Notiziario 2007 Museo Diotti · “2007” inaugura una serie di numeri...
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2 07Notiziario del Museo Diotti - Casalmaggiore
2 07
ATTIVITA’ DEL MUSEO - EVENTI
Venerdì 30 marzo 2007
Ore 17, Istituto Santa Chiara
Presentazione dell’apertura del Museo
Diotti.
Relatori: il Sindaco di Casalmaggiore Luciano Toscani, il Presidente del Consiglio della Regione Lombardia Ettore A. Albertoni, il Presidente della Provincia di Cremona on. Giuseppe Torchio, il Soprintendente per i Beni Architettonici e per il Paesaggio Luca Rinaldi, l’architetto Giacomo Zani e il conservatore del museo Valter Rosa.
Ore 18, Museo Diotti
Cerimonia dell’inaugurazione con benedizione del luogo da parte del parrocco di Santo Stefano don Alberto Franzini.Per l’occasione vengono pubblicate e diffuse la prima guida breve (pp. 16) del Museo Diotti e una cartolina con speciale annullo fi latelico.
Contestualmente con l’apertura del Museo, vengono inaugurate due mostre:
- L’opera incisa di Gianfranco Manara, allestita al primo piano nelle due sale sopra le rimesse delle vetture;
- I Padova di Florenzio. Antologica di Goliardo Padova dalla collezione del fi glio Florenzio, allestita fi no al 7 ottobre nello Spazio Rossari e nel Laboratorio didattico.
8, 15, 25 aprile, 1, 13, 27 maggioInserimento del Museo Diotti nel percorso delle “Visite di primavera” proposte in collaborazione con l’Associazione Pro Loco.
15 aprile, 6 e 27 maggioTappe di gara dell’iniziativa “Chi trova un museo trova un tesoro” realizzata in collaborazione con il GAL Oglio Po Terre d’acqua.
Domenica 6 maggio, ore 17, Conferenza: “L’opera incisa di Gianfranco Manara”: incontro in
occasione della mostra omonima, a cura di Stefano Fugazza, Direttore della Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi di Piacenza. Intervengono anche Valter Rosa e Francesco Garrone, curatore del Catalogo ragionato delle acqueforti,
puntesecche e litografi e (2004). Presente la moglie dell’artista Maria Giovanna Brovetto Rondo. Segue visita guidata alla mostra.
Lunedì 18 dicembre 2006, ore 18Milano, Galleria d’Arte Moderna, Salone delle ColonnePresentazione uffi ciale del Museo Diotti (relatore Valter Rosa) nell’ambito della Giornata di studi dedicata a Giovanni Carnovali detto il Piccio.
giovedì 29 marzo 2007, ore 11, presso il Museo DiottiPresentazione alla stampa: il Sindaco di Casalmaggiore Luciano Toscani, l’assessore alla Cultura Francesco Sanfi lippo e il conservatore Valter Rosa presentano alla stampa il Museo Diotti.
“2007” (Notiziario del Museo Diotti) non è un periodico, né un bollettino di studi, ma un contenitore in cui sedimentare, secondo vari livelli di approfondimento, tutte le attività svolte presso il Museo Diotti. “2007” inaugura una serie di numeri unici, che cambieranno ogni volta titolo e veste, non vincolati a cadenze, ma editati solo quando si presentano la necessità e l’opportunità di poterli fare.Stampato in poche copie digitali che possono essere acquistate direttamente al Museo, viene diffuso gratuitamente in rete attraverso il sito del Museo Diotti. Ne sono principali redattori Roberta Ronda (Direttore dei Musei Civici e Responsabile dei Servizi Educativi), Valter Rosa (Conservatore delle Civiche Raccolte d’Arte), con la collaborazione di Letizia Frigerio (Segreteria e Uffi cio stampa) e di Luisa Zanacchi (operatrice didattica). I temi trattati in queste pagine sono quelli relativi a mostre, conferenze, didattica e attività legate al patrimonio e alla conservazione, svolte nell’anno 2007. Molti testi sono la trascrizione di conferenze e ne mantengono la forma colloquiale. Poiché la programmazione di queste iniziative segue gli obiettivi generali che il Museo Diotti si è dato nel suo atto costitutivo, il notiziario si offre anche come una prima verifi ca del lavoro svolto in relazione alle fi nalità qui riportate.
Il Museo Diotti fa proprie innanzitutto le fi nalità generali di ogni istituzione museale defi nite dall’International Council of Museums e costituisce “un’istituzione permanente, senza fi ni di lucro, al servizio della società
e del suo sviluppo, aperta al pubblico,
che conduce attività di ricerca su tutte le
testimonianze materiali dell’uomo e del
suo ambiente, le colleziona, le conserva, ne
diffonde la conoscenza e soprattutto le espone
con fi nalità di studio, di didattica e di diletto”.Il Museo Diotti è un’istituzione civica che intende alimentare nei cittadini la consapevolezza dell’importanza del patri-monio, quale premessa indispensabile per una sua più effi cace tutela e valorizzazione; è inoltre un luogo privilegiato in cui l’identità artistica del territorio trova la massima espressione e, nello stesso tempo, si apre al confronto con forme artistiche e pubblici di diversa natura e provenienza.Finalità specifi che del Museo Diotti sono:1) riunire, per quanto possibile, in un’unica
sede il patrimonio delle Civiche Raccolte d’Arte, garantendone in questo modo una miglior conservazione, valorizzazione e fruizione pubblica;
2) dare visibilità al patrimonio artistico locale conferendogli signifi catività entro un disegno storico-culturale tradotto
nel percorso espositivo; 3) valorizzare il periodo compreso fra l’età
teresiana e l’unità d’Italia in quanto momento culturale fecondo della storia cittadina;
4) assecondare, attraverso le scelte espo-
sitive, l’antica vocazione didattica del palazzo in cui Giuseppe Diotti tenne un’accademia privata e allestì una raccolta d’arte già aperta al pubblico ed oggi dispersa;
5) documentare la produzione degli artisti locali del Novecento più signifi cativi e di una certa visibilità nel panorama nazionale, con particolare riguardo all’atelier e al metodo di lavoro dell’artista;
6) documentare, attraverso opere di autori estranei al territorio, il collezionismo locale e l’attività espositiva fra Otto e Novecento, fi no ai giorni nostri;
7) svolgere e favorire attività di ricerca, espositive ed editoriali nei settori d’interesse del Museo, anche in collaborazione con altri musei, Università ed Istituti di ricerca;
8) proporre, attraverso l’attività espositiva temporanea, occasioni di conoscenza della produzione artistica contemporanea;
9) favorire l’inserimento del Museo entro reti territoriali e tematiche, con particolare riguardo ai circuiti del turismo culturale, in collaborazione con altre istituzioni della città e del territorio;
10) promuovere attività didattiche, percorsi e laboratori specifi camente pensati per i docenti e le scolaresche; realizzare progetti in partenariato con la scuola; valorizzare i servizi educativi in quanto requisito qualifi cante di un museo attento alle esigenze dei diversi pubblici;
11) incrementare in modo coerente le collezioni attraverso gli acquisti, ma anche ricercando forme di contribuzione pubblica, favorendo il mecenatismo privato e sollecitando sponsorizzazioni, donazioni e depositi;
12) provvedere agli interventi di restauro che dovessero rendersi necessari per la miglior conservazione delle opere e accogliere in deposito a fi ni conservativi opere a rischio di dispersione;
13) istituire rapporti di collaborazione con le associazioni del territorio che operano nel campo artistico e culturale.
C A L E N D A R I O
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ATTIVITA’ DEL MUSEO - EVENTI
Venerdì 30 marzo 2007
Ore 17, Istituto Santa Chiara
Presentazione dell’apertura del Museo
Diotti.
Relatori: il Sindaco di Casalmaggiore Luciano Toscani, il Presidente del Consiglio della Regione Lombardia Ettore A. Albertoni, il Presidente della Provincia di Cremona on. Giuseppe Torchio, il Soprintendente per i Beni Architettonici e per il Paesaggio Luca Rinaldi, l’architetto Giacomo Zani e il conservatore del museo Valter Rosa.
Ore 18, Museo Diotti
Cerimonia dell’inaugurazione con benedizione del luogo da parte del parrocco di Santo Stefano don Alberto Franzini.Per l’occasione vengono pubblicate e diffuse la prima guida breve (pp. 16) del Museo Diotti e una cartolina con speciale annullo fi latelico.
Contestualmente con l’apertura del Museo, vengono inaugurate duemostre:
- L’opera incisa di Gianfranco Manara, allestita al primo piano nelle due sale sopra le rimesse delle vetture;
- I Padova di Florenzio. Antologica di Goliardo Padova dalla collezione del fi glio Florenzio, allestita fi no al 7 ottobre nello Spazio Rossari e nel Laboratorio didattico.
8, 15, 25 aprile, 1, 13, 27 maggioInserimento del Museo Diotti nel percorso delle “Visite di primavera” proposte in collaborazione con l’Associazione Pro Loco.
15 aprile, 6 e 27 maggioTappe di gara dell’iniziativa “Chi trova un museo trova un tesoro” realizzata in collaborazione con il GAL Oglio Po Terre d’acqua.
Domenica 6 maggio, ore 17, Conferenza: “L’opera incisa di Gianfranco Manara”: incontro in
occasione della mostra omonima, a cura di Stefano Fugazza, Direttore della Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi di Piacenza. Intervengono anche Valter Rosa e Francesco Garrone, curatore del Catalogo ragionato delle acqueforti,
puntesecche e litografi e (2004). Presente la moglie dell’artista Maria Giovanna Brovetto Rondo. Segue visita guidataalla mostra.
Lunedì 18 dicembre 2006, ore 18Milano, Galleria d’Arte Moderna, Salone delle ColonnePresentazione uffi ciale del Museo Diotti (relatore Valter Rosa) nell’ambito della Giornata di studi dedicata a Giovanni Carnovali detto il Piccio.
giovedì 29 marzo 2007, ore 11, presso il Museo DiottiPresentazione alla stampa: il Sindaco di Casalmaggiore Luciano Toscani, l’assessore alla Cultura Francesco Sanfi lippo e il conservatore Valter Rosa presentano alla stampa il Museo Diotti.
(Notiziario del Museo Diotti) un bollettino di
studi, ma un contenitore in cui sedimentare, secondo vari livelli di approfondimento,
svolte presso il Museo Diotti. inaugura una serie di numeri
unici, che cambieranno ogni volta titolo e veste, non vincolati a cadenze, ma editati solo quando si presentano la
di poterli fare.Stampato in poche copie digitali che possono essere acquistate direttamente al Museo, viene diffuso gratuitamente in rete attraverso il sito del Museo Diotti. Ne sono principali redattori Roberta Ronda (Direttore dei Musei Civici e Responsabile dei Servizi Educativi), Valter Rosa (Conservatore delle Civiche Raccolte Arte), con la collaborazione di Letizia
Frigerio (Segreteria e Uffi cio stampa) e di Luisa Zanacchi (operatrice didattica). I temi trattati in queste pagine sono quelli relativi a mostre, conferenze, didattica
legate al patrimonio e alla anno 2007. Molti
testi sono la trascrizione di conferenze e ne mantengono la forma colloquiale. Poiché la programmazione di queste iniziative segue gli obiettivi generali che il Museo Diotti si è dato nel suo atto costitutivo, il notiziario si offre anche come una prima verifi ca del lavoro
qui riportate.
Il Museo Diotti fa proprie innanzitutto le generali di ogni istituzione museale
defi nite dall’International Council of Museums “un’istituzione permanente,
senza fi ni di lucro, al servizio della società
e del suo sviluppo, aperta al pubblico,
di ricerca su tutte le
testimonianze materiali dell’uomo e del
suo ambiente, le colleziona, le conserva, ne
diffonde la conoscenza e soprattutto le espone
di studio, di didattica e di diletto”.un’istituzione civica
che intende alimentare nei cittadini la consapevolezza dell’importanza del patri-monio, quale premessa indispensabile per
effi cace tutela e valorizzazione; inoltre un luogo privilegiato in cui
artistica del territorio trova la massima espressione e, nello stesso tempo, si apre al confronto con forme artistiche e pubblici di diversa natura e provenienza.
specifi che del Museo Diotti sono:1) riunire, per quanto possibile, in un’unica
sede il patrimonio delle Civiche Raccolte d’Arte, garantendone in questo modo una miglior conservazione, valorizzazione e
al patrimonio artistico locale conferendogli signifi catività entro un disegno storico-culturale tradotto
3) valorizzare il periodo compreso fra l’età d’Italia in quanto
momento culturale fecondo della storia
4) assecondare, attraverso le scelte espo-
sitive, l’antica vocazione didattica del palazzo in cui Giuseppe Diotti tenne un’accademia privata e allestì una raccolta d’arte già aperta al pubblico ed oggi dispersa;
5) documentare la produzione degli artisti locali del Novecento più signifi cativi e di una certa visibilità nel panorama nazionale, con particolare riguardo all’atelier e al metodo di lavoro dell’artista;
6) documentare, attraverso opere di autori estranei al territorio, il collezionismo locale e l’attività espositiva fra Otto e Novecento, fi no ai giorni nostri;
7) svolgere e favorire attività di ricerca, espositive ed editoriali nei settori d’interesse del Museo, anche in collaborazione con altri musei, Università ed Istituti di ricerca;
8) proporre, attraverso l’attività espositiva temporanea, occasioni di conoscenza della produzione artistica contemporanea;
9) favorire l’inserimento del Museo entro reti territoriali e tematiche, con particolare riguardo ai circuiti del turismo culturale, in collaborazione con altre istituzioni della città e del territorio;
10) promuovere attività didattiche, percorsi e laboratori specifi camente pensati per i docenti e le scolaresche; realizzare progetti in partenariato con la scuola; valorizzare i servizi educativi in quanto requisito qualifi cante di un museo attento alle esigenze dei diversi pubblici;
11) incrementare in modo coerente le collezioni attraverso gli acquisti, ma anche ricercando forme di contribuzione pubblica, favorendo il mecenatismo privato e sollecitando sponsorizzazioni, donazioni e depositi;
12) provvedere agli interventi di restauro che dovessero rendersi necessari per la miglior conservazione delle opere e accogliere in deposito a fi ni conservativi opere a rischio di dispersione;
13) istituire rapporti di collaborazione con le associazioni del territorio che operano nel campo artistico e culturale.
C A L E N D A R I O
ATTIVITA’ DEL MUSEO - EVENTI
(Notiziario del Museo Diotti) un bollettino di
studi, ma un contenitore in cui sedimentare, secondo vari livelli di approfondimento,
svolte presso il Museo Diotti. inaugura una serie di numeri
unici, che cambieranno ogni volta titolo e veste, non vincolati a cadenze, ma editati solo quando si presentano la
di poterli fare.Stampato in poche copie digitali che possono essere acquistate direttamente al Museo, viene diffuso gratuitamente in rete attraverso il sito del Museo Diotti. Ne sono principali redattori Roberta Ronda (Direttore dei Musei Civici e Responsabile dei Servizi Educativi), Valter Rosa (Conservatore delle Civiche Raccolte Arte), con la collaborazione di Letizia
Frigerio (Segreteria e Uffi cio stampa) e di Luisa Zanacchi (operatrice didattica). I temi trattati in queste pagine sono quelli relativi a mostre, conferenze, didattica
legate al patrimonio e alla anno 2007. Molti
testi sono la trascrizione di conferenze e ne mantengono la forma colloquiale. Poichprogrammazione di queste iniziative segue gli obiettivi generali che il Museo Diotti si dato nel suo atto costitutivo, il notiziario si offre anche come una prima verifi ca del lavoro
qui riportate.
Il Museo Diotti fa proprie innanzitutto le generali di ogni istituzione museale
defi nite dall’International Council of Museums “un’istituzione permanente,
senza fi ni di lucro, al servizio della societ
e del suo sviluppo, aperta al pubblico,
di ricerca su tutte le
testimonianze materiali dell’uomo e del
suo ambiente, le colleziona, le conserva, ne
diffonde la conoscenza e soprattutto le espone
di studio, di didattica e di diletto
un’istituzione civica che intende alimentare nei cittadini la consapevolezza dell’importanza del patri-monio, quale premessa indispensabile per
effi cace tutela e valorizzazione; inoltre un luogo privilegiato in cui
artistica del territorio trova la massima espressione e, nello stesso tempo, si apre al confronto con forme artistiche e pubblici di diversa natura e provenienza.
specifi che del Museo Diotti sono:1) riunire, per quanto possibile, in un’unica
sede il patrimonio delle Civiche Raccolte d’Arte, garantendone in questo modo una miglior conservazione, valorizzazione e
al patrimonio artistico locale conferendogli signifi cativitun disegno storico-culturale tradotto
3) valorizzare il periodo compreso fra l’etd’Italia in quanto
momento culturale fecondo della storia
4) assecondare, attraverso le scelte espo-
ATTIVITA’ DEL MUSEO - EVENTI
Sabato 19 maggio, ore 17Conferenza-intervista: In occasione della mostra “I Padova di Florenzio”,
Conversazione sulla pittura di
Goliardo Padova, a cura di Valter Rosa e Florenzio Padova.
Domenica 20 maggioVisite guidate: In occasione della IX Settimana della Cultura “C’è l’arte
per te”, visite guidate per adulti a cura del Conservatore. Partecipa alla visita una delegazione della Società Storica Viadanese.Visita animata per ragazzi e famiglie a cura di Luisa Zanacchi.
Giovedì 24 maggioVisita dell’ANISA di Cremona.
Venerdì 25 maggioMini mostre-maxi opere: da oggi sino al 31 dicembre 2007 è esposto un dipinto di Giovanni Carnovali raffi gurante l’Adorazione dei magi di collezione privata. L’opera viene collocata sopra un antico cavalletto nella sala del Giuramento di Pontida.
Sabato 26 maggio, ore 17Conferenza-proiezione: Presentazione del fi lmato “Giovanni Carnovali
detto il Piccio (1804-1873) attraverso
i luoghi della sua vita e della
sua pittura” realizzato da Achille Locatelli e Carolina De Vittori, a cura dell’Associazione Culturale Amici di Giovanni Carnovali detto il Piccio, Montegrino (Varese). Dopo la relazione introduttiva di Carolina De Vittori, segue la proiezione del fi lmato.
Fine maggio- inizio giugnoRiallestimento della vetrina nella sala del Giuramento di Pontida con alcune nuove opere concesse in deposito dal nob. Pietro Longari Ponzone, fra cui un disegno di Giovanni Carnovali.
Domenica 3 giugno, Brescia, via dei Musei, ore 10-18Apertura di uno stand del Museo Diotti in occasione della Festa di Santa Giulia.
Martedì 6 giugno, ore 19 Visita guidata a cura del Conservatore per i soci del Rotary Club Casalmaggiore Oglio Po.
Mercoledì 13 giugno, ore 21Conferenza: Civiche Raccolte d’Arte: presentazione dei restauri
recenti a cura dello Studio di restauro Dario e Marco Sanguanini di Rivarolo
Mantovano, con intervento di Giovanni Rodella, funzionario di zona della Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico delle Province di Brescia, Cremona e Mantova. In sala sono esposti la Trinità di M.A, Ghislina e Simone e Giuda di scuola bresciana del Cinquecento.
Mercoledì 27 giugno, ore 21Serata fi nale di premiazione dell’iniziativa “Chi trova un museo trova un tesoro” realizzata dalla rete Leadermuseum del GAL Oglio Po Terre d’acqua.
Giovedì 28 giugno, ore 21-23Apertura straordinaria serale gratuita con visite guidate in occasione dell’iniziativa “I giovedì dei commercianti”.
Mercoledì 18 luglio, ore 21, Inaugurazione di due installazioni di giovani artisti, presentate dal Conservatore ed esposte sino al 30 agosto.- Nel Laboratorio didattico: Michele
Napoli, Forma, ambiente sonoro. Cinque sfere in ceramica, terracotta e gesso;
- Nel cortile del Museo: Luisa Vanzetta, Bosco sonoro. Installazione sonora in abete rosso da risonanza della Val di Fiemme.
L’evento si colloca nell’ambito delle iniziative a latere del “Casalmaggiore International Festival”. Con questa mostra prende avvio l’iniziativa “Lettera d’artista”, un foglio A4 di carta intestata del Museo sul quale ciascun artista è invitato ad autopresentarsi o a presentare il proprio lavoro o ad esprimere un pensiero.
Sabato 15 settembre 2007, ore 17Presentazione catalogo: Presentazione del volume di Valter Rosa, Goliardo Padova. Catalogo della mostra “I
Padova di Florenzio”. Seguito dal
catalogo delle opere dell’artista
conservate nelle Civiche Raccolte d’Arte
di Casalmaggiore, Casalmaggiore, Biblioteca A. E. Mortara, 2007.Inaugurazione: Saletta della quadreria dei benefattori della Fondazione Conte Busi onlus, allestita nel laboratorio di restauro, ora punto di connessione fra la sala didattica e l’ala del Palazzo Diotti occupata dal Centro di documentazione e dallo Spazio Rossari.
Sabato 22 settembreVisita guidata, a cura del Conservatore,
del CdA della Fondazione Conte Busi onlus di Casalmaggiore.
Sabato 29 settembre, ore 20,30-23,30Una notte al Museo.Concerto L’opera ... da Camera del
Trio Fernando Sor (M. P. Morijon, mezzosoprano; D. Gaspari, tenore; M. Zanatta, chitarra) nello Spazio Rossari.Visita animata per ragazzi e famiglie a cura di Luisa Zanacchi.
Martedì 2 ottobreVisita guidata di rappresentanti della Delegazione ONU dei Popoli.
Giovedì 18 ottobre 2007Conferenza stampa: l’assessore alla cultura Francesco Sanfi lippo, la Responsabile dei Servizi Educativi dei Musei Civici Roberta Ronda e l’operatrice didattica Luisa Zanacchi presentano i 13 percorsi predisposti dal Museo Diotti per le scuole.
Sabato 20 ottobre 2007, ore 17Inaugurazione mostra: Laura Locci, Mani di fata. Sculture in maglia di lana, aperta sino al 18 novembre nello Spazio Rossari. Presentazione a cura di V. Rosa.Viene diffusa la “Lettera d’artista” n. 3.
Domenica 21 ottobre, Casteldidone, Cascina Cavalca, ore 17-19Apertura di uno stand del Museo
Diotti in occasione della manifestazione “Nonsolomelone”.
1, 2, 3, 4 novembre 2007Apertura gratuita del Museo in occasione della Fiera di San Carlo.
Sabato 24 novembre 2007, ore 15Visita guidata a cura del Conservatore per la delegazione cremonese del FAI coordinata da Paola Murador Oradini.
Lunedì 10 dicembre, Milano, Auditorium “Giorgio Gaber”, ore 14La qualità entra al museo! Cerimonia di consegna del marchio ai Musei e alle Raccolte museali riconosciuti dalla Regione Lombardia.
Sabato 15 dicembre 2007, ore 17Inaugurazione mostra: Animula vagula blandula di Giorgio Tentolini, allestita nello Spazio Rossari e aperta sino al 27 gennaio 2008. Presentazione di Valter Rosa. Per l’occasione Tentolini realizza un catalogo-opera diffuso gratuitamente e proposto incorniciato e fi rmato come gadget del Museo.Viene diffusa la “Lettera d’artista” n. 4.
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ATTIVITA’ DEL MUSEO - EVENTI
Sabato 19 maggio, ore 17Conferenza-intervista: In occasione della mostra “I Padova di Florenzio”,
Conversazione sulla pittura di
Goliardo Padova, a cura di Valter Rosa e Florenzio Padova.
Domenica 20 maggioVisite guidate: In occasione della IX Settimana della Cultura “C’è l’arte
per te”, visite guidate per adulti a cura del Conservatore. Partecipa alla visita una delegazione della Società Storica Viadanese.Visita animata per ragazzi e famiglie a Visita animata per ragazzi e famiglie a Vcura di Luisa Zanacchi.
Giovedì 24 maggioVisita dell’ANISA di Cremona.
Venerdì 25 maggioMini mostre-maxi opere: da oggi sino al 31 dicembre 2007 è esposto un dipinto di Giovanni Carnovali raffi gurante l’Adorazione dei magi di collezione privata. L’opera viene collocata sopra un antico cavalletto nella sala del Giuramento di Pontida.
Sabato 26 maggio, ore 17Conferenza-proiezione: Presentazione del fi lmato “Giovanni Carnovali
detto il Piccio (1804-1873) attraverso
i luoghi della sua vita e della
sua pittura” realizzato da Achille Locatelli e Carolina De Vittori, a cura dell’Associazione Culturale Amici di Giovanni Carnovali detto il Piccio, Montegrino (Varese). Dopo la relazione introduttiva di Carolina De Vittori, segue la proiezione del fi lmato.
Fine maggio- inizio giugnoRiallestimento della vetrina nella sala del Giuramento di Pontida con alcune nuove opere concesse in deposito dal nob. Pietro Longari Ponzone, fra cui un disegno di Giovanni Carnovali.
Domenica 3 giugno, Brescia, via dei Musei, ore 10-18Apertura di uno stand del Museo Diotti
in occasione della Festa di Santa Giulia.
Martedì 6 giugno, ore 19 Visita guidata a cura del Conservatore per i soci per i soci deldel Rotary Rotary Club Casalmaggiore Club Casalmaggiore Oglio Po.Oglio Po.
Mercoledì 13 giugno, ore 21Conferenza: Civiche Raccolte d’Arte: presentazione dei restauri
recenti a cura dello Studio di restauro Dario e Marco Sanguanini di Rivarolo
Mantovano, con intervento di Giovanni Rodella, funzionario di zona della Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico delle Province di Brescia, Cremona e Mantova. In sala sono esposti la Trinitàdi M.A, Ghislina e Simone e Giuda di scuola bresciana del Cinquecento.
Mercoledì 27 giugno, ore 21Serata fi nale di premiazione dell’iniziativa “Chi trova un museo trova un tesoro” realizzata dalla rete Leadermuseum del GAL Oglio Po Terre d’acqua.
Giovedì 28 giugno, ore 21-23Apertura straordinaria serale gratuita con visite guidate in occasione dell’iniziativa “I giovedì dei commercianti”.
Mercoledì 18 luglio, ore 21, Inaugurazione di due installazioni di giovani artisti, presentate dal Conservatore ed esposte sino al 30 agosto.- Nel Laboratorio didattico: Michele
Napoli, Forma, ambiente sonoro.Cinque sfere in ceramica, terracotta e gesso;
- Nel cortile del Museo: Luisa Vanzetta, Bosco sonoro.Installazione sonora in abete rosso da risonanza della Val di Fiemme.
L’evento si colloca nell’ambito delle iniziative a latere del “Casalmaggiore International Festival”. Con questa mostra prende avvio l’iniziativa “Lettera d’artista”, un foglio A4 di carta intestata del Museo sul quale ciascun artista è invitato ad autopresentarsi o a presentare il proprio lavoro o ad esprimere un pensiero.
Sabato 15 settembre 2007, ore 17Presentazione catalogo: Presentazione del volume di Valter Rosa, Goliardo Padova. Catalogo della mostra “I
Padova di Florenzio”. Seguito dal
catalogo delle opere dell’artista
conservate nelle Civiche Raccolte d’Arte
di Casalmaggiore, Casalmaggiore, Biblioteca A. E. Mortara, 2007.Inaugurazione: Saletta della quadreria dei benefattori della Fondazione Conte Busi onlus, allestita nel laboratorio di restauro, ora punto di connessione fra la sala didattica e l’ala del Palazzo Diotti occupata dal Centro di documentazione e dallo Spazio Rossari.
Sabato 22 settembreVisita guidata, a cura del Conservatore,
del CdA della Fondazione Conte Busi onlus di Casalmaggiore.
Sabato 29 settembre, ore 20,30-23,30Una notte al Museo
Concerto L’opera ... da Camera
Trio Fernando Sor
mezzosoprano
Zanatta, chitarraVisita animatacura di Luisa Zanacchi.
Martedì 2 ottobreVisita guidata
Delegazione ONU dei Popoli.
Giovedì 18 ottobre 2007Conferenza stampa
alla cultura Francesco Sanfi lippo, Responsabile dei Servizi Educativi dei Musei Civicil’operatrice didattica Luisa Zanacchi presentano i 13 percorsi predisposti dal Museo Diotti per le scuole.
Sabato 20 ottobre 2007, ore 17Inaugurazione mostra
Mani di fata. Sculture in maglia di lanaaperta sino al 18 novembre nello Spazio Rossari. Presentazione a cura di V. RosaViene diffusa la
Domenica 21 ottobre, Casteldidone, Cascina Cavalca, ore 17-19Apertura diDiotti in occasione della manifestazione “Nonsolomelone”.
1, 2, 3, 4 novembre 2007Apertura gratuita
occasione della Fiera di San Carlo.
Sabato 24 novembre 2007, ore 15Visita guidata
per la delegazione cremonese del FAI coordinata da Paola Murador Oradini.
Lunedì 10 dicembre, Milano, Auditorium “Giorgio Gaber”, ore 14La qualità entra al museo!di consegna del marchio ai Musei e alle Raccolte museali riconosciuti dalla Regione Lombardia.
Sabato 15 dicembre 2007, ore 17Inaugurazione mostra
blandula di Giorgio Tentolininello Spazio Rossari e aperta sino al 27 gennaio 2008. Presentazione di Valter Rosa. Per lun catalogo-opera diffuso gratuitamente e proposto incorniciato e fi rmato come gadget del Museo.Viene diffusa la
ATTIVITA’ DEL MUSEO - EVENTI
del CdA della Fondazione Conte Busi onlus di Casalmaggiore.
Sabato 29 settembre, ore 20,30-23,30Una notte al Museo
L’opera ... da Camera
Trio Fernando Sor
mezzosoprano
chitarra
Visita animatacura di Luisa Zanacchi.
Martedì 2 ottobreVisita guidata
Delegazione ONU dei Popoli.
18 ottobre 2007Conferenza stampa
alla cultura Francesco Sanfi lippo, Responsabile dei Servizi Educativi dei Musei Civicioperatrice didattica Luisa Zanacchi
presentano i 13 percorsi predisposti dal Museo Diotti per le scuole.
Sabato 20 ottobre 2007, ore 17Inaugurazione mostra
Mani di fata. Sculture in maglia di lanaaperta sino al 18 novembre nello Spazio Rossari. Presentazione a cura di V. RosaViene diffusa la
Domenica 21 ottobre, Casteldidone, Cascina Cavalca, ore 17-19Apertura di
in occasione della manifestazione “Nonsolomelone”.
1, 2, 3, 4 novembre 2007Apertura gratuita
occasione della Fiera di San Carlo.
Sabato 24 novembre 2007, ore 15Visita guidata
per la delegazione cremonese del FAI coordinata da Paola Murador Oradini.
Lunedì 10 dicembre, Milano, Auditorium “Giorgio Gaber”, ore 14La qualità entra al museo!di consegna del marchio ai Musei e alle Raccolte museali riconosciuti dalla Regione Lombardia.
Sabato 15 dicembre 2007, ore 17Inaugurazione mostra
di Giorgio Tentolini
nello Spazio Rossari e aperta sino al 27 gennaio 2008. Presentazione di Valter
’un catalogo-opera diffuso gratuitamente e proposto incorniciato e fi rmato come gadget del Museo.Viene diffusa la
E S P O S I Z I O N I
MICHELE NAPOLILettera d’artista n. 2
FORMA, AMBIENTE SONORO
Forma, ambiente sonoro” è il risultato di una riflessione sulla dimensione della Scultura.La materia immersa nella realtà circostante è linguaggio, mezzo di comunicazione tra fruitore e opera. L’ambiente stesso è componente fondamentale del loro dialogo, e il contesto in cui sono posti (sia esso spaziale, temporale, culturale o storico) stabilisce il punto di partenza per l’avvicinamento al lavoro artistico. L’opera genera una relazione che si esplica nella comunicazione artistica (nelle sue forme più varie) esclusivamente nella misura in cui si fa presente alla sensibilità percettiva/cognitiva/emozionale dell’osservatore, attende il suo risuonare nell’Uomo per poter essere.L’installazione per questa mostra vuole evidenziare l’aspetto fondante che l’ambiente ha per la comunicazione tra soggetti. Qui la materia propria della scultura diventa traduttrice dello spazio che la circonda, agendo come cassa di risonanza. “Forma, ambiente sonoro” è così nome esplicativo del meccanismo che si innesta tra spettatore e opera grazie al ruolo della fisicità di quest’ultima come mezzo di comunicazione. La modificazione dell’ambiente trasforma l’aspetto dell’opera che viene offerta come continua variazione alla sensibilità dell’osservatore. Il suono diventa forma, prende una dimensione spaziale.Il video, parte integrante dell’installazione, non vuole essere né esecuzione né performance, ma semplicemente il modo di rendere esplicito come questo meccanismo s’instauri non solo tra scultura e spettatore, ma anche tra le sculture stesse. Le frequenze sonore, generate dalla traduzione che le sfere attuano sull’ambiente, influiscono sull’ambiente stesso e quindi sulle altre sfere. Interferire in questa dinamica impedendo l’emissione sonora delle sculture dà luogo ad un dialogo in continua variazione.
Michele Napoli
Michele Napoli, nato a Milano nel 1983, vive e lavora a Lodi. Dopo la maturità scientifica, si è iscritto all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, dove attualmente frequenta l’ultimo anno del corso quadriennale di Scultura del prof. Paolo Gallerani.
2003 Partecipa al 1°Workshop di Scultura in legno, Faculty of Fine Arts of Brno University of Tecnology, Brno, Repubblica Ceca, prof Michael Gabriel, Accademia di Belle Arti di Brera, Milano, prof. Paolo Gallerani.
2004 Partecipa al 9°Workshop di Scultura in pietra di Vicenza, Grancona (Vicenza), Accademia di Belle Arti di Brera, Milano, prof. Paolo Gallerani.
2005 Partecipa al 10°Workshop di Scultura in pietra di Vicenza, Grancona (Vicenza), Accademia di Belle Arti di Brera, Milano, prof. Paolo Gallerani.
2007 Partecipa al Salon Primo dell’Accademia di Brera al Museo della Permanente di Milano.
LUISA VANZETTALettera d’artista n. 1
BOSCO SONORO
Quando mi allontano dalla mia valle, soffro del distacco e gioisco dell’abbraccio che essa mi offre ad ogni ritorno.Da questo è nata l’esigenza di realizzare un lavoro per il bosco, il nostro bosco, e di stringere una collaborazione con la Magnifica Comunità di Fiemme che nei secoli ha saputo conservare e valorizzare questo bosco, ritenendolo il primo bene della valle.Tutto quello che percepiamo attraverso la vista e l’udito giunge a noi tramite onde, onde sonore o luminose. Attraverso questa installazione sonora voglio rendere visibile l’onda che si propaga nello spazio. L’energia che mette in vibrazione la prima tavoletta si trasmette con un effetto a catena alle tavolette successive producendo un suono che si propaga nell’etere, e il processo di trasmissione del suono che avviene in ogni singola tavoletta di legno diventa evidente nell’intera struttura.Ogni tavoletta comunica con la successiva e con la precedente, insieme comunicano all’aria. Sette le serie di tavolette, come sette le note musicali e sette i colori dello spettro solare che si manifestano sia nella colorazione delle tavolette sia nella lunghezza delle stesse che riportano ingigantita la lunghezza d’onda d’ogni singolo colore.Così il bosco compare sia visivamente, - la luce filtra dall’alto fra i rami, passa attraverso l’umidità del mattino e si scompone in mille colori, - sia nei suoi suoni legnosi, come quelli del picchio, dello scricchiolio nel vento, dei boscaioli che lo curano.Il protagonista assoluto è il legno. Quelli che si ottengono sono suoni di legno.Al suo interno la vibrazione percorre il suo spazio; spostandosi nello spazio, si trasmette al pezzo successivo e così via. Lo spazio è percorso, misurato sia visivamente, attraverso il movimento delle tavolette, sia sonoramente, dalle onde sonore trasmesse all’aria con un “tic toc” ritmico che misura il tempo, a volte frenetico, a volte tranquillo.
Un grazie ad Alessandro Tossani, maestro liutaio. Luisa Vanzetta
Nata a Cavalese nel 1976, consegue la maturità
d’arte applicata presso l’Istituto d’Arte di Pozza di
Fassa. Dopo esperienze lavorative diverse, tra cui
quella di grafico in uno studio di comunicazione
pubblicitaria, si trasferisce nel 2001 a Milano
dove frequenta l’Accademia di Belle Arti di Brera,
conseguendo il diploma nel corso di Scultura. In
questi anni partecipa a diverse mostre collettive, tra
cui il “Salon Primo” al palazzo della Permanente
nel 2002, “Le stanze del cibo” al Macef nel 2005
e “- passato + domani” al Centro Leoni di Milano
sempre nello stesso anno. Nel 2004 realizza una
Madonna Assunta lignea per la chiesa di Castello
di Brenzone nel comune di Malcesine. Tra il 2004 e
il 2005 ottiene dalla Magnifica Comunità di Fiemme
una sponsorizzazione per la realizzazione dell’opera
Bosco sonoro. Nel 2006, con il patrocinio del
comune di Melegnano, realizza una prima personale
dal titolo “Legni”.
Mostre 2007
Goliardo Padova, Gianfranco Manara, Giorgio Tentolini, Laura Locci, Luisa Vanzetta e Michele Napoli sono i nomi degli artisti presentati con antologiche o installazioni nel 2007 al Museo Diotti.Di Goliardo Padova abbiamo dato conto nel relativo catalogo e, in questa sede, nella sezione delle conferenze. Per quanto riguarda Gianfranco Manara, di cui si è tenuta una mostra di incisioni e una conferenza del prof. Stefano Fugazza, direttore della Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi di Piacenza, i materiali raccolti confluiranno nel prossimo notiziario.Vogliamo qui dare spazio invece del lavoro dei giovanissimi, a partire dagli artisti in formazione, come i già bravi Vanzetta, Napoli e Locci, neodiplomati dell’Accademia di Brera, che presentiamo attraverso alcune immagini delle loro installazioni e soprattutto attraverso le loro “lettere d’artista”, mentre aggiungiamo un testo critico sulle opere di Giorgio Tentolini, giovane artista locale già presente sulla scena internazionale, il cui lavoro si presta a qualche considerazione sull’uso della storia dell’arte nella critica.
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E S P O S I Z I O N I
LUISA VANZETTA
E S P O S I Z I O N I
MICHELE NAPOLI
E S P O S I Z I O N Ile di origine animale, pare quasi affamato di matematica: nelle forme coniche in-fatti ho notato che quanto più si segue un processo generativo calcolato, costante e ripetibile all’infinito, tanto più il cono si regge in piedi da solo. Con questa tecnica facciamo coincidere la forma interna con quella esterna.Il tappeto che propongo, invece, ha forme molto meno controllate e univoche rispetto ai coni. L’equazione che lo determina non segue un andamen-to concentrico ma la sovrapposizione sequenziale di uno stesso principio, riga su riga. Qui le matematiche generative sono state definite a priori e la forma è stata lasciata più libera di reagire ad esse, quindi le forme sono più comples-se e, a seconda di come lo si dispone, molto diverse tra loro anche se genera-te dallo stesso calcolo. Del tappeto si possono percepire simultaneamente due “equazioni” o “regole” o “limiti”posti dal principio generativo: l’andamento orizzontale e le posizioni dei punti di aumento che generano la forma. Questi si presentano come dimensioni inconcilia-bili che però, nel loro punto di interse-zione, entrano nella sfera del visibile, presentandoci questo particolare tappeto.I concetti di forma interna ed esterna e di coesistenza tra vari livelli di significato nella realtà sono effimeri e instabili. Il grande William Hogarth (1697-1764), con il saggio L’Analisi della bellezza (1753), e io, con le mie sculture di lana,
abbiamo cercato di regalare un po’ di pace a questi irrequieti concetti.Il nostro fantastico materiale di origine animale, arricchito delle più svariate colorazioni, si è prestato anche alla produzione di alcune maschere che dal mio armadio si sono scelte degli abiti, tutti fatti a mano, e in un attimo sono diventate personaggi a sè stanti, con un carattere proprio, che persiste se indossate da me, da un ma-nichino o da uno qualunque di voi. Esse si muovono insieme alla faccia di chi le indossa, impedendogli di riconoscersi allo specchio, sortendo sul soggetto un vago effetto psicotropo, simile a quello della maschera verde di un famoso film comico. Chi poi lo vorrà, sarà libero di pensare che sono solo dei cappelli di lana da folletto!
Laura Locci
Laura Locci, giovane artista milanese, si è diploma-ta in Scultura all’Accademia di Belle Arti di Brera-Milano. Questa è la sua prima mostra personale.
LAURA LOCCI
Lettera dʼ’artista n. 3
MANI DI FATA
La forma, specialmente in natura, ha in sè qualcosa di matematico, poiché ogni forma, vivente o meno, è caratterizzata da un peculiare processo generativo “a catena”, che le permette di svilupparsi.Il processo generativo pone allo sviluppo di ogni forma dei limiti proporzionali for-mali e temporali, motivo per il quale non ci sono uomini alti 7 metri o diamanti quadrati che si formano in pochi giorni. I dati dell’equazione che determina questi processi generativi sono intrinseci nelle caratteristiche chimiche e meccaniche di ogni materiale e nel DNA per gli esseri viventi.Nell’atto di fare queste forme di lana, esse stesse mi hanno dimostrato come la definibilità delle forme attra-verso precise sequenze numeriche sia indispensabile alla natura per ottenere la stabilità e alla “forma” stessa, per non essere definita informe. Pensiamo ad esempio alle chiocciole: se il materiale calcareo con cui costruiscono il proprio guscio si disponesse intorno ad esse in maniera casuale, sarebbe instabile, rischiando di rompersi, magari di ferire la lumaca, oppure sarebbe semplicemen-te d’intralcio. Anche la struttura frattale delle piante è loro indispensabile per crescere, sostenersi e nutrirsi.Allo stesso modo il filato di lana, fantastico materia-
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E S P O S I Z I O N I
LAURA LOCCI
E S P O S I Z I O N Irighe che lui ha scritto sul proprio lavoro ha fornito un punto di vista estremamente efficace, prezioso, che ha guidato anche me per la presentazione che ho scritto per la stampa locale. Quindi il mio non vuole essere un intervento critico sul suo lavoro, anche perché io intendo il mio lavoro di studioso e di critico d’arte (focalizzato non solo sul contemporaneo, ma sull’intero percorso della storia dell’arte) in una accezione particolare, e non solo il solo a pensarla in questo modo: per me fare critica in relazione a un’opera attuale assume il senso di un’operazione interessante se investe completamente l’intero arco della storia dell’arte. Il grande valore dell’arte contemporanea è questo: riattivare la storia, capovolgerla, portarci a misurarla, a valutarla, a ripercorrerla con un’ottica diversa, scoprendo anche delle potenzialità, delle bombe inesplose anche nel corso di tutta la storia dell’arte che non è mai un percorso definito una volta per tutte, ma qualcosa da riscrivere continuamente in relazione al farsi dell’arte attuale. Allora facendo riferimento alle ultime opere che Tentolini ha sviluppato, che poi hanno dato il titolo (bellissimo) da lui scelto per questa mostra, propongo in maniera molto rapida una sequenza di opere famose, tratte dalla storia dell’arte, in relazione al tema, che io ritengo possa fornire una traccia importante, “l’uomo che cammina” e in relazione anche alla forma attraverso cui l’artista ha portato il suo contributo intorno a questo tema. Più che una chiave di lettura, quella che intendo offrire è una sorta di suggestione, che può suggerire delle idee, un modo di guardare anche il suo lavoro, ma che certamente non lo spiega e non lo vuole esaurire.Artisticamente parlando, l’uomo antico non cammina. L’antichità non conosce questa dimensione, nel senso che tutti quelli che hanno cominciato a riflettere su questa questione, a partire dal Laocoonte di Lessing sino all’età contemporanea, non hanno potuto fare a meno di rilevare la misura attraverso cui l’antico esprimeva il senso del movimento e l’espressione. C’è sempre una misura per cui un movimento reale deve essere in qualche modo modificato ad arte, non reso nella sua verità, così pure come l’espressione di un dolore, di una gioia estrema devono trovare una forma, una misura per poter essere espressi. Tutto questo apparteneva all’antico, che conosceva questo stato di grazia attraverso cui anche un movimento, lo spostamento del corpo non era espresso attraverso una marcia, ma era espresso attraverso un lento incedere, un modo di porre il corpo esprimente armonia e non disarmonia. Questa riflessione che scaturisce a partire dal XVIII secolo culmina poi con il magistrale saggio di Freud sulla Gradiva, dove la nostalgia dell’antico modo di intendere il movimento sfociava poi nel delirio, nell’inseguire questo fantasma di fanciulla incedente. L’uomo che cammina è una conquista invece della modernità: dentro la tradizione giudaico-cristiana mi piace iniziare il
Museo Diotti15 dicembre 2007 ore 17,00“Animula Vagula Blandula”:
inaugurazione della mostra di Giorgio
Tentolini
Valter Rosa
Giorgio Tentolini, giovanissimo artista, ha già un curriculum piuttosto significativo, con attestati di stima e riconoscimenti che ha acquisito nel corso di diverse esposizioni, anche in luoghi prestigiosi, in Italia e all’estero. Artista locale, certamente, ma già proiettato in dimensione internazionale. Un omaggio a lui era quasi in un certo senso dovuto, non solamente perché fra i giovani artisti locali è, secondo me, uno dei più interessanti, non solo per la sua alta professionalità, che coniuga l’attività legata alla sua professione di grafico pubblicitario, a questa attività propriamente artistica, senza che ci sia in realtà una vera e propria soluzione di continuità fra queste due esperienze, anzi con una felice confluenza delle due esperienze che è interessante rimarcare anche ai fini della lettura del suo lavoro. Un omaggio dovuto, dicevo, anche per quanto riguarda lo spazio in cui ci troviamo: in occasione della prima esposizione che si è tenuta a Palazzo Diotti, quando non era ancora Museo (l’antologica dedicata a Goliardo Padova), Giorgio Tentolini ci ha dato un aiuto formidabile nella fase di allestimento, di regia complessiva di quel primo evento, quindi era giusto tributargli anche questo tipo di riconoscimento legato proprio al luogo in cui ci troviamo. Il lavoro di Giorgio è a una prima occhiata semplice. Se ci affidiamo ad uno sguardo piuttosto superficiale, guardando i suoi lavori abbiamo l’impressione di trovarci di fronte a dei giochi di ottica. Il suo atelier ideale potrebbe sembrare a prima vista un gabinetto di fisica divertente, come quelli che si usavano nel ‘700 e che appassionavano appunto sia i dilettanti di fisica, ma anche filosofi e scienziati in senso stretto. In realtà i suoi apparenti giochi di ottica stratificano una complessità di sensi, di significati che di volta in volta si resta sorpresi di scoprire e intravedere, e poche spiegazioni riescono ad esaurire compiutamente il senso di questi lavori. Ciò avviene a volte attraverso piccoli scarti che lui introduce dentro un’operazione apparentemente solo ottica, certi travasi di immagini da superfici fredde o da supporti di tipo fotografico digitale a supporti che implicano una materialità, un contatto fisico, supporti più caldi, ecco. Il rischio di ogni lettura critica applicata al suo lavoro è proprio quello di operare in senso riduttivo, semplificatorio rispetto alla complessità di questi temi. La miglior chiave critica credo l’abbia fornita proprio lui nel testo pubblicato sul catalogo e che noi abbiamo riproposto nella solita “lettera d’artista” che affianca la mostra. Giorgio Tentolini afferma di non sapere scrivere, eppure in quelle poche
GIORGIO TENTOLINI
Lettera d’artista n. 4
ANIMULA VAGULA BLANDULA
Le mie piccole anime sono frammenti di tempo, simili a leggere scosse elettriche, sono quegli istanti in cui l’attenzione è catturata da un particolare che concentra lo sguardo, sono momenti di silenzio circondati da frastuono, sono il “la” per una fuga di pensieri e talvolta la soluzione di enigmi.
Partendo da questi istanti rubati, scavando le ombre e stratificando le profondità, lavoro su una diversa fruizione dell’immagine fotografica. Tralascio l’aspetto narrativo e queste immagini non esternano nulla di intimo o di emozionale. Sono profondamente legato alle mie piccole anime, la fatica di realizzare queste opere è come un piccolo patto di gratitudine rivolto a loro.
Giorgio Tentolini
Giorgio Tentolini è nato a Casalmaggiore nel 1978. Compie i primi studi in arti grafiche presso l’Istituto d’Arte P. Toschi di Parma; nel 1999 consegue il diploma del corso di Design e Comunicazione presso l’Università del Progetto di Reggio Emilia. Dopo un tirocinio formativo presso l’atelier di artisti e designer come Marco Nereo Rotelli e Denis Santachiara, nel 2002 inizia la sua attività di grafico e illustratore per case e riviste di moda presso l’agenzia Lifesaver s.r.l. di Parma. Negli stessi anni prende avvio la sua attività propriamente artistica con videoinstallazioni presentate in alcune collettive, dove ottiene significativi riconoscimenti: si segnala la sua partecipazione alla manifestazione “Chimere in città”, tenuta nell’ottobre 2003 alla Galleria Ricci Oddi di Piacenza, dove l’installazione Talkingheads consegue il primo premio della giuria. Seguono nel 2004 installazioni a Cremona (Alfabeto luminoso, videoproiezione sulla facciata del Palazzo Comunale), Casalmaggiore (Settestrade nell’Edicola dell’Arte), Viadana (Genomi, Galleria Bedoli), Ferrara (Biennale internazionale nelle sale dell’Imbarcadero del Castello Estense), Brescia, Torino e Napoli. Tiene le sue prime personali a Parma nel 2005 (Elevazioni 1, Galleria Alphacentauri) e nel 2006 (Genomi 7, Vetrina d’Arte). Nella sua attività espositiva più recente si segnala la partecipazione alle seguenti rassegne:2005, Sguardi, in Arte Parma 2005, Parma Fiere, Parma;2005, Fotosintesi, Chiesa di Sant’Agostino, Piacenza;2005, Oltre il corpo, Galleria Carloulivi115, Prato;2006, Primavera, Tara Bryan Gallery, Londra;2006, MUV-Music and Digital Art Festival, Limonaia di Villa Strozzi, Firenze;2006, Elevazioni 2, Corte delle Giare, Ragazzola (Parma);2006, Confini, Palazzo Pigorini, Parma.Nel 2007 vince la selezione locale di Arti Visive organizzata dal Comune di Parma che gli consentirà di partecipare alla XIII Biennale dei Giovani Artisti dell’Europa e del Mediterraneo (maggio 2008).
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E S P O S I Z I O N Ipercorso con questa opera celeberrima del Masaccio, La cacciata dal Paradiso Terrestre, dalla Chiesa del Carmine di Firenze, 1425: l’uomo cammina e quindi abbandona una situazione di grazia, perde l’Eden e in questo cammino scopre anche la sua nudità. Ecco, il tema della nudità è centrale in tutta la vicenda che si può raccontare attraverso l’arte dell’uomo che cammina.Il senso della caduta e della fatalità dell’andare verso la morte è espresso sul piano di una parabola, la Parabola dei Ciechi (1568), in questo dipinto di Bruegel il Vecchio.Ma procedendo velocemente in direzione dell’arte a noi più vicina, ecco L’homme qui marche, di Rodin: forse non tutti ricordano che è una rielaborazione tardiva del 1900-1907 di un’idea precedente di almeno 20 anni, legata a una scultura raffigurante S. Giovanni Battista. Quindi questo è ancora un San Giovanni decollato, però proiettato in una dimensione totalmente nuova, moderna; diventa l’uomo che cammina e si apre ad altre considerazioni, a questa volontà di potenza senza testa, a questo movimento inteso come pura azione, senza soggettività, senza sentimenti. Questa scultura sfida proprio l’idea della rappresentabilità del movimento stesso, di questo movimento potente attraverso la forma plastica.Naturalmente proprio negli stessi anni, anzi un po’ prima, la fotografia svolge un ruolo fondamentale nel mettere a nudo l’impensato, l’invisibile nel movimento umano. Marey,
La marcia dell’uomo vista da sopra, una cronofotografia, una delle tante di Marey che aiutano a intravedere ciò che non è mai stato rappresentato in arte nella percezione del movimento stesso: anche la parte più disarmonica del movimento. Esperienza fondamentale, la fotografia, che è la base del Futurismo; ma l’acquisizione, la
conseguenza più interessante non è certo nelle forme uniche nella continuità dello spazio di Boccioni, quanto invece nel Nudo che scende le scale di Marcel Duchamp, del 1912, opera antiboccioniana da molti punti di vista: non è tanto la deformazione plastica prodotta dal moto che interessa l’artista, quanto una
sorta di trasformazione, un cambiamento di stato. In fondo è ancora l’uomo cacciato dal Paradiso Terrestre, però è un altro paradiso da cui viene cacciato. Infatti questa nuova nudità non segna il passaggio dall’animale all’uomo, bensì dall’uomo a una condizione ulteriore, macchinica, metamorfica, altra comunque rispetto all’umanità.
Ma c’è un’altra dimensione in cui leggere l’homme qui marche, l’uomo che cammina, in un percorso a ritroso, alla ricerca dell’Eden perduto, o meglio in quella dimensione possibile dell’Eden che sta nella domenica, nel momento festivo, nella conquista dell’ozio come liberazione dal lavoro. È un grande fotografo questo, August Sander, Giovani contadini che vanno a
ballare, 1914.Oppure ancora in maniera più decisa, questo passo, questo uomo che cammina procede nella direzione di un riscatto, di unmovimento di libera-zione, verso il “sol dell’avvenire”: questo è uno studio del 1895 di Pellizza da Volpedo finalizzato alla realizza-zione del grande dipinto del Quarto Stato.Da leggersi subito in stretta relazione con un’altra età di rivolte, di tensioni sociali e di utopie con quest’opera di Beuys, La rivoluzione siamo noi, 1971.Di nuovo, la fotografia è stata nel ‘900 uno degli strumenti più formidabili per ridare
vita a delle percezioni distratte, per rimettere in scena dei fantasmi, delle ombre, fantasmi di persone o di animali e così via. Sotto la pioggia, nella nebbia, là dove la nostra facoltà di mettere a fuoco, in tutti i sensi, sia in senso ottico sia in un senso più profondo, risulta più complicata o comunque deviata: André
Giorgio Tentolini, Unknouwns, 2007, carta, 29,7x21 cm
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E S P O S I Z I O N IKertész, Place du Carosel, Parigi, 1929.Naturalmente non poteva mancare Alberto Giacometti, L’homme qui marche, lo stesso titolo della scultura di Rodin, 1960, con questa idea di tradurre in forma plastica le ombre, l’ombra dell’uomo.O ancor meglio questo disegno di Alberto Giacometti (1951) che è già la nostra “animula”.Poi c’è il problema della forma. Il lavoro di Giorgio Tentolini tocca a vari livelli, a vari strati (proprio come sono costruite le sue opere: a vari strati), la questione del tempo e della memoria. Sul tempo noi abbiamo tante idee, però riconducibili fondamentalmente a due, un’idea ciclica e un’idea di tempo irreversibile, come la freccia, oppure, come si dice, come l’acqua, come un fiume che scorre. Non ci si bagna mai due volte nella stessa acqua, se ci si immerge in un fiume. In realtà non è vero, perché se noi immergiamo questa mano nel fiume, si crea una specie di gorgo e nel gorgo l’acqua ritorna indietro, quindi ribagna per una seconda volta la stessa mano. E poi la mano trattiene un po’ di questa acqua. Il senso del presente, dell’ora è un senso che si è smarrito nella nostra società: si è smarrito curiosamente a fronte dell’ipervalutazione del presente. Conta solo il presente: il passato, la memoria non contano più e non conta nemmeno il futuro, perché non abbiamo abbastanza sogni e risorse per pensare al futuro; tutto è focalizzato sul qui e ora. Ma proprio in questa focalizzazione, in questa presa stretta e avara del presente, si smarrisce il senso del presente, che non è propriamente questo: il presente, l’ora è, come suggerisce un filosofo francese, il participio presente del verbo ‘mantenere’, mantenente, cioè letteralmente ‘trattenere con la mano’. In francese si dice proprio così, maintenant.
C’è una bellissima leggenda tramandata da Plinio, una leggenda romana, che riguarda la vestale Tuccia, una delle sacerdotesse custodi del fuoco sacro nel tempio dedicato ad Estia, la dea del focolare. Tuccia ad un certo punto venne accusata di adulterio e condannata ad una pena terribile, cioè ad essere sepolta viva; per provare la propria innocenza Tuccia scese al Tevere per attingere l’acqua con un setaccio e questo riuscì a trattenere l’acqua senza perderne una goccia. In questo modo Tuccia dimostrò la propria verginità e potè
essere riaccolta al tempio di Estia. Questa è un’opera straordinaria, una delle ultime di Andrea Mantegna, La vestale Tuccia, del 1500 circa, nella National Gallery di Londra, una tempera su tavola. Un’opera straordinaria da più punti di vista perché tutta l’opera è il setaccio: il setaccio è il presente, la possibilità di mantenere qualcosa che scorre come l’acqua; ma tutto il dipinto è un setaccio, perché il pittore ha solidificato qualcosa di estremamente mobile, come il movimento dell’aria, che fa volteggiare in maniera straordinaria questo panneggio, e
ha solidificato anche l’atmosfera che c’è dietro la figura: questa grisaille meravigliosa vuole fingere il bronzo dorato, mentre quello sfondo che sembra stia per liquefarsi finge un antico marmo orientale. E’ un trompe-l’oeil al quadrato, un inganno, un vero rebus per lo spirito. Si dice di Mantegna che aveva un cuore di marmo, proprio perché solidificava l’idea stessa del movimento: in realtà questo mi sembra un banalissimo modo di leggere il Mantegna. Il pittore giudica le cose, il tempo, la vita degli uomini, da un punto di vista
che non è quello della temporalità umana, si pone in una dimensione più vasta, cosmica; il suo tempo è quello geologico, ben oltre i limiti della storia umana, per cui in questo senso tutta l’opera è questo straordinario setaccio che trattiene la roccia e condensa nel presente l’infinità temporale.Non c’è niente di più liquido oggi del mondo delle immagini, più liquide dell’acqua: le immagini scorrono a milioni davanti ai nostri occhi, e il grosso lavoro, la grossa fatica è quella di riuscire a trattenere qualcosa di significativo: un setaccio non sempre trattiene quello che serve, anzi il più delle volte serve
per trattenere quello che è da buttare via. Tutto il problema sta lì, in quella soglia del setaccio, cioè nel capire quanto di quello che viene trattenuto è utile per la nostra memoria, quindi per formare la nostra coscienza, e quanto invece è quello che sta passando in quel momento e che forse dobbiamo cercare di mantenere in un altro modo. Questo mi ha suggerito di leggere i lavori di Giorgio Tentolini come dei formidabili crivelli…ma può darsi che non sia così.
Trascrizione di Letizia Frigerio
Giorgio Tentolini, Unheard, 2007, tecnica mista, 45x45x45 cm.
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C O N F E R E N Z E
Valter Rosa
Conversazione sulla pittura di Goliardo
Padova, con Florenzio Padova
Museo Diotti, Sala Didattica, 19 maggio 2007
Questo incontro è dedicato all’opera di Goliardo Padova e alla mostra che è stata allestita nel nuovo padiglione del museo, ovvero lo Spazio Rossari, e in parte in questo Laboratorio didattico. Prima di introdurre l’ospite, inizierei con una brevissima relazione, giusto un rapido commento ad alcune immagini, che mostrerò, per sottolineare l’importanza anche di questo secondo evento, a distanza di circa una decina d’anni dall’antologica dedicata al pittore dalla città di Casalmaggiore, sempre in questo stesso spazio. Nel 1999 la mostra di Padova inaugurava un’attività espositiva che ha avuto una sua continuità nel tempo - ricordo che prima di allora questo luogo era stato una biblioteca; ora la nuova mostra di Padova inaugura il Museo. Casalmaggiore per circa 30 anni si è dimenticata di Goliardo Padova: praticamente da quando la famiglia si è trasferita a Parma (1962), salvo qualche rarissima presenza di suoi dipinti in occasioni particolari come potevano essere le antologiche a tema, le famose mostre sul Po, la sua opera è rimasta lontana da questo luogo, anche se nel cuore e nel ricordo dei cittadini di Casalmaggiore la figura di Padova è ben presente, anche perché ha insegnato per anni presso la scuola media o presso la Scuola di disegno “G. Bottoli” (tra il pubblico è presente un allievo della scuola Bottoli, il pittore Tarcisio Bosoni che ha voluto così omaggiare il suo maestro). A parte questi ricordi soggettivi, individuali, la città ha dovuto aspettare parecchio tempo prima di tributare un omaggio significativo all’artista, e questo è avvenuto appunto nel 1999: una mostra che, pur con tutti i limiti delle mostre fatte un po’ artigianalmente, ha segnato una svolta negli studi critici, come è stato riconosciuto anche recentemente da Arturo Carlo Quintavalle, uno dei primi estimatori di Goliardo Padova. Soprattutto il saggio in catalogo di Claudio Zambianchi ha aperto una prospettiva nuova che ha consentito anche di cogliere uno spessore dell’artista inatteso, anche su un piano dove non si pensava di doverlo cercare. Della sua pittura Goliardo Padova ha sempre lasciato parlare gli altri, i poeti prima di tutto, gli scrittori e i critici d’arte. Si è scoperto però che in circostanze private, meno pubbliche, quella parola se l’è presa in prima persona, scrivendo delle cose molto importanti e profonde, sia sulla sua pittura sia sulla pittura degli altri, affidate soprattutto a lettere scritte agli amici più intimi. Quindi è emerso questo lato “teorico”, narrativo, che non si sospettava, che nessuno pensava potesse appartenere all’artista interamente votato al linguaggio della pittura.L’altro importante contributo di quella mostra riguarda la questione dell’appartenenza al
era anche molto attento a quello che avveniva od era avvenuto qualche decennio prima nel panorama artistico europeo, mi riferisco all’École de Paris e in particolare a Soutine e ad altri pittori che tutta la critica ha citato come probabili riferimenti. Per quanto riguarda il suo avvicinamento al gruppo di “Corrente”, giusto per rispolverare un po’ di storia, ricordo brevemente cos’è stato “Corrente”: una rivista innanzitutto, fondata da Ernesto Treccani, che inizialmente si chiamava “Vita giovanile”, quando è uscita nel ‘38, poi “Corrente di vita giovanile”, e infine ha perso questo primo titolo ancora di vago sentore fascista, divenendo semplicemente “Corrente” negli ultimi numeri del ‘40. Ho aperto una pagina a caso, inquietante per l’argomento, che certamente imbarazza molto, soprattutto per una rivista come questa, che nel ‘39 era ancora espressione del cosiddetto “fascismo critico”, ovvero rappresentava una posizione intermedia, che non poteva eludere comunque il confronto con il fascismo, ma che, soprattutto sul piano delle scelte poetiche e artistiche, era già un’alternativa molto forte al Novecento sarfattiano e a tutto quello che di decisamente più truce e propagandista il fascismo della fine degli anni ‘30 andava proponendo. Però, come vedete bene, anche un titolo come questo – Pratica attuazione del nostro razzismo - in una rivista comunemente considerata espressione dell’antifascismo sul piano artistico e letterario, crea qualche imbarazzo e più di un interrogativo. Se però scorriamo le pagine di questo numero, che è del 15 gennaio 1939, alla sesta pagina troviamo alcuni articoli, uno di Guttuso e un altro di Lattuada, ma soprattutto quell’immagine in alto, che è un’acquaforte di Sandro Angelini, incisore di origine bergamasca, che raffigura un pollo morto, un’opera che ricorda molto da vicino un disegno di Goliardo Padova del 1952 donato dagli eredi allo CSAC di Parma. Lo ricorda proprio da un punto di vista iconografico, anche se accostamenti come questi sono un po’ facili e non è detto che siano probanti
chiarismo: si è accertato finalmente che il pittore non è figura di secondo piano rispetto a maestri conclamati e riconosciuti del chiarismo, quelli i cui nomi compaiono oramai nei manuali di storia dell’arte, ma assume invece il ruolo di comprimario. Questo lo abbiamo ribadito tirando fuori documenti, mostrando opere non viste prima di allora, perché legate a collezioni private, dimostrando inoltre che non c’è un Padova “parmigiano” o un chiarismo parmigiano piuttosto che un chiarismo mantovano, ma che c’è stato un fenomeno, che non era un movimento, che non era legato a un manifesto, ma semplicemente a un lavoro di squadra in un periodo determinato, e che di quella squadra faceva parte Goliardo Padova. Di lì, con grande fatica, non dico mia, ma di chi ha collaborato a questa mostra (c’è stato un fondamentale contributo, anche per reperire le opere, da parte dell’Archivio Padova, fondato dalla figlia Fiammetta Padova e coordinato dall’ing. Bongrani, che è stato fonte preziosissima per scoprire dipinti di cui si ignorava l’esistenza) si è riscontrato un corpus pittorico, compreso fra la metà degli anni ’30 e i primi anni ’40, che ha rivelato questo apporto dentro la grande pittura della Milano di quegli anni, una Milano che vedeva un fermento culturale molto forte, legato sia all’iniziativa pubblica (le mostre dei littoriali, quelle sindacali interregionali, ecc) ma anche all’iniziativa privata (cito ad esempio l’importanza che ha avuto in quegli anni una galleria come il Milione). Così abbiamo potuto sbarazzarci di tante inesattezze che sono state accumulate sul pittore, e ora finalmente il Padova chiarista è stato restituito a pieno titolo alla fase storica centrale di questo momento fondamentale della nostra pittura del XX secolo. Aggiungo inoltre che, mentre quasi tutti i suoi compagni di squadra sono rimasti per così dire ancorati a questa formula che per loro è diventata uno stile da cui non sono più riusciti ad uscire, Goliardo Padova, non solo per la sua ricettività pronta ai mutamenti, ma proprio per un suo intimo sentire che già si manifesta sotto la pelle chiara della pittura chiarista, ma che pian piano emerge in maniera sempre più forte via via ci avviciniamo agli anni ’40, si esprime costantemente attraverso sensibili mutamenti di linguaggio verso quello che è stato definito il suo naturalismo informale. L’Anitra muta è un’opera di importanza capitale che, come tante altre presenti in mostra di notevole qualità, consente di colmare alcune lacune dell’esposizione del ’99. Si tratta delle opere che l’artista ha custodito gelosamente per tanto tempo, a cui teneva in modo particolare, e che hanno avuto poche occasioni di visibilità. L’Anitra muta, del 1946, documenta appunto una delle prime importanti svolte dell’artista in direzione dell’appropriazione del colore e della materia pittorica: di questa fase è stato scritto che il pittore si era avvicinato molto al gruppo di “Corrente” e anche alla Scuola Romana e che
Sandro Angelini, Acquaforte, da “Corrente di Vita Giovanile”, 15 gennaio 1939.
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presso la Scuola Romana - vedi per esempio questi Tre polli morti di Mario Mafai, esposti in una mostra sempre nel ‘39 alla Galleria Arcobaleno di Venezia, pubblicati sempre dalla rivista “Corrente”, oppure ancora, se risaliamo nel tempo e allarghiamo lo sguardo al panorama europeo, questa opera di Soutine, il Gallo morto (1926), oppure ancora, se vogliamo seguire questo filone della pittura simbolista ed espressionista, un’opera di Ensor del 1917, dove ancora abbiamo la stessa figura di animale sempre in questa collocazione. In realtà tutti questi quadri non sono che riproposizioni (e lo è a maggior titolo quello di Goliardo Padova) del tema della pietà, sono rivisitazioni profane del
di alcunché. Certo nel 1952 questo tema fa riflettere sotto vari profili: sappiamo dalla biografia di Goliardo Padova che dal 1948-49 al 1957 il pittore smette di dipingere, per una forte crisi esistenziale, oltre che artistica. Dopo quella prima ripresa successiva alla guerra, di cui abbiamo visto un’opera molto rappresentativa come l’Anitra muta, c’è una lunghissima pausa che dura sino al ‘57. Però il pittore non ha smesso completamente di dipingere: in mezzo ci sono anche cose come questi disegni, e c’è un’opera che bisogna infine sottrarre all’aneddotica del folklore paesano, ovvero quel ciclo di affreschi che Padova realizzò nel suo allevamento razionale di polli a Casalmaggiore. Su questo singolare lavoro avevano già messo gli occhi naturalmente i primi estimatori di Padova, come il poeta Attilio Bertolucci o lo storico e critico d’arte Quintavalle, cogliendo l’importanza e la singolarità del tema stesso affrontato. In quel ciclo di affreschi Goliardo Padova rappresentava, lui allevatore di polli, la storia dell’allevamento, la storia degli animali: ecco, già essersi posto questo problema che gli animali abbiano una storia e che non solo l’uomo sia portatore di una storia e di una temporalità, ma anche l’animale, nel suo rapporto con l’uomo, è veramente una pensata geniale. Al di là del fatto che lui artisticamente in quel momento fosse coinvolto, in una sorta di rivisitazione personale di tutta la storia della pittura, dalle avanguardie, dal Cubismo e dal Futurismo in particolare, al di là dell’esito artistico, il fatto stesso di aver creato un ciclo, una narrazione sul tema della storia degli animali è qualcosa che fa pensare, anche per l’importanza che l’animale riveste nella pittura di Goliardo Padova. Un soggetto come questo, quindi, non è da vedersi semplicemente come legato a una ripresa di un tema di grande fortuna nella pittura dell’École de Paris, piuttosto che
tema ultrasacro della pietà cristiana. Anche il rapporto con l’animale, con il gallo ucciso, con questi elementi che tornano più volte nella pittura di questi artisti, ha a che fare con questo discorso.Dopo l’interruzione, finalmente nel 1957 Goliardo Padova ritorna alla pittura, dapprima con una serie di tempere. Ringrazio il figlio Florenzio Padova per aver donato al museo questo piccolo, ma preziosissimo catalogo della mostra del 1958 a Milano. Io già lo conoscevo in fotocopia, così come il testo di presentazione scritto per quella occasione. Ma tenendo l’oggetto in mano, a lungo, ne ho capito finalmente l’importanza. Questa è veramente una pietra miliare in tutto il percorso di Goliardo Padova. Intanto il luogo della ripresa: Padova torna ad esporre la propria pittura non in una piccola galleria di provincia, ma alla galleria Cairola, e il nome stesso evoca una storia importante. Stefano Cairola è stato il maggior gallerista di Genova dalla metà degli anni ‘30 fino ai primi anni ‘40, e la sua galleria era il punto di riferimento del Gruppo di Corrente. Presso di lui, a Genova, espongono gli artisti più importanti di Corrente e tra questi anche Sandro Cherchi, di cui il Museo Diotti, grazie agli Amici di Palazzo Te, possiede ora una bella scultura. Comunque Cairola a un certo punto comincia a trasferire la sua attività a Milano, dapprima subentrando al Gruppo di Corrente nella loro galleria in via della Spiga, poi aprendo uno spazio proprio, dopo che la Galleria di Genova (che aveva questo nome) era stata bombardata durante la guerra.Padova dunque riprende dopo questo periodo, che sembrava un periodo perso, riallacciando questo filo, questa continuità molto importante che passa attraverso la Galleria Cairola. In copertina è riprodotta un’opera non so se scelta da lui o dal poeta Bertolucci che lo presenta in questa occasione. È stata scelta proprio l’opera che vedete esposta in questa sala, una delle opere più belle e più riuscite, la n. 10 della serie delle Ruspe in terra di golena, tema veramente originale e nuovo, un tema di grandissima attualità: immagino che molti di voi abbiano visto l’ultimo film di Ermanno Olmi, Cento chiodi, un film bellissimo girato da una persona che veramente conosce la nostra terra, la terra di Po intendo, e conosce la sensibilità della gente, uno che potrebbe benissimo capire la pittura di Goliardo Padova quando Padova raffigura i terrazzieri, la gente che lavora sul Po. Ecco, il film di Ermanno Olmi si chiude in maniera abbastanza drammatica con queste ruspe incombenti che distruggono le rive del fiume. Questo tema, questo rapporto di violenza fra la macchina e la terra che lui amava tantissimo, aveva già scosso in maniera molto forte Goliardo Padova. Questo si traduce con una pittura estremamente energica, dove il disegno, il contorno, la linea vorticosa fa a gara con il colore; all’inizio domina la linea, in quelle che hanno la numerazione bassa,
Goliardo Padova, Lʼ’anitra muta, 1946, olio su tavola. Collezione Florenzio Padova.
Chaim Soutine, Il gallo morto, 1926. Chicago, The Art Institute
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fino ad arrivare a Ruspe in terra di golena n. 10, che è stata scelta per la copertina del catalogo, dove finalmente la linea stessa diventa colore e tutt’uno con la matassa cromatica con cui lui ha costruito questa figurazione molto mossa. Apriamo il catalogo, dove troviamo un ritratto dell’artista e due opere tutto sommato accostabili a un dipinto presente in mostra che rappresenta sempre il Po con le barche, oltre al profilo biografico molto breve, ma significativo, scritto da Bertolucci: “Goliardo Padova è nato nel ‘9 a Casalmaggiore, il margine ultimo della provincia di Cremona, fra l’umidore arborescente del Po con le sue lanche e l’espandersi della campagna verso il mantovano. Ha studiato a Parma all’Istituto d’arte, poi a Milano, a Brera dove in seguito ancora giovane ha svolto attività di insegnante. Dal ‘30 al ‘42 risiedette a Milano e in quel periodo partecipò a varie mostre regionali e nazionali, poi venne la guerra, la prigionia. Ora dopo un lungo silenzio ha ricominciato a dipingere”. Ebbene, davanti a queste opere, e per questo sottolineo l’importanza dei dipinti che sono stati riuniti in questa mostra, Attilio Bertolucci molto profeticamente scrive queste cose: “Nel primo tempo della sua ripresa, Padova ha dipinto esclusivamente a tempera, quasi temendo che altre tecniche potessero tradire la sua intuizione fiammante del mondo [bellissima questa espressione]. I quadri di questo periodo svariano come stendardi in lode della vita. Ma negli oli ultimi la vena non s’è perduta, s’è approfondito il discorso. La naturale evoluzione del pittore ci promette una stagione ricca di frutti. Auguriamogli, auguriamoci che si svolga con felice continuità. È giusto che Padova riacquisti gli anni della prigionia, giusto che questi anni non siano stati del tutto buttati via: la sofferenza d’allora avrà servito a dargli quella tempra morale che gli ha fatto superare i pericoli dell’inaridimento e quelli ancora più pericolosi della facilità”. Una cosa davvero va sottolineata: la pittura di Padova non è una pittura facile, che si possa amare con un’occhiata superficiale, ma, così come è stata concepita con una pazienza di visione, come ha scritto bene Paolo Fossati,
po’animali. C’è qualcosa di familiare, ma anche d’inquietante nella figura del cardo: il cardo ritorna spesso nei dipinti degli anni ‘60 del pittore e sono quasi sempre dipinti molto belli, anche dal punto di vista dell’uso della materia, delle luci.Chiudo questa rapidissima panoramica su Goliardo Padova con la Gatta di notte: è un nero su nero, ma in realtà è molto di più di questo, - e nessun confronto con pittori del Novecento ci appare a questo punto convincente -, è un porsi dalla parte della cosa amata, dell’animale, verso cui l’artista prova compassione, prova pietà, interrogandosi anche su come ci si può mettere dall’altra parte. Solo i grandi pensatori del secolo scorso, penso ai grandi scienziati come Einstein, ai grandi poeti o ai grandi pittori, hanno potuto pensare alle cose come sono senza di noi. Questa domanda, questo interrogativo il pittore se lo pone in questo modo, cioè togliendo completamente la luce (cioè togliendo ciò che è essenziale per il pittore, ciò che è vitale per la sua pittura), lasciando solamente filtrare quel poco di luce che è prodotta in realtà dall’effetto tattile della pittura, dal suo rilievo. In questo azzeramento della luce Padova recupera questa intimità, questa vicinanza con le cose, non violate appunto dallo sguardo dell’uomo.
Ringrazio Florenzio Padova per la sua disponibilità, sia per aver concesso per un lunghissimo prestito le opere che si possono ammirare in questa mostra, sia per aver accettato, lui abbastanza restio ad esporsi in pubblico, di partecipare a questo incontro. Mi sono preparato all’ultimo momento qualche domanda, di cui Florenzio Padova è del tutto all’oscuro, perché non volevo che questo dialogo avesse il sapore della minestra riscaldata.Florenzio Padova: Volevo fare alcune precisazioni. Ringrazio innanzitutto lei,
allo stesso modo richiede una pazienza di osservazione. Ma poi scorriamo rapidamente l’elenco dei dipinti esposti: troviamo dei titoli di opere che sono confluite allo CSAC di Parma, ma anche un certo numero di opere presenti in questa mostra, tra cui sottolineo anche Mia madre in cucina, del ‘57, oltre alla serie delle Ruspe in terra di golena. Dopo questa mostra, a quanto mi risulta, queste opere non sono più state esposte, quindi è veramente un privilegio per Casalmaggiore e per chi verrà a visitare la mostra approfittare di questa occasione per scoprire un Padova importantissimo, ma quasi inedito.Altra opera poco vista, a cui il pittore teneva moltissimo, è questa Lanca, eccezionale per le dimensioni, ma soprattutto per questa ricerca cromatica. Si tratta di una vera e propria invenzione figurativa. La lanca non è solo un elemento paesaggistico legato al Po, è la scena primordiale, è la scena della creazione con tutti gli animali radunati attorno, animali che, per quanto in apparenza fantastici o favolistici, in realtà Padova ha visto concretamente: ecco gli aironi cinerini, animali che ancora adesso, se si ha un po’ di fortuna, si possono incontrare nelle poche lanche in terre golenali risparmiate dalle ruspe. Anche gli insetti che Padova dipinge dalla metà degli anni ‘60 in poi, quegli insetti stranissimi che poi diventano giganti, li ho proprio incontrati visitando la sua casa sulle colline parmensi: questi insetti, verso sera, ti saltano addosso, girando in maniera caotica e vorticosa e hanno quell’aspetto che si vede nei dipinti di Padova. Il pittore certo trasfigura la realtà, ma parte sempre da un rapporto molto concreto, molto diretto con le cose. E ritorna ancora la figura dell’animale, sul cui spessore simbolico varrebbe la pena di riflettere, di indagare.Penso la stessa cosa guardando i Cardi: ho sempre pensato da bambino ai cardi come a dei non-vegetali, a dei vegetali un
Goliardo Padova, Ruspe in terra di golena n. 10, 1957, tempera su carta. Collezione Florenzio Padova.
Catalogo della personale di Goliardo Padova alla Galleria Cairola di Milano, 1958.
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professore, le persone presenti e la dottoressa Ronda che oggi non ha potuto partecipare a questo incontro. Io devo ringraziare voi perché senza la dottoressa Ronda e il prof. Rosa non ci sarebbe stata questa mostra in un posto che - io penso - Goliardo non avrebbe potuto desiderare migliore, vista la luce, visto tutto questo verde, queste case che erano le case che lui amava, non certo i condomini che vedo anche a Casalmaggiore, va beh, è il progresso! Il nostro è stato un incontro molto cordiale di persone che, ho notato, avevano piacere a fare questa cosa, mentre altre volte ho visto mostre che…non so, forse era meglio non venissero fatte.Lei ha dato un appellativo a Goliardo, chiamandolo “allevatore di polli”: fin per carità, professore, lui mi si rivolta nella tomba, perché lui odiava i polli! Era là che dipingeva, ma se avesse potuto, secondo me, avrebbe tirato il collo a tutti… Non esiste un quadro con un pollo: ha fatto tanti animali, ma i polli sono entrati solo nel ciclo che ha dipinto in due estati: si alzava prestissimo al mattino, alle 9 smetteva perché si crollava dal caldo e riprendeva la sera. Quando abbiamo lasciato la casa, il prof. Quintavalle si era attivato con la Soprintendenza di Verona perché il pollaio non venisse abbattuto, ma delle brave persone, i proprietari dell’immobile, venute a conoscenza della cosa, in tre giorni hanno distrutto tutto. Riguardo al signor Cairola, sarà stato pure un grande gallerista, ma con Goliardo è stato un gangster, perché Goliardo in questa mostra, quando era andato a smontarla, ha notato che mancava una tempera e pensava che fosse stata venduta. In realtà era stata rubata, e allora non esistevano le assicurazioni come ora. Per Goliardo è stata una grossa delusione e l’inizio di quel cattivo rapporto con i galleristi che forse è stata la sua fortuna. Così è riuscito a dipingere e a tenersi di più i quadri, visto che lui li amava i suoi quadri: non li faceva per venderli, ma per tenerli. Poi è stato costretto anche a venderli, perché nella vita senza i soldi…Valter Rosa: Visto che siamo in tema, affrontiamo il problema della mancata fortuna critica di Padova. È veramente incredibile come un pittore, che ha avuto la ventura di incontrare poeti come Attilio Bertolucci, critici del livello di Roberto Tassi, di Quintavalle, di Fossati, Arcangeli e di tanti altri, non sia mai riuscito ad entrare in una grande sintesi dell’arte italiana, penso ai manuali di storia dell’arte italiana che pure accolgono nomi come quelle di Morlotti e di Cassinari, artisti grandi per carità, ma nei confronti dei quali Padova non doveva assolutamente restare in secondo piano. Sicuramente il rapporto difficile con il mercato è un elemento chiave per capire le ragioni di questa assenza; sicuramente il fatto di essersi ritirato in provincia per un arco di tempo abbastanza significativo della sua vita ha avuto il suo peso, anche se in provincia i grandi critici di cui si diceva lo frequentavano, quindi non era una posizione
di isolamento quella che lui ha vissuto negli anni trascorsi a Casalmaggiore. Certo le ragioni del mercato sono implacabili e portano a vere e proprie censure: la sua esclusione dal gruppo maggiore dei chiaristi io non me la spiego se non proprio in relazione a questo. Insomma non si capisce perché Goliardo Padova, citato da Carrà, citato da Sinisgalli e da altri come il più significativo dei chiaristi, debba essere relegato in un’appendice del chiarismo mantovano e non messo vicino a De Rocchi, Del Bon e Lilloni: questo veramente è incomprensibile. F. P.: Come del resto la collocazione a Palazzo Bagatti Valsecchi [n.d.r. la mostra su Il Chiarismo lombardo del 1986], dove Goliardo era messo fuori, con la nebbia che aleggiava attorno ai quadri, quando dentro c’erano dei pittori come Sassu. Allora io sinceramente mi sono chiesto che mostra del chiarismo fosse quella, perché c’erano dei rossi, c’erano dei verdi, c’erano dei gialli… Ma se queste cose le noto io, sono il figlio e chiuso, ma queste cose le ha notate e le ha scritte il prof. Quintavalle, in un articolo dedicato alla mostra dove su quattro colonne due erano su Goliardo. Sono tutte quelle cose che negli anni si sono ripetute: “dobbiamo, dobbiamo”, ma poi… La morale è molto semplice: Goliardo non aveva un mercante. Di quadri di quel periodo ce n’erano pochissimi: i quadri erano di tutti gli altri pittori, quindi quella mostra era servita a muovere una certa cosa dove c’erano degli interessi. Dietro all’arte ci sono i soldi: dei galleristi, dei critici, che guarda caso parlano sempre bene di tutti. Allora sono tutti dei grandi pittori. Io non ho mai letto qualcuno che avesse la forza di dire: beh, questo può essere meglio di quello. Sono tutti bravissimi. Ma se tu ti leghi a qualcuno, allora cominci a fare il
commerciante e smetti di essere un pittore. Quindi io ringrazio mio padre di non essere stato un commerciante, di avere continuato a fare quello che si sentiva di fare senza nessun tipo di legame economico. La riprova è che di tanti altri pittori ormai è stato visto tutto, mentre nella mostra ora qui al Museo Diotti su 29 opere ce ne sono 23 che, tranne pochi amici (e qualcuno è presente) che le hanno viste su da me a Tizzano, nessuno aveva mai visto. E chiudo la faccenda ricordando che nessun critico, prima, quando mio padre era in vita, e dopo, si è mai preso la briga di dire “andiamo a vedere cosa ha fatto Padova negli anni ‘60-‘70, perché tutti i critici che lei prima ha nominato (e non ho paura a dirlo), bravissimi per carità, ma amici no, eh professore, perché l’amicizia è un’altra cosa. E di amici ne ha avuti pochi: il prof. Quintavalle lo ha scritto “non permetteva se non ad amici critici e intellettuali di avvicinarlo”: l’unico è stato Giuseppe Tonna. Il prof. Tonna è stata la persona che, dopo la crisi del dopoguerra, gli ha permesso e gli ha dato la forza di ricominciare perché ci credeva, non perchè aveva degli interessi. E ci credeva lasciandogli fare tutto quello che lui voleva fare. Io ricordo quando veniva lì a Casalmaggiore, finita la scuola: Goliardo gli faceva vedere queste opere sul cavalletto in modo quasi timoroso, lui le guardava dall’alto della sua statura (era il doppio di mio padre) e gli batteva la mano sulla testa dicendogli: “Goliardo, te li mangi tutti!”. Per lui questa è stata una forza che non ha saputo trasmettergli nessun altro. In quei momenti venivano giù, mangiavano e bevevano… È un po’ come il quadro che ho su io e che le ho fatto vedere: “Dove sono gli amici del Po?”. Era la stessa cosa: venivano giù, andavano all’Eridanea, mangiavano e bevevano, però lui già da allora era il primo ad essere consapevole che il Po lo stavano distruggendo. Adesso stanno
La casa di Goliardo Padova a Casalmaggiore con la torretta-studio (1960 circa).
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lanciando gli allarmi, ma ormai è tardi: lui l’ha visto 50 anni fa cosa stava succedendo. Il discorso è molto semplice: lui ha deciso di dipingere, mentre ci sono pittori che hanno deciso di dipingere, ma anche di arricchirsi e a quel punto non puoi fare quello che vuoi, devi fare quello che vuole il mercato. Diceva che servivano due generazioni dalla morte del pittore prima che si potesse dire se aveva fatto qualcosa di valido o meno: sono passati 28 anni dalla sua morte, una generazione è qui, aspettiamo la seconda e poi si vedrà quello che succederà. Però io vedo una persona come lei che si è avvicinata a mio padre senza averlo conosciuto, sensibile: mio padre cercava persone come lei, non quelle che scrivevano sui grandi pittori, i grandi articoli, perché erano spinti da altre ragioni: è per questo che la voglio ringraziare ancora.V. R.: Sicuramente, da quanto ho capito, suo padre ha avuto un rapporto privilegiato con i poeti e gli scrittori piuttosto che con i critici, un rapporto più diretto, anche di amicizia, come giustamente diceva lei, però non vorrei cadere nell’atteggiamento opposto di non riconoscere il lavoro molto importante di chi lo ha studiato sul versante della critica d’arte e della storia. Mi riferisco ad esempio alla prima grande mostra curata allo CSAC di Parma da Vania Strukely e dal prof. Quintavalle, che è risultata determinante per la riscoperta dell’artista.F. P.: Forse se l’avessero aiutato un po’ prima… Io sono contento così, però resta il fatto che questi rapporti che ha avuto con Bertolucci e con Tonna sono stati rapporti molto più sentiti, perché lui diceva che i suoi quadri andavano visti con il cuore. Adesso io non posso nominare un grande critico, che ha scritto molto su mio padre: mi ha sempre detto che, per ragioni di un suo lavoro precedente, le opere le vedeva più con il cervello che con il cuore. E mi aveva chiesto un parere su un ultimo articolo che aveva scritto: queste cose però non le scriveva quando era in vita Goliardo, forse se l’avesse fatto… Goliardo non ha avuto questo aiuto, però lui è andato avanti per la sua strada. Se c’è un pittore che non ha scopiazzato come è successo per diversi, è lui: le cose son lì da vedere, le carte bisogna metterle giù sul tavolo. Degli altri si conosce moltissimo, di Goliardo si conosce molto poco perché lui amava le sue cose e amava tenersele: pian pianino stan venendo fuori, grazie anche a persone come lei. Voglio solo fare una precisazione: il dott. Tassi quando venne a casa mia a fare la scelta per le opere da inserire alla mostra della Permanente, non si era ancora reso conto che gli insetti (e lo fece notare Zambianchi) li aveva fatti dieci anni prima di Sutherland. Questo significa aver seguito o imitato un pittore? No, non mi sembra. Goliardo non era quello che andava a cercarli, non l’avrebbe mai fatto per il suo carattere, però apriva le porte e il cuore a chi ci andava. V. R.: Lei ha mai osservato suo padre mentre dipingeva? E lui glielo permetteva?
F. P.: Non lo ha mai permesso a nessuno. Nessuno ha mai visto mio padre dipingere, perché lui a Casalmaggiore aveva il suo studio nella torretta e appena sentiva qualcuno che saliva sulla scala e apriva la bottola d’ingresso, lui smetteva. Addirittura nei due studi di Parma, a Borgo delle Colonne e prima al Borgo del Naviglio, aveva una tenda dove dipingeva. Non c’erano campanelli, per cui era impossibile andare là a disturbarlo. Se andava qualcuno di noi certamente ci accettava ben volentieri, ma non dipingeva sotto i nostri occhi. Non so cosa volesse dire questo atteggiamento, probabilmente era molto geloso di quello che stava facendo.V. R.: Magari qualche volta sbirciava nello spazio di lavoro di suo padre?F. P.: No, avevo un rispetto totale, anche dopo che è mancato, per parecchio tempo, perché so quanto ci teneva che le cose fossero tenute in un certo modo, che non si rovinassero.V. R.: Noi possiamo ancora ammirare i suoi cavalletti e i suoi strumenti di lavoro. In questo museo abbiamo un po’ enfatizzato questo aspetto del lavoro dell’artista, non certo perché siamo convinti che tutto il lavoro dell’artista risieda nella dimensione puramente materiale del mestiere. Tuttavia prestare attenzione al modo concreto di lavorare, di costruire l’opera, a partire anche dagli strumenti stessi della pittura ci è sembrato che, in un luogo come questo che è stato la casa-studio del pittore Giuseppe Diotti, potesse essere un elemento interessante da sottolineare, da farne quasi una sorta di traccia, di guida, di questo particolare museo di provincia. Così abbiamo chiesto a Florenzio Padova di prestarci due cavalletti, uno da studio, largamente usato dal pittore come si può notare dalle incrostazioni di colore, e uno più antico, da campo, che lui non usava, ma che si vede in una sequenza del film Prima della rivoluzione girato nel 1964 dal regista Bernardo Bertolucci, figlio del poeta Attilio. F. P.: Eravamo presso la lanca di Agoiolo, piena di ninfee. Gliel’avevamo trovato noi quel posto: io ci andavo a pescare, lui veniva di fianco a me perché aveva il terrore che io potessi cadere in acqua; io e mio padre stavamo là delle ore, io a pescare, lui stava fermo, si guardava questi aironi… Ricordo che dopo il primo giorno di ripresa del film sono stati tutti in albergo, si sono rifiutati di continuare a girare il film perché erano tutti colpiti dalle zanzare! Ci ha chiesto Bernando come mai non avevamo punture: “Sarà perché voi venite da Roma!” Dopo hanno dovuto cospargersi tutti con prodotti, tipo Autan, però non vedevano l’ora di finire quella scena, perché erano stati assaliti!V. R.: Immagino che il pubblico presente in sala abbia visto quel film – forse i più giovani no – dove c’è una sequenza abbastanza lunga in cui si vede il pittore, seduto su uno sgabello molto basso, che finge di dipingere davanti a quel cavalletto che è in mostra: ora sappiamo che non avrebbe mai dipinto sul
serio non solo davanti a una cinepresa, ma neanche in presenza di un osservatore. F. P.: Non voleva neppure apparire, ma poi Bernardo ha insistito, e probabilmente grazie al papà con cui aveva un rapporto bellissimo… Ma anche con lui aveva ottimi rapporti: era un ragazzo, agli inizi della sua carriere, e parlava della famosa ranina [n.d.r. la lenticchia d’acqua]. In pratica quel film è un altro grido di allarme e la prova è che questo budrio dove c’erano tutte quelle ninfee non c’è più. Ora capisco perché a Goliardo piaceva venire lì. Quando siamo entrati in questa lanca (ci si entrava passando sotto a tutta una vegetazione folta), Bernardo e tutto il resto della troupe sono come impazziti: capirai, abituati a Roma, gli sarà sembrato di entrare nella foresta amazzonica.V. R.: Si diceva della casa di Casalmaggiore frequentata dagli amici scrittori e critici: era frequentata anche da altri artisti, suoi compagni di strada?F. P.: Forse lei professore non sa perché Goliardo ha cominciato a essere frequentato dai vari Tassi, Bertolucci, Artoni, Carlo Mattioli… e se lei legge un articolo, una presentazione di Ubaldo Bertoli scritta per una mostra, trova la spiegazione: Carlo Mattioli disse a questa gente: se volete, vi porto a casa sua, vista l’amicizia fra Mattioli e mio padre, cosa molto strana, eh. La mattina del funerale di mio padre, prima che arrivassimo io e mia madre, c’era Carlo Mattioli alle 7.30 dentro la camera mortuaria, per dire il rispetto che aveva Mattioli per mio padre. Ed è stato lui che dicendo questo ha organizzato questo primo giro da Parma a Casalmaggiore: sono venuti giù, hanno incominciato… dopo non so se Mattioli sia stato contento di questa cosa! Quando c’è stata l’inaugurazione della mostra nell’’89 della donazione allo CSAC, dopo qualche giorno sono passato di là e ho incontrato il prof. Quintavalle, il quale prendendomi da parte, mi ha detto: “Florenzio, posso dirle una cosa che dovrebbe farle molto piacere? La mostra è stata visitata l’altro giorno dal pittore Carlo Mattioli, non era mai successo che una volta fatto il giro delle Scuderie venisse da me e mi dicesse “Complimenti, gran bella mostra”; questo è il più bel complimento che poteva ricevere Goliardo, perché detto da Carlo Mattioli , che già è venuto pochissime volte”. Mi aveva fatto molto piacere, insomma, detta poi dal prof. Quintavalle, non dal primo che passava per strada!V. R.: Vi sono stati altri artisti che hanno frequentato la casa? Anche la casa di Parma, naturalmente…F. P.: L’artista che l’ha frequentato di più è stato Bruno Zoni, un suo grande amico. C’è stato un periodo che era lì da noi una sera sì e una sera no e facevano delle risate pazze perché Zoni, a differenza di Goliardo, non poteva vedersi con Mattioli e lui raccontava delle cose (vai poi a sapere se erano vere o meno) talmente assurde che diventavano quasi delle barzellette. Mio padre, che non ho mai sentito ridere in quel modo, si divertiva
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aver perso un treno formidabile, che avrebbe potuto facilmente trainarlo dentro la storia con la S maiuscola.F. P.: Non aveva voluto legarsi a dei partiti.V. R.: Altra cosa: aver vissuto anche eventi sociali e politici non dico con distacco, ma con una partecipazione personale non legata a delle bandiere, anche questo gli ha precluso le scorciatoie, se non le vie… Effettivamente la sua storia avrebbe potuto svolgersi in altri modi, con altre forze. Avrebbe potuto anche non essere il pittore del Po, secondo me, al di là di questo legame iniziale con la terra e che in genere sentono tutti quelli che hanno trascorso la propria infanzia sulle rive del fiume. Bene o male questa cosa entra dentro ed è difficile sbarazzarsene. Però negli anni in cui lui ha vissuto a Milano ed è diventato anche un promotore di mostre altrui, perché parte attiva nell’organizzazione delle più importanti rassegne degli anni ‘30, non era particolarmente legato al paesaggio del fiume. Il fiume entra dopo, in un secondo momento della sua pittura, e anche comunque avendo alla fine dipinto il Po, ha dipinto qualcosa di più universale e che non possiamo confinare nel localismo, nel folklore. Dipingendo il Po, o la collina intorno a Tizzano, Goliardo Padova ha dipinto temi universali. Il suo modo di vedere trasfigura la natura.F. P.: Penso abbia dipinto quello che amava, e penso che questo sia un grande valore, se un pittore riesce a dipingere quello che ama dipingere, non quello che viene imposto per qualche motivo.
Trascrizione di Letizia Frigerio
un mondo: io delle volte dormivo già, perché erano magari le due di notte, e gli dicevo “Ma, Goliardo, che cos’hai da ridere così?” “Ma vieni a sentire cosa ha detto…!” E lui si divertiva. Lui era una persona così. Io non ho mai sentito mio padre parlare male di un pittore, né come persona né come pittore. Poi lui le sue idee le aveva sicuramente, però non ha mai avuto delle discriminazioni per uno o per l’altro, diceva che ognuno aveva i propri occhi e ciascuno doveva guardare con i propri occhi la pittura degli altri pittori.V. R.: Vorrei affrontare l’argomento del trauma della prigionia in Germania, nel campo di concentramento. Sappiamo quanto questo abbia inciso anche sulla sua pittura e sia stato elaborato in vari modi; ma nella vita quotidiana, nel rapporto anche con la famiglia, nei racconti che lui può aver fatto, è trapelato o filtrato o è stato comunque tenuto dentro? Magari anche a distanza di tempo...F. P.: Io sono nato nel 1947. Io non l’ho mai sentito narrare qualcosa sulla prigionia tranne il mangiare kartofen (odiava le patate), il fatto che avesse dovuto cedere un bellissimo Omega, con cronometro d’oro, con fasi lunari e il resto, visto che, negli ultimi momenti, era ridotto allo stremo, perché era 37 chili (alla fine è arrivato a 55 e mi diceva “Florenzio, ho messo su la pancetta da commenda!” “Oh, ma quanto sei?” “55” “Ah, cavoli! - gli dicevo - occhio che sei ingrassato proprio!”).A quel punto aveva preferito donare a una delle guardie questo orologio in cambio di qualche pasto come tutti gli altri. E poi hanno continuato a incontrarsi, quelli che sono riusciti a venire a casa: ogni due anni facevano una cena (una l’avevano fatta anche al City), si ritrovavano i superstiti di questo campo. Però le posso dire: quando c’erano, negli anni Sessanta, i film sulla guerra, lui appena vedeva alla televisione uno di quei film (io da piccolo non lo capivo, l’ho capito dopo), non batteva parola e si ritirava in un’altra stanza. E non sopportava le reti, tanto è vero che su a Tizzano c’erano recintati i due lati in confine con quello che ha la casa di sopra, ma non verso la strada, dove invece adesso ho recintato per il mio cane. Ma lui di recinti meno ne vedeva e meglio era. Ma non è stato senz’altro l’unico trauma della sua vita, eh, professore, perché il trauma di venir via da Casalmaggiore come è venuto via, - io ne so qualcosa anche se avevo solo 14 anni - è stato un trauma non piccolo. È andata bene che l’anno dopo ha trovato quel posto lì in montagna, ha fatto questa casetta e via, dove è andata quella grande “lanca” che è in mostra che non è mai stata esposta perché l’ha dipinta nel ’61 e nel ‘62 l’ha messa in quella sala dove l’ha vista lei, da dove non si è mai spostata, e di questo sono sicuro, perché adesso poi ci abito stabilmente. Quindi, secondo me, quella è stata un’altra cosa che lui ha patito molto: il distacco dalla sua casa, dal suo ambiente, dal suo paesaggio, non detto da me, per carità che sono l’ultimo a dover parlare, ma detto da Fossati, da Mendogni e da altri. Ecco, Mendogni è stata
un’altra persona che mio padre ha apprezzato molto: non un critico puro, ma un letterato. Lui aveva trasportato i suoi colori della Bassa sull’Appennino: è andata bene che è riuscito a ritrovarsi… E qualche tempo dopo:”Non mi ha neanche detto grazie il comune di Casalmaggiore”. Perché poi bisogna interpretare la persona sulla sua sensibilità: ci sono persone per cui fatti del genere sono una cosa normalissima, ci sono persone come Goliardo con una sensibilità tale che penso si veda dalle opere che ha fatto, perché altrimenti non sarebbe passato da quello che ha passato… Tornando alla mostra da Cairola, il fatto di quella tempera per lui è stato un dolore enorme, una grossa delusione; dopo quella mostra, sì, ne ha fatte altre. Però a Parma, alla Ruota, è successo ancora di peggio. Vede, bisognerebbe saper tante cose per comprendere perché Goliardo non ha avuto questo famoso mercato: Brando Bocchi, pace all’anima sua, dopo avere fatto le prime due mostre andate meglio di tutti gli altri pittori del ‘900, perché alla Galleria La Ruota nel ‘60, sono passati tutti i più grandi pittori del ‘900 (Goliardo alla prima mostra, la sera dell’inaugurazione - me lo ricordo come fosse adesso - aveva venduto metà delle opere, grazie a Bocchi – ed è stato lì che Parma ha conosciuto mio padre, preparata naturalmente dai vari Tassi, Bertolucci eccetera), acquistò un certo numero di oli di Goliardo. A parte che mio padre non ha quasi più visto una lira di questi quaranta oli, ma a un certo momento questo Bocchi ha litigato con la sua compagna e la galleria è andata a zero: le opere (e me ne sono trovate anch’io facendo un lavoro tutto diverso) sono state disperse a dei prezzi ridicoli, perché lui aveva l’acqua alla gola… Quindi ci sono state tante cose che hanno ferito Goliardo, non solo la guerra. La guerra poi l’aveva passata, perché basta vedere i suoi dipinti della ripresa: uno dopo 10 anni non avrebbe avuto la forza, 50 anni fa, di fare queste cose. E poi ci sono tante altre questioni, ma lasciamo stare, perché entriamo in temi troppo particolari…V. R.: Aggiungo una piccola cosa a commento di quello che lei ha appena detto. La storia non si fa con i se e con i ma, eppure la storia di Goliardo Padova, pensando a quello che gli è capitato, poteva anche essere diversa: senza la persecuzione degli ebrei (sono documentate le angherie subite, anche a Brera, a causa di un cognome scomodo) e senza l’internamento in Germania, avrebbe guadagnato anni cruciali. Non dimentichiamo che nel secondo dopoguerra, nel periodo in cui smette di dipingere o quantomeno di esporre il proprio lavoro, si delinea un profilo dell’arte italiana intorno a un certo numero di autori che vengono lanciati dalla critica, promossi da grandi mostre, e sono poi gli artisti che si vedono anche alle Biennali di Venezia. Si tratta di mostre che fanno il punto sull’arte italiana in quegli anni cruciali, gli anni ‘50 dell’arte italiana, e non avervi potuto partecipare vuol dire effettivamente
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I servizi educativi sono oggi una delle aree su cui si concentrano molti degli sforzi progettuali dei musei, nella convinzione che non si tratti di un’attività residuale o meno nobile rispetto ad altre, quali la conservazione, la ricerca o l’attività espositiva temporanea, ma di uno degli ambiti con cui maggiormente si realizza la democratizzazione della cultura e attraverso cui il museo svolge realmente un ruolo di pubblico servizio. Tanto che da alcuni anni la normativa di settore ha imposto la figura di un apposito Responsabile dei servizi educativi fra gli standard minimi da garantire, al pari delle figure del Direttore o del Conservatore. I servizi educativi comprendono tradizionalmente l’attività didattica rivolta alle scolaresche ma anche, in un’accezione più estesa e strettamente connessa con le altre funzioni del museo (dalle scelte d’allestimento ai supporti informativi), tutta una serie di interventi volti a facilitare l’approccio al museo da parte di diverse e più ampie categorie di pubblico.
Alcune delle prime iniziative proposte dal Museo Diotti a pochi giorni dalla sua inaugurazione sono state rivolte al pubblico delle famiglie: si è trattato di visite “animate” organizzate a maggio in occasione della IX Settimana della Cultura e a settembre in occasione della Notte dei Musei, e di tre tappe di una caccia al tesoro svoltesi fra aprile e maggio nell’ambito dell’iniziativa “Chi trova un museo trova un tesoro” realizzata in collaborazione con la rete “Leadermuseum” costituitasi fra 12 musei del territorio del GAL Oglio Po terre d’acqua. Il Comune di Casalmaggiore ha svolto il ruolo di Comune capofila del progetto che ogni Museo aderente ha poi realizzato in autonomia, cercando di valorizzare al massimo la specificità delle proprie collezioni; obiettivo comune però è stato quello di promuovere il territorio attraverso le risorse museali, spesso poco note anche alla popolazione residente, e di farlo attraverso attività di carattere ludico rivolte a squadre composte da elementi di età diversa: bambini, adolescenti, adulti. L’esperienza è stata faticosa, sia per gli organizzatori che per le squadre partecipanti che – in tre fine-settimana – hanno visitato tutti i 12 musei dell’area interessata, ma è stata sicuramente gratificante e significativa per gli sforzi di rinnovamento compiuti dai musei nel modo di proporsi. Le gare, le singole prove, ma soprattutto le modalità e lo spirito di questa iniziativa potranno ora essere riproposte e mandate a regime nell’ambito più ampio di tutte le proposte per la scuola o per altri tipi di pubblico. La sostenibilità del progetto nel tempo, al di là dell’occasione contingente, è probabilmente il risultato più soddisfacente, e si è dimostrato che al museo, anche nei nostri piccoli musei, si possono fare esperienze piacevoli. E soprattutto si possono fare esperienze, non subire passivamente dei contenuti. L’interazione, la fruizione a tutto tondo delle risorse museali, la dimensione comunicativa e narrativa del museo, la
dimensione ludica che non necessariamente contrasta con quella culturale: su questi aspetti varrà la pena di confrontarsi e lavorare ancora.
Sul fronte scolastico va rilevato che nei primi mesi dopo l’apertura, in corrispondenza con la fine dell’anno scolastico 2006/2007 e l’inizio del successivo, il Museo Diotti è stato visitato dalle scuole cittadine, in particolare da classi dell’Istituto d’Istruzione “G.Romani” e dell’Istituto Comprensivo “G.Diotti”: si è trattato per lo più di visite volte a prender contatto con la nuova realtà museale della città, guidate dagli operatori didattici del Museo o dagli insegnanti stessi. Nell’ultima fase dell’anno ha cominciato invece ad affermarsi una diversa modalità di fruizione da parte delle scuole, legata a percorsi tematici relativi a particolari opere o temi delle raccolte e integrati da attività laboratoriali di vario genere. Ciò alla luce della diffusione di una precisa proposta per le scolaresche messa a punto nel corso dell’estate in collaborazione con l’operatrice didattica Luisa Zanacchi e diffusa attraverso la stampa e il sito internet del Museo nel mese di ottobre. Le prime classi che, sul finire del 2007, hanno aderito alle proposte sono state classi di Scuola Primaria provenienti da Gussola, Rivarolo Mantovano e Rivarolo del Re.
I percorsi sono variamente rivolti agli alunni dalla Scuola dell’Infanzia alle Superiori, a seconda del tema trattato. E’ possibile che in alcuni casi si rivolgano a fasce d’età molto ampie poiché gli argomenti, le modalità espositive o le attività pratiche si prestano facilmente ad essere variati a seconda dell’ordine di scuola frequentato. E’ inoltre previsto che, durante tutto l’anno scolastico, i diversi percorsi siano integrati dalla possibilità di visitare le mostre temporanee e di svolgere attività in linea con i contenuti e
le caratteristiche delle mostre stesse. Per tutti i percorsi è stata prevista la durata di un’ora e mezza circa di attività effettiva; il costo per alunno, comprensivo del biglietto d’ingresso, è di € 3,50.
COS’E’ UN MUSEO?
Visita di approccio al Museo per conoscerne la tipologia (casa-museo e pinacoteca del patrimonio locale), le funzioni, i criteri e le finalità espositive, le modalità di fruizione e conservazione, il ruolo di chi ci lavora, la provenienza e l’origine delle collezioni, il significato dei termini tecnici utilizzati. Il percorso svolto può variare e si presta a diversi livelli di approfondimento. (da 4 a 18 anni)
LA NATURA NEGLI OCCHI DEI PITTORI
L’incontro si tiene nella sezione moderna del Museo ed è volto a far conoscere
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ai più piccoli come alcuni artisti hanno interpretato lo spazio che ci circonda, anche attraverso la presentazione di alcuni oggetti utilizzati dall’artista per realizzare l’opera. La conclusione del percorso prevede differenti soluzioni, in quanto l’insegnante potrà decidere di sviluppare in aula didattica un tema a scelta fra “albero”, “cielo” e “acqua”. In ogni caso, dopo un recupero delle osservazioni raccolte al Museo e delle sensazioni vissute, i bambini saranno stimolati con esperienze tattili o con la visione di insolite immagini e, divisi in gruppi, potranno ricreare vari aspetti dell’elemento naturale preso in esame. (da 4 a 8 anni)
LINEE PER RACCONTARE
In aula didattica, prima di visitare il Museo, vengono proposte alcune semplici attività per chiarire in quanti modi e con quante possibilità le linee possono essere utilizzate per creare simboli, forme semplici e complesse: ci interessa capire come utilizzare questo segno per arricchire il nostro modo di comunicare. I ragazzi potranno quindi osservare le opere esposte con una nuova consapevolezza e l’operatore li aiuterà a riconoscere gli artisti nel cui lavoro la linea ha una funzione significativa e importante. (da 6 a 14 anni)
I CIELI DI TINO
Durante la visita alla sezione moderna del Museo, l’attenzione dei ragazzi sarà rivolta alla conoscenza della pittura di paesaggio e alle differenti modalità con cui gli artisti locali hanno saputo interpretare e raccontare gli spazi conosciuti. Oggetto di una lettura più approfondita saranno le tele realizzate da Tino Aroldi per capirne le scelte formali, il linguaggio e i contenuti. Le osservazioni sull’utilizzo dello spazio, la divisione dei piani, la distribuzione e il disegno delle forme, le scelte cromatiche saranno riprese
e “sperimentate” nell’attività in aula. (da 8 a 11 anni)
DI RITRATTO IN RITRATTO
Il percorso si svolge nella sezione antica del Museo (XVIII-XIX sec.) e offre una chiave di lettura utile alla comprensione del genere pittorico in questione (caratteristiche, funzione, modalità esecutive…). L’osservazione e le informazioni ricevute durante la visita serviranno poi ai ragazzi per un’attività in laboratorio in cui vestiranno i panni degli storici e ricostruiranno, attraverso oggetti e documenti, una sorta di carta d’identità di alcuni degli antichi personaggi incontrati. (da 8 a 14 anni)
TRASPARENTI COLORI
Attraverso un insolito accostamento fra un’opera antica ed un’opera contemporanea e attraverso alcune semplici attività laboratoriali i ragazzi apprenderanno l’antica tecnica della velatura, o stesura levigata del colore con sovrapposizione di materia pittorica applicata in diversi momenti. (da 8 a 14 anni)
TELE, PIGMENTI, VERNICI
La visita al Museo e la successiva attività pratica sono volte a presentare i materiali e gli attrezzi tradizionali della tecnica pittorica. I ragazzi potranno manipolare alcuni oggetti (tele, tavole e pennelli vari); l’operatore
mostrerà l’utilizzo di strumenti particolari (il pentolino per scaldare resine e colle, il mortaio per pestare i pigmenti, ecc.) e si sperimenterà l’uso del colore attraverso precise applicazioni cromatiche. (da 6 a 14 anni)
LABORATORIO DI-SEGNO
I musei conservano in genere numerosi disegni: per molti artisti (come Diotti) disegnare è un’operazione molto importante perché con essa si crea e si progetta l’opera d’arte in ogni suo aspetto. Altri prediligono il disegno come tecnica espressiva che permette di dare libertà anche alle forme più fantasiose e surreali. Attraverso alcune sperimentazioni pratiche i ragazzi apprenderanno le caratteristiche e l’utilizzo di matite, carboncini, sanguigne, pastelli vari e penne scoprendo le possibilità espressive offerte da questi materiali e dai diversi supporti. La successiva visita al Museo sarà dedicata all’osservazione dei disegni esposti di epoche e autori diversi. (da 8 a 14 anni)
LETTERE DAL PASSATO
Il museo si suddivide in una sezione storica ottocentesca e in una parte dedicata agli artisti del XX secolo che si conclude con opere d’arte contemporanea. Pur nella differenza dei temi e dei contenuti di riferimento, la modalità di visita proposta dall’operatore privilegerà la possibilità di affiancare all’osservazione delle opere la lettura di brevi brani legati alle opere o agli spazi del Museo. Questo potrà risultare agli occhi dei ragazzi più vivo e presente attraverso lettere, stralci di documenti, testimonianze degli artisti, testi critici. (da 8 a 18 anni)
IMMAGINI D’ARTISTAL’artista ha riprodotto spesso la propria immagine dando ad essa precise funzioni, utilizzando iconografie e soluzioni sempre
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differenti. Ritraendosi egli narra del rapporto con il mondo che lo circonda, rivela la propria anima oppure mostra il ruolo raggiunto nella società del suo tempo. L’analisi degli autoritratti esposti al Museo sarà integrata in aula didattica da una presentazione di come altri artisti di tutti i tempi hanno affrontato questo genere pittorico e da un’attività pratica di fotoritocco digitale. (da 11 a 18 anni)
PAESAGGIO
In aula didattica viene inizialmente proposto un incontro volto a fornire ai ragazzi un insieme di dati utili per una visione più approfondita di questo genere pittorico e per una successiva lettura delle opere esposte nella sezione moderna durante la quale essere partecipi e protagonisti. “Leggendo” con attenzione la selezione di opere proposte, i ragazzi capiranno che con il termine paesaggio non si intende solo l’immagine da cartolina o lo sfondo che dà ambientazione alle azioni dei personaggi. Il paesaggio è anche riflesso dell’anima, autobiografia di momenti vissuti, presa di coscienza della realtà circostante, luogo della fantasia… (da 11 a 18 anni)
DIOTTI GIUSEPPE STUDENTE D’ARTE
mantiene il carattere dell’evento e la suggestione dell’incontro ravvicinato con l’opera d’arte originale. Ogni percorso punta a guidare i ragazzi ad una fruizione attenta e consapevole dell’opera nei suoi molteplici significati, senza dimenticare il ruolo delle scelte museologiche compiute.
3. La visita al museo deve essere per i ragazzi un’esperienza coinvolgente, non deve “scorrere” lasciandoli indifferenti. Ecco quindi la necessità di confrontarsi con le loro conoscenze pregresse e con le loro esperienze dirette, di stimolare le loro osservazioni e di coinvolgerli in attività pratiche che consentano di apprendere facendo.
4. La visita al museo non deve essere giustapposta ad attività di laboratorio che si configurino come momenti di sfogo o relax compensativo per l’attenzione posta alle spiegazioni della guida: l’attività in aula didattica integra il percorso di visita prescelto, può essere propedeutica alla visita o può costituire un momento di riflessione successivo, può essere rappresentata da attività manuali e pratiche, ma anche da dimostrazioni proposte dall’operatore o dalla fruizione di risorse multimediali utili per una miglior comprensione di quanto sperimentato direttamente.
5. La visita al museo non deve pretendere di essere esaustiva perché finirebbe col proporre ai ragazzi contenuti così numerosi e così diversi che ben difficilmente risulterebbero incisivi. Ecco perché tutti i percorsi proposti prevedono una visita al museo e alle collezioni limitata ad una precisa tematica, ad una sezione o ad alcune opere di particolari autori. Ogni percorso proposto è autonomo, ma potrebbe essere interessante tornare al museo per sperimentarne più d’uno, magari attraverso un programma pluriennale di fruizione del museo concordato con le singole classi.
6. La visita al museo da parte delle scolaresche è una responsabilità molto grande per l’operatore: un approccio corretto oppure sbagliato da parte dei ragazzi con l’arte e con il patrimonio può infatti influire sui comportamenti degli adulti futuri. Non sfugga quindi il significato anche civico di tante nostre scelte.
a cura di Roberta Ronda
con la collaborazione di Luisa Zanacchi
La visita alla casa-atelier e il successivo incontro in aula didattica si soffermeranno sulla cultura e l’arte a Casalmaggiore alla fine del XVIII secolo, sulla scuola del Chiozzi e sulla formazione del Diotti fra Casalmaggiore, Parma e Roma. Agli studenti d’oggi sarà offerta una visione del momento di formazione artistica e intellettuale dello studente d’arte coinvolgendoli anche nella conoscenza di aspetti di vita quotidiana: il volto delle città e dei luoghi frequentati, il mondo delle Accademie, le difficoltà nell’apprendere linguaggi figurativi nuovi, nel confrontarsi con le opere più “grandi” o nel rispettare in tempo le consegne. (da 11 a 18 anni)
NEOCLASSICISMO
Il percorso comprende inizialmente una visita alla casa-atelier del Diotti, alternando momenti di riflessione sulla realtà storica e politica del tempo (fine XVIII-XIX sec.) a momenti di analisi delle opere. Successivamente, in aula didattica, alcune delle opere conosciute all’interno del Museo vengono riprese e utilizzate come traccia e chiave per capire contenuti e linguaggi della poetica neoclassica e scoprire nuove immagini che esse richiamano. (da 14 a 18 anni)
Attraverso le proprie collezioni permanenti, le mostre, le pubblicazioni, gli incontri, i corsi e in particolare attraverso queste proposte rivolte alle scuole, il Museo Diotti ambisce a diventare un punto di riferimento per la conoscenza dell’arte del territorio, la formazione di una sensibilità per il patrimonio, lo sviluppo del gusto e delle competenze estetiche e creative dei più giovani. Tutti i percorsi sono stati studiati tenendo conto di alcuni principi fondamentali a cui riteniamo debbano ispirarsi i moderni servizi educativi dei musei.
1. La visita al museo non deve essere casuale e generica, ma deve rappresentare un’esperienza autenticamente formativa che integra utilmente il programma educativo dell’insegnante. Ogni percorso risponde pertanto a precisi bisogni e si propone precisi obiettivi.
2. La visita al museo deve comunque configurarsi come un’esperienza “fuori classe” che
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Acquisizioni, doni e depositi 2007Premessa fondamentale alla creazione del Museo Diotti è stata la formazione di una collezione di opere d’arte, pubbliche e private, organizzate secondo un percorso logico basato sulla chiara identificazione di una genealogia artistica non solo locale – ma vale la pena di sottolineare la territorialità di questa istituzione, come peculiarità qualificante, piuttosto che come limite ed indizio di provincialismo – quale criterio essenziale finalizzato a quel montaggio di cose e immagini, più che di parole, attraverso cui un museo può raccontare una storia.Individuata la genealogia, con il suo snodo fondamentale nella figura di Giuseppe Diotti e nella sua scuola, approfondite le vicende artistiche dei protagonisti, sperimentati attraverso esposizioni alcuni segmenti di quel possibile disegno storico-artistico, si è iniziato a comporre il mosaico, chiamando a raccolta opere per lo più isolate – fa eccezione la raccolta di disegni della Scuola “Bottoli” – e disperse, misconosciute a volte, nascoste o sottoutilizzate, riconferendo loro antichi e nuovi significati in virtù della nuova collocazione. Genealogia e montaggio sono le linee guida non solo per la costituzione del patrimonio iniziale - per il quale si è dovuto attingere anche a collezioni di altri enti e di privati, sollecitando depositi o doni, e, limitatamente alle risorse pubbliche, si è provveduto anche ad alcuni significativi acquisti - ma pure per ogni incremento successivo. La crescita futura del patrimonio artistico del museo non potrà che avvenire secondo questo tracciato, perchè ogni scelta arbitraria, non importa se legata a doni o acquisti, rischierebbe di rompere la genealogia e di far saltare il montaggio, ovvero, in definitiva, il filo logico che tiene insieme la collezione.Nella fase in cui il progetto museale ha iniziato a tradursi nel concreto recupero del suo contenitore, il Palazzo Diotti, il patrimonio artistico è quintuplicato, ma è stata l’approssimarsi dell’apertura che ha attivato sinergie prima impensabili, richiamando l’attenzione di generosi donatori e prestatori, circostanze diverse che fortunatamente hanno portato al Museo proprio quelle tessere mancanti per comporre il mosaico.Il primo importante accordo è stato firmato nel 2006 con la Fondazione Busi onlus che, grazie alla disponibilità del dott. Taracchini, alla sensibilità del suo Consiglio d’amministrazione e in particolare del Presidente dott. Paolo Bini, ha concesso in comodato la sua quadreria di benefattori, che comprende anche opere di pregio cui si è attinto per la “costruzione” di molte sale del Museo. Così pure l’Accademia di Belle Arti di Brera ha concesso in deposito due opere fondamentali della formazione artistica di Giuseppe Diotti, il Mosè e
signori Lina e Mario Ravera. Dalla parrocchia di Santo Stefano e precisamente dalla Biblioteca Abbaziale è pervenuto il Ritratto del Cardinal Fontana, dipinto di Paolo Araldi, concesso in deposito da don Alberto Franzini.Per la parte “storica” del Museo, su segnalazione del dott. Ulisse Bocchi, si sono potute realizzare nel 2006 altre importanti acquisizioni: il Ritratto di Camillo Mantovani (Scuola di Francesco Chiozzi, XVIII sec.), donato dai coniugi Primo e Lia Ferrari, prezioso tassello dell’età dell’Arcadia a Casalmaggiore; lo studio per l’Allegoria della Provincia di Cremona, disegno di Tommaso Aroldi del 1907, donato dalla signora Giordana Guareschi Bocchi; due grandi tele, della serie degli Apostoli, ovvero San Pietro e San Giacomo Maggiore, fra le migliori opere di Marcantonio Ghislina (XVIII sec.), per le quali si è attivata una sottoscrizione pubblica, promossa in prima persona dal Sindaco Luciano Toscani, grazie anche al sostegno della stampa locale e in particolare
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l’Adorazione dei pastori, ovvero i più importanti saggi del suo pensionato romano (colgo qui l’occasione per ringraziare il Direttore prof. Fernando De Filippi, le proff.sse Francesca Valli, conservatore delle Raccolte Storiche dell’Accademia, e Chiara Nenci, responsabile della Quadreria). Anche l’Accademia di Bergamo, attraverso il suo Direttore prof. Giovanni Valagussa, e con l’assenso della Soprintendenza competente, si è dichiarata disponibile a concedere per un deposito a lungo termine quattro grandi cartoni diotteschi, operazione che si spera di poter realizzare nei prossimi anni. Sul fronte diottesco il Comune di Casalmaggiore aveva comunque per tempo messo a segno l’acquisizione di due preziosi disegni autografi del maestro, utili a illustrare il suo metodo di lavoro, nonché di alcune incisioni neoclassiche grazie all’interessamento dell’allora Assessore alla Cultura Ferruccio Martelli. Autografo diottesco è poi il dipinto con le Quattro teste dal Giuramento di Pontida, pervenuto in dono nel 1999 dai
Giuseppe Diotti, Lʼ’Olimpo, 1817, disegno a grafite, matita grassa e gessetto bianco, particolare. Dono di Giuseppe e Lucia Mainoldi.
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del giornale “Cronaca”. Accolto sempre nel percorso “storico” è un altro significativo dipinto di fine Ottocento, I filòs, opera di un grande pittore ancora quasi sconosciuto, ovvero Alessandro Mina, concessa in deposito dal proprietario che desidera restare anonimo.Fra le acquisizioni è comunque il Novecento a farla da padrone, e il contributo di privati, per lo più eredi di artisti, è stato fondamentale: oltre alle opere già acquisite nel 1999 (citiamo solo le due tele di Goliardo Padova donate dalla figlia Fiammetta e il dipinto di Gianfranco Manara, donato dalla moglie Maria Giovanna Brovetto Rondo), si sono aggiunte trentacinque opere di Tino Aroldi che con grande generosità la sorella Carla ha voluto destinare al Museo e che oramai costituiscono uno dei nuclei più qualificanti della parte contemporanea. A questa donazione si sono subito affiancate quelle altrettanto significative di opere di Gianfranco Manara (12 dipinti e 6 disegni), sempre grazie alla generosità della moglie, e di Goliardo Padova, donate dal figlio Florenzio, queste ultime rese note nel catalogo della mostra antologica tenuta al museo nel 2007. Un dipinto di Mario Beltrami, l’Autoritratto del cappello di paglia (1975), ormai opera-simbolo di quella sezione che coniuga i temi dell’autoritratto e del paesaggio, è stato donato dalla nipote Marisa Coppini, mentre 4 dipinti di Franco Rossari, bibliotecario e pittore a cui è stato intitolato lo spazio delle mostre temporanee, sono pervenuti dalla sorella Gilda e dal nipote Alessandro Osti.Un discorso a parte merita l’acquisizione delle opere artistiche e dei materiali da lavoro dello studio del pittore Palmiro Vezzoni (vedi la sezione “Centro di documentazione”), dovuta al generoso dono delle figlie Luisa e Maria.Per quanto riguarda gli autori viventi, oltre ad opere precedentemente acquisite (citiamo fra queste una grande scultura di Brunivo Buttarelli, alcuni disegni di Roberto Sguazzi, un dipinto del giovane artista milanese Matteo Bergamasco), il nucleo più consistente è quello costituito dalle opere donate dall’artista milanese Elena Mezzadra, solo in parte esposte e comunque rese note con la recente mostra dedicata alla grafica, mentre, grazie alle esposizioni promosse dalla delegazione locale degli Amici di Palazzo Te, sono pervenuti in dono dipinti di Sturla,
Casagrande, Hoellering, Bargoni e una scultura di Sandro Cherchi. Dopo l’inaugurazione, il Museo ha incrementato il suo patrimonio sia in direzione della parte storica che del contemporaneo (segnalo solo, per questa parte, che hanno donato opere a chiusura delle rispettive personali, due giovani artisti, come Laura Locci e Giorgio Tentolini).Fra gli acquisti, si segnala una bella litografia ottocentesca acquarellata raffigurante l’Ugolino del Diotti (vedi immagine qui a lato) e altra piccola incisione col Congresso di Pontida. Merita però una particolare menzione il preziosissimo dono da parte di Giuseppe e Lucia Mainoldi di un disegno autografo inedito di Giuseppe Diotti, L’Olimpo, 1817 (studio per l’affresco di Palazzo Mina-Bolzesi a Cremona), proveniente dalla raccolta ottocentesca dell’ing. Giovanni Montani, opera che, appena restaurata, per ragioni conservative non potrà essere esposta, ma che risulta di grande interesse per gli studi sull’artista. Allegato a questo dono è poi un disegno acquarellato di Tommaso Aroldi. Per quanto riguarda i depositi è di assoluto rilievo per qualità e interesse storico quello
effettuato dal nobile dott. Pietro Longari Ponzoni, fedele in questo a una tradizione familiare di mecenatismo legato soprattutto a Giuseppe Diotti. Ma devo anche alla sensibilità e all’interessamento di Paola Cirani se alcuni beni artistici di casa Longari Ponzone sono entrati nel 2007 a Palazzo Diotti, con una significativa addenda nel 2008 di cui daremo compiutamente notizia nel prossimo notiziario.Per il momento mi riferisco al superbo disegno del Mosè e il serpente di bronzo, al disegno del Piccio riproducente il Tobia diottesco della Cappella Colleoni e alla medaglia del Beltrami col profilo di Giuseppe Diotti.
Giovanni Carnovali detto il Piccio, Tobia ridà la
vista al padre (da G. Diotti), 1827 ca. Collezione Longari Ponzone, deposito.
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Gianfranco Manara, Autoritratto nello studio, 1984, olio su tela. Dono di Maria Giovanna Brovetto Rondo Manara, 2007.
Gianfranco Manara, Greto, 1981, olio su tela. Dono di Maria Giovanna Brovetto Rondo Manara, 2007.
Palmiro Vezzoni, Santʼ’Ignazio, anni ʻ‘50 circa, olio su carta. Dono di Maria e Luisa Vezzoni, 2007.
Goliardo Padova, Paesaggio con gli insetti, 1969, olio su tela. Dono di Florenzio Padova, 2007.
Tino Aroldi, Campagna, 1975, olio su tela. Dono di Carla Aroldi, 2007.
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Restauri 2007 a cura di Valter Rosa
L’apertura del Museo Diotti ha richiesto l’attivazione di una consistente campagna di restauri sulle opere facenti parte delle Civiche Raccolte o concesse in deposito allo stesso Museo, giovandosi per altro di altri restauri eseguiti negli ultimi anni in occasione delle mostre “Giovanni Romani e il suo tempo” (2003) e “L’Età progettuale” (2006). Nel 2007, anche grazie al sostegno economico della Regione Lombardia, si sono così potute recuperare altre quindici tele e un disegno.Partiamo dal dipinto più importante: si tratta dell’Adorazione dei pastori o Presepe a lume di notte (1809), saggio finale del pensionato romano di Giuseppe Diotti, opera di proprietà dell’Accademia di Belle Arti di Brera, lungamente esposta nel corso dell’Ottocento in Pinacoteca, ma conservata sino a qualche tempo fa in un deposito esterno. Il dipinto (olio su tela, cm 174x225), come si legge nella scheda di restauro, presentava nella parte superiore grandi scodellature del colore con craquelure rialzata, oltre a piccole cadute nella pellicola pittorica che richiedevano un intervento di consolidamento e di integrazione. Il Comune di Casalmaggiore ne ha finanziato il restauro che l’Accademia ha affidato allo studio Carlotta Beccaria di Milano, sotto la direzione di Matteo Ceriana, funzionario della Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico di Milano. In cambio l’Accademia di Brera ha concesso il dipinto in deposito al Museo Diotti, dove l’opera costituisce ormai un tassello fondamentale nel percorso espositivo che documenta la carriera artistica del Diotti. Chi scrive ha reso noto qualche anno fa il modelletto dello stesso dipinto, già appartenuto all’ingegner Giovanni Montani ed attualmente in collezione privata casalasca, col quale ora sarà più agevole poter stabilire un confronto.Sempre proveniente dalla raccolta Montani è un’altra opera autografa di Giuseppe Diotti, un disegno inedito raffigurante L’Olimpo (1817), di cui si dirà più ampiamente in altra rubrica, donato al Museo da Giuseppe e Lucia Mainoldi. Si tratta di un disegno a grafite, matita grassa con lumi a gessetto bianco su carta bruna (mm 265x375). Il supporto, di carta sottile e fragile, con piccoli strappi, fortemente imbrunito per l’ossidazione e con alcune macchie, rendeva pressoché illeggibile il disegno che già aveva perso nella parte destra tutte le lumeggiature. L’accurato intervento di restauro, condotto da Lucia Tarantola di Milano, ha mirato essenzialmente a consolidare il supporto e le tracce del disegno riuscendo a migliorarne solo parzialmente la leggibilità, in quanto si è ritenuto che un’operazione di sbiancatura della carta avrebbe causato la perdita dei lumi superstiti. Per esigenze conservative, il disegno, ora in apposita custodia di cartone non acido, non può essere collocato stabilmente nel percorso espositivo.Fra i dipinti concessi in comodato dalla Fondazione Conte Busi onlus sono stati
della superficie pittorica con numerosi sollevamenti e cadute di colore che avevano allora richiesto di farla interamente velinare prima che venisse traslocata a causa dei lavori di ristrutturazione del palazzo. Ricordo questo episodio solo per sottolineare come molti recuperi, sia di arredi che di dipinti che oggi ornano il Museo, si sono potuti realizzare grazie agli interventi messi in atto, ormai una decina di anni fa, dal lungimirante assessore alla cultura Ferruccio Martelli. Ma fra i restauri eseguiti dallo studio Sanguanini vogliamo segnalare in particolare due dipinti delle Civiche Raccolte d’Arte del Comune di Casalmaggiore, testimonianze pregevoli del disperso patrimonio delle chiese soppresse, conservate presso la Scuola di Disegno “G. Bottoli”. Si tratta di un ovale raffigurante la Trinità, opera giovanile di Marcantonio Ghislina, e di una tela molto più antica coi Santi Simone e Giuda, proveniente dalla distrutta chiesa di Santa Lucia, opera già ritenuta di scuola bresciana del tardo Cinquecento, ma di cui ora, dopo la pulitura che ne ha rivelato appieno la qualità e la bella cromia, potrà essere avanzata una più circostanziata ipotesi attributiva. Se la prima, ora collocata come sovrapporta nell’ambiente dello scalone, si aggiunge al già significativo numero di opere del Ghislina recentemente recuperate o acquisite, contribuendo così a una conoscenza sempre più approfondita del pittore, la seconda costituisce invece un prezioso tassello del Cinquecento a Casalmaggiore, un secolo ancora poco indagato. Sappiamo per certo dalle visite pastorali che la tela coi Santi Simone e Giuda è legata all’omonimo altare della chiesa di Santa Lucia, il cui beneficio risaliva al 1469, e che intorno al 1579 un dipinto con questo soggetto (forse il nostro) aveva sostituito una più antica immagine sacra. Sul quadro ora restaurato, qualche tempo fa, Marco Tanzi, sottolineando l’attardato sapore savoldesco, aveva avanzato il nome del pittore Pietro Maria Bagnadore, ma la questione attributiva è ancora aperta.Le due tele sono state ufficialmente presentate al pubblico mercoledì 13 giugno 2007, negli spazi del nuovo Museo Diotti, dagli stessi protagonisti di questo importante recupero attuato col contributo della Regione Lombardia, ovvero i restauratori Dario e Marco Sanguanini di Rivarolo Mantovano che, oltre agli interventi attuati, hanno illustrato anche la fase diagnostica, proponendo saggi degli esami riflettografici, particolarmente interessanti nel caso del dipinto cinquecentesco, mentre i risultati del restauro sono stati commentati dal dr. Giovanni Rodella, funzionario di zona della Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico delle Province di Brescia, Cremona e Mantova, che ha seguito costantemente i lavori. Ne riportiamo qui gli interventi.
restaurati cinque ritratti di benefattori (fra di essi si segnalano due opere di buona fattura che ho restituito al pittore Francesco Chiozzi su base stilistica e documentaria, ovvero i ritratti di Anna Maria Faita Porcelli e di Leonardo Badalotti) e la Sibilla Persica (una copia di primo Ottocento dal Guercino): si trattava in questo caso di un intervento di carattere manutentivo, volto soprattutto a rimediare i guasti di precedenti restauri eseguito qualche decennio fa. Lo stesso dicasi per le quattro tele di Francesco Chiozzi raffiguranti Aronne, Davide, Mosè e Giosuè, opere di proprietà comunale che ritornano in piena forma in quella che dagli anni Settanta è sempre stata la loro sede, ovvero il Palazzo Diotti, mentre una vera e propria sorpresa è riservata dal recupero di una tela molto iscurita, raffigurante il benefattore locale Luigi Chiozzi, fondatore dell’omonimo asilo, opera di notevole qualità che reca una data, 1840, ma che non ha ancora trovato una sicura attribuzione. Al dipinto, già provvisto di una cornice a pastiglia dorata fortemente deteriorata, è stata adattata una più sontuosa cornice, già parte del patrimonio comunale, restaurata nel 1995 nell’ambito del corso di restauro della Scuola di Disegno “G. Bottoli” diretto dal maestro restauratore Lodovico Savi.In questa circostanza sempre il maestro Savi si è fatto carico di alcuni ritocchi a due console settecentesche che, sempre sotto la sua cura e direzione, erano state miracolosamente recuperate nel ’95. Un dipinto salvato da sicura rovina, restituito alla sua bella cromia ed ora esposto sulla seconda rampa dello scalone è il San Nicola, Sant’Andrea e San Francesco da Paola di Marcantonio Ghislina (olio su tela, cm 248x170), un tempo conservato nel vecchio ospedale. Il restauro, eseguito sempre dallo Studio Sanguanini, ha comportato anche la rimozione del vecchio telaio, debole e infestato da insetti xilofagi, e la foderatura della tela. L’opera giaceva da anni in un deposito di Palazzo Diotti in condizioni veramente precarie: una diffusissima crettatura
Marcantonio Ghislina, Trinità, inizi XVIII sec., olio su tela. Scuola di disegno “G. Bottoli”, deposito.
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Giovanni Rodella
Rivolgo un cordiale saluto a tutti i presenti e un ringraziamento agli organizzatori di questo incontro dedicato alla presentazione dei quadri restaurati del Museo. E’ un museo, questo di Casalmaggiore, per il quale io devo riconfermare tutto il mio apprezzamento, che già avevo espresso con poche parole nel registro dei visitatori quando alcuni giorni fa sono venuto in visita. Ero venuto appositamente da solo, proprio per trovare la necessaria concentrazione e soffermarmi meglio sulle opere e sulla loro esposizione; solo, quindi, senza la sollecitazione di persone che potevano magari farmi fretta ed indurmi ad accelerare la visita. Ho potuto così vedere il museo nelle condizioni migliori e cogliere meglio il filo conduttore della logica museale che tiene insieme le opere esposte che sono qui conservate. Creare un museo oggi, per una città come Casalmaggiore che ha avuto una sua storia anche abbastanza singolare per gli aspetti che l’hanno caratterizzata, soprattutto come importante avamposto fluviale, di una terra di confine, ecco questa impresa di creare un museo non deve essere stata molto semplice. Rispetto ad altre realtà però Casalmaggiore aveva la fortuna di conservare ancora la memoria di una realtà storica ancora molto forte, rappresentata proprio da un personaggio di grandissima valenza, un artista quale
Giuseppe Diotti. Che ha fatto, come dire, da elemento aggregante per la costituzione di questo museo e per far legare insieme, nello stesso tempo, due grandi epoche, il ‘700 e l’ ‘800, per i periodi a cui appartengono buona parte delle opere esposte e direi anche periodi che a mio giudizio sembrano caratterizzare il volto generale di Casalmaggiore e della cultura artistica trascorsa che ancora oggi è sopravvissuta nella città. Questo museo sembra avere anche la funzione “riparatrice”, di risarcire cioè le non poche dispersioni artistiche che anche Casalmaggiore ebbe a subire nei secoli passati e quindi dare finalmente pubblica visione ad opere da considerarsi significative direi in senso duplice, sia come documenti prettamente storici, che come testimonianze importanti della cultura artistica casalasca, dal ‘7 fino al ‘900. Penso d’altronde che siano ben poche le opere che possano sottrarsi a questa duplice considerazione: si considerino a questo riguardo ad esempio i tanti paesaggi della sezione dedicata al ‘900 di questo museo, che ritengo molto interessanti non solo come testimonianza della cultura artistica locale del secolo trascorso, ma anche documenti dei luoghi, delle loro conformazioni originarie che spesso sono state purtroppo del tutto cambiate o addirittura completamente stravolte. Ho appena accennato alle dispersioni che il patrimonio artistico di Casalmaggiore subì nei
secoli trascorsi e al fatto che questo museo può considerarsi idealmente una specie di risarcimento per la comunità cittadina. Qualche giorno fa avevo scorso le pagine di un approfondito saggio del prof. Valter Rosa, comparso nel catalogo della mostra “Il Barocco nella Bassa” del 1999, che verteva appunto sulla storia delle dispersioni delle opere d’arte di Casalmaggiore, specie di quelle contenute nelle chiese, fra la fine del ‘500 e il periodo napoleonico. Senz’altro una delle opere più importanti, sottratta a Casalmaggiore negli anni 1647-1648, in concomitanza con la guerra fra Francia e Spagna e con lo stanziamento a Casalmaggiore delle truppe francesi e modenesi, fu la celebre tavola del Parmigianino raffigurante Santo Stefano, opera che passò prima a Modena nelle collezioni del duca estense e in seguito, con la disgraziata vendita nel 1647 di buona parte delle collezioni estensi, a Dresda per arricchire le collezioni artistiche del principe elettore di Sassonia. Non meno rovinose furono le dispersioni che si ebbero a seguito delle soppressioni delle istituzioni religiose, nell’epoca soprattutto napoleonica, che intaccarono fortemente, come in tante altre città dell’Italia padana, a cavallo fra il ‘7 e l’800, un enorme patrimonio, quello appunto degli ordini ecclesiastici che in rilevante misura andò quasi completamente disperso. Si ricordino solo a questo proposito la chiesa e il
Giuseppe Diotti, Lʼ’Olimpo, 1817, disegno a grafite, matita grassa e gessetto bianco su carta bruna. Museo Diotti, dono di Giuseppe e Lucia Mainoldi.
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convento di S. Lorenzo, che erano stati ricostruiti poco dopo la metà del ‘700 e che vennero poi soppressi nel 1810 e addirittura abbattuti l’anno dopo. Tra i tanti arredi prestigiosi e opere d’arte di questo complesso monastico che furono dispersi, si ricorda, fra le opere più significative, un dipinto del grande pittore di questa terra, Marcantonio Ghislina. Era un quadro che raffigurava S. Antonio da Padova, dipinto nel 1708. Doveva quindi appartenere al periodo giovanile del Ghislina e rappresentare una delle opere dei primi anni della sua attività. Scorrendo poi il saggio, che penso sia il più completo prodotto fino ad ora sul Ghislina, scritto dalla dott.ssa Ronda per lo stesso catalogo de “Il Barocco nella Bassa”, ho potuto appurare che la produzione del pittore a noi nota inizia a partire dal 1699 e rappresentò per tutta la prima metà del ‘700, fino al 1756 (anno della morte dell’artista) il riferimento più significativo e autorevole dell’attività pittorica di tutta la Bassa Cremonese. Una produzione rivolta soprattutto a soddisfare le richieste di una numerosa committenza ecclesiastica, dalle chiese parrocchiali ai grandi ordini ecclesiastici, come i Gerolamini di Cremona che nel 1725 gli affidarono due grandi tele per la prestigiosa cappella di Santa Cecilia -Santa Caterina; una commissione questa di grande importanza che segnò l’ingresso ufficiale del Ghislina a Cremona. L’introduzione del pittore a Cremona è legata probabilmente, come sottolinea sempre la dott.ssa Ronda, ad una temporanea rarefazione degli artisti di maggior fama che fino ad allora erano stati presenti a Cremona, primi fra tutti il Massarotti, forse il pittore più rappresentativo del primo ‘700 cremonese e ai cui modi pittorici il Ghislina mostrò di ispirarsi in modo molto diretto, in particolare proprio nelle opere di S. Sigismondo. Pochi anni più tardi, presumibilmente verso il 1727, si dovrebbe poi collocare un’altra importantissima impresa pittorica del Ghislina, questa volta nella sua città d’origine, Casalmaggiore appunto, dove ritorna da Cremona dopo aver acquisito una fama ancora maggiore, proprio per il successo conquistato con l’impresa di S. Sigismondo. Si tratta delle grandi tele del ciclo, con episodi di grandi eroi biblici, per la decorazione del tamburo della chiesa dell’ospedale di Casalmaggiore, un’impresa particolarmente impegnativa che vide il pittore impegnato anche nelle decorazioni del presbiterio. Poco fa dicevo che questo museo io lo vedo anche come una realtà che in qualche modo sembra risarcire le numerose dispersioni che sono
se la principale fonte di ispirazione, sempre come conferma la dott.sa Ronda, è l’ambito della grande pittura emiliana, in particolare la pittura dei grandi Ludovico e Annibale Carracci. Della provenienza di questo quadro, restaurato dal Sanguanini, la dott.ssa Ronda, che ha svolto la sua tesi di laurea proprio sul Ghislina, mi ha riferito che sembra provenire dall’ospedale di Casalmaggiore. Per rimanere ancora nell’ambito delle dispersioni del patrimonio artistico casalasco, occorre ricordare che il Museo Diotti annovera un dipinto che sembra corrispondere proprio
all’unica opera superstite di una chiesa di Casalmaggiore che venne soppressa nel 1795, la chiesa di S. Lucia, un edificio di culto mai del tutto scomparso e dalla quale proviene quel dipinto qui presente raffigurante i santi Simone e Giuda Taddeo, (vedi foto a lato) anche questo facente parte del gruppo di opere che sono state restaurate. Si tratta di una tela che venne fortunatamente conservata nella gloriosa scuola di disegno Giuseppe Bottoli che rappresentò a lungo una delle istituzioni didattiche fra le più importanti di Casalmag-giore e di maggiore aggrega-zione per la formazione loca-le di tanti artisti e artigiani soprattutto nella prima metà del ‘900. Questo quadro è riferibile all’ambiente pittorico bresciano del primo ‘600, come sembrano rivelare i caratteri del dipinto, in particolare nella definizione soprattutto della luce sulle figure e anche nei cieli, che sembrano rivelare un lontano ricordo della pittura del grande artista bresciano
Girolamo Savoldo. L’autore di questo dipinto, che mostra in modo palese l’adesione abbastanza stretta alla pittura veneta del ‘500 (mi sembrano scontati i riferimenti alla pittura del grande Paolo Veronese, soprattutto nei cieli, in questo contrasto fortissimo fra le nuvole e l’azzurro profondo dello sfondo del cielo) sembra molto vicino stilisticamente ad un pittore bresciano, Camillo Rama, che operò nella prima metà del ‘600. Camillo Rama fu allievo di Palma il Giovane e lavorò qui a Casalmaggiore per la scomparsa chiesa di S. Lorenzo, eseguendo un martirio che andò disperso con la soppressione della chiesa stessa.Un’altra (e forse l’ultima) grande dispersione del patrimonio storico artistico casalasco ebbe ad essere quella della notevolissima raccolta di dipinti che Giuseppe Diotti collezionò in questo che fu il suo palazzo. Una raccolta di opere di grandissimi artisti che, a quanto ci informano le schede del museo, redatte dal prof. Rosa (che mi sono letto molto attentamente),
avvenute nei secoli passati e a questo riguardo il Ghislina viene proprio a proposito. Prima vi avevo nominato questo quadro del Ghislina disperso nel 1708, con la soppressione del complesso monastico di S. Lorenzo: ecco, una perdita che in qualche modo sembra ricompensata in questo museo da altri due dipinti riferiti al Ghislina, due quadri che sono stati restaurati e il cui intervento vi verrà presentato dal restauratore Dario Sanguanini che l’ha eseguito insieme al figlio. Uno di questi due dipinti raffigura i santi Nicolò, Andrea e Francesco da Paola: è un dipinto
veramente splendido, che rivela in modo indubitabile la mano del Ghislina; una pittura di grande effetto, dai forti cromatismi, molto accesi, resi ancora più vividi dai timbri particolarmente forti, dai contrasti delle luci e delle ombre. Gli stessi personaggi raffigurati, per gli atteggiamenti e le posizioni, spesso un po’ sinuose, avvitate, sembrano imprimere a questo dipinto sensazioni di notevole dinamismo, e guardando i dipinti del Ghislina si avverte un gusto del Barocco ormai pienamente maturo: il pittore sembra ormai pienamente partecipe di un comune linguaggio tipico del ‘700, avvertibile nella fortissima luminosità dei colori e anche in questo dinamismo delle figure, con questi panneggi fortemente mossi, quasi spezzati, per caricare di movimento le figure. Giustamente il Ghislina, per quanto riguarda i suoi orizzonti di riferimento culturale, è stato definito un pittore un po’ eclettico, proprio perché partecipe di diversi linguaggi pittorici, anche
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Scuola bresciana del ʻ‘500, I santi Simone e Giuda, olio su tela.
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dovevano avere anche una funzione didattica, per gli allievi che frequentavano la sua casa, casa che venne definita, con un termine che mi sembra molto appropriato, “casa-atelier”; la raccolta, che, dopo la morte del Diotti nel 1846, era stata aperta al pubblico nel 1865 dalla nipote Lucia, andò però poi purtroppo del tutto dispersa: ho letto con grandissima meraviglia che comprendeva opere di artisti strabilianti: Rubens, Correggio, Annibale Carracci, Guercino, Guido Reni, Veronese, Tiziano, Tintoretto e tanti altri pittori di primissimo ordine. Certo sarebbe stato del tutto impossibile, impensabile, in questo nuovo museo, concepire l’idea di un risarcimento di tali opere da esporre per importanza di autori alla collezione del Diotti andata dispersa, ma l’importante è che si sia riusciti a ricreare, attraverso l’iter museale delle opere esposte, l’ambiente culturale casalasco del periodo del Diotti e pure della Casalmaggiore settecentesca in cui si radica la formazione del Diotti stesso che a Casalmaggiore era nato nel 1779. Nel ‘700 a Casalmaggiore, e precisamente nel 1767, era stata fondata una scuola di disegno, una delle tante realtà di aggregazione accademica e didattica che si erano andate diffondendo in Italia in tanti centri, grandi e piccoli, soprattutto a partire dal ‘600. Ecco, fondatore di questa scuola fu il pittore locale Francesco Antonio Chiozzi che pure a sua volta si era formato nella Accademia Clementina di Bologna e poi a Roma. La sua pittura risentì in particolare del Classicismo e della grande pittura emiliana ed è ben rappresentata in questo museo dalle quattro tele, restaurate anch’esse, con gli eroi biblici Aronne, Davide, Mosè e Giosuè. Altrettanto interessante del pittore Chiozzi è il dipinto restaurato con il ritratto del benefattore di Casalmaggiore Leonardo Badalotti che, come ricorda la scritta in alto a sinistra, fu anche un socio della Confraternita della Buona Morte, una delle associazioni caritatevoli fra le più diffuse nelle città e nelle campagne a partire dal Medioevo, che aveva la funzione di assistenza ai moribondi e ai funerali. Erano associazioni laiche che in parte assolvevano a quei compiti che ai nostri giorni sono svolte un po’ dalle imprese delle pompe funebri. L’assistenza ai sofferenti estremi e l’attività nella confraternita dovettero rappresentare nella vita di questo personaggio punti di riferimento particolarmente forti, tanto da costituire appunto l’unico motivo di ricordo nelle iscrizioni dedicate alla sua esistenza. Anche l’iscrizione sul foglio che tiene nella mano sinistra, pur di non chiarissima interpretazione, sembra comunque riferirsi chiaramente al suo impegno assistenziale dei sofferenti, come si evince nella parola languentium. Non poteva ovviamente mancare, nella iscrizione in alto a destra, anche il momento della sua morte, ricordata con una semplice data, cioè il giorno 25 dicembre dell’anno 1769. Direi che alla forte pregnanza di queste iscrizioni che ci introducono nell’esistenza di questo personaggio e ai più sentiti convincimenti di vita, ben si addicono anche gli accenti abbastanza realistici che caratterizzano questo dipinto, come si può
Podesti che operò prevalentemente nell’Italia centrale ma che ebbe anche contatti con Milano, soprattutto con l’Accademia di Brera. Per introdurre l’argomento dei restauri di questi dipinti vorrei anche ricordare che la Soprintendenza per il patrimonio storico e artistico di Mantova, Cremona e Brescia, di cui appunto faccio parte, era stata come di norma coinvolta per dare la preventiva autorizzazione al restauro, sulla base di relazioni progettuali che erano state redatte dal restauratore Sanguanini al quale erano stati affidati gli interventi di restauro. Questi quadri restaurati, essendo di proprietà di un ente pubblico, in questo caso il Comune di Casalmaggiore, sono soggetti ad un regime di stretta tutela da parte dello Stato, il quale viene coinvolto attraverso i suoi organi periferici, in questo caso le Soprintendenze, affinché queste esercitino il loro controllo. E non solo, ricordo, in caso di restauri, ma anche ad esempio in caso di spostamenti temporanei, come quando vengono ad esempio richiesti per le mostre, per le quali noi della Soprintendenza ci pronunciamo sull’opportunità o meno, considerando sempre prima di tutto lo stato conservativo delle opere e se queste possono essere o meno trasferite e sostenere l’aggravio di spostamenti, in situazioni anche ambientali che a volte sono molto differenti da quelle in cui attraverso lunghi secoli sono state conservate. Questo regime di tutela da parte dello Stato vale anche per i beni di proprietà ecclesiastica e questi sono generalmente quelli che ci tengono maggiormente occupati, prima di tutto in considerazione del loro rilevantissimo numero che sopravanza di gran lunga quello delle opere di proprietà pubblica. In questi ultimi anni comunque la costituzione di numerosi musei locali, ad opera soprattutto dei Comuni, sta coinvolgendo sempre di più le Soprintendenze anche su questo versante, cioè quello della tutela del patrimonio storico-artistico degli enti pubblici. Spesso oltre alle tipologie di beni a noi più familiari, come possono essere i dipinti su tela, le statue, le tavole, ci troviamo a dover affrontare problemi di conservazione e di restauro di generi di oggetti abbastanza inusuali per le comuni conoscenze dei funzionari delle Soprintendenze; poco tempo fa, in occasione ad esempio della mostra sull’Età Progettuale, ero stato chiamato per visionare una serie di strumenti scientifici che erano serviti nelle scuole di Casalmaggiore a scopo didattico: anche questi sono oggetti che vanno stretta-mente tutelati, proprio per la loro importanza storica, in riferimento, in questo caso, alla storia e al progredire del sapere scientifico.
Dario Sanguanini
L’intervento di restauro per il quale ci siamo avvalsi, io e mio figlio Marco, della valida collaborazione di due stagiste, Raschi e Sarzi Amadè, comprende il restauro di 14 dipinti ad olio su tela. Vedremo tutti e 14 questi dipinti, anche se per ragioni di tempo dovremo soffermarci sulle operazioni più significative. In pratica tutti i 14 dipinti sono stati analizzati, sono stati analizzati la tela, la preparazione,
vedere dalle fattezze del volto, un po’ aspre, che marcano abbastanza fortemente la fisionomia del viso. Questo ritratto sembra appartenere pienamente alla tradizione di quel naturalismo che ha caratterizzato tantissima parte della pittura lombarda a partire dal ‘500, una cultura pittorica alla quale si ricollegano anche parte degli anonimi autori di altri ritratti del museo, alcuni di questi restaurati, come ad esempio la benefattrice Anna Maria Faita Porcelli, sul cui volto sono sottolineate in modo abbastanza impietoso le rughe, gli appesantimenti della cute, caratterizzata anche da una certa leggera peluria che sembra di intravedere sopra la bocca. Non mi soffermo sugli altri ritratti restaurati, ma solo su quello comprendente la figura di Luigi Chiozzi, un discendente della famiglia cui appartenne anche il pittore Francesco Chiozzi di cui abbiamo appena parlato. Doveva essere un personaggio particolarmente ragguardevole, se si considera anche l’abbigliamento, che denota un certo censo: si osservi ad esempio il pastrano, molto scuro, con questi bottoni neri, arricchito da questo colletto rialzato, con questi ricchi richiami in rilievo; e si osservino anche in basso, sottolineati da leggere luminescenze, l’elsa di una spada e l’angolo delle pieghe di una borsa a sinistra. Sono due elementi che potrebbero alludere, forse l’elsa della spada, ad una trascorsa attività militare, forse in alti ranghi dell’esercito, e la borsa ad un’attività forse più pertinente all’epoca in cui venne eseguito il ritratto, cioè l’attività di funzionario amministrativo, o anche magari dedito all’amministrazione dei suoi beni privati: Luigi Chiozzi doveva essere infatti titolare di un patrimonio privato notevolmente cospicuo; il suo nome infatti è legato ad un generoso lascito che fu da lui elargito per costituire un’istituzione che ebbe a Casalmaggiore una grandissima importanza sociale, cioè l’asilo Chiozzi, un asilo per l’infanzia che fu eretto in ente morale autonomo nel 1862 e che mi pare abbia funzionato a lungo, per molti decenni. Ritornando al ritratto, c’è da dire che il livello qualitativo mi sembra notevolmente alto. Si noti come l’aver tenuto l’abbigliamento della figura e lo sfondo su tinte molto scure abbia portato inevitabilmente a concentrare tutta l’attenzione dell’osservatore sul volto del personaggio raffigurato, rischiarato proprio da una luce nettissima, quasi violenta: la pennellata appare molto vibrante, molto mossa, è condotta in modo straordinario e riesce a restituirci in modo quasi tattile la fisicità dell’epidermide, le sue lucentezze, i pochi e leggeri appesantimenti dovuti all’età del personaggio che potremmo definire pienamente matura. Lo stile ci porta senz’altro al di fuori dello stretto ambito della ritrattistica locale, soprattutto del Diotti, che era caratterizzata da un modo di dipingere molto più raffrenato, più chiuso, cioè una pittura quella del Diotti sostanzialmente legata ai canoni della ritrattistica neoclassica. Non voglio spingermi oltre, anche perché so che il prof. Valter Rosa ha già avanzato una propria attribuzione che forse avrà in animo di approfondire, cioè l’attribuzione a un pittore di origini marchigiane, questo Francesco
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la pellicola pittorica, e queste analisi hanno favorito una attribuzione, perché analizzare la tecnica pittorica è significativo per poter dare un’attribuzione più veritiera all’opera. Il primo dipinto è quello di S. Nicolò, S. Andrea e S. Francesco di Paola: dipinto ad olio su tela delle dimensioni di 248 cm x 170. Il dipinto, quando siamo venuti a prelevarlo, si trovava in queste condizioni perché su consiglio della Soprintendenza, alcuni anni or sono, era stata applicata una carta velina sul retto del dipinto perché si stava talmente deteriorando e molte particelle di pellicola pittorica si stavano staccando: per lo meno questa velinatura ha consentito al colore di rimanere adeso al supporto. Queste operazioni vengono spesso fatte prima degli spostamenti delle opere ai laboratori di restauro: tante volte il colore è talmente sollevato che anche solo il muovere la tela costituisce un fortissimo rischio, quindi viene preventivamente velinato per impedire che le scaglie di colore cadano nel trasferimento del quadro. In pratica si tratta di incollare carte di riso con del collante animale, quindi acqua, colla di coniglio, melassa, che si toglie con una semplice spugnatura con acqua calda. La prima operazione che è stata necessaria è stato togliere piano piano queste veline senza togliere minimamente particelle di colore. Questo lo si è fatto perché, essendo passato molto tempo dalla operazione di velinatura la colletta animale cominciava già a fare delle muffe, che si possono intravedere sul retro: le muffe si inseriscono fra supporto e pellicola pittorica e lentamente lo possono staccare. Da notare anche il vecchio telaio, che è stato sostituito perchè era privo di tensori. Nel ‘900 viene adottata la soluzione dei telai a supporto della tela con inseriti negli angoli dei supporti, dei cunei lignei o negli ultimi decenni anche metallici, che possono consentire di tenere esteso l’angolo, per cui il telaio viene tenuto ben teso e di conseguenza anche la tela viene tenuta ben tirata. Nel vecchio telaio non compariva alcun tipo di tensore angolare; quando è possibile sarebbe opportuno restaurare anche il vecchio telaio, perché spesso è quello originale e fra tela e telaio, vivendo insieme per tanto tempo, si crea quel connubio che è sempre meglio mantenere, potendo. In questo caso non era possibile perché il telaio si era ormai usurato a tal punto che non permetteva più una giusta tensione alla tela e quindi si è optato per la sostituzione del telaio. E’ a forma centinata, la cornice molto probabilmente era originale ed era dorata, anche se la doratura era andata persa quasi completamente; con ogni probabilità nell’’800 era stata ripristinata con una tinteggiatura finto marmo bianco con venature nere. In questa foto in videomicroscopia si notano tutte queste tessere di pigmento unito a preparazione che letteralmente si stanno staccando, spingendosi l’una con l’altra; la tela è in puro lino, però ha tramatura piuttosto larga. In queste situazioni è sufficiente un piccolo colpo o che anche una sola di queste tantissime tessere venga via per tirarsi dietro una buona parte di tutta la policromia. L’opera più complessa dell’intero restauro è stata quella di poter dare spazio a
queste “vesciche”, affinché si adagiassero perfettamente nei loro alloggi; essendo rigonfiate e non avendo più spazio per potersi dilatare quel tanto, con una foderatura ed una stiratura piuttosto energica si poteva anche fare in modo che si formassero delle grinze sul colore, proprio per la sovrapposizione del colore stesso. La fase di rifoderatura è quella operazione per cui si incolla una tela nuova sul retro, agendo sul telaio: si è dato così lo spazio necessario a tutte queste tessere per potersi riadagiare com’erano originariamente. E’ una tipica crettatura “a mosaico”, causata più che altro dal troppo secco, infatti questo è un quadro che non era mai stato verniciato, quindi era molto secco e le continue sollecitazioni del supporto, della tela in pratica, provocano questo tipo di crettatura. Il dipinto è stato rifoderato, quindi è stato rinforzato con una nuova tela in puro lino sul retro, stirato, consolidato e poi è stato riteso sul nuovo telaio, munito di doppia crociera e di quei tensori di cui parlavamo prima, che sono dei tensori angolari metallici estendibili: hanno dei piccoli dadi che si possono tendere con una piccola chiavetta senza bisogno di picchiare sulle biette che forzano sempre sull’incastro del telaio; l’incastro non viene toccato minimamente, ma si può esercitare una tensione forte, perché un dipinto, affinché sia bene conservato, è bene che sia ben teso, altrimenti si formano delle borse, degli spanciamenti sul dipinto che poi generano un degrado piuttosto importante. Queste sono le prove di pulitura: avviene sempre dopo il consolidamento e la foderatura e sono i primi tasselli che si fanno, poi si concorda con la Soprintendenza il grado di pulitura da adottare, si fanno alcune prove a diversi spessori e poi si concorda il grado di pulitura da adottare su tutta l’opera. Qui si nota proprio che era molto sporco: non uno sporco di vernici ma di polveri e sudiciumi vari che con il tempo si erano depositati più che altro per effetto della condensazione sulla superficie pittorica; quindi la pulitura è avvenuta solamente per mezzo di solventi piuttosto blandi come acqua saponata oppure solventi anionici che asportano solamente la polvere.Dopo avviene la stuccatura del dipinto, nelle parti di caduta di colore: si è proceduto per la reintegrazione delle parti mancanti eseguita a tratteggio in selezione cromatica, in modo che a una certa distanza dall’opera (bastano due o tre metri) non si nota niente, mentre se si guarda il dipinto a 10/20 cm si nota questo ritocco a tratteggio. I colori usati sono normalmente colori a vernice perché così con il tempo non cambiano; un tempo si ritoccava molto con il colore ad olio, ma l’olio con il tempo ossida e quindi le alterazioni dei ritocchi sono evidenti anche dopo poco tempo.Questa è l’opera finita: un’opera molto bella, importante, sia per la storia che per la cultura. Si vede anche il viso del paggetto, che era molto rovinato; le parti mancanti sul viso del paggetto sono state integrate a tratteggio. Secondo me è giusto integrare le parti mancanti, in modo che si possa ricostruire la forma del viso, anche per rendere il quadro più leggibile. Ci sono state altre mode, quella
di tenere il dipinto a tela, quella della tinta neutra: io credo che si debba sempre rispettare l’opera, eseguire questi tratteggi in selezione solamente nella parte della mancanza, ma la ricostruzione a mio parere ci deve essere.Questa è l’altra opera, la Trinità. Le misure sono 145 cm x 105. E’ sempre un dipinto ad olio su tela, era molto rovinato, c’erano dei depositi molto spessi di diverse verniciature che erano state applicate e delle ridipinture piuttosto estese, fatte con colore ad olio che con il tempo si altera e quindi le ridipinture erano visibili anche ad occhio nudo. Anche qui si notano segni dell’umidità, c’erano inoltre degli strappi e degli squarci che erano tenuti insieme da toppe incollate sul retro. Anche qui il telaio è stato sostituito perché non aveva più la forza di tendere la tela, era un telaio ormai sconnesso, attaccato molto dal tarlo e quindi fragile, ed era inoltre rigido e non permetteva certo l’estensione del dipinto. La cornice era probabilmente ottocentesca, nera: abbiamo guardato sotto la laccatura nera se ci fossero tracce d’oro o di argento, ma non c’era nulla, era proprio nera, tipica della prima metà dell’’800. Anche qui lo stesso tipo di degrado che abbiamo visto precedentemente: le tessere che ormai si spingono fortemente fra di loro e se non si interveniva velocemente era facile trovarsi il dipinto molto più rovinato: ci voleva davvero poco perché queste tessere cadessero; rimanevano attaccate grazie a tutte quelle verniciature che erano state fatte precedentemente. L’analisi in lampada di Wood fa notare alcuni ritocchi, delle ridipinture non coeve con il resto della pellicola pittorica. La fluorescenza fortissima che si nota intorno è data dagli strati di vernice che ormai ossidata e alterata doveva essere tolta. Questo è il nuovo telaio, munito di crociera centrale con i vari tensori metallici che permettono la dilatazione in caso la tela si debba allentare. Solito tassello di pulitura con asportazione delle vernici, che in questo caso è stata piuttosto complessa perché lo strato di vernici era piuttosto spesso (erano state fatte almeno tre verniciature); la asportazione delle vernici avviene all’inizio con miste di solventi volatili e alla fine quando si arriva alla pellicola pittorica si agisce anche con il bisturi per togliere gli ultimi residui. Rappresenta la Trinità, un soggetto tratto dal passo del Credo (Cristo siede alla destra del Padre).Ultima delle opere restaurate, una tela molto rovinata, con ampi squarci sul lato destro, e sul petto del santo di sinistra e sulla spalla sinistra dell’altro santo, provocati molto probabilmente da qualche colpo che ha preso, tenuti insieme da delle toppe incollate sul retro con un collante molto forte, molto probabilmente una colla da falegname. Il quadro sicuramente è stato leggermente ridimensionato su tutti e quattro i lati, forse la parte maggiormente ridimensionata è quella in alto, in pratica quell’occhio di cielo, quella luce dove c’è la colomba era un po’ più alta, infatti i due santi hanno lo sguardo diretto un po’ più in alto e si notano i segni del vecchio telaio, quelle pieghe sul bordo perimetrale che non concordano assolutamente con il telaio e quindi denotano
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un ridimensionamento e poi anche il fatto che scompare la famosa “ghirlanda” che si fa sul bordo perimetrale della tela, cioè da chiodo a chiodo, forma come un arco, invece sul bordo la tela era tagliata tutta dritta: significa in pratica che è stato ridimensionato. Erano dei tagli che facevano anche i restauratori nell’’800 quando vedevano che la tela era tutta lacerata sul bordo, pensavano bene di tagliare via la parte lacerata per poi tendere il dipinto sul nuovo telaio. Si notano inoltre i piedi che sono proprio al massimo, sono proprio sul bordo: certamente in origine il dipinto, anche nella parte bassa, aveva un po’ più di spazio. Comunque una tela bellissima. Si notano le toppe che sono state incollate sul retro. Anche questo è un dipinto ad olio su tela della dimensioni di cm.176 x 152, quasi quadrato. E’ un dipinto costruito con due vele cucite in mezzo, anche queste in puro lino e con una bellissima cucitura. Anche queste contano molto per dare anche delle attribuzioni, è giusto proprio dire la costruzione dell’opera d’arte, come venivano costruite. Nell’antichità prima di cominciare a dipingere, ad applicare il colore, c’era una costruzione tutta particolare del telaio, della tela, della preparazione. Il telaio, come si nota, è fisso, quindi anche questo è stato necessario sostituirlo con un nuovo telaio e poi con delle aste che sono state sostituite più tardi, poi è stato messo in piedi in un qualche modo per poterlo solamente appendere, ma non è il telaio originale e anche per questo si è pensato di sostituirlo con un telaio più idoneo.Questo è un particolare dello spazio che c’era, manca proprio la tela.Anche qui si nota una fitta crettatura, e poi qui si vede solo quella visibile a occhio nudo, con il videomicroscopio si notava un’altra crettatura molto più fine, intermedia, che denota che il dipinto è molto vecchio: è la tipica crettatura che avviene sui dipinti del ‘500-inizi ‘600. Questa è un’analisi a lampada di Wood, dove si notano delle ridipinture, si nota questa rossa…Anche qui la prova tassello di pulitura. Qui c’erano molte vernici, almeno due mani di vernici e poi c’erano anche delle stesure di olio sopra il dipinto. E’ quello che facevano specialmente nell’’800 e anche nei primi del ‘900 quando davano l’olio ai mobili e veniva dato anche ai dipinti: al momento apparivano lucidi e belli, però l’olio col tempo si ossida, diventa nero, attira la polvere e dopo qualche mese cominciano a diventare peggio di come erano prima.Questo è il telaio, sempre in legno tulipier, che è un legno molto bello, senza nodi, quindi permette di poter avere delle aste lunghe senza che si incurvino, è un legno che è un po’ fra il pioppo e il noce come consistenza, ma è molto utile proprio per i telai. E’ stata applicata una traversa intermedia e tensori angolari di metallo regolabili.Anche qui la integrazione a selezione cromatica, a tratteggio, sempre, un tratteggio che segue l’andamento delle pennellate originarie. Tutte queste procedure vengono sempre concordate con la Soprintendenza.Questa è una videomicroscopia, si vedono appunto quelle piccole cretature di cui si
diceva prima: fra quelle tessere di quella specie di mosaico che vedevamo prima, dentro ad ogni tessera ci sono tutte queste cretature che ad occhio nudo non sono visibili, ma che si vedono in videomicroscopia e denotano proprio che molto probabilmente è un quadro della fine del ‘500, inizi del ‘600.Questa è una fotografia in riflettografia, in pratica sarebbero i raggi infrarossi, e qui si nota la tecnica: si notano queste pennellate scure e delle pennellate bianche. Questa indagine dimostra che le pennellate scure che sono le ultime, i massimi scuri, e i massimi chiari (le pennellate bianche) sono state applicate quando il colore era già secco, quindi vuol dire che il pittore che ha eseguito l’opera, deve avere aspettato almeno… io penso 6 o 7 mesi prima di poter applicare i massimi scuri e i massimi chiari, perché non si sono minimamente amalgamati con la policromia che c’era sotto. Erano proprio tecniche, queste, che per ottenere questi forti contrasti dovevano attendere che il colore sotto fosse completamente asciugato. Questa indagini servono appunto per conoscere la tecnica.Questa è la mano del santo di sinistra; questa è sempre una riflettografia e si nota il disegno che il pittore deve avere eseguito con un pennello piuttosto piccolo e con del colore nero. Quindi molto probabilmente prima veniva fatto il bozzetto, poi veniva ingrandito sulla tela con una quadrettatura, probabilmente, e poi il pittore passava con il pennello e del nero. Qui si nota proprio una facilità di esecuzione molto forte, era un vero pittore, un vero artista questo, vista la sicurezza della pennellata. Questo è il dipinto finito. Si notano quelle chiazze bianche, queste luci molto forti, e questi neri, che danno appunto questo insieme molto contrastato ma che è dato proprio dalla tecnica, questi scuri e chiari applicati quando il dipinto era già perfettamente asciutto, altrimenti questi contrasti sarebbero impossibili da ottenere.Adesso facciamo una carrellata di immagini: erano dipinti che erano stati restaurati alcuni decenni orsono, infatti in accordo con la Soprintendenza si è optato per un restauro conservativo. Questo è il Mosè. Si è mantenuta la foderatura precedente perché era ancora buona, si sono applicati i tensori e soprattutto si è data una pulitura alla superficie perché sia i vecchi ritocchi che le vernici si erano ormai alterati a tal punto che rendevano illeggibile l’opera nei suoi giusti valori. Anche le cornici, che sono molto belle, sono state recuperate totalmente. Qui si vede un velo grigiastro che ricopre tutta l’opera e la manutenzione dice che queste vernici dopo un certo periodo (dipende anche dal luogo di collocazione e da tanti fattori) diventano gialle o grigie e vanno sostituite. Ecco questa è l’opera finita. In questo quadro non ci sono stati particolari ritocchi ma solo un’opera di asportazione delle vernici, pulitura del retro, e sono stati mantenuti sia la foderatura che il telaio anche se non era originale, e sono stati applicati i tensori angolari.Questo è Giosuè. Anche qui si notano bene le parti chiare che sono i vecchi ritocchi, molto probabilmente eseguiti a tempera all’uovo che con il tempo diventano bianchi, mentre
l’olio diventa nero, e poi un po’ di sporcizia su tutta la superficie che disturba certamente la lettura e che deve essere rimossa.Davide, con la cetra e la corona. Anche qui la stessa cosa. Questi quattro dipinti sono tutti delle dimensioni di cm 92 x 62. Sono piuttosto belli, una bella luce. Anche qui vedete parecchi ritocchi che con il tempo si sono alterati e che devono essere tolti.Queste invece sono altre 7 opere. Questo è il ritratto della Sibilla Persica, che è una copia del Guercino, che aveva eseguito nel 1647. E’ una bella copia, ottocentesca, l’unica cosa che manca dell’originale è una scritta qui sul libro, “Sibilla Persica”, che il Guercino aveva eseguito ma che nella copia è stata omessa. Anche questo quadro era molto sporco; forse nella fotografia i bagliori sono un po’ troppo forti e comunque… Anche qui è stato praticato un intervento di manutenzione, asportazione dei ritocchi e delle vernici, la solita pulitura sul retro e applicazione dei tensori angolari.Questo è il Ritratto denominato “di gentildonna con il cappello”; qui sono chiari i ritocchi e i bianchi che si sono fortemente alterati, specialmente sul braccio, un po’ dappertutto. E’ una vernice che ormai si è talmente alterata che doveva essere tolta totalmente.E questo è il dipinto pulito. Naturalmente quando si puliscono questi quadri vengono asportate sia le vernici che i ritocchi, che poi vengono rifatti in modo più opportuno.Questo è il Ritratto di Annamaria Faita Porcelli. Anche qui stessa cosa: dopo la pulitura i colori diventano molto più luminosi e il quadro acquista tantissimo. Anche il Ritratto di gentiluomo era molto deteriorato dai depositi di vernici; il rosso del mantello ora è molto più luminoso, anche tutta la decorazione dell’abito.Questo è il Ritratto di gentildonna, non si sa chi sia; molto bello questo manto, questo vestito, solo che lì non era leggibile e dopo la pulitura si nota molto bene, l’abito e la sua preziosità.Questo era quello che era ridotto peggio: vedete queste chiazze bianche che denotano dei ritocchi piuttosto estesi e che andavano a interessare anche parte della cromia originale. Si è fatta una asportazione generale di tutti questi ritocchi e delle vernici. La scritta non era forse stata ben capita, non l’avevano ritoccata neanche nel modo giusto. Questa scritta la si è vista bene con la reflettografia, si è visto sotto cosa c’era veramente scritto, quindi si è andati a ritoccarlo. Ritratto molto interessante e piuttosto bello.L’ultimo, il Ritratto di Luigi Chiozzi: era molto opacizzato e ingrigito da questi depositi di vernici e fumi, su tutta la superficie. C’era una cornice che era in condizioni talmente disastrate che si è resa necessaria una sostituzione, con una cornice ancora più bella. Il quadro è interessante, si nota il viso molto intenso, molto bello. Sono state fatte delle analisi particolareggiate sulla pellicola pittorica, sul tipo di pennellata che potranno essere utili per una attribuzione.
Trascrizione di Letizia Frigerio
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CENTRO DI DOCUMENTAZIONEAttività del Centro di Documentazione 2007
Contestualmente all’apertura delle sale del Museo Diotti è stato attivato il Centro di Documentazione con l’allestimento al piano terra di una sala dedicata all’arte sacra e all’opera di Palmiro Vezzoni, e la creazione della biblioteca del Museo comprendente, oltre a un fondo librario in formazione, anche numerosi materiali d’archivio. Tale Centro intende sviluppare quattro filoni: a) Relativamente al Museo Diotti, la
funzione primaria del Centro è quella di raccogliere tutta la documentazione manoscritta e a stampa sull’opera di Giuseppe Diotti e la schedatura completa dei dipinti, dei disegni e di tutte le opere conosciute della sua scuola, da aggiornarsi costantemente in base alle segnalazioni pervenute e alle ricerche messe in campo; in prospettiva, gli studi sulla scuola del Diotti potrebbero estendersi, in generale, all’Ottocento cremonese.
b) Il Centro si occupa in particolare degli artisti locali, o che abbiano avuto rapporti con la città di Casalmaggiore, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento sino ad oggi, non solo promuovendo il censimento fotografico e la catalogazione delle opere prodotte conservate in collezioni pubbliche e private, ma soprattutto favorendo la conservazione e l’acquisizione di archivi d’artista (materiali di studio, appunti, schizzi, corrispondenza, biblioteca personale, cataloghi delle mostre). L’attività espositiva condotta negli ultimi anni ha già consentito la costituzione di un primo corpus di materiale documentario, a volte fortunosamente recuperato e altrimenti destinato alla dispersione. Sono stati raccolti materiali d’archivio relativi al pittore Mario Beltrami (1902-1979), al pittore Goliardo Padova (1909-1979) e allo scultore Carlo Cerati (1865-1948). E’ inoltre in corso di allestimento una raccolta in originale, in fotocopia e su supporto digitale dei cataloghi delle esposizioni collettive a Casalmaggiore dal 1865 ai giorni nostri. Le biblioteche personali degli artisti eventualmente acquisite costituiranno dei fondi specifici, di cui i singoli titoli entreranno comunque a far parte del catalogo generale della biblioteca specializzata delle Civiche raccolte d’arte.
c) La centralità dei temi religiosi nella produzione artistica di Giuseppe Diotti e della sua scuola ha suggerito di ampliare il campo di studio a tutto il fenomeno dell’arte sacra nel territorio casalasco e cremonese nei secoli XIX e XX. La donazione Vezzoni costituisce, in tal senso, una premessa fondamentale per avviare e sviluppare tale lavoro di
documentazione d) La recente proposta di donazione di
alcune raccolte di grafica (è già stata acquisita, ad esempio, quella della pittrice milanese Elena Mezzadra a cui è stata dedicata recentemente un’antologica), di disegni e di fotografie, suggerisce – per la qualità dei materiali offerti – la possibilità di una specializzazione del Centro di Documentazione in ambiti ancora poco seguiti nelle raccolte lombarde, relativamente alla produzione e documentazione artistica degli anni più recenti, soprattutto per quegli autori, spesso di grande rilievo, operanti ai margini del mercato dell’arte.
Sala dell’arte sacra di Palmiro Vezzoni
In questa sala trova spazio una ricostruzione ideale dell’atelier di Palmiro Vezzoni, il pittore certamente più rappresentativo nel campo dell’arte sacra.Nato a Rivarolo del Re nel 1908, Palmiro Vezzoni studia a Milano all’Accademia di Brera, dove è allievo di Ambrogio Alciati, Giuseppe Palanti e di Aldo Carpi, e dove riceve due premi nel 1926 e nel 1927. Frequenta anche i corsi artistici della scuola del Castello Sforzesco. All’inizio degli anni Quaranta intraprende una feconda attività di decoratore e restauratore nelle chiese del territorio che proseguirà soprattutto nel dopoguerra, con la realizzazione di affreschi nelle parrocchiali di Ardole San Marino, Quattrocase, Scandolara Ravara, Rivarolo del Re, Casaletto e Cizzolo. Oltre i confini locali, la sua attività tocca località più lontane quali San Colombano,
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CENTRO DI DOCUMENTAZIONECarrara e alcuni centri della diocesi bresciana. Di queste grandi imprese restano numerosi cartoni in scala reale per gli affreschi, progetti di decorazione d’insieme realizzati ad acquarello e numerosi bozzetti di singole scene religiose; una parte significativa di queste opere è esposta alle pareti di questa sala e nell’adiacente biblioteca. Alla pittura sacra Vezzoni affianca una pittura di genere o di natura morta (alcuni esempi sono esposti in biblioteca), con intento decorativo di dimore private, come in alcune ville di Rivarolo del Re. Nel 1963 esegue, tra l’altro, gli affreschi del salone centrale della Direzione Provinciale delle Poste e delle telecomunicazioni di Cremona. Artista di profonda fede e amico di don Mazzolari, Palmiro Vezzoni, scomparso nel 1997, trova ora nel Museo Diotti una prima occasione di pieno riconoscimento del suo valore, grazie alla donazione, da parte delle figlie Maria e Luisa, di un consistente fondo comprendente anche gli strumenti di lavoro dell’atelier, come ad esempio il monumentale cavalletto posto all’ingresso del Centro di documentazione.I materiali esposti, ancora in parte da studiare, sono oggetto di una ricerca in corso, i cui risultati saranno pubblicati nel 2009.
La Biblioteca del Museo
Si è costituita nel marzo 2007 a partire da alcuni piccoli nuclei di volumi e riviste della Scuola di Disegno “Giuseppe Bottoli” e da un deposito di libri della Biblioteca Civica “A. E. Mortara”. La sua dotazione è poi stata arricchita da alcuni doni, in particolare da parte di chi scrive (circa 200 pubblicazioni di arte moderna e contemporanea), di Fiammetta Padova (110 cataloghi di mostre di artisti del ‘900), di Florenzio Padova (alcuni cataloghi di mostre del padre Goliardo), di Elena Mezzadra (monografie, cataloghi e libri d’artista), dello studioso Ulisse Bocchi (una decina di monografie sulla natura morta in Italia e sui beni artistici nel casalasco) e di Ombretta Vecchini (vecchie e antiche edizioni di pregio appartenute al padre Giulio, scultore intagliatore). La biblioteca, accessibile agli studiosi solo su richiesta, intende proporsi come sezione specialistica collegata alla Biblioteca Civica, relativamente a tre principali ambiti:- arte e artisti (non solo locali) legati al territorio, ovvero gli “artisti del Museo”;- arte contemporanea;- beni culturali e museologia.
In alto a destra:
Lo studio del pittore Palmiro Vezzoni a Rivarolo del Re (Cremona).Sotto:
La sala del Centro di documentazione dedicata all’arte sacra di Palmiro Vezzoni.
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CASALMAGGIORE - EDIZIONI BIBLIOTECA A. E. MORTARA - Maggio 2008 ISBN 88-88-087-30-3