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Note all’Antico Testamento Illustrato di Damiano Maraffi Lectio Magistralis a cura del dott. Marcello Racchini presso la Biblioteca del Carrobiolo Vicolo Carrobiolo, 4 Monza 20 settembre 2012

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Note all’Antico Testamento

Illustrato di Damiano MaraffiLectio Magistralis

a cura deldott. Marcello Racchini

presso la Biblioteca del Carrobiolo

Vicolo Carrobiolo, 4 Monza

20 settembre 2012

A Fabio, sperando che un giorno, come suo padre,si lascerà affascinare dalla bellezza delle parole

IndiceIntroduzione 1Il libro 1

Descrizione 1Struttura 1

Whoʼs who 2Lʼautore dei testi 2Lʼautore delle illustrazioni 5Lʼeditore 5Il dedicatario 5

Lʼaspetto letterario 6Metro 6La poetica dellʼAutore 7La lettura allegorica dellʼAntico Testamento 8Genere letterario 9

Lʼimpresa 10Lʼemblema 11

Testi 12Il sonetto di dedica 12Le ottave 13

Le didascalie 13Genesi 1 13Esodo 36 13

I riassunti 14Genesi 29 14Esther 7&8 14

La propaganda 14Genesi XVI 14Esodo XV 15Levitico X 16

La narrativa pura 16Genesi XXXVII 16Giona II&III 17

Lʼesegesi biblica 17Genesi XLI 17

La perfetta integrazione tra immagine e testo 18Genesi XXXVII 18Esodo X 18Giobbe I&2 18

Bibliografia 19Sitografia 19

dott. Marcello Racchini Su “L’Antico Testamento” illustrato da Damiano Maraffi

IntroduzioneQuello che andiamo ad incontrare oggi, con lo scopo di cercare di conoscerlo un poʼ più a fondo, è un libro che non rientra nel “canone” tradizionale dei testi che si studiano a scuola, quelli che potremmo definire tranquillamente “i classici” della nostra storia letteraria. Ciò però non significa che si tratti di un prodotto poco interessante, quasi trascurabile, e per molti motivi.Anzitutto perché il testo conservato nella Biblioteca del Carrobiolo è una cinquecentina, cioè un libro a stampa edito nel XVI secolo, che è di una certa rarità al giorno dʼoggi: le tirature allʼepoca si attestavano su una media di circa 1500 copie; in Lombardia al momento ne risultano censite 17 (esclusa questa)1, in tutta Italia 262. Una veloce ricerca tra le proposte delle Case dʼasta presenti in Internet, o sul mercato dei libri antichi, ci rivela che il nostro libretto non vale meno di 3000 €: non è il Codice Leicetser che Bill Gates si è aggiudicato nel 1994 per 30 milioni di dollari, ma nemmeno un tascabile in brossura di seconda mano!Ma se i libri andassero valutati solo per il loro valore economico, di investimento, non credo che sarei qui a parlarvi di questo testo, né che voi sareste qui ad ascoltarmi.Questo libro ha ben altri pregi, che cercheremo di sviscerare in questa presentazione, che sarà necessariamente breve e che non vuole avere uno scopo accademico, ma semplicemente essere uno stimolo per chi, più dotato e bravo di me, volesse approfondire la conoscenza e lo studio delle numerose opere simili a questa raccolte presso la Biblioteca del Carrobiolo.Il libroAccostiamoci al testo, dunque, partendo dalle informazioni che ci dà di sé. DescrizioneIl titolo completo, in caratteri misti maiuscoli e minuscoli, riportato nel frontespizio recita: FIGURE DEL VECCHIO TESTAMENTO, CON VERSI TOSCANI, PER Damian Maraffi nuovamente composti,illustrate. Il colophon, insieme alla marca ci fornisce, in caratteri maiuscoli, una scarna indicazione dei riferimenti di stampa: IN LIONE, PER GIOVANNI DI TOVRNES, M. D. LIIII.Il libro è stampato in ottavo: non un tascabile, ma nemmeno una edizione di lusso; è rilegato in pergamena, e consta di 136 fogli, cioè 272 pagine, che però non sono numerate alla maniera moderna, ma riportano solo una numerazione dei fascicoli, in lettere latine da A ad R.StrutturaDietro al frontespizio abbiamo una silografia con il ritratto dellʼAutore, indicato da un distico elegiaco in latino, una sorta di dotta didascalia che si rivolge direttamente al lettore:

cioè “Se tu volessi vedere il vero volto di Maraffi / questa immagine lo presenta ai tuoi occhi in maniera assai somigliante”.

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1 Su Edit16 - Censimento nazionale delle edizioni italiane del XVI secolo a cura delʼICCU (Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle biblioteche italiane e delle informazioni bibliografiche) alla pagina http://edit16.iccu.sbn.it/scripts/iccu_ext.dll?fn=10&i=34983

2 Sul Cataolgo online dellʼICCU: http://www.sbn.it/opacsbn/opac/iccu/free.jsp

Alla pagina successiva entriamo nel vivo della scrittura con la lettera dedicatoria che lʼAutore ha scritto A LʼILLUSTRISSIMA & Eccellentissima Prencipessa Madama Margherita di Francia, Duchessa di Berrì, corredata da un sonetto in lode della stessa Margherita.Segue unʼaccorata allocuzione AL PIO, E PRVDENTE LETTORE che conclude tutto lʼapparato introduttorio e ci lascia nelle mani di un Prologo che assume finalmente la forma poetica che poi sarà stabile per tutto il libro, quella dellʼOttava di endecasillabi.Da qui in avanti ogni pagina si presenta identica nella forma, con un titolo in alto che riporta in maiuscolo il nome del Libro dellʼAntico Testamento abbreviato e il numero romano del capitolo illustrato, nella metà superiore della pagina una incisione e in quella inferiore unʼOttava di endecasillabi dallʼandamento metrico assolutamente regolare (schema AB AB AB CC). Le uniche variazioni di questo schema grafico si presentano nei Prologhi che introducono i diversi libri dellʼAntico Testamento da cui sono attinti gli episodi narrati; in tre soli casi (alla fine di Genesi, di Esodo e di 2 Maccabei, che è anche il libro conclusivo) lo schema viene alterato.Gli episodi presi in considerazione sono in tutto 222 e sono estratti da un numero limitato di libri, con uno sbilanciamento fortissimo. LʼAntico Testamento a cui si faceva riferimento al tempo era ancora la Vulgata nella edizione gerolinimiana, che era poi quella canonizzata a Nicea3, che constava di 46 libri. Nel nostro testo i brani provengono da 19 libri, tutti citati con la denominazione della Vulgata (che a volte differisce da quella moderna); la distribuzione degli episodi è tutta squilibrata verso lʼinizio: Genesi con 88 incisioni ed Esodo con 77 rappresentano quasi il triplo degli episodi di tutti gli altri libri messi insieme4. Alla fine dei quadri tratti da Genesi abbiamo una “coda” di due ottave, aggiunte a quella che commenta lʼultima scena di quel libro; alla fine di Esodo una vera e propria interruzione con una Nota come deʼ precedenti miracoli tu possa ricavare infiniti tesori; alla fine di 2 Maccabei tre ottave che possiamo individuare come un commiato dellʼautore.Whoʼs whoLʼautore dei testiMa chi è questo “autore”? Ho trovato tracce del nostro Maraffi in due dizionari onomastici di fiorentini illustri: quello del padre gesuita Giulio Negri, pubblicato nel 1722 a Ferrara5, che a sua volta cita quello

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3 Concilio di Nicea 325; Girolamo rivede la traduzione latina della Bibbia dal 380 circa al 405, e da allora il testo non subirà variazioni di rilievo fino alla revisione detta Clementina del 1592, 15932, 15983, nata dalle esigenze del Concilio di Trento.

4 Levitico (4), Giudici (6), Rut (1), 1 Re (che noi chiamiamo 1 Samuele; 4), 2 Re (ovviamente 2 Samuele; 4), 3 Re (che per noi è 1 Re; 7), 4 Re (cioè 2 Re; 10), 2 Paralipomeni (oggi 2 Cronache; 3), 2 Esdra (ossia Neemia; 1), Tobia (diventato, nella Nova Vulgata, Tobi; 4), Giuditta (1), Ester (1), Giobbe (1), Ezechiele (1), Daniele (4), Giona (3), 2 Maccabei (2): 57 silografie contro 165.

5 Giulio Negri S.J., Historia degli scrittori fiorentini, FE per Bernardino Pomatelli, 1722; il libro in formato .pdf si può scaricare liberamente su Google Books allʼindirizzo http://books.google.it/books?id=urJUAAAAYAAJ&printsec=frontcover&dq=Istoria+degli+scrittori+fiorentini++Di+Giulio+Negri&source=bl&ots=d_mgNhxVWP&sig=Xd1_xOkoqIPn7thRbv0fg3vTidg&hl=it&sa=X&ei=ujdUUOLHLYX54QSbhoGQDg&ved=0CDYQ6AEwAA#v=onepage&q=Istoria%20degli%20scrittori%20fiorentini%20%20Di%20Giulio%20Negri&f=false

del Servita Michele Poccianti pubblicato nel 1589 a Firenze6, soprattutto perché, in buona sostanza, lo copia ampliandolo un poʼ con qualche brano ricavato dallʼopera stessa. Procedimento improprio per un biografo, certo, ma tutto sommato comprensibile: le notizie del Poccianti sono scarne fino all'esasperazione, e vertono, in pratica, solo su due opere del Maraffi: questa antologia dellʼAntico Testamento e la sua gemella sul Nuovo. Per di più, il Poccianti commette un errore grossolano a proposito del ciclo di incisioni che rappresenta il vero cuore dei libri, attribuendole ad Albrecht Durer7 , mentre noi sappiamo oggi che sono opera di Bernard Salomon, incisore “di fiducia” della tipografia Tournes di Lione8. La situazione ci impone dunque di andare coi piedi di piombo, e sfruttare le nostre fonti come indizi di un percorso, più che come fotografie di un individuo. Cosa possiamo ricavare da questi due testi così avari di notizie? 1. Damiano Maraffi non era certo un personaggio eccezionale, tale da suscitare memoria

imperitura: a soli trentacinque anni dalla pubblicazione delle due “Figure”, tutto ciò che restava della sua vita nella dotta memoria dei compilatori erano solo quei libri;

2. il che significa anche che aveva prodotto poco altro, e che quel poco non era allʼaltezza di queste due antologie9;

3. ambedue i biografi (e i cataloghi moderni: basta vedere quello online del Sistema Bibliotecario Nazionale10) riportano lʼindicazione “floruit 1554”, cioè “ebbe il suo momento di massimo splendore” proprio nellʼanno di pubblicazione del nostro libro, che una volta di più ci appare per quello è veramente: il capolavoro di un illustre sconosciuto fiorentino.

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6 Michele Poccianti S.B.V.M., Catalogus scriptorum Florentinorum omnis generis, quorum et memoria extat… , FI apud Philippum Iunctam, 1589; si può scaricare http://books.google.it/books?id=fHo8AAAAcAAJ&printsec=frontcover&dq=michele+poccianti&hl=it&ei=H9iSTamyM5Oo8QODmeXmAw&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=2&ved=0CC8Q6AEwAQ%23v=onepage&q&f=false#v=onepage&q=michele%20poccianti&f=false.

7 Albrecht Dürer, Norimberga 1471 - 1528, fu il più grande maestro dellʼarte dellʼincisione nel Rinascimento tedesco e, probabilmente, europeo.

8 Il padre Negri parla della “peritissima mano del famosissimo Alberto Dano pittore tedesco” e probabilmente si riferisce sempre a Dürer, e secondo me qui o si tratta di un errore di stampa, o di una sua fantasiosa traduzione del nome del famoso pittore (che per quanto mi riguarda non ho mai incrociato sotto le spoglie di “Alberto Dano” o “Danese”).

9 Il già citato catalogo dellʼEdit16 riporta altri due titoli: a) Giulio Ossequente De' prodigii. Polidoro Vergilio de' prodigii lib. III. Per Damiano Maraffi, fatti toscani, in

Lione : per Giouan di Tournes, 1554; la traduzione in Italiano dellʼopera di Giulio Ossequente, una compilazione del IV sec. (ritrovata tra il 1495 e il 1506 in Francia da Giovanni Giocondo, ed. princeps per Manuzio nel 1508) che spigola nellʼopera di Tito Livio i fatti più incredibili, dalle nascite di mostri agli scudi volanti alle piogge di carne, insieme a quella dei dialoghi dellʼumanista Polidoro Vergili (pubblicati nel 1531) che prendono di mira i pregiudizi popolari, smontandoli con la razionalità dellʼuomo Rinascimentale;

b) Spechio spirituale delle monache, impresso in Firenze : per Michelagnolo di Bart. di Francesco stampatore : ad instantia di Lorenzo di Fabiano di Benuenuto catolaio, adi xxvii di Marzo 1528; non sono stato in grado di ritrovarne alcun riassunto o silloge o illustrazione, anche perché il catalogo ne censisce una sola copia nella Biblioteca comunale degli Intronati a Siena - il che la dice lunga sullʼinteresse suscitato nel pubblico. Lʼargomento, però, mi pare facilmente deducibile dal titolo.

Interessante notare come si tratti sempre di testi che hanno un contenuto educativo nel senso della paidèia umanistica; le illustrazioni dei due Testamenti e lo Spechio spirituale possono tranquillamente essere catalogati nella letteratura edificante di matrice cattolica che si affermerà in seguito alla Controriforma.

10 http://www.sbn.it/opacsbn/opac/iccu/free.jsp

Credo che il Poccianti ricavi che fu “disciplinis [...] profanis imbutus” dal fatto che ci resta una sua traduzione del trattato di Giulio Ossequente, un autore decisamente minore, di nicchia, oggi diremmo che era “roba da maniaci”, insieme alla considerazione che i dialoghi del Vergili sono esemplati sui classici platonici, così da trasportare chi li leggesse in una ambito non immediatamente “sacro”.Da ciò che Maraffi stesso scrive in diversi punti del testo emerge una indubbia adesione alla dottrina cattolica. Vediamo infatti che nellʼesortazione al lettore dice:

Affermare che “la speranza sicura di arrivare i Paradiso” nasca “dallʼamore di Dio unito alle opere” è esercizio che nessun Luterano si sarebbe mai permesso, dato che come sappiamo per il teologo tedesco lʼunica speranza nella salvezza è da riporre nella fede, e a nulla valgono le “opere buone”. È una delle differenze sostanziali tra il credo riformato e quello cattolico, e di certo un Luterano non avrebbe mai scritto parole del genere.

Anche nel Prologo nel Libro dʼEzechiel Profeta alla prima ottava si sottolinea anzitutto il ruolo sacerdotale di Ezechiele, per g iun ta ev idenz iando che era consigliere del re di Giuda, ambedue

prigionieri e schiavi. Tutte informazioni ricavabili dal racconto biblico, ma anche decisamente integrabili con la propaganda contro Lutero, che non solo avversava i sacerdoti del culto cristiano, ma addirittura “teneva in ostaggio” re e principi con la sua ribellione.Lʼimpianto teologico fedele al papato del libro è chiarito, sin dalla presentazione, in molti luoghi (altri ne vedremo nel corso della presentazione dei testi): il testo, dunque, potrebbe essere annoverato tra la pubblicistica cattolica anti-luterana? In un certo senso sì, anche se manca della violenza che in quel periodo segnava questi argomenti. Il Nostro si mantiene piuttosto su un livello didattico, alle volte un poʼ pietista, soprattutto nei Prologhi, che spesso servono da illustrazione della esegesi tipologica, adottata fin dai primi Padri della Chiesa.

Il libro del Levitico, per esempio, è quello in cui vengono specificate tutte le norme per il sacrificio a Dio: ebbene, è chiaro che tutte le offerte, i sacrifici e gli olocausti (vv.1-2, peraltro un bel tricolon) previsti dallʼantica Legge non sono altro che una prefigurazione (“figura” v.7) dellʼunico vero sacrificio, quello del Cristo, lʼunico in grado di dare un cibo che sostenga il cammino al pellegrino (“viatore” v. 6, che è certamente riferimento alla lettura del viaggio nel deserto come al legoria del nostro passaggio nel la “val le di lacr ime”

mondana; ma mi piace pensare che ci sia anche la ricezione del magistero del più grande di tutti i “pellegrini” della Letteratura, il Padre Dante).

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Lʼautore delle illustrazioniBernard Salomon, noto anche some “il piccolo Salomon”, fu uno dei migliori illustratori francesi del XVI secolo, collaboratore fisso - e il più importante - della stamperia Tournes a Lione. Importantissimo per lo sviluppo della pittura francese, il valore più importante della sua arte sta nella capacità di adattare alle incisione lo stile innovativo della scuola pittorica che sorse alla reggia di Fontainebleau, il luogo fisico in cui la pittura francese recepì i dettami del Manierismo grazie alla presenza degli artisti italiani inviati da re Francesco I, che di quel castello di campagna fece il luogo di rifondazione del Rinascimento francese11.Le incisioni di Salomon sono eccellenti, in perfetto equilibrio tra necessità narrativa, abilità sintetica e potenza simbolica ed evocativa, tanto che qualcuno ha osservato che il suo stile transformed nearly everything he touched into emblem literature - the Bibles, included12. Le illustrazioni per la Bibbia (sia per lʼAntico che il Nuovo Testamento) e per le Metamorfosi di Ovidio13 sono i suoi capolavori: divennero famosissime e fornirono materia di studio a generazioni di studenti di Belle Arti fino a tutto il Seicento, raccolte in album di esempi e canovacci e rielaborate in ogni possibile maniera.LʼeditoreJean de Tournes (o Detournes) tipografo, editore e libraio Lionese (1504 - 1564), fu imprimeur du roi dal 1559. Erudito e umanista, stampò autori antichi e moderni 14 in edizioni accurate nel testo e nella stampa15. Lione era certamente città interessata alle novità culturali, se non altro per via della sua posizione di crocevia tra la Francia mediterranea e quella settentrionale (con la sua vicinanza ai Paesi Bassi e allʼOlanda, ormai saldamente installati nel ruolo di motore economico di questo segmento di storia dellʼEuropa), e risentì fortemente della riforma luterana e degli scontri che ne seguirono16, tanto che lo stesso figlio di de Tournes, Jean II, trasferì i torchi a Ginevra nel 158517.La stamperia dei Tournes era un covo di riformisti e uno snodo di divulgazione delle idee luterane già allʼavvio della sua stroria, con Jean I, lʼeditore del nostro Maraffi? A vedere dal contenuto della nostra “illustrazione dellʼAntico Testamento” non si direbbe proprio.Il dedicatarioUn altro personaggio storico è citato chiaramente nel libro: colei a cui il testo è dedicato, Margherita di Francia, qui ancora con il titolo di Duchessa di Berrì, dato che diverrà Duchessa di Savoia solo nel 1559, grazie al matrimonio con Emanuele Filiberto. Cresciuta

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11 Rosso Fiorentino (1494 - 1540), Primaticcio (1504-1570), Nicolò dell'Abbate (1509-1571), tutti trasferitisi in Francia fino alla morte, con permanenze meno stabili di Benvenuto Cellini (1500-1571) e Girolamo della Robbia (1488-1566).

12 “Trasformava quasi ogni cosa egli toccasse in libri di emblemi everything - compresa la Bibbia” Robert A. Baron, Introduction to the Works of Bernard Salomon based on a DISSERTATION PROPOSAL, pages collected during the late 1960s and early 1970s for a Ph.D. Dissertation undertaken at the Institute of Fine Arts, New York University, under the direction of Professor Colin Eisler, http://www.studiolo.org/BSProject/Outline1.bs.htm

13 La métamorphose d'Ovide figurée, Lyon, De Tournes 1557; nel 1559 esce con versi italiani.

14 Tra cui mi piace ricordare un Dante del 1547.

15 http://www.treccani.it/enciclopedia/jean-de-tournes/

16 R.A. Baron, cit.

17 Dal che si deduce che era calvinista, anzi ugonotto, come erano definiti in Francia a quel tempo i riformisti seguaci di Jean Cauvin. I Tournes rientreranno a Lione soltanto nel 1727.

in una corte assai colta, Margherita è intelligentissima: conosce greco e latino, capisce lʼitaliano e lo spagnolo, si interessa e sostiene le arti e le lettere, la filosofia, le scienze, la matematica, la giurisprudenza. I poeti della Pléiade, che nasce su sua ispirazione, la paragonano ad Atena che, lancia in mano, abbatte i demoni dellʼignoranza. La sua curiosità intellettuale la porta a voler conoscere i temi sollevati dalla Riforma, e naturalmente viene sospettata di aderirvi, e addirittura di tentare di attirare nellʼerrore anche la futura regina, sua cognata Caterina deʼ Medici18: in effetti, sia a Berrì che a Torino si circonda di consiglieri ugonotti19, e a da duchessa sabauda saprà suggerire al marito di tollerare tutte le confessioni cristiane e addirittura di rifiutarsi di perseguitare i Valdesi, come gli chiedeva il Papa. I papi Paolo IV e Paolo V la tennero per certamente eretica, ma non poterono mai dimostrare nulla, nemmeno con lʼintervento di Carlo Borromeo: la duchessa, almeno formalmente, si teneva entro lʼortodossia.Sembra che Maraffi non abbia davvero nessun sospetto di queste accuse: chiama Margherita “cristianissima” e dice che lʼAltissimo ha profuso su di lei tutte le virtù, arriva a giocare si significato sul suo nome, che in latino significa “perla”, per dire che non cʼè bene più prezioso di questo a cui poter dedicare il suo scritto. Forse nel 1554 i sospetti papali sono ancora troppo lontani per preoccupare un autore tanto cattolico - o forse, da bravo umanista, egli non intende tenerne conto, dato che si attagliano bene al suo stesso pensiero.Lʼaspetto letterarioSe il nostro libretto è notevole dal punto di vista del collezionista di libri rari e interessante da quello dello storico che cerca notizie sul periodo Tridentino, anche dal punto di vista della letteratura presenta aspetti che non sono da meno.MetroTutto il libro è dominato dallo schema metrico dellʼottava, con lʼunica eccezione del sonetto che chiude la dedica a Margherita. Le didascalie che accompagnano le incisioni appartengono dunque ad un metro che, nel XVI secolo, è strettamente legato ad un genere letterario preciso, quello del poema cavalleresco.Lʼottava tuttavia nasce assai prima e in altro ambito: è un metro popolare, attestato già nel Duecento con lo schema di rime ABABABCC (rime alternate nei primi sei versi e baciata negli ultimi due) che diverrà poi lo schema “classico” noto come “Ottava Toscana”.Nel XIV secolo si affermerà come metro dei cantari, componimenti di argomento epico cavalleresco, avventuroso, sacro o anche storico - politico caratterizzati dal una destinazione performativa, cioè destinati ad essere narrati di fronte ad un pubblico, solitamente in piazza, in occasione di feste o altre riunioni di folla. Come è normale per le opere strettamente legate allʼoralità, la gran parte dei cantari conservati fino ad oggi è anonima; lʼunico “canterino” che conosciamo con una certa sicurezza è un certo Antonio Pucci di Firenze, in ottimi rapporti con Boccaccio. E fu proprio il Boccaccio, con la sua sensibilità per la letteratura popolare e la narrativa orale, a introdurre questo metro, per così dire, al “piano nobile”, dandogli dignità letteraria in alcuni dei suoi componimenti giovanili20. Alla fine del XV secolo i cantari di argomento epico vengono importati nello

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18 Per quanto pronipote di un papa (Leone X), Caterina non era, di suo, assolutamente favorevole alle guerre di religione, contro cui lottò per tutta la vita cercando di affermare i valori della libertà di coscienza e del dialogo.

19 Un breve del papa Paolo IV del 1564 impone di cacciare da corte questi eretici, ma rimane senza effetto.

20 Il Filostrato, la Teseida e il Ninfale fiesolano.

spazio letterario di corte con il Morgante di Luigi Pulci (1478)21, e di lì a poco trovano definitiva consacrazione con la pubblicazione dellʼOrlando Innamorato di Matteo Maria Boiardo22, che prelude al successo di pubblico e di critica dei due capolavori della poesia italiana del XVI secolo, lʼOrlando Furioso di Ariosto e la Gerusalemme Liberata di Tasso, ambedue poemi cavallereschi in ottave23.Nel Quattrocento però si attesta anche lʼuso (in Poliziano e Lorenzo il Magnifico, per esempio) di ottave isolate a scopo descrittivo, polemico o mordace: è lo strambotto24, che, messo anche in musica, rappresenta lo standard del madrigale nellʼArs Nova codificata da Giovanni da Firenze. Avrà ancora grande successo nel Cinquecento come metro agile, assai adatto agli idilli per la sua misura non estesa, ma nemmeno troppo ridotta, e perché concede allʼautore ottime potenzialità di distribuzione del contenuto allʼinterno della strofa25. Ed è qui che il nostro Maraffi, probabilmente, la ritrova e la elegge a schema metrico fondamentale, probabilmente anche per un condizionamento puramente fisico: i quattordici versi del sonetto sarebbero stati troppi per lo spazio a disposizione sotto le incisioni.La poetica dellʼAutoreMaraffi non entra, certo, nel novero degli autori migliori e più famosi del nostro Cinquecento, ma è certamente perfettamente imbevuto della cultura e della poetica di quel secolo, come dimostrano alcuni passi della sua opera.Anzitutto vale la pena di soffermarsi sullʼappello AL PIO, E PRVDENTE LETTORE ove il Nostro fa esplicito riferimento al tema del “diletto” che serve a tenere avvinto il lettore:

il tema è dʼattualità a metà del ʻ500, e resterà importante a lungo nella nostra storia letteraria26. Qui mi preme rilevare che il tema sarà

affrontato da Torquato Tasso nei suoi Discorsi dellʼarte poetica (1587, ripubblicati nel 1594 come Discrosi del Poema eroico), in cui cerca una risposta convincente alla necessità di coordinare nella poesia il Vero del messaggio cristiano al bello dellʼinvenzione (e quindi

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21 Scritto a Firenze su esortazione di Lucrezia Tornabuoni, la madre del Magnifico, avrebbe dovuto essere una nobilitazione del genere a scopo propagandistico, per esaltare gli ideali feudali a cui intendevano ispirarsi i parvenu del momento; ma il Pulci ne fece una parodia dellʼepica.

22 Prima edizione nel 1495 a Ferrara, seguita da altre sedici. Non che Boiardo sia un poeta eccelso, ma certamente la sua operazione è letterariamente meno rozza di quella di Pulci (per quanto ancora linguisticamente lontana dalla perfezione del capolavoro ariostetsco - e voglio tacere della perfezione di Tasso).

23 Che portano il poema cavalleresco fino alle sue possibilità, letteralmente, ultime: dopo la tormentosissima pubblicazione del capolavoro di Tasso, questo genere letterario si spegnerà di lenta agonia nel secolo successivo, segnata da una decisa virata al comico (il Torracchione desolato di Bartolomeo Corsini, il Catorcio di Anghiari di Federico Nomi, lo Scherno degli dei e il Della Croce racquistata di Francesco Bracciolini, il Malmantile racquistato di Lorenzo Lippi, la Secchia rapita di Alessandro Tassoni).

24 Che in Toscana viene chiamato anche rispetto. Tecnicamente, uno strambotto è a strofa singola, mentre il rispetto è la combinazione di due o tre strofe.

25 Una strofa di otto versi permette di distribuire il testo in due o quattro parti perfettamente simmetriche, ovvero in tre parti sbilanciate verso il fondo; lo schema tradizionale delle rime si presta particolarmente a favorire lʼaprosdòketon.

26 Almeno fino allʼOttocento romantico, quando Manzoni si chiederà a più riprese quale sia il tipo di diletto che può tenere avvinti i suoi lettori al romanzo storico.

della menzogna!) che deve tenere avvinto il lettore. Maraffi, trentʼanni prima, aveva già la soluzione: lʼunione di immagini e parole, che in effetti si stava affermando in quel periodo e che godrà, come vedremo, di enorme successo nel Seicento.Dal punto di visto della teoresi poetica, il nostro è un aristotelico tutto dʼun pezzo:

la prima ottava del Prologo lo dimostra chiaramente, laddove lʼidea per cui il verso è strumento adatto a parlare delle cose più alte, come dimostrano i grandi ingegni del passato è certamente frut to del la tradizione letteraria, che ha però la sua radice nella Poetica dello Stagirita, che in

quellʼepoca, in seguito alla sua reintroduzione in occidente nellʼoriginale greco, si andava riaffermando come fondamento dellʼarte retorica.Lo scopo della poesia, dunque, non è certo quello di accontentarsi della sua bellezza formale, ma insegnare la Verità a proposito di Dio, che è la via che ci conduce a salvezza: Dio si rivela attraverso la Scrittura, e dunque non cʼè attività poetica più alta e meritoria che quella che sia volta alla divulgazione e allʼillustrazione della Parola di Dio espressa attraverso lʼAntico e il Nuovo Testamento27.La lettura allegorica dellʼAntico TestamentoTutto il testo biblico viene dunque letto come una infinita allegoria: delle vicende storiche del Cristo, della Chiesa e di ogni singolo individua, secondo quella esegesi che è stata fondamentale per tutto il cristianesimo sin dalle sue prime origini.Maraffi lo ribadisce soprattutto nei Prologhi, i particolare quello, illuminante, allʼEsodo: Faraone è segno del demonio, che “forzati ci / preme nellʼEgitto deʼ peccati” (ott.III, 7b-8); Mosè è figura Christi che ci guida, con la Croce che è il suo bastone, verso il luogo del suo Regno (ott. IV, 5-8); il Cristo ti fa passare salvo in mezzo al mare del peccato, dove gli empi affogano nel vizio; chi segue Cristo non teme nulla, perché Egli dona la manna che lo sostiene nel cammino verso il Regno promesso (ott. V); non farti idoli dʼoro, ma lascia che Dio scriva nel tuo cuore di pietra la sua Legge: solo così trionferai su tutti i re nemici “ciò è peccati” (ott. VI, 8) e potrai regnare in gloria con Dio, dato che le tue azioni, salite oltre la sfera più alta, saranno iscritte in Paradiso. Ma lʼottava più interessante è di certo lʼultima, con lʼesortazione finale al lettore a non considerare ciò che legge un semplice racconto, ma “figure / dʼaltri misteri” che bisogna guardare con attenzione per decifrare (ott. VIII, 4-5): da notare lʼespressione, assai pregnante, importantissima per comprendere la poetica dellʼAutore, posta in enjambement.

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27 Nel 1554 è in pieno svolgimento il Concilio di Trento, che si è aperto il 13 dicembre del 1545. Il primo decreto dogmatico emesso dal Concilio, lʼ8 di aprile del 1546, riguarda proprio la centralità della Parola di Dio nella religione cristiana: di conseguenza, vi si definisce il Canone delle Scritture e la validità della Tradizione come fonte di Rivelazione in materia di fede e morale.

Il tema della “figura” è in effetti capitale (è il titolo del libro!): Maraffi lo riprende e lo esplicita ancora meglio nella seconda ottava del Prologo nel Libro dei Giudici.Qui il termine “figura” (v.8) è in posizione fortissima (parola rima dellʼultimo verso della strofa, in connessione a “lettura” al v.7) con valore fortemente ambiguo, a riassumere in un colpo solo tutte le intenzioni poetiche dellʼAutore. “Figura” infatti è sia ciò che noi chiamiamo “illustrazione” sia ciò che in termini tecnici si chiama “traslato”, cioè una figura di spostamento di significato (una metafora,

un simbolo, una allegoria). Quindi il lettore dovrà prestare somma attenzione, e leggere con calma, per riuscire a scoprire i tutti i significati che si nascondono sotto la semplice vicenda narrata. Sfida allʼintelligenza del Lettore, allusività, giochi di senso, traslati (in particolare metaforici), sono tutte caratteristiche dellʼestetica del Barocco, che già sono anticipate in questi versi.Genere letterario Ma la questione più intrigante, e a mio avviso il vero motivo per cui vale davvero la pena di leggere il Maraffi, è però legata al collocamento letterario di questo testo, alla sua classificazione tassonomica entro i generi a noi noti della letteratura. Perché non rientra in nessuna delle categorie a cui siamo abituati: non è certamente un romanzo, ed è forse un canzoniere poetico28; non è un poema epico (anche se il suo argomento è in assoluto quello più alto a cui si possa arrivare, come lʼautore tiene a sottolineare in più di un passo), e tanto meno è un poema cavalleresco29; non è un prosimetrum, il genere che tanta fortuna ebbe nel medioevo per argomenti molto simili a quelli trattati qui, né un trattato teoretico di quelli che piacciono tanto al Cinquecento. Il nostro testo ha una caratteristica tutta particolare, che abbiamo già sottolineato parlando della sua struttura: è un libro che compendia immagini e scrittura, una raccolta di “figure”, come recita il titolo, “illustrate” dalle parole del profeta - che, se ci pensiamo bene, è lʼesatto contrario di come pensiamo noi oggi: di solito parliamo di “libri illustrati” quando abbiamo qualche “figura” che ci aiuta a capire il testo.Questo genere di libri nasce nel Cinquecento, si diffonde con una rapidità straordinaria e avrà un successo esagerato nel Seicento30, e viene generalmente indicato con il nome di “Libri di Emblemi”.Pare (ma la materia è intricata, e darne resoconto di tutte le divergenti opinioni sarebbe fin troppo lungo per il nostro incontro di oggi) che questo genere nasca dalle cosiddette

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28 Nella definizione che di questo genere dà il Santagata, che però dice che “il canzoniere ha statuto epistemologico debole”, con il che siamo punto e a capo: se non sappiamo cosa è, anche le nostre “Figure” forse vi rientrano, ma forse no...

29 La differenza fondamentale è che il poema cavalleresco è meno serio, più scanzonato e vanesio di quello epico, che è invece tutto dʼun pezzo, solenne e serioso.

30 Vale per i libri di emblemi lo stesso discorso che abbiamo fatto per il poema: nel Seicento il successo lo porta ad un irreparabile stravolgimento, che lo ucciderà entro la metà del secolo successivo. Deve essere lo stress di essere il migliore, come per molti VIP delle nostre cronache, che per restare “al top” si riempiono di droga e finiscono male. Nihil sub sole novi.

“imprese”, che poi si trasformano in emblemi. Diciamo che per sommi capi, sia lʼimpresa che lʼemblema sono costituiti dallʼunione di unʼimmagine e di un testo che trasmettono un significato attraverso la loro combinazione. Si tratta di un procedimento di amplificazione volto ad ottenere, dallʼaccostamento dei due elementi diversi, un significato più complesso rispetto a quello che si può trasmettere solo con lʼuno o con lʼaltro31.L’impresa“Nel Rinascimento col termine imprese si intendono delle immagini spesso accompagnate da un motto, che avevano il compito di esprimere lʼindole, il carattere, le intenzioni, le aspirazioni e i segreti pensieri e desideri di che le porta”32. Paolo Giovio, nel suo “Dialogo dellʼimprese militari ed amorose”33 ricostruisce la storia delle imprese a partire dai cimieri sugli elmi e dalle immagini che campeggiavano sugli scudi già degli eroi cantati dagli antichi poeti epici: alla fine del Quattrocento si era affermato tra i militari francesi lʼuso i far ricamare sui mantelli il motto (personale o di famiglia), accompagnato da immagini stilizzate che riproponessero le loro gesta belliche più onorevoli34. Questi “quadretti” venivano chiamati “devise” e divennero popolarissimi in tutta Europa, e in Italia divennero popolari con la discesa di Carlo VIII e Ludovico XII35, quando tutti i cavalieri che si schierarono con loro cercarono di imitare le insegne dei loro Capitani. Dai mantelli migrarono poi alle decorazioni di ogni genere (di armi, livree dei servi, carrozze, parietali) e infine alla carta.Giovio indica cinque regole per la costruzione della perfetta impresa:«Sappiate adunque M. Lodovico mio, che lʼInvenzione overo Impresa, sʼella deve havere del buono, bisogna chʼabbia cinque condizioni. Prima, giusta proporzione dʼanima e di corpo. Seconda, chʼella non sia oscura di sorte, cʼhabbia mestiero la Sibilla per interprete à volerla intendere; né tanto chiara chʼogni plebeo lʼintenda. Terza che sopra tutto habbia bella vista, la qual si fa riuscire molto allegra, entrandovi stelle, soli, lune, fuoco, acqua, arbori verdeggianti, instrumenti mecanici, animali bizzarri, e uccelli fantastici. Quarta, non ricerca alcuna forma umana. Quinta richiede il motto, che è lʼanima del corpo, e vuole essere comunemente dʼ una lingua diversa dallʼIdioma di colui, che fa lʼimpresa, perché il sentimento sia alquanto più coperto. Vuole anco esser breve, ma non tanto che si faccia dubbioso; di sorte che di due o tre parole quadra benissimo; eccetto che fusse in forma di verso, ò integro, ò spezzato»36.Giusta la regola numero tre, lʼimmagine si rifece sempre di più ai repertorio di raffigurazioni ampiamente codificati dalla cultura classica e medievale, e in ossequio alla numero due assunse un valore sempre più marcatamente simbolico. Queste due caratteristiche sono la ragione dellʼenorme successo che incontrò nel XVI secolo, dominato dalle due

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31 Per una buona descrizione di impresa e emblema si veda M.C. Fazzini I libri di imprese e di emblemi nella Biblioteca del Seminario Vescovile di Padova (secoli XVI e XVII), Università degli Studi di Roma «La Sapienza» Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari - Corso per Bibliotecari - Tesi di diploma, aa. 2009-2010. Relatore: Prof.ssa Tiziana Pesenti Correlatore: Prof. Alberto Bartola, pp. 43 e ssgg. Il testo è rinvenibile in Internet allʼindirizzo http://www.seminariopadova.it/pg.asp?cd=490

32 M.C. Fazzini, cit., pag. 47.

33 In Vinegia appresso Gabriel Giolito deʼ Ferrari, MDLVI. È il primo trattato teorico che cerchi di mettere un poʼ dʼordine alla materia dei libri dʼimpresa che vedevano in quegli anni una grandissima fioritura.

34 Giovio, cit., pagg. 3-4.

35 Giovio, cit., pag. 5. Carlo VIII scese in Italia nel 1494 per conquistare il Regno di Napoli; Luigi XII, suo successore, nel 1499 per conquistare Milano e Napoli ribellatasi al predecessore.

36 Giovio, cit., pp. 5-6.

ossessioni fondamentali che segnano lʼestetica barocca, quella per la metafora e quella per la “visione”.L’emblemaÈ una forma di impresa più strutturata e più saldamente legata alla tradizione letteraria. Sin dal suo primo apparire37, è sempre composta da tre elementi: un motto (inscriptio) tratto dalla sapienza antica, sacra o profana; un disegno (figura) che può essere simbolico o naturalistico; un brano in versi (subscriptio). Il brano può essere originale (come erano gli epigrammi di Alciati) o una citazione da altri poeti, una volgarizzazione dalla letteratura antica, una variazione sul tema o unʼaltra qualsiasi possibilità. Lʼimportante è che si tratti di versi canonici in una struttura riconoscibile, per lo più breve - di qui l'importanza della nostra ottava.

Dunque si vede come il nostro libretto si attaglia alla definizione dellʼemblema, anche se non con la perfezione che ci piacerebbe: è certamente in tre parti; la figura e i versi esplicativi corrispondono alla richiesta; il motto è assente, ma esiste comunque una scrittura al di sopra della figura, cioè lʼindicazione del libro e del capitolo da cui è tratto lʼepisodio illustrato.Il nostro testo è dunque un “Libro di emblemi”, quello che noi oggi definiremmo uno strumento multimediale per la comunicazione del sapere. Parole e immagini combinate insieme per veicolare un messaggio che è più ampio della mera somma dei significati espressi nei con i due media che lo compongono. Una attività di una modernità sconcertante, che sarà certamente una delle realizzazioni più grandi e geniali del Barocco, ma che ha le sue radici nel Cinquecento, in opere come questa.

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37 A. Alciato, Andreae Alciati Emblematum Libellus, Parigi, Christian Wechel 1534. Nel 1531 era uscita ad Augsburg una versione non autorizzata e senza immagini. Questo testo avrà un successo indescrivibile per tutto il Cinque e il Seicento: originariamente conteneva un centinaio di tavole, nellʼedizione di Tozzi a Padova del 1621 (con il titolo Emblemata Cum Commentariis Amplissimis) sono raddoppiate.

TestiIl sonetto di dedicaChe Maraffi sia un precursore del Barocco lo dimostra già il sonetto di dedica, che non é

certo un capolavoro, ma ci illumina sui caratteri della sua poesia.1. La Regina Sabèa, poi chʼebbe i modi2. E glʼordin visto deʼl gran Salamone:3. Ripiena tutta dʼammirazione, 4. Roppe sua voce in le sacre lodi.5. Servo beato, che tanto ben godi, 6. Ben si felice in tanta visione.7. Ò Re, la fama, ed ogni opinione8. Vinci con tua preferenza, eʼ cuori annodi.9. Ciascun tirato daʼl sacrio splendore10. Vostro, chiar vede, quel di voi si dice11. Margherita, à penʼesserʼombrʼ, aʼl vero12. E preso da incredibile stupore13. Grida, oh casa beata, alma, felice14. Di Margherita, à cui bassʼè lʼImpero.

Potremmo parafrasare così: quando la Regina d i S a b a s i m e r a v i g l i ò a l v e d e r e lʼorganizzazione del Regno di Israele voluta da

Salomone, innalzò una preghiera a Dio che diceva: «Salomone, servo di Dio, sei davvero beato! Tutto quello che la tua fama riferisce di te è nulla rispetto a quel che vedo, che lega il mio cuore a te». O Margherita, chiunque sia attirato dal vostro splendore riesce a vedere chiaramente che quanto si narra di voi può a mala pena essere considerata unʼombra della verità. E, stupito fino allʼincredulità, grida «Beata e piena di ogni felicità la corte di Margherita, in confronto alla quale anche lʼImpero è cosa vile!».Mica male per uno che allʼinizio della dedicatoria diceva che la sua opera non può essere accusata di adulazione...Questo sonetto, dicevo, è alquanto vicino alla poetica del barocco: osserviamo come nel primo piede vengano introdotti la regina di Saba e Salomone, e si annunci la preghiera della Regina, il cui contenuto (Salomone è beato perché ha visione della Verità in Dio38) è poi enunciato nel secondo piede. La prima volta39 è di nuovo dominata dal senso della vista: chi è attirato dallo splendore di Margherita vede chiaramente la differenza tra fama e verità; nella seconda volta, il devoto della contessa innalza la sua lode, chiamando beata la sua casata.Lʼandamento apparentemente parallelo della struttura (presentazione dei personaggi, inno di lode) nasconde al suo interno un andamento chiastico, poiché nella prima parte è una donna a esaltare la beatitudine di un re, nella seconda è il poeta ad esaltare quella di una nobildonna regina: il che configura un uso a sorpresa dellʼespediente retorico che diverrà tipico del Barocco.Altre caratteristiche che anticipano la poesia del Seicento sono lʼinsistenza sul senso della vista (la radice del verbo “vedere” ritorna ai vv. 2, 6 e 10, con visione al v. 6 a dare una

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38 Si tratta di una volgarizzazione dei passi 1Re 10, 8-9 e 2Cr 9, 7-8.

39 Alcuni autori - e io con essi - applicano anche al Sonetto la struttura tradizionale della Strofe della Canzone, divisa in Fronte e Sirima, la prima composta da due Piedi e la seconda da due Volte.

bella variatio) e sullo stupore (ammirazione al v. 3 e stupore al 12, che non a caso sono in collocazione forte a fine di verso e in posizione speculare - il 3 è il terzo e il 12 è il terzultimo verso del componimento); il gioco di chiaroscuro ai versi 10-11 (chiar al v.10 e ombra allʼ11) che configura un ossimoro, altra figura prediletta dallʼestetica del Seicento. Faccio notare che il gioco di luci ed ombre è lʼandamento caratteristico dellʼincisione silografica (che non prevede colori), cioè della tecnica utilizzata per le “figure” del libro.Le ottaveChe Maraffi sia solo un pioniere emerge, nel testo, dalla mancanza di una perfetta continuità nella coordinazione della comunicazione tra immagine e parole. Ho selezionato alcuni testi che mi sembrano significativi e che possono darci lʼidea di come lavorava lo scrittore, di quale sfida avesse di fronte e di quali risultati sia stato in grado di conseguire.Le didascalieAlcune delle ottave si fermano al livello minimo di interazione testo-figura: quello della didascalia, anche se non sono mai delle pure descrizioni. GENESI 1

Tratta della creazione ex nihilo dellʼUniverso, e inizia con un bel “qui” che ne denuncia il legame con lʼimmagine:

qui il lettore (cui si rivolgerà sempre con il tu) è chiamato a veder lʼinvisibile (di nuovo un gioco ossimorico, di nuovo sul verbo che ossessionerà il Barocco, che torna anche al verso 3); in realtà poi il testo si riscatta, poiché descrive in maniera meno pedissequa lʼattività di Dio, arricchendo lʼimmagine di alcune considerazioni che ritiene di suggerire al lettore: il tema che domina lʼottava è quello della varietà nellʼunità (uno dei cavalli di battaglia della fi losofia de l Barocco) , che v iene sottolineato in maniera insistente (la radice

varia in rima equivoca ai versi 4 e 6) e non a caso esplicitato nei due versi finali dove si parla dellʼuomo, vertice della creazione, perfetto in ogni membro e nella armoniosa compagine del tutto (che è, invece, tema tipicamente rinascimentale, basti pensare a tutto il lavoro di pittori e scultori come Leonardo o Michelangelo sulle proporzioni). ESODO 36

Lʼimmagine della Tenda del Convegno viene commentata con una descrizione che sopperisce ai limiti della tecnica di stampa dellʼepoca: la dimensione ridotta obbliga ad una prospettiva piuttosto bizzarra (da cui lʼindicazione dei “pilastri fatti con misura” al verso due), e la resa è necessariamente meno puntuale di quanto sia nel testo. Ma anche lʼottava è pur sempre una stanza breve, laddove il testo sacro si dilunga in una serie di particolari che non possono essere riportati nella loro interezza: il poeta allora gioca di suggestioni che servono ad eccitare la fatasia del lettore e la sua meraviglia di fronte ad unʼopera di mano

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umana, ma progettata direttamente da Dio: e di certo questo è il significato di questa immagine e di quelle seguenti, che altrimenti ci risulterebbero assai curiose: perché inserire una materia così aridamente descrittiva in un formato che non può che risultare inadeguato, se non per esaltarne il Divino progettista?I riassuntiAltre ottave ampliano il racconto dellʼimmagine, a volte a dismisura, integrando interi capitoli che non possono essere narrati nellʼincisione. GENESI 29È la storia del doppio matrimonio di Giacobbe, prima con Lia e poi con Rachele, previo

inganno del futuro suocero Labano: lʼimmagine mostra solo dei pastori al Pozzo di Giacobbe, luogo del primo incontro con Rachele, e il testo riassume in modo magistrale il resto della vicenda.

ESTHER 7&8

Questa ottava è un vero capolavoro: gli 8 capitoli del libro di Ester sono riassunti con eccezionale abilità e rapidità e con distribuzione perfetta della materia. I vv. 1-2 introducono il casus belli e i due personaggi principali: Amàn, perfido consigl iere del re di Babi lonia, e Mardocheo, lʼebreo giusto che rischia la morte.I versi 3-6 sono hanno lo svolgimento della vicenda: il piano di Amàn per eliminare Israele viene scoperto, e denunciata la sua inumana crudeltà.I versi 7 e 8 contengono lo scioglimento della vicenda e lʼintroduzione, quasi

fugace, dellʼeroina eponima del libro: su preghiera di Ester, Mardocheo viene salvato ed Amàn giustiziato su quelle stesse forche che aveva preparato per il Popolo Eletto. E tutto il racconto è fatto dʼun fiato, visto che non ci sono veri punti a scandire le divisioni interne allʼottava: solo alla fine del verso 6, per introdurre alla catastrofe, i due punti (che valgono come un nostro punto e virgola) permettono di cambiare il soggetto, introducendo Ester e facendo di Aman un complemento dʼagente. In questo caso, il significato morale si insinua fino al livello della sintassi: chi pensava di essere il soggetto dellʼazione si ritrova a subire passivamente la vendetta divina.La propagandaAltre ottave contengono un messaggio che è interpretabile come propaganda cristiana o, in alcuni casi, espressamente cattolica e romana. GENESI XVIApparentemente abbiamo un insegnamento sullʼingratitudine, che cancella la fonte del bene ricevuto, e sulla compassione e misericordia di Sara, che accoglie Agar nonostante il

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suo peccato. Ciò che interessa maggiormente qui è il trattamento riservato ad Ismaele, che viene definito “nemico degli uomini e ribelle nei confronti di Dio”. Sullʼinimicizia degli uomini ci siamo, è il senso di Gen.16, 12; ma la ribellione a Dio non è orevista dal testo biblico.

Maraffi certamente interpreta: i discendenti di Ismaele sono, come egli ben sa, quegli A rab i da cu i p rov iene i l P ro fe ta Muhammad, che ha creato lʼIslam, che già n e l M e d i o e v o , e a n c o r a fi n o a l Romanticismo, è considerato unʼeresia del cristianesimo, cioè una “ribellione” a Dio e alla sua Chiesa. E lʼimpero islamico Ottomano è, nel momento in cui Maraffi scrive, il vero e proprio nemico pubblico n° 1 dellʼEuropa cristiana: nel 1529 Solimano il Magnifico arrivano fino fuori delle porte di

Vienna, destando una fortissima impressione nel mondo Occidentale e dando lʼavvio ad una pressione espansiva verso Nord che durerà per altri un altro secolo e mezzo, fino a quando i Turchi non saranno definitivamente respinti nella Battaglia di Vienna del 1683 e rinunceranno alle loro mire espansionistiche in Europa. ESODO XVPassato il Mar Rosso, sommerso lʼesercito nemico, ormai giunti al sicuro, Mosè innalza un cantico di ringraziamento a YHWH che li ha salvati, e Maria risponde guidando il coro delle donne di Israele.

Ma se nel testo sacro si tratta di una rapida indicazione (dietro a lei uscirono le donne con i timpani, formando cori di danze, Es.15, 20b), qui il Nostro la amplia, quasi volesse dimostrare che non cʼè preghiera di r ingraziamento senza organizzazione corale. Che è esattamente ciò che succede in monastero: la vita religiosa è organizzata coralmente in vista della lode a Dio. Ma la vita monastica è uno dei bersagli della polemica di Lutero e uno dei punti di forza della Riforma Tridentina.

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LEVITICO XÈ un episodio ricorrente nellʼAntico Testamento, incentrato sulla punizione di chi non rispetta la Legge.

In questo caso è esplicito il collegamento alla realtà contemporanea: come Nadab e Abiu hanno profanato lʼaltare dei sacrifici e vengono puniti con il fuoco che scende dal cielo, così gli eretici contaminano con un fuoco sacrilego la dottrina della Chiesa, e con il fuoco vengono puniti. In effetti la punizione dellʼeresia era affidata ai roghi, che nel ʻ500 e ʻ600 si moltiplicarono anche in virtù dellʼistituzione da parte di papa Paolo III della “Congregazione della sacra, romana ed universale Inquisizione del

santo Offizio” allo scopo di combattere più efficacemente la Riforma protestante con la bolla Licet ab initio, del 21 luglio 1542.La narrativa puraLʼAntico Testamento è soprattutto una raccolta eccezionale di narrazioni. Oggi questa sua natura è accertata dagli studi di biblistica anche nella Cristianità; per secoli i grandi Rabbini lʼhanno avuto chiaro, tanto che nella tradizione ebraica persino la discussione sullʼadeguamento del Decalogo alle nuove condizioni di vita che il Popolo si trovava ad affrontare in ogni diversa epoca ha spesso preso la forma di splendide narrazioni (i midrashim). Molto spesso il Nostro si lascia affascinare dal contenuto puramente narrativo del testo, e permette alla storia di prendersi uno spazio più ampio della singola ottava, in modo da collegare diversi episodi in una narrazione coerente, spesso usando dei “trucchi narrativi” per aumentare la suspance nel lettore. GENESI XXXVIIÈ una delle più rappresentative in questo senso, e non a caso sfrutta una delle storie più famose di Genesi, quella di Giuseppe, un vero e proprio feuilleton biblico.

I fratelli di Giuseppe lʼhanno appena buttato nella cisterna, convinti da Ruben a non ucciderlo, ed ecco comparire (con effetto di sorpresa reso perfettamente dal “tuttʼ ad un tratto” al v.3) i mercanti diretti in Egitto. Giuda ha lʼidea di venderlo, e la faccenda si risolve rapidamente (“così fu fatto” al v. 5): da qui parte un vero e proprio trailer, un “prossimamante su questi schermi” che occupa i tre versi finali dellʼottava, in cui Maraffi ci spiega che questa decisione spianò la strada al

successo di Giuseppe, che diverrà il più importante degli amministratori del Faraone, come sarà raccontato nelle ottave seguenti (segnatamente la 68, da Gen.41).

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GIONA IGiona, il profeta riluttante, è sordo al comando di Dio.

Lʼottava esplicita anche lʼintenzione morale dellʼautore, lʼinsegnamento ancora valido per coloro che nel mondo non si curano della volontà di Dio e si imbarcano in imprese destinate a girare sempre su sé stesse.Ma il Sommo Bene interviene direttamente sul disobbediente, lo afferra e lo getta nelle profondità del mare (e si noti la descrizione perfetta e incisiva). Un pesce lo inghiotte, ne usc i r à quando D io vo r rà . La conclusione è apparentemente neutra, ma

in realtà appena voltiamo pagina vediamo che lʼimmagine racconta proprio lʼuscita di Giona dal pesce. GIONA II&III

Ottava interessante, che assomma molte caratteristiche: è una didascalia (“vedi il miracol” al v.1); è la continuazione nar ra t i va de l la p recedente ; è un insegnamento morale (“che contra Dio non si può contrastare” v.8); è una bella e dotta applicazione della tecnica allusiva, laddove la “Balena” dopo che lo aveva conserva “vivo” per “tre giorni” nel suo ventre che diventa una “tomba oscura” è evidente riferimento a tutta quella lettura allegorica già applicata dai Padri della Chiesa (e

interna agli stessi Vangeli, come esplicitato in Mt.12, 39-40) che vedeva nella vicenda di Giona un “tipo” di quella del Cristo nel sepolcro.L’esegesi biblicaIn alcune ottave Maraffi introduce una serie di esplicazioni esegetiche del racconto biblico, seguendo lo schema dellʼallegoria tipologica; un esempio lʼabbiamo già incontrato in Giona; ne vediamo un altro in: GENESI XLILa vicenda di Giuseppe è accostata passo per passo a quella del Cristo, in modo da

creare un parallelismo perfetto. Generato dal sommo Padre (Giacobbe, il patriarca che ebbe nome di Israele); venduto da Giuda (il fratello che per primo suggerisce la vendita); odiato dal Popolo ebraico; legato e torturato e poi liberato dal carcere (che allegoricamente è il sepolcro); va in trionfo per il mondo di cui è detto salvatore (Giuseppe salva lʼEgitto dalla carestia e viene acclamato e onorato da tutti).

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La perfetta integrazione tra immagine e testoChe è poi lo scopo di questo genere di scrittura e dei libri di emblemi. Maraffi riesce ad ottenerla in pochi casi, che però sono davvero notevoli per la tradizione di questo genere letterario che nel 1554 è ancora agli albori, e vedrà le sue perfezioni nel secolo successivo. GENESI XXXVII

Giacobbe riconosce le vesti di Giuseppe che i figli gli han riportato dicendo che è stato divorato da un leone. Ma se legg iamo bene i l tes to c i accorgiamo che il Complemento Oggetto del primo verbo (“riconobbe” v.2) è rappresentato dal pronome “le” che evidentemente si riferisce alle “vesti di Giuseppe”, che non sono menzionate nel testo, ma nellʼincisione (in cui occupano una posizione centralissima).

ESODO XNellʼelenco delle piaghe dʼEgitto, lʼottavo posto spetta alle cavallette che consumano i

campi di frumento.Nel commento poetico questi animali sono sono menzionati espressamente, ma sono perfettamente evidenti nellʼincisione. Di nuovo abbiamo il pronome “le” (v.8) che sta per un Complemento Oggetto che è agilmente ricavabile dallʼillustrazione.

GIOBBE I&2Giobbe è il profeta divenuto proverbiale per la sua pazienza. Uomo perfetto nella sua fede

e nella sua venerazione, viene proposto da YHWH quale modello ai suoi “ministri”. Ma il satana, che in ebraico non è nome proprio, ma significa “lʼaccusatore” 40 , chiede di poter mettere alla prova questa fede, portandogli via prima i beni, poi gli affetti, poi la salute. Giobbe resiste alla tentazione di maledire Dio (v.8b, in aprosdòketon dopo una d iv is ione fortissima del verso). Nel testo si perde ogni traccia del Demonio: ma in effetti non cʼè nessun bisogno di menzionarlo, poiché

è evidentissimo nellʼincisione, dove, rappresentato nella consueta iconografia caprina, frusta il povero Giobbe che guarda sconsolato le rovine della sua casa.

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18 40 Da qui lʼuso del termine diabolon in Greco, che ha lo stesso significato, e che in latino diverrà diabulum.

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M.C. Fazzini, I libri di imprese e di emblemi nella Biblioteca del Seminario Vescovile di Padova (secoli XVI e XVII), Università degli Studi di Roma «La Sapienza» Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari - Corso per Bibliotecari - Tesi di diploma, aa. 2009-2010 Relatore: Prof.ssa Tiziana Pesenti; Correlatore: Prof. Alberto Bartola http://www.google.it/u r l ? s a = t & r c t = j & q = f a z z i n i % 2 5 2 0 l i b r i % 2 5 2 0 d i%2520imprese&source=web&cd=9&ved=0CFgQFjAI&ur l=ht tp%253A%252F%252Fwww.seminariopadova.it%252Fdown.asp%253Ffile%253DFAZZINI%252520-%252520Libri%252520di%252520imprese%252520e%252520di%252520emblemi%252520nella%252520Biblioteca%252520del%252520Seminario%252520Vescovile%252520di%252520Padova%252520(secoli%252520XVI%252520e%252520XVII)% 2 5 2 5 2 0 -%2525202010.pdf&ei=JvcxUOfCGIeWswa90YDoBA&usg=AFQjCNEvkLKepcKod3EzLxF8ki0tMvNJkQ

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 70 (2007) s.v. MARGHERITA di Valois, duchessa di Savoia http://www.treccani.it/enciclopedia/margherita-di-valois-duchessa-di-savoia_(Dizionario-Biografico)/

Su Jean de Tournes:http://www.treccani.it/enciclopedia/jean-de-tournes/

Su Bernard Salomon:http://www.droz.org/en/livre/?GCOI=26001100539420http://www.studiolo.org/BSProject/Outline1.bs.htm

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Biblioteca del Carrobiolovicolo del Carrobiolo, 4 Monza

dovuta all’impegno personale e attivo del Direttore p. Davide Brasca e della Bibliotecaria dott.ssa Elena Villa,

che l’autore non potrà mai ringraziare a sufficienza per averlo coinvolto in un progetto tanto affascinante.

Il presente lavoro è stato prodotto con l’ausilio delle infrastrutture tecniche della Opificina Paranthropus

dott. Marcello Racchini Su “L’Antico Testamento” illustrato da Damiano Maraffi