Notiziario bimestrale - anno rotariano 2016-17 Club · Slocovich, è entrata in funzione a partire...

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Notiziario bimestrale - anno rotariano 2016-17 ISIS E YAZIDI LA STRAGE DEGLI INNOCENTI NUMERO 3 - GENNAIO / FEBBRAIO 2017

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  • ClubTriesteNotiziario bimestrale - anno rotariano 2016-17

    ISIS E YAZIDILA STRAGEDEGLI INNOCENTIN U M E R O 3 - G E N N A I O / F E B B R A I O 2 0 1 7

  • ROTARY CLUB TRIESTE

    Anno di fondazione: 1924Distretto 2060

    ClubTrieste

    SegreteriaVia Giustiniano 9 34133 Trieste Tel. e Fax 0039 040 362801 [email protected] www.rotarytrieste.com Rotary club Trieste

    ROTARY INTERNAZIONALE 2016-17presidente: John F. Germ

    MOTTO INTERNAZIONALE 2016-17Il Rotary al servizio dell’Umanità

    DISTRETTO 2060 2016-17Governatore: Alberto Palmieri

    ROTARY CLUB TRIESTE

    presidente Maria Cristina Pedicchio

    COMMISSIONE PER IL BOLLETTINOpresidente: Fulvio Gon

    Componenti Francesco Granbassi (Vice presidente)Piero Paolo Battaglini, Pierpaolo Ferrante, Guendal Cecovini Amigoni

    In redazione Giovanni Tomasin

    Conviviali: Greif Maria Theresia,(Viale Miramare 109, tel. 040 410115)

    giovedì ore 13;terzo giovedì del mese ore 20.30;(dal 15 giugno al 15 settembree ogni terzo giovedì del mesealle 20.30 con familiari)

    Notiziario mensileRegistrazione del Tribunale di Trieste n. 740 del 2 settembre 1988

    Direttore responsabile Fulvio Gon POSTE ITALIANE SPA - Spedizione in abbonamento postale,70% - n. DCB “TS”

    Stampa: Tipografia Alabarda, Trieste

    GENNAIO/FEBBRAIO 2017 - BOLLETTINO N. 3

    S O M M A R I O

    PROGRAMMI

    Rotary club Trieste . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2

    Rotary club Trieste Nord . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3

    Rotary club Muggia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .4

    CONVIVIALI e RELAZIONI

    Riunione conviviale n . 3374 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .5

    Riunione conviviale n . 3375 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .8

    Riunione conviviale n . 3376 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .11

    Riunione conviviale n . 3377 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .18

    Riunione conviviale n . 3378 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .21

    Riunione conviviale n . 3379 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .24

    Riunione conviviale n . 3380 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .25

    GLI INTERVENTI

    L’intervista di Fulvio Gon: Gianfranco Granbassi . . . . . . . .28

    L’ASSIDUITÀ

    Presenze e assiduità di gennaio e febbraio . . . . . . . . . . . . .30

    IL ROTARY E I MEDIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .34

    NOTIZIE DAL CLUB

    News, eventi e curiosità con protagonisti i nostri soci . . . . .35

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    Programma - Rotary club Trieste Nord

    Martedì 7 - ore 20.30StarHotel Savoia

    Conviviale a buffetGabriele Centis batterista“Il senso dello swing e il legame di Trieste con il jazz”

    Martedì 14 – ore 20.30Associazione “de Banfield”via del Lavatoio 4

    Conviviale a mini buffetPresentazione del service“Palio artistico nelle scuole”

    Martedì 21 – ore 20.30StarHotel Savoia

    Conviviale con familiariMarco Maria Tosolini“Stile ed eleganza in Duke Ellington”

    Martedì 28 - ore 13 Interclub con il Rotary Club MuggiaClaudio RoncoDirettore dipartimento nefrologia dialisi e trapianto“Carpe diem: La vita è passione, la passione è vita”

    Sabato 1Hosteria Malcanton

    Club contatto con i RC Lubiana e Klagenfurt Worthersee

    Martedì 4 Conviviale anticipata a sabato 1 aprile

    Martedì 11 - ore 20.30StarHotel Savoia

    conviviale a buffetFederica Rovello“Trieste e la poetica dell’abitare nel primo Novecento”

    Martedì 18 - ore 13Sede del club

    Conviviale a mini buffetComunicazioni rotariane e vita del club

    MARZO

    APRILE

    Programma - Rotary club Trieste

    MARZO

    APRILE

    Giovedì 6 – ore 13Hotel Greif Maria Theresia

    Conviviale a buffet con familiariFranco Coren Direttore infrastrutture di ricerca OGS“OGS Explora, una storia di ricerca, missioni e Antartide”

    Giovedì 13 - ore 13 Conviviale annullata per festività

    Giovedì 20 – ore 20.30Hotel Greif Maria Theresia

    Conviviale a buffet con familiariNico Guerrini“Le nuove droghe”

    Giovedì 27 - ore 13Hotel Greif Maria Theresia

    Conviviale a buffetAntonio Paoletti presidente CCIAA Venezia Giulia“Il Parco del Mare”

    Giovedì 2 – ore 13Hotel Greif Maria Theresia

    Conviviale a buffetSerena Cividin“Strategie per lo sviluppo turistico di Trieste”

    Giovedì 9 – ore 20.30Hotel Greif Maria Theresia

    Conviviale a buffet con familiariFabrizio ZerbiniPresidente del Propeller Club e di Trieste Marine Terminal “Trieste, il futuro arriva dal mare:porto industriale e porto vecchio, le vere opportunità”

    Giovedì 16 – ore 13Sede del Club

    CaminettoComunicazioni rotariane e vita del club

    Giovedì 23 – ore 20.30Hotel Greif Maria Theresia

    Conviviale a buffet con familiariGianluca Valensise“Terremoti e società in Italia:storie di un paese che sa, ma non fa”

    Giovedì 30 – ore 19Hotel Greif Maria Theresia

    ApericlubIncontro con il Goap, associazione a supportodi donne e bambini vittime di violenze

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    La conviviale del 12 gennaio si è svolta all’insegna di un duplice momento di riflessione: il ricordo dell’avvocato Enzio Volli, storico membro del club, e l’illustrazione delle attività delle Fondazioni Casali, esposte da Francesco Slocovich. Prima della relazione, la presidente Cristina Pedicchio ha presentato un nuovo socio, l’avvocato Federica Romana Fantuzzi.

    Il ricordo di Enzio VolliIl ricordo di un socio di altissimo profilo dal punto di vista profes-sionale, politico, culturale e soprattutto umano . La relazione della conviviale del 12 gennaio, tenuta dal dottor Francesco Slocovich, si è aperta con la commemorazione di Enzio Volli, decano degli avvocati triestini, uno tra i più importanti esperti italiani di Diritto marittimo, docente all’università e autore di numerose pubblica-zioni . Figura di primo piano nella vita politica e culturale di Trieste, Volli è mancato il 7 gennaio scorso, alla soglia dei 95 anni . Era un socio storico del Rotary Club: «Non voglio pensare a questo momento come a una commemorazione - ha dichiarato Slocovich

    Riunione conviviale n. 3374

    PresiedeCristina Pedicchio

    Ospiti del clubPaolo e Giacomo Vollli

    Soci presso altri clubAlberti (Rc Madonna di Campiglio, 23 dicembre)Gei (RC Cortina Cadore, 22 dicembre, e Rotaract, 10 gennaio)

    Hotel Greif Maria Theresia12 gennaio 2017

    Slocovich: Fondazioni Casaliprezioso sostegno alla comunità

    Francesco Slocovich ha ricordato la figura del nostro socio Enzio Volli, recentemente scomparso.Ha poi illustrato alla platea le attività delle associazioni benefiche Alberto e Kathleen Casali e Kathleen Foreman Casali

    Programma - Rotary club Muggia

    Mercoledì 1 - ore 20Hotel Lido

    Conviviale con familiari e ospitiAlberto Bartoli“Cyber(in)security. Ovvero: dovrò installare l’antivirusanche in auto e nel lampadario?”

    Mercoledì 8 - ore 20Hotel Lido

    Conviviale con familiari e ospitiGreta Sawma “La condizione della donna nell’Islam”

    Mercoledì 15 - ore 20Hotel Greif Maria Theresia

    Conviviale con familiari e ospitiCarlo Nordio Procuratore della Repubblica di Venezia

    Mercoledì 22 - ore 20Hotel Lido

    Conviviale con familiari e ospitiEugenio Ambrosi “Con i Beatles all’assalto del Muro”

    Martedì 28 - ore 20.30StarHotel Savoia

    Conviviale con familiari e ospiti in Interclub con Trieste NordClaudio Ronco Direttore dip. nefrologia dialisi e trapianto“Carpe diem: La vita è passione, la passione è vita”

    Mercoledì 5 - ore 20.00Hotel Lido

    Conviviale con familiari e ospitiMaurizio Bucci“Piano strategico sul turismo della provincia di Trieste”

    Mercoledì 12 - ore 20Hotel Lido

    Conviviale con familiari e ospitiGiuliano Zanier“Curioso d’un Svevo”volume II dei Quaderni del Teatro del dialetto triestino

    Mercoledì 19 - ore 20Hotel Lido

    Conviviale con familiari e ospitiIncontro con la pittrice Serena Zors Breuer“La pittura si fa performance”

    Mercoledì 26 - ore 20Hotel Lido

    Conviviale con familiari e ospitiArgomenti rotariani

    MARZO

    APRILE

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    -, preferisco la parola ricordo» . Un ricordo, quello del relatore, particolarmente accorato, anche perché fu proprio Volli «a propormi di entrare in questo club, ormai 35 anni fa» . Volli «era un avvocato eclettico - ha proseguito - . Era conosciuto a tutti per essere un esperto marittimista, ma in realtà si occupava con perizia di ogni fascia del diritto» .Slocovich ha ricordato poi la caratteristica prima-ria dell’avvocato Volli nell’esercizio del suo lavoro: la capacità di afferrare in un lampo il nocciolo del problema . «Aveva una lucidità che gli permetteva di inquadrare immediatamente le questioni - ha raccon-tato - . Mi è capitato più volte, indeciso sul da farsi, di andare da lui chiedendo consiglio . In poco tempo individuava esattamente il punto più importante . Se non aveva tempo per farlo mi invitava a tornare a trovarlo la sera con le carte . E puntualmente ne veniva a capo» .Tra i temi che più appassionavano Volli c’era il destino del Punto Franco Vecchio, che di recente ha attraversato più di una svolta: «Per l’avvocato quell’a-rea poteva essere destinata soltanto all’uso del mare . Una posizione, questa, che ha sempre difeso, anche se con gli anni era diventato più flessibile in materia».Altro «grande tema» che stava a cuore all’avvocato era il destino complessivo della città di Trieste: «Negli ultimi anni era amareggiato dal livello della classe dirigente e in particolare della classe politica» . La disillusione di Volli era tanto più forte, se si con-sidera che aveva sempre coltivato i più alti valori della Repubblica: «Era stato per anni esponente del Partito repubblicano, ed era un grande amico di Ugo La Malfa» .L’appassionato impegno politico è stato ricordato anche dal figlio di Enzio, Paolo Volli, che assieme al nipote Giacomo è intervenuto al termine del discorso

    di Slocovich . Volli, com-mosso, ha ringraziato il Club per il ricordo, conclu-dendo così: «Ricordo un comizio di mio padre in un paese della Bassa friu-lana . Ricordo la piazza, con al centro un carro a fare da palco . Sul carro era appeso uno striscione del Partito repubblicano . Ricordo mio padre che iniziava il suo discorso dicendo: “Cari amici” . Oggi questo io dico a voi» .

    Fondazioni Casali,pilastri della beneficenza triestina Francesco Slocovich ha poi proseguito con la sua relazione, dedicata a due pilastri triestini della bene-ficenza, attivi in ambito sociale, scientifico e cultu-rale da decenni: la Fondazione “Alberto e Kathleen Casali” e la Fondazione “Kathleen Foreman Casali”, di cui è rispettivamente presidente e vicepresidente .Slocovich è partito dalla prima: «Sarà capitato a tutti di passare nella vecchia piazza di Scorcola, oggi piazza Casali . Sotto alla targa dedicata ai coniugi c’è scritto “benefattori”» . Il presidente della Fondazione ha spiegato il perché di quel termine: «Mezzo secolo fa Alberto Casali, presidente della Stock e dell’asso-ciazione industriali, decise di dar vita a una fonda-zione che si occupasse prevalentemente dei poveri e delle fasce deboli della società» .Lo statuto era previdente, teneva conto fin dal princi-pio dei cambiamenti sociali: «Specificava che anche in futuro l’obiettivo della Fondazione sarebbe stato intervenire laddove si sarebbero verificate lacune negli ordinamenti previdenziali . Era il 1967» .Il Cda della Fondazione, formato oggi da Slocovich, Francesco Parisi e Dario Nider, mette a disposi-zione ogni anno un importo al comitato di benefi-cenza . Quest’ultimo è composto per statuto da un rappresentante del vescovo, della Comunità ebraica, degli industriali, del Comune e uno nominato dalla Fondazione “Kathleen Foreman Casali” . «Dal 2000 a oggi abbiamo raddoppiato l’entità dei fondi - ha detto Slocovich - . Siamo passati da 210mila euro ai 500mila del 2011 . Il picco è stato nel 2007, prima della crisi» . Dal ‘67 a oggi la Fondazione ha distri-buito in valore reale circa 8 milioni 970mila euro . Fondi impiegati prevalentemente nel pagamento delle bollette, degli affitti condominiali, degli abbonamenti

    bus, delle spese farmaceutiche di chi non se le può permettere . A questa miriade di piccole donazioni si affiancano gli interventi principali, come gli arredi per un centro disabili, un servo scala per disabili, automezzi di trasporto per anziani, cucine domotiche e così via . Sovvenzioni ben più onerose . Nel 2016 sono state accolte 1814 domande ed erogati 370mila euro . «Negli ultimi due anni le richieste sono calate - ha commentato Slocovich - . Il sostegno al reddito stabi-lito dalla Regione è intervenuto in maniera massiccia nella fascia di persone che prima si rivolgevano a noi» .Il relatore ha poi descritto l’attività dell’altra Fondazione, intitolata a “Kathleen Foreman Casali” . Questa è l’eredità lasciata alla città da Kathleen “Kitty” Casali, scomparsa nel 2000: «Tutto il suo patrimonio, mobiliare e immobiliare, è stato desti-nato a una fondazione che ne impiegasse i proventi in scienza, ricerca e cultura» . Quella realtà, ha ricordato Slocovich, è entrata in funzione a partire dal 2001, e da allora ha erogato 3 milioni e 960mila euro in dona-zioni . I membri del Cda sono quasi tutti rotariani: al momento Gianni Sadar è presidente, Slocovich vice-presidente, e nel consiglio siedono Daniele Cogoi, Fabio Nider, Francesco Parisi, Piero Vidali, Dario Nider . Finora la Fondazione ha effettuato 516 inter-venti: 381 a favore della cultura (più numerosi perché meno costosi), 59 a favore della scienza e 73 per la ricerca . Alla cultura sono andati nel complesso un milione e 175mila euro, alla scienza oltre un milione e alla ricerca 800mila euro . Il primo investimento fu il planetario dell’Immaginario scientifico, prestigioso esordio di un’attività benefica che prosegue ancor oggi e che nel 2016 ha festeggiato i primi tre lustri di attività .

    Domande e risposteTiziana Sandrinelli: Abbiamo parlato di “Kitty” Casali ma anche di Enzio Volli. Sono stati entrambi figure che, stimolando il dibattito,

    hanno aiutato a far crescere la comunità di Trieste. Come “Kitty” Casali, anche l’avvocato Volli ha fatto molta beneficenza. È un aspetto poco conosciuto di lui: ha dato veramente molto. Era una di quelle rare persone che coniugano la capacità di intuire la realtà con un grande cuore.

    daniela Subani: Voglio ricordare che il mio esor-dio nella carriera di legale si deve anche a Enzio Volli. Ottenni infatti la borsa di studio intitolata a suo padre, il grande avvocato Ugo Volli. Grazie a quella borsa di studio io, che non venivo da una famiglia abbiente, potei dare la mia quota per costituire l’associazione professionale degli avvocati di Trieste.

    Piero Paolo baTTaglini: Attività come quella della Fondazione “Kathleen Foreman Casali” sono vitali per la ricerca in Italia. Il governo italiano investe in ricerca di base ogni anno l’e-quivalente dello stipendio di un calciatore. Una cifra ridicola. Ciò significa che un’idea nuova, se non ha fiumi di pubblicazioni e referenze alle spalle, non ha la possibilità di trovare un soste-gno sul fronte pubblico. Se invece si convince una Fondazione della validità del proprio pro-getto si riesce a ottenere un aiuto. La Fondazione Casali ha aiutato me e altri colleghi, e svolge un ruolo fondamentale in quell’aspetto cruciale della ricerca che è la ricerca di base. Grazie.

    giuSePPe reina: Voglio ricordare che grazie al contributo della Fondazione “Kathleen Foreman Casali” portiamo avanti l’attività della comunità svizzera di Trieste. Una realtà che nelle vicende della nostra città non ha avuto un ruolo secon-dario, penso ai coniugi Rittmeyer, ad Antonio Caccia. Il grande mosaico della storia di Trieste è composto da molte tessere, è una di queste è senza dubbio la comunità elvetica.

    Enzio Volli e, nella pagina a fianco, Alberto e Kathleen Casali

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    di giorni e si è calato molto nello spirito della città, com’è giusto che sia - ha raccontato De Paolo - . È così che persegue il suo “marketing territoriale” . L’idea del “se pol” contrapposto al “no se pol” l’ha fulminato e vuole che inizi a propagarsi . Anche nel negozio ci sarà un percorso dedicato al tema» .Questi i concetti espressi da Farinetti e riportati da De Paolo alla conviviale: «Si può fare Eataly a Trieste, dedicarlo ai venti ed essere accolti da una bora pro-piziatoria, si possono creare 85 posti di lavoro, si può portare in città la meraviglia dell’agroalimentare ita-liano, si può ridare vita a un immobile straordinario . A Trieste si può, anzi “se pol”» .Il relatore ha poi ripercorso il lungo cammino che ha portato all’inaugurazione di Eataly, confermando che l’esordio è stato particolarmente felice: «Il primo giorno c’è stata la fila per entrare a dispetto del tempo avverso, ma per l’apertura del negozio pote-vamo aspettarcelo . Nei giorni successivi, invece, era meno scontato, eppure la risposta della città è stata straordinaria» .

    Uno spazio restituito alla cittàÈ stato il coronamento di un lungo percorso: «Tutto è iniziato con un’idea, portare Eataly al Magazzino vini, nata tre anni e mezzo fa - ha dichiarato De Paolo -. I lavori sono stati impegnativi ma alla fine ci siamo arrivati e abbiamo avuto un’accoglienza fantastica» . Tra i punti di forza del progetto ci sono in primis i prodotti sugli scaffali e sui banconi: «Ci sono cose che a Trieste non si trovano . Penso a eccellenze come la nostra panetteria con il forno a legna, il pane con il lievito madre certificato a quindici anni, le farine macinate a pietra biologiche . Cose che in pochi giorni la gente ha mostrato di apprezzare» . Un altro elemento di attrazione fortissimo è senza dubbio il palazzo in cui Eataly sorge, restituito alla città grazie all’im-pegno della Fondazione CRTrieste: «La vetrata al piano terra dà la sensazione di essere non sul mare, ma dentro al mare - ha commentato il relatore - . C’è chi viene a vederla quasi come fosse un elemento turistico» .Su quest’ultima parola verte quello che per De Paolo deve essere uno dei fattori di traino più forti del nego-zio: «È qualcosa su cui anche gli albergatori devono ragionare . In un ipotetico circuito turistico cittadino Eataly rappresenta una possibile meta . Quando un albergo propone un pacchetto visita da due, tre giorni, ecco che può inserirci il Magazzino vini» .Secondo il relatore «Eataly a Milano è un luogo bello e importante, ma a Trieste forse è qualcosa di più: nella nostra città ci sono tanti luoghi belli da andare

    a vedere ma è oggettivamente più piccola delle grandi mete turistiche italiane». La qualità dell’edificio che ospita il negozio, ha argomentato De Paolo, è rile-vante anche in vista di questo obiettivo: «Eataly si sviluppa su più piani, all’interno del Magazzino che la Fondazione ha recuperato in modo eccezionale . Di fatto ci sono due strutture: quella esterna risponde alla parte storica, vincolata dalla Soprintendenza, mentre all’interno si sviluppa l’edificio nuovo, completamente in vetro su quattro piani» .

    Un po’ bazar, un po’ HarrodsAl piano “meno due” c’è un parcheggio da cinquanta posti, «e poi tre piani tutti destinati all’offerta, sia di mercato che di ristorazione»: «Al piano “meno uno” c’è un’enoteca con 1200 etichette, la più grande della regione, e un’aula didattica con trenta posti» . L’area didattica ospiterà spettacoli di cucina e corsi: «Mattina e pomeriggio faremo corsi gratuiti di edu-cazione alimentare per scuole e pensionati . La sera abbiamo invece in calendario 250 corsi di cucina diversi . Verranno chef stellati, corsi sui dolci del momento, da Natale a Pasqua, sulla pasta fresca e così via» . Al piano terra, poi, «ci sono la panetteria, la zona aperitivo, la caffetteria della illy che a Trieste non poteva mancare, la parte di mercato e la pesche-ria». Il primo piano, infine: «È dedicato al mercato, con tutte le eccellenza italiane . Il 60% sono prodotti nazionali, il 40% regionali, per i quali ci siamo avvalsi anche della collaborazione con Slow Food . Siamo andati alla ricerca di piccole realtà con prodotti molto validi, incluse alcune che non sono presidi SF» . Prima dell’apertura, ha precisato il relatore, «ci siamo con-centrati molto su questo aspetto»: «Sugli scaffali c’è una scelta ampia di prodotti di piccolissime aziende del Friuli Venezia Giulia» .Oltre al mercato, al primo piano ci sono poi le parti dedicate alla ristorazione, inclusa l’“Osteria del vento” con la celebre pizza di Eataly .La filosofia alla base del negozio, ha spiegato De Paolo, è frutto della mente di Oscar Farinetti: «Ha voluto mettere assieme l’idea del bazar di Istanbul con l’interno dei grandi magazzini Harrods di Londra . Non ha fatto altro che unire questi due elementi per promuovere l’agroalimentare italiano» .Il responsabile del progetto ha concluso la sua rela-zione sottolineando come all’interno del Magazzino vini ci sia anche uno spazio dedicato all’arte: «Al piano terra, sulla piazza di Eataly, ci sono quattro opere dedicate ai venti: bora, maestrale, libeccio e grecale . Le ha realizzate Sergio Staino appositamente per l’Eataly di Trieste, quando ha saputo che Farinetti

    Antonio De Paolo. Sua l’idea di proporre ad Oscar Farinetti l’apertura di una sede di Eataly anche a Trieste.

    Riunione conviviale n. 3375Hotel Greif Maria Theresia

    19 gennaio 2017

    PresiedeCristina Pedicchio

    Ospiti del clubGiovanni Tomasin

    Ospiti dei Socidi Bauci: Lucia Bittesindi Billè: Michele Maierdi G. Cappel: Carlo Sampietro

    Soci presso altri clubAlberti (Rc Madonna di Campiglio, 13 gennaio)

    La conviviale del 19 gennaio all’hotel Greif ha visto l’attenzione dei soci concentrarsi sulla recentissima apertura di Eataly Trieste, che ha dato nuova vita al Magazzino vini sulle Rive. A parlarne il responsabile del progetto Antonio De Paolo, invitato dalla presidente Cristina Pedicchio. Prima della relazione è stata presentata una nuova socia, la professoressa dell’ateneo triestino Sabrina Pricl.

    «Se pol» sarà il nuovo motto di Eataly Trieste, con tanto di per-corso dedicato all’interno del negozio . È l’idea avuta da Oscar Farinetti nelle giornate trascorse alla scoperta della città all’inizio dell’anno . L’ha annunciato giovedì 19 gennaio, durante la conviviale del Rotary Club di Trieste, il responsabile del progetto di Eataly Antonio De Paolo. Il relatore ha specificato che il marketing dell’ex Magazzino vini, ora in gestione al gigante dell’agroalimentare italiano, sarà ispirato a questo principio: «Oscar è qui da un po’

    L’Eataly triestino decollasospinto da un vento propizio

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    voleva dedicare il negozio ai venti . Sono quattro opere molto grandi, molto belle da vedere, che da sole val-gono una visita». L’auspicio finale di De Paolo è che «questa apertura possa essere un elemento importante della continua crescita di Trieste dal punto di vista turistico . Perché anche a Trieste “se pol”» .

    Domande e risposteTiziana Sandrinelli: La mia non è una domanda ma una precisazione. Antonio De Paolo non l’ha detto perché per lui è difficile dirlo, ma in realtà è stato lui ad aver avuto l’idea di Eataly a Trieste, andando letteralmente a bussare alla porta di Farinetti. Vorrei sottolineare il ruolo avuto dalla Fandazione CRTrieste. Quando la Fondazione ha avviato il recupero del Magazzino vini, l’ha fatto senza porsi domande su chi l’avrebbe acquistato. Ha voluto fare un grande regalo alla città, all’in-terno di un ragionamento molto ampio sul rilancio di Trieste. All’ex presidente Renzo Piccini dob-biamo dire grazie per tutto questo.

    Maurizio de Vanna: Il Buffet da Pepi è una chicca turistica di Trieste. È possibile pensare di man-giare “Da Pepi” anche dentro a Eataly?Grazie della domanda, è un aspetto che avevo tra-lasciato. Eataly invita molto spesso le eccellenze del territorio. Sicuramente anche il Buffet sarà invitato a

    La conviviale del 26 gennaio ha visto al centro la rela-zione di Marzio Babille. Medico triestino, Babille lavora da decenni in aree di crisi e guerra. Oggi è advisor del ministero degli Esteri in Iraq. Il suo compito «è proporre al governo interventi strategici e metodologie di lavoro per la stabilizzazione delle aree liberate dall’Isis».

    Una premessaPrima di iniziare Marzio Babille ha voluto fare dei ringraziamenti: al dottor Gianluigi Scannapieco, perché «senza il sostegno suo e del Burlo Garofolo molti bambini non avrebbero avuto l’accesso alle cure, un diritto primario tra quelli sanciti dalla convenzione inter-nazionale per i diritti dell’infanzia» . Ma anche alla «Fondazione presieduta da Daniela Luchetta, che ha permesso in poco tempo di curare i bambini sopravvissuti al genocidio yazida del 2014 a Udine, Trieste e in altri piccoli ospedali di eccellenza» .

    La scelta del futuroIl consulente del ministero degli Esteri in Iraq ha poi aperto

    Riunione conviviale n. 3376

    PresiedeCristina Pedicchio

    Ospiti del clubMarzio Babille, Gianluigi Scannapieco, Giancarlo Crupi, Daniela Luchetta,Gianfranco Depinguente, Giovanni Tomasin

    Ospiti dei Socidi Pasino: le figlie Matilde,Olimpia e Ceciliadi Pricl: la figlia Alice

    Soci presso altri clubGei (Comm. distrettuale Rotaract-Interact a Vicenza, 21 gennaio)Armenio (Rc Trieste Nord, 24 gennaio)

    Hotel Greif Maria Theresia26 gennaio 2017

    Babille: bambini in un mondodi persecuzioni e genocidio

    Marzio Babille, medico triestino, da anni impegnato a favore dei più deboli sui fronti caldi del Medioriente

    portare la propria cucina dentro a Eataly, così come loro anche altre realtà importanti della nostra zona.

    gianfranco guarnieri: Dieta e nutrizione sono delle scienze esatte, hanno della basi. Feuerbach diceva che siamo quello che mangiamo.Però ai giorni nostri, grazie anche al diffondersi di vere e proprie “sette alimentari”, rischiamo di essere quello che non mangiamo.Serve quindi una migliore educazione alimentare, anche in quest’ottica imprese di questo genere sono meritorie. Aristotele diceva che è meglio mangiare qualcosa di un po’ meno sano ma gradevole, piut-tosto che fare il contrario.

    lucio delcaro: L’iter di realizzazione del Magazzino vini ha richiesto un impegno enorme e nelle tempistiche non si è discostato dalle grandi imprese avviate in questo campo dalla Fondazione CRTrieste.Per un lungo periodo siamo andati avanti con i lavori senza sapere cosa sarebbe stato dell’edificio a cantiere concluso.Un percorso non facile, essere arrivati a questo risultato ci riempie di gioia.Tanti si soffermano sul costo dell’opera. Ma quando si realizzano cose simili, le spese passano in secondo piano. Oggi tutti ammirano la bellezza di piazza Unità, ma nessuno ricorda più quanto è costata.

    L’esterno dell’ex Magazzino vini, oggi riconvertito a prestigiosa sede di Eataly grazie all’intervento della Fondazione CRTrieste

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    la relazione, citando un passo dal libro “The New Odyssey” di Patrick Kingsley: secondo il giornalista del Guardian, la scelta che abbiamo davanti non è tra la crisi migratoria odierna e un «isolamento illumi-nato» . È invece fra «la presente crisi di valori e un sistema gestito di grandi migrazioni . Si possono avere l’uno o l’altro, e non c’è via di mezzo» . Le paure degli ultranazionalisti europei preoccupati per «infezioni e infiltrazioni», argomenta Kingsley, sono inezie se paragonate alle paure del migrante: dissoluzione e sparizione .Babille ha mostrato poi la foto del corpo di Aylan, il bambino curdo morto tra le acque dell’Egeo men-tre tentava di raggiungere l’Europa . Nel Kurdistan iracheno, ha raccontato, quell’immagine è presente sui muri di ogni città: «Accompagnata spesso dalla scritta “non dimentichiamo” . Dico questo per chiarire che c’è un nesso tra quel che è successo nei paesi del Medio Oriente e quel che può succedere da noi» .

    La bomba demograficaIl relatore ha poi preso in esame i fattori che por-teranno ai flussi migratori nei prossimi decenni: «I dati delle Nazioni unite parlano dell’Asia e dell’A-frica come grandi bacini di crescita demografica nel prossimo futuro» . Al boom di nascite si aggiungono altri elementi: la guerra dell’acqua che interessa molti paesi mediorientali; la disoccupazione giovanile, per far fronte alla quale «la Banca mondiale stima come

    necessaria una cifra fra gli 80 e i 100 milioni di posti di lavoro» . Tutti segnali del fatto che le migrazioni non sono un fenomeno passeggero, e non dipendono dalle sole guerre: «Al di là dei conflitti e delle emer-genze – ha proseguito Babille -, dobbiamo capire che c’è un problema fondamentale che riguarda la gio-ventù mediorientale priva di opportunità . Il gap fra i fondi necessari alla stabilizzazione di queste aree e quelli disponibili si allarga di anno in anno» . Il distacco aggrava una situazione gravissima: «In que-sto momento in Iraq abbiamo un milione e 900mila sfollati nei campi curdi, a cui si aggiungono i rifugiati siriani che non sono solo in Iraq (la Turchia ne ha 3 milioni) . In tutto ci sono 11 milioni e 500mila fuggi-tivi fra rifugiati e sfollati» . Un panorama ingestibile con i fondi a disposizione .

    Il conflitto irachenoAl centro di questo panorama impossibile infuriano i conflitti in Siria e Iraq. Guerre in cui la componente etnica e settaria ha un ruolo molto importante . «La maggioranza della popolazione nel sud dell’Iraq è sciita – ha spiegato Babille -, considerata apostata dai sunniti fondamentalisti . Ciononostante il paese è stato governato per decenni da Saddam, membro della minoranza sunnita» . La caduta del regime ha portato gli sciiti al governo a Baghdad, aprendo però uno spazio politico presso i sunniti in cui l’Isis ha potuto inserirsi . Il contrario accadeva in Siria, dove una mag-gioranza sunnita attorno al 70% era governata da tempo dalla famiglia Assad, appartenente alla setta sciita degli alawiti . Un ulteriore bacino, quindi, per l’espansione islamista . Nel mezzo di questo complesso

    mosaico etnico si inseriscono i curdi: «Il Kurdistan è diviso tra quattro paesi, Iraq, Siria, Iran e Turchia – ha spiegato Babille – . L’indipendenza di questa regione è entrata di prepotenza nel calendario della politica internazionale negli ultimi anni», quando i curdi hanno conquistato un ruolo di primo piano nella lotta all’Isis . «A complicare il quadro c’è il fatto che ai confini del Kurdistan iracheno ci sono delle zone a popolazione mista arabo-curda, che si sovrappongono alle aree di maggiore capacità estrattiva del petrolio» .

    Il genocidio yazidaNei pressi di queste aree di confine viveva la mino-ranza degli yazidi, vittime di un genocidio per mano di Isis: «Gli yazidi sono circa 500mila, disseminati ora in vari paesi – ha detto il relatore - . Quando sono arrivato nella loro capitale Sinjar, dopo la liberazione, ho trovato una distesa di rovine» . L’Isis, ha raccontato, «vi ha compiuto atti di estrema violenza: hanno ucciso 7-8mila persone nell’arco di una settimana, compresi i bambini . A distanza di un anno dalla liberazione della città, le stime per la ricostruzione parlano di 10 miliardi dollari» . Per tanti yazidi, ormai, la casa sono i campi tendati . Tragedia dentro alla tragedia, è il destino delle donne yazide: «Circa 6mila sono state rapite, schiavizzate, usate come oggetto ses-suale dai militanti . Circa 2650 sono state liberate

    dopo esperienze impossibili» . Nel maggio del 2016 il ministro della Difesa Pinotti visitò uno dei 18 campi degli Yazidi nel Kurdistan iracheno . Lì incontrò un gruppo di giovani donne sopravvissute al genocidio e alla prigionia: «Promise che le avrebbe aiutate . Il 24 gennaio a Roma abbiamo riannodato il discorso . Grazie a un programma di fondi italiani, le cinque ragazze incontrate da Pinotti in Iraq sono state for-mate in fotogiornalismo e hanno esibito al museo Maxxi un’esposizione di altissima qualità».

    L’offensiva su MosulÈ dal 17 ottobre scorso che l’Isis, responsabile di questi massacri, deve fronteggiare una prolungata offensiva da parte delle forze federali irachene e dei peshmerga curdi . L’obiettivo è Mosul, la seconda città del paese e capitale irachena del sedicente Stato islamico . Il consulente della Farnesina ha sintetiz-zato così la situazione: «Fra federali e curdi ci sono circa 30mila uomini in campo, affiancati dalle forze della coalizione internazionale . A nord e a est i pesh-merga stanno liberando le aree con presenza curda . Le forze federali irachene, soprattutto la ben equipag-giata Golden Brigade, sono affiancate a sud e a ovest dalle milizie sciite» . Lo scopo è spingere l’Isis fuori dal paese: «Chi ha progettato l’offensiva ha deciso di lasciare la porta aperta al nemico che fugge, lasciando

    Le foto di queste pagine sono state realizzateper un servizio pubblicato dal Daily Mail nel 2014nei campi di Derike (Siria) e Sirnak (Turchia) nel 2014(© Getty Images)

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    libero un corridoio attraverso il quale le forze islami-ste potranno rifugiarsi in Siria» . Un riposizionamento pericoloso. Oltre il confine che non c’è più, infatti, «sorge la città siriana di Raqqa, che per lo Stato isla-mico è importante tanto quanto Mosul» .

    L’emergenza umanitariaBabille ha illustrato la tragedia umanitaria ricorrendo a immagini scattate in diretta durante le operazioni di soccorso alle popolazioni appena liberate di Mosul . «Migliaia di persone restano a casa senza servizi di alcun tipo . Altri fuggono verso i campi di accoglienza . Molti di loro vengono fermati, soprattutto giovani adulti, per evitare infiltrazioni terroristiche. In questo conflitto, come in Siria, gli esplosivi sono le armi più presenti: mine, autobombe, attentatori suicidi . Sono fattori di cui tenere conto . Ma tutta la crisi in Siria e Iraq si gioca sul rispetto dei diritti umani . Se i gio-vani che fuggono da Mosul verranno fucilati perché sospettati di far parte di Isis, il Medioriente è perduto . E anche l’Occidente . Se invece i criteri di protezione saranno applicati, con la necessaria organizzazione, si arriverà a una soluzione positiva» .I BAMBINI In questo scenario i bambini sono le prime vittime: «La situazione era difficile da tempo. In Iraq nel 2011 moriva un bambino ogni venti minuti . Servizi sanitari e ostetrici erano carenti molto prima che arrivasse l’Isis . Oggi circa mezzo milione di bambini sono cronicamente malnutriti e hanno ritardi importanti di crescita e di apprendimento» . Tre bambini su dieci, per vari motivi, non possono andare a scuola . Due su dieci a scuola non ci sono mai andati e devono lavorare . La guerra aggrava la crisi: «Abbiamo 750 bambini sotto i 14 anni, che per un periodo sono stati tutti nelle mani dell’Isis: hanno passato mesi in campi di addestramento dei terroristi, alcuni erano destinati a diventare attentatori suicidi . I bambini non musulmani sono stati sottoposti a una disciplina religiosa durissima» . Quelli che sono stati liberati, ha proseguito Babille, «ora sono nei campi e sono vittima di traumi psicoaffettivi che nessuno riesce a risolvere»: «Ci sono bambini che non parlano più, faticano a socializzare . Un’infanzia catturata, torturata e sottoposta al lavaggio del cervello, scenari che finora nessuno ha affrontato. Mi sono rivolto a istituzioni francesi e italiane, ma con gentilezza hanno declinato tutti . Non abbiamo psicanalisti che parlano curdo . Problemi nuovi richiedono soluzioni nuove» . Babille ha concluso il suo intervento spiegando che un ospedale del Kurdistan iracheno ha bisogno di 10 incubatrici nuove, chiedendo al Rotary di valutare un intervento al riguardo .

    Domande e rispostediego braVar: Dal punto di vista della tecnologia cosa può fare una città come la nostra? Capisco bene le incubatrici, ma mi chiedo quali siano gli altri spazi di intervento .Il sistema sanitario iracheno funziona, quello curdo ancora meglio. Ma c’è un problema tecnologico molto importante. Non c’è standardizzazione, le

    importazioni vengono da Baghdad e Erbil non ha voce in capitolo. Trovare una risonanza magnetica è difficile, la pressione su quelle presenti è enorme. Il secondo punto è l’acquisizione dei fondi: il Kurdistan non riceve dal governo centrale il 17% del Pil che dovrebbe avere. La tecnologia sanitaria lì ha un altissimo tasso di consumo, che richiede interventi di grande rilievo.

    gianuluigi ScannaPieco: Può approfondire la que-stione dei corridoi umanitari?Per definizione i corridoi umanitari devono dare a personale civile la possibilità di raggiungere l’interno di un conflitto in evoluzione. Il corridoio umanitario prevede quindi una molteplicità di partner e un accordo preventivo per la sicurezza dell’intervento. Ad esempio nel 2015 a Mosul siamo

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    riusciti a fare in modo che il personale tecnico della città, allora interamente in mano a Isis, compren-desse la necessità di vaccinare gli abitanti. In quel caso abbiamo portato i vaccini fino alla linea di controllo, prima della terra di nessuno. Loro sono venuti a prenderli, hanno vaccinato i bambini e poi hanno riportato i camion, con tanto di vaccini non utilizzati. Sono cose che si possono fare, ma

    il rischio è che non li faccia più nessuno perché si preferisce discutere. Basti guardare quel che è suc-cesso ad Aleppo, non una bella figura per le Nazioni unite e le istituzioni umanitarie. Lì la situazione è stata gestita da potenze come Russia, Turchia e il governo di Damasco. Le istituzioni internazionali hanno sofferto un vuoto di pianificazione, processi troppo lunghi.

    daniela lucheTTa: Mi ha emozionato moltissimo vedere le foto dei bambini che abbiamo ospitato tramite la Fondazione. Alcuni di loro sono quasi irriconoscibili rispetto a quando sono partiti dall’Iraq.Hanno imparato l’italiano, ormai fanno spesso da mediatori culturali con noi. Solo attraverso le loro storie realizziamo sul serio ciò che succede laggiù.

    criSTina Pedicchio: Possiamo fare qualcosa come Rotary. Abbiamo posto l’aiuto ai bambini yazidi come nostro primo intervento. Per quanto pos-siamo dare, penso che dovremmo continuare con Marzio, con la Fondazione Luchetta, con i nostri volontari. Penso che dovremmo fare uno sforzo ancora: ricordiamo le incubatrici e pensiamo a dare un piccolo contributo.

    Un’immagine di speranza, in contrapposizionea quelle drammatiche di queste pagine, a chiusura del servizio.Si tratta di Adhal, bambino yazida arrivato a Trieste e assistito dalla Fondazione Luchetta, Ota, D’Angelo, Hrovatinqui sereno e sorridente con il costume di carnevale di Spyderman

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    Nella conviviale del 2 febbraio la protagonista è stata la Scienza, quella con la “s” maiuscola, rappresentata per l’occasione dal rettore della Sissa Stefano Ruffo. Un uomo che, nelle parole della presidente Cristina Pedicchio, «ha un modo inclusivo di gestire la scuola, basato sulla con-divisione internazionale e sulla valorizzazione delle diversità. Questa capacità di puntare sul merito delle persone al di là di razza e genere è nel Dna della Sissa, in questo senso Ruffo porta avanti la tradizione di Stefano Fantoni». Alla serata ha partecipato anche il ricercatore della Sissa Gianluigi Rozza.

    In apertura di relazione la presidente ha ricordato a Ruffo un open day della Sissa durante il quale il rettore intratteneva un gruppo di bambini molto piccoli: «Il confronto è importante per la ricerca - ha commentato il relatore -, con tutti, senza differenza di età . Se un bambino di tre anni mi fa un’osservazione stimolante, mi fa riflet-tere». Inoltre, ha aggiunto, sono tante le storie di fisici senza titoli

    Riunione conviviale n. 3377Hotel Greif Maria Theresia

    2 febbraio 2017

    Ruffo: eccellenza e talentiL’esperienza della Sissa

    Stefano Ruffo, ordinario di Fisica della materia, è rettore della Sissa, Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati

    accademici che hanno avuto ruoli importanti: «Ho spartito il mio studio con il fisico Stephen Wolfram e lui non ha alcun titolo, né laurea né dottorato . Il merito emerge indipendentemente dal pezzo di carta . È bene quindi rispettare i punti di vista di persone che hanno una formazione diversa dalla nostra» .

    «L’ambiente della Sissa è il mondo»Ruffo ha poi aperto la sua relazione, intitolata “Sissa, scienza e talento” . Il rettore ha proiettato sullo schermo la fotografia di una grande scalinata su cui assiepano tutti i ricercatori e gli studenti dell’isti-tuto: «È un’immagine che rende il nostro spirito - ha dichiarato il rettore - . La Sissa è nata con la legge suc-cessiva al terremoto del Friuli, la stessa che istituiva l’università di Udine . Lo spirito perseguito da Paolo Budinich era un’attività di tipo internazionale, che portasse a Trieste argomenti nuovi che svecchiassero la regione» . Negli anni la Scuola è poi «diventata qual-cosa di diverso, con una forte attenzione alla realtà nazionale, ben incardinata nel sistema educativo e universitario italiano» . Lo «spirito internazionale» però rimane, «tanto che è l’unica scuola italiana ad avere la parola “internazionale” nel suo nome» . In questo senso, ha aggiunto il rettore, «l’ambiente della Sissa è il mondo»: «La mattina quando vado a lavorare trovo le più diverse cittadinanze . Un terzo dei nostri studenti è straniero, in tutto una quarantina di nazio-nalità, i nostri docenti hanno avuto tutti un percorso all’estero . Abbiamo tante collaborazioni alla pari con istituti di ricerca internazionali» .

    Il “tempo perso” della ricercaIl rettore ha poi spiegato le attività che si svolgono alla scuola: «La ricerca alla Sissa è prevalentemente di tipo teorico . Qualcuno potrebbe dire che non è innovativa, mentre è proprio dalla coniugazione della ricerca spe-rimentale con quella teorica che nasce l’innovazione» . Fondamentale, secondo Ruffo, il concetto del «perder tempo»: «C’è chi dice “ah, i ricercatori teorici son quelli che perdono tempo” . Ecco, una delle cose che m’è mancata di più da quando sono rettore è proprio il perder tempo . Nella ricerca il tempo “perso”, passato a non far nulla, ti consente di avere all’improvviso idee straordinarie . Per me è ancora un grosso mistero della ricerca teorica . Ecco perché bisogna permettere ai ricercatori di continuare a farlo, pagare persone perché perdano il loro tempo» . Ruffo ha poi esposto alcuni esempi di ricerche in corso alla Sissa, dagli studi sui fluidi al Dna, con progetti per un totale di sei milioni di euro .

    Tempo determinatoCosa succede ai ricercatori quando concludono il loro percorso in Sissa? «Dopo che uno è stato preparato per essere ricercatore autonomo è difficile che lo diventi subito - ha spiegato Ruffo - . Per cui da noi, come nel resto del mondo, ci sono dei contratti a tempo deter-minato che consentono a uno di continuare a lavorare mentre cerca una collocazione . Noi però incoraggiamo i dottorandi a partire, a non rimanere alla Sissa . Uno dei due ricercatori iraniani della Sissa bloccati dal decreto di Trump, ad esempio, era diretto al MIT» . Due terzi di questi ricercatori a tempo determinato sono stranieri che poi ripartono in cerca di colloca-zione: «Per le realtà italiane è difficile attrarli. Nel nostro ambito si parla del problema dei “due corpi”, ovvero del fatto che spesso i ricercatori vivono in coppia, e portarli a lavorare da qualche parte signi-fica fare un’offerta a entrambi. All’estero è la norma, mentre da noi è difficile perché abbiamo abituato gli italiani a comportamenti illeciti . Bisognerebbe invece riconoscere il valore delle persone e della loro vita privata» .

    I numeriA fine 2016 i numeri della Scuola erano i seguenti: i professori erano 62, i ricercatori 20, i ricercatori a tempo determinato 120 mentre i dottorandi 285 . Il personale tecnico amministrativo raggiungeva invece le 110 unità .

    Trasferimento tecnologico«Il trasferimento tecnologico è un campo che vorrei far crescere alla Sissa», ha spiegato Ruffo: «Nella ricerca avanzata ora c’è una nuova potenzialità: molto più che un tempo, le idee diventano subito prodotti tecnologici . In Israele ho visto con i miei occhi come funziona il trasferimento tecnologico, ci sono gio-vani ricercatori che si sentono anche imprenditori e vengono incoraggiati, dotati di strumenti . Magari non raggiungeremo il livello degli israeliani, ma uno spazio lo dovremmo creare, anche per la ricerca più avanzata» . Un buon esempio è il fondatore di Google, ha aggiunto Ruffo: «È il figlio di un matematico che conosco, e se leggo l’algoritmo ci vedo moltissima matematica» .

    Data ScienceRuffo ha poi raccontato del nuovo gruppo di lavoro in Data Science che la Sissa sta allestendo in questi mesi . Un “pool di geni” che dovrà approfondire il

    PresiedeCristina Pedicchio

    Ospiti del clubStefano Ruffo, Gianluigi Rozza, Giovanni Tomasin

    Ospiti dei Socidi Ferrante: Stefano e Daniela Fantonidi Manganotti: il figlio Paolodi Pesel: Sandy Zuricdi Solimano: Alessandra Janouscek

    Soci presso altri clubGaia Furlan (Rc Verona Nord, 27 gennaio)

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    La conviviale del 9 febbraio si è svolta in uno scenario d’eccezione, il ristorante di Eataly al Magazzino vini, e si è incentrata completamente sul tema dell’alimen-tazione. A parlarne è stato l’esperto di agroalimentare Silvio Greco, collaboratore strettissimo di Oscar Farinetti e presi-dente del consiglio scientifico di Slow Food.

    Il titolo della relazione di Silvio Greco è “Ma sai cosa mangi?” . «Attorno al 1960 abbiamo iniziato anche in Europa a sviluppare la grande produzione industriale del cibo - ha esordito l’esperto - . Forse proprio allora si verificò un cortocircuito culturale».

    Le regole del mercatoFino a quel momento, infatti, «il cibo aveva un valore di sacralità, quando il pane cadeva a terra i miei genitori lo baciavano e lo mettevano sul tavolo» . Ma con l’arrivo «dell’industria, dei con-cimi chimici, delle nuove attrezzatura, il cibo perse quella valenza e iniziò a diventare una merce» . E la merce segue le regole del mercato: «Disponibilità continua, in grandi quantità e a basso

    Riunione conviviale n. 3378Eataly

    9 febbraio 2017

    Silvio Greco: “Sai come mangi?”Globalizzazione, cibo e business

    Silvio Greco, presidente del consiglio scientifico di Slow Food, ha intrattenuto i soci con una conferenza su cibo e salute, in una location appropriata: la sede triestina di Eataly, da poco inaugurata

    funzionamento delle reti neurali . Ha spiegato il ret-tore: «Il progetto parte con reclutamenti mirati . Uno l’abbiamo fatto in dicembre, uno scienziato inglese che si occupa di inferenza bayesiana, una tecnica matema-tica che permette di indagare problemi che includono fare predizioni e così via . Ne seguiranno altri due a breve» . Il pull avrà a disposizione immense quantità di dati su cui lavorare, provenienti dagli altri rami della Sissa, ad esempio quello delle neuroscienze . «Cosa c’è di nuovo nella Data Science? Potrebbe chiedersi qualcuno - ha detto Ruffo - . In fondo i computer esi-stono dalla Seconda guerra mondiale, i laptop dagli anni ‘80 . La novità è che nel 2005 sono arrivate sul mercato delle schede grafiche con una potenza di cal-colo molto superiore al passato . Un po’ per caso, ci si è accorti che, grazie a questa rinnovata potenza di calcolo, iniziavano a funzionare degli algoritmi che prima si erano rivelati inefficienti. Ad esempio quelli per il riconoscimento delle immagini» . Gli effetti di questa innovazione tecnologica sono sotto gli occhi di tutti: «Di recente un computer ha battuto il campione del mondo di Go . Non era mai successo prima, per-ché il Go richiede un alto livello di strategia . Questi nuovi algoritmi sono in grado di apprendere e modi-ficarsi in base ai dati che hanno a disposizione». Dal punto di vista tecnologico ciò è ormai un fatto, ma sul “come” c’è ancora molto da indagare: «All’esordio delle macchine a vapore Watt capì che serviva uno scappatoio per farle funzionare . Poi arrivò Carnot, scienziato teorico, e si chiese “perché?”: capì che per fare una macchina devo avere almeno due sorgenti di calore e ne trasse un teorema» . Ora viviamo una situazione analoga, ha argomentato il direttore . Nelle grandi centrali di Google e Facebook si lavora con questi algoritmi ma non se ne ha una vera compren-sione teorica: «Noi quindi ci occuperemo soprattutto dell’aspetto scientifico, perché è quello che manca oggigiorno - ha concluso Ruffo - . Vorrei che alla Sissa nascesse il nuovo Carnot» .

    Domande e risposteVincenzo arMenio: Una delle criticità dell’univer-sità italiana sono i ricercatori inattivi. Esiste un numero di docenti che negli ultimi dieci anni non ha prodotto alcun articolo scientifico. Alla Sissa il problema non c’è, ma negli atenei sì. Lei come lo affronterebbe?Alcune cose già si fanno. Dei sette miliardi che arri-vano al sistema universitario nazionale, circa un miliardo e mezzo corrisponde al cosiddetto “fondo premiale”, che serve a finanziare di più dipartimenti e gruppi di ricerca attivi scientificamente. Uno dei motivi per cui la Sissa va avanti è il fatto che il fondo premiale per noi ha un incremento significativo. Ma non sarei esclusivo in questo. Bisogna anche pensare a carriere che valorizzino tutti, anche il ricercatore che desidera dedicarsi soprattutto alla didattica. L’importante è creare un ambiente di lavoro in cui ci siano motivazioni forti. Gli inattivi nascono il più delle volte laddove ci sono persone lasciate sole.

    diego braVar: Come può fare il Rotary ad aiu-tare i piccoli imprenditori di eccellenza? Nella sua presentazione lei ha fatto alcuni esempi, ma come possiamo averne di più? Sono convinto che da qui possano nascerne molti.La prima cosa da fare è pensare a un modello col-laborativo che funzioni. Una cosa che faciliterebbe moltissimo è la vicinanza fisica con chi fa impresa. La creazione di una nuova idea è difficile da organizzare in modo schematico. Bisognerebbe creare le occa-sioni, le abitudini. Dobbiamo inventarci un modello di trasferimento tecnologico e anche le intelligenze del Rotary possono contribuire.

    PierPaolo ferranTe: Quali sono le materie in cui sono maggiori possibilità di sviluppo per le nuove startup?Dipende dalla scala temporale. Einstein ha lavorato per dieci anni alla sua nuova teoria della gravità e ora la usiamo nei Gps. Su una scala di tempo di 50, 60 anni posso aspettarmi aspetti innovativi anche dalla ricerca più astratta e teorica. Su scala più breve sicuramente i campi dell’informatica e della biologia sono quelli al momento più in voga.

    PresiedeCristina Pedicchio

    Ospiti del clubSilvio Greco, Giovanni Tomasin

    Ospiti dei Socidi Cossutti: Antonella Zadini

    Soci presso altri clubArmenio, Cecovini Amigoni, Di Martino e Nicolich (Rc Trieste Nord, 7 febbraio)

    La sede della Sissa a Triestee una veduta della cittàdalle terrazzedell’edificio principale

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    prezzo . Il risultato è che siamo sempre più staccati dal cibo . Una volta i nostri genitori sapevano cosa mangiavano, ora tutto questo l’abbiamo lasciato ad altri . Siamo arrivati addirittura a farci consigliare dalla pubblicità, tanto che il settore del cibo ha visto grandi investimenti creativi in tal senso» .

    La galleria degli orroriMa come si fa a produrre simili quantità di cibo, senza stagionalità? «La produ-zione è improntata al fatto che il pro-dotto finale non deve uccidere chi lo ingerisce . Un pollo ci mette sei mesi a crescere, un tempo inac-cettabile per l’industria . Quindi in enormi capannoni mettiamo pulcini di due giorni trattati con antibiotici . Nel giro di 32/36 giorni creiamo animali di 2.6 chili, che poi finiscono già spiumati al super-mercato . Vengono macellati in quel periodo perché se si aspettasse di più l’osso si staccherebbe dalla carne, non essendosi mai attaccato . Questi animali vivono un mese mangiando di continuo e subendo un trattamento antibiotico a settimana» .Anche sulle uova non andiamo molto bene, ha pro-seguito il relatore: «La gallina livornese fa circa 180 uova all’anno . Per l’industria non va bene, ecco perché si è trovato un ibrido che vive quattro mesi e produce due uova al giorno, una al mattino e una la sera . Alla fine questi animali sono messi talmente male che le

    loro carcasse non possono essere consumate» .Discorso analogo per il latte, che ha portato i produttori su larga scala ad allevare la fri-sona, mucca che produce 57 litri al giorno, mentre la razza

    brada appenninica ne produce nove, solo in presenza del

    vitello . «La galleria degli orrori è infinita - ha proseguito Greco

    - . Siamo sottoposti a una disponibilità continua di cibo di questo livello . Non abbiamo opportunità di scegliere, il cibo quotidiano ci lega a questo sistema di produzione» .

    La regola delle cinque EOgni anno mangiamo circa 12 chili di chimica e 10 chili di “no food”, ha detto, «e questo è soltanto il dato legale»: «La chimica non è brutta in sé, il problema è che facciamo una spesa indifferenziata,

    sempre uguale per giovani, adulti e anziani . Anche un bambino mangia quei 12 chili . Quando sull’etichetta di un cibo ci sono più di cinque E è meglio lasciarlo perdere». È un paese strano, l’Italia, ha poi riflettuto Greco: «Spendiamo di più per dimagrire che per man-giare . Prendiamo l’olio per la macchina con la mas-sima attenzione ma di quello che mangiamo noi non ce ne frega niente» . Abbiamo fatto nostre, ormai, «le

    negatività della cultura nordamericana, dove il ricco cucina e il povero va al Take away . Siamo anche

    un paese che spreca il 30% del cibo che compra» . Se ci sono tanti problemi di

    intolleranze e allergie, ha detto il rela-tore, si deve al fatto che non man-giamo bene: «Pensiamo ai maiali . Fino agli anni ‘50 erano neri . Poi sono diventati rosa, ma mica perché

    si sono scoloriti . L’agroindustria ha messo in commercio grandi animali olandesi che cre-scono rapidamente, diventano subito pesanti e fanno molto prosciutto . Però questi animali non riescono a vivere all’esterno nel nostro clima, esposti al sole mediterraneo si scottano . È evidente che qualcosa non funziona» . I prodotti ottenuti da questi animali, poi, vengono trattati: «Nella civiltà contadina gli insaccati di maiale duravano 4, 5 mesi al massimo . L’industria li lavora per farli durare anni . Tutte queste cose hanno conseguenze, anche se prendiamo in considerazione solo i trattamenti legali» .

    Conosci quel che mangiEsiste infatti anche l’oscuro sostrato dell’economia illegale: «In tutta Europa questo fenomeno sta cre-ando danni enormi . In Italia ogni anno si sequestrano farmaci zootecnici in quantità superiori a quelle dei sequestri di cocaina . Visto che della cocaina viene intercettato il 12%, possiamo supporre che una per-centuale analoga di farmaci sfugga ai controlli . Sono sostanze che fanno raggiungere all’animale il peso di un anno in soli quattro mesi . Assommandosi a quanto ingeriamo con la chimica legale, portano gravi conseguenze» .Ma come difendersi da tutto questo? «Ad esempio cercando di costruirsi una rete di produttori affidabili - ha dichiarato il relatore - . A Trieste, ad esempio, è meglio prendere il pescato locale . Il pesce in generale va consumato dando la pre-ferenza agli animali dal

    ciclo vitale breve, perché hanno meno possibilità di contaminarsi con metalli pesanti, prodotti di sintesi, ritardanti di fiamma, diossine.

    Bisogna evitare quindi i grandi tonni o il pesce spada, animali che ormai hanno una quantità

    di contaminanti preoccupante» .Un pesce da evitare assolutamente è il salmone:

    «Il 90% dei salmoni proviene da allevamenti dove crescono in condizioni terribili . Il colore rosa non è naturale, è dato da un colorante che viene dato agli animali secondo i gusti del mercato locale . Ad esem-pio in Nord America o in Nord Europa il colore è diverso da quello che c’è da noi . E poi i salmoni di allevamento vengono nutriti con mangimi composti al 70% da pesce selvatico, il che arreca un danno irrepa-rabile al sistema della pesca» . Allevando gli animali predatori, ha spiegato Greco, «abbiamo rotto un patto stretto 10mila anni fa, quando addomesticammo i primi animali, nessuno dei quali era un predatore» . L’unica vera soluzione, ha concluso l’esperto, è che ognuno di noi torni a scegliere in modo autentico quel che finisce sulla sua tavola: «Sicuramente dobbiamo perdere tempo nella scelta del cibo di ogni giorno . Tornare ad appropriarci di questa grande ricchezza chiamata tempo» .

    Domande e risposteroberTo KoSToriS: Vorrei ci desse degli elementi di base con cui stare tranquilli. È difficile avere contatti con gli allevatori in una città priva di hin-terland, quindi come possiamo tutelarci con una spesa fatta normalmente?Il trucco è diversificare. Rispetto le scelte di ognuno - vegetariani, vegani e via dicendo - però il nostro organismo ha bisogno di tutto. L’ominide che diventò l’homo sapiens sapiens è quello che iniziò a mangiare la carne. Quindi la parola primaria è diversificare. La seconda è prestare attenzione al prezzo delle cose: so che è sgradevole, ma se posso devo man-giare meno ma meglio. Ormai i pro-dotti che ci

    consentono di fare questa scelta ci sono. Basta pren-dere un pollo allevato a terra, l’uovo della gallina ovaiola alle-vata allo stesso modo e così via. Abbiamo a disposizione una serie di prodotti che ci mettono la faccia e vanno valorizzati. E infine bisogna perdere tempo: gli allevatori sul Carso ci sono, basta cercarli.

    Paolo alberTi: Se ci sono tanti svantaggi nella nostra alimentazione, in base a quale principio la vita media si sta allungando così tanto?Interroghiamoci su come i nostri anziani arrivano in quel di più vitale appena conquistato. Abbiamo un aumento incomprensibile delle malattie neurodege-nerative, io ritengo che l’enorme quantità di metalli pesanti che mangiamo nel cibo sia una concausa. Registriamo un aumento altrettanto incomprensibile dei linfomi.Guarda caso dove c’è un grande utilizzo di pesticidi c’è un picco di leucemie. Qualche motivo ci sarà. L’aumento dell’età media?Bisogna ricordare che soprattutto sono cambiate le condizioni igieniche e che la scienza medica ha compiuto passi da gigante. Dobbiamo chiederci però qual è la qualità della vita dei nostri anziani. Io non li vedo tutti benissimo.

    diego braVar: Perché non promuovere le reti scientifiche della ricerca alimentare per rendere accessibile l’informazione sull’alimentazione cor-retta alla popolazione?È evidente che bisogna creare un sistema virtuoso che parta dalla scuola. L’educazione parte da lì. E dalla famiglia. Anche perché la maggior parte degli italiani fa colazione al bar, i bambini sono pieni di

    merendine, non si fa più il pane e olio o il pane e pomo-doro.

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    Consueto appuntamento con la conviviale in sede, occa-sione per discutera di argomenti riguardanti la vita del club e rinsaldare rapporti di amicizia.Ospite del Club il rotariano Raymond Prag, da Southampton . Raymond lascia negli anni Quaranta la sua amata Lussino per raggiungere, dopo tante vicissitudini gli Stati Uniti d’America . Conosciutissimo e molto stimato a Lussinpiccolo per le sue virtù e l’impegno in opere di beneficenza, a lui si deve la storica fon-dazione del primo Rotary Club di Lussino, avvenuta nel febbraio dell’anno 2004 . Raymond è il protagonista del volume “Da una piccola isola a una grande America”, scritto alcuni anni orsono da Italo Soncini; i proventi della vendita del volume vennero devoluti a favore dei bambini poveri, handicappati e degli asili del Nord Est Adriatico, arcipelago di Lussino e Cherso .

    Riunione conviviale n. 3379

    PresiedeCristina Pedicchio

    Ospiti del clubRaymond Prag (RC Southampton, USA)

    Sede del club16 febbraio 2017

    Un amico in visita dagli Statesriscalda il “caminetto” in sede

    La presidente Cristina Pedicchio

    L’aperitivo del 23 febbraio scorso ha visto Gianfranco Schiavone illustrare con ampiezza di particolari la realtà dei migranti forzati nel mondo, in Italia e a Trieste. Studioso del settore delle migrazioni a livello inter-nazionale, Schiavone è presidente di Ics, l’ente che a Trieste gestisce l’accoglienza dal 1998.

    Il titolo della relazione di Gianfranco Schiavone è “L’evoluzione dell’accoglienza in Italia”. Il presidente di Ics è partito specifi-cando l’ambito della sua presentazione: «Tratterò una parte molto specifica del fenomeno migratorio, che spesso viene confusa con il processo complessivo, ovvero le migrazioni forzate» .La definizione di «migrante forzato», ha spiegato, proviene dal lessico sociologico e non da quello giuridico, perché cerca di mettere assieme profili distinti dal punto di vista del diritto: «Il

    Riunione conviviale n. 3380

    PresiedeCristina Pedicchio

    Ospiti del clubGianfranco Schiavone, Giovanni Tomasin

    Soci presso altri clubColonna e Del Piccolo(Rc Muggia, 22 febbraio)

    Hotel Greif Maria Theresia23 febbraio 2017

    Schiavone: l’evoluzione dell’accoglienza in Italia

    Gianfranco Schiavone, presidente dell’ICS, che assieme alla Caritas gestisce il sistema di accoglienza migranti a Trieste

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    termine individua colui che è costretto ad abbando-nare il proprio paese per diverse ragioni, ma la cui componente fondamentale è la costrizione: salvare sé stesso da un pericolo grave, sia la persecuzione, un conflitto o eventi calamitosi». Anche in questi casi, ha aggiunto, esiste una percentuale di volontarietà: «Due persone messe davanti agli stessi problemi reagiscono in modo diverso, una emigra e l’altra no» .

    Settanta milioni di migranti forzatiIl movente definitivo per chi parte, però, è comun-que la costrizione: «Situazioni del genere sono in aumento nel mondo. A fine 2015 i migranti forzati superavano i 65 milioni, il numero più alto dopo la Seconda guerra mondiale . L’anno scorso il numero è aumentato ancora» .Sintetizzando in estremo, ogni minuto 24 persone lasciano le loro case . La media mondiale è di 183 migranti forzati ogni mille abitanti . Ma dove sono tutte queste persone? «Sfatiamo un mito - ha detto Schiavone -, non sono qui» . La maggior parte dei migranti forzati viene da una serie di aree: le peg-giori sono Siria, Afghanistan, Somalia, Iraq, a cui si aggiungono tantissime altre zone .I conflitti in Siria e in Afghanistan, uno ad alta e l’al-tro a bassa intensità, hanno provocato nel complesso 5 e 3 milioni di migranti forzati . Ma, appunto, non sono i soli: a metà 2016 i conflitti nel mondo erano 33. «Ci sono conflitti sconosciuti, dimenticati, che non producono lo stesso numero di rifugiati, ma che sono in aumento - ha proseguito il relatore - . Dico tutto questo perché i primi sei paesi di accoglienza nel mondo sono i seguenti: Turchia, Pakistan, Libano (con la più alta densità di rifugiati nel mondo), Iran, Etiopia, Giordania . Nessuno penserebbe che siano questi i paesi di accoglienza» . Sono aree prossime ai conflitti, e quindi destinazioni naturali, «ma bisogna sottolineare che tra i primi dieci paesi di accoglienza non ne figura nessuno del Nord del mondo».Se guardiamo al numero di rifugiati ogni mille abi-tanti troviamo due paesi dell’Ue: Malta e Svezia . La prima, essendo un’isola, è soggetta a sbalzi statistici, quella della Svezia invece «è una scelta di lungo periodo» . Nel complesso l’Unione europea ha circa 7 richiedenti asilo ogni mille abitanti .

    Domande di asilo: +100% all’annoL’Italia ne ha meno di 4 ogni mille abitanti: «Non siamo affatto un paese con un grande numero di richiedenti asilo . Sulla carta non ci sarebbe nessuna emergenza, nessun problema strutturale, se non

    fosse per un motivo: da noi il cambiamento è molto veloce» . In pochi anni lo Stivale è passato dall’es-sere pressoché privo di migranti forzati a essere tra i primi cinque paesi europei come numero di presenze, anche se il dato italiano «è comunque modesto se parametrato, come va fatto, al numero di abitanti, al Pil, all’estensione geografica».Quel che è veramente importante della situazione italiana e che fa percepire all’opinione pubblica un senso di ansia, «oltre alla speculazione politica», è la velocità del cambiamento: «Solo negli ultimi due anni le domande di asilo sono aumentate a colpi del 100% l’anno . La crescita ha intercettato un paese che non era pronto, privo di una strategia di gestione» .Quando si parla di «sistemi di gestione», ha pre-cisato il relatore, «c’è ovviamente una dimensione umanitaria» ma lo scopo essenziale è «gestire un cambiamento strutturale che c’è e ci sarà in futuro»: «Una quota di popolazione sarà composta da migranti forzati, certo una percentuale piccolissima, ma ci sarà» . Questo processo andrà gestito nelle sue varie fasi: «Anche perché i numeri, se non allarmanti, non sono comunque irrilevanti . Oggi nel sistema di accoglienza ci sono circa 180mila persone, ospitate come richiedenti asilo. Difficile parlare di emergenza. Ma se queste 180mila persone non sappiamo dove metterle perché non c’è un sistema di gestione, né un programma per il loro futuro, è chiaro che anche un numero modesto, ma non irrilevante, può creare grandi problemi» .

    Soluzione a livello internazionaleLe soluzioni primarie, ha proseguito Schiavone, dovrebbero arrivare dall’ambito internazionale: «Si dovrebbero placare crisi e sconfitti. L’asilo è sempre un gesto riparatorio, le soluzioni vere stanno al di fuori dell’asilo. Ma anche qualora i conflitti si doves-sero risolvere rapidamente, le persone non potrebbero tornare a casa da un giorno all’altro . Questa realtà ci interesserà per decenni anche se dovesse arrivare un miglioramento improvviso che, al momento, non è all’orizzonte» .Schiavone ha speso parte della relazione parlando di politiche europee: «L’asilo è un diritto sempre più comunitarizzato, ma è un processo rimasto in parte sulla carta: fa molta fatica a implementarsi nelle legi-slazioni e nelle prassi dei paesi membri .Attualmente gli strumenti approntati dall’Ue ven-gono applicati in modo molto difforme da un paese all’altro» . A questo si aggiunge il problema della distribuzione dei richiedenti asilo: «Oggi è orche-strata dal regolamento Dublino III, che di fatto è un

    sistema di non regolazione che assegna la competenza di esaminare la domanda di asilo al primo paese Ue in cui arriva il migrante . In pratica attribuisce a tutti i paesi con frontiere estere il carico di gestire la maggior parte delle domande d’asilo» . Oggi questo significa Grecia e Italia: «Questo regolamento non funziona per la sua irragionevolezza . L’Ue non si è ancora accordata su un nuovo meccanismo, che sarà il banco di prova del sistema di accoglienza europeo e forse dell’Europa nel suo insieme» .

    La situazione triestinaCi si interroga su quali saranno i parametri e le quote di distribuzione: «Oggi i primi sette paesi che accol-gono hanno tutte le domande . Gli altri 23 nessuna . In futuro le domande cresceranno e il problema della ripartizione delle quote tornerà a porsi .L’Ue dovrà elaborare una strategia di inclusione sociale dei rifugiati su tutto il suo territorio» Infine Schiavone si è concentrato sull’esperienza triestina: «Se ne è parlato molto sui giornali, anche con i toni polemici caratteristici di questa città e di una fase politica che non considero positiva» .La situazione triestina, in realtà, è molto interes-sante: «Trieste è una città di arrivi . Non molti, ma due o tre al giorno arrivano e fanno domanda di protezione» . I paesi di provenienza sono soprattutto Afghanistan, Pakistan, Iran, Iraq, un po’ di Siria . «Nel corso degli anni abbiamo sviluppato in città un sistema di accoglienza diffusa . In cosa consiste? Nel tentativo, ancora incompiuto e imperfetto, di rifiutare la creazione di centri di accoglienza ghettizzanti, isolati e degradati come ne abbiamo visti altrove in Italia» . L’ospitalità si svolge quindi in strutture abi-tative ordinarie: «Appartamenti presi in locazione, in cui le persone conducono una vita indipendente» .Questo modo di operare, ha proseguito Schiavone, «ha un senso se c’è un progetto sulla persona, se esi-ste un percorso di inclusione sociale . E l’accoglienza diffusa con l’inclusione sociale è quel che tentiamo di fare, con un sistema da mille posti, molto superiore alla media nazionale, e percorsi di attenzione alla per-sona» . Alla base del sistema di accoglienza triestino gestito da Ics e Fondazone Caritas «c’è una strategia di gestione del cambiamento» . Il cambiamento di cui l’Italia ha bisogno di prendere atto .

    Domande e risposteenrico Tongiorgi: Qual è il percorso di integra-zione lavorativo dopo la prima accoglienza?Grazie di aver centrato il punto debole. Una

    strategia non c’è. Il sistema italiano è schiacciato tutto sulla prima accoglienza. Le direttive europee puntano su questo aspetto, cessata l’accoglienza la questione viene derubricata a “politiche sociali dei paesi”. E noi non abbiamo nessuna strategia di inclusione sociale dei rifugiati. L’accoglienza cessa nel giorno in cui viene riconosciuta la protezione internazionale.Il sistema triestino è un po’ più generoso. Qui infatti viene previsto un periodo di sei mesi dopo il ricono-scimento, rinnovabili se c’è un progetto. Ma anche noi disponiamo purtroppo di strumenti spuntati: facciamo formazione professionale, stage, ma non usufruiamo di un progetto nazionale che veda queste persone come risorse.La mia impressione è che la maggior parte dei rifu-giati riconosciuti in Italia poi abbandoni il nostro paese per andare all’estero, dove finiscono per lavo-rare in nero visto che in teoria non potrebbero tra-sferirsi altrove.All’Italia quindi restano i costi ma non i vantaggi. Mentre è certo che la principale ragione dell’au-mento del Pil tedesco è stata l’accoglienza dei rifu-giati. In Italia siamo lontanissimi da tutto questo.

    giuSePPe reina: C’è la possibilità di infiltrazioni terroristiche in questi processi migratori? Inoltre questo trend non potrà che portare a un cambia-mento culturale dell’Europa. Esiste un piano di governo generale di questi fenomeni?Non esiste neppure una misura saggia di cui si sta iniziando a parlare, ovvero un piano di gestione internazionale, o almeno europeo, per i trasferi-menti sicuri.Ovvero un programma che porti le persone dalle aree terze, come la Turchia o il Libano, traspor-tandole qui attraverso programmi organizzati e la redistribuzione in quote europee.Questo toglierebbe linfa al traffico internazionale di merce umana.Sulla questione delle infiltrazioni, nulla può essere escluso ma voglio essere molto chiaro: la possi-bilità che sia malintenzionato l’essere umano che si fa diecimila chilometri a piedi vivendo all’ad-diaccio, morendo nel deserto della Libia o nel mar Mediterraneo è quantomeno molto aleatoria.C’è poi una dimensione etica preoccupante, quella di scambiare i carnefici con le vittime.Le situazioni di pericolo sono nate qui, come ha mostrato la cronaca, e non arrivavano da chi viene in Europa e magari muore lungo la strada. In effetti, se andiamo a vedere, ci sono stati molti allarmi ma poi nessun fatto di reale pregnanza.

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    “Lavora in pubblicità sin dagli anni in cui quest’attività era poco raccomandata alle persone perbene…” .È la prima delle poche righe di curriculum nell’annua-rio del Rotary club Trieste alla voce “GRANBASSI Gianfranco (Gian) dott . PH (Trieste 24 .2 . 1937)” . Al Rotary Trieste è terzo per anzianità . È entrato nel 1972, presentato da Guido Nobile. Anche suo figlio Francesco è rotariano . Questo bollettino, per la parte grafica e creativa (vedrete che non si dice così) è opera dello Studio Mark .

    Che mestiere fai, Gian? “Non dite a mia madre che faccio il pubblicitario… Lei mi crede pianista in un bordello”, ride.

    Questa battuta non era nata per i giornalisti?“No, risale agli Anni Venti, l’epoca in cui le prime agenzie di pubblicità americane nascevano in Madison Avenue. Divenne poi il titolo di un libro di Jacques Séguéla – il pubblicitario che diede alla Francia un presidente, François Mitterrand, che i francesi non volevano – che uscì nel 1979, molti anni dopo che questa battuta era stata inventata”.

    Gian è seduto nel suo studio di via Santa Giustina (casa e bottega, costruita nel 1860) . Magro, ascetico, un “polito cranio di dolicocefalo”, seduto in un mare di carte, disegni, libri, fogli, aniline, matite, quadri e – concessione alla modernità – un computer zeppo di foto di ogni epoca . Sembra D’Annunzio al Vittoriale . Glielo dico .

    “Beh, D’Annunzio oltre al resto era il tipico creativo

    d’avanguardia”. La Rinascente, l’Amaro Averna, e non soltanto, sono marchi che ha inventato lui. Lo faceva quando aveva bisogno di incassare.

    Parliamo, parliamo, parliamo .Già dopo dieci minuti mi accorgo che Gianfranco Granbassi non si può intervistare . È geniale, vasto, colto, arguto . Discute, spiega, colorisce, ma soprat-tutto ascolta . Appena vede che dischiudo le labbra si zittisce di colpo, spalanca gli occhi e quello che dico sembra la parola più importante che mai sia stata detta . Non si può intervistare . Si può scrivere un libro su Gianfranco Granbassi . Anche più di uno . È il personaggio centrale di una storia familiare che percorre l’Europa e il tempo, una dinastia borghese, con i relativi mutamenti di mentalità e costumi che segnano i periodi storici che attraversa . Come la Saga dei Forsyte di John Galsworthy .Questa è la saga dei Niederkorn (“basso grano”), diventati nel 1928, con una traduzione letterale, Granbassi; usato prima come pseudonimo da papà Mario – quando, non ancora ventenne, firmava le sue prime corrispondenze da Pisino al “Piccolo” – e poi cognome di famiglia . Una saga che inizia con l’ar-rivo in Istria sul finire del Settecento di un Victor August Niederkorn, che aveva attraversato l’Europa dal Lussemburgo all’Istria; e si spinge, al momento, fino alla figlia di Margherita, Leonor che – mentre parliamo con Gian – se ne sta buona buona nella sua carrozzina parcheggiata fuori dalla porta dello studio ad aspettare che nonna Fini la porti a fare un giretto .

    Gian, figlio di…, padre di…Mi viene in mente la madre di Manzoni, Giulia

    L’intervistadi Fulvio Gon

    “Non dite a mia madre che faccio il pubblicitario: mi crede pianista in un bordello”Ottant’anni appena compiuti e quarantacinque di appartenenzaal Club . Una chiacchierata a ruota libera con Gianfranco Granbassi

    Beccaria. Sulla sua tomba volle una semplice epi-grafe: “Giulia Manzoni Beccaria / figlia di Cesare, madre di Alessandro”...

    Tu invece figlio di Mario, e papà di Giovanna, Francesco, Manlio, e di Margherita, che a colpi di fioretto è diventata una delle donne più famose d’Italia. E non solo in ambito sportivo. Di tuo padre, invece, giornalista affermato e divo della radio, che cosa ricordi?La figura, intendo la fisionomia di mio papà ce l’ho ben presente. Ed è in bianconero perché è un col-lage mentale di tante piccole fotografie, appunto in bianconero data l’epoca, da cui mi risulta un giovane uomo dall’espressione vivace, spesso allegra. Questo mio intimo archivio di immagini ne comprende anche due a colori, perché non sono foto: la prima è un grande ritratto a olio, postumo, in sahariana kaki, e in cui l’espressione di papà è vagamente marziale se non addirittura corrucciata. L’eseguì Guido Fulignot, nel 1939, su commissione, per essere collocato in un circolo intitolato a Mario Granbassi. Oggi lo custo-diamo in famiglia. È un buon ritratto, ma non mi sembra lui, è lontano dal mio immaginario. Dove, viceversa, trova affettuosa collocazione l’altra imma-gine a colori: una briosa caricatura del 1932 di Nino Za (poi diventato una celebrità), quando mio padre aveva venticinque anni, ma era già un personaggio.

    Della fisicità di tuo padre nessun ricordo?Uno, fugace come un sogno. Non la sua persona, ma l’idrovolante con cui nel maggio 1938 (avevo un anno e tre mesi) tra altissimi spruzzi decollò dall’i-droscalo in direzione di Civitavecchia per imbarcarsi

    sul piroscafo che l’avrebbe portato al suo destino. Papà aveva già salutato tutti, all’idroscalo non aveva voluto altri.

    C’eri anche tu?“Sì, piccolissimo, con mia sorella di tre anni e mezzo, con mia mamma in lacrime e un’anziana coppia di cari amici, i Ferrario. Unici testimoni di quella tri-stezza. È un sogno? Una fantasia? Io però ricordo. Non: “credo di ricordare”, proprio ricordo. Anche se capisco che pochi possano credermi”.

    Il groppo alla gola, Gian, non riesce a mandarlo giù . Mi fa salire un piano di questa casa-museo meravi-gliosa, straripante di cose belle, calda, piena di vita e in biblioteca cerca una cartella .Sono ritagli di giornali .

    “Questo l’ha scritto Silvio Benco sul “Piccolo” del 18 gennaio del 1939, quando – quindici giorni dopo la morte in Spagna di papà – arrivò la notizia”. È il ricordo affettuoso di “Mastro Remo” da parte di un uomo d’idee politicamente diverse . Comincia: “Ho conosciuto Mario Granbassi a Pisino quand’era stu-dente, e non aveva venti anni, e già si sentiva chiamato al giornalismo… Chi avesse, in quel tempo, potuto indovinare i futuri eventi, avrebbe tosto individuato in lui la predestinazione del volontario…” .Sul giornalista, pioniere della radio, “Mastro Remo” dell’Eiar, capocronista del “Piccolo” di Rino Alessi a soli ventiquattro anni e inventore di un quasi-Totocal-cio ante litteram, cala per quarant’anni un lungo silen-zio, interrotto solo nel gennaio del 1980 sul periodico

    Gianfranco Granbassi,nel suo studio, circondatoda libri e da alcune delle oltre cento tesi di laureain comunicazione pubblicitariadi cui è stato relatore

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    “La Bora” da un giornalista ancora una volta d’idee diverse dal papà di Gian .

    Leggi questo, è di Guido Botteri. Gliene sarò sempre tanto grato...

    “Perché il silenzio, completo, su di lui?” si chiede Botteri, e prosegue: “Perché, riteniamo, lo si è con-siderato un “fascista da dimenticare”, perché la sua giovane vita finisce – con una medaglia d’oro alla memoria – in Spagna, dove Granbassi arriva nell’e-state del 1938, quando la sua insistente domanda di volontario nelle formazioni italiane che sostengono l’esercito del generale Franco, è alla fine accettata.”“A oltre quarant’anni dalla sua morte – scrive ancora Botteri [politico dc e caporedattore della Rai di Trieste, scomparso lo scorso anno, ndr]– ci si deve porre non solo il problema di “storicizzare” l’apporto da lui dato alla non ricchissima storia del giornalismo – scritto e parlato – di Trieste, ma è doveroso riflettere sulla sua testimonianza di vita (…) di una generazione che oggi [1980, ndr] sarebbe di sessantenni, ma che per molti – come Mario Granbassi - non poté uscire dalla ‘grande illusione’ che Mussolini aveva elaborato per gli italiani” .

    Tu da piccolo che cosa sapevi di tuo papà?Mi era chiaro che il nostro nucleo familiare ristretto contasse noi tre soli, mamma, mia sorella Mariagrazia e io. Sapevo che papà era “caduto in guerra” (in parole povere non era ritornato perché era morto). Sapevo anche che avevano premiato il suo valore con la medaglia d’oro – e molte persone quando dicevano questo abbassavano la voce e diventavano serie. E ugualmente sottovoce si parlava tra familiari – specialmente con la nonna Granbassi e gli zii Guido e Manlio – nel nominare papà.

    Tuo zio Manlio fu il mio primo caporedattore al Piccolo. Lo ricordo come una persona riservata, gentile, dotato di una sottile ironia. Solo dopo che andò in pensione seppi che fu il primo giornalista a scrivere delle foibe (aveva ventitré anni), come inviato del Piccolo, e che questo gli costò – dopo il ’45, da parte della commissione epurazione – una condanna a cinque anni di allontanamento dal posto di lavoro. Tornò in anticipo, prima al “Giornale Alleato”, poi al “Piccolo” che riapparve nelle edicole.Com’era, come zio?Un “mulon”, uno zio giovane con il quale andavo molto d’accordo, simpatico e bravo nel fare bellissimi “witz”. Ma sapeva essere anche severo. Era un uomo di valore

    in tutti i sensi, mi piaceva molto.

    Torniamo al “bordello” pubblicitario…In Italia la svolta pubblicitaria inizia negli anni Cinquanta quando la réclame diventa advertising e viene introdotto un gergo “da addetti”, spettacolare e criptico per l’interlocutore “laico”... Negli anni Sessanta la pubblicità diventa “scienza”, professione di successo.

    E nel bordello vogliono entrarci tutti.Io in quegli anni ci sono dentro (almeno con un piede) già da qualche tempo e quindi so già che cosa vuol dire “target” e “budget” e persino “layout”. “Headline” arriverà poco dopo...

    Perché ti piaceva la pubblicità?Mah. Guardavo gli annunci, e notavo (e forse capivo) quando grafica e testi (pardon: bodycopy) erano di buona qualità .

    Che cosa ti affascinava?Per esempio gli annunci di Olivetti. E oggi mi rallegro con quel ragazzino ignorante (13-15 anni) che eviden-temente stava percependo qualcosa. Rimasi incantato dal cane a sei zampe di Supercortemaggiore. Ma anche dai manifesti di Seneca (Buitoni) e soprattutto dal lettering innovativo e dall’impeccabile archi-tettura impaginativa degli annunci Rai di Erberto Carboni. Amai di amore assoluto anche Boccasile, concludendo che un bravo “cartellonista” poteva essere anche un buon pittore. E non sempre viceversa.

    Non ho capito che cosa ha fatto scattare la molla.Da molto giovane cadevo vittima delle più sva-riate cotte. Una di queste fu il “Candido”, erede di quel “Bertoldo” che spesso aveva fatto inquietare gli attenti controllori dell’epoca “precedente” sul significato recondito di certe vignette di Mosca, sur-reali e raffinate. Lo staff di Mosca al “Bertoldo” era di straordinario livello: Carlo Manzoni, Marcello Marchesi, Walter Molino, Giaci Mondaini... E poi Guareschi e Saul Steinberg (rumeno, poi fuggito negli Stati Uniti a causa delle leggi razziali del 1938). Un genio senza confini. Un visionario, un inventore, un poeta. Forse un pazzo. Qualcuno crede che voglia far ridere, invece fa pensare. Sempre. Che risieda anche qui un granello della “genesi” della mia passione per la pubblicità?...

    Quali sono i ruoli di chi lavora nell’ambiente?Mi piace un po’ celiare su certe definizioni melo-drammatiche: ancora oggi, in ambienti “laici” ma

    non incolti, dicendo “il grafico” s’intende il pro-fessionista incaricato di curare l’aspetto visivo di un messaggio pubblicitario a stampa (annuncio di giornale, poster, brochure). Mi sembra ragionevole e corretto. Invece guai, sacrilegio. Per gli “addetti” grafico vuol dire poco, quasi niente: visualizer? ese-cutivista? o che altro? Indecente: qualcuno non sa distinguere tra direttore creativo e art director...

    ... ?Art (director) e copy (writer) costituiscono la coppia creativa. Una delle più ambigue sulla faccia della terra. Rarissime fanno coming out...

    Non farmi stare sulle spine.L’art si occupa degli aspetti visuali. Il copy scrive.

    Ma chi fa i pupoli?Macché pupoli!L’aspetto visuale non necessita obbligatoriamente di pupoli. Può esprimersi anche attraverso la grafica di un semplice testo. Punto fermo: assoluto divieto per art e copy di reciproche interferenze. In buona sostanza: ognuno si faccia i cazzi propri. E non disturbi l’altro.

    Ma insomma, tu sei art o copy?Sono del segno dei pesci: un pesce art e un altro copy. Una deroga ai sacri precetti. Dicendo queste fesserie mi sono convinto che proprio sì, la pubblicità mi piace... e per fortuna mi diverte.

    Anche disegnare?Accidenti se mi piace. E anche dipingere. L’ho fatto per tutta la vita, sin da piccolo. E continuo ancora. Credo che da grande farò una mostra.

    Ne hai mai fatta una?Nel 1950 (tredici anni e mezzo) avevo lavorato tutta l’estate a una serie di disegni a carboncino da pre-sentare ad una mostra dei giovani promossa dal Circolo Artistico di illustre memoria che si trovava in via Diaz. Qualche giorno prima della conse-gna decisi che erano delle schifezze, perché avevo scoperto un’altra strada – ma soprattutto una bel-lissima carta Fabriano grigia ruvida. Disegnai a china due vedutine di scorci di Cittavecchia. Esitai un poco prima di colorarli e credo di avere fatto la scelta giusta: qualche appena accennata vela-tura di acquerello e stop. Ero entusiasta. Con i due quadretti sottobraccio (e fatti mettere sottovetro) raggiunsi via Diaz. C’era un signore anziano. Gli dissi: “Go portà i quadri”. “Che quadri?” “Per la mostra dei giovani”. “Che vedemo ‘sti capolavori”.

    Dall’emozione mi sgusciarono a terra e un vetro andò a pezzi. “E adesso?”. “Adesso ghe vol meter un novo.” “Quando?” domandai goffamente. “Come quando. Adesso, subito, doman dovemo impicarli in sala!” Mi vennero le lacrime, non riuscivo a parlare. “Bon, pòrtighelo a Pasinati qua in via Anunziata, dighe che xe furia, per doman matina...”.La mostra durò oltre un mese. Una mattina piovosa dei primi di novembre entrai nella bottega di Livio, il droghiere-vetraio che mi aveva montato i quadretti. Concitato, quasi mi sbatté sotto agli occhi il giornale: “Te ga vinto el primo premio!”.Poche altre volte mi capitò di toccare così in alto il cielo con un dito.Fu un inizio incoraggiante. “Se continui così – mi aveva detto un mio professore delle medie che aveva letto il giornale – a diciott’anni farai una personale”. L’idea mi inebriò. Non ci avevo pensato.

    Quale fu il tuo primo cliente?Ti ricordi l’Universaltecnica? Il mio primo cliente fu Silvio Bacchelli. Era un uomo di intelligenza pari alla sobrietà verbale, e di idee straordinarie. C’era in lui la stoffa del grande pubblicitario, aveva capito ante litteram un sacco di cose enunciate “dopo”, soprat-tutto sul concetto di “marca” e di immagine di pro-dotto. Nell’immediato anteguerra Silvio Bacchelli era un atletico ragazzo di invidiabile aspetto e dalle idee chiare. La radiofonia italiana viveva il suo momento d’oro e un buon apparecchio radio all’epoca era più ambito di quanto lo sia oggi un iPhone top di gamma, solo era più raro. Lui comperava queste radio usate, le riparava e le rivendeva tirate a lucido. Ma senza pubblicità un oggetto non si vende, e per Bacchelli questo fu sempre un punto fermo. Pronto il “pezzo” da offrire, correva allo sportello dell’Upi in via Pellico e metteva due annunci in apparente concorrenza, del tipo: “Radio Phonola, lieve difetto, occasione lire 100”, seguito da un “Radio Phonola, perfetto stato, lire 85”. Quella da 100 ovviamente non esisteva e quella da 85... “mai una invenduta”, mi raccontava. Io lo conobbi nel 1954, perché ero amico di Claudio, un suo cliente di riguardo. Il contatto con Bacchelli segnò la mia entrata nel mondo del lavoro, seppure “part-time” e in forma impropria. Perché ovviamente andavo a scuola. Da lui ho imparato molte cose. Peccato non averne capite di più.

    Ti ricordi qualcuna delle tue “campagne”?Per B