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Corso di Laurea in Ingegneria Meccanica a.a. 2008/2009 - III periodo - Prof. A. Passerini Note di Meccanica Razionale Nella visione di Laplace (1749-1827), l’apparato formale e teorico della Meccanica Classica per- metteva di descrivere l’evoluzione dell’intero universo in modo assolutamente causale e deterministico. Questo sogno di perfetta predizione del futuro e ricostruzione del passato viene via via nel tempo ridi- mensionato dall’insorgere di nuove teorie, come la Fisica dei Quanti o la Teoria del Caos. Ciononostante la Meccanica resta uno straordinario strumento, sempre suscettibile di sviluppi, per tenere sotto control- lo il mondo delle cose. Molto pi´ u modestamente, scopo del presente corso ` e ampliare le conoscenze di dinamica del punto acquisite in Fisica I allo studio di oggetti pi´ u complessi, quali il corpo rigido e i sistemi vincolati. Indice 1 Descrizione geometrica del moto e vincoli olonomi. 2 1.1 Lo spazio euclideo...................................... 2 1.2 Vincoli olonomi. ...................................... 3 1.3 Gradi di libert` a del corpo rigido e definizione di moto piano. ............... 5 1.4 Calcolo vettoriale....................................... 6 1.5 La velocit´ a dei punti di un corpo rigido. .......................... 9 1.6 I moti relativi e la composizione delle velocit´ a angolari................... 11 1.7 Classificazione dei moti del corpo rigido ed esempi..................... 13 2 Dinamica dei sistemi vincolati. 15 2.1 Introduzione al problema: il punto vincolato. ....................... 15 2.2 Dinamica del punto vincolato. ............................... 17 2.3 Il lavoro dei vincoli ideali e delle forze attive. ....................... 20 2.4 Le equazioni di Lagrange. ................................. 21 3 Equazioni cardinali, vettori applicati, tensore d’inerzia. 24 3.1 Le equazioni cardinali della meccanica dei sistemi di punti................. 24 3.2 Sistemi di vettori applicati.................................. 26 3.3 Il baricentro.......................................... 28 3.4 Asse centrale, invariante scalare, vettori nel piano...................... 30 3.5 Il momento della quantit´ a di moto e il tensore d’inerzia................... 34 3.6 Tensore d’inerzia e baricentro. ............................... 38 4 Dinamica del corpo rigido, libero e vincolato. 40 4.1 Corpi rigidi vincolati: le equazioni del moto......................... 40 4.2 Calcolo delle reazioni vincolari. .............................. 43 4.3 Scrittura delle equazioni di Lagrange in presenza di corpi rigidi. ............. 44 4.4 Equazioni del moto del corpo rigido libero e del corpo rigido con punto fisso. ...... 46 1

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Corso di Laurea in Ingegneria Meccanica a.a. 2008/2009 - III periodo - Prof. A. Passerini

Note di Meccanica Razionale

Nella visione di Laplace (1749-1827), l’apparato formale e teorico della Meccanica Classica per-metteva di descrivere l’evoluzione dell’intero universo in modo assolutamente causale e deterministico.Questo sogno di perfetta predizione del futuro e ricostruzione del passato viene via via nel tempo ridi-mensionato dall’insorgere di nuove teorie, come la Fisica dei Quanti o la Teoria del Caos. Ciononostantela Meccanica resta uno straordinario strumento, sempre suscettibile di sviluppi, per tenere sotto control-lo il mondo delle cose. Molto piu modestamente, scopo del presente corso e ampliare le conoscenze didinamica del punto acquisite in Fisica I allo studio di oggetti piu complessi, quali il corpo rigido e isistemi vincolati.

Indice

1 Descrizione geometrica del moto e vincoli olonomi. 21.1 Lo spazio euclideo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21.2 Vincoli olonomi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31.3 Gradi di liberta del corpo rigido e definizione di moto piano. . . . . . . . . . . . . . . . 51.4 Calcolo vettoriale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61.5 La velocita dei punti di un corpo rigido. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91.6 I moti relativi e la composizione delle velocita angolari. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111.7 Classificazione dei moti del corpo rigido ed esempi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13

2 Dinamica dei sistemi vincolati. 152.1 Introduzione al problema: il punto vincolato. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 152.2 Dinamica del punto vincolato. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 172.3 Il lavoro dei vincoli ideali e delle forze attive. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 202.4 Le equazioni di Lagrange. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21

3 Equazioni cardinali, vettori applicati, tensore d’inerzia. 243.1 Le equazioni cardinali della meccanica dei sistemi di punti. . . . . . . . . . . . . . . . . 243.2 Sistemi di vettori applicati. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 263.3 Il baricentro. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 283.4 Asse centrale, invariante scalare, vettori nel piano. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 303.5 Il momento della quantita di moto e il tensore d’inerzia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 343.6 Tensore d’inerzia e baricentro. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38

4 Dinamica del corpo rigido, libero e vincolato. 404.1 Corpi rigidi vincolati: le equazioni del moto. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 404.2 Calcolo delle reazioni vincolari. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 434.3 Scrittura delle equazioni di Lagrange in presenza di corpi rigidi. . . . . . . . . . . . . . 444.4 Equazioni del moto del corpo rigido libero e del corpo rigido con punto fisso. . . . . . . 46

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1 Descrizione geometrica del moto e vincoli olonomi.

1.1 Lo spazio euclideo.

Al fine di descrivere il moto dei punti massivi e dei corpi rigidi richiamiamo alcune proprieta degli spazivettoriali.

In quanto segue, i vettori saranno sempre indicati in grassetto ad eccezione dei vettori spostamento:con

u = uxi+ uy j+ uzk =

3∑i=1

uiei , (1.1)

si indica il vettore generico, mentre il vettore spostamento, che indica la posizione di un punto mobile Posservato da un riferimento con origine in O, si scrive come segue

P −O = xP i+ yP j+ zPk =

3∑i=1

xiP ei . (1.2)

I versori ei, con i = 1, 2, 3, associati a un riferimento levogiro, costituiscono una base ortonormale perlo spazio vettoriale tridimensionale: l’unico tipo di base utilizzato nelle presenti note.

I risultati ottenuti in Geometria I saranno sempre applicati al caso particolare di basi ortonormali.Ad esempio, se si cambia terna levogira mantenendo fissa l’origine del riferimento, la matrice del cam-biamento di base (che permette di trasformare le une nelle altre le coordinate di uno stesso vettore) sarasempre una matrice ortogonale con determinante 1.

La notazione introdotta in (1.2) permette di decomporre un vettore nella somma di altri due (vedifigura) semplicemente aggiungendo e togliendo un punto, vale a dire

P −O = P −Q+Q−O = (P −Q) + (Q−O) , (1.3)

6

-

1

y

xxQ

yQ Q

O

�>P

dove P −Q = (xP − xQ)i+ (yP − yQ)j+ (zP − zQ)k . (1.4)

Richiamiamo poi la definizione di prodotto scalare. Esso sara qui indicato come

u ·w = uw cos θ , (1.5)

in cui u e w rappresentano la lunghezza dei vettori (invece il modulo dei vettori spostamento si indicacon |P −O|).

Il prodotto scalare permette di calcolare le componenti di un vettore utilizzandone le proiezioniortogonali, una volta noti gli angoli αi (i = 1, 2, 3) che esso forma con gli assi coordinati:

ui = u · ei = u cosαi . (1.6)

poiche i versori degli assi cartesiani sono ortogonali fra loro e cos(π/2) = 0, si ha per i, j = 1, 2, 3

ei · ej = δij , (1.7)

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dove il simbolo di kronecker δij si usa per indicare una quantita che si annulla se gli indici sono diversi,e vale 1 se sono uguali.

Utilizzando la (1.1), la (1.7) e la proprieta distributiva del prodotto scalare questo puo esser scritto infunzione delle componenti dei vettori nel modo seguente

u ·w = (3∑

i=1

uiei) ·(3∑

j=1

wjej) =3∑

i=1

3∑j=1

uiwjei · ej

=3∑

i=1

uiwi = uxwx +uywy +uzwz . (1.8)

Viceversa, note le componenti, si calcola facilmente la lunghezza dei vettori con la

u =√u · u =

√u2

x+ u2

y+ u2

z. (1.9)

Se decomponiamo P − O utilizzando proiezioni ortogonali, la (1.9) si deduce come applicazione delTeorema di Pitagora al calcolo della diagonale di un parallelepipedo rettangolo (vedi figura). Infatti,se Q e H sono rispettivamente la proiezione ortogonale di P nel piano xy e di Q sull’asse x, allora laP −O = (P −Q) + (Q−H) + (H −O) implica

|P −O|2 = |P −Q|2 + |Q−O|2 = z2P+ |Q−H|2 + |H −O|2 = z2

P+ y2

P+ x2

P, (1.10)

ove si e applicato il Teorema di Pitagora prima al triangolo rettangolo OQP e poi ad OHQ.

+

-

6

*

z

y

x

O

P

H Qq

1.2 Vincoli olonomi.

Le nozioni fin qui collezionate ci permettono di introdurre il concetto di vincolo olonomo con unsemplice esempio.

Esempio 1.Le estremita A e B di un’asta di lunghezza l sono costrette a scorrere lungo due guide rettilinee

ortogonali (vedi figura). Mostriamo ora che il punto medio P dell’asta e costretto a muoversi su unacirconferenza.

Per farlo scegliamo assi cartesiani in direzione delle guide, indichiamo con θ l’angolo che l’astaforma con l’asse x, e scomponiamo il vettore, ottenendo

P −O =l

2cos θ e1 +

l

2sin θ e2 .

Dalla (1.9) scritta per u = P −O e uz = 0, utilizzando cos2 θ+ sin2 θ = 1, si ricava l’equazione di unacirconferenza

|P −O|2 = l2

4.

Infatti, questa relazione fissa la distanza di P dall’origine, indipendentemente dall’angolo θ, e da comeesso eventualmente varia nel tempo.

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-

y

A

O

P

xB

In realta, nella situazione descritta dall’Esempio 1, la curva contenente le posizioni ammissibili peril punto P non e l’unico luogo geometrico che risulta delimitato: servendosi dell’angolo θ e possibileesprimere la posizione di ogni punto Q dell’asta, una volta che sia nota la sua distanza da uno degliestremi.

E utile ora osservare come il risultato dell’esempio derivi dall’implicita ipotesi che le guide e l’astasiano indeformabili, e sia quindi possibile realizzare delle limitazioni geometriche molto precise al motodi punti o di oggetti: tali limitazioni sono, nel caso particolare, xA = 0, yB = 0 e la condizione di rigiditadell’asta (xA − xB )

2 + (yA − yB )2 = l2.

La realizzazione di qualunque limitazione al moto di un sistema avviene tramite dispositivi meccaniciche non sono univocamente determinati. Ad esempio, se si vuole che un punto materiale P appartengaa una superficie sferica, cioe soddisfi l’equazione x2

P+ y2

P+ z2

P= l2 (con l fissato), si puo incollarlo

all’estremita di un’asta di lunghezza l e massa trascurabile, il cui altro estremo sia fisso in O (vedi asinistra, in figura). Ma questo non e l’unico modo: si puo mettere P all’interno di una cerniera sferica diraggio l centrata nell’origine (vedi a destra, in figura).

6

-

z

Φ

θx y

P

Q

O

O

P

Avvertenza: in tutti i testi si usa la parola vincolo per designare sia l’equazione che il dispositivo.Pur mantenendo tale consuetudine nelle presenti note, si ritiene utile mettere in guardia il lettore dallaconfusione che essa potrebbe generare.

Diamo ora una definizione che riguarda qualunque sistema meccanico, inteso come insieme di puntimassivi e/o di corpi rigidi.

Definizione 1. Un sistema meccanico si dice soggetto a un vincolo olonomo (bilaterale) quando lecoordinate di uno o piu suoi punti devono a ogni istante di tempo soddisfare un’equazione algebrica,matematicamente indipendente dagli eventuali vincoli di rigidita.

Riportiamo qui un risultato che si apprende nel Corso di Analisi II: per arbitrari interi m ed r, conm < r, le equazioni fk(y1, ......, yr) = 0, in cui k = 1, ...,m, sono indipendenti se la matrice le cui righesono i gradienti delle funzioni fk ha rango massimale.

Il sistema dell’Esempio 1 e soggetto a due vincoli olonomi perche le equazioni xA = 0 e yB = 0sono indipendenti fra loro, oltre che dal vincolo di rigidita.

La trattazione dei vincoli olonomi unilaterali esula dallo scopo di queste dispense.Fissato un sistema di riferimento, descrivere il moto di un punto significa conoscere la curva

P = (xP (t), yP (t), zP (t))

che ne individua la posizione a ogni istante. Se il punto e vincolato la descrizione risulta semplificatadal fatto che le coordinate non sono piu indipendenti, perche ogni equazione di vincolo puo essere usataper esplicitarne una in funzione delle altre. A questo scopo risulta spesso utile riscrivere l’equazione delvincolo dopo aver effettuato un’opportuno cambio di variabili nello spazio o nel piano.

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Esempio 2.Per studiare un punto che deve muoversi sulla superficie di una sfera di raggio l conviene utilizzare

il cambio di variabilix = r cos θ sinϕ y = r sin θ sinϕ z = r cosϕ , (1.11)

dove r = |P − O|, ϕ e l’angolo formato da P − O con l’asse z, e, detta Q la proiezione ortogonale diP sul piano xy, θ e l’angolo che Q−O forma con l’asse x (vedi figura precedente). La corrispondenzadefinita in (1.11) e biunivoca se ϕ ∈ [0, π) e θ ∈ [0, 2π). Nelle nuove variabili l’equazione di vincolodiventa r = l, e qualunque moto del punto sara descritto da curve del tipo (ϕ(t), θ(t)).

Piu in generale, un sistema di N punti soggetto a m equazioni di vincolo indipendenti tra loro potrasempre venir descritto da sole 3N − m = n variabili. Diremo poi che la configurazione di un sistemameccanico qualunque e nota quando e nota la posizione di ogni suo punto.

Definizione 2. Indichiamo con n il numero di gradi di liberta di un sistema meccanico, vale a direil numero minimo di coordinate sufficienti a individuare la posizione di tutti i suoi punti. Allora, sidicono coordinate lagrangiane n variabili comunque prese, purche in corrispondenza biunivoca con leconfigurazioni possibili per il sistema.

Continuando a riferirci all’asta dell’Esempio 1, il cui grado di liberta e 1, vediamo che una possibilecoordinata lagrangiana e θ. In alternativa, si potrebbero usare come coordinate lagrangiane xA o yB ,esplicitando θ in funzione di tali variabili, pero i calcoli ne risulterebbero appesantiti.

1.3 Gradi di liberta del corpo rigido e definizione di moto piano.

Il corpo rigido si definisce come un sistema in cui la distanza fra ogni coppia di punti si mantiene costantenel tempo. Il corpo rigido puo avere infiniti punti, ma non per questo ha infiniti gradi di liberta. Percapirlo basta immaginare di attaccare rigidamente a ogni solido, nella posizione che rende piu comodala descrizione matematica dell’oggetto, una terna levogira detta sistema di riferimento solidale al corpo,che si muove insieme ad esso. I punti del solido hanno coordinate costanti nel riferimento solidale,dunque per studiare il moto del solido basta studiare il moto del riferimento solidale.

Teorema 1. Un corpo rigido libero, cioe non soggetto a vincoli, ha 6 gradi di liberta. Eccezion fattaper le aste che ne hanno 5.

Dimostrazione. Per quanto appena osservato, si tratta solo di dimostrare che per individuare unaterna levogira nello spazio bastano 6 coordinate lagrangiane. Notiamo poi che la posizione della terna eperfettamente nota una volta che siano note (nel riferimento fisso ovviamente) le coordinate dell’origineO, e dei punti P1 = O + e1 e P2 = O + e2. Infatti in tal caso l’orientazione di e3 risulta univocamentedeterminata, perche si ottiene applicando la regola della mano destra (o della vite).

Possiamo senz’altro decidere che 3 coordinate lagrangiane sono le coordinate dell’origine del ri-ferimento solidale. Per descrivere l’orientazione del riferimento dobbiamo allora individuare P1 e P2,nell’ipotesi che O sia gia stato fissato. Dapprima osserviamo che P1 e vincolato a stare sulla superficiedi una sfera di raggio 1 centrata in O, e quindi bastano 2 coordinate per fissarlo. Infine P2 deve starecontemporaneamente su due superfici sferiche, una centrata nell’origine e l’altra centrata in P1. Infat-ti e1 · e2 = 0 implica |P2 − P1| =

√2. Allora il movimento di P2 e limitato all’intersezione fra le

due superfici, che e una circonferenza. E per descrivere una circonferenza e sufficiente una coordinatalagrangiana. Dunque per l’operazione nel suo complesso e sufficiente utilizzarne 6.

Fa eccezione l’asta perche per individuarne i punti basta un unico asse orientato solidale ad essa,invece di una terna intera.

Le coordinate usuali per la descrizione delle configurazioni del corpo rigido libero sono le 3 coor-dinate dell’origine O e i tre angoli di Eulero, la cui definizione esonda pero dagli scopi di un corsointroduttivo.

Dal Teorema 1 segue che, i gradi di liberta di un sistema formato da N1 punti materiali e da N2 corpirigidi (aste escluse), soggetto a m vincoli olonomi, sono n = 3N1 + 6N2 −m.

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Nelle applicazioni, anziche studiare il moto dei punti del corpo puo risultare comodo studiare ilmoto di punti che, pur non appartenendo fisicamente al corpo, hanno coordinate costanti nel riferimentosolidale. Tali punti si dicono punti solidali, e da qui in poi sostituiranno i punti del corpo rigido in ognienunciato. Del resto, gia nella dimostrazione precedente i punti O, P1 e P2, solidali per definizione,avrebbero potuto benissimo non appartenere al corpo.

Nella stragrande maggioranza delle applicazioni che il lettore incontrera, il corpo rigido sara soggettoa tre vincoli olonomi, sempre gli stessi, che nel loro insieme danno luogo al cosiddetto moto piano.

Definizione 3. Un moto piano si realizza quando un punto O solidale a un corpo rigido e costrettoa muoversi su un piano ed esiste un altro punto P solidale al corpo tale che P − O e costante duranteogni moto.

In effetti, essendo P − O costante in direzione e verso, oltre che in modulo, i punti del corpo simuovono su curve piane, che si ripetono, congruenti, lungo un fascio di piani paralleli fissi. Per fissarele idee, in quanto segue porremo sempre P −O = e3 perpendicolare al fascio di piani.

Il moto dell’asta di un orologio a pendolo e, evidentemente, piano, ma anche il moto di una portache si apre lo e (si consideri il fascio di piani paralleli normale alla retta passante per i cardini), oppureil moto di un disco che scivola su una superficie ghiacciata (si consideri il fascio di piani paralleli a talesuperficie).

Non e invece piano il moto di una pallina sull’asta di un pallottoliere (ma lo sarebbe se potessimoimpedire alla pallina di ruotare su se stessa) e nemmeno il moto della terra intorno al sole (ma lo sarebbese l’asse della terra fosse normale al piano dell’eclittica; il che non e, come il susseguirsi delle stagionitestimonia).

Supponiamo di studiare il moto di un corpo rigido in un riferimento fisso con origine nel punto O′

e assi x′, y′ e z′. Scelta l’origine O del riferimento solidale, il moto piano si impone richiedendo chevalgano le 3 equazioni di vincolo z′

O= c (con c ∈ R), unitamente alle x′

P= x′

Oe y′

P= y′

O.

Una conveniente caratteristica dei moti piani e che per studiarli e sufficiente studiare il moto su ununico piano, ad esempio z′ = O, dal momento che esso si ripete identico su ogni piano di equazionez′ = c, con c costante arbitraria.

Percio, per un corpo che si muove di moto rigido piano e sempre possibile scegliere come coordinatelagrangiane le 3 variabili x′

O, y′

Oe l’angolo θ che l’arbitrario versore solidale ei (con i = 1, 2 o 3) forma

con il versore fisso e′i al variare del tempo (in figura si e scelto i = 2).

1.4 Calcolo vettoriale.

Introduciamo ora la definizione di prodotto vettoriale u × w. Il risultato del prodotto vettoriale e unvettore la cui lunghezza e uw sin θ, dove θ e l’angolo che u forma con w (evidentemente il piu piccolo

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dei due, altrimenti il seno non sarebbe positivo). Tale vettore e normale al piano formato da u e w, eorientato nel verso che vedrebbe spazzare l’angolo θ in verso antiorario per sovrapporre u a w (regoladella vite). Percio, evidentemente, il prodotto vettoriale e anticommutativo:

u×w = −w × u .

Inoltre, come il prodotto scalare, gode della proprieta distributiva rispetto alla somma:

u× (v +w) = u× v + u×w

E, cosı come il prodotto scalare permette di scrivere la relazione di perpendicolarita tra due vettoritramite la u ·w = 0, allo stesso modo il prodotto vettoriale permette di definire il parallelismo tramite lau×w = 0.

Nel presente corso si utilizzera assai spesso la formula del prodotto vettoriale in componenti

u×w = (uywz − uzwy)e1 − (uxwz − uzwx)e2 + (uxwy − uywx)e3 , (1.12)

che corrisponde al calcolo simbolico del determinante∣∣∣∣∣∣e1 e2 e3ux uy uz

wx wy wz

∣∣∣∣∣∣ . (1.13)

La (1.12) puo facilmente essere provata nel piano calcolando ad esempio

|(P −O)× (Q−O) | = |P −O||Q−O| sin(α2 − α1)

= |P −O||Q−O| sinα2 cosα1 − |P −O||Q−O| sinα1 cosα2 ,

e notando che

xP = |P −O| cosα1 xQ = |Q−O| cosα2 yP = |P −O| sinα1 yQ = |Q−O| sinα2 .

6

-

�:

α2α1

Ox

y

Q

P

h

Il prodotto vettoriale avrebbe potuto essere utilizzato per produrre una definizione alternativa diriferimento levogiro, tramite una qualunque delle seguenti relazioni

e1 × e2 = e3 , e2 × e3 = e1 , e3 × e1 = e2 , (1.14)

le quali si ottengono l’una dall’altra per permutazione ciclica degli indici. Con l’aiuto delle (1.14), la(1.12) si puo dedurre allo stesso modo di (1.8).

Osserviamo infine che |(P − O) × (Q − O)| e l’area del parallelogramma definito dai due vettori.Mentre il volume del parallelepipedo definito dai tre vettori u, v e w risulta pari al modulo del prodottomisto u ×w · v. In esso il prodotto scalare deve comunque essere eseguito per secondo (dal momentoche da come risultato un numero e non un vettore).

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Per verificare che il prodotto misto misura il volume individuato dai vettori presi come spigoli, esufficiente moltiplicare v per il coseno dell’angolo da esso formato con la normale al parallelogrammadefinito da u e w, e notare che il risultato di tale proiezione e l’altezza del parallelepipedo relativamentea quella base (vedi figura).

Utilizzando insieme la (1.8) e la (1.12) si ottiene subito la regola per il calcolo del prodotto misto incomponenti secondo il determinante ∣∣∣∣∣∣

vx vy vz

ux uy uz

wx wy wz

∣∣∣∣∣∣ .

Le proprieta geometriche del parallelepipedo inerenti al suo volume sono perfettamente riflesse dalleproprieta matematiche del determinante. Per esempio, il volume si annulla se i tre vettori sono com-planari, mentre il determinante si annulla quando una riga e combinazione lineare delle altre due (e, inparticolare, se due righe sono multiple, cioe se due dei vettori sono paralleli). Inoltre, per il calcolodel volume non ha nessuna importanza l’ordine in cui i vettori vengono presi. Parallelamente il mo-dulo del determinante, cioe il modulo del prodotto misto, non cambia permutando le righe. Infine, perpermutazioni cicliche delle righe non cambia neppure il segno del determinante (e quindi del prodottomisto).

Il prodotto vettoriale, il prodotto misto e le loro proprieta si utilizzano molto spesso, e si puo vedereda subito come.

La prima applicazione del prodotto vettoriale consiste nella descrizione sintetica del vettore velocitain un moto circolare (non necessariamente uniforme) secondo la

vP = ω × (P −O) , (1.15)

in cui ω ha il verso che vede il punto muoversi in senso antiorario (vedi figura) e modulo ω = |θ|.

6

y

ω

PvP

Osserviamo ora che per definizione vP := d/dt(P − O) con O punto arbitrario purche fisso. Sedefiniamo un moto centrale come un moto in cui aP := d

dtvP e sempre parallelo a P − O, possiamousare le proprieta del prodotto misto per provare che la traiettoria di un punto che si muove di motocentrale e una curva piana.

Esempio 3.Supponiamo dunque che l’accelerazione soddisfi la

0 = aP × (P −O) .

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Allora, poiche la regola per la derivata del prodotto di funzioni vale anche per i prodotti vettoriali(omettiamo la dimostrazione, semplice ma noiosa), si deduce subito la

0 =d

dt(vP × (P −O))− vP × vP ,

dove il secondo termine e banalmente nullo. La relazione continua a valere se moltiplicata per un numeroqualunque, per esempio per la massa m del punto P , e ci garantisce che esiste un vettore costante neltempo, il momento angolare L(O) rispetto al punto O, tale che

(P −O)× mvP = L(O)

a ogni istante di tempo. In base alle proprieta del prodotto misto, moltiplicando ambo i membri diquest’equazione scalarmente per P −O si ottiene

0 = L(O) · (P −O) .

Quest’ultima equazione puo venir riscritta in coordinate scegliendo O come origine del riferimento, ediventa la

L(O)xxP + L(O)yyP + L(O)zzP = 0 ,

che e la tipica equazione di un piano per l’origine.Naturalmente, non tutti i moti che si svolgono in un piano sono centrali; basti pensare alla parabola

descritta da un grave lanciato con velocita orizzontale diversa da zero.

1.5 La velocita dei punti di un corpo rigido.

Consideriamo la descrizione del moto di un punto P appartenente a un corpo rigido libero fatta daun’osservatore fermo in una terna con origine in O′. Al solito indichiamo con O il punto, in generalemobile, scelto come origine della terna solidale al corpo rigido. L’osservatore fisso, quando misura lavelocita di P , potra scrivere

vP =d

dt(P −O′) =

d

dt(P −O) +

d

dt(O −O′) = vO +

d

dt(P −O) , (1.16)

dove, val la pena di ripeterlo, O puo essere un qualunque punto del corpo rigido (o rigidamente collegatoad esso).

L’ultimo termine a destra nella (1.16) non e la velocita di P perche O e un punto mobile (e quindiP − O non e un vettore posizione); quel termine e semplicemente la derivata di un vettore solidale alcorpo. Studiando l’azione della derivata temporale, pensata come funzione lineare definita nello spaziovettoriale dei vettori solidali si prova il seguente fondamentale teorema sul moto dei corpi rigidi.

Teorema 2. Presi due qualunque punti solidali a un corpo rigido esiste un vettore ω per cui

vP = vO + ω × (P −O) . (1.17)

Il vettore ω puo dipendere dal moto dell’osservatore, ma non dipende ne dalla scelta dei punti P ed O,ne dal particolare riferimento levogiro sui cui assi si decida di proiettare la (1.17).

Dimostrazione. Tenendo conto della (1.16), si tratta di dimostrare che

d

dt(P −O) = ω × (P −O) . (1.18)

A questo scopo proveremo innanzitutto che fissato un’istante di tempo, la derivata temporale e unafunzione lineare T antisimmetrica se definita nello spazio dei vettori solidali. Per farlo, basta provare

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che la matrice i cui elementi sono Tij = ei · T (ej) e che rappresenta T in una base ortonormale, e unamatrice antisimmetrica, cioe Tij + Tji = 0 per i, j = 1, 2, 3.

Per dimostrarlo basta derivare rispetto al tempo la (1.7):

0 =d

dt(ei · ej) = ej ·

d

dtei + ei ·

d

dtej .

Ora si puo provare che per ogni operatore antisimmetrico esiste un vettore, che indicheremo con ω, taleche

T (u) = ω × u . (1.19)

A questo scopo notiamo in primo luogo che per scrivere la matrice rappresentativa di T sono sufficientitre parametri indipendenti, infatti essa deve necessariamente essere del tipo 0 T12 T13

−T12 0 T23

−T13 −T23 0

,

e la (1.19) diventa un’identita ponendo ωx = −T23 , ωy = T13 e ωz = −T12 . Se poi si applica la (1.19) alcaso u = (P −O) e si sostituisce il risultato nella (1.18), si vede che la (1.17) e vera per ogni coppia dipunti solidali.

La dimostrazione non e tuttavia terminata, non essendo scontata l’ultima parte dell’enunciato, ove siafferma che ω, una volta individuato, non dipende dal riferimento levogiro e quindi, in particolare, nondipende dall’orientazione degli assi. Per comprendere cosa dev’essere ancora provato basta osservareche i numeri ωx , ωy e ωz non sono stati definiti come componenti di vettori ma come elementi di ma-trice. Occorre dunque provare che, nel corso di un cambiamento di base, vale per essi la stessa legge ditrasformazione che vale per le componenti dei vettori. In caso contrario, ci ritroveremmo con importantilimitazioni all’uso della (1.17). In particolare, la somma di due vettori ω1 e ω2 le cui componenti sianostate ricavate in due riferimenti diversi non risulterebbe definita.

Nel programma del corso, questa seconda parte della dimostrazione e facoltativa.Supponiamo di aver riscritto la (1.19) in una base alternativa {e′i}i=1,2,3, utilizzando la matrice (T ′

ij),

e ottenendo le relazioni ω′x= −T ′

23, ω′

y= T ′

13e ω′

z= −T ′

12, che definiscono il vettore ω′.

Evidentemente, si avra ω′ = ω se e solo se ω′x

= ω · e′1, ω′y= ω · e′2 e ω′

z= ω · e′3, cioe

se le componenti del vettore ω nel sistema accentato coincidono con quelle del vettore ω′ ottenuto findall’inizio in tale sistema. Ci limitiamo qui a dimostrare ω′

z= ω · e′3, perche la prova e del tutto analoga

per le altre due componenti. Si utilizza la legge di trasformazione delle matrici rappresentative delle

funzioni lineari (T ′jk) = M

ei

e′i

(Tjk)M

e′iei

e ci si serve della possibilita di permutare i vettori all’interno del

prodotto misto. Ricordiamo poi che la matrice del cambiamento di base e, nel nostro caso, ortogonale eche i suoi elementi di matrice si scrivono come segue M

ej

e′i

= (e′i · ej). Allora per i, j = 1, 2, 3 vale la

T ′ij=

3∑k=1

3∑l=1

e′i · ek Tklel · e′j =

3∑k=1

e′i · ek

(3∑

l=1

Tkle′j · el

)=

=3∑

k=1

(e′i · ek)(ek · T (e′j)) =3∑

k=1

(e′i · ek)(ek · ω × e′j) = e′i · ω × e′j .

Osserviamo poi chee′i · ω × e′j = ω · e′j × e′i .

Quindi, usando la prima delle (1.14) e ricordando l’anticommutativita, per i = 1 e j = 2 vale la

T ′12

= −ω · e′3 .

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Essendo pero vera anche la T ′12

= −ω′z

la dimostrazione puo dirsi terminata.

La (1.18), applicata a dei vettori solidali del tipo Pi −O = ei, con i = 1, 2, 3, fornisce le cosiddetteFormule di Poisson

ei = ω × ei .

Nel caso di moto piano di un corpo rigido, il vettore ω che compare nella (1.17), e che viene chiamatovelocita angolare, ha un significato fisico analogo a quello illustrato dopo la (1.15) per il moto circolare.Al fine di riconoscere tale moto, dobbiamo avere il punto di vista di un osservatore per il quale l’originedel riferimento e in un punto O, comunque scelto purche solidale al corpo, e gli assi sono paralleli a quellifissi. Costui, per definizione di moto piano, vede fissi i punti dell’asse z (si noti che il riferimento sceltonon e solidale al corpo, perche in tal caso non si osserverebbe moto). Ne consegue che tale osservatore,vedendo che tali punti hanno velocita nulla, quando applica la (1.17) puo scrivere

vP = ω × (P −Q) ,

dove Q e la proiezione di P sull’asse z.In effetti, egli vede ogni punto del corpo ruotare intorno all’asse z, perche se e3 e costante allora

e3 = 0. Cio implica, in base alla terza formula di Poisson, che ω × e3 = 0. Dunque ω e parallelo a e3.

1.6 I moti relativi e la composizione delle velocita angolari.

Per chiarire il significato fisico della velocita angolare di un corpo rigido abbiamo appena introdotto,di fatto, il problema della correlazione fra due descrizioni dello stesso moto fatte da osservatori diversi.Intendendo per osservatori diversi due osservatori collocati su riferimenti diversi e in moto relativo fraloro. Prima di formalizzare la soluzione di tale problema, proponiamo un ulteriore esempio che illustraquanto il piu semplice cambio di osservatore incida sulla traiettoria di un punto, che e l’insieme delleposizioni da esso occupate durante il moto.

Esempio 4.Supponiamo che un uomo, in piedi su un treno che si muove con velocita costante u lungo una rotaia

rettilinea, si lasci cadere di mano una pallina. E ne descriva il moto considerando la propria mano comeorigine O del riferimento, l’asse y rivolto verso il basso, e x diretto come il moto del treno. Il riferimentosi puo considerare inerziale e l’unica forza e la forza peso, dunque la traiettoria della pallina e rettilinea.Infatti, alle condizioni iniziali xP (0) = 0, yP (0) = 0, xP (0) = 0 e yP (0) = 0 corrisponde la soluzionexP (t) = 0, yP (t) = gt2/2. Lo stesso moto ha un aspetto completamente diverso se descritto da unosservatore fermo sul binario nel punto O′. Possiamo scegliere gli assi fissi x′ e y′ paralleli a quellimobili, e supporre per comodita che le posizioni dei due osservatori coincidano all’istante iniziale, cioeO(0) = O′. Le equazioni differenziali del moto saranno identiche. Ciononostante, poiche l’osservatorefisso misurera xP (0) = u, le diverse condizioni iniziali producono xP (t) = ut e yP (t) = gt2/2.Ricavando t dall’equazione per x e sostituendolo nell’altra equazione si ottiene come orbita la parabolayP = gx2

P/2u2.

???

?

--

e2

e1

O O O O

O′

P (t1)P (t2)

P (t3)

-u

Generalizziamo le nostre considerazioni continuando a indicare con O′ un osservatore che chiame-remo fisso, e con O un osservatore mobile, il cui moto sia ora arbitrario. Allora la domanda e: se

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l’osservatore fisso conosce il moto del riferimento con origine in O, in che modo puo evitare di misurarela velocita v′

Pdi un generico punto, deducendola invece dalla corrispondente misura vP effettuata da O?

Per rispondere, si prende P mobile per entrambe gli osservatori e si scrive

vP = xP e1 + yP e2 + zP e3 , (1.20)

che e il punto di vista di O. Per tale osservatore infatti O e fisso e la derivata temporale dei suoi versorie nulla: ei = 0. Naturalmente, per le componenti di vP si ha xP = d/dt(xP − xO).

D’altra parte, dal punto di vista di O′ sia O che i versori del riferimento mobile hanno una derivatatemporale non nulla. Quindi egli scrivera

v′P=

d

dt(O −O′) +

d

dt(P −O) = v′

O+

3∑i=1

(d

dt(xiP − xiO)ei + (xiP − xiO)ei

). (1.21)

Poiche il riferimento mobile non e altro che un corpo rigido, l’osservatore in O′ puo usare le formule diPoisson in (1.21) e scrivere ei = ω × ei, per i = 1, 2, 3. Poi puo mettere in evidenza ω, confrontarel’espressione ottenuta con (1.20), e ottenere infine la legge di trasformazione che gli serve:

v′P= vP + v′

O+ ω × (P −O) , (1.22)

in cui il terminevτ (P ) := v′

O+ ω × (P −O) (1.23)

e chiamato velocita di trascinamento e, tutte le volte che ω e non nullo, dipende anche dalla posizionedel punto P .

Il tipico esempio di riferimento con velocita angolare diversa da zero e quello dell’osservatore sedutosu una giostra per bambini. Lasciamo al lettore per esercizio il calcolo dell’accelerazione che un taleosservatore misurerebbe per una pallina di massa m non soggetta a forze, posta sulla piattaforma dellagiostra (nell’ipotesi che ω sia costante nel tempo).

Sviluppiamo invece per esteso un ragionamento che, sulla base della teoria dei moti relativi, permettedi definire la somma di due velocita angolari come un vettore che conserva il significato fisico di una ve-locita angolare. Da tale premessa risulta possibile operare concretamente con velocita angolari associatea moti anche non piani, basta che i due vettori della somma non siano paralleli.

Supponiamo dunque che il moto di un corpo rigido sia studiato da N osservatori in moto relativo unorispetto all’altro. Con ripetute applicazioni successive della (1.22) alla (1.17) si puo dedurre una legge dicomposizione dei moti rigidi. Siano P ed O due punti solidali, v

(1)

Pe v

(1)

Ole velocita misurate dal primo

osservatore, ω(1)

la velocita angolare del corpo rigido misurata dal primo osservatore e O1 l’origine delsuo riferimento; siano inoltre ω

(2)la velocita angolare del primo riferimento (visto come corpo rigido)

misurata dal secondo osservatore e O2 l’origine del secondo riferimento, v(2)

le velocita misurate dalsecondo osservatore, e cosı via. Scriviamo ora la (1.17) nel riferimento 1, applichiamo N − 1 volte la(1.22) e otteniamo

v(1)

P= v

(1)

O+ ω

(1) × (P −O),

v(2)

P= v

(1)

P+ v

(2)

O1+ ω

(2) × (P −O1) =

= v(1)

O+ v

(2)

O1+ ω

(2) × (P −O1) + ω(1) × (P −O) ,

v(3)

P= v

(1)

O+ v

(2)

O1+ v

(3)

O2+ ω

(3) × (P −O2) + ω(2) × (P −O1) + ω

(1) × (P −O) ,

...

12

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v(N)

P=

N∑i=1

v(i)

Oi−1+

N∑i=1

ω(i) × (P −Oi−1) , (1.24)

in cui per definizione l’N -esimo osservatore e fisso, mentre il riferimento ’zero’ e quello solidale al corporigido, e ha origine in O. Inoltre, v

(i)

Oi−1e ω

(i)sono rispettivamente la velocita dell’origine e la velocita

angolare del riferimento i− 1 misurate dall’i-esimo osservatore.Se riscriviamo la (1.24) prendendo al posto di O un altro punto solidale Q, e sottraiamo le due

espressioni membro a membro, otteniamo

v(N)

P− v

(N)

Q=

N∑i=1

ω(i) × (P −Oi−1) +

N∑i=1

ω(i) × (Oi−1 −Q) =

=

N∑i=1

ω(i) × (P −Oi−1 +Oi−1 −Q) .

Questa formula, dopo aver posto in evidenza P − Q e confrontato il risultato con la (1.17), fornisce lavelocita angolare totale del corpo rigido, infatti

v(N)

P− v

(N)

Q= (

N∑i=1

ω(i))× (P −Q) ,

e quindi

ω =N∑i=1

ω(i)

.

Per avere un’idea della struttura del vettore ω in un moto non piano sono sufficienti due osservatori,di cui uno, mobile, vede il corpo rigido in moto piano con velocita angolare ω

(1)e l’altro, fisso, vede

l’ossevatore mobile muoversi di moto piano con velocita angolare ω(2)

, non parallela a ω(1)

.Ad esempio, un disco giace in un piano verticale e ruota intorno al suo centro con velocita angolare

ω(1)

(orizzontale, perche normale al piano); il centro del disco e fissato nel piano il quale pero ruotaintorno a un asse verticale con velocita angolare ω

(2)(verticale, perche diretta come l’asse di rotazione)

rispetto all’osservatore fisso. Questi misura per il disco la velocita angolare ω = ω(1)

+ ω(2)

, in cuiω

(1)e ω

(2)sono perpendicolari e hanno per modulo le derivate di due angoli diversi che variano in modo

indipendente.

1.7 Classificazione dei moti del corpo rigido ed esempi.

Nei due esempi che ci hanno condotto alla derivazione di (1.22), la terna mobile aveva ω = 0 rispettoalla terna fissa. In realta si tratta di un caso particolare: quando ω = 0 a ogni istante di tempo, la (1.17)ci garantisce che tutti i punti del corpo rigido hanno la stessa velocita, e il moto si dice traslatorio. Se ωsi annulla a un solo istante si dice invece che l’atto di moto e traslatorio.

E utile precisare che il moto traslatorio di un corpo rigido non e necessariamente un moto rettilineo.Ad esempio, se si vincolano le estremita di un’asta rigida a stare su due guide congruenti, curvilinee,piane, e situate su piani paralleli posti a distanza pari alla lunghezza dell’asta, questa sara costretta amuoversi di moto traslatorio, ma le traiettorie dei suoi punti non saranno rettilinee.

Un’altro caso particolare di moto si ha quando a ogni istante t esiste un punto Qt del corpo rigido lacui velocita e nulla. In tal caso, tutti i punti del corpo rigido soddisfano la (1.15) con Qt al posto di O,e si dice che l’atto di moto e rotatorio, e Qt e il centro di istantanea rotazione. L’esempio tipico di talesituazione, che sara illustrato fra poco, e il rotolamento senza strisciamento.

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Se, poi, Qt e sempre lo stesso punto del corpo rigido, cioe se esiste un punto fisso che indichiamo alsolito con O, il moto si dice sferico. Un cubo con gli spigoli vincolati a stare su una superficie sfericafissa si muove di moto sferico. Il termine sferico viene utilizzato al posto del termine rotatorio non percaso, ma perche in un moto sferico non e detto che le traiettorie dei punti siano circolari. Questo avvienesoltanto quando il moto sferico e anche piano, cioe esiste un intero asse fisso (esempio: lo sportello chesi apre).

Consideriamo ora un disco di raggio r soggetto a un particolare tipo di vincolo detto anolonomointegrabile. Si tratta di un vincolo sulla velocita dei punti e non sulla loro posizione, che ha pero laparticolarita di essere equivalente a un vincolo sulla posizione, a patto che la configurazione iniziale deldisco sia assegnata. L’esempio e necessariamente preceduto da una definizione.

Definizione 4. Si dice che due superfici rigide poste a contatto rotolano senza strisciare l’una sull’al-tra se un’osservatore solidale ad una di esse vede istantaneamente fermi quei punti dell’altra superficieche si trovano a contatto con la prima.

Esempio 5.Il disco in figura rotola senza strisciare lungo una guida rettilinea posta in quiete, e dunque e soggetto

anche al vincolo olonomo y′O= r, oltre che al vincolo di rotolamento senza strisciamento v′

Q= 0. L’asse

x della terna solidale forma un angolo θ con l’asse x′ fisso (vedi figura) e ω = θe3.

-

6

>o

6

y′

x′

xy

O

O′ θ

v0R

Q

Osserviamo che abbiamo a disposizione due espressioni alternative per v′O

la

v′O= x′

Oe′1 ,

e quella derivata da (1.17) imponendo il vincolo di rotolamento senza strisciamento

v′O= ω × (O −Q) = θre′3 × e′2 = −θre′1 .

Uguagliandole si ottienex′

O= −θr

e dunquex′

O(t) = x′

O(0)− r(θ(t)− θ(0)) . (1.25)

L’equazione (1.24) e equivalente a un vincolo olonomo perche permette di eliminare una delle variabili,per esempio xO , dalla descrizione del moto. E il segno meno sta a indicare che quando θ aumenta il centrodel disco e diretto nel verso negativo dell’asse x′. L’unica variabile lagrangiana rimasta (ricordiamo chein un moto piano ce ne sarebbero tre) e θ, che risulta soggetta, come vedremo nel prossimo capitolo, aun’equazione differenziale dipendente da eventuali forze note agenti sul disco.

Notiamo inoltre che dal vincolo di rotolamento senza strisciamento e dalla (1.17) si puo dedurreimmediatamente che il punto P che si trova alla sommita del disco si muove con velocita doppia rispettoal centro O.

L’atto di moto del disco e rotatorio. Poiche il punto di contatto fra la guida e il disco cambia incontinuazione, il centro di istantanea rotazione non e sempre lo stesso punto solidale. Come conseguenzadi cio si ha che le traiettorie dei punti non sono circonferenze, pur essendo tangenti a delle circonferenze.

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2 Dinamica dei sistemi vincolati.

2.1 Introduzione al problema: il punto vincolato.

Richiamiamo le nozioni di dinamica del punto libero apprese in Fisica I e sintetizzate dall’equazionedifferenziale vettoriale del second’ordine

maP = F(P,vP , t) , (2.1)

la cui incognita e la curva P (t) che contiene tutte le informazioni sul futuro (e anche sul passato) delpunto P , e puo essere univocamente determinata date le condizioni iniziali

P (0) = P 0 (2.2)

vP (0) = v0P.

E da rimarcare l’implicita assunzione che il secondo membro di (2.1) sia una funzione vettoriale nota.Esempio 6.Consideriamo un punto posto all’estremita di una molla di costante elastica k, supponendo per

comodita che tale molla abbia lunghezza zero all’equilibrio l’equazione del moto e

maP = −k(P −O) . (2.3)

Essendo il moto centrale (vedi Esempio 3), la traiettoria e piana. Allora due sole equazioni differenzialisono sufficienti per studiare il moto, a patto di scegliere l’origine nel punto fisso O e gli assi x e y nelpiano definito dalle condizioni iniziali (1.2). Se per esempio le condizioni iniziali sono

P (0) = (a, 0, 0)

vP (0) = b

√k

me2 ,

si tratta di risolvere lemxP = −kxP

myP = −kyP .

Si verifica immediatamente per sostituzione diretta che il moto cercato e dato dalle

xP (t) = a cos

√k

mt

yP (t) = b sin

√k

mt .

E la traiettoria di P e un’ellisse perche vale la

x2P

a2+

y2P

b2= 1 . (2.4)

Le considerazioni che stiamo per fare parlando di dinamica del punto sono fondamentali, e vannointese come valide per ogni sistema meccanico.

Se un punto invece che esser libero e soggetto a un vincolo olonomo lo studio del moto risultasemplificato solo in apparenza. Le coordinate lagrangiane diminuiscono, ma a secondo membro di (2.1)compaiono anche le reazioni vincolari F

v. Queste ultime non sono funzioni vettoriali note, essendo

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nient’altro che le forze occorrenti a mantenere il punto sul vincolo. In un certo senso, esse vengonointrodotte per far tornare i conti. Invece la forza F(P,vP , t) che compare in (2.1) e che e nota, vieneribattezzata forza attiva e indicata con l’apice a. Allora, l’equazione differenziale del moto diventa

maP = Fa(P,vP , t) + F

v(2.5)

e risulta indefinita. Si usa dire che non e un’equazione differenziale pura.Ci troviamo dunque di fronte a due problemi

• trovare un’equazione differenziale pura per poter studiare il moto;

• valutare le reazioni vincolari al fine di costruire (per esempio con materiali adeguati) dei dispositiviatti a sostenere quel moto.

Entrambi i problemi si risolvono a patto di restringere lo studio a una particolare classe di vincoli, ivincoli ideali, la cui definizione verra data fra breve. Si tratta di una categoria di vincoli comunque moltoampia, in quanto contiene per esempio i vincoli olonomi lisci e anche tutti i rotolamenti, compresi quellianolonomi e non integrabili. Tuttavia nel presente corso ci limiteremo a studiare vincoli ideali olonomi,o al piu anolonomi integrabili.

Un’idea abbastanza generale delle modalita risolutive nel caso di vincoli lisci e data dal seguenteesempio.

Esempio 7.Scriviamo l’equazione differenziale del moto di un punto pesante, vincolato senza attrito a una cir-

conferenza che giace in un piano verticale fisso. In assenza di vincolo, poiche F = mg, si avrebbeaP = g = −ge3, e le soluzioni del problema sono state scritte esplicitamente nell’Esempio 4. Nelnostro caso l’equazione vettoriale

maP = mg + Fv,

che ha 3 componenti, va sostituita da un’unica equazione differenziale pura, perche siamo in presenzadei 2 vincoli olonomi yP = 0 e x2

P+ z2

P= l2 (vedi figura), che costringono il punto ad avere un solo

grado di liberta.

6

-

*]

K

z

x

α

O

P

er

Sia che il vincolo sia stato realizzato con una guida circolare, che tramite un’asta rigida, la mancanzadi attrito si traduce nel fatto che la reazione F

vin (2.5) e normale alla guida. A causa di cio, moltiplicando

scalarmente ambo i membri dell’equazione vettoriale originaria per un versore tangente alla guida siottiene un’equazione pura.

Si puo scegliere come coordinata lagrangiana l’angolo θ che P − O forma con l’asse x. Quindi ilversore che risulta tangente alla guida per ogni valore di θ e eθ = − sin θe1 + cos θe3. D’altra parte lavelocita di P puo anche essere scritta come vP = lθeθ. Di qui, tenuto conto che l e costante e usando laregola di derivazione delle funzioni composte si ottiene la formula

aP = lθeθ − lθ2er , (2.6)

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in cui il versore radiale er e dato dalla er = cos θe1 + sin θe3 ,, che vale, tra l’altro, per tutti i moticircolari.

Sostituendo (2.6) nell’equazione vettoriale, moltiplicando per eθ e tenendo conto che eθ · er = 0, siha

mlθ = −mg cos θ . (2.7)

Da ultimo calcoliamo la reazione vincolare Fv

moltiplicando scalarmente l’equazione vettoriale perer e ricavando

Fv= −mlθ2 +mg sin θ ,

in cui Fv

indica l’unica componente del vettore, il quale ha la direzione dell’asse passante per l’originee il verso in direzione uscente.

Scegliendo come coordinata lagrangiana l’angolo α = θ + π/2, la (2.7) assumerebbe la piu notaforma: α+ g

l sinα = 0, detta equazione del pendolo semplice, cui si associano le posizioni di equilibrioα = 0 (stabile) e α = π (instabile). Ricordiamo che si dice di equilibrio una posizione in cui la quieterappresentata dalla curva α(t) = 0, e soluzione dell’equazione del moto. Cio rende la quiete matema-ticamente possibile. Dalla differenza fra matematicamente possibile e fisicamente osservabile discendepoi l’ulteriore distinzione fra posizioni di equilibrio stabili e instabili, che pero non verra approfondita inquesto corso.

2.2 Dinamica del punto vincolato.

L’Esempio 7 suggerisce la possibilita di ottenere equazioni del moto pure per un punto vincolato molti-plicando scalarmente l’equazione (2.5) per i versori tangenti ai vincoli.

Avvertenza: in realta, se un punto e vincolato a una curva la reazione vincolare dovrebbe avere ingenerale 2 componenti, perche, nello spazio tridimensionale, esistono 2 vettori indipendenti normali auna curva in un punto dato. Tuttavia se, come nell’Esempio 7, un punto e vincolato a una curva piana efissa e le forze attive giacciono nel piano, e naturale aspettarsi che la componente della reazione vincolarein direzione normale al piano sia nulla. Essenzialmente perche i due versi della normale orientata sonoperfettamente equivalenti dal punto di vista fisico: non c’e ragione perche la reazione vincolare spinga ilpiano in un verso piuttosto che nell’altro. Quindi la reazione vincolare normale al piano non c’e.

Cerchiamo ora di stabilire il procedimento generale per studiare la dinamica di un punto vincolato auna superficie liscia arbitraria. Premettiamo qualche considerazione geometrica.

L’equazione f(xP , yP , zP , t) = 0 che definisce la superficie, eventualmente mobile, e l’appartenenzadel punto P alla medesima, puo esser espressa in forma parametrica, esattamente come si fa con le curve(vedi Analisi II). In pratica, le coordinate cartesiane di P vengono scritte come funzioni di due variabili,che assumono il ruolo di coordinate lagrangiane. Tali funzioni possono eventualmente dipendere anchedal tempo, nel caso di superficie mobile.

xP = f1(q1 , q2 , t) (2.8)

yP = f2(q1 , q2 , t)

zP = f3(q1 , q2 , t) .

Avvertenza: da qui in poi per indicare coordinate lagrangiane arbitrarie scriveremo qi , dove i = 1, ..., nessendo n il numero di gradi di liberta del sistema meccanico in esame.

Una delle possibili forme parametriche di una superficie si ottiene, ad esempio, ponendo xP = q1 eyP = q2 , ed esplicitando poi zP nell’equazione f = 0.

Se la superficie e liscia, la reazione vincolare Fv

applicata al punto P risulta perpendicolare allasuperficie non solo nel caso del pendolo semplice, bensı nel caso generale. Percio il procedimentogenerale che suggeriamo qui richiede di trovare vettori normali e vettori tangenti.

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Se nelle (2.8) si considera variabile una sola coordinata, per esempio q1, e si fissano invece le altrevariabili, allora il punto P si muove sulla superficie descrivendo una curva parametrizzata da q1. Perciola derivata rispetto a q1 e tangente a tale curva, e quindi anche alla superficie. Ne consegue che diffe-renziando le (2.8) rispetto alle coordinate lagrangiane si ottengono due vettori tangenti alla superficie eindipendenti fra loro (non necessariamente ortogonali):

∂P

∂q1=

(∂f1∂q1

,∂f2∂q1

,∂f3∂q1

)(2.9)

∂P

∂q2=

(∂f1∂q2

,∂f2∂q2

,∂f3∂q2

),

come si puo vedere nel seguente esempio.

6

1

.....................

y

x

z

O

P

Esempio 8.Possiamo parametrizzare l’equazione della superficie in figura, definita da y = x2, ponendo x = q1 ,

y = q21

e z = q2 . Allora due vettori tangenti sono

∂P

∂q1= (1, 2x, 0) e

∂P

∂q2= (0, 0, 1) .

Inoltre, posto f = y − x2 un vettore normale e

∇f =

(∂f

∂x,∂f

∂y,∂f

∂z

)= (−2x, 1, 0) .

Ora possiamo descrivere la generalizzazione del procedimento utilizzato nell’Esempio 7: a) si mol-tiplica la (2.5) per ciascuno dei due vettori tangenti in (2.9) al fine di eliminare le reazioni vincolari, siottengono cosı due equazioni differenziali pure; b) si derivano rispetto al tempo le (2.8) al fine di scri-vere vP e aP in funzione di qi , qi e qi , e si sostituisce il risultato in (2.5); c) si calcola F

vdopo aver

moltiplicato (2.5) per il gradiente della funzione f che definisce la superficie in modo implicito. e noto,infatti, che il gradiente di una funzione e perpendicolare alle superfici a valori costanti della funzionemedesima. In alternativa, si puo moltiplicare per il prodotto vettoriale dei due vettori tangenti. Si notiche F

vdipende in generale anche dalle qi .

Ci si avvicina allora per gradi alla definizione di vincolo ideale, una definizione che deve riflettere lapossibilita di pervenire a un’equazione pura caratterizzando la reazione vincolare con una relazione deltipo

Fv · vP = 0 , (2.10)

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in cui P e il punto di applicazione della forza e vP e una velocita possibile, compatibile con il vincolo.La (2.10) e soddisfatta sia da una superficie liscia fissa, perche la velocita e ad essa tangente, che

da un rotolamento descritto da un’osservatore solidale a una delle due superfici, perche in tal caso lavelocita e nulla. Si noti che la (2.10) ha le dimensioni della derivata temporale di un lavoro, cioe di unapotenza. Dunque tale relazione equivale a postulare che, nei casi sopra indicati, la realizzazione dellelimitazioni al moto avvenga senza dissipazione di energia.

Tuttavia la (2.10) potrebbe essere una definizione riduttiva, perche il procedimento risolutivo cheabbiamo precedentemente descritto non richiede che la superficie sia fissa. Come si vede nel seguenteesempio.

R-�ct O

P0

P (t)

vP

t ≪ 1

Esempio 9.Si consideri un punto P di massa m non soggetto a forze, ma soggetto alla seguente equazione:

f = x2P+ y2

P+ z2

P− c2t2 = 0 ,

che e un vincolo dipendente dal tempo in quanto la derivata parziale di f rispetto al tempo e diversa dazero. E in effetti descrive l’evoluzione della superficie di un palloncino che si gonfia, con il raggio cheaumenta con velocita c. Se si effettua il cambio di variabili (1.11) dell’Esempio 2, e si pone r = ct,si vede la superficie del palloncino parametrizzata dagli angoli θ e ϕ. I due versori tangenti e quellonormale si trovano facilmente e sono

eϕ= (cos θ cosϕ, sin θ cosϕ,− sinϕ) e

θ= (− sin θ, cos θ, 0)

er = (cos θ sinϕ, sin θ sinϕ, cosϕ) .

Lasciamo al lettore per esercizio la scrittura delle equazioni del moto nel caso in cui la superficie sialiscia. Vogliamo invece rimarcare che le velocita possibili non sono tangenti alla superficie. Infatti,derivando rispetto al tempo le coordinate di P secondo la regola di derivazione delle funzioni composte,e tenendo presente che θ e ϕ sono del tutto arbitrarie (almeno all’istante iniziale), si ricava l’espressionedella generica velocita compatibile con il vincolo dato

xP = ct(cos θ cosϕϕ− sin θ sinϕθ) + c cos θ sinϕ

yP = ct(sin θ cosϕϕ+ cos θ sinϕθ) + c sin θ sinϕ

zP = −ct sinϕϕ+ c cosϕ .

Scomponendo vP secondo i tre versori sopra indicati, si vede immediatamente che esiste una componentedella velocita diversa da zero in direzione normale alla superficie. Infatti, la componente lungo er hanorma c, come si puo facilmente verificare eseguendo (in componenti) il prodotto vP · er .

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2.3 Il lavoro dei vincoli ideali e delle forze attive.

L’Esempio 9 suggerisce di cercare una definizione di vincolo ideale che si applichi anche nel caso in cui ivincoli, siano essi lisci o di rotolamento, dipendono esplicitamente dal tempo. Specifichiamo dunque che,se la superficie e liscia ma non fissa, la (2.10) vale solo a patto di inserire al posto di vP la componentedella velocita in direzione tangente alla superficie. Tale componente, che indichiamo con uP , e quellache risentirebbe dell’attrito se questo fosse presente.

Notiamo poi che vP in (2.10) risulta essere una velocita possibile, come definita dalla

vP =n∑

j=1

∂P

∂qjqj +

∂P

∂t,

e in cui si e utilizzata la regola di derivazione delle funzioni composte.Avvertenza: la velocita possibile e piu generale della velocita reale, in quanto la regola di deriva-

zione delle funzioni composte viene applicata a una qualunque curva compatibile con i vincoli e nonnecessariamente a un moto vero, il quale dipende anche dalle forze attive e deve essere soluzione delleequazioni differenziali del moto.

Allora, per calcolare uP a partire da una curva compatibile con i vincoli basta ignorare la dipendenzaesplicita dal tempo quando si differenziano le (2.8): uP = vP − ∂P

∂t . La componente tangente dellavelocita compare nella prima delle seguenti definizioni a patto di porre uj = qj .

Definizione 5. Dato un punto P soggetto a vincoli olonomi (e/o anolonomi integrabili), si dicevelocita virtuale di P il vettore

uP =

n∑j=1

∂P

∂qjuj , (2.11)

in cui la n-upla (u1 , u2 , ..., un) e arbitraria in Rn.La definizione piu usata in letteratura e applicabile anche a vincoli anolonomi non integrabili e dipen-

denti dal tempo; in essa si parla di velocita compatibile con i vincoli all’istante fissato e la Definizione5, che noi abbiamo preferito perche immediatamente applicabile al calcolo, ne e un sottocaso.

Definizione 6. Dato un sistema meccanico a n gradi di liberta, i cui punti Pi , con i = 1, ..., N , sonosoggetti a vincoli olonomi (e/o anolonomi integrabili), si dice che i vincoli sono ideali se la quantita

W =

N∑i=1

Fv

i· uPi

=

N∑i=1

n∑j=1

Fv

i· ∂Pi

∂qjuj , (2.12)

detta potenza virtuale delle reazioni vincolari, si annulla per ogni configurazione del sistema e per ognin-upla di valori di uj , con j = 1, ..., n.

La potenza reale dissipata W e anch’essa nulla per vincoli indipendenti dal tempo, in quanto in talcaso la velocita reale soddisfa la Definizione 5. Infatti, l’insieme delle velocita possibili, cui la velocitareale appartiene, se i vincoli olonomi sono fissi coincide con l’insieme delle velocita virtuali.

Molti libri di testo, al posto delle definizioni date qui, utilizzano lo spostamento virtuale di P , che inpratica risulta essere

δP = uP dt .

Parallelamente, per definire il vincolo ideale usano la relazione

δLv= F

v · δP = 0 ,

in cui il termine a primo membro e detto lavoro virtuale delle reazioni vincolari.Il nucleo di questo capitolo e un importante teorema, che risolve il problema del moto in modo

soddisfacente e del tutto generale definendo le equazioni di Lagrange. Esso permette di studiare il moto

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di tutti i sistemi meccanici soggetti a vincoli olonomi ideali. Siano essi composti soltanto da punti isolati,o anche da corpi rigidi continui.

Per comodita, la dimostrazione si riferira solo a sistemi discreti (leggi: insiemi finiti di punti), maessa vale anche se le parti rigide del sistema sono distribuzioni continue di massa. In particolare, nellepresenti note autorizziamo il lettore a pensare che ogni risultato ottenuto per mezzo di espressioni deltipo

N∑i=1

mif(Pi) ,

in cui m sta per massa ed f per funzione, valga senz’altro anche nel caso piu generale in cui al postodella somma c’e l’espressione ∫

Vρ(P )f(P )dVP ,

in cui ρ sta per densita e dVP e il volume infinitesimo che circonda il punto P .E utile far precedere il teorema da un approfondimento della nozione di forza conservativa introdotta

nel corso di Fisica I.Definizione 7. Per essere conservativa una forza deve dipendere solo dalla posizione dei punti e non

dalla loro velocita, e non deve avere dipendenza esplicita dal tempo. Inoltre deve esistere una funzionescalare V , detta energia potenziale, tale per cui

F = −∇V ,

dove il gradiente e calcolato rispetto alle coordinate del punto di applicazione della forza.

Come si puo facilmente verificare consultando qualunque testo di Analisi II alla voce ‘forme diffe-renziali esatte’, questa definizione equivale a richiedere che il lavoro fatto per spostare il punto d’appli-cazione della forza da una posizione A a una posizione B, non dipenda dal percorso scelto per andare daA a B. Essendo tale lavoro, in effetti, uguale a V (A)− V (B).

Quest’ultima quantita e pari all’incremento di energia cinetica di un punto massivo posto nel puntodi applicazione della forza, a patto che tale punto abbia massa finita. Se la massa e infinitesima, comenel caso di forze applicate a singoli punti di un corpo rigido, tale proprieta, evidentemente, non vale.Ma vale comunque il Teorema 4 posto a conclusione del presente capitolo, purche si consideri l’energiacinetica del corpo rigido nel suo insieme.

Con la Definizione 7, chi non sia in grado di integrare forme differenziali puo comunque verificareche una forza e conservativa, purche gli venga data l’espressione dell’energia potenziale V . A quel puntobasta calcolare il gradiente.

Diamo qualche esempio: se un campo di forze F e costante in ogni punto dello spazio, e immediatoprovare che V = −F · (P −O). In particolare, per la forza peso si ha V = mgz se l’asse z e ascendente,e V = −mgz se e discendente. Inoltre, la forza elastica F = −k(P − O) ammette energia potenziale

V = 12k|P −O|2 (sempre positiva), mentre per la forza di Coulomb F =

Qq

4πϵ|P −O|−3(P −O) si ha

V =Q

4πϵ|P −O|−1.

2.4 Le equazioni di Lagrange.

Dimostriamo ora che i vincoli ideali permettono sempre di scrivere un numero di equazioni pure pari alnumero di gradi di liberta del sistema.

Avvertenza: in presenza di corpi rigidi le modalita di applicazione del teorema che vogliamo enun-ciare risulteranno chiare soltanto al termine dell’ultimo capitolo. In altre parole: il teorema vale anche

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per corpi rigidi, ma lo studente non potra usarlo per risolvere esercizi sui corpi rigidi finche la cinematicadel corpo rigido non sara completamente nota.

Teorema 3. Sia dato un sistema meccanico a n gradi di liberta, i cui punti Pi , con i = 1, ..., N , sonosoggetti a vincoli olonomi ideali (e/o anolonomi integrabili), e a forze attive F

a

i. Allora fra tutti i moti

compatibili con i vincoli, e quindi descritti da arbitrarie n-uple (q1(t), q2(t), ..., qn(t)), quelli realmentecompiuti dal sistema meccanico corrispondono alle soluzioni delle seguenti n equazioni differenziali delsecond’ordine

d

dt

∂T

∂qj− ∂T

∂qj= Qj j = 1, ..., n , (2.13)

dette equazioni di Lagrange, dove le incognite sono le qj (t), mentre

T :=N∑i=1

1

2miv

2Pi

e l’energia cinetica del sistema e

Qj =

N∑i=1

Fa

i· ∂Pi

∂qj, (2.14)

sono le componenti lagrangiane della forza. L’energia cinetica e le componenti lagrangiane della forzasi intendono calcolate lungo arbitrarie curve compatibili con i vincoli e quindi le vPi

appartengonoall’insieme delle velocita possibili. Nel caso le forze siano conservative, le componenti lagrangianesoddisfano la

Qj = −∂V

∂qj, (2.15)

in cui V e l’energia potenziale del sistema.Dimostrazione. Scriviamo la (2.5) per ciascuno dei punti del sistema, moltiplichiamola scalarmente

per uPie sommiamo su i da 1 a N :

n∑j=1

N∑i=1

(miaPi− F

a

i− F

v

i) · ∂Pi

∂qjuj = 0 .

In questa relazione compare la quantita W definita in (2.12) che, poiche i vincoli sono ideali, si annulla.Si annulla comunque si scelga la n-upla (u1 , u2 , ..., un), e in particolare per (1, 0, ..., 0), (0, 1, ..., 0),. . . ,(0, 0, ..., 1). Queste scelte particolari una volta sostituite nell’equazione precedente, in cui si sia gia postoW = 0, producono le n equazioni pure

N∑i=1

(miaPi− F

a

i) · ∂Pi

∂qj= 0 j = 1, ..., n.

Poiche il secondo termine dentro la parentesi tonda corrisponde alla definizione (2.14), per completarela dimostrazione resta da provare che

miaPi· ∂Pi

∂qj=

d

dt

∂Ti

∂qj− ∂Ti

∂qj,

con Ti =12miv

2Pi

. Per farlo servono due equazioni, caratteristiche dei vincoli olonomi, che ora derivere-mo.

Dalle (2.9) e (2.8), generalizzate al caso di n gradi di liberta, e immediato dedurre che, essendo

vPi=

n∑j=1

∂Pi

∂qjqj +

∂Pi

∂t,

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valgono le∂vPi

∂qj=

∂Pi

∂qj, (2.16)

∂vPi

∂qj=

d

dt

∂Pi

∂qj. (2.17)

Allora le (2.16) e (2.17) si possono sostituire nel seguente calcolo

miaPi· ∂Pi

∂qj= mi

dvPi

dt· ∂Pi

∂qj=

d

dt

(mivPi

· ∂Pi

∂qj

)−mivPi

· d

dt

∂Pi

∂qj=

d

dt

(mivPi

·∂vPi

∂qj

)−mivPi

·∂vPi

∂qj.

Questo e proprio il risultato che cercavamo: per ritrovare l’espressione dell’energia cinetica basta os-servare che la regola di derivazione del prodotto si applica anche alle derivate parziali e ai prodottiscalari.

Sostituendo la generalizzazione delle (2.8) nell’espressione dell’energia potenziale V , l’ultima af-fermazione del teorema discende banalmente dalla definizione (2.14) e dalla formula per la derivazionedelle funzioni composte (valida anche per derivate parziali). Infatti nel nostro caso tale formula produceesattamente il prodotto scalare fra il gradiente di V e i vettori tangenti scritti in (2.9).

Esempio 10.Scriviamo ora le equazioni di Lagrange del sistema meccanico in figura. Tenendo presente che i

vincoli sono lisci, che il piano xy e orizzontale, che la guida su cui scorre il punto B si muove nel versopositivo dell’asse y con accelerazione costante a, che la molla ha costante elastica k e lunghezza nulla ariposo e che, infine, A e B hanno entrambi massa m. Supponiamo inoltre, tanto per fissare le idee, cheall’istante iniziale le due guide coincidano e siano in quiete l’una rispetto all’altra.

Scelte come coordinate lagrangiane xA e xB , l’energia cinetica vale

T = TA + TB =1

2mxA

2 +1

2m(xB

2 + a2t2)

L’energia potenziale dovuta alla molla e

V =1

2k|B −A|2

Infatti, indicando con ∇A e ∇B i gradienti rispetto alle coordinate di A e di B, si verifica subito che laforza FA di cui risente A per effetto di B soddisfa la

FA = −∇AV = −k(A−B) ,

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e analogamente si trova FB = −FA , come deve essere. Dunque

V =1

2k[(xB − xA)

2 +1

4a2t4] .

E immediato verificare che le equazioni di Lagrange sono

mxA = −k(xA − xB ) ,

mxB = −k(xB − xA) .

Il lettore puo utilizzarle per calcolare la derivata temporale dell’energia totale E = T + V , verificandoche E non e costante. Questo risultato dipende dal fatto che i vincoli non sono fissi. Allora, anche se essisono lisci e le forze sono conservative, e necessario fornire energia per mantenere il moto della guida cuie vincolato B.

Queste considerazioni conducono direttamente all’ultimo risultato di questo capitolo.Teorema 4. In un sistema meccanico con vincoli olonomi ideali fissi (e/o anolonomi integrabili), sul

quale agiscono forze attive conservative, l’energia E = T + V e costante nel tempo.dimostrazione. Senza perdita di generalita, possiamo limitarci a considerare un sistema di due punti

materiali A e B, per ciascuno dei quali si puo scrivere (2.5), con Fa

A= −∇AV e analogamente per

B. Moltiplichiamo allora scalarmente le (2.5) per vA e vB rispettivamente, e sommiamole. Otteniamosubito

d

dt(1

2m1v

2A+

1

2m2v

2B) = −(∇AV · vA +∇BV · vB ) = −dV

dt.

Osserviamo infine che la (2.15) talvolta vale anche se le forze non sono conservative; ad esempio, sela coordinata lagrangiana e una sola e sempre possibile trovare una funzione energia V : basta trovare la

primitiva di Q1. In tal caso il Teorema 4 vale ancora perche F · vP =dV

dt.

3 Equazioni cardinali, vettori applicati, tensore d’inerzia.

3.1 Le equazioni cardinali della meccanica dei sistemi di punti.

Le equazioni differenziali del moto di un corpo rigido non vincolato devono essere 6, come i gradidi liberta del sistema. Ricaveremo ora due equazioni differenziali vettoriali, dette equazioni cardinali(valide in verita per ogni sistema meccanico anche non rigido) che risultano essere equazioni pure nelcaso di un continuo rigido. Con l’espressione ’equazioni pure’ si intendono qui delle equazioni che noncontengono la reazione vincolare incognita teoricamente associabile al vincolo di rigidita nel caso di unsistema rigido formato da finiti punti, come pure nel caso di un continuo rigido.

Tali equazioni consentono infatti di eliminare, o meglio, non richiedono di esplicitare, l’espressionedi quelle forze che mantengono costante la distanza fra coppie di punti. Queste forze sono di fatto rea-zioni vincolari, in quanto permettono la realizzazione di quei vincoli di rigidita, evidentemente olonomi,che hanno consentito di ridurre a 6 il numero di gradi di liberta del corpo rigido.

Come si e visto nel caso di sistemi di punti materiali, eliminare dalla descrizione le forze di vin-colo significa pervenire a equazioni differenziali pure, le cui soluzioni descrivono in modo completol’evoluzione temporale del sistema.

Senza perdita di generalita, supponiamo dunque di avere un arbitrario sistema meccanico formato daN punti e scriviamo per ognuno di essi

miaPi= F

(i)

i+ F

(e)

ii = 1, ..., n , (3.1)

doveF

(i)

i=∑j =i

Fij

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In (3.1) le forze sono state suddivise in interne F(i)

ed esterne F(e)

, anziche attive e vincolari. In parti-colare, si e esplicitato il totale F

(i)

idelle forze interne agenti su Pi per effetto degli altri punti Pj . Poiche

per il principio di azione e reazione

N∑i=1

F(i)

i=

N∑i=1

∑j =i

Fij = 0 ,

sommando le (2.13) da 1 a N si ottiene un’equazione in cui non compaiono le forze interne. Posto

P :=

N∑i=1

mivPie R

(e):=

N∑i=1

F(e)

i,

tale equazione si legged

dtP = R

(e). (3.2)

La (3.2) e detta prima equazione cardinale, il vettore P e detto impulso o quantita di moto o momentolineare, il vettore R

(e)e il risultante delle forze esterne.

Non si puo far a meno di notare che se il sistema e un corpo rigido libero le forze interne sono quelleassociate ai vincoli di rigidita. E come qualunque altra reazione vincolare non sono note come funzionidella posizione e della velocita, ma sono note solo nel loro effetto, che e appunto quello di mantenerecostante |Pi − Pj |. E dunque auspicabile la loro eliminazione dalle equazioni del moto, e le (3.2) sonoper l’appunto equazioni pure per il corpo rigido libero.

Ricaviamo ora le tre equazioni pure che ci mancano moltiplicando le (3.1) vettorialmente per (Pi−O)

(Pi −O)×miaPi= (Pi −O)× F

(i)

i+ (Pi −O)× F

(e)

ii = 1, ..., n , (3.3)

con O punto arbitrario, non necessariamente in quiete rispetto all’osservatore che descrive il moto delsistema. Sostituiamo poi nel primo membro di (3.3) l’espressione

(Pi−O)×miaPi=

d

dt

((Pi −O)×mivPi

)−(vPi

−vO)×mivPi=

d

dt

((Pi −O)×mivPi

)+vO×mivPi

Di nuovo, sommando (3.3) su i da 1 a N il termine che contiene le forze interne si annulla. Questo edovuto al fatto che le forze interne, per soddisfare il principio di azione e reazione, non sono solo ugualie opposte, ma anche dirette come la retta che congiunge la coppia di punti. Dalla proprieta del prodottovettoriale di annullarsi se i due vettori sono paralleli, si deduce allora

(Pi −O)× Fij + (Pj −O)× Fji = (Pi − Pj)× Fij + (Pj −O)× Fij + (Pj −O)× Fji =

= (Pj −O)× (Fij + Fji) = 0 i, j = 1, ..., N .

Se dopo aver sommato le (3.3) si mettono in evidenza le espressioni

L(O) :=

N∑i=1

(Pi −O)×mivPie M

(e)(O) :=

N∑i=1

(Pi −O)× F(e)

i,

che rappresentano rispettivamente il momento angolare totale rispetto al polo O, e il momento delleforze esterne (sempre rispetto al polo O), possiamo infine scrivere la seconda equazione cardinale dellameccanica nella forma

d

dtL(O) = M

(e)(O) +P× vO . (3.4)

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Per quanto precedentemente osservato, le (3.2) e (3.4) sono da ritenersi a tutti gli effetti le equazionidel moto del corpo rigido libero, e in questo capitolo ne studieremo in dettaglio la struttura e le proprietamatematiche.

Come si puo forse gia intuire, la grande differenza fra dinamica del punto e dinamica del corpo rigidoe insita nella seconda equazione cardinale della meccanica (3.4), che, come vedremo, descrive la parterotatoria dei moti.

La struttura dell’equazione e molto complessa, e richiede l’utilizzo di varie proprieta matematichedelle grandezze vettoriali. Proprieta che devono essere studiate in dettaglio per la loro importanza nelleapplicazioni. Tutte le formule che scriveremo sono di un qualche interesse ingegneristico, percio non neenfatizziamo nessuna in particolare.

In sintesi, esse sono finalizzate alla soluzione di due distinte questioni

• studiare il vettore M(O) come funzione del polo O, per maneggiare nel migliore dei modi ilsecondo membro dell’equazione;

• studiare la cinematica del corpo rigido, e in particolare la relazione fra L(O) e ω, vale a dire ilprimo membro dell’equazione (3.4).

3.2 Sistemi di vettori applicati.

Cominceremo dallo studio dei momenti delle forze.E importante rilevare il fatto che nelle equazioni (3.2) e (3.4), viste come equazioni del moto del

corpo rigido, l’insieme delle forze esterne F(e)

i, applicate nei punti Pi, influenza il moto solo attraverso

il suo risultante R(e)

, che fa variare nel tempo la quantita di moto, e il suo momento M(e)(O), che fa

variare nel tempo il momento della quantita di moto. Qualunque altro sistema di forze con lo stessorisultante e lo stesso momento (rispetto a un polo arbitrario) ha il medesimo effetto sul moto del corporigido.

Per ottenere un sistema di forze equivalente due operazioni sono possibili, le quali non alterano neR ne M(O):

a) sommare forze applicate in uno stesso punto, o scomporne una nella somma di altre due, applican-dole nello stesso punto;

b) spostare il punto di applicazione della forza lungo la retta d’azione della medesima. Essendo laretta d’azione quella retta che e parallela alla forza e passa per il suo punto di applicazione.

Come si vede anche in figura, dati due punti P1 e P2 sulla retta d’azione, il momento della forzarispetto ad O soddisfa la

(P1 −O)× F = (P2 −O)× F .

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Infatti, il prodotto vettoriale e in entrambi i casi normale al piano che contiene la retta d’azione e ilpunto O. D’altra parte, l’uguaglianza delle norme si prova richiamando l’espressione per il modulo delprodotto vettoriale fornita nel Paragrafo 1.4, e verificando che |P1 −O| sin θ1 = |P2 −O| sin θ2 := b.

Il braccio della forza, comunemente indicato con la lettera b, si definisce come la distanza fra la rettad’azione e la sua parallela passante per O. Come si vede in figura, spostare il punto d’applicazione lungola retta d’azione non cambia il braccio della forza.

Alternativamente, per provare che l’operazione b) lascia invariato il momento delle forze si sarebbepotuto procedere nel seguente (sintetico) modo: se P1 − P2 e parallelo a F, allora

(P1 −O)× F = (P1 − P2)× F+ (P2 −O)× F = (P2 −O)× F .

A questo punto, nella definizione del vettore momento, si possono sostituire alle forze Fi dei vettorigenerici wi, i quali potranno essere di volta in volta forze, quantita di moto dei punti o velocita angolaridi sistemi di riferimento in moto relativo, con diversi significati fisici per le stesse proprieta matematiche.Significati fisici che saranno illustrati successivamente.

Dato il momento rispetto a P di un sistema di vettori applicati nei punti Pi, con i = 1, ..., N , la leggedi variazione al variare del polo si ottiene come segue

M(P ) =

N∑i=1

(Pi − P )×wi =

N∑i=1

(Pi −Q)×wi +

N∑i=1

(Q− P )×wi =

= M(Q) + (Q− P )× (

N∑i=1

wi) = M(Q)−R× (Q− P ) = M(Q) +R× (P −Q) .

Uguagliando il primo e l’ultimo termine della catena, si vede che tale legge e

M(P ) = M(Q) +R× (P −Q) . (3.5)

Se avessimo scelto come vettori applicati le quantita di moto di N punti di ugual massa mvPi= wi,

allora il loro momento rispetto al polo P sarebbe stato il momento angolare L(P ) e il risultante laquantita di moto totale P. Utilizzando nuovamente la (3.5), la legge di trasformazione del momentodella quantita di moto al variare del polo e

L(P ) = L(Q) +P× (P −Q) . (3.6)

Proprieta 1. Se due sistemi di vettori hanno lo stesso risultante e lo stesso momento rispetto ad unqualche polo, allora sono equivalenti.

Infatti, in tal caso, i due sistemi hanno lo stesso momento rispetto a qualunque polo a causa della(3.5).

Due forze uguali e opposte con due rette d’applicazione distinte costituiscono una coppia. In basealla (3.5), avendo il risultante nullo, una coppia ha momento costante. Scegliendo come polo uno deidue punti di applicazione delle forze F e −F, si vede che tale momento e in modulo pari a bF . Esistono,evidentemente, infinite coppie di momento assegnato.

Il piu semplice sistema equivalente a un sistema dato si ottiene con il seguente procedimento: appli-care in O il risultante del sistema originario, costruire una coppia il cui momento sia pari al momento delsistema originario rispetto ad O, applicare in O uno dei due vettori della coppia e sommarlo al risultante.Allora, vale la seguente affermazione.

Proprieta 2. Ogni sistema di forze e equivalente a non piu di due vettori applicati.Vedremo ora che se i vettori sono paralleli, se cioe per ogni i si ha wi = wie con e versore arbitrario,

il sistema risulta equivalente a un unico vettore.

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A questo scopo, si definisce il centro del sistema di vettori applicati paralleli come segue

C −O =1

R

N∑i=1

wi(Pi −O) , (3.7)

con R definito tramite il risultante R = Re e, di conseguenza

R =

N∑i=1

wi .

Proprieta 3. Se C e il centro di un sistema di vettori applicati paralleli, allora M(C) = 0 e il sistema epercio equivalente al risultante applicato in C.

Infatti, applicando la (3.5) si ottiene

M(C) = M(O) + (N∑i=1

wie)× (C −O) = M(O) + (N∑i=1

wi)e×1

R

N∑i=1

wi(Pi −O) =

= M(O) + e×N∑i=1

wi(Pi −O) = M(O)−N∑i=1

(Pi −O)× wie = 0 .

Il fatto che il risultante possa essere applicato in C e banale conseguenza di (3.5).

3.3 Il baricentro.

L’esempio piu noto di vettori applicati paralleli e dato dalla forza peso mig applicata ai punti Pi di massami. Semplificando il modulo g dell’accelerazione di gravita nella definizione di centro di un sistema divettori, si ottiene la definizione di baricentro

G−O =1

M

N∑i=1

mi(Pi −O) , (3.8)

in cui M e la massa totale.Sostituendo gli integrali alle somme, la (3.8) vale anche nel caso di distribuzioni continue di massa

e di corpi rigidi. La (3.8) descrive un luogo geometrico che non dipende dall’orientazione del corporispetto alla forza peso. E chiaro quindi che ai fini del calcolo il sistema di riferimento piu conveniente esempre un sistema solidale al corpo rigido.

Una proprieta molto utile ai fini del calcolo, e che discende direttamente dalla definizione (3.8), e lacosiddetta proprieta distributiva del centro di massa G.

Proprieta 4. Se si opera una partizione di un sistema meccanico in N0 sottoinsiemi a due a duedisgiunti (la cui unione sia il sistema di partenza), il baricentro si puo calcolare sostituendo al sistemaoriginario N0 punti di massa Mi pari alla massa delle parti e posti nei rispettivi baricentri parziali Gi,con i = 1, ..., N0.

Nel caso di sistemi discreti l’affermazione e banale, mentre nel caso di corpi rigidi e conseguenzadelle proprieta di additivita degli integrali rispetto alla partizione del dominio.

Esempio 11.

G

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Applichiamo la Proprieta 4 per individuare il baricentro di un triangolo. Cominciamo con l’osservareche dati due punti di ugual massa il baricentro si trova nel punto medio del segmento che li congiunge.Inoltre, la mediana relativa a un qualunque lato del triangolo contiene i punti medi dei segmenti parallelia quel lato, costituenti una partizione del triangolo. poiche i punti medi sono baricentri parziali e sonoallineati sulla mediana, segue dalla Proprieta 4 e da (3.4) che anche il baricentro totale deve trovarsi sullamediana. Ed essendo cio vero per ogni mediana, il baricentro non puo che trovarsi all’incrocio dellemediane.

Quando nei problemi di Fisica I si studia il moto di un oggetto applicando la forza peso, o addiritturaaltre forze, nel baricentro si compie un’operazione che puo sembrare arbitraria, finche non si conosce lateoria dei sistemi di forze applicate equivalenti.

In effetti la prima equazione cardinale (3.2) puo essere riscritta tenendo presente che la derivando(3.8) rispetto al tempo si ha MvG = P, e quindi

MdvG

dt= R

(e). (3.9)

In particolare, se il risultante delle forze esterne e la forza peso si ha chiaramente G = g.La relazione MvG = P permette anche di semplificare la seconda equazione cardinale (3.4). Nel

caso in cui il polo e G essa diventad

dtL(G) = M

(e)(G) , (3.10)

perche P e vG sono paralleli.Vedremo ora alcune proprieta che permettono di utilizzare al meglio (3.10) nello studio delle rota-

zioni di un corpo rigido libero. Nella descrizione di tale moto si utilizza il particolare punto di vista delcosiddetto osservatore baricentrale, la cui terna ha l’origine nel baricentro del sistema e moto traslatoriorispetto alla terna fissa. I motivi per cui tale riferimento risulta utile saranno chiari fra poco.

Un’ulteriore conseguenza dell’equazione MvG = P e l’annullarsi di P per ogni osservatore per ilquale G e fermo. E in particolare per ogni sistema di riferimento, comunque orientato, che abbia l’originein G. Allora, in base a (3.6) si ha

L(P ) = L(Q) ,

e il momento non dipende dal polo.D’altra parte non e difficile ricavare la relazione fra il momento angolare L′(P ) misurato in un rife-

rimento fisso con origine in O′ e assi x′, y′ e z′, e il momento angolare L(P ) osservato da un riferimentocon l’origine in O e assi x, y e z, che si muove di moto traslatorio rispetto al riferimento fisso. Infatti intal caso, poiche vale la (1.22) con ω = O, la velocita di trascinamento e pari a v′

Oe

L′(P ) =

N∑i=1

(Pi − P )×miv′Pi

=

N∑i=1

(Pi − P )×mi(vPi+ v′

O) =

= L(P ) + (

N∑i=1

(Pi − P )mi)× v′O= L(P ) +M(G− P )× v′

O,

in cui l’ultimo passaggio e conseguenza diretta di (3.8) ove si sia scelto O = P . Questa legge ditrasformazione ci assicura che se il polo e G allora L′(G) = L(G).

Osserviamo poi che per sistemi in moto relativo traslatorio, essendo costanti i versori degli assi, lalegge di trasformazione delle accelerazioni, che si deduce derivando rispetto al tempo la (1.22) scrittaper ω = 0, risulta essere

a′P= aP + a′

O.

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Moltiplichiamo quest’ultima equazione per m e riscriviamo la (2.1) nel riferimento accentato, tenendoconto che la forza F non dipende dall’osservatore. Otteniamo:

maP = F(P,vP , t)−ma′O,

in cui l’ultimo termine prende il nome di forza apparente. Questa equazione del moto implica che quandoil punto P viene studiato dall’osservatore mobile O anziche da O′, esso risulta sottoposto all’azione diuna forza supplementare, la quale, pur chiamandosi forza apparente, ha tutti gli effetti pratici di una forzareale.

Prendiamo il sistema delle forze apparenti applicate a ciascuno dei punti Pi di massa mi: poiche taliforze sono parallele e, per la (3.7), il loro centro e G, allora il loro momento rispetto a un punto Q, perla Proprieta 3, vale (G−Q) × (−Ma′

O). E si annulla, quindi, se il polo e G. Allora, se il polo e G e il

riferimento mobile trasla, il secondo membro di (3.10) rimane invariato nel passaggio da un osservatoreall’altro.

L’insieme delle considerazioni fatte a partire dalla (3.10) costituisce la dimostrazione del seguenteteorema

Teorema 5. Scelto G come polo, allora per tutti i riferimenti in moto traslatorio, non necessariamenteuniforme, gli uni rispetto agli altri il momento angolare risulta lo stesso e l’equazione

d

dtL(G) = M

(e)(G)

e invariante. In particolare, scelto fra questi riferimenti quello con l’origine in G, detto baricentrale,il momento angolare risulta indipendente dal polo. E l’equazione puo essere studiata tenendo presenteche in tal caso l’atto di moto di un corpo rigido e rotatorio intorno al baricentro.

3.4 Asse centrale, invariante scalare, vettori nel piano.

Le relazioni che andiamo a mostrare ora valgono per tutte le funzioni vettoriali, quali ad esempio lavelocita dei punti del corpo rigido oppure i momenti delle forze e della quantita di moto, che soddisfanoequazioni come la (1.17) o la (3.5). Tali funzioni sono chiamate campi vettoriali equiproiettivi, perchemoltiplicando scalarmente la (3.5) per (P −Q) si ha:

M(P ) · (P −Q) = M(Q) · (P −Q) ,

e percio i due vettori hanno la stessa proiezione lungo la retta che li congiunge. Nel presente paragrafoindichiamo con M(P ) il generico campo equiproiettivo.

Proprieta 5. Il momento e costante su ogni retta parallela al risultante.Questo si dimostra scrivendo, in forma parametrica, l’equazione di una retta parallela a R, che passa

per un punto prefissato ma arbitrario che chiameremo Q. Le coordinate variabili di un generico punto Pappartenente a tale retta soddisfano le relazioni

xP − xQ = λRx

yP − yQ = λRy

zP − zQ = λRz

in cui λ e un numero reale. (Per ritrovare la nota equazione implicita di una retta, ad esempio giacentenel piano xy, e sufficiente ricavare λ dalla prima equazione e sostituirlo nella seconda). Le tre relazionisono sintetizzate dall’equazione vettoriale P −Q = λR che, sostituita in (3.5), implica subito M(P ) =M(Q).

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Proprieta 6. Se R e diverso da zero, il luogo dei punti in cui il momento e parallelo al risultante euna retta, parallela al risultante, detta asse del campo.

Questa proprieta si dimostra richiedendo il parallelismo

M(P )×R = 0 ,

e cercando di provare che sotto quest’ipotesi P soddisfa l’equazione della retta.Sostituiamo (3.5) nella relazione precedente, e applichiamo poi l’identita

(v1 × v2)× v3 = (v1 · v3)v2 − (v2 · v3)v1 , (3.11)

verificabile con elementari ma noiosi calcoli algebrici.In questo modo si ottiene subito che la (3.11) permette di scrivere il luogo dei punti P in cui il

momento e parallelo a R come segue

0 = (M(Q) +R× (P −Q))×R =

= M(Q)×R+R2(P −Q)− (R · (P −Q))R .

Da qui, si ricava

P = Q− 1

R2M(Q)×R+

1

R2(R · (P −Q))R .

Poniamo oraQ∗ = Q+

1

R2R×M(Q) ,

in modo che, in base all’equazione precedente, il punto P variabile e il punto Q∗ fissato soddisfano la

P −Q∗ =1

R2(R · (P −Q))R = λR ,

e quindi appartengono a una stessa retta parallela a R. Allora, se vogliamo completare la dimostrazionenon dobbiamo far altro che provare che anche Q∗ appartiene a quello stesso luogo di punti che stiamocercando di caratterizzare. Ma poiche

Q∗ −Q =1

R2R×M(Q) ,

applicando la (3.5) alla coppia di punti Q∗ e Q, e usando nuovamente l’identita (3.11) del doppioprodotto, si calcola

M(Q∗) = M(Q) +R× (Q∗ −Q) = M(Q) +R×(

1

R2R×M(Q)

)=

= M(Q)−M(Q) +1

R2(R ·M(Q))R =

1

R2(R ·M(Q))R .

Il che prova, effettivamente, che M(Q∗) e R sono paralleli.Proprieta 7. L’asse del campo e il luogo dei punti in cui il modulo del momento e minimo.Questo si vede scrivendo la (3.5) quando uno dei due punti appartiene all’asse del campo:

M(P ) = M(Q∗) +R× (P −Q∗) , (3.12)

e notando che il secondo membro e somma di due vettori che sono perpendicolari fra loro, per definizionedi asse centrale e per definizione di prodotto vettoriale. Quindi vale la

M(P )2 = M(Q∗)2 + |R× (P −Q∗)|2 ,

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e la proprieta citata discende dal fatto che il primo termine a secondo membro non dipende da P , mentreil secondo dipende da P e puo pure annullarsi.

Proprieta 8. Se la quantita I := M(P ) ·R, detta invariante scalare, si annulla, o il campo e costanteo esiste un punto C, detto centro del sistema di vettori, tale per cui

M(P ) = (C − P )×R , (3.13)

per ogni P .Cominciamo col dire che I non dipende da P , ed e per questo che lo chiamiamo invariante scalare.

Infatti, sostituendo nell’espressione che lo definisce la (3.5), e notando che il prodotto misto si annulla,si vede che I(P ) = I(Q) per ogni Q. D’altra parte, calcolando I in un generico punto Q∗ appartenenteall’asse si ottiene il prodotto di due numeri I = ±M(Q∗)R. Per cui se I e nullo o e nullo R, e quindi ilcampo e costante, oppure il campo si annulla nei punti dell’asse, e (3.13) diventa immediata conseguenzadi (3.12). In realta (3.13) vale per tutti i punti dell’asse, anche se siamo soliti indicare con C quel puntodell’asse che appartiene al piano normale a R per P .

La Proprieta 8 ha alcune importantissime applicazioni.Esempio 12.Prendiamo un sistema di forze applicate in un piano, cioe con i punti di applicazione Pi complanari

e le forze Fi complanari esse stesse. La nullita dell’invariante scalare si prova scegliendo come poloproprio un punto di quel piano, in modo che, per definizione di prodotto vettoriale, il momento risulteraperpendicolare al piano, e quindi al risultante. Se questo e diverso da zero bastera applicarlo in C, o inun qualunque punto dell’asse, per ottenere un sistema equivalente a quello di partenza.

Un esempio che trattiamo ora in dettaglio e quello dei moti piani di un corpo rigido. Il campo dellevelocita dei punti solidali al corpo rigido e equiproiettivo a causa della (1.17), in cui il vettore ω gioca ilruolo fin qui giocato dal risultante. Dunque, in particolare, per il campo di velocita valgono le proprieta5, 6, 7 e 8. E quest’ultima e soddisfatta dai moti piani.

Infatti, come si deduce dalla Definizione 3 e dalle osservazioni immediatamente precedenti l’Esem-pio 4, il vettore ω, essendo parallelo a e3, che e solidale e costante, risulta normale ai piani nei quali ilmoto dei punti si svolge, e quindi normale a vP . Percio

I = vP · ω = 0

In ogni piano esiste allora un punto C, detto centro di istantanea rotazione, che appartiene all’asse delcampo, ha velocita nulla, e per il quale vale l’analogo di (3.13)

vP = ω × (P − C) ,

espressione che denota come i moti dei punti siano tangenti a circonferenze concentriche.Nel moto piano dell’Esempio 5, per il disco rotolante esiste a ogni istante di tempo un diverso punto

del corpo avente velocita nulla. poiche il punto materiale cambia, il luogo geometrico definito dallacondizione

vC = 0 , (3.14)

puo, nonostante le apparenze, essere mobile. E in generale lo e.Definizione 8. Durante un moto piano in cui l’atto di moto sia sempre rotatorio, la curva descritta

dal centro di istantanea rotazione nel riferimento fisso e chiamata base. La curva descritta da C in unriferimento solidale e chiamata rulletta.

Nell’Esempio 5, particolarmente semplice, la base e l’asse x, e basta un po’ di immaginazione percapire che la rulletta e la circonferenza del disco stesso.

Un metodo grafico per individuare il centro di istantanea rotazione e il cosiddetto Teorema di Cha-sles. Esso si basa sul fatto che i moti sono tangenti a moti circolari, e afferma che, note le direzioni

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della velocita di due qualunque punti solidali, il centro si trova all’intersezione delle rette passanti perquei punti e normali alle rispettive velocita. Tale risultato si spiega banalmente ricordando che i vettorivelocita sono tangenti a delle circonferenze concentriche. E ricordando che in una circonferenza la rettacui il raggio appartiene e perpendicolare alla tangente e passa per il centro del cerchio.

Esempio 13.

6

-j

6

y′ y

x′

x

C

O

A

B

M

θ

θ

Applicando il Teorema di Chasles, si vede che il centro di istantanea rotazione di una sbarra vincolatacome nell’Esempio 1 si trova nell’intersezione della normale per A all’asse y con la normale per Ball’asse x. poiche C −O e disposto come la diagonale del rettangolo OBCA, si ha

|C −O| = l ,

percio la base e una circonferenza di raggio l. Scegliendo come origine del riferimento solidale il puntomedio P dell’asta e anche chiaro che

|C − P | = l

2,

e quindi la rulletta e una circonferenza di raggio l/2. Inoltre, mentre l’angolo che C − O forma cone′1 e θ, da elementari considerazioni geometriche si deduce che l’angolo che C − P forma con e1 =(B − P )/|B − P | e 2θ. Quindi, mentre C descrive mezzo giro sulla rulletta, soltanto un quarto di giroviene percorso sulla base.

Esempio 14.

-O

AR

R

C

B

Rθ θ

β

α

γ

α = 2θ

β =π

2− θ

=⇒ γ =π

2− θ

L’asta AB di lunghezza R in figura, detta biella, ha un estremo vincolato a una circonferenza, diraggio R, e l’altro a una guida passante per il diametro del cerchio. L’ubicazione di C e data ancora unavolta dal teorema di Chasles. Valutando gli angoli e immediato capire che il triangolo CAB e isoscelequanto AOB. Percio la base e la circonferenza

|C −O| = 2R ,

allora la rulletta e, chiaramente |C −A| = R.

Tuttavia, trattando questo tipo di problemi, le curve con cui si ha a che fare non sono in generale sem-plici come negli esempi precedenti. Pero, data la base, la rulletta puo sempre essere trovata trasformandole x′

iC(t) trovate dall’osservatore fisso con origine in O′ nelle xiC (t) misurate dall’osservatore mobile

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con origine in O, secondo il seguente procedimento: scrivere nel sistema fisso le componenti x′iC

− x′iO

del vettore C −O e poi applicare ad esse la matrice del cambiamento di base Me′jei

= (ei · e′j). Tanto perfissare le idee, scriviamo la forma di tale matrice nel caso dell’Esempio 13(

cos(−θ) sin(−θ)− sin(−θ) cos(−θ)

). (3.15)

Il segno meno davanti all’angolo in (3.15) si deve al fatto che un’osservatore orientato nel verso positivodell’asse z vedrebbe e′1 ruotare in senso antiorario per andare a sovrapporsi a e1.

Studiamo ora la composizione delle velocita angolari in un moto piano. A tal fine, consideriamo unaparticolare applicazione di (1.24), quella in cui il corpo e gli N sistemi di riferimento si muovono tuttidi moto piano gli uni rispetto agli altri, avendo in comune il versore e3 dell’asse z. Riscriviamo la (1.24)supponendo che quando il campo di velocita del corpo e misurato dal primo osservatore, il punto O sitrovi sull’asse di Mozzi, e che le origini Oi stiano sull’asse di Mozzi del riferimento i-esimo mentre ilsuo moto viene osservato dal riferimento i+ 1. In questo modo si ottiene v

(i)

Oi−1= 0 per ogni i, e quindi

la (1.24) diventa

v(N)

P=

N∑i=1

(Oi−1 − P )× ω(i)

. (3.16)

In questo modo v(N)

Psoddisfa la definizione di momento di un sistema di vettori applicati paralleli cal-

colato rispetto al polo P . A patto di porre ω(i)

= wi, R = ωT , e considerando i punti Oi−1 come sefossero punti di applicazione.

Allora l’asse di Mozzi del moto composto, che e evidentemente parallelo a e3, si ottiene individuandoil centro di istantanea rotazione tramite la formula (3.7) che definisce il centro di un sistema di vettoriapplicati paralleli.

3.5 Il momento della quantita di moto e il tensore d’inerzia.

Passiamo ora al secondo argomento fondamentale di questo capitolo, cioe la relazione fra L(O) e ω, edimostriamo il seguente teorema.

Teorema 6. Supponiamo che durante il moto di un corpo rigido un punto O solidale al corpo abbiaa un dato istante velocita nulla. Allora se in quell’istante si sceglie O come polo, il momento angolare euna funzione lineare di ω detta tensore d’inerzia e indicata come segue

L(O) = I(O)(ω) . (3.17)

Il tensore d’inerzia e simmetrico e la sua matrice rappresentativa in una arbitraria base e data daI11O I12O I13OI21O I22O I23OI31O I32O I33O

=

=

∫V ρ(P )(y2

P+ z2

P)dVP −

∫V ρ(P )xP yP dVP −

∫V ρ(P )xP zP dVP

−∫V ρ(P )xP yP dVP

∫V ρ(P )(x2

P+ z2

P)dVP −

∫V ρ(P )yP zP dVP

−∫V ρ(P )xP zP dVP −

∫V ρ(P )yP zP dVP

∫V ρ(P )(x2

P+ y2

P)dVP

. (3.18)

Nello scrivere (3.19), in cui P e un qualunque punto del corpo rigido, si e scelto per brevita di porre inO l’origine del riferimento.

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Dimostrazione. Ci limiteremo a dimostrare (3.18) per la componente x del momento angolare, perchele altre due componenti si ottengono in maniera analoga. Vogliamo quindi provare che

L(O)x = I11

Oωx + I

12

Oωy + I

13

Oωz .

Sostituendo nella definizione di momento angolare la (1.17), in cui pero vO = 0, e applicando poil’identita (3.11), si ricava

L(O) =

∫Vρ(P )(P −O)× vP dVP =

∫Vρ(P )(P −O)× (ω × (P −O))dVP =

=

∫Vρ(P )[|P −O|2ω − (ω · (P −O))(P −O)]dVP .

Estraendo la prima componente dai vettori che compaiono in quest’ultima espressione si ha

L(O)x =

∫Vρ(P )[(x2

P+ y2

P+ z2

P)ωx − (ωxxP + ωyyP + ωzzP )xP ]dVP =

=

∫Vρ(P )[(y2

P+ z2

P)ωx − ωyyP xP − ωzzP xP ]dVP =

=

(∫Vρ(P )(y2

P+ z2

P)dVP

)ωx −

(∫Vρ(P )xP yP dVP

)ωy −

(∫Vρ(P )xP zP dVP

)ωz ,

come volevasi dimostrare.Si noti che, se il riferimento in cui si calcolano le componenti del momento angolare e fisso mentre

il corpo si muove, allora gli elementi della matrice (3.19) dipendono dal tempo.In qualche corso elementare di fisica il lettore potrebbe aver gia incontrato, al posto del tensore

d’inerzia, il momento d’inerzia. Esso viene solitamente introdotto considerando un sistema rigido di Npunti massivi in moto attorno a un asse fisso con velocita angolare in modulo pari a ω. In tal caso, sceltoO sull’asse di rotazione, il modulo di L(O) risulta proporzionale alla velocita angolare ω, che essendouguale per tutti i punti, puo esser posta in evidenza nella relazione che definisce L(O). La costante diproporzionalita cosı ottenuta si chiama momento d’inerzia.

Questo esempio si riferisce essenzialmente a un’equazione scalare: chiariremo ora la relazione fra ilmomento d’inerzia e la (3.18).

Definizione 9. Dato un sistema meccanico, la somma dei prodotti fra le masse mi e i quadrati delledistanze tra i punti Pi e una retta data (che passa per un punto O e ha la direzione del versore n), si dicemomento d’inerzia I(O,n) del sistema rispetto all’asse dato.

Considerando distribuzioni continue di massa si vede subito che I11

Oe il momento d’inerzia del

corpo rigido rispetto all’asse x, come I22

Olo e per l’asse y e I

33

Oper l’asse z. Cio significa che per

i = 1, 2, 3 il momento d’inerzia rispetto a un asse passante per l’origine e avente la direzione di ei valeei · IO(ei) := I

ii

O. L’arbitrarieta dell’orientazione del riferimento cartesiano suggerisce di generalizzare

questo risultato.A tale scopo osserviamo che, vedi figura, per definizione di prodotto vettoriale la distanza d di P da

una retta per O avente la direzione di n soddisfa la d = |n× (P −O)|.

3n

:

O

P

d

α

35

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Percio per definizione

I(O,n) =

∫Vρ(P )|n× (P −O)|2dVP .

D’altra parte, posto ω = n, dalla (3.18) e dai calcoli sviluppati nella dimostrazione precedente discendela

IO(n) =

∫Vρ(P )(P −O)× (n× (P −O))dVP ,

e quindi anche la

n · IO(n) =∫Vρ(P )n · (P −O)× (n× (P −O))dVP .

Ora basta osservare che, essendo per ogni u (vedi Paragrafo 1.4)

n · (P −O)× u = u · n× (P −O) ,

allora per u = n× (P −O) vale la

n · (P −O)× (n× (P −O)) = n× (P −O) · n× (P −O) = |n× (P −O)|2 ,

e di conseguenza, sostituendo quest’espressione in quella di n · IO(n), resta provata la

I(O,n) = n · IO(n) . (3.19)

La (3.20) permette di calcolare il momento d’inerzia rispetto a un qualunque asse passante per O, notache sia la matrice in (3.19). Questa formula, come pure la relazione fra momento angolare e velocitaangolare, risulta piu maneggevole in un particolare riferimento solidale, detto terna principale d’inerzia,che verra introdotto ora.

La (3.19) vale per qualunque riferimento con l’origine in O, quindi anche in un sistema solidale.In un riferimento solidale gli elementi di matrice non dipendono dal tempo. Inoltre, in base a un nototeorema di Geometria sulla diagonalizzazione delle matrici simmetriche, possiamo allora dire che esistecertamente almeno una base ortonormale, formata dagli autovettori del tensore d’inerzia, in cui la matricerappresentativa oltre a verificare (3.19) e diagonale, cioe

IO =

A 0 00 B 00 0 C

. (3.20)

Qui A,B e C sono gli autovalori del tensore d’inerzia, che non dipendono dal tempo perche la matriceda diagonalizzare non dipendeva dal tempo. Alla base formata dagli autovettori, che indicheremo con i,j e k, corrisponde fisicamente una particolare terna di assi solidali al corpo rigido detta terna principaled’inerzia per O. Le componenti del momento angolare nella terna principale d’inerzia hanno una formasemplice. Infatti la (3.18) diventa

L(O) = Aωxi+Bωyj+ Cωzk , (3.21)

da cui si vede, tra l’altro, che il momento angolare e parallelo (e quindi multiplo) della velocita angolarese e soltanto se questa e parallela a un asse principale d’inerzia.

Inoltre, dette nx,ny e nz le componenti del versore n, la (3.20) diventa subito

I(O,n) = An2x +Bn2

y + Cn2z (3.22)

Vediamo ora qualche elementare regola per individuare gli assi principali d’inerzia.

36

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Data una figura piana la matrice d’inerzia in un punto O, appartenente al piano, risulta notevolmentesemplificata se uno degli assi della terna solidale, per esempio l’asse z, e perpendicolare alla figura.Sostituendo zP = 0 in (3.19), si vede subito che, in tal caso,

IO =

I11O

I12O

0I21O

I22O

00 0 I33

O

, (3.23)

con I33O

= I11O

+ I22O

. E poiche applicando questa matrice al versore e3, ovvero (0, 0, 1), si ottieneil versore stesso moltiplicato per I33

O, tale versore e un autovettore, e quindi l’asse z e asse principale

d’inerzia.

P ∈ S ⇒ P ′ ∈ SxP yP = −x

P ′yP ′

Per corpi rigidi omogenei, cioe con densita costante, si puo adottare il criterio per cui ogni rettapassante per O che sia un asse di simmetria geometrico risulta essere anche un asse principale d’inerzia.Infatti, se gli assi cartesiani coincidono con gli assi di simmetria gli elementi non diagonali di (3.19),detti prodotti d’inerzia, si annullano automaticamente. Considerando per esempio una lamina simmetricacome quella in figura, si vede subito che per ogni punto del corpo che si trovi a destra dell’asse y, neesiste un altro a sinistra dell’asse tale per cui il prodotto xP yP , che corrisponde all’integrando nelladefinizione di I

12(O), ha lo stesso modulo ma segno opposto. Percio tale integrale, calcolato sulla

superficie della lamina, si annulla. Inoltre, nel caso di figure piane con un asse di simmetria, essendo gial’asse z un asse principale d’inerzia, il terzo asse principale risulta automaticamente individuato comequello perpendicolare agli altri due.

K

*Y

�y

y′

x

x′

O

α α-�

6

y

y′ = x

O x′

Dalla definizione di momento d’inerzia discende anche che se una figura omogenea e invarianteper rotazioni intorno ad un asse passante per O (come avviene nel caso di un disco o di una sfera perrotazioni di ampiezza arbitraria, ma anche, per rotazioni di π/2, nel caso di una lamina quadrata), imomenti d’inerzia rispetto a due rette che possono venir sovrapposte per mezzo della suddetta rotazionerisultano uguali. Allora, se tali rette sono ortogonali e vengono scelte come assi cartesiani, la matriced’inerzia ha un autovalore doppio

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IO =

A 0 00 A 00 0 C

, (3.24)

e qualunque vettore del tipo u = uxi + uyj e autovettore perche soddisfa la IO(u) = Au. Dunque, sec’e invarianza per rotazioni qualunque retta passante per O, e normale all’asse di rotazione, puo esserscelta come asse principale d’inerzia. Quando vale la (3.25) si dice che il solido e a struttura giroscopicanel punto O.

Esempio 15.

La (3.25) puo valere anche quando il solido non e invariante per rotazioni. Per esempio, una laminaomogenea di massa M a forma di semidisco non e invariante per rotazioni, ma ha struttura giroscopicarispetto al centro del disco. E evidente infatti che il momento d’inerzia del semidisco rispetto al diametroche ha diviso in due il disco originario risulta essere la meta del momento d’inerzia corrispondente aldisco tutto intero. poiche quest’ultimo vale 1

4(2M)R2, con R raggio del disco, il momento d’inerziadel semidisco e 1

4MR2. Lo stesso ragionamento puo essere ripetuto per valutare il momento d’inerziadel semidisco rispetto al suo asse di simmetria, il quale e perpendicolare all’asse considerato in prece-denza. E siccome tale ragionamento conduce allo stesso risultato numerico trovato in precedenza (dalmomento che il disco intero ha struttura giroscopica rispetto ad O), allora anche il semidisco ha strutturagiroscopica rispetto ad O.

3.6 Tensore d’inerzia e baricentro.

Il baricentro gioca un ruolo significativo anche nella teoria del tensore d’inerzia, come si vede nella leggedi trasformazione che andiamo a dimostrare.

Teorema 7. Fra la matrice d’inerzia calcolata in un generico riferimento con l’origine in O e quellacalcolata in un riferimento parallelo con l’origine nel baricentro G del corpo rigido, sussiste la relazione

IO = IG + I(OG)

, (3.25)

con

I(OG)

=

M(y2G+ z2

G) −MxGyG −MxGzG

−MxGyG M(x2G+ z2

G) −MyGzG

−MxGzG −MyGzG M(x2G+ y2

G)

.

Nello scrivere I(OG)

si e scelto il riferimento con l’origine in O.Dimostrazione. Sostituiamo nell’espressione

IO(u) =

∫Vρ(P )(P −O)× (u× (P −O))dVP ,

38

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che rappresenta il tensore d’inerzia applicato a un generico vettore u, la decomposizioneP −O = (P −G) + (G−O):

IO(u) =

∫Vρ(P )(P −G)× (u× (P −G))dVP+

+

∫Vρ(P )(P −G)× (u× (G−O))dVP+

+

∫Vρ(P )(G−O)× (u× (P −G))dVP+

+

∫Vρ(P )(G−O)× (u× (G−O))dVP .

Per il secondo integrale della somma, mettendo in evidenza i termini che non dipendono dalla variabiled’integrazione P , e per definizione di baricentro di una distribuzione continua di massa (confronta con(3.8)), si ha che∫

Vρ(P )(P −G)× (u× (G−O))dVP = (

∫Vρ(P )(P −G)dVP )× (u× (G−O)) =

= M(G−G)× (u× (G−O)) = 0 ,

perche si e scelta nel baricentro l’origine degli assi del riferimento rispetto al quale calcolare le coordinatedel baricentro stesso.

Lo stesso risultato si ottiene per il terzo integrale, mentre il primo rappresenta evidentemente I(G)(u)con u arbitrario. Allora, per dedurre (3.26), occorre che l’ultimo integrale rappresenti I

(OG)(u). Tenu-

to conto che, a parte la densita, l’integrando e costante, tale risultato puo essere facilmente provatosviluppando l’integrale come segue∫

Vρ(P )(G−O)× (u× (G−O))dVP = M(G−O)× (u× (G−O)) =

= M(|G−O|2u− (u · (G−O))(G−O)

):= I

(OG)(u) ,

in cui nuovamente si e usata la (3.11). Infine, i singoli elementi di matrice si ricavano facilmente con lostesso procedimento usato per scrivere (3.19).

Osserviamo che i tre elementi diagonali della matrice IOG non sono altro che il prodotto della massaper il quadrato della distanza fra gli assi coordinati del sistema originario e quelli paralleli passanti per G.Cio fornisce una relazione fra momenti d’inerzia rispetto ad assi paralleli che puo essere generalizzata.

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Considerando l’ultima espressione della dimostrazione precedente, e immediato verificare che

n · I(OG)

(n) = M(|G−O|2 − (n · (G−O))2

)= Mδ2 ,

dove δ e la distanza fra la retta per O avente la direzione di n e la parallela passante per G, come si puoverificare subito in figura.

Allora, basta applicare la (3.20) alla (3.26) per provare il cosiddetto Teorema di Huygens: dato ilmomento d’inerzia rispetto a un asse passante per il baricentro, il momento d’inerzia rispetto a un asseparallelo passante per il punto O e dato da

I(O,n) = I(G,n) +Mδ2 , (3.26)

dove δ e la distanza fra le due rette.Conseguenza del Teorema di Huygens e che dato un fascio di rette parallele quella che passa per il

baricentro del corpo e quella rispetto alla quale il momento d’inerzia e minimo. Dunque, gli autovaloridel tensore d’inerzia, essendo i momenti d’inerzia rispetto agli assi della terna principale, sono minimiquando G e l’origine del riferimento. La terna principale d’inerzia con l’origine in G e detta ternacentrale d’inerzia.

Come corollario del Teorema 7 possiamo inoltre affermare che qualunque riferimento ottenibile apartire dalla terna centrale d’inerzia per traslazione lungo uno dei suoi assi, e esso stesso una terna prin-cipale d’inerzia. Infatti in tal caso due delle coordinate del baricentro si annullano certamente nel nuovoriferimento, e quindi tutti gli elementi non diagonali di IOG si annullano. Infine, nel nuovo riferimento,due degli autovalori risulteranno corretti, secondo il teorema di Huygens, aggiungendo a ciascuno di essila quantita Mδ2.

Una banale conseguenza di queste ultime osservazioni riguarda il cosiddetto giroscopio. Un solido astruttura giroscopica rispetto a un punto O si dice giroscopio se l’asse, detto asse giroscopico, corrispon-dente all’autovalore C (che e quello diverso dagli altri due) passa per il baricentro. Quindi il disco e ungiroscopio con asse normale al disco e passante per il centro, mentre il semidisco non e un giroscopio.

Ebbene, per quanto appena detto un giroscopio risulta essere a struttura giroscopica rispetto a ognipunto dell’asse giroscopico.

4 Dinamica del corpo rigido, libero e vincolato.

4.1 Corpi rigidi vincolati: le equazioni del moto.

Cominciamo questo capitolo illustrando le tecniche che, quando un corpo rigido e vincolato per mezzodi vincoli ideali e olonomi (e/o anolonomi integrabili), consentono di derivare, a partire dalle equazionicardinali, un numero di equazioni differenziali pure che sia pari al numero di gradi di liberta residui.

Questa trattazione e del tutto analoga a quella svolta all’inizio del secondo capitolo a proposito dipunti materiali vincolati e rappresenta un metodo alternativo, rispetto alle equazioni di Lagrange, per scri-vere le equazioni del moto di un corpo rigido vincolato. Essa ha il vantaggio di adattarsi immediatamenteal calcolo delle reazioni vincolari.

Supponiamo dunque che il solido sia vincolato, e suddividiamo le forze esterne in attive e vincolari.Si ha

Md

dtvG = R

a+R

v, (4.1)

d

dtL(G) = M

a(G) +M

v(G) . (4.2)

Servendoci della (3.21) possiamo sviluppare la derivata temporale del momento angolare rispetto a unpolo generico, e quindi anche a G, nel modo seguente:

40

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d

dtL(O) =

d

dt(Aωxi+Bωyj+ Cωzk) = (4.3)

Aωxi+Bωyj+ Cωzk+Aωxdi

dt+Bωy

dj

dt+ Cωz

dk

dt=

IO(ω) +Aωxω × i+Bωyω × j+ Cωzω × k =

IO(ω) + ω × (Aωxi+Bωyj+ Cωzk) = IO(ω) + ω × L(O) .

Nell’ultimo passaggio di (4.3) non si e fatto altro che porre in evidenza ω, mentre il simbolo ω staa indicare la derivata di ω come verrebbe calcolata dall’osservatore solidale, per il quale variano solole componenti dei vettori e non i versori. Occorre tuttavia osservare che, con un calcolo analogo, sidimostra facilmente che la derivata di ω calcolata dall’osservatore solidale coincide con quella calcolatadall’osservatore fisso, perche il prodotto vettoriale che deriva dalle formule di Poisson in questo caso siannulla.

Per dedurre delle equazioni pure occorre trattare opportunamente il secondo membro delle equazioni(4.1) e (4.2), a questo scopo diamo il seguente risultato.

Teorema 8. Sia dato un arbitrario sistema di forze Fi, con i = 1, ..., N , applicate in punti solidali aun corpo rigido in movimento. Allora, se si definiscono la potenza, il risultante e il momento delle forzerispettivamente come

W :=

N∑i=1

Fi · vPi,

R :=N∑i=1

Fi ,

M(O) :=

N∑i=1

(Pi −O)× Fi ,

e se il punto O, detto polo, e un arbitrario punto solidale al corpo rigido, vale la

W = R · vO +M(O) · ω , (4.4)

per qualunque osservatore.Dimostrazione. La dimostrazione si basa su un semplice calcolo che utilizza la (1.17) e le proprieta

del prodotto misto:

N∑i=1

Fi · vPi=

N∑i=1

Fi · (vO + ω × (Pi −O)) =

(N∑i=1

Fi

)· vO +

N∑i=1

Fi · ω × (Pi −O) =

= R · vO +

N∑i=1

ω · (Pi −O)× Fi = R · vO + ω ·

(N∑i=1

(Pi −O)× Fi

)= R · vO + ω ·M(O) .

La (4.3) vale anche per la potenza virtuale W (vedi Definizione 6) di un sistema di forze applicatea un corpo rigido. Infatti, le velocita virtuali soddisfano un’identita analoga alla (1.17), ed e proprioquesta proprieta del campo di velocita che ha reso possibile la dimostrazione precedente. Dunque, datidue arbitrari punti solidali a un corpo rigido vincolato esiste un unico vettore ω′, detto velocita angolarevirtuale, per cui vale la

uP = uO + ω′ × (P −O) ,

41

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e che per vincoli fissi coincide con ω. Questa identita e dimostrabile con un procedimento simile a quellousato nel Teorema 2.

Della velocita angolare virtuale si puo anche dare una definizione molto classica.Definizione 10. Si dice velocita angolare virtuale ogni velocita angolare compatibile con la forma

che avrebbero i vincoli se venissero fissati all’istante dato.Quando i vincoli sono ideali l’annullarsi della potenza virtuale delle reazioni vincolari implica la

Rv · uO +M

v(O) · ω′ = 0 , (4.5)

e questa puo essere utilizzata per scrivere equazioni pure, come andiamo ora a verificare per alcunivincoli (lisci e fissi).

a) Se il vincolo impone al corpo rigido di traslare soltanto, da un lato e sufficiente conoscere il motodi un qualunque punto solidale O (perche tutti i punti hanno traiettorie congruenti), dall’altro,poiche ω′ = ω = 0, succede che la (4.4) assume una forma perfettamente analoga alla (2.10).Allora, se scegliamo di studiare il moto di G, possiamo dedurre un’equazione pura dalle (4.1)con lo stesso procedimento utilizzato per la (2.5). Infatti la (3.9) permette di usare le (4.1) comeequazioni del moto del baricentro, considerato come un punto materiale sotto l’effetto di una forzapari al risultante.

b) Se invece esiste un punto solidale O che e stato fissato si avra uO = 0, e quindi

Mv(O) · ω = 0

per ogni ω possibile. In particolare, la relazione dovra valere anche nel caso in cui si abbia ω = ei,scegliendo a turno i = 1, 2, 3. Cio, a causa della definizione (1.6) delle componenti di un vettore,implica M

v

(O)x = Mv

(O)y = Mv

(O)z = 0, e quindi Mv(O) = 0. Allora, poiche la (4.2) vale anche

sostituendo a G un punto fisso O, le equazioni pure che cercavamo sono

d

dtL(O) = M

a(O) .

c) Supponiamo che sia fisso un asse solidale. Per fermare le idee poniamo che O sia uno dei punti ditale asse, la cui direzione sia e3. In questa situazione la M

v(O) · ω = 0 resta vera, essendo fissi

tutti i punti dell’asse, e quindi anche O, ma non consente piu di dedurre l’annullarsi del momentodelle reazioni vincolari. Infatti, poiche ω non e piu arbitraria ma parallela a e3, si puo soltantoaffermare che il momento e normale all’asse fisso. Ciononostante, si ottiene un’equazione puraeseguendo il prodotto scalare di e3 con la (4.2) (sempre riferita al polo O, fisso):

d

dt(L(O) · e3) = M

a(O) · e3 . (4.6)

D’altra parte, un’unica equazione differenziale pura e sufficiente, perche il solido cosı vincolatoha un solo grado di liberta.

d) Consideriamo infine il moto piano. Poiche i tre gradi di liberta sono indipendenti separiamo idue casi: se in una data configurazione del corpo rigido capita che ω = 0, scelto G come puntosolidale, allora la (4.5) diventa

Rv · vG = 0 ,

e la velocita di G puo assumere qualunque direzione nel piano. Percio Rv= R

ve3 ha una sola

componente normale al piano, e la proiezione di (4.1) sul piano fornisce le due equazioni pure:

Md

dtvG = R

a. (4.7)

42

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Se invece ω = 0, allora esiste un centro di istantanea rotazione nel piano per G normale a e3,allora la (4.5) diventa

Rv · ω × (G− C) +M

v(G) · ω = 0 ,

in cui il primo addendo si annulla essendo Rv

parallelo a ω. Percio Mv(G) · e3 = 0, come nel

caso precedente, e moltiplicando scalarmente per e3 la (4.2) si ottiene la terza equazione:

d

dt(L(G) · e3) = M

a(G) · e3 . (4.8)

4.2 Calcolo delle reazioni vincolari.

Esemplifichiamo qui il calcolo delle reazioni vincolari agenti su un corpo rigido soggetto a vincoli ideali.Svilupperemo, per cominciare, il caso c) del paragrafo precedente: asse fisso, vincolo liscio.

L’equazione differenziale del moto si ricava da (4.6). Si sceglie come coordinata lagrangiana l’angoloθ che una qualunque retta solidale normale all’asse di rotazione forma con una qualunque retta fissa (purenormale all’asse di rotazione) in modo che ω = θe3; poiche si puo applicare la (3.19) con n = e3 , sipuo scrivere

L(O) · e3 = e3 · IO(θe3) = I(O, e3)θ .

Precisiamo che qui I(O, e3) rappresenta il momento d’inerzia rispetto all’asse fisso, che non va confuso,lo sottolineiamo, con il terzo asse della terna principale d’inerzia per O, la cui direzione e solitamenteindicata da k; per calcolare I(O, e3) si puo far ricorso alla (3.22).

Avendo cosı esplicitato il primo membro dell’equazione (4.6) in termini di geometria delle masse edinamica del corpo, essa diventa

I(O, e3)θ = Ma(O) · e3 . (4.9)

Il momento delle reazioni vincolari esercitate dall’asse fisso e presto trovato se si sostituisce l’accelera-zione angolare dedotta dalla (4.9), nella seconda equazione cardinale, il cui primo membro va riscrittocome in (4.3):

IO(θe3) + θ2e3 × [A(e3 · i)i+B(e3 · j)j+ C(e3 · k)k]−Ma(O) = M

v(O) ,

qui si e lasciato a secondo membro dell’equazione solo il momento incognito delle reazioni vincolari.Ora che θ e una funzione nota di θ e θ, lo e anche il momento delle reazioni vincolari con arbitrario poloO sull’asse fisso.

Quanto abbiamo provato per il momento delle reazioni vincolari di un asse fisso e liscio, equivale aspecializzare la (4.2) al caso di moti piani (e vincoli lisci).

Manteniamo ora le notazioni della (3.18) per gli elementi della matrice rappresentativa, non neces-sariamente diagonalizzata, del tensore d’inerzia (per cui, ad esempio, I(O, e3) = I33

O). Sostituiamo tali

notazioni in (4.3) e scriviamo la (4.2) in componenti per un qualunque riferimento cartesiano purcheil terzo asse sia normale al piano del moto. Essendo immediato verificare che, quando ω ha una solacomponente, in base al Teorema 6

ω × L(G) = I13Gθ2e2 − I23

Gθ2e1 ,

ricordando inoltre che al termine del paragrafo precedente si e provato che Mv(G) · e3 = 0, si ha:

I33Gθ = M

a

3 (G) ,

I13Gθ − I23

Gθ2 = M

a

1 (G) +Mv

1 (G) ,

I23Gθ + I13

Gθ2 = M

a

2 (G) +Mv

2 (G) . (4.10)

43

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Le (4.10) valgono anche nel caso di asse fisso, basta sostituire O a G: il momento delle reazioni vincolaridipende dall’accelerazione angolare tutte le volte che la direzione di ω non e asse principale d’inerzia,il che puo capitare se la figura non giace nel piano del moto. Se e3 e asse principale, invece, essendoI13G

= I23G

= 0, il calcolo di Mv(G) (o di M

v(O)) e lo stesso che si avrebbe in un problema di statica.

Inoltre, nel caso di moto piano, essendo nulla la proiezione di Rv

nel piano, la parte dinamica dellaprima equazione cardinale (4.1) risulta sempre indipendente da R

v.

6

�I

e3

α

ji

abG

Esempio 16. La lamina omogenea in figura e vincolata senza attrito a un asse fisso diretto come ladiagonale, ed e soggetta solo alla forza peso. Scrivere l’equazione del moto e calcolare il momento dellereazioni vincolari nel caso in cui b =

√3a, e nel caso b = a.

Essendo il baricentro sull’asse di rotazione, il secondo membro di (4.6) si annulla perche il momentodella forza peso e nullo rispetto a G. Dunque l’equazione del moto e

I(G, e3)θ = 0 .

Allora, la velocita angolare e costante indipendentemente dal rapporto fra i lati e dall’orientazione,verticale o meno, dell’asse di rotazione.

Per il momento delle reazioni vincolari, posto α = arctan(b/a), calcoliamo

Mv(G) = IG(θe3) + θ2e3 × [A(e3 · i)i+B(e3 · j)j] =

= θ2(cosαi+ sinαj)×(

1

12Mb2 cosαi+

1

12Ma2 sinαj

)= θ2 sinα cosα

1

12M(a2 − b2)k .

Percio il risultato, normale all’asse di rotazione, nel primo caso e in modulo pari a θ2Ma2√3/24, e nel

secondo caso vale zero.Avvertenza: al termine dell’ultimo paragrafo l’annullarsi delle reazioni vincolari quando b = a

sembrera banale. Infatti, per un quadrato (che e un giroscopio) la diagonale e asse principale d’inerzia.Vedremo nell’ultimo paragrafo che la rotazione uniforme intorno a un asse principale e un moto che siverifica spontaneamente, senza bisogno di vincoli che lo sostengano, quando, come in questo caso, ilsistema delle forze attive e equivalente a zero.

4.3 Scrittura delle equazioni di Lagrange in presenza di corpi rigidi.

L’interesse dimostrato nel secondo capitolo per le equazioni di Lagrange e dovuto al fatto che esse sonoutilizzabili come equazioni del moto per qualunque sistema meccanico, quali che siano i vincoli, purcheideali e olonomi. Occorre pero riuscire a scrivere l’energia cinetica dei corpi rigidi, e le componentilagrangiane delle forze attive, in funzione delle coordinate lagrangiane e delle loro derivate prime rispettoal tempo.

Supponiamo dapprima che il corpo rigido abbia un punto fisso, o un punto istantaneamente fermo,che indicheremo con O, cosı che, al solito, valga la vP = ω × (P −O). Allora

T =

∫V

1

2ρv2

PdVP =

∫V

1

2ρvP · ω × (P −O) dVP =

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=

∫V

1

2ρω · (P −O)× vP dVP =

1

2ω ·∫Vρ(P −O)× vP dVP ,

perche il prodotto misto non cambia per permutazioni cicliche. Ma questo risultato non e altro che

T =1

2ω · L(O) =

1

2ω · IO(ω) =

1

2(Aω2

x +Bω2y + Cω2

z) , (4.11)

in cui l’ultimo passaggio utilizza le componenti della velocita angolare nella terna principale d’inerzia(vedi (3.21)), riferimento in cui la formula appena ottenuta risulta semplice da ottenere e da applicare.

Supponiamo ora che il corpo rigido non abbia punti fissi, oppure che ne abbia uno ma che non siaimmediato individuare la terna principale per quel punto. In tal caso, conviene utilizzare il riferimentobaricentrale.

Consideriamo la legge di trasformazione delle velocita fra il riferimento fisso, con origine in O′ eassi x′, y′ e z′, e la terna baricentrale (con origine in G e assi sempre paralleli a quelli fissi). Inseriamotale legge nella definizione di energia cinetica, dove indicheremo con l’accento la velocita calcolatadall’osservatore fisso per distinguerla da quella calcolata dall’osservatore baricentrale:

T ′ =

∫V

1

2ρv

′2PdVP =

∫V

1

2ρ(vP + v′

G) · (vP + v′

G) dVP =

=

∫V

1

2ρv2

PdVP + 2

∫V

1

2ρvP · v′

GdVP +

∫V

1

2ρv

′2GdVP =

= T + v′G·∫VρvP dVP +

1

2Mv

′2G

.

Da qui, poiche differenziando rispetto al tempo la definizione di baricentro si ottiene∫VρvP dVP = MvG ,

e poiche MvG = 0 per l’osservatore baricentrale; tenendo conto inoltre che tale osservatore puoapplicare la (4.11) con G = O, si ricava infine

T ′ =1

2Mv

′2G+ T =

1

2Mv

′2G+

1

2(Aω2

x +Bω2y + Cω2

z) . (4.12)

In (4.9), A, B e C sono calcolati nella terna centrale d’inerzia, e di solito sono tabulati o facilmentededucibili da risultati tabulati, mentre il vettore ω e evidentemente lo stesso per i due osservatori in motorelativo traslatorio. L’equazione (4.9) rappresenta la formula generale per il calcolo dell’energia cineticadi un corpo rigido.

Il primo passaggio in (4.12) e detto Teorema di Konig, e vale per qualunque sistema, anche nonrigido.

Le (4.11) e (4.12) permettono di scrivere le equazioni del moto di Lagrange del corpo rigido nel casopiu generale, a patto di poter esprimere in funzione delle coordinate lagrangiane non solo le componentidella velocita angolare, ma anche le componenti lagrangiane del sistema delle forze attive. Tale siste-ma puo essere anche una distribuzione continua (come avviene per la forza peso o, se si lavora in unriferimento ruotante, per la forza centrifuga).

Una buona indicazione generale per la scrittura delle componenti lagrangiane delle forze applicate alcorpo rigido si ottiene applicando la (4.3) del Teorema 8 al caso di potenza virtuale di forze attive

Wa= R

a · uO +Ma(O) · ω′ ,

e confrontando questa formula con la

Wa=

N∑j=1

Qjuj ,

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che si deduce facilmente dalla definizione (2.14) del Teorema 3.Dal confronto fra le due formule e dalla definizione di velocita virtuale implicitamente discende la

definizione operativa

Qj = Ra · ∂O

∂qj+M

a(O) · ∂ω

∂qj,

ove si e fatta l’identificazione uj = qj e si e data per scontata la dipendenza lineare della velocita angolaredalle derivate degli angoli.

4.4 Equazioni del moto del corpo rigido libero e del corpo rigido con punto fisso.

I due distinti approcci al problema delle equazioni del moto e del calcolo delle reazioni vincolari risultanodel tutto equivalenti per quanto riguarda il moto del corpo rigido libero.

Affrontiamo questo argomento riscrivendo le equazioni (3.9) e (3.10)

MdvG

dt= R

(e),

d

dtL(G) = M

(e)(G) .

La prima equazione altro non e che l’equazione del moto di un punto. La seconda, come e stato provatonel Teorema 5, puo essere studiata in un riferimento parallelo a quello fisso e avente l’origine in G.

In tale riferimento la struttura della seconda equazione risulta relativamente semplice, e, per di piu, edel tutto identica a quella che descrive il moto di un corpo rigido con un punto fisso O, quando i vincolisono lisci.

Infatti in quest’ultimo caso si puo riscrivere la (4.2) tenendo conto che il polo O ha velocita nulla

d

dtL(O) = M

a(O) +M

v(O) .

Poiche al punto b) del Paragrafo 4.1 e stato provato che Mv(O) = 0, si ottiene di conseguenza la

d

dtL(O) = M

a(O) .

Sebbene nella seconda equazione cardinale il momento angolare e le sue derivate siano misurati daun osservatore che, necessariamente, non e solidale al corpo rigido, le quantita vettoriali in essa presentipossono comunque venir proiettate in un sistema di riferimento solidale, e, in particolare, in una ternaprincipale d’inerzia per O.

Possiamo allora riscrivere il primo membro dell’equazione usando la (3.21) e poi le formule diPoisson, come in (4.3). Si ottiene cosı

d

dtL(O) = IO(ω) + ω × L(O) .

L’equazione puo poi esser proiettata sugli assi di qualunque riferimento. In particolare, la derivatacalcolata dall’osservatore fisso puo essere proiettata sugli assi della terna principale d’inerzia, che e unriferimento mobile, semplicemente utilizzando in tale riferimento il determinante simbolico per il calcolodel prodotto vettoriale.

Si termina il calcolo ponendo in evidenza i prodotti di componenti di ω che appaiono nelle trecomponenti della derivata del momento angolare. Infine si scrive l’uguaglianza con le tre componentidel momento delle forze. Si hanno allora le equazioni differenziali di Eulero equazioni di Eulero:

Aωx + ωyωz(C −B) = Ma

(O)x(4.13)

Bωy + ωxωz(A− C) = Ma

(O)y

Cωz + ωxωy(B −A) = Ma

(O)z.

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Anche per un corpo libero la seconda equazione cardinale assume questa forma, in quanto sappiamodal Teorema 5 che essa puo venir scritta in un riferimento baricentrale senza che le grandezze fisichein questione cambino. Poiche in tale riferimento G e, evidentemente, un punto fisso, si possono usare irisultati del Teorema 5, e in particolare la (3.21).

Interessante, e relativamente semplice, e il caso in cui il secondo membro delle Equazioni di Eulero enullo. Si hanno allora i cosiddetti moti per inerzia, e le equazioni possono esser trattate come equazionidifferenziali del prim’ordine nell’incognita ω. Un tipico esempio e il moto di un oggetto lanciato, ovveroil moto di un corpo rigido libero soggetto solo alla forza peso, il cui momento rispetto al baricentro, comesi sa, e nullo.

La prima osservazione da fare e che, mentre la velocita di un punto materiale in assenza di forze ecostante, la velocita angolare del corpo rigido non e necessariamente costante quando il momento delleforze e nullo.

Per dimostrare cio occorre prima dire che la velocita angolare del corpo, al contrario di quantoavviene per il momento angolare, ha nel riferimento fisso la stessa derivata temporale che in quellosolidale. Infatti, ripetendo per la derivata di ω gli stessi calcoli svolti in (4.3) per la derivata del momentoangolare si vede che le due derivate differirebbero solo per il termine ω × ω, che e nullo. Dunque, peravere una velocita angolare costante nel riferimento fisso e necessario e sufficiente che si conservino lesue componenti nel riferimento mobile.

Si possono allora sostituire le relazioni ωx = ωy = ωz = 0 nel sistema di equazioni differenziali,e vedere se effettivamente esso ammette una soluzione (ωx, ωy, ωz) che non dipende dal tempo. Cioavverra se il sistema omogeneo di equazioni algebriche

ωyωz(C −B) = 0 (4.14)

ωxωz(A− C) = 0

ωxωy(B −A) = 0 ,

nelle incognite ωx, ωy e ωz , ammette soluzioni diverse da quella nulla.Ne consegue che assegnata al corpo una velocita angolare iniziale questa, in generale, non si mantiene

costante nel tempo in assenza di forze. Perche solo le soluzioni del sistema (4.14) si comportano cosı. Sipuo poi verificare per sostituzione che tali soluzioni sono, se A = B = C, del tipo (ωx, 0, 0), oppure (0,ωy, 0), oppure (0, 0, ωz); e se A = B = C (struttura giroscopica), del tipo (ωx, ωy, 0), oppure (0, 0, ωz).Soltanto nel caso A = B = C (sfere omogenee, cubi) capita che qualunque vettore dello spazio risolve(4.13).

Per quanto osservato dopo la (3.24) circa i solidi a struttura giroscopica, le precedenti considerazionipossono essere riassunte nella seguente proposizione.

Teorema 9. In un moto per inerzia la velocita angolare si mantiene costante se e soltanto se e direttacome un asse principale d’inerzia, ed e quindi parallela al momento angolare.

Si puo considerare come controesempio il caso generale del moto per inerzia di un solido a strutturagiroscopica intorno al suo baricentro, o intorno ad un punto fisso O.

Per meglio seguire il ragionamento si prenda a modello il moto della terra, che e un giroscopio inquanto schiacciata ai poli: per i poli e per il baricentro passa l’asse giroscopico, che e anche l’assedella rotazione giorno-notte. Esso forma un angolo costante con il piano che contiene l’orbita della terraintorno al sole, detto piano dell’eclittica, e cio produce l’alternarsi delle stagioni nel corso dell’anno.Tuttavia la direzione dell’asse giroscopico non e costante rispetto alle cosiddette stelle fisse. Per esserepiu precisi esso ruota con velocita angolare costante intorno all’asse normale al piano dell’eclittica epassante per il baricentro della terra, e compie un giro completo ogni 26000 anni (dunque, ogni 13000anni sulla terra si invertono le stagioni!).

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La ’spiegazione’ di tale moto, come pure dell’analogo moto di un pallone da rugby intorno al suobaricentro (purche si trascuri l’effetto dell’aria), e la seguente: nel moto per inerzia di un giroscopio leequazioni (4.13) diventano

Aωx + ωyωz(C −A) = 0

Aωy + ωxωz(A− C) = 0

Cωz = 0 .

Di conseguenza ωz e costante. Allora, poiche

ω = ωxi+ ωyj+ ωzk

e poiche per un giroscopio la (3.21) assume la forma

L(G) = A(ωxi+ ωyj) + Cωzk = A(ω − ωzk) + Cωzk ,

uguagliando il primo e l’ultimo termine di questa relazione si ricava, dopo due passaggi algebrici,un’espressione di ω in funzione di L(G):

ω =1

AL(G) +

(1− C

A

)ωzk .

Ma in un moto per inerzia anche L(G) e costante (dal momento che il secondo membro di (3.10) siannulla), e dunque la formula appena scritta ci dice che ω e sempre somma di un vettore costante nelriferimento fisso (il momento angolare) e di un vettore, parallelo all’asse giroscopico, costante nel ri-ferimento solidale. L’angolo fra i due vettori e pure costante, come si puo immediatamente verificareeseguendo il loro il prodotto scalare. Quindi il modulo di ω e costante (per vederlo basta calcolare ω ·ω)ma la direzione non lo e.

In effetti, applicando ω in un punto dell’asse fisso se ne vedrebbe l’estremita muoversi di motocircolare uniforme intorno ad esso. Questo tipo di moto e detto precessione.

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