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NORME IN TEMA DI INDENNITA’ DI ESPROPRIO E DI DISCIPLINA DELL’EDIFICAZIONE DEI SUOLI Sommario: 1. Premessa .................................................................................................................... 2 2. La vicenda legislativa dell’indennità di esproprio. ................................................ 3 2.1. L'indennità di esproprio nella disciplina del testo unico. ................................... 5 2.1.1 La determinazione delle diverse indennità di esproprio. .............................. 6 2.1.2. L’indennità di esproprio di aree edificabili ................................................ 7 2.1.3. L’indennità di esproprio di aree legittimamente edificate. .......................... 8 2.1.4. L’indennità di esproprio di aree non edificabili........................................... 9 2.1.5. L’indennità ordinaria si applica anche all’occupazione appropriativa. ..... 9 3. Contenuti delle sentenze della Corte Costituzionale e della CEDU ................... 12 4. La proposta legislativa............................................................................................ 16 5. Testo Normativo ...................................................................................................... 18

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NORME IN TEMA DI INDENNITA’ DI ESPROPRIO

E DI DISCIPLINA DELL’EDIFICAZIONE DEI SUOLI

Sommario:

1. Premessa .................................................................................................................... 2

2. La vicenda legislativa dell’indennità di esproprio. ................................................ 3

2.1. L'indennità di esproprio nella disciplina del testo unico. ................................... 5

2.1.1 La determinazione delle diverse indennità di esproprio. .............................. 6

2.1.2. L’indennità di esproprio di aree edificabili ................................................ 7

2.1.3. L’indennità di esproprio di aree legittimamente edificate. .......................... 8

2.1.4. L’indennità di esproprio di aree non edificabili........................................... 9

2.1.5. L’indennità ordinaria si applica anche all’occupazione appropriativa. ..... 9

3. Contenuti delle sentenze della Corte Costituzionale e della CEDU ................... 12

4. La proposta legislativa............................................................................................ 16

5. Testo Normativo...................................................................................................... 18

On. Prof. Pierluigi Mantini

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1. Premessa

Il presente studio intende formulare una proposta normativa ragionata a seguito del

“vuoto” determinato dalle recenti sentenze della Corte Costituzionale (n. 348 e n. 349

del 2007) in materia di indennità di espropriazione.

La determinazione della misura dell'indennizzo, dovuto, ai sensi dell'art. 43 terzo

comma Cost., al proprietario espropriando è questione complessa e controversa perché

i diversi criteri nel tempo stabiliti dal legislatore sono stati giudicati incostituzionali

dalla Corte o hanno offerto risposte solo parziali alle necessità.

La stessa Corte Costituzionale, protagonista di una rilevante giurisprudenza in materia,

ha avuto una sua discutibile evoluzione: siamo passati dalle sentenze che definivano

l'indennità come « serio ristoro » o « quasi valore venale » o « equo indennizzo » alla

più modesta definizione (Corte Costituzionale sentenza n. 283/1993) secondo cui è

costituzionalmente sufficiente che l'indennità non si risolva in una misura « meramente

simbolica ».

Anche la normativa introdotta per adeguarsi ai dettami della Corte Costituzionale,

ossia l'art. 5-bis della legge 8 agosto 1992, n. 359, aveva comunque natura

«transitoria» in attesa della definitiva ed organica disciplina della materia.

Si è così giunti alle soglie del T.U. Espropri senza aver risolto molti problemi tra cui in

particolare la questione della identificazione di criteri certi per distinguere le aree

edificabili rispetto a quelle agricole.

È chiaro infatti che, nell'uno o nell'altro caso, i valori da indennizzare sono molto

differenti.

Le recenti sentenze n. 348 e 349 del 2007 della Corte Costituzionale , che travolgono

la misura dell’indennità di espropriazione in Italia, costituiscono nel contempo un

problema e un’opportunità di grande rilievo.

Il problema è dato dal fatto che gli effetti economici, come impatto del debito sul

bilancio pubblico, sono ingenti e non più trascurabili.

Non vi sono stime attendibili ma le sole cause dinanzi alla Corte Europea per i Diritti

dell’Uomo sono alcune centinaia (nella sola sentenza Scordino la stima del maggior

debito supera il milione di euro) e sono migliaia i contenziosi in materia di

opposizione alla stima dell’indennità di espropriazione innanzi le Corti d’Appello

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italiane mentre altrettanto numerose sono le controversie riguardanti l’istituto

dell’occupazione appropriativa (per illecito della P.A.).

Non si potrà continuare ad accumulare il debito sotto il tappeto perchè gli effetti delle

sentenze espressamente riguardano tutti i “procedimenti in corso”.

L’opportunità è quella offerta dall’urgenza a provvedere che costringerà il legislatore

ad intervenire in modo sollecito.

Sennonché, nell’affrontare il tema della riscrittura di un indennizzo satisfattivo del

valore di mercato del terreno espropriato, come impone la Corte, sarà utile non

limitarsi alla nuova determinazione del quantum dell’indennizzo ma invece regolare

anche il “contesto” dell’espropriazione, il concetto di “vocazione edificatoria”

dell’area, i vincoli, le forme possibili di compensazione, di perequazione, le misure

utili per marginalizzare le espropriazioni con piani urbanistici non sempre vincolanti e

conformativi: in altri termini, è utile e necessario stabilire norme sulla disciplina delle

proprietà e delle trasformazioni edilizie dei suoli.

Una tale “dimensione” dell’intervento è utile per tre ordini di ragioni.

In primo luogo, perchè non si può abbandonare alle regioni, neppure in epoca di

confuso federalismo, il regime civilistico delle proprietà trasformando la riserva di

legge statale, stabilita dall’art. 42 Costituzione, in “riserva di legge regionale”.

In secondo luogo, perchè è da tempo attesa una legge di principi sul governo del

territorio che invece è arenata al Senato.

In terzo luogo perchè le idee finiscono per rivendicare i loro diritti sulle ideologie e,

dopo decenni di estenuante scontro sul regime dei suoli, combattuto in nome di

opposte ideologie (liberali e socialiste), è tempo di addivenire a soluzioni post-

ideologiche e concrete su una vexata quaestio che non può essere abbandonata solo

per comodità (o sfinimento) dei contendenti.

E’ necessario, in altri termini, stabilire i principi essenziali della misura dell’indennità

di espropriazione e delle nozioni di edificabilità dei suoli e dei relativi vincoli di

gestione.

2. La vicenda legislativa dell’indennità di esproprio.

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Il criterio per la determinazione dell’indennizzo contenuto originariamente nella legge

n. 2359 del 1865, secondo cui il valore di partenza per la determinazione

dell’indennità di esproprio doveva ritenersi quello di mercato, ha subito nel corso del

tempo solo marginali modificazioni fino all'entrata in vigore della legge 865/1971 e

della legge 1/1978.

In particolare, con l'art. 16 della legge 865/1971 il legislatore ha optato per una

radicale riforma dell’istituto attraverso l’introduzione del principio secondo cui il

valore delle aree non edificate doveva essere quello agricolo con la conseguente

applicazione di una stima espropriativa enormemente più bassa del reale valore di

mercato.

Con la nota sentenza n. 5 del 1980, la Corte Costituzionale ha abrogato l'art. 16,

sostenendo che il criterio generalizzato del valore agricolo si manifestava illegittimo in

quanto non vi si teneva conto dell'effettiva consistenza e valore del bene

specificatamente caduto in esproprio.

Negli anni successivi, in mancanza di nuove norme (fatta eccezione per la legge-

tampone 385/1980 che introduceva il criterio dell'anticipo e del conguaglio

dell'indennità, in seguito dichiarata incostituzionale con sentenza n. 223/1983) veniva

quindi sempre applicata la legge 2359/1865 che, come detto, connetteva l'indennità di

esproprio al «giusto prezzo che avrebbe avuto l'immobile in una libera contrattazione».

Le successive disposizioni in tema di quantificazione dell'indennità sono state, infine,

introdotte con l'art. 5-bis della legge 359/1992 che, per espressa dichiarazione

contenuta nell'articolo medesimo, ha dato una soluzione della questione solo

temporanea in attesa che tutta la materia dello jus aedificandi e dell'espropriazione

trovasse una organica sistemazione legislativa.

L'art. 5-bis della legge 359/1992 stabiliva, infatti, che fino all'emanazione di

un'organica disciplina per tutte le espropriazioni preordinate alla realizzazione di opere

o interventi da parte o per conto dello Stato, delle regioni, delle province, dei comuni e

degli altri enti pubblici o di diritto pubblico, anche non territoriali, o comunque

preordinate alla realizzazione di opere o interventi dichiarati di pubblica utilità,

l'indennità di espropriazione per le aree edificabili fosse determinata a norma

dell'articolo 13, terzo comma della legge 15 gennaio 1885, n. 2892, sostituendo in ogni

caso ai fitti coacervati dell'ultimo decennio il reddito dominicale rivalutato di cui agli

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articoli 24 e seguenti del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto

del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917. L'importo così determinato

veniva ridotto del 40 per cento.

In ogni fase del procedimento espropriativo il soggetto espropriato poteva convenire la

cessione volontaria del bene evitando così la riduzione del 40% (allo scopo di favorire

l'accordo bonario).

Per la valutazione della edificabilità delle aree si dovevano considerare le possibilità

legali ed effettive di edificazione esistenti al momento dell'apposizione del vincolo

preordinato all'esproprio.

La disciplina dell'art. 5-bis non si discostava di molto dalle soluzioni prospettate nei

disegni di legge degli anni passati (« ...media sul valore venale e sui fitti coacervati

dell'ultimo decennio... ») sicché l'indennità di esproprio risultava pari alla media tra il

valore reale del bene ed il reddito dominicale rivalutato.

La norma fu ripetutamente portata all'esame della Corte Costituzionale fino a quando,

con sentenza n. 283 del 10-16 giugno 1993, la Corte concluse per la sua legittimità.

Un ulteriore elemento, rilevante ancora sotto il profilo economico, consisteva nella

previsione dell'ulteriore abbattimento del venti per cento a titolo di prelievo fiscale

previsto dall'art. 11 della legge 413/1991 (« Disposizioni per ampliare la base

imponibile... ») il quale disponeva che gli enti eroganti, all'atto della corresponsione

delle somme dovute a titolo di indennità di esproprio, di occupazione e relativi

interessi, nonché per cessioni volontarie o per occupazione d'urgenza divenuta

illegittima (quindi a titolo di risarcimento del danno) dovevano operare una ritenuta a

titolo di imposta nella misura del 20 per cento.

2.1. L'indennità di esproprio nella disciplina del testo unico.

Il T.U. Espropri, recependo l’ampio dibattito giurisprudenziale sui criteri per la

determinazione del valore del bene e per la successiva stima dell’indennità, ha definito

chiaramente le regole generali per procedere alla predetta determinazione e recuperare

così il quadro di oggettiva incertezza esistente nel regime previgente.

Innanzitutto, il valore del bene (anche nel caso di espropriazione di un diritto diverso

da quello di proprietà o di imposizione di una servitù) deve essere determinato sulla

base delle sue caratteristiche al momento dell’accordo di cessione o alla data

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dell’emanazione del decreto di esproprio, valutando l’incidenza dei vincoli di qualsiasi

natura non aventi natura espropriativa e senza considerare gli effetti del vincolo

preordinato all’esproprio e quelli connessi alla realizzazione dell’eventuale opera

prevista. La determinazione del valore avviene, altresì, tenendo conto delle

costruzioni, delle piantagioni e delle migliorie esistenti tranne nel caso in cui risulti,

avuto riguardo al tempo in cui furono fatte e ad altre circostanze, che le predette

costruzioni, piantagioni e migliorie siano state realizzate dopo la comunicazione

dell’avvio del procedimento e, quindi, con la finalità di conseguire una maggiore

indennità (art. 32 T.U. Espropri).

Specifiche disposizioni vengono dettate dall’art. 33 del T.U. Espropri per le ipotesi di

esproprio parziale di un bene unitario. In tal caso, il frazionamento del bene e la

successiva realizzazione dell’opera possono determinare delle variazioni di valore che

possono andare a vantaggio o svantaggio sia del proprietario espropriato che

dell’autorità espropriante.

Per quanto concerne il regime fiscale, viene ribadita la previsione di una trattenuta del

venti per cento sull’indennità da corrispondere per l’esproprio di aree (mentre nulla

viene previsto per l’esproprio di immobili esistenti la cui indennità dovrà essere

valutata, ai fini fiscali, secondo il regime ordinario).

2.1.1 La determinazione delle diverse indennità di esproprio.

Il T.U. Espropri distingue diverse fattispecie di indennità prevedendo, per ciascuna di

esse, differenti modalità di calcolo in ragione delle peculiarità di ciascuna. Viene così

definitivamente abbandonata, anche sulla base della costante giurisprudenza

costituzionale, l’impostazione seguita nella legislazione precedente all’art. 5 della

legge n. 359 del 1992 che tendeva ad uniformare i criteri di determinazione

dell’indennità indipendentemente dal valore reale del bene.

Vengono previste tre diverse fattispecie di indennità riferite alle aree edificabili, a

quelle non edificabili ed a quelle edificate legittimamente. A queste se ne aggiunge

una quarta avente natura trasversale rispetto alle altre e relativa all’indennità per

l’esproprio di aree necessarie per la realizzazione di opere di pubblica utilità da parte

dei privati.

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2.1.2. L’indennità di esproprio di aree edificabili.

Occorre innanzitutto evidenziare che la determinazione della natura edificabile

dell’area oggetto dell’esproprio deve avvenire considerando le possibilità legali ed

effettive di edificazione valutate al momento dell’emanazione del decreto di esproprio

o dell’accordo di cessione escludendo ogni rilievo alle eventuali costruzioni ed opere

presenti sul fondo ma realizzate abusivamente.

Sebbene il T.U. Espropri preveda che i criteri e i requisiti per valutare l’edificabilità di

fatto dell’area dovranno essere puntualmente definiti con un apposito regolamento da

emanare con decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti, l’art. 37 detta a sua

volta specifici parametri i quali dovranno essere utilizzati dall’autorità espropriante

fino alla data di entrata in vigore del regolamento medesimo per le attività di verifica

della sussistenza delle possibilità effettive di edificazione.

Il quarto comma dell’art. 37 stabilisce infatti che, escludendo ogni rilievo ai vincoli

aventi genericamente natura espropriativa ed, in particolare, al vincolo preordinato

all’esproprio, non sussistono le possibilità legali di edificazione quando l’area è

sottoposta ad un vincolo di inedificabilità assoluta in base alla normativa statale o

regionale o alle previsioni di qualsiasi atto di programmazione o di pianificazione del

territorio, ivi compresi il piano paesistico, il piano del parco, il piano di bacino, il

piano regolatore generale, il programma di fabbricazione, il piano attuativo di

iniziativa pubblica o privata, anche per una parte limitata del territorio comunale per

finalità di edilizia residenziale o di investimenti produttivi, ovvero in base ad un

qualsiasi altro piano o provvedimento che abbia precluso il rilascio di atti, comunque

denominati, abilitativi della realizzazione di edifici o manufatti di natura privata.

L’autorità espropriante, pertanto, dovrà determinare, in considerazione delle

caratteristiche oggettive dell’area, se sussistono le condizioni sia legali, derivanti dalle

previsioni degli strumenti urbanistici, che effettive di edificabilità dell’area medesima.

Compiuta la preliminare operazione di determinazione del valore dell’area, l’indennità

di espropriazione di un’area edificabile dovrà, quindi, essere determinata nella misura

pari all’importo, diviso per due e ridotto nella misura del quaranta per cento, pari alla

somma del valore venale del bene e del reddito dominicale netto, rivalutato ai sensi

degli articoli 24 e seguenti del decreto legislativo 22 dicembre 1986, n. 917, e

moltiplicato per dieci.

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Come visto in precedenza, la riduzione del quaranta per cento non si applica se

l’espropriato abbia accettato l’indennità provvisoria, se sia stato concluso l’accordo di

cessione o se esso non sia stato concluso per fatto non imputabile all’espropriato o,

infine, perché a questi sia stata offerta una indennità provvisoria che, attualizzata,

risulti inferiore agli otto decimi di quella determinata in via definitiva (quest’ultima

previsione consente, molto opportunamente, di non addebitare all’espropriato le

conseguenze dannose di una errata definizione dell’indennità provvisoria riconoscendo

la doverosità dell’opposizione alla stima per evitare un grave pregiudizio economico).

L’indennità è, altresì, ridotta ad un importo pari al valore indicato nell’ultima

dichiarazione o denuncia presentata dall’espropriato ai fini dell’imposta comunale

sugli immobili prima della determinazione formale dell’indennità nei modi stabiliti

dall’art. 20, comma 3 e dall’art. 22, comma 1, e dell’art. 22-bis qualora il valore

dichiarato risulti contrastante con la normativa vigente ed inferiore all’indennità di

espropriazione come determinata in base ai commi precedenti.

Infine, qualora l’area edificabile sia utilizzata a scopi agricoli, spetta al proprietario

coltivatore diretto anche una indennità pari al valore agricolo medio corrispondente al

tipo di coltura effettivamente praticato. La stessa indennità spetta al fittavolo, al

mezzadro o al compartecipante che, per effetto della procedura, sia costretto ad

abbandonare in tutto o in parte il fondo direttamente coltivato, da almeno un anno, col

lavoro proprio e di quello dei familiari.

2.1.3. L’indennità di esproprio di aree legittimamente edificate.

Nel caso di espropriazione di una costruzione legittimamente edificata, l’indennità è

determinata nella misura pari al valore venale del bene, a condizione che l’immobile

sia stato edificato legittimamente ovvero sia comunque sanabile ai sensi delle

disposizioni vigenti (in tal caso, l’autorità espropriante, sentito il comune, accerta la

sanabilità ai soli fini della corresponsione delle indennità).

Infatti, qualora la costruzione (ovvero parte di essa) sia stata realizzata in assenza della

concessione edilizia o della autorizzazione paesistica, ovvero in difformità dai predetti

titoli, l’indennità è calcolata, secondo le regole previste per le aree edificabili, tenendo

conto della sola area di sedime in base all’articolo 37 ovvero tenendo conto della sola

parte della costruzione realizzata legittimamente.

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2.1.4. L’indennità di esproprio di aree non edificabili.

Nessuna variazione di rilievo si deve segnalare rispetto al sistema previgente per

quanto concerne la determinazione dell’indennità delle aree agricole la quale deve

essere valutata in modo differente nel caso di area effettivamente coltivata da quello di

area con vocazione agricola ma non coltivata.

Nel primo caso, l’indennità definitiva deve essere determinata in base al criterio del

valore agricolo, tenendo conto delle colture effettivamente praticate sul fondo e del

valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati, anche in relazione all’esercizio

dell’azienda agricola, senza valutare la possibile o l’effettiva utilizzazione diversa da

quella agricola.

Se, invece, l’area non è effettivamente coltivata, l’indennità è commisurata al valore

agricolo medio corrispondente al tipo di coltura prevalente nella zona ed al valore dei

manufatti edilizi legittimamente realizzati.

In ogni caso, l’art. 40 del T.U. Espropri prevede che per l’offerta iniziale prevista

dall’articolo 20, comma 1, e per la determinazione dell’indennità provvisoria, si

applica il criterio del valore agricolo medio corrispondente al tipo di coltura in atto

nell’area da espropriare.

Al proprietario coltivatore diretto o imprenditore agricolo a titolo principale spetta

un’indennità aggiuntiva, determinata in misura pari al valore agricolo medio

corrispondente al tipo di coltura effettivamente praticata.

Spetta, inoltre, una indennità aggiuntiva al fittavolo, al mezzadro o al compartecipante

che, per effetto della procedura espropriativa o della cessione volontaria, sia costretto

ad abbandonare in tutto o in parte l’area direttamente coltivata da almeno un anno

prima della data in cui vi è stata la dichiarazione di pubblica utilità.

2.1.5. L’indennità ordinaria si applica anche all’occupazione appropriativa.

L’indennità stabilita dall’art. 37 si applica anche all’istituto della cd. occupazione

appropriativa, per fatto illecito della P.A.

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La sentenza n. 349 della Corte Costituzionale travolge anche la misura dell’indennità

nei casi di cosiddetta “occupazione appropriativa”, istituto di origine

giurisprudenziale.

Con la nota sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione 16 febbraio 1983,

n. 1464, la giurisprudenza ha introdotto in via pretoria l’istituto della cosiddetta

occupazione appropriativa aprendo così la strada ad una più compiuta definizione

normativa avvenuta però soltanto con il T.U. Espropri1.

Secondo la citata sentenza della Corte di Cassazione, successivamente confermata in

numerose pronunce (vedi Cass. n. 1754 del 1983; n. 2689 del 1984; n. 3118 del 1984

e, più recentemente, n. 1725 del 1994 e 3723 del 1995), nelle ipotesi in cui la pubblica

amministrazione (o un suo concessionario) occupi un fondo di proprietà privata e tale

occupazione sia illegittima, per totale mancanza di un provvedimento autorizzativo o

per decorso dei termini in relazione ai quali l'occupazione si configurava legittima, la

radicale trasformazione del fondo — ove sia ritenuta dal giudice di merito

univocamente interpretabile nel senso dell'irreversibile destinazione di esso al fine

della costruzione dell'opera pubblica — da un lato comporta l'estinzione, in quel

momento, del diritto di proprietà del privato e la contestuale acquisizione a titolo

originario della proprietà del suolo in capo all'ente costruttore e, dall'altro, costituisce

un illecito (istantaneo ad effetti permanenti) che abilita il privato a chiedere nel

termine prescrizionale di cinque anni, dal momento della trasformazione del fondo nei

sensi prima indicati, la condanna dell'ente medesimo a risarcire il danno (2) derivante

dalla perdita del diritto di proprietà mediante il pagamento di una somma pari al valore

che il fondo aveva in quel momento (oltre che del danno derivante dal mancato

1 In realtà, il legislatore aveva provato anche in precedenza a disciplinare l’istituto senza però alcun intento sistematico. L'art. 1, comma 65, della legge 549/1996 (legge finanziaria 1996), sostituendo il 6o comma dell'art. 5-bis della legge 359/1992, aveva espressamente previsto che le disposizioni del medesimo articolo, aventi ad oggetto i criteri per la determinazione dell’indennità di esproprio, si dovevano applicare a tutti i casi in cui, alla data di entrata in vigore della legge della medesima legge n. 359/1992 (ossia il 29 agosto 1992), non erano stati ancora determinati in via definitiva il prezzo, l'entità dell'indennizzo e/o il risarcimento del danno. Con tale disposizione il legislatore aveva di fatto equiparato gli effetti delle espropriazioni illegittime a quelle realizzate legittimamente, dato che sia l'indennità di esproprio che il risarcimento del danno si sarebbero dovuti calcolare tenendo conto esclusivamente dei criteri stabiliti dal succitato art. 5-bis. Tale equiparazione, indotta essenzialmente dalla necessità di risparmio della finanza pubblica, ha suscitato notevoli perplessità poichè eliminava ogni differenza tra attività lecita e quella illecita della P.A. e ciò in evidente contrasto con gli articoli 3 e 97 della Costituzione. Ed infatti la Corte Costituzionale, con sentenza 17 ottobre-2 novembre 1996, n. 369 ha avuto modo di dichiarare l'illegittimità di tale norma mantenendo per le occupazioni appropriative il regime differenziato di origine giurisprudenziale. Successivamente, la legge 662/1996 (legge finanziaria 1997) ha nuovamente equiparato i due regimi riconoscendo un indennizzo maggiorato del dieci per cento rispetto al criterio dell'art. 5-bis ma vanificando, di fatto, il principio di tutela del proprietario illegittimamente espropriato del suo diritto..

2 Al fine della quantificazione del risarcimento del danno subito a causa della perdita della proprietà di un fondo oggetto di accessione invertita, il giudice deve tenere conto della modificazione degli strumenti urbanistici intervenuta successivamente all'occupazione, ma prima della perdita suddetta e, quindi, con riguardo ai terreni aventi destinazione edificatoria, deve valutare le conseguenze dei diversi indici di edificabilità derivanti dalla sopravvenienza dell'art. 17, della legge 765 del 6 agosto 1967 che, relativamente ai Comuni all'epoca dotati di piano regolatore generale, ma non di apposito piano particolareggiato o di lottizzazione convenzionata, ha fissato gli indici suddetti con effetto vincolante anche per le zone in cui lo strumento generale consentiva la realizzazione di superiori volumetrie (Cass. civ., 20 novembre 1993, n. 11474).

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godimento del fondo nel periodo di occupazione illegittima anteriore all'estinzione del

diritto di proprietà privata, durante il quale l'illecito ha carattere permanente e la

prescrizione decorre da ciascun momento di esso), con la rivalutazione per l'eventuale

diminuzione del potere di acquisto della moneta fino al giorno della liquidazione; con

l'ulteriore conseguenza che un provvedimento di espropriazione per pubblica utilità del

fondo, intervenuto successivamente al momento dell'estinzione del diritto di proprietà

privata deve considerarsi del tutto privo di responsabilità da illecito.

Il diritto ad ottenere il risarcimento del danno, quindi, sorge e può essere fatto valere a

partire dal momento in cui siano presenti entrambi gli elementi costitutivi della

occupazione appropriativa, ossia l'illegittimità dell'occupazione e la irreversibile

trasformazione del fondo.

L’art. 43 del T.U. Espropri si è occupato di definire, anche sul piano amministrativo, la

fattispecie dell’occupazione appropriativa evitando così che la dinamica del rapporto

tra la pubblica amministrazione ed il proprietario rimanga limitato al profilo

giurisdizionale. Nel regime precedente, mancando totalmente una previsione

normativa in proposito, l’accertamento della proprietà del bene realizzato e,

soprattutto, la definizione del risarcimento del danno per il privato erano rimessi ad

una pronuncia giurisdizionale ma unicamente nel caso in cui il privato stesso avesse

deciso di agire in giudizio. Nessuna norma, infatti, obbligava specificamente

l’amministrazione a cercare di definire autonomamente gli aspetti connessi alla

occupazione illegittima.

Il citato art. 43 prevede ora che, valutati gli interessi in conflitto, l’autorità che utilizza

un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza del valido ed

efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre

che esso vada acquisito al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario vadano

risarciti i danni. Il passaggio del diritto di proprietà del bene avviene, conformemente

all’orientamento della consolidata giurisprudenza cui il T.U. Espropri ha fatto

riferimento, in conseguenza della trasformazione dello stesso per la realizzazione

dell’opera pubblica ma ad opera di uno specifico atto emanato dall’autorità

amministrativa. Si tratta di un provvedimento autoritativo di contenuto discrezionale

poiché è rimessa alla medesima autorità la valutazione sulla opportunità di procedere

alla acquisizione medesima del bene in questione.

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L’atto di acquisizione, il quale può essere emanato anche quando siano stati annullati

l’atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all’esproprio, l’atto che abbia dichiarato la

pubblica utilità di un’opera o il decreto di esproprio, deve dare atto delle circostanze

che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell’area, indicando, ove risulti, la data

a partire dalla quale essa si è verificata e determinare, conseguentemente, la misura del

risarcimento del danno. Salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti, nelle ipotesi

appena esaminate, Il T.U. Espropri stabilisce altresì che il risarcimento del danno deve

essere determinato nella misura corrispondente al valore del bene utilizzato per scopi

di pubblica utilità e, se l’occupazione riguarda un terreno edificabile, tenendo conto

dei criteri, previsti dalle disposizioni di cui all’articolo 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7 del

medesimo T.U., per la definizione del valore del bene ai fini della determinazione

della indennità di esproprio. La sentenza n. 349/2007 è tranchant sul punto con

motivazioni assolutamente condivisibili (cui si rinvia nel merito)

3. Contenuti delle sentenze della Corte Costituzionale e della CEDU

Le sentenze n. 348 e n. 349 del 2007 della Corte Costituzionale sono state sollecitate

dalle numerose condanne dell’Italia da parte della Corte Europea per i diritti

dell’uomo.

In particolare nella causa Scordino contro Italia, la Corte di Strasburgo con decisione

del 29 marzo, ha stabilito i seguenti principi: a) un atto della autorità pubblica, che

incide sul diritto di proprietà, deve realizzare un giusto equilibrio tra le esigenze

dell'interesse generale e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali degli

individui; b) nel controllare il rispetto di questo equilibrio, la Corte riconosce allo

Stato «un ampio margine di apprezzamento», tanto per scegliere le modalità di

attuazione, quanto per giudicare se le loro conseguenze trovano legittimazione,

nell'interesse generale, dalla necessità di raggiungere l'obiettivo della legge che sta alla

base dell'espropriazione; c) l'indennizzo non è legittimo, se non consiste in una somma

che si ponga «in rapporto ragionevole con il valore del bene»; se da una parte la

mancanza totale di indennizzo è giustificabile solo in circostanze eccezionali, dall'altra

non è sempre garantita dalla CEDU una riparazione integrale; d) in caso di

«espropriazione isolata», pur se a fini di pubblica utilità, solo una riparazione integrale

On. Prof. Pierluigi Mantini

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può essere considerata in rapporto ragionevole con il valore del bene; e) «obiettivi

legittimi di utilità pubblica, come quelli perseguiti da misure di riforma economica o di

giustizia sociale possono giustificare un indennizzo inferiore al valore di mercato

effettivo». In sostanza, poiché i criteri di calcolo dell'indennità di espropriazione

previsti dalla legge italiana porterebbero alla corresponsione, in tutti i casi, di una

somma largamente inferiore al valore di mercato (o venale), la Corte europea ha

dichiarato che l'Italia ha il dovere di porre fine ad una violazione sistematica e

strutturale dell'art. l del primo Protocollo della CEDU, anche allo scopo di evitare

ulteriori condanne dello Stato italiano in un numero rilevante di controversie seriali

pendenti davanti alla Corte medesima

La Corte Costituzionale ha colto doverosamente questa occasione per un delicato

esame della natura delle norme della convenzione europea escludendo che esse

comportino, come le norme dei trattati europei, in cui si cede ad organizzazioni

sovranazionali parte della sovranità statale, ai sensi degli artt. 10 e 11 Costituzione, un

rango prevalente sulle norme interne e un obbligo di “adattamento automatico” anche

da parte del giudice e delle pubbliche amministrazioni nazionali, poichè pur sempre

norme di natura pattizia tra Stati che richiedono, in certa misura, norme interposte.

Tuttavia il particolare rilievo della Convenzione sui diritti fondamentali, la

riconosciuta autonomia giurisdizionale della Corte di Strasburgo in merito ad essi, e il

nuovo testo dell’art. 117, primo comma, che vincola lo Stato e le Regioni al rispetto

degli obblighi internazionali, comporta la competenza della Corte Costituzionale in

ordine alla compatibilità costituzionale dell’interpretazione (non della norma ex se)

con gli interessi costituzionalmente protetti.

Sulla base di questa competenza la Corte ha riletto la precedente propria

giurisprudenza, a partire dalla nozione di “serio ristoro” (sent. n. 5 del 1980),

soffermandosi sulla sentenza n. 283 del 1993 ove si affermò che «l’indennizzo

assicurato all’espropriato dall’art. 42, comma terzo, Cost., se non deve costituire una

integrale riparazione della perdita subita – in quanto occorre coordinare il diritto del

privato con l’interesse generale che l’espropriazione mira a realizzare – non può

essere, tuttavia, fissato in una misura irrisoria o meramente simbolica ma deve

rappresentare un serio ristoro. Perché ciò possa realizzarsi, occorre far riferimento, per

la determinazione dell’indennizzo, al valore del bene in relazione alle sue

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caratteristiche essenziali, fatte palesi dalla potenziale utilizzazione economica di esso,

secondo legge. Solo in tal modo può assicurarsi la congruità del ristoro spettante

all’espropriato ed evitare che esso sia meramente apparente o irrisorio rispetto al

valore del bene».

Con la sentenza n. 348/2007 la Corte ricorda che in quella decisione ebbe ad affermare

che anche “una sfavorevole congiuntura economica” può conferire un diverso peso ai

confliggenti interessi oggetto di bilanciamento e che questa valutazione è stata

rilevante per concludere sulla non incostituzionalità dell’art. 5-bis legge 359 del 1992.

Come noto l’art. 5-bis del decreto-legge n. 333 del 1992, convertito, con

modificazioni, dalla legge n. 359 del 1992, prescrive, al primo comma, i criteri di

calcolo dell’indennità di espropriazione per pubblica utilità delle aree edificabili, che

consistono nell’applicazione dell’art. 13, terzo comma, della legge 15 gennaio 1885, n.

2892 (Risanamento della città di Napoli), «sostituendo in ogni caso ai fitti coacervati

dell’ultimo decennio il reddito dominicale rivalutato di cui agli articoli 24 e seguenti

del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n.

917». L’importo così determinato è ridotto del 40 per cento. Il secondo comma

aggiunge che, in caso di cessione volontaria del bene da parte dell’espropriato, non si

applica la riduzione di cui sopra.

Ora però, a giudizio della Corte, la situazione economico-finanziaria del Paese, per

quanto gravata da un forte debito pubblico, non è più quella del 1993 e il diverso

contesto storico giustifica un adeguamento del “serio ristoro” del proprietario

espropriato che riporti la misura dell’indennizzo più vicina al valore venale del bene.

Al riguardo la Corte conclude nel senso che l’art. 5-bis ribadito nell’art. 37 T.V.

espropriazioni, che “prevede un’indennità oscillante, nella pratica, tra il 50 ed il 30 per

cento del valore di mercato del bene – non supera il controllo di costituzionalità in

rapporto al «ragionevole legame» con il valore venale, prescritto dalla giurisprudenza

della Corte di Strasburgo e coerente, del resto, con il «serio ristoro» richiesto dalla

giurisprudenza consolidata di questa Corte. La suddetta indennità è inferiore alla soglia

minima accettabile di riparazione dovuta ai proprietari espropriati, anche in

considerazione del fatto che la pur ridotta somma spettante ai proprietari viene

ulteriormente falcidiata dall’imposizione fiscale, la quale – come rileva il rimettente –

si attesta su valori di circa il 20 per cento. Il legittimo sacrificio che può essere

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imposto in nome dell’interesse pubblico non può giungere sino alla pratica

vanificazione dell’oggetto del diritto di proprietà.

Tuttavia, a giudizio della Corte, si deve “riaffermare che il legislatore non ha il dovere

di commisurare integralmente l’indennità di espropriazione al valore di mercato del

bene ablato. L’art. 42 Cost. prescrive alla legge di riconoscere e garantire il diritto di

proprietà, ma ne mette in risalto la «funzione sociale». Quest’ultima deve essere posta

dal legislatore e dagli interpreti in stretta relazione all’art. 2 Cost., che richiede a tutti i

cittadini l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà economica e sociale.

Livelli troppo elevati di spesa per l’espropriazione di aree edificabili destinate ad

essere utilizzate per fini di pubblico interesse potrebbero pregiudicare la tutela

effettiva di diritti fondamentali previsti dalla Costituzione (salute, istruzione, casa, tra

gli altri) e potrebbero essere di freno eccessivo alla realizzazione delle infrastrutture

necessarie per un più efficiente esercizio dell’iniziativa economica privata.”

Ciò premesso, secondo la Corte, valuterà il legislatore se l’equilibrio tra l’interesse

individuale dei proprietari e la funzione sociale della proprietà debba essere fisso e

uniforme, oppure, in conformità all’orientamento della Corte europea, debba essere

realizzato in modo differenziato, in rapporto alla qualità dei fini di utilità pubblica

perseguiti. Certamente non sono assimilabili singoli espropri per finalità limitate a

piani di esproprio volti a rendere possibili interventi programmati di riforma

economica o migliori condizioni di giustizia sociale. Infatti, l’eccessivo livello della

spesa per espropriazioni renderebbe impossibili o troppo onerose iniziative di questo

tipo; tale effetto non deriverebbe invece da una riparazione, ancorché più consistente,

per gli «espropri isolati», di cui parla la Corte di Strasburgo.

Con la sentenza n. 349 la Corte estende all’istituto dell’occupazione appropriativa la

censura di incostituzionalità aderendo ai rilievi della Corte di Strasburgo.

La Corte europea nel considerare specificamente la disciplina dell’occupazione

acquisitiva, ha anzitutto premesso e ribadito che “l’ingerenza dello Stato nel caso di

espropriazione deve sempre avvenire rispettando il «giusto equilibrio» tra le esigenze

dell’interesse generale e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali

dell’individuo (Sporrong e Lönnroth c. Svezia del 23 settembre 1982). Inoltre, con

riferimento allo specifico profilo della congruità della disciplina censurata, la Corte

europea ha ritenuto che la liquidazione del danno per l’occupazione acquisitiva

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stabilita in misura superiore a quella stabilita per l’indennità di espropriazione, ma in

una percentuale non apprezzabilmente significativa, non permette di escludere la

violazione del diritto di proprietà, così come è garantito dalla norma convenzionale

(tra le molte, I Sezione, sentenza 23 febbraio 2006, Immobiliare Cerro s.a.s.; IV

sezione, sentenza 17 maggio 2005, Scordino; IV Sezione, sentenza 17 maggio 2006,

Pasculli); e ciò dopo aver da tempo affermato espressamente che il risarcimento del

danno deve essere integrale e comprensivo di rivalutazione monetaria a far tempo dal

provvedimento illegittimo (sentenza 7 agosto 1996, Zubani).”

In conclusione, secondo la Corte, l’art. 5-bis, comma 7-bis, del decreto-legge n. 333

del 1992, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 359 del 1992, introdotto

dall’art. 3, comma 65, della legge n. 662 del 1996, non prevedendo un ristoro integrale

del danno subito per effetto dell’occupazione acquisitiva da parte della pubblica

amministrazione, corrispondente al valore di mercato del bene occupato, è in contrasto

con gli obblighi internazionali sanciti dall’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU

e per ciò stesso viola l’art. 117, primo comma, della Costituzione.

4. La proposta legislativa

La considerazione di partenza è costituita dalla non ulteriore procrastinabilità della

introduzione del principio di perequazione urbanistica, imposto dal rispetto delle

regole costituzionali della uguaglianza e della imparzialità dell’azione

dell’amministrazione.

Tale principio, presente ormai in varie leggi regionali e nei piani regolatori più recenti,

pur in assenza di alcun supporto legislativo, richiede necessariamente un intervento

statale perchè la sua introduzione comporta una modifica del contenuto del diritto di

proprietà e del relativo regime di pubblicità.

L’idea guida della proposta è quella di collegare il nuovo criterio di determinazione

della indennità di espropriazione alla perequazione urbanistica, contrapponendo non

più aree agricole ad aree edificabili, ma aree agricole ad aree a vocazione edificatoria.

Queste ultime, infatti, in un sistema di perequazione hanno tutte una medesima

potenzialità edificatoria, derivante dall’accertata loro posizione rispetto all’abitato

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esistente e alle opere di urbanizzazione già realizzate; la effettiva edificabilità di

un’area è altra cosa e, derivando esclusivamente dalla scelta discrezionale

dell’amministrazione in sede di pianificazione del territorio, non giustifica un

indennizzo differenziato. È infatti per un verso del tutto ingiustificato e per altro verso

violativo del principio di eguaglianza che l’amministrazione corrisponda un maggior

indennizzo per un’edificabilità effettiva che essa stessa ha gratuitamente attribuito

all’area e al tempo stesso che il proprietario di altra area avente le medesime

aspettative oggettive di trasformabilità sia invece espropriato a valore agricolo sol

perchè il piano non lo ha incluso tra le zone da edificare.

Costituirà ovviamente oggetto di valutazione esclusivamente politica la

determinazione concreta del contenuto minimo della proprietà delle aree a vocazione

edificatoria così come la previsione di un potere regionale in materia e la introduzione

o meno di un coefficiente di riduzione del valore ai fini della indennità di esproprio

(divisione per 1,3).

Per quel che riguarda i rapporti pendenti e soprattutto le opere già programmate, è

possibile prevedere una riduzione della indennità di esproprio giustificata con il

collegamento alla proposta riforma dall’indiscutibile carattere di grande riforma

economico-sociale. In tali sensi è la giurisprudenza della CEDU e la indicazione della

stessa Corte costituzionale.

Dunque in questi casi l’indennità può maggiormente discostarsi dal valore venale del

terreno utilizzando un diverso coefficiente di riduzione (1,9 quello proposto).

La presente proposta è completata dall’affermazione di alcuni principi fondamentali, a

nostro avviso, di sicuro rilievo sotto il profilo giuridico ed operativo.

In primo luogo, il principio di trasparenza e di pari opportunità concorsuale nella

negoziazione urbanistica, con particolare riguardo per i progetti di sviluppo di edilizia

intensiva.

Nei piani e nei programmi urbanistici devono essere indicati i criteri e i metodi per

l’individuazione dei corrispettivi richiesti nella negoziazione urbanistica e degli

eventuali indici premiali, in tal modo risolvendo l’attuale caotica prassi, priva di

regole, che determina incertezze e palesi sperequazioni nel planning game.

In secondo luogo si ritiene che l’utilizzazione di criteri estimativi univoci, definiti sulla

base di principi scientifici generalmente riconosciuti quali sono quelli richiamati nel

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Codice delle Valutazioni Immobiliari (Tecnoborsa, 2005), costituisca un ulteriore

fattore di perequazione e possa contribuire in misura determinante all’abbattimento del

contenzioso finalizzato alla determinazione di un « equo indennizzo ».

Per favorire il confronto concorrenziale è altresì proposto che il piano comunale debba

individuare le tipologie di interventi per i quali la determinazione degli oneri dovuti è

libera nel massimo ed è stabilita sulla base dell’effettivo valore dell’intervento

(planning gain), individuando tramite libera contrattazione di mercato, nell’ambito di

procedure di confronto concorrenziale.

Agli stessi fini, e per superare il vincolo della rendita di posizione nei casi sostenibili,

si stabilisce che i comuni hanno la prelazione, da esercitare nelle forme del codice

civile, nell’acquisto delle aree dichiarate di rilievo strategico nei piani urbanistici.

Si tende, anche in tal modo, a marginalizzare l’esproprio e a favorire il confronto di

mercato sulla qualità e sull’offerta economica nei progetti si sviluppo edilizio.

5. Testo Normativo

Nuove norme per la perequazione urbanistica e la determinazione dell’indennità

di esproprio.

Art. 1

La presente legge detta principi fondamentali in materia di perequazione urbanistica e

di indennità di espropriazione per pubblica utilità e determina il contenuto della

proprietà privata delle aree non edificate secondo il principio della perequazione

urbanistica.

Art. 2

1. Ai fini della presente legge si applicano le definizioni che seguono.

2. Area a vocazione edificatoria: terreno astrattamente idoneo alla edificazione,

inserito nel tessuto urbano e già dotato delle opere di urbanizzazione primaria.

3. Area fabbricabile: terreno destinato alla edificazione dal piano regolatore.

4. Area agricola: nozione di terreno non destinato alla edificazione dal piano

regolatore rilevante ai fini della indennità di espropriazione.

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5. Potenzialità edificatoria: densità edificatoria teorica spettante a tutte le aree a

vocazione edificatoria, utilizzabile soltanto su aree fabbricabili.

6. Edificabilità effettiva:volumetria effettivamente realizzabile sull’area in base alla

destinazione operata dal piano regolatore.

Art. 3

1. In attuazione dell’articolo 42, comma secondo, della Costituzione, il contenuto della

proprietà privata delle aree è determinato in funzione della inerente vocazione

edificatoria.

2. Sono aree a vocazione edificatoria quelle già legittimamente edificate, quelle non

edificate cui uno strumento urbanistico attribuisce, al momento della entrata in vigore

della presente legge, destinazione edificatoria nonché quelle in relazione alle quali, per

assenza di vincoli connaturali, per caratteristiche geo-morfologiche e per essere

inserite nel tessuto urbano e dotate delle opere di urbanizzazione primaria, il

proprietario ha acquisito una concreta aspettativa di trasformazione edificatoria. I

Comuni riconoscono la vocazione edificatoria delle aree urbane libere con proprio atto

tecnico di accertamento; la legge regionale può stabilire i presupposti specifici per

l’attribuzione della vocazione edificatoria.

3. Le aree a vocazione edificatoria già legittimamente edificate hanno, relativamente

all’area di pertinenza, una potenzialità edificatoria pari alla volumetria esistente.

4. Le aree a vocazione edificatoria illegittimamente edificate hanno la potenzialità

edificatoria determinata in generale dalla legge.

Art. 4

1. La potenzialità edificatoria delle aree urbane è pari a 0,3 metri cubi per metro

quadrato sia ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio sia ai fini

dell’attuazione del principio di perequazione.

2. Ai sensi dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione le Regioni possono con legge

stabilire una maggiore potenzialità edificatoria delle aree urbane, comunque non

superiore alla misura di metri cubi 0,5 per metro quadrato.

Art. 5

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1. Nelle aree prive di vocazione edificatoria il proprietario può effettuare le sole

trasformazioni consentite dalle leggi statali di tutela nonché dal piano regolatore.

Art. 6

1. La localizzazione delle volumetrie consentite (edificabilità effettiva) è stabilita dal

piano regolatore.

2. La potenzialità edificatoria non direttamente utilizzabile dal proprietario può dallo

stesso essere trasferita nell’ambito dello stesso Comune su altra area propria o di altro

proprietario, per essere utilizzata fino a concorrenza della volumetria effettiva

attribuita dal piano regolatore.

3. In caso di comprovata impossibilità di acquisto della potenzialità edificatoria

occorrente per realizzare tutta la volumetria attribuita dal piano regolatore alla propria

area, il proprietario può ottenere la potenzialità mancante dal Comune mediante

acquisto a titolo oneroso. I criteri di determinazione del prezzo di acquisto sono

stabiliti dalla Regione in relazione alle caratteristiche dei vari Comuni.

4. La edificabilità effettiva attribuita dal piano regolatore può essere utilizzata solo

nella misura corrispondente alla potenzialità edificatoria di legge, eventualmente

integrata da quella acquisita ai sensi dei due commi precedenti.

Art. 7

1. In caso di variante o di nuovo piano ampliativi delle cubature previste dal piano

regolatore preesistente, la edificabilità effettiva è liberamente realizzabile, senza

necessità di acquisizioni di cubatura, fino a concorrenza della volumetria in

precedenza già attribuita alla medesima area.

2. Qualora la nuova previsione urbanistica sia più restrittiva, la edificabilità effettiva

soppressa viene riconosciuta come potenzialità edificatoria in favore del proprietario

dell’area.

Art. 8

1. Ai fini della determinazione della indennità di espropriazione per opere e interventi

pubblici, le aree si distinguono in aree agricole e aree a vocazione edificatoria.

Art. 9

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1. L’indennità di espropriazione di un’area a vocazione edificatoria è determinata in

misura pari al valore venale del bene, considerato come edificabile nella misura

corrispondente alla sua potenzialità edificatoria; nel caso di espropriazione per opere

pubbliche o per edilizia residenziale pubblica, il valore così ottenuto viene diviso per il

coefficiente 1,3. Con il consenso dell’espropriato, l’indennità può essere corrisposta

anche mediante attribuzione di potenzialità edificatoria da utilizzare su altre aree.

2. Il Ministro delle Infrastrutture determina con proprio regolamento criteri valutativi

vincolanti per la determinazione del valore di mercato delle aree utilizzando i principi

scientifici generalmente riconosciuti.

3. Nulla è innovato per quanto riguarda la indennità di esproprio delle aree agricole.

Art. 10

1. Per le opere e gli interventi di edilizia residenziale pubblica che, alla data di entrata

in vigore della presente legge di grande di grande riforma economico-sociale di

determinazione del contenuto della proprietà fondiaria, siano stati già oggetto di

dichiarazione di pubblica utilità o risultino già inseriti in piani o programmi approvati,

l’indennità di espropriazione è determinata in misura pari all’importo del valore venale

dell’area diviso per il coefficiente 1,9.

Art. 11

1. I procedimenti di negoziazione urbanistica sono retti dai principi di trasparenza e di

pari opportunità concorsuale. Nei piani e programmi sono indicati i criteri e i metodi

per l’individuazione dei corrispettivi richiesti nella negoziazione urbanistica e degli

eventuali indici premiali.

2. Al fine di favorire il confronto concorrenziale, il piano comunale individua le

tipologie degli interventi per i quali la determinazione degli oneri dovuti è libera nel

massimo ed è stabilita sulla base dell’effettivo valore dell’intervento individuato

tramite libera contrattazione di mercato, nell’ambito di procedure di confronto

concorrenziale.

3. I Comuni hanno la prelazione, da esercitare nelle forme previste dal codice civile,

nell’acquisto delle aree dichiarate di rilievo strategico nei piani urbanistici.