sia in campo politico che religioso, combatté strenuamente il liberalismo intellettuale e in particolare il modernismo, una reinterpretazione della dottrina religiosa alla luce delle nuove teorie del pensiero scientifico. Nel 1907 promulgò un decreto che condannava 65 proposizioni moderniste e mise molte opere moderniste nell'Indice dei libri proibiti. Durante il suo papato, la Chiesa fu indebolita dalla legislazione anticlericale emanata in Francia e in Portogallo, paesi nei quali il pontefice condannò la confisca dei beni ecclesiastici e il divieto all'educazione religiosa. Avviò la ricodificazione della legge canonica, ripristinò l'uso liturgico del canto gregoriano e istituì un nuovo breviario unico. Anticipando il movimento dell'Azione cattolica, incoraggiò i laici a intraprendere programmi di intervento sociale sotto il controllo della Chiesa. Fu canonizzato nel 1954. «Notre charge apostolique» Lettera apostolica di San Pio X all’episcopato francese 1. Il dovere di vigilare sulla Fede Il nostro mandato apostolico Ci rende doveroso vigilare sulla purezza della Fede e l'integrità della disciplina cattolica e preservare i fedeli dai pericoli dell'errore e del male, soprattutto quando l'errore e il male vengono presentati con un linguaggio attraente che, velando il vuoto delle idee e l'equivocità delle espressioni con l'ardore del sentimento e l'altisonanza delle parole, può infiammare i cuori per cause seducenti ma funeste. Tali sono state, in questi ultimi tempi, le dottrine dei pretesi filosofi del XVIlI secolo, quelle della Rivoluzione francese e del liberalismo, tante volte condannate; tali sono oggi anche le teorie del Sillon che, sotto brillanti e generose apparenze, mancano troppo spesso di chiarezza, di logica e di verità, e sotto questo aspetto non sono certo degne del genio cattolico e francese. Abbiamo lungamente esitato, Venerabili Fratelli, ad esprimere pubblicamente e solennemente il Nostro pensiero sul Sillon; è stato necessario che le vostre preoccupazioni siano venute ad aggiungersi alle Nostre per deciderci a farlo. Il fatto è che Noi amiamola valorosa gioventù arruolata sotto l'insegna del Sillon e la

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Pio X nacque a Riese (oggi Riese Pio X – Treviso) nel 1835 e morì a Roma nel 1914. Papa (1903-1914), si oppose al movimento modernista nel cattolicesimo. Al secolo Giuseppe Melchiorre Sarto, studiò a Castelfranco Veneto e poi nel seminario di Padova, prendendo gli ordini nel 1858. Era cardinale e patriarca di Venezia quando, nel 1903, venne eletto papa. Conservatore sia in campo politico che religioso, combatté strenuamente il liberalismo intellettuale e in particolare il modernismo, una reinterpretazione della dottrina religiosa alla luce delle nuove teorie del pensiero scientifico. Nel 1907 promulgò un decreto che condannava 65 proposizioni moderniste e mise molte opere moderniste nell'Indice dei libri proibiti.

Durante il suo papato, la Chiesa fu indebolita dalla legislazione anticlericale emanata in Francia e in Portogallo, paesi nei quali il pontefice condannò la confisca dei beni ecclesiastici e il divieto all'educazione religiosa. Avviò la ricodificazione della legge canonica, ripristinò l'uso liturgico del canto gregoriano e istituì un nuovo breviario unico. Anticipando il movimento dell'Azione cattolica, incoraggiò i laici a intraprendere programmi di intervento sociale sotto il controllo della Chiesa. Fu canonizzato nel 1954.

«Notre charge apostolique»Lettera apostolica di San Pio X all’episcopato francese

1. Il dovere di vigilare sulla Fede

Il nostro mandato apostolico Ci rende doveroso vigilare sulla purezza della Fede e l'integrità della disciplina cattolica e preservare i fedeli dai pericoli dell'errore e del male, soprattutto quando l'errore e il male vengono presentati con un linguaggio attraente che, velando il vuoto delle idee e l'equivocità delle espressioni con l'ardore del sentimento e l'altisonanza delle parole, può infiammare i cuori per cause seducenti ma funeste. Tali sono state, in questi ultimi tempi, le dottrine dei pretesi filosofi del XVIlI secolo, quelle della Rivoluzione francese e del liberalismo, tante volte condannate; tali sono oggi anche le teorie del Sillon che, sotto brillanti e generose apparenze, mancano troppo spesso di chiarezza, di logica e di verità, e sotto questo aspetto non sono certo degne del genio cattolico e francese.Abbiamo lungamente esitato, Venerabili Fratelli, ad esprimere pubblicamente e solennemente il Nostro pensiero sul Sillon; è stato necessario che le vostre preoccupazioni siano venute ad aggiungersi alle Nostre per deciderci a farlo. Il fatto è che Noi amiamola valorosa gioventù arruolata sotto l'insegna del Sillon e la crediamo degna, sotto molti aspetti, di elogio e di ammirazione; amiamo i suoi capi, nei quali Ci compiacciamo di riconoscere anime elevare, superiori alle passioni volgari e animate dal più nobile entusiasmo per il bene. Voi li avete visti, Venerabili Fratelli, compenetrati di un vivissimo sentimento di umana fratellanza, andare da coloro che soffrono per incoraggiarli, sostenuti nella loro dedizione dall’amore per Gesù Cristo e dalla pratica esemplare della religione. 2. Lo scivolamento del Sillon verso l'eresia

Eravamo all'indomani della memorabile Enciclica del Nostro predecessore di felice memoria, Leone XIII, sulla condizione degli operai. La Chiesa, per bocca del suo Capo supremo, aveva versato sugli umili e sui piccoli tutte le tenerezze del suo cuore materno e sembrava chiamare, coi suoi auspici, sempre più numerosi campioni per la restaurazione dell'ordine e della giustizia nella nostra società sconvolta. I fondatori del Sillon non giungevano forse al momento opportuno mettendo al suo servizio schiere di giovani credenti per la realizzazione dei suoi desideri e delle sue speranze? Infatti, il Sillon innalzò fra le classi operaie Io stendardo di Gesù Cristo, segno di salvezza per gli individui e per le nazioni, alimentando la propria attività sociale alle fonti della

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Grazia, imponendo il rispètto della Religione agli ambienti meno favorevoli, abituando gli ignoranti e gli empi a sentir parlare di Dio e spesso, nei pubblici dibattiti, di fronte ad un uditorio ostile, alzandosi reagendo a una domanda o a un sarcasmo, per gridare con forza e fierezza la propria Fede. Erano i bei tempi del Sillon: è questo il suo aspetto buono che spiega gli incoraggiamenti e le approvazioni che l'episcopato e la Santa Sede non gli hanno risparmiato, tanto questo fervore religioso hapotuto nascondere il vero carattere del movimento del Sillon.Bisogna infatti dirlo, Venerabili Fratelli; !e nostre speranze sono state in gran parte deluse. Venne ilgiorno in cui il Sillon rivelò, ad occhi accorti, tendenze preoccupanti. Il Sillon deviava. Poteva essere diversamente? I suoi fondatori, giovani entusiasti e pieni di fiducia in se stessi, non erano sufficientemente armati di scienza storica, di sana filosofia e di solida teologia per affrontare senza pericolo i difficili problemi sociali nei quali erano trascinati dalla loro attività e dal cuore, e per premunirsi nel campo della dottrina e dell'obbedienza contro le infiltrazioni liberali e protestanti.Non mancarono loro i consigli, e ai consigli seguirono gli ammonimenti; ma Noi abbiamo avuto il dolore di vedere avvisi e rimproveri scivolare sulle loro anime sfuggenti e restare senza risultato. Le cose sono arrivate al punto che Noi tradiremmo il nostro dovere se mantenessimo ancora il silenzio. Noi dobbiamo dire la verità ai nostri cari figli del Sillon spinti da un generoso ardore su una via falsa e pericolosa; dobbiamo dirla ad un gran numero di seminaristi e di sacerdoti che il Sillon ha sottratti, se non all'autorità, perlomeno alla direttiva e all'influenza dei loro vescovi; dobbiamo dirla infine alla Chiesa, nella quale il Sillon semina divisione e della quale compromette gli interessi.

3. L'errore di separare la politica dalla Fede

Innanzi tutto occorre rilevare con severità la pretesa del Sillon di sfuggire alle direttive dell'autorità ecclesiastica. I Capi del Sillon, infatti, affermano di lavorare su un terreno che non è quello della Chiesa, di perseguire interessi di ordine puramente temporale e non di ordine spirituale; sostengono che il membro del Sillon semplicemente un cattolico votato alla causa delle classi operaie, alle opere democratiche, che attinge la forza della sua dedizione alle pratiche della propria fede; che egli, né più né meno degli artigiani, contadini, economisti, poliziotti cattolici, è sottomesso alle regole della morale comune a tutti, senza dipendere, né più né meno di loro, maniera particolare, dall'autorità ecclesiastica.La risposta a questi sotterfugi è fin troppo facile. A chi si riuscirà a far credere, infatti, che i membricattolici del Sillon, i sacerdoti e i seminaristi che militano in quelle file, mirano solo, nella loro attività sociale, agli interessi temporali delle classi operaie?Noi crediamo che sarebbe offenderli il sostenerlo. La verità è che i capi del Sillon si proclamano idealisti irriducibili pretendono di elevare le classi operaie innanzi tutto elevando la coscienza umana, hanno una dottrina sociale e princìpi filosofici e religiosi per ricostruire la società su un nuovo terreno, hanno un concetto tutto particolare della dignità umana, della libertà, della giustizia e della fratellanza; e per giustificare i loro sogni sociali si richiamano a un Vangelo interpretato a loro modo e, cosa ancor più grave, a un Cristo sfigurato e sminuito. Inoltre, insegnano queste idee nei loro circoli di studio, le imprimono nell'animo dei loro compagni e le traducono nelle loro opere. Essi sono dunque veramente professori di morale sociale, civile e religiosa; qualsiasi modifica possano introdurre nell'organismo del movimento, abbiamo il diritto di dire che il fine del Sillon, il suo carattere, la sua azione, appartengono al campo morale, che è il dominio proprio della Chiesa, e che di conseguenza essi si illudono se credono di operare in un campo ai cui confini cesserebbero i diritti del potere dottrinale e direttivo dell'autorità ecclesiastica.Anche se le loro dottrine fossero esenti da errore, sarebbe già stata una gravissima mancanza alla disciplina cattolica il sottrarsi ostinatamente alla direzione di coloro che hanno ricevuto dal Cielo la missione di guidare gli individui e le società nel retto cammino della verità e del bene. Ma, come abbiamo già detto, il male è più profondo; il Sillon, trascinato da un malinteso amore per i deboli, è scivolato nell'errore.

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In effetti, il Sillon si propone l'elevazione e la rigenerazione delle classi operaie. Ora, in questo campo i princìpi della dottrina cattolica sono già fissati e la storia della Civiltà cristiana sta a dimostrarne la benefica fecondità. Il Nostro predecessore di felice memoria, Leone XIII, li ha ricordati in pagine magistrali che i cattolici impegnati nel campo sociale debbono studiare e conservare sempre sotto gli occhi. In particolare egli ha insegnato che la democrazia cristiana deve “tutelare quella diversità di classi necessariamente propria dello Stato bene ordinato, e desiderare per la società umana quella forma e quel carattere che Dio, suo autore, le ha impresso”, ha condannato “quella democrazia che giunge a un tal grado di perversità da attribuire nella società la sovranità al popolo e da perseguire la soppressione o il livellamento delle classi". Nello stesso tempo, Leone XIII imponeva ai cattolici un programma d'azione, 1'unico capace di ristabilire e di mantenere la società sulle sue secolari basi cristiane. 4. Vero e falso progresso sociale Orbene, che hanno fatto i capi del Sillon? Non solo hanno adottato un programma e un insegnamento diverso da quello di Leone XIII - il che sarebbe già particolarmente audace da parte di laici che vengono in questo modo a porsi, quasi in concorrenza col Sommo Pontefice, come guide dell'azione sociale nella Chiesa - ma hanno apertamente respinto il programma tracciato da Leone XIII e ne hanno adottato uno diametralmente opposto; inoltre respingono la dottrina ricordata da Leone XIII sui principi essenziali della società, riponendo l'autorità nel popolo o sopprimendola quasi completamente e scegliendo come ideale da realizzare il livellamento delle classi. Essi tendono quindi, in contrasto con la dottrina cattolica, verso un ideale già condannato.Sappiamo bene che essi si vantano di elevare la dignità umana e la condizione troppo disprezzata delle classi lavoratrici, di rendere giuste e perfette le leggi del lavoro e le relazioni tra capitale e salariato, di far regnare infine sulla terra una migliore giustizia e una maggiore carità, e, con profondi e fecondi movimenti sociali, di promuovere nell'umanità un inatteso progresso. Certo Noi non biasimiamo questi sforzi, che sarebbero eccellenti sotto ogni punto di vista, se i membri del Sillon non dimenticassero che il progresso di un essere consiste nel fortificarne le facoltà naturali con nuove energie e nel facilitarne l'attività in armonia con le leggi della sua costituzione, e che, al contrario, ferendone gli organi essenziali e rompendone l'armonia delle attività, si spinge l'essere non verso il progresso ma verso la morte. Eppure è proprio questo ciò che essi vogliono fare nella società umana: sognano di cambiarne le basi naturali e tradizionali e promettono una società futura costruita su altri princìpi che osano proclamare più fecondi e più benefici dei princìpi sui quali poggia l'attuale Civiltà cristiana.No, Venerabili Fratelli! - bisogna ricordarlo energicamente in questi tempi di anarchia sociale eintellettuale, in cui ciascuno atteggia a maestro e legislatore - non si edificherà la società diversamente da come Dio l'ha edificata, non si costruirà la società se la Chiesa non ne pone le fondamenta e non ne dirige i lavori! No, la civiltà non è più da inventare, né si deve edificare una nuova società sulle nuvole! Essa è esistita. essa esiste tuttora: è la Civiltà cristiana, è la società cattolica. Non si tratta che di instaurarla e restaurarla incessantemente sulle sue naturali e divine fondamenta contro gli attacchi sempre rinascenti della malsana utopia, della rivolta e dell'empietà: "Omnia instaurare in Christo" (Ef. 1,10).

5. Falsa concezione della dignità umana

Affinché non ci si accusi di giudicare troppo sommariamente e con ingiustificato rigore le teoriesociali del Sillon, vogliamo ricordarne i punti essenziali. Il Sillon ha la nobile preoccupazione di prendersi cura della dignità umana. Questa dignità, però,egli la concepisce alla maniera di alcuni filosofi di cui la Chiesa non può certo vantarsi. Elementoprimario di questa dignità sarebbe la libertà, intesa nel senso che, tranne che in materia di religione,ogni uomo è autonomo. Da questo principio fondamentale essi traggono le seguenti conclusioni:

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oggi il popolo è sotto tutela di un'autorità da esso distinta. per cui deve liberarsene (emancipazionepolitica); dipende da padroni che, detenendone gli strumenti di lavoro, Io sfruttano, Io opprimono e lo umiliano, per cui deve scuoterne il giogo (emancipazione economica); è dominato infine da unaclasse. chiamata dirigente, il cui sviluppo intellettuale le assicura un'ingiusta preponderanza nelladirezione della vita civile, per cui il popolo deve sottrarsi al suo dominio (emancipazione intellettuale). Il livellamento delle condizioni, sotto questo triplice punto di vista, stabilirà l'uguaglianza fra gli uomini, uguaglianza in cui consisterebbe la vera giustizia-umana. Ecco ciò che essi chiamano "democrazia": un'organizzazione politica e sociale fondata su questa duplice base, libertà ed uguaglianza (alle quali si aggiungerà ben presto la fratellanza).

6. Falsa concezione dell'autorità

Tuttavia, la libertà e l'uguaglianza non ne costituiscono che l'aspetto per cosi dire negativo. Ciòche propriamente e positivamente costituisce la "democrazia" è la massima partecipazione possibile di ciascuno al governo.della repubblica. Questo comporta un triplice fattore: politico, economico, morale.Nel campo politico, innanzi tutto, il Sillon non abolisce l'autorità, anzi la ritiene necessaria: ma vuole farla condividere, o per dir meglio moltiplicare, in tal modo che ogni cittadino divenga unaspecie di sovrano. L'autorità invero deriva da Dio, ma risiede innanzi tutto nel popolo che la delega per mezzo di elezione, o meglio di selezione senza per questo abbandonarlo divenendone indipendente; essa.gli sarà esterna solo in apparenza, ma in realtà gli resterà immanente, perché quest'autorità potrà essere solo concessa.Fatte le debite proporzioni, lo stesso accadrà nel campo economico. Sottratto ad una classe specifica, il padronato verrà talmente moltiplicato che ogni operaio diventerà una specie di padrone.Il sistema destinato a realizzare questo ideale economico non è, dicono, quello socialista, ma è unsistema di cooperative tanto diffuse da provocare una concorrenza feconda e da proteggere l'indipendenza degli operai, che non saranno legati ad alcuna di esse.

7. Un umanitarismo sentimentale

Veniamo ora al fattore capitale. quello morale. Poiché l'autorità, come abbiamo visto, è molto ridimensionata, è necessario sostituirvi un'altra forza che opponga una reazione permanente all'egoismo individuale. Questo nuovo principio, questa forza, è l'amore per l'interesse professionale e per quello pubblico, ossia per il fine stesso della professione e della società.Immaginate una società in cui nell'animo di ciascuno, assieme all'innato amore per il bene individuale e per quello famigliare, regnasse l'amore per il bene professionale e per quello sociale; in cui questi amori si subordinassero nella coscienza di ciascuno in modo tale che il bene superiore dominasse sempre su quello inferiore: non potrebbe questa società fare a meno dell'autorità? E non mostrerebbe l'ideale della dignità umana, dato che ogni cittadino avrebbe un animo da Re ed ogni operaio un animo da padrone? Strappato dalla ristrettezza dei suoi interessi privati ed elevato agli interessi della sua professione e, più in alto, fino a quelli dell'intera nazione e, ancora più in alto, fino a quelli dell'umanità - l'orizzonte del Sillon difatti non si limita alle frontiere della patria ma si estende a tutti gli uomini, fino ai confini del mondo - il cuore umano, allargato dall'amore per il bene universale, abbraccerebbe tutti i compagni della stessa professione, tutti i compatrioti, tutti gli uomini. Ecco l'ideale della grandezza e della nobiltà umane realizzato mediante il noto trinomio: Libertà-Uguaglianza-Fratellanza.Questi tre fattori - politico, economico, morale - sono subordinati l'uno all'altro ed è quello morale, come abbiamo detto, ad essere primario. Infatti nessuna democrazia politica è vitale se non ha profondi punti d'appoggio nella democrazia economica. A loro volta, né l'una né l'altra sono possibili se non si radicano in uno stato d'animo in cui la coscienza venga investita di responsabilità e di energie morali proporzionate. Supponendo però questo stato d'animo caratterizzato da

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responsabilità, cosciente e da forze morali, ne deriverà naturalmente 1a democrazia economica, per la traduzione in atto di questa.coscienza e di queste energie; e così pure e allo stesso modo daI regime corporativo nascerà la democrazia politica, e la democrazia politica e quella economica, quella sostenendo.questa finiranno con lo stabilirsi nella coscienza stessa deI popolo su basi incrollabili.Questa è in breve 1a teoria - potremmo dire sogno - del Sillon, ed è a questo che mirano il suo insegnamento e 1a cosiddetta "educazione democratica del popolo": ad elevare al massimo la coscienza e la responsabilità civica di ciascuno, dal che deriveranno la democrazia economica e politica e il regno della giustizia, della libertà, dell'uguaglianza e della fratellanza.Questa breve esposizione, Venerabili Fratelli, già vi mostra chiaramente quanto avevamo ragione nell'affermare che il Sillon oppone dottrina a dottrina, fonda la sua società su una teoria contraria alla verità cattolica e falsifica le essenziali e fondamentali nozioni che regolano i rapporti sociali in ogni umana società. Questa opposizione apparirà ancor più chiara dalle seguenti considerazioni.

8. La vera concezione dell'autorità

Il Sillon pone primariamente l'autorità pubblica nel popolo, dal quale. passa poi ai governanti ma in modo tale da restare immanente in esso. Leone XIII ha formalmente condannato questa dottrina nella sua Enciclica Diuturnum illud sulla sovranità politica, dove afferma: “Un gran numero di contemporanei, camminando sulla scia di quelli che, nel secolo passato, si sono dati il titolo di filosofi, dichiarano che ogni potere viene dal popolo e che quindi coloro che esercitano il potere nella società non lo fanno per autorità propria ma per autorità delegata a loro dal popolo e a condizione che essa possa venir revocata per volontà di quel popolo dal quale l'hanno ricevuta. Del tutto opposta è la convinzione dei cattolici, che fanno derivare il diritto di comandare da Dio in quanto principio naturale e necessario".Senza dubbio il Sillon fa discendere da Dio quest'autorità che ha posto primariamente nel popolo, ma in modo tale che "essa sale dal basso per arrivare in alto, mentre nell'organizzazione della Chiesa il potere scende dall'alto per giungere in basso”. Ma - oltre ad essere anormale che la delega salga, mentre per sua natura essa scende – Leone XIII ha confutato in anticipo questo tentativo di conciliare la dottrina cattolica con l'errore del filosofismo, poiché prosegue: “È bene notare qui che coloro che presiedono al governo della cosa pubblica possono senz'altro, in certi casi, venire eletti per volontà e giudizio della moltitudine, senza che ciò ripugni o sia contrario alla dottrina cattolica; ma se questa scelta designa il governante non per questo gli conferisce l'autorità di governare essa non delega il potere ma stabilisce la persona che ne sarà investita".Del resto, se il popolo rimane il detentore del potere, che cosa diventa l'autorità? Un'ombra, un mito. Non c'è più legge propriamente detta, non c’è più obbedienza. Il Sillon lo ha ammesso,visto che reclama, in nome della dignità umana, la triplice emancipazione politica, economica e intellettuale; la società futura per la quale lavora non avrà più né padroni né servi; in essa i cittadinisaranno tutti liberi, tutti compagni, tutti Re.Ma è forse in questo modo, Venerabili Fratelli, che la tradizionale dottrina della Chiesa ci rappresenta le relazioni sociali in uno stato, fosse pure il più perfetto possibile? Non è forse vero che ogni società di creature indipendenti e ineguali per natura ha bisogno di un'autorità che diriga la loro attività verso il bene comune e che imponga la sua legge? E se nella società vi sono degli esseri perversi - e ve ne saranno sempre - l'autorità non dovrà forse essere tanto più forte quanto più minaccioso sarà l'egoismo dei malvagi? Inoltre, si può forse affermare con un'ombra di ragione l'incompatibilità tra autorità e libertà, a meno che non ci si inganni pesantemente sul concetto di libertà? Si può forse insegnare che l'obbedienza è contraria alla dignità umana e che l'ideale sarebbe sostituirla con l'"autorità acconsentita"? Forse che l'Apostolo Paolo non guardava alla società umana e a tutte le sue possibili fasi, quando prescriveva ai fedeli di essere sottomessi ad ogni autorità? Forse che l'obbedienza agli uomini in qualità di legittimi rappresentanti di Dio - ossia in fin dei conti l'obbedienza a Dio - umilia l'uomo abbassandolo al di sotto della sua natura? Forse che

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Io stato religioso, fondato sull'obbedienza, è contrario all'ideale della natura umana? I santi, che sono stati i più obbedienti fra gli uomini, furono forse degli schiavi e dei degenerati? Infine, si può immaginare uno stato della società in cui Gesù Cristo, ritornato sulla terra, non darebbe più esempio di obbedienza e non direbbe più: "Date a Cesare ciò che è di Cesare e date a Dio ciò che è di Dio"? 9. Condanna dell'ugualitarismo

Il Sillon, che insegna queste dottrine e le mette in pratica nella sua vita interiore, semina dunque tra la vostra gioventù cattolica errate e funeste nozioni sull'autorità, la libertà, l'obbedienza. Lo stesso accade per quanto riguarda la giustizia e l'uguaglianza. Esso afferma di operare per realizzare un'era di uguaglianza che sarebbe, perciò stesso, un'era di maggiore giustizia. Secondo lui, quindi, ogni disuguaglianza di condizione è un'ingiustizia o almeno una minor giustizia: principio sommamente contrario alla natura delle cose, generatore di invidia e d'ingiustizia e sconvolgitore di ogni ordine sociale!Solo la democrazia dunque darà inizio al regno della perfetta giustizia? Non significa questo far ingiuria alle altre forme di governo, che vengono abbassate in tal modo al rango di governi perlomeno impotenti?Del resto il Sillon, anche su questo punto, contraddice l'insegnamento di Leone XIII. Avrebbe potuto leggere, nella già citata Enciclica sulla sovranità politica, che "fatta salva la giustizia, non è vietato ai popoli il darsi quella forma di governo che meglio corrisponde al loro carattere o alle istituzioni e ai costumi che hanno ricevuto dagli antenati"; e l'Enciclica allude alle ben note tre forme di governo. Essa suppone dunque che la giustizia sia compatibile con ciascuna di esse. L'Enciclica sulla condizione operaia, inoltre, non afferma forse in modo chiaro la possibilità di restaurare la giustizia nelle attuali organizzazioni sociali, visto che ne indica i mezzi? Orbene, senza alcun dubbio, Leone XIII non intendeva parlare di una giustizia qualsiasi, ma della perfetta giustizia. Insegnando dunque che la giustizia è compatibile con le tre note forme di governo, egli. insegnava che, sotto questo aspetto, la democrazia non gode di alcun speciale privilegio.Quei membri del Sillon che pretendono il contrario, o rifiutano di ascoltare la Chiesa, o si formano sulla giustizia e sull'uguaglianza un concetto che non è cattolico.

10. Falsità della fratellanza umanitaria

Lo stesso accade per la nozione di fratellanza, che essi fondano sull'amore per gli interessi comuni oppure, al di là di ogni filosofia e religione, sulla semplice.nozione di umanità, inglobando cosi in uno stesso amore e in una pari tolleranza tutti gli uomini con tutte le loro miserie sia intellettuali e morali che fisiche e temporali. Ora, la dottrina cattolica c'insegna che il primo dovere di carità non consiste nel tollerare le errate convinzioni, per quanto sincere siano, né nell'indifferenza teorica o pratica verso il vizio nel quale vediamo immersi i nostri fratelli, ma nello zelo per il loro miglioramento intellettuale e morale, non meno che per il loro benessere materiale. Questa stessa dottrina cattolica c'insegna inoltre che la fonte dell’amore per il prossimo sta nell'amore per Dio, Padre comune e fine.unico di tutta la famiglia umana, tanto che soccorrere un infelice è fareDel bene a Gesù Cristo stesso. Ogni.altro amore è illusione oppure sentimento sterile e passeggero.L’esperienza umana delle società pagane o laiciste di ogni tempo sta a provare che in certi momenti la considerazione dei comuni interessi o della somiglianza di natura ha ben poco peso di fronte allepassioni e alle cupidigie del cuore.No, Venerabili Fratelli, non esiste vera fratellanza al di fuori della carità cristiana, che, peramore di Dio e di Suo Figlio Gesù Cristo nostro Salvatore, abbraccia tutti gli uomini per tutti confortarli e condurli all'unica fede e alla stessa felicità nel Cielo! Separando la fratellanza dalla carità cristiana così intesa, la democrazia, ben lungi dall’essere un progresso, costituirebbe per la civiltà un regresso disastroso. Se infatti si vuole arrivare, e Noi lo desideriamo con tutta l'anima, al massimo grado di benessere possibile per tutta la società e per ciascuno dei suoi membri mediante

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la fratellanza - o, come si suol dire anche, mediante l'universale solidarietà – è necessaria l'unione degli animi nella verità, 1'unione delle volontà nella morale, l'unione dei cuori nell'amore di Dio e del Suo Figlio Gesù Cristo. Ma quest'unione si può realizzare solo con la carità cattolica, l'unica chepuò quindi condurre i popoli sulla strada del progresso verso l'ideale di civiltà.

11. Orgogliosa concezione della dignità umana

Infine, alla base di ogni falsificazione delle fondamentali nozioni sociali, il Sillon pone una falsaconcezione della dignità- umana. Secondo lui, l'uomo non sarà veramente uomo, degno di tal nome se non quando avrà acquisito una coscienza illuminata, forte, indipendente, autonoma, che può fare a meno dei superiori, che obbedisce solo a se stessa e che è capace di assumere e di sostenere, senza venir meno, le più grandi responsabilità. Ecco dei paroloni con i quali viene esaltata la passione dell'orgoglio umano; ecco un sogno che trascina l'uomo - senza luce, senza guida e senza aiuto – nella via dell'illusione in cui, attendendo il gran giorno della piena consapevolezza, sarà divorato dall'errore e dalle passioni. Ma quando arriverà questo gran giorno? Potrà mai arrivare, a meno che non venga mutata la natura umana cosa che il Sillon non può rare? Avevano forse questa dignità i santi, che pure hanno portato all'apogeo la dignità umana? E gli umili della terra, che non possono salire così in alto e che si contentano di tracciare modestamente il loro solco nella posizione sociale loro assegnata dalla Provvidenza, compiendo energicamente i loro doveri nell'umiltà, nell'obbedienza e nella pazienza cristiane, non sarebbero dunque essi degni del nome di uomini, essi che il Signore trarrà un giorno dalla loro umile condizione per porti in Cielo fra i principi del suo popolo?Fermiamo qui le nostre osservazioni sugli errori del Sillon. Non pretendiamo di esaurire l'argomento, poiché si potrebbe anche attirare la vostra attenzione su altri punti falsi e pericolosi, per esempio sul suo modo d'intendere il potere coercitivo della Chiesa. Occorre ora considerare l'influenza di questi errori sulla condotta pratica del Sillon e sulla sua azione sociale.

12. Una falsa pedagogia ugualitaria

Le dottrine del Sillon non restano nel campo dell'astrazione filosofica; vengono insegnate alla gioventù cattolica ed anzi si cerca di viverle. Il Sillon si considera il nucleo della società futura e dunque la rispecchia il più fedelmente possibile. Nel Sillon, infatti, non esiste gerarchia. L'élite che Io dirige si è staccata dalla massa per selezione, cioè imponendosi per la propria autorità morale e per le virtù. Vi si entra liberamente, come liberamente se ne esce. Gli studi vengono svolti senza maestri, al massimo con dei consiglieri. I circoli di studio sono vere cooperative intellettuali in cuiognuno è contemporaneamente. Maestro e scolaro. I1 cameratismo più assoluto regna fra i membri mette in totale contatto le loro anime; da qui nasce l'anima collettiva del Sillon, che è stata definita "un'amicizia". Perfino il sacerdote, quando vi entra, abbassa l'eminente dignità del suo ministero e, nel più strano rovesciamento dei ruoli, divenuto scolaro, si mette al livello dei suoi giovani amici e non diventa più che un compagno.In queste abitudini democratiche e nelle teorie sulla società ideale che le ispirano, voi riconoscerete, Venerabili Fratelli, la causa segreta delle mancanze disciplinari che avete dovuto così spesso rimproverare al Sillon. Non fa meraviglia che voi non troviate nei capi e nei loro compagni così formati, fossero pure seminaristi o sacerdoti, il rispetto, la docilità e l'obbedienza dovuti alle vostre persone e autorità, che avvertiate da parte loro una sorda opposizione e che abbiate il dispiacere di vederli sottrarsi totalmente - o, quando sono obbligati dall'obbedienza, dedicarsi con disgusto - alle attività che non sono della loro associazione. Voi siete il passato. essi sono i pionieri della civiltà futura; voi rappresentate la gerarchia, le disuguaglianze sociali, l'autorità, l'obbedienza; istituzioni invecchiate alle quali le loro anime, prese da ben altro ideale, non possono piegarsi.Su questo stato d'animo abbiamo testimonianza di fatti dolorosi, capaci di strappare le lacrime, e Noi, malgrado la Nostra longanimità, non possiamo non indignarci. Ma come! Si ispira ai vostri

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giovani cattolici la diffidenza verso la loro madre Chiesa. si insegna loro che essa, dopo diciannovesecoli, non è ancora riuscita sulla terra a fondare la società.sulle sue vere basi; che essa non ha capito gli ideali sociali di autorità, libertà, uguaglianza, fratellanza e dignità umana; che i grandi vescovi e i grandi Re che hanno creato e cosi gloriosamente guidato la Francia non hanno saputo dare al loro popolo ne la vera giustizia ne la vera felicità, perché non professavano l'ideale del Sillon! Il soffio della Rivoluzione è passato di qui e Noi possiamo concludere che, se le dottrine sociali del Sillon sono false, il suo spirito è pericoloso e la sua pedagogia è funesta.Ma che dobbiamo dunque pensare della sua azione nella Chiesa? Il cattolicesimo del Sillon ècosi puntiglioso che ci manca poco che, se non abbracciamo la sua causa, diventiamo ai suoi occhi un nemico interno del Cattolicesimo che non ha capito nulla del Vangelo e di Gesù Cristo. Crediamo utile insistere su questo problema, perché è proprio questo suo ardore cattolico che ha fatto ottenere al Sillon, fino a poco tempo fa, preziosi incoraggiamenti e autorevoli approvazioni. Ebbene, davanti alle parole ed ai fatti, siamo obbligati a dire che, nella sua azione come nella sua dottrina, il Sillon non soddisfa la Chiesa.

13. Condanna del democratismo

Innanzi tutto il suo cattolicesimo si accorda soltanto con la forma di governo democratica, considerandola come la più favorevole alla Chiesa e identificandola, per cosi dire, con la Chiesa stessa: esso ingloba dunque la sua religione ad un partito politico. Non occorre dimostrare che l'avvento della democrazia universale non interessa l'azione della Chiesa nel mondo; abbiamo ricordato che la Chiesa ha sempre lasciato alle nazioni la preoccupazione di darsi il governo che credono più vantaggioso per i loro interessi. Quello che vogliamo affermare ancora una volta, dopo il nostro predecessore, è questo: è sbagliato e pericoloso inglobare per principio il Cattolicesimo in una forma di governo. errore e pericolo tanto più grandi quando si fonde la religione con un genere di democrazia le cui dottrine sono errate. È proprio questo il caso del Sillon, che di fatto volendo favorire una particolare forma politica e compromettendo la Chiesa, divide i cattolici, sottrae la gioventù ed anche alcuni sacerdoti e Seminaristi all’azione semplicemente cattolica e dissipa inutilmente le vive forze di una parte della nazione.Vedete dunque, Venerabili Fratelli, che stupefacente contraddizione: proprio perché la Religione deve dominare su tutti i partiti, il Sillon, richiamandosi a questo principio, si astiene dal difendere la Chiesa assalita. Non è stata certo la Chiesa a scendere nell'arena politica: vi è stata trascinata per essere mutilata e spogliata. Dunque, non è forse dovere di ogni cattolico usare le armi politicheche possiede per difenderla e per obbligare 1a politica a restare neI proprio campo e a non occuparsidella Chiesa se non per renderle ciò che le è dovuto? Ebbene, di fronte alla Chiesa così violentata,si ha spesso il dolore di vedere i membri del Sillon che incrociano le braccia se non trovano un lorointeresse nel difenderla; li si vede dettare o sostenere un programma che non rivela il cattolico in nessun punto e in nessun modo. Questo non impedisce alle stesse persone, in piena lotta politica,sotto i colpi di una provocazione, di ostentare pubblicamente la loro fede. Non si può fare altroche affermare che nel membro. Del Sillon vi sono due persone: l’individuo, che è cattolico, e l’uomo d'azione, che è neutro.

1 4. Condanna dell'interconfessionalismo politico

Vi fu un tempo in cui il Sillon, in quanto tale, era formalmente cattolico. Quanto a forza morale, non ne conosceva che una: quella cattolica, e soleva proclamare che Ia democrazia o sarebbe stata cattolica, o non sarebbe stata. Venne il giorno in cui cambiò parere. Lasciò a ciascuno la sua religione o Ia sua filosofia; cessò esso stesso di proclamarsi cattolico, e alla formula: "la democrazia sarà cattolica", sostituì quest'altra: "la democrazia non sarà anticattolica" - d'altronde non più che antigiudaica o antibuddista. Era l'epoca del "Sillon allargato". Vennero chiamati all'edificazione

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della società futura tutti gli operai di ogni religione e di ogni setta. Non si chiese loro altro che di abbracciare 1o stesso ideale sociale, di rispettare.tutte le credenze e di apportare. qualche contributo di forze morali. Certo, - essi proclamavano- “i capi del Sillon pongono la loro fede religiosa al disopra di tutto. Possono però essi togliere agli altri il diritto di attingere la loro energia morale dove possono? In compenso, esigono che gli altri rispettino il loro diritto di attingerla nella fede cattolica. Essi chiedono dunque, a tutti coloro che vogliono trasformare la società attuale in senso democratico, di non respingersi a vicenda per le convinzioni filosofiche o religiose che possono separarli, ma di camminare tenendosi per mano, senza rinunciare alle proprie convinzioni personali, ma cercando di verificarne la validità nel campo della realizzazione pratica. In questa emulazione fra anime attaccate a convinzioni religiose o filosofiche differenti, forse, si potrà realizzare l’unione”. Contemporaneamente si dichiara - ma come potrebbe avvenire questo? - che il piccolo Sillon cattolico diventerà l'anima del grande Sillon cosmopolita.Recentemente il nome del "Sillon allargato" è scomparso ed è apparsa una nuova organizzazione, ma senza modificare lo spirito e il fondamento del progetto, anzi al contrario, per "mettere ordine nel lavoro e organizzare le diverse forze in azione. Il Sillon rimane sempre un'anima, uno spiritoche si mescolerà nei gruppi ispirandone le attività". Tutti i nuovi gruppi, divenuti apparentemente autonomi - cattolici, protestanti, liberi pensatori - sono pregati di mettersi all'opera. "I compagni cattolici lavoreranno tra di loro in una organizzazione particolare per istruirsi ed educarsi. I democratici protestanti e i liberi pensatori, da parte loro, Faranno Io stesso. Cattolici, protestanti, liberi pensatori, tutti avranno cura di armare la gioventù non per una lotta fratricida, ma per une generosa emulazione nel campo delle virtù sociali e civili".Queste dichiarazioni e questa nuova organizzazione dell'attività del Sillon richiedono riflessionimolto gravi.Ecco dunque fondata da cattolici un'associazione interconfessionale per lavorare alla riforma della civiltà - opera innanzi tutto religiosa, perché non esiste vera civiltà senza civiltà morale, né esiste vera civiltà morale senza vera religione. questa è una verità dimostrata ed è un fatto storico. E i membri del nuovo Sillon non potranno addurre il pretesto di agire semplicemente "nel campo delle realtà pratiche" in cui la diversità di fede non avrebbe importanza. I1 loro capo percepisce tanto bene quest'influenza delle convinzioni dello spirito sui risultati dell'azione, da invitarli - a qualsiasi religione appartengano - a “verificare, nel campo dell'attività pratica, la validità delle loropersonali convinzioni”: ben a ragione, perché le realizzazioni. pratiche prendono forma dal carattere delle convinzioni religiose, come le membra di un corpo ricevono, fino alle loro estremità. La forma del principio vitale che le anima.Detto questo, cosa pensare della promiscuità in cui i giovani cattolici si troveranno impegnati, in compagnia di eretici e miscredenti di ogni specie, in un'opera di questo genere? Non è essa mille volte più pericolosa, per loro, di un'associazione neutra? Che si deve pensare di questo appello a tutti gli eterodossi e a tutti i miscredenti a verificare nel campo sociale la validità delle loro convinzioni, in una specie di gara apologetica, come se questa gara non durasse già da diciannove secoli, ma in condizione meno pericolose per la fede dei fedeli e a tutta gloria della Chiesa cattolica? Che pensare di questo rispetto per tutti gli errori e dello strano invito, rivolto da un cattolico a tutti i dissidenti, di fortificare le loro convinzioni con lo studio trasformandole in fonti sempre più abbondanti di nuove forze? Che pensare di un'associazione in cui tutte le religioni, e perfino il libero pensiero, possono manifestarsi apertamente e a loro agio? I membri del Sillon, infatti, che nelle pubbliche conferenze ed altrove proclamano con fierezza la loro fede individuale, non intendono certamente chiudere la bocca agli altri impedendo al protestante di affermare il suo protestantesimo e allo scettico il suo scetticismo!Che pensare, infine, di un cattolico che, all'atto di entrare nel suo circolo di studi, lascia alla porta la sua fede cattolica per non turbare quei suoi compagni che, "aspirando ad un'azione socialedisinteressata, rifiutano di metterla al servizio del trionfo di interessi, combriccole o anche convinzioni di qualunque genere"? Proprio questa è, infatti la professione di fede del nuovo Comitato democratico di azione sociale, che ha ereditato dalla vecchia organizzazione la missione

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più grande, e che - "sciogliendo l'equivoco, riguardo il Sillon allargato, diffuso tanto negli ambienti reazionari che in quelli anticlericali", come si afferma – è aperto a tutti gli uomini "rispettosi delle forze morali e religiose e con vinti che nessuna vera emancipazione sociale è possibile senza i fermenti di un generoso idealismo".

15. L'illusione di un falso ecumenismo

Sì purtroppo!, l'equivoco è sciolto: l'azione sociale del Sillon non è più cattolica. I1 membro del Sillon, come tale, non lavora per una combriccola e, come egli stesso afferma, "la Chiesa nondovrà in alcun modo beneficiare delle simpatie che quest'opera potrà suscitare". Davvero unastrana insinuazione! Si teme che la Chiesa approfitti dell’azione sociale de1 Sillon per un fine egoistico e interessato, come se tutto ciò che va a beneficio della Chiesa non andasse anche a beneficio dell'umanità! Strano rovesciamento di idee: sarebbe la Chiesa a trarre beneficio dall'azione sociale, come se i più grandi economisti non avessero al contrario riconosciuto e dimostrato che è l'azione sociale ad aver bisogno della Chiesa, per essere seria e feconda!Ma ancor più strane, spaventose e allo stesso tempo causa di tristezza, sono l'audacia e la leggerezza di questi uomini, che si dicono cattolici e che sognano di rifondare la società in queste condizioni e di edificare sulla terra, al di sopra della Chiesa cattolica, il “regno della giustizia e dell’amore”,con operai venuti da ogni parte, di qualsiasi religione o senza religione, purché, dimenticando le convinzioni filosofiche e religiose che li dividono, mettano in comune ciò che li unisce: un generoso idealismo e forze morali attinte "dove possibile".Quando si pensa a tuttO quello che è stato necessario quanto a forze, scienza e virtù soprannaturali per stabilire la società cristiana, e alle sofferenze di milioni di martiri, ai lumi dei Padri e dei Dottori della Chiesa, alla dedizione di tutti gli eroi della carità, alla potente gerarchia stabilita dal Cielo, ai fiumi di grazia divina, il tutto edificato, unito, compenetrato dalla vita e dallo Spirito di Gesù Cristo Sapienza di Dio e Verbo fatto Uomo; quando si pensa a tutto questo, dicevamo, si rimane attoniti nel vedere certi nuovi apostoli che si accaniscono a voler far di meglio mettendo in comune un vago idealismo e alcune virtù civili. Che potranno produrre? Che risultati otterrà questa collaborazione? Una costruzione puramente verbale e chimerica, dove si vedranno luccicare, alla rinfusa e in una seducente confusione, le parole di libertà, giustizia,. fratellanza, amore, uguaglianza ed esaltazione dell'uomo, il tutto fondato su una malintesa “dignità umana”. Sarà una chiassosa agitazione, sterile quanto al fine proposto, ma che tornerà a vantaggio di meno utopisti agitatori di masse. Sì, possiamo veramente dire che il Sillon, con l'occhio fisso ad una chimera, si aggrega al socialismo.Temiamo che vi sia anche di peggio. Il risultato di questa promiscuità nel lavoro, il beneficiario di questa azione sociale cosmopolita, non può essere che una democrazia che non sarà né cattolica né protestante né ebraica; sarà una religione - poiché il Sillon è una religione: l'hanno detto gli stessi capi – più universale della Chiesa cattolica e che riunirà tutti gli uomini divenuti finalmente fratelli e compagni nel "regno di Dio". "Non si lavora per la Chiesa, si lavora per l'umanità".Ed ora, penetrati dalla più viva tristezza, Noi ci chiediamo, Venerabili Fratelli, che cosa è diventato il cattolicesimo del Sillon. Ahimè! Questo fiume limpido e impetuoso, che alimentava in altri tempi così belle speranze, ~ stato captato nel suo cammino dai moderni nemici della Chiesa, e da allora non è più altro che un misero affluente del grande movimento di apostasia organizzato in ogni Paese per stabilire ovunque una chiesa universale che non avrà né dogmi né gerarchia né regole per lo spirito ne freni per le passioni, e che col pretesto della libertà e della dignità umane condurrebbe nel mondo, se potesse trionfare, il regno legale dell'astuzia e della forza, l'oppressione dei deboli, di coloro che soffrono e lavorano.

16. Un falso "vangelo" sentimentale, desacralizzante e rivoluzionario

Conosciamo fin troppo bene le tenebrose officine in cui vengono forgiate queste deleterie dottrine, che non dovrebbero sedurre gli animi accorti. I capi del Sillon non hanno saputo difendersene;

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l'esaltazione dei loro sentimenti, la cieca bontà del loro cuore, il loro misticismo filosofico mischiato ad un certo illuminismo, li hanno trascinati verso un nuovo,"vangelo”, nel quale hanno creduto scoprire il vero Vangelo del Salvatore, fino al punto che essi osano trattare Nostro Signore Gesù Cristo con una familiarità sommamente irrispettosa e che, essendo il. loro ideale imparentato aquello della Rivoluzione, non temono di fare blasfemi raffronti tra Vangelo e Rivoluzione che nonhanno la scusa di essere sfuggiti a qualche tumultuosa improvvisazione. Desideriamo attirare la vostra attenzione, Venerabili Fratelli, su questa deformazione del Vangelo e del carattere sacra di Nostro Signore Gesù Cristo, Dio e Uomo, praticata nel Sillon e altrove.Nell'affrontare la questione sociale, in certi ambienti, è di moda scartare in partenza la divinità diGesù Cristo per poi parlare solo della Sua grande mansuetudine, detta Sua compassione per tutte le miserie umane, delle Sue insistenti esortazioni all'amore per il prossimo e alla fratellanza.Certo, Gesù ci ha amati di un amore immenso, infinito , ed è venuto sulla Terra a soffrire e morireaffinché, riuniti attorno a Lui nella giustizia e nell'amore, animati dallo stesso sentimento di mutuacarità, tutti gli uomini vivano nella pace e nella felicità. Ma, per la realizzazione di questa felicitàtemporale ed eterna, Egli ha posto, con sovrana autorità,la condizione di appartenere al Suo gregge , di accettare la sua dottrina, di praticare la virtù e di lasciarsi istruire e guidare da Pietro e dai suoi successori.Inoltre, se Gesù è stato buono con i traviati e i peccatori, non ha però affatto rispettato le loro errate convinzioni, per quanto sincere sembrassero; Egli li ha amati tutti per istruirli, convertirli e salvarli. Se ha chiamato a sé per confortarli coloro che penano e soffrono, non l’ha fatto per predicar loro l'invidia di una chimerica uguaglianza. Se ha elevato gli umili, non l’ha fatto per ispirar loro il sentimento di una dignità indipendente e ribelle all'obbedienza, Se il Suo cuore traboccava di mansuetudine per le anime di buona volontà, Egli però ha saputo anche armarsi di santa indignazione contro i profanatori della Casa di Dio, contro i malvagi che scandalizzano i piccoli, contro le autorità che opprimono il popolo sotto pesanti fardelli senza mettere un dito per sollevarli. Gesù è stato tanto forte quanto dolce; ha sgridato, minacciato, castigato, ben sapendo e insegnandoci che spesso il timore è principio di saggezza e che talvolta bisogna amputare un membro per salvarci il corpo. Infine, Egli non ha promesso alla futura società il regno di una felicità ideale dal quale sarebbe bandita la sofferenza, ma con la Sua dottrina e il Suo esempio ha tracciato il cammino della felicità possibile sulla Terra e di quella perfetta in Cielo: la via regale della Croce.Questi sono insegnamenti che a torto si applicherebbero soltanto alla vita individuale in vistadella salvezza eterna; sono insegnamenti eminentemente sociali che ci mostrano in Nostro SignoreGesù Cristo ben altra cosa che un umanitarismo senza consistenza e senza autorità.

17. I doveri dei vescovi e dei sacerdoti

Da parte vostra, Venerabili Fratelli, continuate attivamente l'opera del Salvatore degli uomini, imitando la Sua dolcezza e la Sua forza. Chinatevi su tutte le miserie; nessun dolore sfugga alla vostra pastorale sollecitudine, nessun gemito vi trovi indifferenti. Però predicate anche audacemente ai grandi e ai piccoli i loro doveri. Spetta a voi formare la coscienza dei popoli e delle autorità pubbliche. La questione sociale sarà molto vicina alla soluzione solo quando gli uni e le altre, meno esigenti nei rispettivi diritti, adempiranno con maggior scrupolo loro doveri.Visto che nei conflitti d'interesse, e soprattutto nella lotta contro le forze malvagie, la virtù di un uomo e la sua stessa santità non sempre bastano ad assicurargli il pane quotidiano, desideriamo vivamente che voi prendiate parte attiva nell'organizzazione della società affinché il meccanismo sociale, ne1 suo gioco naturale, venga costruito in modo tale da paralizzare gli sforzi dei malvagi e rendere raggiungibile, per ogni uomo di buona volontà, la sua legittima porzione di felicità temporale. A questo scopo, mentre i vostri sacerdoti si dedicheranno con ardore al lavoro della santificazione delle anime, della difesa della Chiesa e alle opere di carità propriamente dette, voi ne sceglierete alcuni, operosi e d'animo misurato, laureati in filosofia e teologia e perfetti conoscitori

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della storia della civiltà antica e moderna, e li applicherete agli studi meno elevati e più pratici della scienza sociale,per porli a tempo opportuno a capo delle vostre attività di azione cattolica.Tuttavia, questi sacerdoti non si lascino traviare, nel labirinto delle opinioni contemporanee, dal miraggio di una falsa democrazia; non imitino la retorica dei peggiori nemici della chiesa e del popolo, linguaggio enfatico pieno di promesse tanto altisonanti quanto irrealizzabili. Siano persuasi che la questione sociale e la scienza sociale non sono nate ieri; che in ogni tempo la Chiesa e lo Stato, felicemente concordi, hanno suscitato a questo fine feconde istituzioni; che la Chiesa, che non ha mai tradito il bene del popolo con alleanze compromettenti, non può liberarsi dal passato; che basta ricuperare, con l'aiuto dei veri operai della restaurazione sociale, le istituzioni distrutte dalla Rivoluzione adattandole, nello.stesso spirito cristiano che le ha ispirate, al nuovo ambiente creato dallo sviluppo materiale della società contemporanea: infatti i veri amici del popolo non sono né rivoluzionari né innovatori, ma tradizionalisti.Noi desideriamo che libera la gioventù del Sillon, la dai suoi errori, lungi dall'ostacolare quest'operaeminentemente degna del vostro zelo pastorale, vi apporti, nell'ordine e nella sottomissione convenienti, un leale ed efficace aiuto.

18. Invito alla sottomissione

Rivolgendoci dunque ai capi del Sillon con la fiducia di un padre che parla ai suoi figli, Noi chiediamo di cedervi il posto, per il loro bene, per il bene della Chiesa e della Francia. Certo Noi comprendiamo la grandezza del sacrificio che sollecitiamo da loro, ma sappiamo che sono abbastanza generosi per compierlo, e fin d'ora, in nome di Nostro Signore Gesù Cristo, del quale siano l’indegno rappresentante, li benediciamo.Quanto ai membri del Sillon, Noi vogliamo che si schierino per diocesi al fine di lavorare, sotto ladirezione dei loro rispettivi vescovi, per la rigenerazione cristiana e cattolica del popolo e nello stesso tempo per il miglioramento della sua sorte.Questi gruppi diocesani saranno per ora indipendenti gli uni dagli altri, e per ben mettere in rilievo che essi hanno rotto con gli errori del passato, assumeranno il nome di "Sillons cattolici” e ciascuno dei loro membri aggiungerà alla sua qualifica di "sillonista", lo stesso aggettivo di “cattolico”. È implicito, d'altronde, che ogni “sillonista cattolico" rimarrà libero di conservare le sue preferenze politiche, purificate però da tutto ciò che non sarebbe conforme, in questo campo, alla dottrina della Chiesa. Se alcuni gruppi si rifiutassero di sottomettersi a queste condizioni, Venerabili Fratelli, voi dovrete considerarli come se rifiutassero di sottomettersi alla vostra guida; bisognerà allora esaminare se si limitano alla politica o alla pura economia, o se perseverano nei loro vecchi errori. Nel primo caso, è chiaro che non dovrete occuparvene più che di ogni altro fedele; nel secondo, dovrete agire di conseguenza: prudentemente, ma con fermezza. I sacerdoti dovranno tenersi completamente al di fuori dei gruppi dissidenti ed accontentarsi di prestare il soccorso del sacro ministero individualmente ai loro membri, applicando loro, al tribunale della Penitenza, le comuni regole della morale in relazione alla dottrina ed alla condotta. Quanto ai gruppi cattolici, i sacerdoti e i seminaristi, pur favorendoli e assecondandoli, si asterranno dall'aggregarsi come membri, perché è bene che l’amicizia sacerdotale si conservi superiore alle associazioni laiche, anche alle più utili e animate dal miglior spirito. Queste sono le misure pratiche con le quali abbiamo creduto necessario sanzionare questa Lettera sul Sillon e sui suoi membri. Che il Signore voglia, Noi lo preghiamo dal più profondo dell'anima, far comprendere a questi uomini e a questi giovani le gravi ragioni che l'hanno dettata: Egli dia loro la docilità di cuore e il coraggio di mettere alla prova, di fronte alla Chiesa, la sincerità del loro fervore cattolico; e a voi, Venerabili Fratelli, ispiri in loro favore, poiché sono ormai vostri, sentimenti di un affetto veramente paterno. Con questa speranza, e per ottenere questi risultati tanto desiderabili, Noi accordiamo di tutto cuore, a voi come pure al vostro clero e al vostro popolo,l'apostolica benedizione.Dato a Roma, in San Pietro, il 25 agosto l 910, ottavo anno del Nostro pontificato. Pius Pp. X

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Il ruolo dell'università e il rapporto tra ragione e fedeIL TESTO INTEGRALE DELLA  "LEZIONE"  DI LIBERTA'DI  BENEDETTO XVI

"CHE COSA HA DA FARE O DA DIRE IL PAPA NELL'UNIVERSITA'? SICURAMENTE NON DEVE CERCARE DI IMPORRE AD ALTRI IN MODO AUTORITARIO LA FEDE, CHE PUO' ESSERE SOLO DONATA IN LIBERTA'. AL DI LA' DEL SUO MINISTERO DI PASTORE NELLA CHIESA E IN BASE ALLA NATURA INTRINSECA DI QUESTO MINISTERO PASTORALE E' SUO COMPITO MANTENERE DESTA LA SENSIBILITA' PER LA VERITA; INVITARE SEMPRE DI NUOVO LA RAGIONE A METTERSI ALLA RICERCA DEL VERO, DEL BENE, DI DIO E, SU QUESTO CAMMINO, SOLLECITARLA A SCORGERE LE UTILI LUCI SORTE LUNGO LA STORIA DELLA FEDE CRISTIANA E A PERCEPIRE COSI GESU CRISTO COME LA LUCE CHE ILLUMINA".  CITTA' DEL VATICANO, 16 gennaio 2008. Ecco il testo integrale dell'allocuzione che Papa Benedetto XVI avrebbe dovuto pronunciare all'universitá di Roma «La Sapienza» subito dopo l'inaugurazione dell'anno accademico, pubblicato dalla Santa Sede : È per me motivo di profonda gioia incontrare la comunità della "Sapienza - Università di Roma" in occasione della inaugurazione dell'anno accademico. Da secoli ormai questa Università segna il cammino e la vita della città di Roma, facendo fruttare le migliori energie intellettuali in ogni campo del sapere. Sia nel tempo in cui, dopo la fondazione voluta dal Papa Bonifacio VIII, l'istituzione era alle dirette dipendenze dell'Autorità ecclesiastica, sia successivamente quando lo Studium Urbis si è sviluppato come istituzione dello Stato italiano, la vostra comunità accademica ha conservato un grande livello scientifico e culturale, che la colloca tra le più prestigiose università del mondo. Da sempre la Chiesa di Roma guarda con simpatia e ammirazione a questo centro universitario, riconoscendone l'impegno, talvolta arduo e faticoso, della ricerca e della formazione delle nuove generazioni. Non sono mancati in questi ultimi anni momenti significativi di collaborazione e di dialogo. Vorrei ricordare, in particolare, l'Incontro mondiale dei Rettori in occasione del Giubileo delle Università, che ha visto la vostra comunità farsi carico non solo dell'accoglienza e dell'organizzazione, ma soprattutto della profetica e complessa proposta della elaborazione di un "nuovo umanesimo per il terzo millennio". Mi è caro, in questa circostanza, esprimere la mia gratitudine per l'invito che mi è stato rivolto a venire nella vostra università per tenervi una lezione. In questa prospettiva mi sono posto innanzitutto la domanda: Che cosa può e deve dire un Papa in un'occasione come questa? Nella mia lezione a Ratisbona ho parlato, sì, da Papa, ma soprattutto ho parlato nella veste del già professore di quella mia università, cercando di collegare ricordi ed attualità. Nell'università "Sapienza", l'antica università di Roma, però, sono invitato proprio come Vescovo di Roma, e perciò debbo parlare come tale. Certo, la "Sapienza" era un tempo l'università del Papa, ma oggi è un'università laica con quell'autonomia che, in base al suo stesso concetto fondativo, ha fatto sempre parte della natura di università, la quale deve essere legata esclusivamente all'autorità della verità. Nella sua

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libertà da autorità politiche ed ecclesiastiche l'università trova la sua funzione particolare, proprio anche per la società moderna, che ha bisogno di un'istituzione del genere. Ritorno alla mia domanda di partenza: che cosa può e deve dire il Papa nell'incontro con l'università della sua città? Riflettendo su questo interrogativo, mi è sembrato che esso ne includesse due altri, la cui chiarificazione dovrebbe condurre da sé alla risposta. Bisogna, infatti, chiedersi: qual è la natura e la missione del Papato? E ancora: qual è la natura e la missione dell'università? Non vorrei in questa sede trattenere Voi e me in lunghe disquisizioni sulla natura del Papato. Basti un breve accenno. Il Papa è anzitutto Vescovo di Roma e come tale, in virtù della successione all'Apostolo Pietro, ha una responsabilità episcopale nei riguardi dell'intera Chiesa cattolica. La parola "vescovo"-episkopos, che nel suo significato immediato rimanda a "sorvegliante", già nel Nuovo Testamento è stata fusa insieme con il concetto biblico di Pastore: egli è colui che, da un punto di osservazione sopraelevato, guarda all'insieme, prendendosi cura del giusto cammino e della coesione dell'insieme. In questo senso, tale designazione del compito orienta lo sguardo anzitutto verso l'interno della comunità credente. Il Vescovo - il Pastore - è l'uomo che si prende cura di questa comunità; colui che la conserva unita mantenendola sulla via verso Dio, indicata secondo la fede cristiana da Gesù - e non soltanto indicata: Egli stesso è per noi la via. Ma questa comunità della quale il Vescovo si prende cura - grande o piccola che sia - vive nel mondo; le sue condizioni, il suo cammino, il suo esempio e la sua parola influiscono inevitabilmente su tutto il resto della comunità umana nel suo insieme. Quanto più grande essa è, tanto più le sue buone condizioni o il suo eventuale degrado si ripercuoteranno sull'insieme dell'umanità. Vediamo oggi con molta chiarezza, come le condizioni delle religioni e come la situazione della Chiesa - le sue crisi e i suoi rinnovamenti - agiscano sull'insieme dell'umanità. Così il Papa, proprio come Pastore della sua comunità, è diventato sempre di più anche una voce della ragione etica dell'umanità. Qui, però, emerge subito l'obiezione, secondo cui il Papa, di fatto, non parlerebbe veramente in base alla ragione etica, ma trarrebbe i suoi giudizi dalla fede e per questo non potrebbe pretendere una loro validità per quanti non condividono questa fede. Dovremo ancora ritornare su questo argomento, perché si pone qui la questione assolutamente fondamentale: che cosa è la ragione? Come può un'affermazione - soprattutto una norma morale - dimostrarsi "ragionevole"? A questo punto vorrei per il momento solo brevemente rilevare che John Rawls, pur negando a dottrine religiose comprensive il carattere della ragione "pubblica", vede tuttavia nella loro ragione "non pubblica" almeno una ragione che non potrebbe, nel nome di una razionalità secolaristicamente indurita, essere semplicemente disconosciuta a coloro che la sostengono. Egli vede un criterio di questa ragionevolezza fra l'altro nel fatto che simili dottrine derivano da una tradizione responsabile e motivata, in cui nel corso di lunghi tempi sono state sviluppate argomentazioni sufficientemente buone a sostegno della relativa dottrina. In questa affermazione mi sembra importante il riconoscimento che l'esperienza e la dimostrazione nel corso di generazioni, il fondo storico dell'umana sapienza, sono anche un segno della sua ragionevolezza e del suo perdurante significato. Di fronte ad una ragione a-storica che cerca di autocostruirsi soltanto in una razionalità a-storica, la sapienza dell'umanità come tale - la sapienza delle grandi tradizioni religiose - è da valorizzare come realtà che non si può impunemente gettare nel cestino della storia delle idee. Ritorniamo alla domanda di partenza. Il Papa parla come rappresentante di una comunità credente, nella quale durante i secoli della sua esistenza è maturata una determinata sapienza della vita; parla come rappresentante di una comunità che custodisce in sé un tesoro di conoscenza e di esperienza etiche, che risulta importante per l'intera umanità: in questo senso parla come rappresentante di una ragione etica. M a ora ci si deve chiedere: e che cosa è l'università? Qual è il suo compito? È una domanda gigantesca alla quale, ancora una volta, posso cercare di rispondere soltanto in stile quasi telegrafico con qualche osservazione. Penso si possa dire che la vera, intima origine dell'università stia nella brama di conoscenza che è propria dell'uomo. Egli vuol sapere che cosa sia tutto ciò che lo circonda. Vuole verità. In questo senso si può vedere l'interrogarsi di Socrate come l'impulso dal

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quale è nata l'università occidentale. Penso ad esempio - per menzionare soltanto un testo - alla disputa con Eutifrone, che di fronte a Socrate difende la religione mitica e la sua devozione. A ciò Socrate contrappone la domanda: "Tu credi che fra gli dei esistano realmente una guerra vicendevole e terribili inimicizie e combattimenti . Dobbiamo, Eutifrone, effettivamente dire che tutto ciò è vero?" (6 b - c). In questa domanda apparentemente poco devota - che, però, in Socrate derivava da una religiosità più profonda e più pura, dalla ricerca del Dio veramente divino - i cristiani dei primi secoli hanno riconosciuto se stessi e il loro cammino. Hanno accolto la loro fede non in modo positivista, o come la via d'uscita da desideri non appagati; l'hanno compresa come il dissolvimento della nebbia della religione mitologica per far posto alla scoperta di quel Dio che è Ragione creatrice e al contempo Ragione-Amore.  Per questo, l'interrogarsi della ragione sul Dio più grande come anche sulla vera natura e sul vero senso dell'essere umano era per loro non una forma problematica di mancanza di religiosità, ma faceva parte dell'essenza del loro modo di essere religiosi. Non avevano bisogno, quindi, di sciogliere o accantonare l'interrogarsi socratico, ma potevano, anzi, dovevano accoglierlo e riconoscere come parte della propria identità la ricerca faticosa della ragione per raggiungere la conoscenza della verità intera. Poteva, anzi doveva così, nell'ambito della fede cristiana, nel mondo cristiano, nascere l'università. È necessario fare un ulteriore passo. L'uomo vuole conoscere - vuole verità. Verità è innanzitutto una cosa del vedere, del comprendere, della theoría, come la chiama la tradizione greca. Ma la verità non è mai soltanto teorica. Agostino, nel porre una correlazione tra le Beatitudini del Discorso della Montagna e i doni dello Spirito menzionati in Isaia 11, ha affermato una reciprocità tra "scientia" e "tristitia": il semplice sapere, dice, rende tristi. E di fatto - chi vede e apprende soltanto tutto ciò che avviene nel mondo, finisce per diventare triste.  Ma verità significa di più che sapere: la conoscenza della verità ha come scopo la conoscenza del bene. Questo è anche il senso dell'interrogarsi socratico: qual è quel bene che ci rende veri? La verità ci rende buoni, e la bontà è vera: è questo l'ottimismo che vive nella fede cristiana, perché ad essa è stata concessa la visione del Logos, della Ragione creatrice che, nell'incarnazione di Dio, si è rivelata insieme come il Bene, come la Bontà stessa. Nella teologia medievale c'è stata una disputa approfondita sul rapporto tra teoria e prassi, sulla giusta relazione tra conoscere ed agire - una disputa che qui non dobbiamo sviluppare. Di fatto l'università medievale con le sue quattro Facoltà presenta questa correlazione. Cominciamo con la Facoltà che, secondo la comprensione di allora, era la quarta, quella di medicina. Anche se era considerata più come "arte" che non come scienza, tuttavia, il suo inserimento nel cosmo dell'universitas significava chiaramente che era collocata nell'ambito della razionalità, che l'arte del guarire stava sotto la guida della ragione e veniva sottratta all'ambito della magia. Guarire è un compito che richiede sempre più della semplice ragione, ma proprio per questo ha bisogno della connessione tra sapere e potere, ha bisogno di appartenere alla sfera della ratio. Inevitabilmente appare la questione della relazione tra prassi e teoria, tra conoscenza ed agire nella Facoltà di giurisprudenza. Si tratta del dare giusta forma alla libertà umana che è sempre libertà nella comunione reciproca: il diritto è il presupposto della libertà, non il suo antagonista. Ma qui emerge subito la domanda: come s'individuano i criteri di giustizia che rendono possibile una libertà vissuta insieme e servono all'essere buono dell'uomo? A QUESTO PUNTO S'IMPONE UN SALTO NEL PRESENTE: E LA QUESTIONE DEL COME POSSA ESSERE TROVATA UNA NORMATIVA GIURIDICA CHE COSTITUISCA UN ORDINAMENTO DELLA LIBERTA, DELLA DIGNITA UMANA E DEI DIRITTI DELL'UOMO. È LA QUESTIONE CHE CI OCCUPA OGGI NEI PROCESSI DEMOCRATICI DI FORMAZIONE DELL'OPINIONE E CHE AL CONTEMPO CI ANGUSTIA COME QUESTIONE PER IL FUTURO DELL'UMANITA. Jürgen Habermas esprime, a mio parere, un vasto consenso del pensiero attuale, quando dice che la legittimità

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di una carta costituzionale, quale presupposto della legalità, deriverebbe da due fonti: dalla partecipazione politica egualitaria di tutti i cittadini e dalla forma ragionevole in cui i contrasti politici vengono risolti. Riguardo a questa "forma ragionevole" egli annota che essa non può essere solo una lotta per maggioranze aritmetiche, ma che deve caratterizzarsi come un "processo di argomentazione sensibile alla verità" (wahrheitssensibles Argumentationsverfahren). È detto bene, ma è cosa molto difficile da trasformare in una prassi politica. I rappresentanti di quel pubblico "processo di argomentazione" sono - lo sappiamo - prevalentemente i partiti come responsabili della formazione della volontà politica. Di fatto, essi avranno immancabilmente di mira soprattutto il conseguimento di maggioranze e con ciò baderanno quasi inevitabilmente ad interessi che promettono di soddisfare; tali interessi però sono spesso particolari e non servono veramente all'insieme. La sensibilità per la verità sempre di nuovo viene sopraffatta dalla sensibilità per gli interessi. Io trovo significativo il fatto che Habermas parli della sensibilità per la verità come di elemento necessario nel processo di argomentazione politica, reinserendo così il concetto di verità nel dibattito filosofico ed in quello politico. Ma allora diventa inevitabile la domanda di Pilato: che cos'è la verità? E come la si riconosce? Se per questo si rimanda alla "ragione pubblica", come fa Rawls, segue necessariamente ancora la domanda: che cosa è ragionevole? Come una ragione si dimostra ragione vera? In ogni caso, si rende in base a ciò evidente che, nella ricerca del diritto della libertà, della verità della giusta convivenza devono essere ascoltate istanze diverse rispetto a partiti e gruppi d'interesse, senza con ciò voler minimamente contestare la loro importanza. Torniamo così alla struttura dell'università medievale. Accanto a quella di giurisprudenza c'erano le Facoltà di filosofia e di teologia, a cui era affidata la ricerca sull'essere uomo nella sua totalità e con ciò il compito di tener desta la sensibilità per la verità. Si potrebbe dire addirittura che questo è il senso permanente e vero di ambedue le Facoltà: essere custodi della sensibilità per la verità, non permettere che l'uomo sia distolto dalla ricerca della verità. Ma come possono esse corrispondere a questo compito? Questa è una domanda per la quale bisogna sempre di nuovo affaticarsi e che non è mai posta e risolta definitivamente. Così, a questo punto, neppure io posso offrire propriamente una risposta, ma piuttosto un invito a restare in cammino con questa domanda - in cammino con i grandi che lungo tutta la storia hanno lottato e cercato, con le loro risposte e con la loro inquietudine per la verità, che rimanda continuamente al di là di ogni singola risposta. Teologia e filosofia formano in ciò una peculiare coppia di gemelli, nella quale nessuna delle due può essere distaccata totalmente dall'altra e, tuttavia, ciascuna deve conservare il proprio compito e la propria identità. È merito storico di san Tommaso d'Aquino - di fronte alla differente risposta dei Padri a causa del loro contesto storico - di aver messo in luce l'autonomia della filosofia e con essa il diritto e la responsabilità propri della ragione che s'interroga in base alle sue forze. Differenziandosi dalle filosofie neoplatoniche, in cui religione e filosofia erano inseparabilmente intrecciate, i Padri avevano presentato la fede cristiana come la vera filosofia, sottolineando anche che questa fede corrisponde alle esigenze della ragione in ricerca della verità; che la fede è il "sì" alla verità, rispetto alle religioni mitiche diventate semplice consuetudine. Ma poi, al momento della nascita dell'università, in Occidente non esistevano più quelle religioni, ma solo il cristianesimo, e così bisognava sottolineare in modo nuovo la responsabilità propria della ragione, che non viene assorbita dalla fede. Tommaso si trovò ad agire in un momento privilegiato: per la prima volta gli scritti filosofici di Aristotele erano accessibili nella loro integralità; erano presenti le filosofie ebraiche ed arabe, come specifiche appropriazioni e prosecuzioni della filosofia greca. Così il cristianesimo, in un nuovo dialogo con la ragione degli altri, che veniva incontrando, dovette lottare per la propria ragionevolezza. La Facoltà di filosofia che, come cosiddetta "Facoltà degli artisti", fino a quel momento era stata solo propedeutica alla teologia, divenne ora una Facoltà vera e propria, un partner autonomo della teologia e della fede in questa riflessa. Non possiamo qui soffermarci sull'avvincente confronto che ne derivò.

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Io direi che l'idea di san Tommaso circa il rapporto tra filosofia e teologia potrebbe essere espressa nella formula trovata dal Concilio di Calcedonia per la cristologia: filosofia e teologia devono rapportarsi tra loro "senza confusione e senza separazione". "Senza confusione" vuol dire che ognuna delle due deve conservare la propria identità. La filosofia deve rimanere veramente una ricerca della ragione nella propria libertà e nella propria responsabilità; deve vedere i suoi limiti e proprio così anche la sua grandezza e vastità. La teologia deve continuare ad attingere ad un tesoro di conoscenza che non ha inventato essa stessa, che sempre la supera e che, non essendo mai totalmente esauribile mediante la riflessione, proprio per questo avvia sempre di nuovo il pensiero. Insieme al "senza confusione" vige anche il "senza separazione": la filosofia non ricomincia ogni volta dal punto zero del soggetto pensante in modo isolato, ma sta nel grande dialogo della sapienza storica, che essa criticamente e insieme docilmente sempre di nuovo accoglie e sviluppa; ma non deve neppure chiudersi davanti a ciò che le religioni ed in particolare la fede cristiana hanno ricevuto e donato all'umanità come indicazione del cammino. Varie cose dette da teologi nel corso della storia o anche tradotte nella pratica dalle autorità ecclesiali, sono state dimostrate false dalla storia e oggi ci confondono. Ma allo stesso tempo è vero che la storia dei santi, la storia dell'umanesimo cresciuto sulla basa della fede cristiana dimostra la verità di questa fede nel suo nucleo essenziale, rendendola con ciò anche un'istanza per la ragione pubblica. Certo, molto di ciò che dicono la teologia e la fede può essere fatto proprio soltanto all'interno della fede e quindi non può presentarsi come esigenza per coloro ai quali questa fede rimane inaccessibile. È vero, però, al contempo che il messaggio della fede cristiana non è mai soltanto una "comprehensive religious doctrine" nel senso di Rawls, ma una forza purificatrice per la ragione stessa, che aiuta ad essere più se stessa. Il messaggio cristiano, in base alla sua origine, dovrebbe essere sempre un incoraggiamento verso la verità e così una forza contro la pressione del potere e degli interessi. Ebbene, finora ho solo parlato dell'università medievale, cercando tuttavia di lasciar trasparire la natura permanente dell'università e del suo compito. Nei tempi moderni si sono dischiuse nuove dimensioni del sapere, che nell'università sono valorizzate soprattutto in due grandi ambiti: innanzitutto nelle scienze naturali, che si sono sviluppate sulla base della connessione di sperimentazione e di presupposta razionalità della materia; in secondo luogo, nelle scienze storiche e umanistiche, in cui l'uomo, scrutando lo specchio della sua storia e chiarendo le dimensioni della sua natura, cerca di comprendere meglio se stesso. In questo sviluppo si è aperta all'umanità non solo una misura immensa di sapere e di potere; sono cresciuti anche la conoscenza e il riconoscimento dei diritti e della dignità dell'uomo, e di questo possiamo solo essere grati. Ma il cammino dell'uomo non può mai dirsi completato e il pericolo della caduta nella disumanità non è mai semplicemente scongiurato: come lo vediamo nel panorama della storia attuale! Il pericolo del mondo occidentale - per parlare solo di questo - è oggi che l'uomo, proprio in considerazione della grandezza del suo sapere e potere, si arrenda davanti alla questione della verità. E ciò significa allo stesso tempo che la ragione, alla fine, si piega davanti alla pressione degli interessi e all'attrattiva dell'utilità, costretta a riconoscerla come criterio ultimo. Detto dal punto di vista della struttura dell'università: esiste il pericolo che la filosofia, non sentendosi più capace del suo vero compito, si degradi in positivismo; che la teologia col suo messaggio rivolto alla ragione, venga confinata nella sfera privata di un gruppo più o meno grande. Se però la ragione - sollecita della sua presunta purezza - diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce come un albero le cui radici non raggiungono più le acque che gli danno vita. Perde il coraggio per la verità e così non diventa più grande, ma più piccola. Applicato alla nostra cultura europea ciò significa: se essa vuole solo autocostruirsi in base al cerchio delle proprie argomentazioni e a ciò che al momento la convince e - preoccupata della sua laicità - si distacca dalle radici delle quali vive, allora non diventa più ragionevole e più pura, ma si scompone e si frantuma. CON CIO' RITORNO AL PUNTO DI PARTENZA. CHE COSA HA DA FARE O DA DIRE IL PAPA NELL'UNIVERSITA'? SICURAMENTE NON DEVE CERCARE DI IMPORRE

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AD ALTRI IN MODO AUTORITARIO LA FEDE, CHE PUO ESSERE SOLO DONATA IN LIBERTA'. AL DI LA' DEL SUO MINISTERO DI PASTORE NELLA CHIESA E IN BASE ALLA NATURA INTRINSECA DI QUESTO MINISTERO PASTORALE E' SUO COMPITO MANTENERE DESTA LA SENSIBILITA' PER LA VERITA'; INVITARE SEMPRE DI NUOVO LA RAGIONE A METTERSI ALLA RICERCA DEL VERO, DEL BENE, DI DIO E, SU QUESTO CAMMINO, SOLLECITARLA A SCORGERE LE UTILI LUCI SORTE LUNGO LA STORIA DELLA FEDE CRISTIANA E A PERCEPIRE COSI GESU' CRISTO COME LA LUCE CHE ILLUMINA LA STORIA ED AIUTA A TROVARE LA VIA VERSO IL FUTURO. Città del Vaticano, 16 gennaio 2008  Benedictus XVI