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NOTE INTRUDUTTIVE ALL’ASCOLTO DEL CD “EGLI SOLO E’ DEGNO” INDICE 1. Premessa 2. L’importanza di conoscere chi è Gesù 3. Cosa pensa la gente di Gesù 4. Chi pensiamo noi che Egli sia 5. Una rivelazione del Padre 6. Una conoscenza diretta 7. La Sua eterna esistenza 8. Confutiamo alcune tesi 9. La Sua divinità 10. La duplice natura 11. L’incarnazione 12. Il figlio dell’uomo 13. L’uomo Gesù non cesserà mai di esistere 14. L’Agnello di Dio 15. Gesù è degno: testimonianza di Giovanni il Battista 16. Gesù è degno per quanto ha fatto per noi 17. Gesù solo ci fa degni

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 NOTE  INTRUDUTTIVE  ALL’ASCOLTO  DEL  CD  “EGLI  SOLO  E’  DEGNO”  

INDICE

1. Premessa

2. L’importanza di conoscere chi è Gesù

3. Cosa pensa la gente di Gesù

4. Chi pensiamo noi che Egli sia

5. Una rivelazione del Padre

6. Una conoscenza diretta

7. La Sua eterna esistenza

8. Confutiamo alcune tesi

9. La Sua divinità

10. La duplice natura

11. L’incarnazione

12. Il figlio dell’uomo

13. L’uomo Gesù non cesserà mai di esistere

14. L’Agnello di Dio

15. Gesù è degno: testimonianza di

Giovanni il Battista

16. Gesù è degno per quanto ha fatto per noi

17. Gesù solo ci fa degni

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1  –  PREMESSA   Parlare del Signore e Salvatore Gesù Cristo non è e non può essere mai una cosa semplice, perché Egli è la Persona più importante della storia e, aggiungiamo, dell’intera eternità. Tutto quello che si potrà dire di Lui non sarà mai sufficiente a spiegare se non in parte la Sua natura e la grandezza della Sua gloria. Come ben scrive Giovanni, non basterebbero tutti i libri che il mondo possa contenere per parlare compiutamente di Colui che è l’Ammirabile (Isaia 9:5) e del Quale nel libro del Cantico dei Cantici è detto: “tutta la sua persona è un incanto” (C. dei Cantici 5:16) “Or vi sono ancora molte altre cose che Gesú ha fatte; se si scrivessero a una a una, penso che il mondo stesso non potrebbe contenere i libri che se ne scriverebbero” (Giovanni 21:25). Il nostro umile proposito è cercare di innalzare ed affermare, sia con i cantici che con questa breve introduzione, la grandezza, divinità e maestà del nostro Salvatore, coscienti che quando Egli sarà innalzato, le anime saranno attratte dal Suo splendore ed illuminate dalla Sua ineffabile luce: “”Io, quando sarò innalzato dalla terra, attirerò tutti a me"” (Giovanni 12:32).

2  -­‐  L’IMPORTANZA  DI  CONOSCERE  GESU’   Capire chi è Gesù non è cosa della quale si può fare a meno, perché è l’indispensabile premessa di ogni salvezza. E’ la fede in Cristo, come ben chiariscono tutte le Sacre Scritture, che ci permette di essere salvati e non certo i nostri miseri sforzi umani, che non potranno mai colmare il nostro infinito debito verso il Creatore. Credere però implica necessariamente conoscere Colui nel quale si ripone la propria fiducia. Perché come si può avere fede in qualcuno del quale ignoriamo chi sia, quali siano i suoi scopi e quali le sue intenzioni verso di noi? Ecco perché è così importante conoscere Gesù per essere salvati e quindi riconoscere chi Egli è e cosa ha fatto per la nostra anima! Dal credere o dal non credere in Lui quale nostro Salvatore e Signore dipenderà la nostra salvezza o la nostra eterna condanna, perché Egli stesso ha chiaramente detto: “E quando sarà venuto, convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia, e al giudizio. Quanto al peccato, perché non credono in me” (Giovanni 16:8-9). Il peccato ha tante forme ed aspetti, ma tutti convergono verso quest’unica realtà: rifiutare di credere in Gesù. Comprendiamo perciò che se qualcosa dobbiamo approfondire, acquisire intimamente e non certo trascurare, questa è proprio una sincera ed ardente ricerca del Signore, per ottenere una reale consapevolezza della gloria della Sua Persona, della grandezza della Sua opera di grazia, rappresentando tutto ciò il fondamento stesso della nostra redenzione.

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3  -­‐  COSA  PENSA  LA  GENTE  DI  GESU’   Chi dice la gente che Egli sia? Può essere molto utile un confronto fra quello che gli altri pensano di Gesù e ciò che noi crediamo di Lui: questo potrebbe fare emergere dal profondo dei nostri cuori la reale condizione della nostra anima. Le persone hanno un concetto molto variegato di Cristo e quasi mai negano la Sua esistenza e la particolarità della Sua persona. Questo però non cambia assolutamente la loro vita e non influisce sul loro modo di condursi, tanto meno sul loro rapporto con l’eternità. Un generico concetto su Gesù non salva e non produce alcun beneficio spirituale. Il Signore volle richiamare l’attenzione dei discepoli su questa realtà quando chiese loro: “Poi Gesù, venuto nelle parti di Cesarea di Filippo, domandò ai suoi discepoli: Chi dice la gente che sia il Figliuol dell'uomo? Ed essi risposero: Gli uni dicono Giovanni Battista; altri, Elia; altri, Geremia o uno dei profeti” (Matteo 16:13). Non domandò ciò perché disconoscesse la pubblica opinione su di Lui, ma solamente per sottolineare l’estrema importanza di sapere personalmente chi veramente Egli è. La gente di quel tempo, classe sacerdotale a parte, non disconosceva la figura di quel Maestro così straordinario, anzi Gli attribuiva una dimensione assolutamente fuori dal comune. Pensando che fosse Elia, Geremia o uno dei profeti, reputava infatti che fosse addirittura un grande uomo del passato ritornato in vita. Questo spiegava secondo loro la realtà soprannaturale che circondava la Sua figura. La gente, ieri come oggi, crede ancora che Gesù sia stato una Persona unica, un profeta, un grande uomo. Per le stesse religioni non cristiane, Gesù è una figura spirituale di rilievo, un grande profeta. Perfino Albert Einstein, forse il più grande scienziato di tutti i tempi, nutriva per Lui una profonda considerazione ed ammirazione. La gente, le religioni, i grandi uomini, pensano che Gesù sia stato uno dei personaggi più eloquenti e singolari che la storia ci abbia riservato, ma questo non li salva e non cambia la loro vita, perché Egli è molto di più di un grande profeta, di un raro insegnante: è il Figlio di Dio!

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4  -­‐  CHI  PENSIAMO  NOI  CHE  EGLI  SIA  

“E voi, chi dite ch'io sia? Simon Pietro, rispondendo, disse: Tu sei il Cristo, il Figliuol dell'Iddio vivente” (Matteo 16:15). Alla prima domanda di Cristo, seguì questa seconda, che era ed è la più importante. Chi è Gesù per me, chi è per te? Chi era Gesù per Simone e per gli altri discepoli? Un Maestro, un profeta o un grande uomo di Dio? Bastava questo a far decidere loro di lasciare ogni cosa: lavoro, famiglia e tutto il resto per seguire un grande uomo? Non avevano essi compreso che Gesù era ben altro che un profeta, un maestro o un grande uomo, ma che era il Figlio di Dio? Dalla risposta di Pietro appare fin troppo chiaro! Questa sola realtà fece in modo che la loro vita, come pure quella di tanti altri, cambiasse radicalmente. La stessa domanda ci viene in qualche modo rivolta e sarà proprio la nostra risposta a rivelarci la reale condizione spirituale della nostra anima, sempre che tale risposta sia sincera e quindi in sintonia con la nostra reale esperienza di vita. Se crediamo che Gesù sia il Figlio di Dio, vuole altresì dire che avremo preso decisioni simili a quella degli apostoli, ovvero lasciare un passato privo di Cristo e della Sua grazia per seguire il divino Maestro, perché conoscere veramente che Gesù è il Salvatore del mondo venuto dal cielo non potrà mai lasciarci nella condizione di sempre o nell’indifferenza. E’ necessario pertanto riconoscere e sperimentare personalmente che Cristo è il Figlio di Dio, perché se così facciamo, Lo riceveremo adeguatamente nella nostra vita. Diversamente saremo ancora lontani dall’unico fondamento sul quale può essere edificata la salvezza dell’anima. “Poiché nessuno può porre altro fondamento che quello già posto, cioè Cristo Gesù” (I Cor. 3:11). Anche se siamo religiosi ma non abbiamo ancora conosciuto personalmente Gesù, né l’abbiamo ricevuto apertamente quale Signore e Salvatore, l’impalcatura religiosa sulla quale fondiamo la nostra speranza crollerà miseramente, perché Gesù ha detto che solo la fede in Lui quale Figlio di Dio ci può edificare nella Sua grazia e preservare nel nostro cammino spirituale: “… su questa pietra edificherò la mia chiesa, e le porte dell'Ades non la potranno vincere” (Matteo 16:18). Chi non crede, oppure chi, pur affermando di credere che Gesù è il Figlio di Dio pensa ben altro di Lui, come vedremo in seguito, non fa parte in realtà della vera chiesa del Signore, di quella che Dio solo conosce e riconosce. “Tuttavia il solido fondamento di Dio rimane fermo, portando questo sigillo: "Il Signore conosce quelli che sono suoi", e "Si ritragga dall' iniquità chiunque pronunzia il nome del Signore"” (II Timoteo 2:19). Lo stesso vale per chi pone come fondamento qualcuno o qualcos’altro diverso da Lui: “Poiché nessuno può porre altro fondamento che quello già posto, cioè Cristo Gesù” (I Cor. 3:11).

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5  -­‐  UNA  RIVELAZIONE  DEL  PADRE  

Conoscere Gesù quindi come Figlio di Dio è la necessaria premessa per la nostra salvezza eterna. Questa conoscenza però non è umana, proveniente dalla nostra capacità di capire o discernere, ma è il risultato di una vera e propria rivelazione spirituale proveniente dal cielo, perché non si può conoscere chi è il Signore e Salvatore se non attraverso la rivelazione del Padre. Saulo da Tarso conosce Gesù in un modo travolgente e personale sulla via di Damasco e questo muta radicalmente il suo cammino. Da quel momento in poi niente è più come prima. Egli comprende che Gesù è il Figlio di Dio e di Lui più tardi parlerà con rara profondità e acume nelle sue Epistole. La sua pur zelante religiosità non gli aveva permesso di conoscere il fatto più importante che l’uomo deve sapere, ovvero che Gesù è il Figlio di Dio. La sua cultura e la sua capacità di comprendere lo avevano portato solamente in un totale stato di spirituale cecità. La storia di Paolo ci insegna quanto sia necessario ricevere questa soprannaturale rivelazione. Cosa pensiamo che avviene in Levi il pubblicano quando, di risposta all’invito di Cristo di lasciare il banco della gabella sul quale sta lavorando per seguirLo, lascia tutto come se niente fosse? Cosa è che gli fa rispondere repentinamente a quella chiamata? Non ha ancora visto probabilmente Gesù prima di quel momento, che cosa succede allora in lui? E’ evidente che accade qualcosa di straordinario nel suo cuore: una potente illuminazione interiore, la profonda rivelazione che Cristo è il Figlio di Dio. Non c’è altra spiegazione! Pietro ed gli altri apostoli non hanno compreso da loro stessi la reale natura del Maestro che stanno seguendo, ma ciò è avvenuto per una vera e propria illuminazione celeste, così come ben chiarisce il Signore: “Gesú, replicando, disse: "Tu sei beato, Simone, figlio di Giona, perché non la carne e il sangue ti hanno rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli"” (Matteo 16:17). Così anche noi non possiamo comprendere chi è il Padre se non per rivelazione del Figlio, né chi è il Figlio se non per la rivelazione del Padre: “Ogni cosa mi è stata data in mano dal Padre mio; e nessuno conosce il Figlio, se non il Padre; e nessuno conosce il Padre, se non il Figlio, e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo” (Matteo 11:27). La comprensione della natura del Figlio di Dio, così come quella del Padre, è una rivelazione spirituale, intima e profonda, che si riceve come conseguenza di una vera e sincera ricerca del Signore. Pietro riceve questa rivelazione non a caso, ma dopo che insieme ad altri discepoli si è già disposto a seguire il Maestro, lasciandosi alle spalle ogni cosa. Chi cerca Dio ed è vivamente interessato alla propria salvezza, viene illuminato dal cielo e comprende intimamente e spiritualmente la verità che riguarda il nostro Salvatore. Chi non lo cerca, resterà per contro nel buio spirituale. “Quelli che lo guardano sono illuminati” (Salmo 34:5). “Voi mi cercherete e mi troverete, perché mi cercherete con tutto il vostro cuore; io mi lascerò trovare da voi", dice il Signore” (Geremia 29:13-14). Sebbene le Scritture siano molto chiare circa la natura di Gesù, conoscere chi è il Signore è il risultato di una sincera ricerca senza umani preconcetti di Dio. Nel momento in cui avremo ricevuto questa divina rivelazione di Cristo, non Lo lasceremo più e risponderemo alla tentazione di ritornare sui nostri passi con le stesse parole dell’apostolo: “Signore, da chi andremmo noi? Tu hai parole di vita eterna; e noi abbiamo creduto e abbiamo conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (Giovanni 6:68-69).

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6  -­‐  UNA  CONOSCENZA  DIRETTA   Se è vero che Cristo è il Figlio di Dio ed è venuto su questa terra per pagare il prezzo della nostra redenzione, non possiamo più trattare con superficialità le realtà che Lo riguardano e di conseguenza la necessità stessa della nostra salvezza. E’ invece indispensabile fornire un’adeguata risposta alle istanze che Egli ci rivolge. Quello che conta è riceverLo nella propria vita, perché ciò solamente ci dà il diritto di diventare figli di Dio e ottenere quindi la vita eterna. “E’ venuto in casa sua e i suoi non l'hanno ricevuto; ma a tutti quelli che l'hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventar figli di Dio: a quelli, cioè, che credono nel suo nome; i quali non sono nati da sangue, né da volontà di carne, né da volontà d'uomo, ma sono nati da Dio” (Giovanni 1:11-13). Conoscere Gesù personalmente è un fatto straordinario, perché impariamo in tal modo quanto sia gloriosa la Sua Persona e come sia bello ed importante seguirLo. “… Imparate da me, perché io sono mansueto e umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre; poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero” (Matteo 11:29-30). Ci innamoriamo di Lui, desideriamo metterLo al primo posto nel nostro cuore, perché diriga la nostra esistenza. Non bramiamo altro che vivere per e con Lui. Tutto il resto passa in secondo piano. In questo si dimostra una vera e profonda conoscenza di Gesù. Da quel momento inizia un nuovo cammino, nel quale incominciamo a comprendere sempre di più chi Egli sia e questa progressiva conoscenza durerà per tutta la vita e per la stessa eternità. Impariamo a muovere i nostri passi nelle vie di Dio e realizziamo la pace più profonda, che ci permette di superare prove e difficoltà. Una conoscenza puramente ed unicamente teologica di Cristo serve a poco o forse niente, ma conoscere Gesù personalmente è fonte di grande benedizione spirituale e salvezza per il nostro cuore.

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7  -­‐  LA  SUA  ETERNA  ESISTENZA   Ma chi è allora Gesù, dal momento che ciò, come abbiamo avuto modo di spiegare, è fondamentale per la nostra salvezza eterna? Questa è forse la domanda più importante di tutta la Bibbia, il punto cruciale di tutte le Sacre Scritture! E’ Egli solamente un uomo, una creatura celeste, un angelo oppure è Dio? Cosa significa che è il Figlio di Dio? Le Scritture non lasciano dubbi, anche se alcuni, volutamente o no che sia, oggi come nel lontano passato della storia della cristianità, hanno speso tempo ed energie per tentare di dimostrare che Egli sia nient’altro che una creatura eccelsa, anche al costo di far dire alla Bibbia quello che essa non afferma affatto. Pur dichiarando di credere che Gesù sia il Figlio di Dio, in realtà insegnano che Egli sia nient’altro che una creatura angelica, sublime quanto si voglia, ma pur sempre una creatura. Gesù però ci ha solennemente messi in guardia : “Perciò vi ho detto che morirete nei vostri peccati; perché se non credete che io sono, morirete nei vostri peccati” (Giovanni 8:24). Questo spiega molto chiaramente come non si possa prescindere da una corretta conoscenza della Persona del Signore per essere salvati, perché non un angelo, non una creatura eccelsa o chi altro esso sia, ha pagato il prezzo della nostra salvezza, ma il Figlio di Dio, uno col Padre, eterno e degno di gloria, la cui natura è certamente quella divina. La Parola di Dio Chi è allora Gesù? La Bibbia dichiara con estrema precisione che Egli sia “la Parola di Dio fatta carne”. Già questa chiara definizione è sufficiente a spiegare la realtà della Persona gloriosa ed eccelsa del Signore e Salvatore, perché “la Parola di Dio”, come anche il termine ben esprime, non è e non può essere una creatura, ma il Creatore e Dio. Cerchiamo di capire cosa vuol dire perciò quest’affermazione biblica. L’apostolo Giovanni comincia il suo Vangelo scrivendo che Gesù, fin dall’eternità, era la PAROLA DI DIO: “Nel principio era la Parola, la Parola era con Dio, e la Parola era Dio. Essa era nel principio con Dio” (Giovanni 1:1-2). La Parola perciò esisteva già nel principio, cioè anteriormente alla creazione di tutte le cose, ed Essa era con Dio ed era essa stessa Dio “Essa era nel principio con Dio”. Prima che venisse in questo mondo, prima che si incarnasse nell’Uomo di Nazaret e fosse trovata esteriormente come uno di noi (Filippesi 2:8), Essa esisteva già ed esisteva come eterna Parola di Dio, ovvero il “Logos”. “Era vestito di una veste tinta di sangue e il suo nome è la Parola di Dio” (Apocalisse 19:13). Quando prendiamo in esame “il principio”, cioè l’origine dell’intero creato, il momento iniziale nel quale per la prima volta in assoluto, ribadiamo in assoluto, le cose furono fatte, la Parola di Dio già era ed esisteva ed è evidente che Essa non abbia avuto un origine, in quanto era preesistente al principio medesimo. Il libro della Genesi inizia altresì parlando del principio della creazione dell’universo, il momento in cui cioè furono creati i cieli e la terra: “Nel principio Dio creò i cieli e la terra” (Genesi 1:1). Questo è quindi il principio! Prima, vi era solo l’eternità. Se la Parola fosse stata creata, allora la Bibbia avrebbe dovuto dire che nel principio fu creato il “Logos”, poi, successivamente, i cieli e la terra, ma essa non afferma affatto questo. Nel principio

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non fu prodotta la Parola, come alcuni sostengono, ma unicamente i cieli e la terra. La Parola di Dio invece già era ed era da sempre, come ben afferma Giovanni: “Essa era nel principio con Dio”. Essa era con Dio, in quanto facente parte della natura di Dio ed essa stessa Dio. Tutto fu creato dalla Parola di Dio e niente è stato creato senza di essa. Giovanni in un modo chiaro e quasi puntiglioso aggiunge che NESSUNA COSA, nemmeno una sola, è venuta all’esistenza se non mediante la Parola di Dio. “Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei; e senza di lei neppure una delle cose fatte è stata fatta” (Giovanni 1:2). Neppure una sola delle cose che esistono è stata creata senza la Parola di Dio. Se il logos fosse stato creato, sarebbe allora quell’unica cosa venuta all’esistenza senza il Logos medesimo, ma questo è contraddetto chiaramente da Giovanni, il quale precisa con meticolosità che non lascia spazio ad alcun fraintendimento, ovvero che tutte le cose, nessuna, ripetiamo nessuna, esclusa sono state formate dalla Parola di Dio. Nemmeno una sola creatura, fosse pure soltanto una, esiste al di fuori della Parola di Dio. Su questo non ci sono e non vi possono essere assolutamente dubbi! Se la Parola fosse stata creata, Giovanni avrebbe dovuto scrivere che tutte le cose, tranne una sono state prodotte per mezzo di essa. Egli però ha scritto che tutte le cose sono state formate per mezzo di essa, in quanto la Parola di Dio è eterna, come il Padre è eterno. Gesù, pertanto, come Parola di Dio fatta carne, non ha mai avuto un’origine e questo getta una straordinaria luce sulla Sua effettiva natura. Se il Logos fosse stato creato, prima che esistesse, Dio non avrebbe avuto una Parola e questo sarebbe un assurdo, perché si sarebbe trattato di un Dio privo di Parola e quindi di personalità. Tutto ciò è assolutamente insensato ed è contraddetto chiaramente dalle Sacre Scritture. Come Dio è eterno, la Sua Parola è eterna; allo stesso modo lo è pure il Suo Spirito. La Parola, così pure lo Spirito sono in realtà Dio stesso, in quanto costituiscono la Sua gloriosa Persona (non è scopo di questa introduzione parlare della natura trina di Dio, la quale richiederebbe ovviamente un approfondimento che non è qui possibile trattare). La Parola di Dio perciò è eterna e, ovviamente, non è mai stata creata. Scrive Isaia: “L'erba si secca, il fiore appassisce, ma la parola del nostro Dio dura per sempre” (Isaia 40:8). Il Logos, quindi, è eterno. Gesù, la Parola fatta carne, è inoltre anche potenza e sapienza di Dio: “Ma per quelli che sono chiamati, tanto Giudei quanto Greci, predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio” (I Corinzi 1:24). Se Gesù fosse stato creato, vi sarebbe stato un tempo in cui Dio sarebbe stato privo di Parola, di potenza e di sapienza e non si spiegherebbe come avrebbe potuto creare un universo così immenso, ordinato e perfetto nella Sua natura e nelle leggi che lo governano. La sapienza, la potenza, la Parola sono invece caratteristiche intrinseche della Deità ed hanno sempre fatto parte della Sua natura. Riassumendo, quindi, la Parola di Dio è eterna perché:

• nel principio, nell’unico principio che la Bibbia riconosca, Dio creò il cielo e la terra e questi furono portati all’esistenza mediante il Logos;

• nel principio, però, la Parola già era ed era con Dio, essendo essa stessa Dio; • nient’altro fu creato senza la Parola di Dio, che non è pertanto una creatura,

ma l’artefice assoluto della creazione.

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Per approfondire Melchisedec Un altro riferimento all’eternità del Logos lo troviamo nel Salmo 110, al verso 4, dove è scritto di Gesù: “Il Signore ha giurato e non si pentirà: "Tu sei Sacerdote in eterno, secondo l'ordine di Melchisedec"”. L’Epistola agli Ebrei fa più volte riferimento a questo verso per dimostrare che Cristo è autore di una salvezza eterna, perfetta, compiuta, e che può salvare pienamente coloro che si affidano a Lui, in quanto il Suo non è un sacerdozio provvisorio e carente come quello levitico, stabilito secondo l’ordine di Aronne, del quale facevano parte uomini bisognevoli essi stessi di perdono e di offrire perciò sacrifici anche per i propri peccati. Non è nemmeno un sacerdozio limitato nel tempo, come per coloro, in quanto la morte metteva fine al loro ufficio, per cui sorgeva la necessità che altri prendessero il loro posto. Per questa ragione, il perfetto sacerdozio di Cristo non è secondo l’ordine di Aronne, ma secondo quello di Melchisedec, come ben definito nel Salmo 110. Questo Melchisedec, dunque, era sacerdote dell’Iddio altissimo (Ebrei 7:1) ed il suo nome significa: “Re di giustizia” ed anche “Re di pace” (v. 2). Di lui è scritto: “E senza padre, senza madre, senza genealogia, senza inizio di giorni né fin di vita, simile quindi al Figlio di Dio. Questo Melchisedec rimane sacerdote in eterno” (Ebrei 7:3). Era quindi senza genealogia, senza inizio di giorni, né fine di vita, proprio perché figura del Figlio di Dio e della Sua eterna natura. Il fatto che Gesù sia pertanto sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedec, sta a significare sia la grandezza del Suo ministero, la perfezione della Sua intercessione che l’eternità della Sua Persona. Cristo è superiore agli angeli Nell’Epistola agli Ebrei, inoltre, lo scrittore sacro si propone di dimostrare la superiorità e la grandezza di Cristo riguardo a qualsiasi altra figura. Nel capitolo 1, in particolare, prende in esame questa superiorità rispetto agli angeli, dei quali scrive: “E mentre degli angeli dice: "Dei suoi angeli egli fa dei venti, e dei suoi ministri fiamme di fuoco", parlando del Figlio dice: "Il tuo trono, o Dio, dura di secolo in secolo, e lo scettro del tuo regno è uno scettro di giustizia. Tu hai amato la giustizia e hai odiato l' iniquità; perciò Dio, il tuo Dio, ti ha unto con olio di letizia, a preferenza dei tuoi compagni". E ancora: "Tu, Signore, nel principio hai fondato la terra e i cieli sono opera delle tue mani. Essi periranno, ma tu rimani; invecchieranno tutti come un vestito, e come un mantello li avvolgerai e saranno cambiati; ma tu rimani lo stesso, e i tuoi anni non avranno mai fine".” (Ebrei 1:7-12). Questi versi affermano chiaramente che Cristo non è affatto appartenente agli angeli, bensì infinitamente superiore ad essi: “E mentre degli angeli dice …”. Lo scrittore ripropone inoltre quanto già detto da Giovanni nel suo Vangelo, ovvero che nel principio Egli fondò la terra ed i cieli, i quali sono pertanto opera delle Sue mani. Mentre queste cose sono però limitate e soggette all’usura del tempo, il Figlio di Dio rimane sempre lo stesso ed i Suoi giorni non avranno mani fine, proprio in quanto Creatore e non certo creatura, così come scrive nel capitolo 13: “Gesú Cristo è lo stesso ieri, oggi e in eterno” (Ebrei 13:8). Come il Padre non cambia mai, allo stesso modo il Figlio rimane lo stesso nell’eternità: “ma tu rimani lo stesso, e i tuoi anni non avranno mai fine”. Del Padre

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viene detto: “"Io sono l' alfa e l'omega", dice il Signore Dio, "colui che è, che era e che viene, l'Onnipotente"” (Apocalisse 1:8). Del Figlio pure: “"Non temere, io sono il primo e l'ultimo, e il vivente. Ero morto, ma ecco sono vivo per i secoli dei secoli, e tengo le chiavi della morte e dell'Ades” (Apocalisse 1:17-18). L’alfa e l’omega, il primo e l’ultimo, sono le caratteristiche sia del Padre che del Figlio: “Ecco, sto per venire e con me avrò la ricompensa da dare a ciascuno secondo le sue opere. Io sono l' alfa e l'omega, il primo e l'ultimo, il principio e la fine” (Apocalisse 22:12). Gesù pertanto non è un angelo, fosse pure il più importante tra di essi, perché la Bibbia lo afferma molto chiaramente, senza possibilità di equivoco. Dei Suoi angeli, infatti, Dio fa dei venti e delle fiamme di fuoco, ma del Figlio dice che è Dio il cui trono dura in eterno. E’ scritto anche: “Così è diventato di tanto superiore agli angeli, di quanto il nome che ha ereditato è più eccellente del loro. Infatti, a quale degli angeli ha mai detto: "Tu sei mio Figlio, oggi io t'ho generato"? e anche: "Io gli sarò Padre ed egli mi sarà Figlio"? Di nuovo, quando introduce il primogenito nel mondo, dice: "Tutti gli angeli di Dio lo adorino!"” (Ebrei 1:4-6). Gesù è pertanto di gran lunga superiore agli angeli e non è quindi uno di loro, tanto meno è l’arcangelo Michele, come alcuni sostengono, sminuendo così la gloriosa Persona del Figlio di Dio, declassandolo al ruolo di creatura, per quanto eccellente, ma pur sempre creatura e questo a loro proprio danno e perdizione. A NESSUNO, ribadiamo a nessuno, degli angeli il Padre disse mai: “Tu sei mio Figlio, oggi t’ho generato”. La domanda posta dallo scrittore dell’Epistola agli Ebrei al verso 4: “Infatti, a quel degli angeli ha mai detto…?” presuppone una sola risposta: “a nessuno degli angeli ha mai detto questo”! Se Gesù non è un angelo, come afferma in modo chiaro ed inequivocabile la Scrittura, vuol dire che non ha mai avuto un inizio ed è, in quanto Logos, eterno, come lo è il Padre. Anzi, gli stessi angeli, tutti gli angeli, quindi nessuno escluso, lo adorano, perché è il Figlio di Dio, uno col Padre: "TUTTI gli angeli di Dio lo adorino!"” (Ebrei 1:6), e questo conferma non solo la natura divina della Parola, ma anche che non è appartenente affatto alla schiera angelica. Ciò è confermato anche da quanto scritto nel libro dell’Apocalisse a proposito di quello che succederà nell’eternità, in quanto gli angeli daranno gloria, onore e lode al Figlio di Dio: “E vidi, e udii voci di molti angeli intorno al trono, alle creature viventi e agli anziani; e il loro numero era di miriadi di miriadi, e migliaia di migliaia. Essi dicevano a gran voce: "Degno è l'Agnello, che è stato immolato, di ricevere la potenza, le ricchezze, la sapienza, la forza, l'onore, la gloria e la lode"” (Apocalisse 5:11-12). Se Egli fosse l’arcangelo Michele, si verificherebbe un fatto assurdo, ovvero che un angelo sarebbe addirittura adorato dagli altri angeli, una creatura quindi adorata da altre creature, e questo costituirebbe un grave peccato di idolatria e di orgoglio, che somiglia molto a quanto un altro angelo, oramai decaduto, Lucifero, pretendeva nei suoi riguardi, cosa che gli costò il terribile giudizio divino e l’eterna condanna. Miriadi di miriadi di angeli, invece, grideranno intorno al trono del Figlio di Dio che Egli è degno di ricevere onore, gloria e lode, e questo unicamente perché Egli non è un angelo, ma Dio, in quanto solo a Dio deve e può essere attribuita l’adorazione e la gloria. Il Padre infatti ha decretato: "Tutti gli angeli di Dio lo adorino!”, e ciò perché Gesù non è un angelo, ma il Signore dei signore ed il Re dei re! “Combatteranno contro l'Agnello e l'Agnello li vincerà, perché egli è il Signore dei signori e il Re dei re … “ (Apocalisse 17:14).

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8  -­‐  CONFUTIAMO  ALCUNE  TESI  

Apocalisse 3:14 Fatte le dovute precisazioni che Gesù è lo stesso, ieri, oggi e in eterno, ovvero dall’eternità e per l’eternità in quanto Parola eterna del Signore, che non è affatto un angelo, ma che gli angeli al contrario gli rendono la gloria e la lode che spettano ovviamente solo a Dio, vogliamo ora considerare alcuni punti che certuni interpretano con non poche forzature, per tentare di dimostrare che il Figlio di Dio non sia altro che una creatura, per quanto eccellente, portata all’esistenza direttamente dal Padre prima di ogni altra cosa. Pietro scrive a proposito: “E questo egli fa in tutte le sue lettere, in cui tratta di questi argomenti. In esse ci sono alcune cose difficili a capirsi, che gli uomini ignoranti e instabili travisano a loro perdizione come anche le altre Scritture” (II Pietro 3:16). Apocalisse 3:14 E’ uno dei versi che certuni citano per dimostrare che Gesù è stato creato: “All'angelo della chiesa di Laodicea scrivi: Queste cose dice l'Amen, il testimone fedele e veritiero, il principio della creazione di Dio” (Apocalisse 3:14). Secondo costoro, “il principio della creazione di Dio” starebbe a significare che Gesù è il primo ad essere stato creato da Dio. Tale interpretazione è però soltanto una forzatura del testo, dettata unicamente da preconcetti dottrinali. Lungi dall’affermare che Gesù è il primo ad essere stato creato, Apocalisse 3:14 dichiara infatti esattamente l’opposto, ovvero che Egli è l’autore della creazione, il principio, l’iniziatore, l’artefice delle cose che esistono, cioè Colui che ha dato principio al creato. Ciò non solo in sintonia con i versi che abbiamo già considerato innanzi, a partire da Giovanni 1:1-2 e con tutto l’insegnamento biblico in genere, ma anche in accordo col contesto dello stesso capitolo 3 dell’Apocalisse, ove questo verso si trova. Il testo, infatti, lascia ben capire come Colui che parla a questa assemblea, ovvero Cristo, lo faccia con assoluta autorità, da Signore e non certo da creatura, in quanto afferma al v. 16: “Così, perché sei tiepido e non sei né freddo né fervente io ti vomiterò dalla mia bocca”. Queste sono parole forti, che una creatura non potrebbe certo permettersi di pronunciare. Lo stesso arcangelo Michele, ritenuto da coloro che si rifanno al testo di Apocalisse 3:14 essere proprio il Figlio di Dio, non osò pronunciare alcun giudizio personale nei confronti del diavolo, quando si trovò a contendere con lui circa il corpo di Mose:“Invece, l'arcangelo Michele, quando contendeva con il diavolo disputando per il corpo di Mosè, non osò pronunziare contro di lui un giudizio ingiurioso, ma disse: "Ti sgridi il Signore!"” (Giuda 1:9). Si limitò pertanto a questa semplice affermazione: "Ti sgridi il Signore!" nella quale non v’è alcun riferimento alla sua persona, ma solo un semplice richiamo al giudizio di Dio. Non troviamo alcun “io” nelle sue parole, come fa invece Gesù verso la chiesa di Laodicea: “io ti vomiterò dalla mia bocca”. Appare assolutamente distante la figura dell’arcangelo Michele da quella gloriosa ed autorevole del Signore Gesù Cristo che parla qui in prima persona nel libro dell’Apocalisse. Al verso 19, inoltre, il Risorto afferma: “Tutti quelli che amo, io li riprendo e li correggo; sii dunque zelante e ravvediti”. Questo verso ci riporta subito a quanto detto del Padre nel capitolo dodici dell’Epistola agli Ebrei: “Perché il Signore corregge quelli che egli ama, e punisce tutti coloro che riconosce come figli” (verso 6).

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Se Gesù fosse soltanto il primo ad essere creato e non l’originatore della creazione, non potrebbe certo permettersi di fare affermazioni che appartengono unicamente a Dio e non ad una creatura, per quanto eccellente. Inoltre al verso 20 afferma: “Ecco, io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me”. Se fosse stato l’Arcangelo Michele, non avrebbe potuto certo dire una cosa del genere, perché sarebbe stato un’impostore, che avrebbe cercato di usurpare il posto di Dio, in quanto la nostra comunione non è con un angelo e non è certamente un angelo che dobbiamo fare entrare nel nostro cuore, ma il santo e glorioso Figlio di Dio. E’ evidente infine come la colpa della chiesa di Laodicea sia nei confronti di Colui che ad essa si sta rivolgendo, quindi del Figlio di Dio, il Quale pronuncia perciò un giudizio per la tiepidezza di questa comunità verso di Lui. Nessuna parola viene riferita al Padre, ma solo al Figlio. Consideriamo infatti attentamente le seguenti espressioni contenute nella lettera alla chiesa di Laodicea e questo sarà più che palese:

• Io conosco le tue opere …; • Io ti vomiterò dalla mia bocca …; • Perciò io ti consiglio di comperare da me …; • Tutti quelli che amo, io li riprendo e li correggo; …; • Ecco, io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e apre la

porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me.

Il contesto di Apocalisse cap. 3 chiarisce perfettamente come Egli sia l’originatore, l’artefice della creazione e non una creatura, come anche troviamo più avanti dello stesso libro, dove Cristo stesso afferma: “Ecco, sto per venire e con me avrò la ricompensa da dare a ciascuno secondo le sue opere. Io sono l' alfa e l'omega, il primo e l'ultimo, il principio e la fine ... Io, Gesú, ho mandato il mio angelo per attestarvi queste cose in seno alle chiese. Io sono la radice e la discendenza di Davide, la lucente stella del mattino".” (Apocalisse 22:12-16). Egli è l’alfa e l’omega, ovvero Colui che ha dato origine alle cose e nel Quale le cose hanno la loro ragione di esistere, come pure avranno il loro compimento, e queste caratteristiche, ripetiamo, sono anche del Padre. Se “il primo” o “il principio” volesse dire la prima creatura ad essere stata creata, allora “l’ultimo” o “la fine” significherebbe altresì l’ultima creatura venuta all’esistenza. Esisterebbe perciò soltanto Gesù e nient’altro nell’universo, ma non è certo così. Invece, Egli è l’alfa e l’omega, il primo e l’ultimo, il principio e la fine, e questo significa che è tutto, ovvero Dio. L’espressione contenuta nel verso 14, “il principio della creazione di Dio”, sta perciò a sottolineare che chi parla è l’artefice della creazione e ciò per evidenziare l’autorevolezza di Colui che si sta rivolgendo alla chiesa di Laodicea. Non si tratta di una persona qualsiasi, di una creatura, di un angelo o chicchessia, bensì del Creatore, Colui che conosce ogni cosa (v. 15). Per questo motivo l’antica assemblea di Laodicea è chiamata a prestare la massima attenzione a quanto le viene rivolto e a darvi il massimo peso. Tutte queste considerazioni rendono evidente, se mai ce ne fosse ancora bisogno, che Colui che parla alla chiesa di Laodicea non è la prima creatura ad essere stata creata, ma il Creatore di ogni cosa, il Quale si rivolge con autorità ed in prima persona ad un’assemblea che aveva deviato dalla giusta strada per riportarla a Sé.

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Colossesi 1:15 “Egli è l'immagine del Dio invisibile, il primogenito di ogni creatura”. Questo verso dimostrerebbe a detta di certuni che Gesù, la Parola fatta carne, sia nient’altro che una semplice creatura. “il primogenito di ogni creatura”, significherebbe per l’appunto: “il primo creato”. Questa creatura primordiale sarebbe secondo costoro l’arcangelo Michele, affermazione che ci lascia pieni di stupore e di meraviglia. Pensare che il Figlio di Dio, del Quale è detto che è l’immagine dell’invisibile Dio, e del Quale il Padre stesso ha affermato: “Ed ecco una voce dai cieli che disse: "Questo è il mio diletto Figlio, nel quale mi sono compiaciuto"” (Matteo 3:17), sia una creatura angelica e nient’altro, riteniamo sia una cosa a dir poco blasfema ed in netto contrasto con gli insegnamenti della Bibbia. Il Figlio riceve infatti dal Padre stesso onore e gloria, come è scritto: “Egli, infatti, ricevette da Dio Padre onore e gloria quando la voce giunta a lui dalla magnifica gloria gli disse: "Questi è il mio diletto Figlio, nel quale mi sono compiaciuto"” (II Pietro 1:17), mentre Dio non darà mai la Sua gloria a nessun altro, tanto meno ad una creatura angelica, perché la gloria va solo a Dio: “Io sono il Signore; questo è il mio nome; io non darò la mia gloria a un altro, né la lode che mi spetta agli idoli” (Isaia 42:8). Gesù stesso, nel compiere il primo dei Suoi miracoli, manifestò la Sua gloria: “Gesú fece questo primo dei suoi segni miracolosi in Cana di Galilea, e manifestò la sua gloria, e i suoi discepoli credettero in lui” (Giovanni 2:11). Giovanni non scrive che manifestò la gloria di Dio, come sarebbe dovuto avvenire se fosse stato semplicemente l’arcangelo Michele, ma la Sua propria gloria, in quanto Egli è Dio. Giovanni scrive che abbiamo contemplato la gloria dell’unigenito dal Padre: “E la Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo fra di noi, piena di grazia e di verità; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre” (Giovanni 1:14). Se Gesù fosse un angelo, vorrebbe dire che sia il Padre, sia le creature angeliche, sia i redenti, hanno dato o daranno ad un angelo la gloria che è dovuta invece soltanto a Dio. Questo però sarebbe un assurdo se Gesù non fosse, in quanto Parola di Dio, uno col Padre e Lui stesso pertanto Dio! Tornando al nostro verso di Colossesi, diciamo subito che primogenito non significa affatto “primo creato”, bensì “generato per primo”, perché la procreazione non è una creazione, ma una generazione, altrimenti saremmo tutti creatori. Noi non creiamo certo i nostri figli, ma li generiamo. Se Paolo avesse voluto affermare che Gesù è il primo ad ed essere stato creato, non avrebbe certo usato la parola “primogenito”, ma il termine appropriato. Inoltre, l’apostolo si propone di dimostrare nella sua Epistola non che Egli sia una creatura, bensì che sia al di sopra di ogni creatura, sia del regno dei viventi che di quello dei morti, superiorità che non si riferisce certo ad una presunta priorità temporale nell’ordine della creazione, ma è ricondotta dallo scrittore medesimo alla Sua natura, come ben ci rivela nell’espressione: “Egli è l’immagine del Dio invisibile”. E’ quindi la Sua natura divina che lo rende superiore ad ogni altro essere. L’espressione “il primogenito di ogni creatura” sta a significare la posizione di privilegio di Gesù, in quanto Parola di Dio fatta carne, che lo qualifica come il più eccelso di ogni creatura, essendo Egli stesso il Creatore (Giovanni 1:1-2). Sappiamo infatti che la primogenitura era quella particolare benedizione che risiedeva sul primo nato e che ne faceva un figlio speciale, prediletto. La Bibbia riporta casi nei quali la primogenitura era perfino indipendente dalla condizione maturale di nato per primo. Giacobbe, ad esempio, cercò di ottenere quella benedizione anche non essendo il primogenito di nascita; tuttavia acquistò questo

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diritto in seguito, quando il fratello Esaù gliela vendette. Divenne perciò il primogenito anche non essendolo per natura e questo sottolinea come la primogenitura sia un privilegio che può prescindere perfino dalla condizione naturale di primo nato. Allo stesso modo, pur essendo l’ultimo dei figli di Isai, Davide viene considerato da Dio il “primogenito”, come è scritto nel Salmo 89: “Ho trovato Davide, mio servo, l'ho unto con il mio santo olio … Io inoltre lo costituirò mio primogenito, il più eccelso dei re della terra” (vv. 20-27). Il secondo re di Israele viene quindi qualificato da Dio come primogenito, anche non essendolo di natura, perché ciò stava a dimostrare che era stato da Lui costituito “il più eccelso dei re della terra”. La primogenitura stava perciò a sottolineare la speciale benedizione divina che era su di lui e non certo la condizione naturale di primo nato, cosa che non gli apparteneva affatto. Gesù, la Parola fatta carne, con particolare attenzione quindi al Suo riferimento umano, è pertanto “il primogenito”, ovvero il più eccelso, il più grande, essendo Egli “il primo e l’ultimo” (Apocalisse 1:17). Paolo scrive al verso 15 che Egli è l’immagine dell’invisibile Dio, il primogenito di ogni creatura, e motiva questa qualità, unica e particolare, con questa specificazione: “poiché in lui sono state create tutte le cose che sono nei cieli e sulla terra, le visibili e le invisibili: troni, signorie, principati, potenze; tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui”. Nell’affermare perciò che è il primogenito, ne spiega anche la ragione (si noti il termine “poiché”) ovvero che è il Creatore di tutte le cose. Se avesse voluto affermare che è il primo ad essere stato creato, non l’avrebbe certo motivato con il fatto che è l’artefice della creazione. Paolo perciò precisa il motivo per cui è il primogenito, ovvero in quanto tutte le cose sono state create in Lui, per mezzo di Lui ed in vista di Lui. Non solo le cose sono state portate all’esistenza da Lui, quindi, ma Egli è anche la ragione e lo scopo per cui esse esistono. In altre parole, Gesù è l’autore e la ragione stessa per la quale l’universo sia stato formato e questo fa di Lui, ovviamente, il più eccelso di tutto il creato e di ogni creatura. Ciò è assolutamente chiaro! Paolo ribadisce inoltre al verso 16 quanto già detto da Giovanni nel capitolo primo del suo Vangelo, cioè che “tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui”. Se l’espressione “tutte le cose” vuol significare esattamente ciò che la parola evidentemente afferma, ovvero TUTTE, è ovvio che Gesù, non sia stato creato, ma sia il Creatore di tutto ciò che esiste e, pertanto, il più eccelso della creazione medesima. Per ben due volte l’apostolo afferma nello stesso verso 16 che TUTTE le cose furono create per mezzo di Lui, non lasciando più spazio ad alcuna interpretazione di sorta, se non in malafede da parte di chi vuole per forza di cosa sostenere il contrario. E’ grave quanto fanno certuni quando aggiungono nella loro traduzione della Bibbia tra parentesi: “tutte le [altre] cose”. E’ grave non solo perché la Bibbia diffida chiunque osi aggiungere o togliere alla Parola di Dio, ma anche perché si tenta di affermare dottrine che la Bibbia stessa disconosce. Giovanni dichiara, come abbiamo già avuto modo di vedere, che nemmeno UNA delle cose fatte sia stata fatta senza la Parola di Dio e Paolo per bene due volte nello stesso verso ribadisce questa verità. Paolo inoltra elenca dettagliatamente le cose che Cristo ha creato, cioè quelle “che sono nei cieli e sulla terra, le visibili e le invisibili: troni, signorie, principati, potenze”, quindi tutte le creature di ogni ordine e grado, comprese quelle che fanno parte della schiera angelica nel loro insieme, arcangelo Michele incluso. Non può essere più chiaro di così. Ecco perché al verso 17 specifica “Egli è prima di ogni cosa

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e tutte le cose sussistono in lui”. Perciò tutte le cose che esistono, continuano ad esistere per mezzo di Lui. La superiorità di Colui che è l’immagine dell’invisibile Dio è ben definita in queste parole del verso 18: “affinché in ogni cosa abbia il primato”. Proverbi cap. 8 “Il SIGNORE mi ebbe con sé al principio dei suoi atti, prima di fare alcuna delle sue opere più antiche. Fui generata quando non c'erano ancora abissi, quando ancora non c'erano sorgenti rigurgitanti d'acqua. Fui generata prima che i monti fossero fondati, prima che esistessero le colline, quand'egli ancora non aveva fatto né la terra né i campi né le prime zolle della terra coltivabile. Quand'egli disponeva i cieli io ero là; quando tracciava un circolo sulla superficie dell'abisso, quando condensava le nuvole in alto, quando rafforzava le fonti dell'abisso, quando assegnava al mare il suo limite perché le acque non oltrepassassero il loro confine, quando poneva le fondamenta della terra, io ero presso di lui come un artefice; ero sempre esuberante di gioia giorno dopo giorno, mi rallegravo in ogni tempo in sua presenza; mi rallegravo nella parte abitabile della sua terra, trovavo la mia gioia tra i figli degli uomini” (vv. 22-31). In questi versi si parla della sapienza, vista sotto una sorta di personificazione che certuni vorrebbero identificare con Cristo. Secondo costoro, questa sapienza personificata fu creata prima della fondazione del mondo e questi versi ne sarebbero una prova. Premesso che la Bibbia smentisce questa tesi, perché come abbiamo visto la Parola di Dio già era quando si verificò l’inizio della creazione e fu essa stessa ad aver creato ogni cosa, nemmeno una esclusa, diciamo subito che qui non si sta parlando di Gesù in quanto Parola fatta carne, perché l’incarnazione ha avuto un preciso momento storico, avvenuto circa duemila anni fa, ma della sapienza di Dio, la quale, come è ovvio che sia, fu presso il Padre quando Egli creò ogni cosa. Dio formò ogni cosa con la saggezza, per questo l’universo segue regole ben precise e tutto è governato da un ordine cosmico che da sé ci parla dell’esistenza di un Creatore intelligente e saggio. Dio ebbe quindi con Sé, possedette, usò la saggezza per disegnare i cieli e la terra. Questo è quanto in pratica sta dicendo questo capitolo del libro dei Proverbi. La saggezza, d’altronde, permette ai re di governare con rettitudine (versi 15 e 16). Il Signore creò ogni cosa con saggezza e perciò la Sua sapienza era con Lui nel momento della creazione, perché Egli ha fatto ogni cosa con giudizio e non a casaccio. Se intendiamo la sapienza di Dio come qualcosa appartenente alla Sua persona di Essere dotato di intelligenza, è fin troppo ovvio che questa sapienza non fu affatto creata da un certo momento in poi, perché Dio è saggio e lo è da sempre e per sempre. “A Dio solo savio, per mezzo di Gesù Cristo, sia la gloria nei secoli dei secoli. Amen” (Romani 16:27). “O profondità della ricchezza e della sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto inscrutabili sono i suoi giudizi, e incomprensibili le sue vie!” (Romani 11:33). “Ma esponiamo la sapienza di Dio misteriosa e nascosta, che Dio aveva prima dei secoli predestinata a nostra gloria” (I Corinzi 2:7).

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9  -­‐  LA  SUA  DIVINITA’  

Abbiamo visto come le Scritture ci presentino Gesù quale Parola di Dio fatta carne ed abbiamo considerato come Giovanni affermi che nel principio la Parola era, era con Dio ed era Essa stessa Dio. E’ chiaro che solo Dio è eterno, essendo Egli esistito da sempre e per sempre: “Prima che i monti fossero nati e che tu avessi formato la terra e l'universo, anzi, da eternità in eternità, tu sei Dio” (Salmo 90:2). Egli è infatti l’IO SONO, poiché questo significa il nome divino YHWH che troviamo in Esodo cap. 3: “Dio disse a Mosè: "Io sono colui che sono". Poi disse: "Dirai così ai figli d'Israele: l'IO SONO (YHWH) mi ha mandato da voi"” (verso 14). Dio è Colui che è, che esiste da sempre e per sempre ed è l’esistenza stessa. Anche nel libro dell’Apocalisse, Dio viene presentato come “Colui che è”: “Giovanni, alle sette chiese che sono in Asia: grazia a voi e pace da colui che è, che era e che viene, dai sette spiriti che sono davanti al suo trono” (Apocalisse 1:4). Dio è il solo e l’unico ad essere sempre esistito, per cui nient’altro fuor di Lui esiste da sempre. Anche della Parola è detto che già era nel principio; essa era quindi con Dio ed in Dio per tutta l’eternità trascorsa. La Parola non ha avuto mai un inizio e questo abbiamo già avuto modo di considerarlo. Il solo fatto perciò che la Parola sia sempre esistita ci fa comprendere la Sua natura divina. Dal momento che la Parola è sempre esistita, Essa non può essere altro che Dio: questo è più che evidente! Non a caso, coloro che credono che la Parola non sia Dio, hanno la necessità di dimostrare che Essa non sia sempre esistita e quindi devono per forza di cose identificarla con qualche creatura (come abbiamo visto un angelo, un dio, un essere comunque eccellente, ma pur sempre una creatura). In Genesi, al capitolo 1, ritroviamo lo stesso inizio primordiale, il principio, cui fa riferimento Giovanni nel capitolo primo del suo Evangelo: “Nel principio Dio creò i cieli e la terra. La terra era informe e vuota, le tenebre coprivano la faccia dell'abisso e lo Spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque. Dio disse: "Sia luce!" E luce fu” (Genesi 1:1-3). Troviamo quindi “nel principio” non solo Dio, ma anche lo Spirito di Dio e la Parola di Dio, i Quali già esistevano nel principio ed esistevano quindi da sempre. Dio, lo Spirito di Dio e la Parola di Dio partecipano al processo creativo, come è ben descritto nel libro della Genesi. E’ chiaro perciò che Dio, lo Spirito di Dio e la Parola di Dio sono eterni e sono pertanto Dio, un solo Dio, uno e trino nella Sua natura. Era infatti lo Spirito di Dio che agiva nel processo della creazione, insieme alla Parola di Dio creatrice che manifestava la volontà divina nel chiamare all’esistenza tutte le cose, ed al Padre. A questo si accordano anche altri versi delle Scritture, tra cui il seguente, che è riferito allo Spirito Santo: “Lo Spirito di Dio mi ha creato, e il soffio dell'Onnipotente mi dà la vita” (Giobbe 33:4), oppure quest’altro riferito alla Parola di Dio: “Per fede comprendiamo che i mondi sono stati formati dalla parola di Dio; così le cose che si vedono non sono state tratte da cose apparenti” (Ebrei 11:3). Quello che si può dire del Padre, lo si può dire anche della Parola e dello Spirito Santo. D’altra parte è più che chiaro che, sia la Parola, sia lo Spirito Santo, sono eterni, anche perché, diversamente, Dio sarebbe stato un tempo senza Parola e senza Spirito e questo è ovviamente un assurdità. Quando parliamo di Dio, affrontiamo un argomento che è assolutamente ed infinitamente al di sopra della nostra portata di piccole e limitate creature inserite in una realtà che è infinitamente al di sopra della nostra comprensione e dimensione. La scienza è riuscita a spiegare solamente una minima parte delle leggi e delle forze che

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agiscono nell’universo e si tratta comunque di cose che appartengono al mondo naturale. Figuriamoci se un essere così piccolo e finito qual’è l’uomo possa comprendere le profondità delle realtà spirituali e la stessa natura di Dio! Tutto ciò che Egli ha voluto che intendessimo o che siamo in grado di comprendere, ce lo ha rivelato nella Sua Parola, che dobbiamo accettare per fede, anche se certe cose risultano assolutamente al di sopra della nostra umana comprensione. Vi è un mondo naturale ed un mondo spirituale: se a mala pena possiamo capire qualcosa, qualche piccola parte, del primo, figuriamoci se siamo in grado di afferrare le grandi realtà di Dio, a partire dalla Sua eternità, dal fatto che Egli non abbia mai avuto un inizio, che sia sempre esistito, quantunque andiamo a ritroso nel tempo. Già questo è per noi inconcepibile ed impossibile da afferrare, perché siamo figli del tempo ed al tempo siamo legati e soggetti. Coloro che parlano di Dio come se stessero trattando di una formula matematica, sminuiscono in realtà la Deità e la natura di “Colui che è”, mentre innalzano nello stesso tempo l’uomo, credendolo capace di capire e spiegare le “grandi cose di Dio”. La natura della Parola di Dio è perciò ben definita nelle Scritture. Esse ci presentano chiaramente la Sua eternità e la Sua divinità e cercheremo di esaminare qualche passo biblico nel quale è facile intravedere tale eccelsa natura. L’equivoco che taluni manifestano, invece, come vedremo nel seguente capitolo, quando si riferiscono a Gesù, è il voler trovare, nei passi che Lo riguardano, dei riferimenti alla Sua condizione di inferiorità rispetto al Padre, non considerando affatto che Egli sia la Parola fatta carne, come Giovanni ben descrive nel capitolo primo del suo Vangelo al verso 14, e che quindi rappresenta un ben particolare momento storico dal quale in poi la Parola di Dio assunse uno stato che prima non rivestiva. Questo però lo vedremo più avanti. Ora, invece, vogliamo concentrarci su alcuni passi che parlano della Sua divinità. Giovanni 1:1 “Nel principio era la Parola, la Parola era con Dio, e la Parola era Dio. Essa era nel principio con Dio”. L’apostolo Giovanni fin dal primo verso del suo Vangelo si propone di definire la natura di Colui che era venuto nel mondo per salvare i peccatori, in quanto assolutamente fondamentale per la nostra salvezza, e così farà più volte in seguito nel suo libro. Questo perché i suoi lettori possano comprendere che quel Messia del quale ne racconta la vita e l’opera di redenzione era in realtà più di un uomo, più di un profeta, più di un angelo, molto più di tutto questo; Egli è il Figlio di Dio: “Ed egli disse loro: "E voi, chi dite che io sia?" Simon Pietro rispose: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente". Gesú, replicando, disse: "Tu sei beato, Simone, figlio di Giona, perché non la carne e il sangue ti hanno rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli” (Matteo 16:15). “E Simon Pietro gli rispose: Signore, a chi ce ne andremmo? tu hai le parole di vita eterna. E noi abbiamo creduto, ed abbiamo conosciuto che tu sei il Cristo, il Figliuol dell'Iddio vivente” (Giovanni 6:68-70). Giovanni chiarisce subito che la persona del Figlio di Dio non aveva avuto origine nel momento in cui nacque in Betleem da Maria, ma che era preesistente alla sua incarnazione ed alla creazione stessa. Egli già era nel principio, ovvero prima dell’inizio di tutte le cose, ed aveva la natura divina di Parola di Dio ed era, quindi, Dio! Questo verso, che in un modo così ben definito e chiaro parla della divinità della Parola di Dio, è stato oggetto di interpretazioni e distorsioni sulla base di cavilli linguistici da parte di coloro che pretendono di ridurre la natura del Figlio di Dio al

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rango di una creatura. Le loro interpretazioni, però, creano ancora più problemi esegetici di quelli che essi vorrebbero risolvere o spiegare. Non vogliamo addentrarci nella disamina di questo verso citando il testo greco, perché esulerebbe dal tema che ci siamo proposti in questo scritto. Diremo solamente che nel testo greco, il termine Dio riferito alla Parola (Theos) è privo dell’articolo, mentre non lo è quello riferito al Padre (ton theon). Altri, meglio di quello che possiamo o siamo in grado di fare noi, hanno spiegato come Giovanni abbia voluto con questo sottolineare il fatto che la Parola fosse nello stesso tempo Dio ma anche distinto dalla Persona del Padre e ciò getta ancora più luce sulla natura trina della Deità. Chi pretende che la Parola sia una semplice creatura, traduce perciò il verso 1 del Vangelo di Giovanni con “la Parola era un dio”. Questo però crea dei grossi ed insormontabili problemi dottrinali, perché si ammette in tal modo l’esistenza di un altro dio al di fuori del solo e vero Iddio, mentre le Scritture sono molto chiare al riguardo, ovvero che non v’è che un Dio ed un Dio solo. “Infatti c'è un solo Dio e anche un solo mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesú uomo” (I Timoteo 2:5). “Tu credi che c'è un solo Dio, e fai bene” (Giacomo 2:19). “Poiché tu sei grande e operi meraviglie; tu solo sei Dio” (Salmi 86:10). “Prima di me nessun Dio fu formato, e dopo di me, non ve ne sarà nessuno” (Isaia 43:10). Se Gesù fosse “un dio”, come costoro affermano, vorrebbe dire che “un dio” sarebbe creato dal solo vero Iddio prima di ogni altro essere, ma Isaia 43:10 afferma chiaramente che nessun dio fu formato né prima, né dopo dell’Onnipotente, cioè non esiste e non può esistere alcun “dio” fuori del Signore. Se la Parola dunque fosse “un dio”, vorrebbe dire che Giovanni stia sostenendo un nuovo concetto, estraneo del tutto alle sacre Scritture, e cioè che esiste un altro dio al di fuori del vero Iddio, cosa che non è certo sua intenzione insegnare, come si può evincere da quanto riportato nel suo Vangelo e nelle sue Epistole. Sarebbe stato come se l’apostolo avesse voluto spiegare che Colui che era venuto nel mondo, manifestando la Sua gloria (cf. cap. 2 verso 11), per poi morire infine per salvare i peccatori, altro non era che “un dio”, un angelo potente che si era sacrificato per gli uomini. L’amore divino di cui parla nel capitolo 3, verso 16, altro non sarebbe che quello di un Dio che sacrifica una creatura per salvarne un’altra, un amore che in definitiva non gli sarebbe costato nulla, ma non è certo così, come ben scrive Luca: “Badate a voi stessi e a tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti vescovi, per pascere la chiesa di Dio, che egli ha acquistata con il proprio sangue” (Atti 20:28). Dio non ha donato “un dio”, ma il Suo proprio Figlio! Ecco quindi che coloro che adottano una simile traduzione di Giovanni 1:1 affermano che, in realtà, l’espressione “un dio” non significherebbe niente di ciò che il termine sembra volerci indicare, ma semplicemente esprimerebbe una qualità. Essi citano infatti questi versi di Giovanni per tentare di dimostrare la loro tesi: “Gesú rispose loro: "Non sta scritto nella vostra legge: Io ho detto: voi siete dèi? Se chiama dèi coloro ai quali la parola di Dio è stata diretta (e la Scrittura non può essere annullata), come mai a colui che il Padre ha santificato e mandato nel mondo, voi dite che bestemmia, perché ho detto: Sono Figlio di Dio? Se non faccio le opere del Padre mio, non mi credete; ma se le faccio, anche se non credete a me, credete alle opere, affinché sappiate e riconosciate che il Padre è in me e che io sono nel Padre"” (10:34-38). In altre parole, secondo costoro la Parola sarebbe “un dio” al pari di

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quello che viene detto degli antichi giudici di Israele, ai quali la Scrittura si rivolge in un certo caso chiamandoli “dèi”. Costoro, infatti, amministrando la giustizia, esercitavano umanamente un potere che apparteneva unicamente a Dio, potere che era stato loro delegato. Da qui l’espressione “dèi”. E’ molto chiaro invece il riferimento di Gesù al passo dell’Antico Testamento. Egli non sta affatto paragonando se stesso ai giudici di Israele, ma sta semplicemente sottolineando quanto fosse assurdo il preconcetto dei Farisei nei Suoi riguardi, in quanto la Scrittura stessa chiamava delle persone col nome di dèi, pur essendo uomini, mentre essi si scandalizzavano di Colui che il Padre aveva santificato e mandato nel mondo per il solo fatto che aveva detto “Sono Figlio di Dio”. Le opere, i prodigi, i miracoli che Egli faceva testimoniavano del fatto che il Padre era in Lui ed Egli nel Padre, cosa che non si poteva certamente dire riguardo agli antici giudici di Israele. Tutto questo non ha alcun riferimento con coloro che amministravano anticamente la giustizia. V’è un abisso tra costoro e la Parola fatta carne: questo è fin troppo evidente! Se la Parola inoltre fosse un dio, ovvero una creatura eccelsa e nient’altro, sarebbero del tutto fuori luogo le parole di Cristo che ci invitano ad amarLo, al pari di quello che i credenti devono fare con Dio: “Tu amerai dunque il Signore, il tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l'anima tua e con tutte le tue forze” (Deuteronomio 6:5). Confrontiamo queste parole con quelle dette dal Salvatore: “Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; e chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me” (Matteo 10:37). “Chi ha i miei comandamenti e li osserva, quello mi ama; e chi mi ama sarà amato dal Padre mio, e io lo amerò e mi manifesterò a lui” (Giovanni 14:21). “Gesú gli rispose: "Se uno mi ama, osserverà la mia parola; e il Padre mio l'amerà, e noi verremo da lui e dimoreremo presso di lui” (Giovanni 14:23). “Or quand'ebbero fatto colazione, Gesù disse a Simon Pietro: Simon di Giovanni, m'ami tu più di questi? Ei gli rispose: Sì, Signore, tu sai che io t'amo. Gesù gli disse: Pasci i miei agnelli” (Giovanni 21:15). Se Gesù fosse “un dio”, ovvero un angelo eccelso, non avrebbe dovuto e potuto pretendere l’amore esclusivo dai credenti, perché questo sarebbe significato arrogarsi un diritto che spetta solo a Dio e non ad un angelo. Avrebbe dovuto incoraggiare piuttosto i discepoli ad amare Dio e non Se stesso, ad osservare la Parola di Dio e non la Sua. Gesù però non è un angelo, ma è Dio; per questo chi ama Lui ama anche il Padre ed è amato dal Padre. Se Gesù fosse inoltre “un dio”, vorrebbe dire che una creatura, per quanto eccelsa, sarebbe adorata da altre creature, ma questa è una cosa assurda e blasfema. Notiamo come nell’eternità gli angeli adoreranno il Salvatore al pari del Padre: “E vidi, e udii voci di molti angeli intorno al trono, alle creature viventi e agli anziani; e il loro numero era di miriadi di miriadi, e migliaia di migliaia. Essi dicevano a gran voce: "Degno è l'Agnello, che è stato immolato, di ricevere la potenza, le ricchezze, la sapienza, la forza, l'onore, la gloria e la lode"” (Apocalisse 5:11-12). “E tutte le creature che sono nel cielo, sulla terra, sotto la terra e nel mare, e tutte le cose che sono in essi, udii che dicevano: "A colui che siede sul trono, e all'Agnello, siano la lode, l'onore, la gloria e la potenza, nei secoli dei secoli". Le quattro creature viventi dicevano: "Amen!" E gli anziani si prostrarono e adorarono” (Apocalisse 5:13). Gli angeli e tutte le altre creature adoreranno il Signore Gesù come adoreranno il Padre, cosa che sarebbe una bestemmia se Egli non fosse Dio. Confrontiamo questi versi con quanto l’angelo dice a Giovanni mentre gli si prostra per adorarlo: “E

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l'angelo mi disse: "Scrivi: Beati quelli che sono invitati alla cena delle nozze dell'Agnello". Poi aggiunse: "Queste sono le parole veritiere di Dio". Io mi prostrai ai suoi piedi per adorarlo. Ma egli mi disse: "Guardati dal farlo. Io sono un servo come te e come i tuoi fratelli che custodiscono la testimonianza di Gesù: adora Dio! Perché la testimonianza di Gesú è lo spirito della profezia"” (Apocalisse 19:9-10). “Guardati dal farlo”! Fu questo il severo monito dell’angelo nei riguardi di Giovanni, come dunque è possibile che “un dio” possa essere adorato per l’eternità insieme a Colui che siede sul trono? E’ chiaro che ciò è possibile solo e perché Egli non è un dio, ma Dio! Se Gesù fosse “un dio”, quindi una creatura angelica, i credenti non dovrebbero invocare il Suo nome, ma solo quello del Padre. Invece, leggiamo che i credenti invocavano, ovvero pregavano, lodavano, cercavano e si affidavano al loro Salvatore e Signore Cristo Gesù. Consideriamo con attenzione i seguenti versi: “E qui ha podestà dai capi sacerdoti d'incatenare tutti coloro che invocano il tuo nome” (Atti 9:14). “Tutti quelli che lo ascoltavano si meravigliavano e dicevano: "Ma costui non è quel tale che a Gerusalemme infieriva contro quelli che invocano questo nome ed era venuto qua con lo scopo di condurli incatenati ai capi dei sacerdoti?" (Atti 9:21). “Alla chiesa di Dio che è in Corinto, ai santificati in Cristo Gesú, chiamati santi, con tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesú Cristo, Signore loro e nostro” (I Corinzi 1:2). Giovanni 2:11 “Gesú fece questo primo dei suoi segni miracolosi in Cana di Galilea, e manifestò la sua gloria, e i suoi discepoli credettero in lui”. Giovanni scrive che quando Gesù compì il primo miracolo cambiando l’acqua in vino in Cana di Galilea, manifestò la Sua gloria. Mostrare la propria gloria nel compiere un sì grande segno miracoloso e non quella di Dio sarebbe stata una grave mancanza se Egli fosse stato una creatura angelica, ma non era certo così. Invece, Gesù mostrò la Sua gloria in quanto Parola di Dio fatta carne (celata dietro le spoglie umane del Figlio dell’uomo, ma pur sempre Parola di Dio) e, quindi, in quanto Emmanuele, ovvero “Dio con noi”: “E la Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo fra di noi, piena di grazia e di verità; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre” (Giovanni 1:14). Vediamo tale gloria nel fatto che Egli nelle nozze di Cana compie qualcosa che richiama la Sua natura di Creatore. Infatti cambia l’acqua in vino, realizzando un’opera di trasformazione della materia che allude a quanto fece nel principio di tutte le cose. Egli è infatti lo splendore della gloria di Dio: “il quale, essendo lo splendore della sua gloria e l'impronta della sua essenza e sostenendo tutte le cose con la parola della sua potenza, quand'ebbe fatta la purificazione dei peccati, si pose a sedere alla destra della Maestà ne' luoghi altissimi” (Ebrei 1:3) ed è anche l’immagine del Dio invisibile: “Egli è l'immagine del Dio invisibile” (Colossesi 1:15). Quel Dio che non possiamo vedere, Egli ce lo ha fatto vedere e conoscere, perché in Lui abita corporalmente tutta la pienezza della Deità (Colossesi 2:9). Chi ha visto Lui in realtà ha visto il Padre: “Chi ha visto me, ha visto il Padre” (Giovanni 14:9). Dio dice di Se stesso: “Io sono il Signore (YHWH); questo è il mio nome; io non darò la mia gloria a un altro, né la lode che mi spetta agli idoli” (Isaia 42:8). Confrontiamo questo verso con quanto scrive l’apostolo Pietro: “Egli, infatti, ricevette da Dio Padre onore e gloria quando la voce giunta a lui dalla magnifica

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gloria gli disse: "Questi è il mio diletto Figlio, nel quale mi sono compiaciuto"” (II Pietro 1:17). Se Egli non fosse Uno col Padre, se non fosse l’impronta della Sua essenza, se non fosse l’immagine del Dio invisibile, se in Lui non abitasse corporalmente tutta la pienezza della Deità, se Egli non fosse l’Emmanuele, “Dio con noi”, il Padre avrebbe contraddetto Se stesso quando diede al Figlio onore e gloria; invece non c’è alcuna contraddizione, perché la Parola, che era Dio ed era per l’eternità, si fece carne ed abitò per un tempo tra gli uomini, mostrando perciò la Sua gloria, la gloria del Figlio di Dio. Un altro segno della divinità della Parola di Dio fatta carne la scorgiamo in diverse delle Sue espressioni nella quali, usando il pronome personale, Egli attribuisce a Se stesso qualità che sono invece proprie della Deità.

• La vita eterna

“Gesú le disse: "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; e chiunque vive e crede in me, non morirà mai. Credi tu questo?"” (Giovanni 11:25-26). Gesù quindi non affermò soltanto che era in grado di dare la vita ai morti, ma che era Egli stesso, in senso personale, la risurrezione e la vita. La vita eterna esiste in quanto Egli esiste ed essa non può prescindere da Lui. Giovanni pure attesta che la Parola di Dio fatta carne era in realtà anche la vita che comunica vita: “In lei era la vita, e la vita era la luce degli uomini” (Giovanni 1:4), sottolineando come la vita fosse racchiusa nella Sua Persona. Lo stesso fa nel capitolo 14: “Gesú gli disse: "Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se mi aveste conosciuto avreste conosciuto anche mio Padre; e fin da ora lo conoscete, e l'avete visto"” (Giovanni 14:6-7). Se Gesù è la vita, qualità che appartiene al Padre in quanto il Padre ha vita in Se stesso, questo qualifica ancora una volta la Sua natura divina, tanto che Egli può dire che conoscere Lui vuol dire conoscere il Padre, vedere Lui vuol significare vedere il Padre. Un angelo, per quanto eccelso, una creatura, per quanto eccelsa, non avrebbe potuto fare delle simili affermazioni senza incorrere nel sacrilego. Come potrebbe essere “la vita” un essere che è stato creato? Come potrebbe affermare un angelo che chi ha visto lui ha visto il Padre? Tutto ciò è possibile solamente perché il Figlio di Dio non è una creatura, ma il Creatore e Signore uno col Padre. Nella sua prima Epistola, Giovanni scrive: “Quel che era dal principio, quel che abbiamo udito, quel che abbiamo visto con i nostri occhi, quel che abbiamo contemplato e che le nostre mani hanno toccato della parola della vita (poiché la vita è stata manifestata e noi l'abbiamo vista e ne rendiamo testimonianza, e vi annunziamo la vita eterna che era presso il Padre e che ci fu manifestata)” (I Giovanni 1:1). Egli presenta pertanto Gesù come la “Parola della vita” ed anche “la vita eterna che era presso il Padre” e che lo era, ovviamente, dall’eternità, in quanto vita eterna. A meno che non si voglia affermare che vi era un tempo in cui la vita eterna non esisteva, queste parole dimostrano ancora una volta l’eternità della Parola di Dio, perché essa è anche la vita eterna che, ovviamente, non può che essere eterna, ovvero esistente da sempre e per sempre. Notiamo anche come Giovanni scriva che “la vita eterna che era presso il Padre”: questo ci riporta subito al verso uno del suo Vangelo, dove dice che nel principio la

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Parola era con Dio, ovvero è un’ulteriore prova dell’eternità della Parola di Dio, perché Essa è anche la vita eterna che era presso il Padre ed è evidente come la vita eterna, secondo quanto il termine stesso afferma, non abbia mai avuto un inizio. Giovanni scrive che la qualità del Padre, cioè di avere vita in Se medesimo, Egli l’ha data anche al Figlio e questo getta ancora una volta luce sulla Persona della Parola di Dio, la Quale un giorno si fece carne per abitare per un tempo tra noi ed essere un uomo fra gli uomini: “Perché come il Padre ha vita in sé stesso, così ha dato anche al Figlio di avere vita in sé stesso” (Giovanni 5:26). Questo sta a significare che il Figlio ha vita in Sé stesso anche indipendentemente dal Padre, cosa che sarebbe un assurdo se la Parola fosse nient’altro che un angelo o una creatura eccelsa. Potrebbe un angelo avere in sé medesimo la vita indipendentemente da Dio?

• La luce

“Gesú parlò loro di nuovo, dicendo: "Io sono la luce del mondo; chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita"” (Giovanni 8:12). “In lei era la vita, e la vita era la luce degli uomini. La luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l'hanno sopraffatta. Vi fu un uomo mandato da Dio, il cui nome era Giovanni. Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, affinché tutti credessero per mezzo di lui. Egli stesso non era la luce, ma venne per rendere testimonianza alla luce. La vera luce che illumina ogni uomo stava venendo nel mondo” (Giovanni 1:4-9). “Perché il Dio che disse: "Splenda la luce fra le tenebre", è quello che risplendé nei nostri cuori per far brillare la luce della conoscenza della gloria di Dio che rifulge nel volto di Gesú Cristo” (II Corinzi 4:6). Le Scritture affermano che Dio è luce: “Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che vi annunziamo: Dio è luce, e in lui non ci sono tenebre” (I Giovanni 1:5). Dio è luce, Gesù è la vera luce: chi è quindi luce, il Padre o il Figlio? E’ chiaro che le Scritture non si contraddicono, perché il Padre è luce e lo è anche il Figlio in quanto Uno col Padre. Infatti la luce della gloria di Dio rifulge nel volto di Gesù Cristo, ovvero si manifesta attraverso di Lui, in quanto chi ha visto Lui, ha visto il Padre. Così nell’eternità sia il Padre, sia l’Agnello di Dio illumineranno la città celeste. “La città non ha bisogno di sole, né di luna che la illumini, perché la gloria di Dio la illumina, e l'Agnello è la sua lampada” (Apocalisse 21:23).

• L’alfa e l’omega, il primo e l’ultimo. “"Io sono l' alfa e l'omega", dice il Signore Dio, "colui che è, che era e che viene, l'Onnipotente"” (Apocalisse 1:8). "Ecco, sto per venire e con me avrò la ricompensa da dare a ciascuno secondo le sue opere. Io sono l' alfa e l'omega, il primo e l'ultimo, il principio e la fine. Beati quelli che lavano le loro vesti per aver diritto all'albero della vita e per entrare per le porte della città! Fuori i cani, gli stregoni, i fornicatori, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna. Io, Gesú, ho mandato il mio angelo per attestarvi queste cose in seno alle chiese. Io sono la radice e la discendenza di Davide, la lucente stella del mattino".”. (Apocalisse 22:12). Il Padre è l’alfa e l’omega, ovvero il primo ed anche l’ultimo, Colui che ha dato origine alle cose e nel Quale quelle cose avranno la loro ragione di essere ed il loro compimento, ma lo è anche il Figlio. Ciò che si può dire del Padre, lo si può dire anche del Figlio: “Io sono il primo e l'ultimo, e il Vivente; e fui morto, ma ecco son

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vivente per i secoli dei secoli, e tengo le chiavi della morte e dell'Ades” (Apocalisse 1:18). Un angelo non può essere il primo e l’ultimo, l’alfa e l’omega, ma lo può essere solamente Dio.

• Colui che è, che era e che viene

Il Padre è "Colui che è, che era e che viene, l'Onnipotente"” (Apo 1:8), ma anche del Figlio è detto: “Gesú Cristo è lo stesso ieri, oggi e in eterno” (Ebrei 13:8). Non è chiaro perciò che la Parola di Dio sia sempre esistita e che sia Dio, come afferma Giovanni e non “un dio” come sostiene qualcuno? Altrimenti “un dio” sarebbe lo stesso ieri oggi ed in eterno, il primo e l’ultimo, l’alfa e l’omega, la vita eterna, la vera luce e questo sarebbe un usurpare le qualità intrinseche della Persona divina ed un porsi sullo stesso piano della Deità. Invece Egli è Dio, l’Emmanuele che un giorno venne tra noi per salvarci e fare di noi un popolo a Lui consacrato per tutta l’eternità.

• Il Re dei re ed il Signore dei signori

Il Padre è il Re dei re ed il Signore dei signori, così come lo è anche il Figlio: “La quale sarà a suo tempo manifestata dal beato e unico sovrano, il Re dei re e Signore dei signori” (I Timoteo 6:15). “Combatteranno contro l'Agnello e l'Agnello li vincerà, perché egli è il Signore dei signori e il Re dei re; e vinceranno anche quelli che sono con lui, i chiamati, gli eletti e i fedeli" (Apocalisse 17:14). “E sulla veste e sulla coscia porta scritto questo nome: RE DEI RE E SIGNORE DEI SIGNORI “ (Apocalisse 19:16). Paolo scrive a Timoteo che Dio è l’unico sovrano, ovvero l’unico Re dei re e Signore dei signori”. Allora come mai il Figlio è il Signore dei signori e il Re dei re? Non vi può essere che un solo re in una nazione. Come dunque ci sono due Re? Notiamo alcuni dei versi in cui Cristo viene presentato come il Re: "Dite alla figlia di Sion: Ecco il tuo re viene a te, mansueto e montato sopra un'asina, e un asinello, puledro d'asina" (Matteo 21:5). "Benedetto il Re che viene nel nome del Signore; pace in cielo e gloria nei luoghi altissimi!" (Luca 19:38). “Or quando il Figliuol dell'uomo sarà venuto nella sua gloria, avendo seco tutti gli angeli, allora sederà sul trono della sua gloria. E tutte le genti saranno radunate dinanzi a lui; ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri; e metterà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il Re dirà a quelli della sua destra: Venite, voi, i benedetti del Padre mio; eredate il regno che v'è stato preparato sin dalla fondazione del mondo” (Matteo 25:31-34). Notiamo come qui è detto che Cristo verrà nella Sua gloria e siederà sul trono della Sua gloria. Egli è descritto come il Re che eserciterà il giudizio. Potrebbe mai essere Costui un angelo? In Apocalisse 20 si parla della gloria immensa di Colui che siederà sul grande trono bianco per giudicare i morti: “Poi vidi un grande trono bianco e colui che vi sedeva sopra. La terra e il cielo fuggirono dalla sua presenza e non ci fu più posto per loro. E vidi i morti, grandi e piccoli, in piedi davanti al trono” (Apocalisse 20:11-12). Appare evidente come Colui che siederà sul grande trono bianco sia lo stesso che siederà sul trono della Sua gloria per giudicare tutte le genti che saranno radunate quel giorno dinanzi a Lui, ovvero il Figlio di Dio.

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Gesù stesso confermò al governatore Pilato di essere il Re, come risulta dai versi che seguono: “Gesú comparve davanti al governatore e il governatore lo interrogò, dicendo: "Sei tu il re dei Giudei?" Gesú gli disse: "Tu lo dici"” (Matteo 27:11). “Pilato gli domandò: "Sei tu il re dei Giudei?" Gesú gli rispose: "Tu lo dici"” (Marco 15:2). “Allora Pilato gli disse: "Ma dunque, sei tu re?" Gesú rispose: "Tu lo dici; sono re; io sono nato per questo, e per questo sono venuto nel mondo: per testimoniare della verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce"” (Giovanni 18:37). Il Padre volle che sulla croce fosse proclamata la sovranità del Figlio attraverso la scritta che Pilato incise, nonostante il malcontento dei capi religiosi: “Al di sopra del capo gli posero scritto il motivo della condanna: Questo è Gesú, il re dei Giudei” (Matteo 27:37). “L'iscrizione indicante il motivo della condanna diceva: Il re dei Giudei” (Marco 15:26). “Natanaele gli rispose: "Rabbí, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele"” (Giovanni 1:49). Sappiamo pure che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato intelligenza per conoscere colui che è il Vero; e noi siamo in colui che è il Vero, cioè, nel suo Figlio Gesú Cristo. Egli è il vero Dio e la vita eterna. (I Giovanni 5:20). Basterebbe da solo questo verso per dimostrare che “Egli è il vero Dio e la vita eterna”. Tutto però dipende dal fatto che abbiamo o meno orecchi per udire: “Poi disse: "Chi ha orecchi per udire oda"” (Marco 4:9).

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10  -­‐  LA  DUPLICE  NATURA   La divinità del Signore, in quanto Parola di Dio, è fin troppo evidente e chiara nelle Scritture, altrettanto lo è la Sua umanità. Giovanni scrive: “E la Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo fra di noi, piena di grazia e di verità; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre” (Giovanni 1:14). In un preciso momento storico, quello che l’apostolo Paolo chiama la “pienezza dei tempi”, l’eterna Parola di Dio si fece carne, si incarnò cioè nell’uomo Gesù, che nacque in Betleem di Giudea. Sebbene la Parola di Dio sia esistita da sempre e per sempre, Gesù in quanto uomo ha avuto un inizio ben definito e determinato nella storia, che Luca individua ai tempi del censimento sotto il governo dell’imperatore Cesare Augusto, quando Quirino era governatore della Siria (Luca 2:1-2). Anche il momento in cui, qualche anno dopo, prima Giovanni il Battista e poi Gesù, iniziarono il loro ministero è storicamente indicato con precisione: “Or nell'anno decimoquinto dell'impero di Tiberio Cesare, essendo Ponzio Pilato governatore della Giudea, ed Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell'Iturea e della Traconitide, e Lisania tetrarca dell'Abilene, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caiàfa, la parola di Dio fu diretta a Giovanni, figliuol di Zaccaria, nel deserto” (Luca 3:1). L’uomo Gesù, quindi, non esiste da sempre, ma solamente da quando è stato concepito nel seno di Maria ed è nato nella misera mangiatoia di Betleem. Gesù stesso si riferisce alla sua umanità quando parla di Sé come del “Figlio dell’uomo”. Paolo scrive nell’Epistola ai Romani: “riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, dichiarato Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santità mediante la risurrezione dai morti; cioè Gesú Cristo, nostro Signore” (Romani 1:3-4). Gesù, perciò, nacque dalla stirpe di Davide secondo la carne e pertanto secondo una linea genealogica ben determinata e conosciuta, fu dichiarato però, ovvero riconosciuto ufficialmente, Figlio di Dio mediante la Sua resurrezione dai morti. Nato secondo la carne, dichiarato secondo lo spirito. Come uomo ha avuto un inizio, come Figlio di Dio non ha avuto mai un principio: la Sua natura divina è stata dichiarata, provata, riconosciuta nel momento in cui resuscitò dai morti, ma quella natura gli era appartenuta da sempre in quanto Colui che è la Vita eterna che non poteva essere trattenuto dalla morte. L’apostolo Paolo scrive ai Filippesi: “il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l'essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, ma spogliò sé stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; trovato esteriormente come un uomo, umiliò sé stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce. Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesú si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra, e sotto terra, e ogni lingua confessi che Gesú Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre” (Filippesi 2:6-11). Gesù in quanto Verbo era “in forma di Dio”, come Giovanni scrive all’inizio del suo Vangelo, poiché la Parola era con Dio ed era essa stessa Dio, avendo la medesima natura del Padre. L’espressione “in forma di Dio” significa che era Dio e non che aveva semplicemente delle caratteristiche divine, come qualcuno pretende di sostenere. Negli stessi versi, Paolo afferma altresì che Egli prese successivamente la forma di un servo, divenendo simile agli uomini, ovvero un uomo vero e proprio, come tutti noi. Se l’espressione “forma di servo” sta a indicare che divenne simile

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agli uomini, allo stesso modo “forma di Dio” sta a significare che era Dio e non che aveva una semplice somiglianza divina. Gesù, tuttavia, afferma l’apostolo, non reputò una prerogativa alla quale aggrapparsi gelosamente la Sua condizione celeste, ma decise di spogliare Se stesso per salvare l’umanità. Prese quindi la forma di un misero servo, di un uomo come tutti quanti noi, con l’unica differenza che non fu generato con la tendenza al peccato, caratteristica che invece accomuna ogni nato di donna. “Ecco, io sono stato generato nell'iniquità, mia madre mi ha concepito nel peccato” (Salmo 51:5). Fu pertanto trovato esteriormente come un uomo e ciò è quanto videro gli apostoli, i discepoli, la gente che lo seguiva. Pur nondimeno, sotto quelle umane spoglie si celava l’eccelsa natura divina che Gli apparteneva in quanto Parola di Dio fatta carne. In diverse occasioni, i tratti della Sua maestà celeste apparvero chiaramente, fin dall’inizio del Suo ministero, a partire da quando “manifestò la Sua gloria” (Giovanni 2:11) nelle nozze di Cana, il primo dei Suoi miracoli, cambiando l’acqua in vino. I venti ed il mare gli ubbidivano: bastava che elevasse la Sua voce e la tempesta si placava istantaneamente. Alla Sua parola, i discepoli calarono le reti dopo un’intera notte di pesca infruttuosa e la tirarono su piena di pesci, tanto che le barche sembravano affondare dal peso. I morti resuscitavano al Suo ordine, i demoni uscivano dai poveri posseduti, i malati venivano guariti, i ciechi vedevano, i sordi udivano, i lebbrosi erano mondati e gli storpi camminavano. A differenza dei profeti e degli apostoli, i quali operarono alcuni miracoli nel nome di Dio o di Cristo, Egli non faceva tutto questo nel nome di qualcuno, ma per la Sua personale autorità e potenza. “Io te lo comando”, “Lo voglio”, “Io ti dico”, sono alcune delle espressioni che usò durante certe opere potenti che compì. Mentre si poteva identificare con precisione la Sua origine umana, la Sua famiglia di provenienza, la Sua città natale, Egli poteva nello stesso tempo affermare cose che gettavano nello sconcerto i Suoi interlocutori e lasciavano intravedere senza mezzi termini chi Egli era. “"Abraamo, vostro padre, ha gioito nell'attesa di vedere il mio giorno; e l'ha visto, e se n'è rallegrato". I Giudei gli dissero: "Tu non hai ancora cinquant'anni e hai visto Abraamo?" Gesú disse loro: "In verità, in verità vi dico: prima che Abraamo fosse nato, io sono". Allora essi presero delle pietre per tirargliele; ma Gesú si nascose e uscí dal tempio” (Giovanni 8:56-59). Abramo era vissuto circa duemila anni prima di Lui, ma Gesù affermò che Egli già era prima dell’antico patriarca e che, anzi, era sempre esistito. Usò infatti l’espressione “Io sono” (dal greco: egò eimi), termine che sta ad indicare chiaramente la persona della Deità. Dio è infatti l’IO SONO (YHWH), Colui che vive al di fuori e al di sopra del tempo. I religiosi che lo ascoltarono ben compresero che con queste parole stava affermando la Sua deità e non semplicemente la Sua preesistenza all’antico patriarca. Appena dopo tale affermazione, infatti, cercarono di lapidarlo e si sa molto bene che la morte per lapidazione era possibile solo per alcuni gravissimi casi, tra cui la bestemmia. E’ evidente che l’unica ragione per la quale essi tentarono di lapidarLo era unicamente che si considerava uguale a Dio, usando un termine che identificava senza dubbio la Deità, ovvero “Io sono”. Se avesse semplicemente affermato di essere preesistente ad Abramo, non vi sarebbe stata alcuna motivazione scritturale per cui lapidarLo (la gente comune pensava infatti che Gesù fosse uno dei profeti ritornato in vita e questo non sembrava essere percepito in senso negativo, né appare motivo di biasimo nei Suoi confronti, era piuttosto la spiegazione del popolo circa la potenza che operava in Lui). I Giudei, pertanto, compresero molto bene che aveva dichiarato la Sua eternità perché aveva detto di essere l’Io sono, ovvero Dio.

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In un’altra occasione, i Giudei espressero chiaramente la motivazione del loro gesto: “"I Giudei gli risposero: "Non ti lapidiamo per una buona opera, ma per bestemmia; e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio"” (Giovanni 10:33). La bestemmia, secondo costoro, stava nel fatto che Egli si faceva Dio, pur essendo un uomo. I Giudei capivano perfettamente dalle parole del Salvatore che Egli alludeva alla Sua Deità. Era per loro assolutamente chiaro che non si stavano confrontando con un profeta o un leader religioso qualsiasi, ma con Uno che non nascondeva le Sue origini divine. Sulla croce Pilato fece scrivere il motivo della condanna: “Questi è il Re dei Giudei”, espressione che non poteva che riferirsi a Dio, ed è chiaro che fece così perché ciò era risultato evidente delle denunce dei capi religiosi nei Suoi confronti. La ragione per cui Gesù fu ucciso era infatti che aveva bestemmiato, in quanto aveva risposto affermativamente alla domanda del Sommo sacerdote: ”Sei il Cristo, il Figlio di Dio"? La bestemmia, secondo costoro, stava nel fatto che definirsi il Cristo, il Figlio di Dio, voleva dire farsi uguale a Dio. “Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti, dicendo: "Egli ha bestemmiato; che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Ecco, ora avete udito la sua bestemmia; che ve ne pare?" Ed essi risposero: "E reo di morte"” (Matteo 26:65-66). Gesù mise in difficoltà e non poco i Farisei quando fece loro notare che il Cristo, pur essendo figlio di Davide, ovvero discendente da Davide, era in realtà il Signore dell’antico re di Israele. Come era possibile che quello che sarebbe venuto dopo era in realtà primo di lui ed addirittura il suo Signore? “Essendo i farisei riuniti, Gesú li interrogò, dicendo: "Che cosa pensate del Cristo? Di chi è figlio?" Essi gli risposero: "Di Davide". Ed egli a loro: "Come mai dunque Davide, ispirato dallo Spirito, lo chiama Signore, dicendo: Il Signore ha detto al mio Signore: `Siedi alla mia destra finché io abbia messo i tuoi nemici sotto i tuoi piedi?' Se dunque Davide lo chiama Signore, come può essere suo figlio?" E nessuno poteva replicargli parola; da quel giorno nessuno ardì piú interrogarlo” (Matteo 22:41-46). Gesù ben spiega come il Cristo in quanto uomo era discendente da Davide e quindi temporalmente successivo a lui, mentre in realtà, essendo Figlio di Dio, era preesistente allo stesso Davide suo progenitore. Anche qui le due nature ci appaiono distintamente. I segni della Sua umanità Mentre intravediamo i segni della Sua divinità celata nelle spoglie terrene, pure Gesù era anche un uomo, esattamente come noi. Si stancava del lungo cammino che era solito percorrere (Giovanni 4:6), aveva fame (Marco 11:12), sentiva la necessità di riposare (Matteo 8:24), avvertiva il bisogno di pregare (Luca 22:44), aveva le nostre stesse esigenze e limitazioni terrene. Venendo in questo mondo e legandosi all’umanità, si era abbassato, “trovato esteriormente come un uomo, umiliò sé stesso” (Filippesi 2:8), si trovava ora in uno stato certamente inferiore quanto a posizione rispetto alla Sua condizione eterna, ma non certo in quanto a natura, essendo Egli la Parola di Dio. Ecco perché, poco prima di essere crocifisso, pregò: “Ora, o Padre, glorificami tu presso di te della gloria che avevo presso di te prima che il mondo esistesse” (Giovanni 17:5). Fu quindi solo dopo la Sua morte e resurrezione che ritornò ad acquisire pienamente la gloria che Gli era appartenuta e che aveva rivestito eternamente. Coloro che sostengono l’inferiorità di Gesù rispetto al Padre si rifanno spesso al seguente verso del Vangelo di Giovanni: “Avete udito che vi ho detto: Io me ne vado,

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e torno da voi; se voi mi amaste, vi rallegrereste che io vada al Padre, perché il Padre è maggiore di me” (Giovanni 14:28). E’ fin troppo chiaro invece che Gesù, in quanto uomo, come abbiamo spiegato innanzi e come l’apostolo Paolo ben illustra nell’Epistola ai Filippesi, si trovava in una temporanea posizione di inferiorità rispetto al Padre, non in quanto a natura, ma in quanto a posizione. Ora però stava dicendo ai discepoli che se Lo amavano, più che essere tristi, dovevano rallegrarsi del fatto che stava per lasciare questo mondo per andarsene al Padre, perché lì sarebbe tornato in possesso della Sua eterna gloria come è ben espresso in Giovanni 17:5.

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11  -­‐  L’INCARNAZIONE  

Nel momento in cui la Parola di Dio si è fatta carne ed è venuta ad abitare per un tempo in mezzo agli uomini, piena di grazia e verità (Giovanni 1:14), si è venuta a legare indissolubilmente alla natura umana in Gesù, nel Quale si è incarnata. Da quel momento in poi, l’uomo Gesù è ed esisterà per sempre, legato eternamente alla Parola di Dio e quindi alla Deità. In Lui la Parola si è soprannaturalmente incarnata e l’anima e la coscienza del Salvatore sono costantemente permeate dalla divinità e dalla consapevolezza di essere il Signore della gloria (1 Cor. 2:8). Gesù in quanto uomo, pur avendo un ben preciso inizio storico, ha però la coscienza di essere sempre esistito, in quanto Parola di Dio fatta carne. Ecco perché, rivolgendosi ai Giudei, dice: "In verità, in verità vi dico: prima che Abraamo fosse nato, io sono" (Giovanni 8:58). Gesù ha l’intima percezione che Dio è il Suo Padre celeste, nel senso unico e particolare del termine e non nel significato generico che interessa tutti i credenti. "…. Tu sei mio Figlio; oggi ti ho generato" (Ebrei 5:5). Sono tantissimi i versi in cui appare chiara questa verità, ma ne citeremo soltanto uno: “Ogni cosa mi è stata data in mano dal Padre mio; e nessuno conosce il Figlio, se non il Padre; e nessuno conosce il Padre, se non il Figlio, e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo” (Matteo 11:27). E’ tanto grande il concetto di Figlio e di Padre, nell’accezione divina, che nessuno può conoscere perfettamente il Padre, né il Figlio, conoscenza piena che esiste solo all’interno della Deità medesima. La grandezza dell’incarnazione sta nel fatto che, allo stesso tempo, il Padre è nel Figlio ed il Figlio è nel Padre: “Ma se le faccio, anche se non credete a me, credete alle opere, affinché sappiate e riconosciate che il Padre è in me e che io sono nel Padre” (Giovanni 10:38). “Non credi tu che io sono nel Padre e che il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico di mio; ma il Padre che dimora in me, fa le opere sue” (Giovanni 14:10). Paolo, nell’Epistola ai Colossesi, vede Gesù come Colui che ha creato ogni cosa (verso 16), allo stesso modo Giovanni nel capitolo primo del suo Vangelo vede la Parola nella Sua qualità di Creatore di ogni cosa che esiste. Quello che si può dire della Parola di Dio lo si può dire anche dell’uomo Gesù ed in questo la realtà dell’incarnazione assume dei contorni gloriosi ed inafferrabili che sfuggono alla nostra limitata comprensione. L’uomo Gesù viene proiettato nell’eternità della deità e la Parola di Dio nel tempo dell’umanità. Dal momento dell’incarnazione in poi, diviene impossibile scindere la divinità dall’umanità del Salvatore, in quanto le due nature si sono fuse insieme nella Persona del Cristo. E’ come se guardassimo le facce di una medaglia, ora l’una ed ora l’altra. Ognuna di esse ci fa scoprire l’effige che vi è stata impressa, potendoci soffermare a considerare i particolari che le riguardano. Le due facce però, anche se diverse, fanno parte della stessa medaglia. Ora vediamo Gesù in quanto uomo soffrire, avere fame, essere spaventato di fonte alla morte, ora vediamo la Sua potenza operare miracoli, risuscitare i morti, placare il mare agitato e la tempesta, compiere guarigioni e liberazioni. Ora il Salvatore ci appare nei panni di un uomo comune, ora le Sue vesti rifulgono di uno splendore celestiale (Matteo 17:2). In Lui le due nature, quella divina e quella umana, quella celeste e quella terrena, sono evidenti ed inseparabili, rendendosi manifeste, in un caso la prima ed in un altro la seconda. Quando guardiamo Gesù,

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vediamo sia l’immagine dell’uomo, sia l’immagine del Dio invisibile (Colossesi 1:15), sia la creatura, sia il Creatore di ogni cosa, sia il servo, sia il Signore della gloria. Chi vede Lui, vede in realtà il Padre: “Gesú gli disse: "Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre; come mai tu dici: Mostraci il Padre? Non credi tu che io sono nel Padre e che il Padre è in me?”” (Giovanni 14:9-10). Conoscere Lui, vuol dire conoscere Dio, avere Lui vuol dire avere il Padre: “Chiunque nega il Figlio, non ha neppure il Padre; chi riconosce pubblicamente il Figlio, ha anche il Padre” (I Giovanni 2:23). L’incarnazione è il fatto più straordinario della storia, il più insondabile, il più eccelso, la realtà più impenetrabile ed irraggiungibile dalla comprensione umana. I pensieri di Dio sono infinitamente al di sopra dei pensieri dell’uomo, le Sue vie illimitatamente al di sopra delle nostre vie: “Come i cieli sono alti al di sopra della terra, cosí sono le mie vie piú alte delle vostre vie, e i miei pensieri piú alti dei vostri pensieri” (Isaia 55:9). Ci fanno sorridere coloro che pensano di spiegare le cose grandi di Dio con la logica del pensiero umano, quando quelle realtà sono assolutamente al di sopra della nostra limitata portata. Non volere accettare questa oggettività è inconsapevolmente porre l’uomo su un piano del tutto superiore a quello nel quale è stato formato ed inquadrato, esaltandolo e ponendolo al centro, mentre al centro vi è solo Dio. Tutto quello che possiamo comprendere della Deità ce lo ha rivelato la Sua Parola, anche se quella Parola non ha preteso di spiegare il come è perché della natura divina. Nella Genesi, al capitolo primo, essa si limita a dirci che nel Principio Dio creò i cieli e la terra, senza spiegarci il come ed il perché e questo semplicemente in quanto questi concetti sono assolutamente al di sopra della nostra umana comprensione.

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12  -­‐  IL  FIGLIO  DELL’UOMO   La salvezza dell’umanità ha prodotto quindi una realtà che precedentemente non esisteva. Nel principio troviamo infatti il Padre, la Parola e lo Spirito Santo (Genesi 1:1; Giovanni 1:1), ora, dal momento dell’incarnazione in poi, ritroviamo anche l’uomo Gesù, nel Quale la Parola si era incarnata, tanto che nella formula battesimale, il Figlio è associato al Padre ed allo Spirito Santo al posto della Parola di Dio:“Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (Matteo 28:19). Così nella formula della benedizione riportata nella seconda Epistola ai Corinzi: “La grazia del Signore Gesú Cristo e l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi” (II Corinzi 13:13). A Dio, perciò, nella Sua natura trina, si è unito la Persona del Salvatore, ovvero “il Figlio dell’uomo”, il Quale era ed è uno col Padre: “Io e il Padre siamo uno” (Giovanni 10:30) “Io ho dato loro la gloria che tu hai data a me, affinché siano uno come noi siamo uno” (Giovanni 17:22). Quell’uomo Gesù si è legato perfettamente ed indissolubilmente alla divinità, tanto che può dire di Sé: “… affinché sappiate e riconosciate che il Padre è in me e che io sono nel Padre” (Giovanni 10:38). Paolo scriverà di Lui: “Guardate che nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia e con vani raggiri secondo la tradizione degli uomini e gli elementi del mondo e non secondo Cristo; perché in lui abita corporalmente tutta la pienezza della Deità” (Colossesi 2:8-9). In Gesù, quindi, abita corporalmente tutta la pienezza di Dio è questo è qualcosa di estremamente grande. Paolo sapeva molto bene che tale concetto sarebbe stato oggetto di travisamento da parte di certuni nei tempi a venire, perciò scrive queste parole, ammonendo i credenti di Colosse e, pertanto, tutti noi a stare in guardia nei confronti di coloro che con ragionamenti umani e filosofici tentano di sminuire la persona di Cristo, riducendolo a un rango di inferiorità e, addirittura, di semplice creatura angelica, mentre in Lui, nella Sua Persona, abita tutta la pienezza di Dio. Isaia scrive di Lui: “Poiché un bambino ci è nato, un figlio ci è stato dato, e il dominio riposerà sulle sue spalle; sarà chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace” (Isaia 9:5). Alla nascita di Gesù questa profezia di Isaia si è adempiuta, così come Matteo scrive nel suo Vangelo: “"La vergine sarà incinta e partorirà un figlio, al quale sarà posto nome Emmanuele", che tradotto vuol dire: "Dio con noi"” (Matteo 1:23). Gesù è pertanto il “Dio con noi”, tra noi, essendo Egli uno col Padre, proprio come significa il Suo nome. E’ fin troppo chiaro, già dall’Antico Testamento, a partire dal Suo stesso nome, che il Messia non è una Persona qualunque, ma Dio stesso venuto tra gli uomini, “Dio potente”, “Padre eterno”. Isaia scrive che sarebbe stato Dio in persona a salvare gli uomini: “Dite a quelli che hanno il cuore smarrito: "Siate forti, non temete! Ecco il vostro Dio! Verrà la vendetta, la retribuzione di Dio; verrà egli stesso a salvarvi"” (Isaia 35:4). E quando sarebbe venuto, scrive il profeta, “Allora s'apriranno gli occhi dei ciechi, e saranno sturati gli orecchi dei sordi; allora lo zoppo salterà come un cervo, e la lingua del muto canterà di gioia; perché delle acque sgorgheranno nel deserto, e dei torrenti nella solitudine” (verso 36). Tutto questo si è verificato esattamente ai tempi di Gesù ed in Gesù, Signore e Salvatore. Dio nella Persona di Cristo, la Parola fatta carne, è venuto in mezzo agli uomini perché gli uomini trovassero piena salvezza per mezzo di Lui.

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Giovanni Battista è la voce di uno che grida nel deserto, come aveva profetizzato Isaia: “Secondo quanto è scritto nel profeta Isaia: "Ecco, io mando davanti a te il mio messaggero a prepararti la via... Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri"” (Marco 1:2-3). Isaia afferma che tale voce avrebbe preparato la via davanti a Dio stesso, e questo è veramente significativo. Sappiamo però che il Battista ha preparato la via davanti al Messia. Questo rende molto chiara la vera natura del Salvatore: “La voce di uno grida: "Preparate nel deserto la via del Signore, appianate nei luoghi aridi una strada per il nostro Dio …Tu che porti la buona notizia a Sion, sali sopra un alto monte! Tu che porti la buona notizia a Gerusalemme, alza forte la voce! Alzala, non temere! Di’ alle città di Giuda: "Ecco il vostro Dio! Ecco il Signore, Dio, viene con potenza, con il suo braccio egli domina. Ecco, il suo salario è con lui, la sua ricompensa lo precede. Come un pastore, egli pascerà il suo gregge: raccoglierà gli agnelli in braccio, li porterà sul petto, condurrà le pecore che allattano” (Isaia 40:3-11). Gesù, il buon pastore (confronta Giovanni cap. 10) è Colui nel Quale questa profezia si è realizzata. Egli venne nel mondo con potenza per pascere il Suo gregge (confronta anche il Salmo 23 con Giovanni 10:11, 14). Tornando a quanto dicevamo della nascita del Salvatore, l’angelo, rivolgendosi in sogno a Giuseppe, annuncia che Colui che sarebbe nato dallo Spirito Santo sarebbe stato chiamato Gesù: “Ma mentre aveva queste cose nell'animo, un angelo del Signore gli apparve in sogno, dicendo: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua moglie; perché ciò che in lei è generato, viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio, e tu gli porrai nome Gesú, perché è lui che salverà il suo popolo dai loro peccati"” (Matteo 1:20-21). Matteo identifica tutto questo con la profezia di Isaia, dove viene invece detto che il nome del Messia sarebbe stato “Emmanuele”: “Tutto ciò avvenne, affinché si adempisse quello che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: "La vergine sarà incinta e partorirà un figlio, al quale sarà posto nome Emmanuele", che tradotto vuol dire: "Dio con noi"” (Matteo 1:22-23). Gesù è quindi l’Emmanuele, ovvero “Dio con noi”. Dire Gesù è la stessa cosa che dire Emmanuele, ovvero che Dio è venuto fra noi nella Persona del Figlio. Fu quest’uomo così speciale, generato da Maria per l’intervento dello Spirito Santo, nel Quale abita tutta la pienezza della Deità, che ha sofferto le nostre stesse limitazioni e privazioni e che ha pagato sulla croce al Golgota il prezzo dei nostri peccati. E’ proprio l’essere umano, il “Figlio dell’uomo” che è morto per noi: “Mentre essi percorrevano insieme la Galilea, Gesú disse loro: "Il Figlio dell'uomo sta per essere dato nelle mani degli uomini; essi lo uccideranno e il terzo giorno risusciterà"” (Matteo 17:22-23). Allo stesso modo, chi resuscitò dai morti è proprio il Figlio dell’uomo: “Poi, mentre scendevano dal monte, Gesú diede loro quest'ordine: "Non parlate a nessuno di questa visione, finché il Figlio dell'uomo sia risuscitato dai morti"” (Matteo 17:9). Chi ascese al cielo è il Figlio dell’uomo: “Nessuno è salito in cielo, se non colui che è disceso dal cielo: il Figlio dell'uomo che è nel cielo” (Giovanni 3:13). Ed è sempre Lui che si è posto a sedere alla destra della maestà nei cieli: “Ma da ora in avanti il Figlio dell'uomo sarà seduto alla destra della potenza di Dio” (Luca 22:69). Chi ritornerà dal cielo è ancora il Figlio dell’uomo: “Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nuvole con potenza e gloria grande” (Luca 21:27).

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Così, chi giudicherà il mondo con giustizia è sempre il Figlio dell’uomo: “Perché il Figlio dell'uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo l'opera sua” (Matteo 16:27). “Perché ha fissato un giorno, nel quale giudicherà il mondo con giustizia per mezzo dell'uomo ch'egli ha stabilito, e ne ha dato sicura prova a tutti, risuscitandolo dai morti” (Atti 17:31). Dio giudicherà il mondo per mezzo dell’uomo che Egli ha stabilito. Il Padre ha delegato ogni cosa, giudizio compreso, al Figlio dell’uomo, perché così è a Lui piaciuto: “Ogni cosa mi è stata data in mano dal Padre mio; e nessuno sa chi è il Figlio, se non il Padre; né chi è il Padre, se non il Figlio e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo” (Luca 10:22). Ecco perché alla fine, quando anche l’ultimo nemico, ovvero la morte, sarà finalmente annientato, il Figlio dell’uomo rimetterà a Sua volta il regno nelle mani di Dio Padre, affinché Dio sia tutto in tutti: “Poi verrà la fine, quando consegnerà il regno nelle mani di Dio Padre, dopo che avrà ridotto al nulla ogni principato, ogni potestà e ogni potenza. Poiché bisogna ch'egli regni finché abbia messo tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi. L'ultimo nemico che sarà distrutto, sarà la morte. Difatti, Dio ha posto ogni cosa sotto i suoi piedi; ma quando dice che ogni cosa gli è sottoposta, è chiaro che colui che gli ha sottoposto ogni cosa, ne è eccettuato. Quando ogni cosa gli sarà stata sottoposta, allora anche il Figlio stesso sarà sottoposto a colui che gli ha sottoposto ogni cosa, affinché Dio sia tutto in tutti” (I Corinzi 15:24-28).

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13  –  L’  UOMO  GESU’  NON  CESSERA’  MAI  DI  ESISTERE  

Stefano, il primo martire, poco prima di essere ucciso, vede Gesù alla destra del Padre: “Ma Stefano, pieno di Spirito Santo, fissati gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Gesú che stava alla sua destra, e disse: "Ecco, io vedo i cieli aperti, e il Figlio dell'uomo in piedi alla destra di Dio"” (Atti 7:55-56). E’ quindi il Figlio dell’uomo che Stefano vede alla destra di Dio e questo dopo che Egli aveva pagato per i nostri peccati ed era risorto dalla morte. Il Figlio dell’uomo, perciò, non ha cessato di esistere con la Sua morte ma, essendo risorto dai morti, è salito al cielo ed occupa la posizione gloriosa che Gli appartiene. Coloro che credono che Gesù sia nient’altro che una creatura angelica hanno l’esigenza di far sparire dalla scena il figlio dell’uomo dopo la Sua morte. Egli sarebbe ritornato ad acquisire la precedente natura angelica, per diventare nuovamente l’arcangelo Michele. Il loro motto è: “L’uomo Gesù morto, morto per sempre”. Invece, come ben risulta dal libro degli Atti, l’uomo Gesù, dopo essere morto e risorto, non ha mai smesso di esistere. E’ infatti proprio l’uomo Gesù, ad essere ora alla destra del Padre e non certo un angelo: "Ecco, io vedo i cieli aperti, e il Figlio dell'uomo in piedi alla destra di Dio"” (Atti 7:55-56). Non è l’arcangelo Michele che si trova alla destra di Dio, né è ad un angelo che Dio ha sottoposto ogni cosa, ma è Colui che è nato da Maria secondo la carne per l’intervento dello Spirito Santo, ma che ha nel contempo la natura divina in quanto Parola di Dio fatta carne. “Difatti, non è ad angeli ch'Egli ha sottoposto il mondo a venire del quale parliamo” (Ebrei 2:5). E’ l’uomo Gesù ad essere il Mediatore fra noi e Dio: “Infatti c'è un solo Dio e anche un solo mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesú uomo, che ha dato sé stesso come prezzo di riscatto per tutti; questa è la testimonianza resa a suo tempo” (I Timoteo 2:5-6). Notiamo come l’apostolo Paolo sia così preciso nello scrivere che il mediatore sia Cristo Gesù uomo. Quanto egli scrive non può essere travisato se non in malafede e a proprio danno. L’uomo Gesù esiste quindi ed esisterà nell’eternità essendo e rimanendo per sempre il nostro Salvatore. L’amore del Padre ci sarà sempre evidente in Colui che è morto per noi e che ringrazieremo eternamente per quello che ha fatto per salvarci dalla morte e donarci la vita eterna.

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14  -­‐  L’AGNELLO  DI  DIO  

Giovanni il Battista è il primo a definire Gesù come l’Agnello di Dio: “Il giorno seguente, Giovanni vide Gesú che veniva verso di lui e disse: "Ecco l'Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo!” (Giovanni 1:29). L’espressione “Agnello di Dio” è chiaramente riferita all’uomo Gesù ed alla Sua opera di Salvatore. Il termine richiama esplicitamente il concetto di redenzione insito nell’agnello pasquale e nel rituale ordinato da Dio attraverso Mosè in Esodo capitolo 12. Quell’agnello prefigurava Colui che venne in questo mondo per essere immolato per i peccati di tutta l’umanità. Pietro scrive: “sapendo che non con cose corruttibili, con argento o con oro, siete stati riscattati dal vano modo di vivere tramandatovi dai vostri padri, ma con il prezioso sangue di Cristo, come quello di un agnello senza difetto né macchia” (I Pietro 1:18-19). Gesù è l’agnello senza difetto né macchia, l’unico che ha potuto soddisfare la perfetta giustizia divina, essendo Egli santo, non avendo mai commesso peccato. Ecco perché è stato in grado di sostituire ogni uomo nella condanna e nel giudizio, per pagare al nostro posto, ponendo come unica condizione della nostra salvezza la fede nella Sua opera di grazia. Isaia scrive: “Egli è stato condotto al macello come una pecora; e come un agnello che è muto davanti a colui che lo tosa, così egli non ha aperto la bocca” (Atti 8:32). L’Agnello sta quindi ad indicare anche la Sua natura docile e mansueta oltre che la Sua innocenza, che Lo portò a donarsi sul Calvario senza opporre alcuna resistenza alle ingiurie, agli insulti ed all’assassinio di cui fu vittima. “Prendete su voi il mio giogo ed imparate da me, perch'io son mansueto ed umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre” (Matteo 11:29). Gesù in quanto Agnello di Dio non smetterà mai di esistere, anzi condividerà la stessa gloria che appartiene unicamente al Padre: “Essi dicevano a gran voce: "Degno è l'Agnello, che è stato immolato, di ricevere la potenza, le ricchezze, la sapienza, la forza, l'onore, la gloria e la lode". E tutte le creature che sono nel cielo e sulla terra e sotto la terra e sul mare e tutte le cose che sono in essi, le udii che dicevano: “A Colui che siede sul trono e all'Agnello siano la benedizione e l'onore e la gloria e l'imperio, nei secoli dei secoli. E le quattro creature viventi dicevano: Amen! E gli anziani si prostrarono e adorarono”” (Apocalisse 5:12-14)”. Nel cielo ritroviamo pertanto Gesù nella veste di Agnello di Dio, in quanto l’opera di redenzione da Lui compiuta sarà ricordata e onorata per tutta l’eternità. Per essa, per la riconoscenza che avremo nel cuore e per l’amore che nutriremo verso di Lui, adoreremo Colui che fu immolato e Gli daremo la gloria, l’onore e la lode. Ritroveremo perciò il Buon pastore che pastura le Sue pecore: “Perché l'Agnello che è in mezzo al trono li pascerà e li guiderà alle sorgenti delle acque della vita; e Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi"” (Apocalisse 7:17). Lo ritroveremo come vittorioso Re dei re e Signore dei signori e con Lui vinceremo anche noi: “Combatteranno contro l'Agnello e l'Agnello li vincerà, perché egli è il Signore dei signori e il Re dei re; e vinceranno anche quelli che sono con lui, i chiamati, gli eletti e i fedeli"” (Apocalisse 17:14). Lo ritroveremo come Tempio di Dio e per Lui ed in Lui offriremo sacrifici di lode all’eterno Iddio: “Nella città non vidi alcun tempio, perché il Signore, Dio onnipotente, e l'Agnello sono il suo tempio” (Apocalisse 21:22).

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Lo ritroveremo come unica luce che illuminerà la dimora celeste e sarà la nostra guida per tutta l’eternità: “La città non ha bisogno di sole, né di luna che la illumini, perché la gloria di Dio la illumina, e l'Agnello è la sua lampada” (Apocalisse 21:23). E’ l’Agnello di Dio che condividerà la gloria con il Padre nel cielo, come abbiamo visto essere scritto nel libro dell’Apocalisse. E’ l’uomo Gesù che è il mediatore tra Dio e noi: “Infatti c'è un solo Dio e anche un solo mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesú uomo” (I Timoteo 2:5). E’ all’uomo Gesù che il Padre ha sottomesso ogni cosa: “E Gesú, avvicinatosi, parlò loro, dicendo: "Ogni potere mi è stato dato in cielo e sulla terra” (Matteo 28:18).

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15  -­‐  GESU’  E’  DEGNO:  TESTIMONIANZA  DI  GIOVANNI  IL  BATTISTA  

Giovanni il Battista è, dopo Gesù, il più grande tra i nati di donna, cioè tra tutti gli uomini. Questo è quanto ha affermato il Redentore stesso. “Io vi dico: fra i nati di donna nessuno è più grande di Giovanni; però, il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui” (Luca 7:28). Ora Giovanni il Battista, il più grande tra gli uomini, dichiara di non essere nemmeno degno di portare i calzari al Signore Gesù. Quale infinita differenza di luminosità fra la sua figura e quella del Salvatore e quale immane sproporzione tra noi ed il Figlio di Dio. Il maggiore tra gli esseri umani non è degno neppure di essere un Suo servo, figuriamoci tutti gli altri, noi stessi inclusi! Giovanni è l’uomo più eccelso che sia mai esistito, eppure appare così minuscolo davanti alla grandezza del Signore. Pur essendo più grande di qualunque uomo mai esistito sulla faccia della terra, è in realtà nient’altro che una piccola figura che quasi scompare davanti alla “Luce che illumina ogni uomo”. Egli afferma: “Bisogna che egli cresca, e che io diminuisca” (Giovanni 3:30). Questo è quello che ogni persona dovrebbe dire di se stesso davanti alla maestà e la gloria del Signore. Ciò che importa è che Cristo possa risplendere sempre più nella nostra vita e noi nasconderci sempre di più dietro la Sua grazia. Giovanni dice così perché ha ricevuto dall’alto la testimonianza di chi era veramente il Cristo. Riconosce la Sua preesistenza: “Era di lui che io dicevo: Colui che viene dopo di me mi ha preceduto, perché era prima di me” (Giovanni 1:15). Eppure Giovanni era nato qualche mese prima di Gesù. E’ evidente come avesse compreso che la Persona del Salvatore andava ben oltre la Sua nascita terrena. Quanto è sensazionale la rivelazione che egli ci dà del Redentore e come sa vedere al di là delle Sue umane spoglie la gloria eterna del Figlio di Dio! Il confronto tra Giovanni il Battista e Gesù, tra il massimo esponente dell’umanità ed il Signore della gloria, è in realtà il confronto tra la nostra stessa miseria umana e quella “Del nostro grande Dio e Salvatore, Cristo Gesú” (Tito 2:13). In Giovanni, come in nessun altro al mondo, si condensano i nostri limiti, ma si palesano altresì le glorie del Messia. Ciò che fece Giovanni era solo per un tempo limitato, mentre l’opera di Cristo è eterna. “In quei giorni venne Giovanni il battista, che predicava nel deserto della Giudea, e diceva: "Ravvedetevi, perché il regno dei cieli è vicino"” (Matteo 3:1-2) Il breve tempo di Giovanni viene messo in confronto all’eternità del Figlio di Dio, del quale è detto che è senza inizio e senza fine di giorni, come Melchisedec (di cui abbiamo già parlato innanzi) ben rappresenta. Egli, certo, ha una genealogia in quanto alla carne, in quanto Figlio dell’uomo, discendente dalla stirpe di Davide, ma senza inizio e senza fine di giorni per ciò che concerne la Sua divinità. Giovanni era semplicemente la voce di uno che grida nel deserto. Egli disse: "Io sono la voce di uno che grida nel deserto: Raddrizzate la via del Signore, come ha detto il profeta Isaia" (Giovanni 1:23). E’ la voce di uno, di uno dei tanti e non c’erto la voce in senso assoluto, l’unica. Altri hanno parlato da parte di Dio prima e dopo di lui, ma Gesù è la Parola di Dio, l’espressione più profonda ed eccelsa della natura e della personalità del Creatore: “Dio, dopo aver parlato anticamente molte volte e in molte maniere ai padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che egli ha costituito erede di tutte le cose, mediante il quale ha pure creato i mondi. Egli, che è splendore della sua gloria e impronta della sua essenza, e che sostiene tutte le

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cose con la parola della sua potenza, dopo aver fatto la purificazione dei peccati, si è seduto alla destra della Maestà nei luoghi altissimi” (Ebrei 1:1-3). Giovanni avrebbe battezzato con acqua, mentre il Cristo avrebbe battezzato con lo Spirito Santo e col fuoco. Gli uomini battezzano in acqua altri uomini che si convertono, ma nessuno oltre Cristo può battezzare con lo Spirito Santo e col fuoco. Infatti questo battesimo è strettamente collegato alla Sua opera di espiazione compiuta sulla croce, come ben afferma l’apostolo Pietro: “Egli dunque, essendo stato esaltato dalla destra di Dio e avendo ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, ha sparso quello che ora vedete e udite” (Atti 2:33). Gesù è degno e per quanto ha compiuto in croce è stato esaltato alla destra del Padre. Ora Egli può battezzare nello Spirito Santo coloro che si ravvedono. Ogni volta che riceviamo questo prezioso dono, stiamo in realtà affermando la grandezza del nostro Salvatore e Signore, il Quale è degno di ogni lode e onore. “Per questo è detto: "Salito in alto, egli ha portato con sé dei prigionieri e ha fatto dei doni agli uomini"” (Efesini 4:8). Giovanni sta dicendo in altre parole: “io non sono niente, vi sto solo amministrando un battesimo in acqua, ma non sono nessuno e non ho fatto niente per voi. Sono solo una semplice ed umile voce che grida nel deserto da parte di Dio, ma nient’altro che questo. Gesù invece vi battezzerà con lo Spirito Santo e col fuoco, perché Egli è glorioso ed è meraviglioso. E’ Lui che vi salverà morendo sulla croce, è Lui che entrerà nel luogo santissimo e non con sangue di becchi o di tori, ma con il Suo prezioso Sangue versato in croce”. Giovanni riconosce la gloria di Cristo perché intravede in anticipo la Sua opera di Salvezza mediante la morte di croce: “Il giorno seguente, Giovanni vide Gesú che veniva verso di lui e disse: "Ecco l'Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo!” (Giovanni 1:29). E’ chiaro che definendolo Agnello di Dio, comprende la necessità del Suo sacrificio come gli è stato rivelato dall’alto. Giovanni è un profeta e quindi intende profeticamente il ministero del Salvatore sul Calvario come fatto indispensabile perché il peccato del mondo sia cancellato. Afferma infatti: “Poiché la legge è stata data per mezzo di Mosè; la grazia e la verità sono venute per mezzo di Gesú Cristo” (Giovanni 1:17). Giovanni sa di essere niente di fronte al Signore, il Quale è invece degno di ogni lode e onore, perché intravede, prima ancora che si manifesti, la straordinaria unzione che era su di Lui. È scritto infatti: “Giovanni rese testimonianza, dicendo: "Ho visto lo Spirito scendere dal cielo come una colomba e fermarsi su di lui” (Giovanni 1:32). Questa potenza divina che dimorava sul Cristo è ben espressa nelle parole di Isaia, parole che Gesù stesso citò nella sinagoga di Nazaret: “"Lo Spirito del Signore è sopra di me; perciò mi ha unto per evangelizzare i poveri; mi ha mandato ad annunziare la liberazione ai prigionieri, e ai ciechi il ricupero della vista; a rimettere in libertà gli oppressi, e a proclamare l'anno accettevole del Signore". Poi, chiuso il libro e resolo all'inserviente, si mise a sedere; e gli occhi di tutti nella sinagoga erano fissi su di lui. Egli prese a dir loro: "Oggi, si è adempiuta questa Scrittura, che voi udite"” (Luca 4:18-21). “Vale a dire, la storia di Gesú di Nazaret; come Dio lo ha unto di Spirito Santo e di potenza; e com'egli è andato dappertutto facendo del bene e guarendo tutti quelli che erano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui” (Atti 10:38).

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16  -­‐  GESU  ‘  E’  DEGNO  PER  QUANTO  HA  FATTO  PER  NOI   “Vidi nella destra di colui che sedeva sul trono un libro scritto di dentro e di fuori, sigillato con sette sigilli. E vidi un angelo potente che gridava a gran voce: "Chi è degno di aprire il libro e di sciogliere i sigilli?" Ma nessuno, né in cielo, né sulla terra, né sotto la terra, poteva aprire il libro, né guardarlo. Io piangevo molto perché non si era trovato nessuno che fosse degno di aprire il libro, e di guardarlo. Ma uno degli anziani mi disse: "Non piangere; ecco, il leone della tribú di Giuda, il discendente di Davide, ha vinto per aprire il libro e i suoi sette sigilli". Poi vidi, in mezzo al trono e alle quattro creature viventi e in mezzo agli anziani, un Agnello in piedi, che sembrava essere stato immolato, e aveva sette corna e sette occhi che sono i sette spiriti di Dio, mandati per tutta la terra. Egli venne e prese il libro dalla destra di colui che sedeva sul trono. Quand'ebbe preso il libro, le quattro creature viventi e i ventiquattro anziani si prostrarono davanti all'Agnello, ciascuno con una cetra e delle coppe d'oro piene di profumi, che sono le preghiere dei santi. Essi cantavano un cantico nuovo, dicendo: "Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai acquistato a Dio, con il tuo sangue, gente di ogni tribú, lingua, popolo e nazione, e ne hai fatto per il nostro Dio un regno e dei sacerdoti; e regneranno sulla terra" (Apocalisse 5:1-10). L’apostolo Giovanni, nella visione che ha delle cose a venire, piange perché non si era trovato nessuno, né in cielo, né sulla terra, né sotto la terra, che fosse in grado di aprire il libro o solamente di guardarlo. Nessuno era degno, non solo tra gli uomini, ma anche tra le creature che si trovano in cielo, dove ogni cosa è perfetta e dove la volontà di Dio viene compiuta perfettamente (“venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà anche in terra come è fatta in cielo” - Matteo 6:10). Nessuno era degno, nemmeno uno solo ovunque si cercasse. Qualcuno dice però a Giovanni di non piangere, perché Uno solo era degno e questo era il “Leone della tribù di giuda, il discendente di Davide”, ovvero il Figlio dell’uomo, che nacque da Maria nella misera mangiatoia di Betleem per l’intervento dello Spirito Santo, e nel Quale si era incarnata l’eterna Parola di Dio. Egli è degno perché ha vinto, e ciò a causa della Sua opera di salvezza, costata la Sua morte di croce. E’ per essa che risulta ora evidente e manifesta la Sua eccellenza, la Sua grandezza e gloria. Un agnello che pareva essere stato immolato, ecco chi è Colui che solo è degno: “perché sei stato immolato e hai acquistato a Dio, con il tuo sangue, gente di ogni tribù, lingua, popolo e nazione”. “Però vediamo colui che è stato fatto di poco inferiore agli angeli, cioè Gesú, coronato di gloria e di onore a motivo della morte che ha sofferto, affinché, per la grazia di Dio, gustasse la morte per tutti” (Ebrei 2:9). Gesù è coronato di gloria e onore proprio a causa della morte che ha patita. In quanto Parola di Dio, la Sua gloria è quella che Gli appartiene per natura ed è la stessa di “Colui che siede sul trono” (Apocalisse 5:13). In quanto alla Sua umanità, quale Figlio dell’uomo morto e risorto, quella gloria Gli proviene dalla Sua opera, dal Suo sacrificio, dal Suo sangue prezioso versato per tutti noi sul Golgota. Egli è degno perché ci ha amati ed ha dato Se stesso per noi: “A lui che ci ama, e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno e dei sacerdoti del Dio e Padre suo, a lui sia la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen” (Apocalisse 1:5-6).

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La lode, la gloria e l’onore che sarà espressa nel cielo dai redenti verso il “Leone della tribù di Giuda” sarà sempre conseguenza della riconoscenza per la morte che ha patito per tutta l’umanità. Lui è degno perché ha vinto ed è il solo che avrebbe potuto fare ciò. Nessun altro in cielo e in terra avrebbe potuto compiere ciò che Lui portò a termine, perché nessun altro oltre il Figlio di Dio poteva salvarci, nessun altro oltre Lui è degno. Gesù ha bevuto il calice amaro della nostra redenzione, è sceso nel pantano fangoso nel quale eravamo caduti (Salmo 40), si è abbassato fino alla morte e alla morte di croce perché noi fossimo elevati da quella fossa di perdizione. Egli è arrivato nei luoghi più bassi della terra - “Ora, questo "è salito" che cosa vuol dire se non che egli era anche disceso nelle parti più basse della terra?” (Efesini 4:9), perché noi fossimo altresì elevati nei luoghi più altri e benedetti del cielo – “Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesú Cristo, che ci ha benedetti di ogni benedizione spirituale nei luoghi celesti in Cristo” (Efesini 1:3). La lode, la riconoscenza, la devozione, il ringraziamento, l’adorazione verso il nostro Salvatore partirà sempre dalla consapevolezza del Suo sacrificio che Lo ha portato a pagare l’immane prezzo della croce e sempre ci apparirà sublime la Sua figura di Agnello “che pareva stato immolato” lì nella gloria del cielo. Su quel trono col Padre, l’Agnello siederà per l’eternità e con la Sua luce illuminerà la città celeste, la quale non avrà bisogno di sole o di altra luce. Sempre Gli daremo la gloria che Gli spetta ricordando il Suo atto di amore per tutti noi sul Calvario. Gesù è degno, Egli solo è degno, degno di ogni lode e onore, di ogni gloria e riconoscenza. E’ amabile, è puro, è eccelso, la Sua Persona è un incanto e non smetterà mai di meravigliarci, attrarci, rapirci e farci innamorare di Lui. La Sua gloria non smetterà mai di brillare nell’immensità del cielo e guidare la nostra anima nel comprendere sempre di più la grandezza del Figlio di Dio e la profondità insondabile della Sua opera di salvezza. Non basterà l’intera eternità per conoscere Dio e l’Agnello, perché “Questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesú Cristo” (Giovanni 17:3).

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17  -­‐  GESU’  SOLO  CI  FA  DEGNI  

Gesù solo è degno! Abbiamo cercato di dimostrarlo almeno in parte in ogni punto di questo scritto. Noi invece, afferma la Bibbia, non siamo che degni di morte, perché ci siamo così profondamente allontanati da Dio ed in questo mondo non c’è alcun giusto, neppure uno (Romani 3:10). “Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio” (Romani 3:23), ma Gesù “non commise peccato e nella sua bocca non si è trovato inganno” (I Pietro 2:22). Di fronte alla nostra personale concupiscenza ed alla tentazione di satana, tutti siamo caduti miseramente, ma nulla ha potuto il maligno contro il Figlio di Dio quando lo tentò per quaranta giorni e quaranta notti nel deserto. La cosa più straordinaria che potesse essere mai avvenuta è che Colui che solo è degno ha preso la nostra indegnità quando è morto in croce per farci altresì degni di Dio. Ha preso le nostre ingiustizie per farci dono della Sua giustizia. Se abbiamo letto o sentito dire della parabola del figliuolo prodigo, ci siamo forse riconosciuti in quel giovane quando, tornando a saviezza, si rivolge nuovamente al Padre: “non sono più degno di essere chiamato tuo figlio; trattami come uno dei tuoi servi …. E il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio” (Luca 15:19-21). Il Padre però corre incontro al Figlio, mentre questi si reca verso di Lui per accoglierlo tra le Sue braccia d’amore e di compassione. Quindi lo riveste di una veste nuova, la più bella, quella della grazia e della salvezza, e gli mette al dito l’anello, segno di appartenenza a Lui, dei calzari ai piedi a significare un nuovo cammino che ora egli avrebbe intrapreso nelle vie di Dio. Quindi fece una grande festa per rallegrarsi che quel figlio “era morto ed è tornato in vita; era perduto, ed è stato ritrovato” (Luca 15:24). Questo è quanto Dio vuole fare per ognuno di noi mediante Gesù. Sei pronto a riconoscerti peccatore e a ritornare al Padre lasciandoti alle spalle una vecchia vita? Questa è la premessa per la tua salvezza: prendere risolutamente la strada verso Dio, attraverso i meriti e la grazia del Signore Gesù Cristo, il Quale solo è degno di ogni lode, onore e gloria. Dio ti benedica.