Non Dissestare i Dissestati Di R.Todero

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    IBL Briefing Paper

    12 settembre 2014

    Istituto Bruno Leoni Via Bossi 1 10144 Torino ItalyTel.: (+39) 011.070.2087 Fax: (+39) 011.437.1384 www.brunoleoni.it [email protected]

    Il caso dei Comuni

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    Non dissestare i dissestati KEY FINDINGS La cause del dissesto finan-

    ziario dei comuni non sonoimputabili a difficolt eco-nomico/sociali (non in pre-valenza almeno) o ad eventicalamitosi straordinari.

    Esse si annidano pressochesclusivamente nella malagestio di unintera classe diamministratori pubblici enella connivenza di questaultima con i pi retrivi costu-mi sociali di alcune comuni-t locali.

    I comuni oggi vivono nel lim-bo: non falliscono e non tro-vano la strada del risana-mento.

    Allo stesso tempo, per, tra-scinano con loro in questaterra di nessuno cittadini ecreditori.

    Per i creditori si rende sem-pre pi difficoltoso leserci-zio di un diritto costituzio-nalmente garantito qual quello alla tutela dei propridiritti ed interessi economici.

    Rocco Todero avvocato

    specializzato in diritto am-ministrativo e cultore di di-

    ritto pubblico

    Di Rocco Todero

    idee per il libero mercato

    Il dissesto: definizione

    Molti comuni italiani sono costretti a misurarsi con la prospettiva del default o,per usare lespressione giuridicamente corretta, del dissesto finanziario.

    Anche gli Enti locali, infatti, ed i comuni in primo luogo, sono soggetti a falliree ci accade allorch lEnte non pi in grado di garantire lassolvimento dellefunzioni e dei servizi indispensabili ovvero esistono nei confronti dello stessocrediti liquidi ed esigibili di terzi cui non si possa validamente fare fronte conle modalit di cui allarticolo 193 e 194 del testo unico degli enti locali (art. 244TUEL) e cio per il tramite della salvaguardia degli equilibri di bilancio o delriconoscimento dei debiti fuori bilancio da pagare anche per mezzo di rateiz-zazioni concordate con i creditori.

    Il dissesto finanziario innanzitutto una condizione di grave crisi di liquidit,oltre che una grave crisi debitoria in presenza della quale il comune, pur tito-lare sulla carta di crediti di rilevante ammontare, di notevoli partecipazioni so-cietarie e di numerosissimi immobili, non pi in grado con i mezzi ordinari diassicurare lerogazione dei servizi essenziali e di fare fronte ai debiti contratti.

    Dissesto pubblico versus fallimento privato

    La disciplina del dissesto finanziario contenuta allinterno del testo unicodegli enti locali approvato con decreto legislativo n. 267/2000 (articoli 244 eseguenti) e ricalca grosso modo la disciplina del fallimento e della proceduraconcorsuale prevista dalla legge fallimentare (R.D. n. 267/1942).

    Nellarticolo 5 della richiamata legge fallimentare, infatti, si ritrova una defini-zione di insolvenza pressoch identica a quella di dissesto di cui al Testo Uni-co degli Enti locali, tenuto conto che: Lo stato di insolvenza si manifesta coninadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrano che il debitore non pi in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.

    Le analogie non riguardano solo lindividuazione della condizione di defaultma si estendono anche ad ulteriori profili, atteso che tanto liter procedimenta-le del dissesto finanziario dei comuni quanto quello della procedura fallimen-tare delle imprese private si contraddistinguono per la presenza di un organostraordinario (la curatela nel fallimento, lorgano straordinario di liquidazione

    nel dissesto) che provvede alla ricognizione della massa passiva e di quellaattiva oltre che alla relativa liquidazione. Anche le scansioni procedimentalisono omologhe considerato che in entrambi i casi, nel corso della procedura

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    di liquidazione dellattivo patrimoniale, non consentito lesperimento di azioni giu-diziali esecutive in ossequio allapar condicio creditorum(art. 51 legge fallimentare edart.248 Tuel).

    Le ragioni sottese alle due discipline, tuttavia, sono solo in parte sovrapponibili, inquanto se vero che la procedura fallimentare pu concludersi anche (non sempre)con lestinzione della persona giuridica del fallito (art. 118 legge fallimentare) ci nonpu mai accadere nella procedura di dissesto finanziario, al termine della quale il Co-mune continua regolarmente la propria attivit istituzionale sulla base di un bilanciostabilmente riequilibrato (art. 259 Tuel).

    Questa differenza si ripercuote, come vedremo, con notevoli diversit sulla posizionedei creditori. Quelli dellimprenditore fallito, infatti, sebbene assistiti dalla previsioneche I creditori (con la chiusura del fallimento, ndr) riacquistano il libero esercizio delleazioni verso il debitore per la parte non soddisfatta dei loro crediti per capitale ed inte-

    ressi (art. 120 l.f.), vanno ordinariamente incontro alla estinzione della persona giu-ridica dellimprenditore privato (societ) e nella maggior parte dei casi alla estinzionedel credito o della parte del medesimo non ancora riscossa. I creditori del fallito, inol-tre, possono andare incontro alle conseguenze dellistituto dellesdebitazione (art.142l.f.), in virt del quale limprenditore ammesso dal Tribunale, in casi particolari, albeneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali nonsoddisfatti.

    I creditori dei Comuni dissestati, invece, in considerazione del fatto che lente localesopravvive alla dichiarazione di default ben possono fare valere i loro crediti, sebbenea notevole distanza di tempo, sempre e pressoch integralmente:

    Qualora un credito scaturente da una pronuncia passata in cosa giudica-ta venga incluso solo parzialmente (quanto al capitale o agli interessi) nelpiano dei debiti definitivamente approvato, la rimanenza transita a caricodellEnte tornato in bonis, che dovr farvi fronte o con residui attivi dellagestione liquidatoria, ove sussistenti e disponibili, oppure con le risorsedel bilancio riequilibrato. (Tar Calabria sezione Reggio Calabria, sentenzan.389/2012).

    Il dissesto: i numeri a livello nazionale

    Dalla relazione della Corte dei Conti sulla gestione finanziaria degli enti locali relativaagli esercizi 2011 e 2012 emerge che dal 1989 al 13.05.2013 i comuni italiani che hanno

    dichiarato il dissesto sono stati in totale 479. Il 60 % di questi comuni si trova allin-terno di tre sole regioni italiane: 30 in Sicilia, 138 in Calabria, 123 in Campania. Fra icomuni che hanno dichiarato il dissesto 70 non hanno ancora concluso la procedura e12 hanno dichiarato il default per ben due volte.

    I numeri sopraindicati possono sembrare tali da rappresentare un fenomeno conte-nuto, sul piano nazionale dove si contano circa 8.000 comuni. In realt, alla luce deiseguenti ulteriori elementi e delle connesse considerazioni la tematica del dissestoassume ben altre proporzioni.

    In primo luogo lattenzione deve essere riposta pi sulle dimensioni dei comuni chedichiarano il default che sul loro numero. Sia sufficiente, a questo proposito, osservare

    che il dissesto del comune di Napoli dovr essere dichiarato per circa 850 milioni dieuro, quello del comune di Reggio Calabria per pi di 110 milioni di euro (entrambe lepredette cifre sono state ritenute inattendibili per difetto dai giudici contabili) e quellodi Alessandria, solo per fare 3 tra gli esempi pi discussi dalle cronache nazionali, per

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    40 milioni di euro. Leventuale default di Roma Capitale, evento a quanto pare scongiu-rato attraverso un intervento eccezionale del Governo, inciderebbe da solo per un cifraastronomica misurabile nellordine di circa 10 miliardi di euro.1

    A ci si aggiunga che 156 comuni nel consuntivo 2011 hanno presentato un disavan-zo complessivo di 1.597 milioni di euro e per altri 260 la Corte dei Conti ha accertatoche, pur avendo chiuso lesercizio 2011 con un avanzo di amministrazione, presentanofondi vincolati e debiti fuori bilancio non ripianati nellesercizio impegnato superioriallavanzo dichiarato.

    Le rassegne delle deliberazioni delle sezioni di controllo della Corte dei Conti docu-mentano, poi, del diffusissimo malcostume, svelato e censurato aspramente dai giudi-ci contabili, di celare enormi disavanzi di amministrazioni (centinaia di milioni di euro)dietro artifici contabili fra i quali spicca la valorizzazione di poste positive del bilanciodel tutto inattendibili quali sono la stragrande maggioranza dei residui attivi.2

    Infine, la gravit del disordine interno ai conti pubblici degli enti locali stata aperta-mente dichiarata e riconosciuta dal Parlamento italiano che ha avvertito la necessitdi predisporre una normativa specifica (D.L.174/2012) in soccorso dei numerosissimicomuni che versano in condizioni di disequilibrio strutturale prossimo al dissesto. Sitratta della disciplina prevista dagli articoli 243bis e seguenti del Testo Unico degli EntiLocali (di cui discorreremo ampiamente pi avanti) per mezzo della quale stata datala possibilit ai comuni italiani cosiddetti deficitari di presentare, al fine di scongiura-re la dichiarazione di dissesto, un idoneo piano di riequilibrio finanziario pluriennale,fondato essenzialmente su manovre di riduzione della spesa, sulla dilazione del pa-gamento dei debiti ed eventualmente su un prestito erogato dallo Stato. Solo per dareunidea delle cifre relative ai debiti contratti dai comuni per i quali stato pensato il

    piano di riequilibrio pluriennale e rimanere nellambito degli esempi, il comune di Ca-tania, ammesso dalla Corte dei Conti sezione del controllo per la Regione Sicilia condeliberazione n. 269 del 26 settembre 2013 alla procedura di riequilibrio, dovr farefronte a 140 milioni di euro di disavanzo di amministrazione ed a 235 milioni di euro didebiti complessivi.

    Il dissesto: le cause

    Nel linguaggio corrente si suole dire che il default del comune causato da una dissen-nata gestione economica e finanziaria da parte degli amministratori locali; lafferma-zione vera ma necessita di essere specificata.

    Le cause della dichiarazione di dissesto possono cos brevemente riassumersi:

    1) Eccessiva contrazione di debiti fuori bilancio (art. 194 TUEL), vale a dire:

    a) lAmministrazione acquista beni e servizi per i quali non iscritta alcuna co-pertura di spese allinterno del bilancio preventivo. Il bilancio, documentocontabile di autorizzazione delle spese, deve prevedere le voci di esborso ela loro quantificazione, ma non evidentemente predisposto da onniscienti,di tal che pu accadere che eventi imprevisti richiedano il pagamento di som-me non previamente inserite nel documento di programmazione economico

    1 Dalla relazione di fine mandato del sindaco di Roma Gianni Alemanno, sottoscritta in data 28 gennaio2013, risulta che i soli debiti della gestione commissariale al 31.12.2011 ammontano a 9.618 milioni di

    euro (pag.20).2 Si vedano nel corso del testo le osservazioni delle sezioni regionali di controllo della Corte dei Conti cir-

    ca la non attendibilit della iscrizione in bilancio dei residui attivi con particolare riferimento ai comunidi Reggio Calabria, Napoli ed Alessandria.

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    finanziaria. La fattispecie, prevista in via del tutto residuale, finisce per as-sumere, allinterno di un contesto di mala gestio, il carattere della normalit.Si creano ingenti debiti, in definitiva, non coperti da previsioni di entrata. Gli

    acquisti di beni e servizi cos effettuati vincolano esclusivamente il funzionariopubblico che ha contratto con il fornitore privato sin tanto che il consiglio co-munale non proceda al riconoscimento della utilit del debito per lente localeaccollandolo interamente a questo ultimo (evenienza ordinaria).

    b) LAmministrazione subisce condanne derivanti da sentenze esecutive per som-me anchesse non previamente impegnate in bilancio. I comuni non riescono aprevedere lesito dei contenziosi giudiziali in atto, in questo per la verit nonaiutati dalle condizioni generali in cui versa il nostro ordinamento giuridico,il quale non consente nemmeno agli operatori pi esperti di fare previsioniassistite da un qualche fondamento. Si allude allatteggiamento troppo on-divago della giurisprudenza, capace in Italia di contraddirsi ripetutamente su

    profili giuridici che sembrano non trovare mai una definizione stabile tale daingenerare nel cittadino, ed in questo caso anche nelle pubblica amministra-zione, il legittimo affidamento che una determinata controversia sia decisa inun senso piuttosto che in un altro. O allabitudine del legislatore di intervenirecontinuamente sulle discipline che regolano migliaia di contenziosi giudizialialterandone le sorti imprevedibilmente. A ci si aggiunga che la lungagginedei contenziosi civili ed amministrativi tale che la necessit impellente difare fronte ad un debito consistente (per esempio in materia di espropriazioneper pubblica utilit) si manifesta a distanza di 20/25 anni dal momento in cuilatto amministrativo stato emanato. Accade, allora, che invece di scrivereprudenzialmente fra le possibili passivit le somme al cui esborso il comu-

    ne potrebbe essere costretto in caso di soccombenza in giudizio, le ammini-strazioni omettono del tutto qualsivoglia iscrizione in bilancio. A contenziosoconcluso si crea un debito fuori bilancio non assistito da alcuna previsione dientrata.

    c) Disavanzi di consorzi, aziende speciali, ed ogni altro ente partecipato. Leperdite e le passivit derivanti dalla gestione delle aziende, societ di servi-zi pubblici e consorzi partecipati dai comuni si riversano, proporzionalmentealle quote detenute (solitamente il 100%) sul bilancio dellente locale o meglioallinterno del suo conto consuntivo, appesantendolo in misura rilevantissima.Dalla relazione delle Sezioni riunite in sede di Controllo della Corte dei Conti,Attuazione e prospettive del federalismo fiscale, redatta in occasione della

    audizione presso la Commissione Parlamentare per lattuazione del federali-smo fiscale del 6 marzo 2014, emerge che il 33% delle societ partecipate daComuni e Provincie in perdita e che nel 12% dei casi la perdita riguarda lul-timo triennio. Di 3.949 societ rilevate dalla Corte dei conti nel 2012, 469 han-no chiuso con segno negativo consecutivamente nel triennio, con un valorecomplessivo medio di 652,6 milioni di euro di perdita. Si tratta in prevalenza(64,6% sul totale) di societ di servizi pubblici locali che si occupano di acqua,rifiuti, energia, gas e trasposti. Secondo il giudizio della Corte dei Conti sezio-ne regionale di controllo per il Veneto, deliberazione n. 459/2013/PRSP INPRdel 17.12.2013, la via da percorrere per porre argine al fenomeno descritto con-siste nellapplicare al soggetto partecipato i medesimi criteri di sana gestione

    economico-finanziaria previsti per i comuni. In particolare sarebbe necessarioeffettuare un controllo costante sulla gestione dellente partecipato al fine divalutare la convenienza eventuale di altre forme di gestione dei servizi e delleattivit esternalizzate dal comune, diverse, appunto, da quelle rappresentate

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    dalla gestione partecipata. A questo condivisibile invito a dismettere le quotedi partecipazione delle societ di servizi pubblici locali per fare ricorso eviden-temente alle risorse del mercato privato ha fatto, tuttavia, riscontro losserva-

    zione delle sezioni riunite in sede di audizione che hanno osservato come larecente disciplina in materia sveli nel legislatore la consapevolezza che per-corsi di forte riduzione del perimetro delle partecipazioni locali non potrebberoprodurre di per s i risultati attesi in termini di razionalizzazione delle strutturee contenimento della spesa, se non fossero risolti nel contempo nodi crucialicome quello del riassorbimento delle perdite, degli esuberi occupazionali edel debito. Societ con perdite croniche, sovradimensionate nel personale econ un debito insostenibile, non troverebbero infatti acquirenti sul mercato,n potrebbero essere liquidate se non mettendo a rischio le realt economichelocali. Le preoccupazioni del legislatore di cui la Corte si fatta interprete noneliminano, in ogni caso, la necessit di porre fine al modello di gestione dei

    servizi pubblici per il tramite delle societ partecipate, proprio in ragione deirisultati fallimentari registrati. Sarebbe veramente singolare ritenere che nonsi possono dismettere attivit che producono gravi perdite economiche, allequali per giudizio unanime non pi possibile fare fronte, in ragione del fattoche la cessazione di queste imprese produrrebbe presunte conseguenze ancorpi nefaste! La fallacia del ragionamento poco sopra prospettato dimostratadalla norma del TUEL (art. 259, comma ter) che consente di procrastinare il ri-equilibrio del bilancio a tre anni dalla deliberazione di dissesto per lipotesi incui sul deficit del comune incidano sensibilmente le perdite delle partecipate.Il che, per, significa concedere la possibilit di accumulare perdite per ancoratre esercizi contabili.

    2) Mancata riscossione di crediti accertati a favore dellEnte. Si tratta dei cosiddettiresidui attivi e cio delle somme accertate e non riscosse entro il termine delle-sercizio (art. 189 TUEL). In questa voce rientrano le imposte e i tributi locali nonriscossi. prassi ordinaria (e come tale tuttavia non conforme alle regole di con-tabilit pubblica) quella di posizionare i residui attivi fra le poste positive delbilancio anche quando i crediti che rappresentano sono diventati difficilmenteesigibili o addirittura prescritti. Il loro mantenimento fra le voci di bilancio con-sente per di riequilibrare artificiosamente le voci di spesa. Alla resa dei contilinesigibilit dei crediti crea una gravissima crisi di liquidit prima, cui si tenta difare fronte con anticipazioni di tesoreria che maturano a loro volta ingentissimicosti per interessi passivi, ed un buco di bilancio poi. Per tale ragione previsto

    il periodico accertamento dei residui attivi al fine di eliminare quelli di difficileriscossione, cos da ottenere un dato quanto pi credibile del risultato di am-ministrazione rappresentato da: cassa + residui attivi residui passivi (questiultimi le spese iscritte in bilancio ancora non liquidate).

    Il dissesto: la procedura

    La competenza a dichiarare il dissesto finanziario del consiglio comunale il quale,anche grazie allausilio di una relazione del collegio dei revisori dei conti, deve valutarele cause che hanno determinato la grave situazione deficitaria (art. 246 TUEL).

    Il consiglio comunale, in caso di inerzia, pu essere costretto dalla Corte dei Conti a

    dichiarare il dissesto quante volte i giudici contabili registrino una condizione di gravedisequilibrio strutturale cui lEnte non abbia, nonostante le sollecitazioni degli organidi controllo, posto adeguatamente rimedio (art. 243 quater, comma 7 TUEL; art. 6, com-ma 2, D. Lgs. n.149/2011).

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    eccezioni con la quale si distribuiscono privilegi circoscritti, si sconfessa limpiantodella regola generale e si offre il destro agli esclusi di reclamare lo stesso trattamentoprivilegiato. Nihil novi sub sole!

    I comuni che dichiarano il dissesto devono, comunque, fare fronte oggi al risanamentodei debiti pregressi ed alla predisposizione di un bilancio stabilente riequilibrato conle sole proprie risorse.

    Il divieto di contribuzione statale a fondo perduto inspirato, come detto, allarticolo119 Cost. il quale riconosce autonomia finanziaria di entrata e di spesa a ciascun co-mune nel rispetto dellequilibrio dei relativi bilanci e prevede lintervento dello Statoper mezzo del fondo perequativo esclusivamente a favore dei territori con una minorecapacit fiscale per abitante. La disposizione costituzionale, inoltre, al fine di evitarelavvitamento dellindebitamento, consente la contrazione di mutui solo per finanziarespese dinvestimento e non gi spese correnti. Il divieto, in sostanza, rappresenta lal-

    tra faccia della medaglia dellautonomia degli enti locali, vale a dire la responsabilitdei risultati di gestione.

    Il dissesto ed i creditori

    Conseguenze particolarmente gravi in seguito alla deliberazione di dissesto finanziarioricadono in capo ai cittadini ed ai creditori.

    Questi ultimi dal momento della dichiarazione di dissesto non possono agire in giu-dizio per lesecuzione dei titoli giudiziari da cui discende il credito nei confronti delComune. Tutte le procedure esecutive sono di diritto dichiarate estinte (art.248 TUEL)

    in omaggio allapar condicio creditorum, allo stesso modo di quanto avviene in caso difallimento di imprenditori privati per la quale evenienza larticolo 43 della legge falli-mentare prevede lautomatica interruzione di qualsivoglia giudizio che vede coinvoltoil soggetto fallito e lart. 51 della medesima legge il divieto di intraprendere qualsivogliaazione esecutiva da parte dei creditori.

    I creditori di solito sono costretti ad aspettare moltissimi anni prima di vedere soddi-sfatte tutte le loro pretese patrimoniali in ragione soprattutto della lungaggine dellarilevazione della massa attiva e passiva (che pu dare luogo anche alla estinzione anti-cipata della procedura di dissesto come previsto dallart. 268bis Tuel), della difficoltdi reperire poste patrimoniali attive (enorme difficolt a vendere i beni immobili) e del-la mancanza del contributo statale a fondo perduto.

    previsto anche che i creditori dei comuni possano accontentarsi di accettare la mo-dalit semplificata di liquidazione dei debiti. In virt di tale procedura il comune puproporre al creditore il pagamento di una somma variabile fra il 40 ed il 60 per centodel debito accertato, con rinuncia ad ogni altra pretesa (interessi e rivalutazione) econ limpegno alla liquidazione obbligatoria entro trenta giorni dalla accettazione dellaproposta da parte del privato creditore (art.258 TUEL). evidente che la praticabilitdi tale allettante prospettiva, capace di chiudere celermente la procedura di dissesto,passa tanto dalla accettazione dei creditori a rinunciare ad una quota della loro pre-tesa, quanto dalla immediata disponibilit di cassa del Comune delle cifre offerte, lequali, appunto devono poi essere erogate entro 30 giorni dal perfezionamento della

    manifestazione di consenso del creditore. Ebbene, se possibile ritenere che la primacondizione possa realisticamente avverarsi, non cos si pu dire della seconda, attesoche le condizioni economiche generali dei comuni sono tali da non consentire nemme-no il pagamento di una ridotta porzione dei loro debiti.

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    Nella procedura ordinaria, invece, il creditore non del tutto soddisfatto pu ancora agi-re nei confronti del Comune tornato in bonis(art. 168ter TUEL) come spiegato dal TARNapoli nella sentenza n. 2819/2011 a tenore della quale

    I debiti pecuniari degli enti locali dissestati maturano interessi e rivalutazio-ne che non sono esigibili durante il periodo di sospensione derivante dallapendenza della procedura straordinaria di liquidazione in applicazione del-la disposizione di cui allart. 268 ter, comma 3, d.lg. n. 267 del 2000, mapossono essere richiesti dal creditore una volta terminata la suddetta pro-cedura, in quanto lente locale tornato in bonis e non sussiste pi, dun-que, alcuna ragione giuridica ostativa alladempimento delle obbligazionipecuniarie secondo le regole ordinarie. (Vedi anche Consiglio di Stato, sen-tenza n. 3261/2009 e Tar Calabria, Reggio Calabria, sentenza n.389/2012)

    Di recente la Corte europea dei diritti delluomo si pronunciata sulla condizione in cui

    vengono a trovarsi i creditori dei comuni in esito alla dichiarazione di dissesto finanzia-rio ed ha ritenuto contrastanti con le norme della Convenzione alcune disposizioni dilegge il cui effetto in pratica quello di ostacolare per un lunghissimo lasso di tempolesecuzione giudiziaria del credito nei confronti dellEnte dissestato. La Corte, in par-ticolare, si soffermata sulle norme che obbligano il creditore ad attendere la presen-tazione del rendiconto da parte dellorgano straordinario di liquidazione (in sostanzala chiusura della procedura di dissesto) prima di potere agire con lazione esecutiva asoddisfazione del proprio credito. Tale attesa, hanno ritenuto i Giudici di Strasburgo,sebbene giustificata in via di principio dalla necessit di dare attuazione al principiodellapar condicio creditorum, diviene illegittima allorch la durata della procedura didissesto si prolunga per un lunghissimo lasso temporale nel corso del quale al credito-

    re non riconosciuta alcuna possibilit di incidere sullesito della medesima. La CorteEDU, infine, ha affermato che:

    la mancanza di risorse di un comune non pu giustificare che lo stessoometta di onorare gli obblighi che derivano da una sentenza definitiva pro-nunciata contro lente (De Luca contro Italia, ric. 43870/04).

    La decisione della Corte Europea mette in luce criticit rilevanti perch sottolinea lamancanza di certezze circa la durata della procedura di dissesto e dunque evidenziacome la pretesa creditoria rischia in concreto di rimanere in balia dellarbitrio dellapubblica amministrazione. Vero , cio, che il principio della par condicio creditorumrichiede la sospensione delle procedure giudiziarie esecutive al fine di evitare che

    qualcuno dei creditori possa integralmente soddisfarsi sulla massa attiva a scapito dicoloro che tale giudizio non intraprendono, ma, ritiene la Corte, il sacrificio del privatodeve essere proporzionato, e tale non se la sospensione della possibilit di adire ilGiudice per vedersi assicurata leffettivit della tutela viene prolungata sine die e senzapossibilit per il privato di incidere sullesito della procedura.

    Tuttavia, un rilievo critico merita laffermazione dei giudici di Strasburgo, dal tenoreapparentemente perentorio, secondo la quale la mancanza di risorse di un comune nonpu giustificare linadempimento delle obbligazioni da esso assunte e riconosciute (nelcaso di specie) da una sentenza passata in giudicato. Come dire che la mancanza diacqua dentro un pozzo non pu giustificare che gli avventori rimangano a bocca asciut-ta! Limpostazione della Corte sembra estirpare la nozione di credito dal naturale

    contesto in cui esso tradizionalmente naviga e cio dallalveo del rischio e lo qualificaal pari di una pretesa che non pu mai e per nessuna ragione rimanere inadempiuta.Ed in effetti, la disciplina del dissesto finanziario consente ai creditori, come abbiamoaccennato, di portare ad esecuzione la pretesa creditoria anche dopo che il Comune sia

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    tornato in bonis, circostanza, questa ultima, anchessa garantita dalla legge. Ma alloradelle due, luna: o il creditore attende la ricostituzione dellattivo, anche grazie ai con-tributi economici provenienti dal bilancio stabilmente riequilibrato, e per beneficiar-ne ci vorr necessariamente del tempo in considerazione della limitatezza oggettivadelle risorse reperibili e delle procedure necessarie per renderle liquide (si pensi alledismissioni immobiliari o al recupero dei residui attivi per il quale saranno necessarilemissione dei ruoli, la riscossione, leventuale contenzioso con i contribuenti, ecc..),o laggressione immediata dellattivo esistente al momento dello svolgimento delleazioni esecutive condurr di necessit alla soddisfazione parziale dei crediti e persinodei creditori (in teoria, alcuni si ed altri no).

    Il dissesto ed i cittadini

    I cittadini che risiedono, invece, allinterno di un comune dissestato subiscono lob-

    bligatorio aumento, per le imposte e le tasse locali di spettanza dellente medesimo,delle aliquote e delle tariffe di base nella misura massima consentita, nonch lau-mento dellimposta comunale per lesercizio delle imprese, arti e professioni sino alladeterminazione massima del tributo dovuto (art. 251 TUEL). Fa eccezione la tassa perlo smaltimento dei rifiuti solidi urbani che deve comunque coprire il costo integrale delservizio.

    Tali misure hanno efficacia quinquennale a decorrere dallapprovazione del bilancioriequilibrato.

    Entro tre mesi dalla data di emanazione del decreto con il quale viene nominato lOr-gano Straordinario di Liquidazione, il Comune dissestato deve imbastire una ipotesi di

    bilancio stabilmente riequilibrato. Gli organi ordinari del comune per raggiungere talefinalit, oltre al gi menzionato aumento sino al massimo consentito delle aliquotedelle imposte e delle tasse, devono ridurre le dotazioni finanziarie ed eliminare ogniprevisione di spesa che non abbia per fine lesercizio di servizi pubblici indispensabili.Inoltre devono essere emanate obbligatoriamente le norme tese al risanamento econo-mico-finanziario degli enti ed organismi dipendenti nonch delle aziende speciali. Eda questo proposito interessante ribadire che, laddove il riequilibrio del bilancio siagravemente condizionato dallesito della razionalizzazione di tutti gli organismi e lesociet partecipate, i cui costi incidono in maniera rilevante sul bilancio del comune, lalegge consente, in deroga alle norme generali, che il riequilibrio possa essere raggiuntonon subito ma entro tre anni (art.259, comma 1ter Tuel). In ultimo, deve essere ride-

    terminata la pianta organica del personale e deve essere conseguentemente ridotta larelativa spesa ordinaria.

    La dichiarazione di dissesto, dunque, fa scattare una procedura che si articola su duebinari paralleli; sul primo agisce la commissione straordinaria che ha il compito di li-quidare tutti i debiti pregressi, mentre sul secondo agiscono gli organi di governo delcomune che hanno il compito di predisporre un bilancio stabilmente riequilibrato, unbilancio, cio, in cui ordinariamente ed in via continuativa le entrate correnti consen-tono di coprire le spese correnti, senza il contributo di entrate straordinarie, di mutui oprestiti.

    Conseguenze negative sono previste anche per gli amministratori che a giudizio della

    Corte dei Conti abbiano contribuito al verificarsi del dissesto finanziario. Per loro sonoprevisti due tipi di sanzioni: 1) limpossibilit ad essere candidati alla carica di sindaco,membro del consiglio comunale, del consiglio regionale, del parlamento nazionale edeuropeo o a ricoprire il ruolo di assessore, revisore dei conti per un periodo di dieci

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    anni; 2) una sanzione pecuniaria pari ad un minimo di cinque sino ad un massimo diventi volte della retribuzione mensile lorda dovuta al momento della commissione del-la violazione (art. 248 TUEL).

    La procedura di riequilibrio pluriennale: il cosiddetto predissesto

    Di recente, con decreto legge n. 174/2012 sono state introdotte allinterno del testounico degli enti locali alcune norme (articoli 243bis e seguenti) tendenti ad evitare ladichiarazione di dissesto ed a consentire ai comuni lattivazione di una procedura diriequilibrio finanziario. I Comuni che hanno richiesto di aderire a tale procedura sino almese di maggio del 2013 sono stati circa un centinaio.

    Si tratta, in sostanza, della possibilit per gli enti che versano in situazione di struttu-rale squilibrio di bilancio in grado di provocare il dissesto (art. 243 bis TUEL) di pote-

    re predisporre un piano di risanamento della durata massima di 10 anni che prevedaladozione di misure idonee a: 1) eliminare il disequilibrio strutturale con particolareriferimento alla necessit che le entrate ordinarie siano costantemente in grado di farefronte alle spese correnti, 2) ripagare tutti i debiti che gravano sulle spalle dellente.

    Il piano di riequilibrio deve essere adottato dal consiglio comunale ed sottoposto allaapprovazione di merito della sezione regionale della Corte dei Conti. Esso deve preve-dere tutta una serie di misure atte a raggiungere gli obiettivi sopra indicati con i numeri1 e 2 e per far ci possono sostanzialmente essere utilizzati i medesimi strumenti che lacommissione straordinaria per la liquidazione e gli organi ordinari del comune devonoadottare in esito alla dichiarazione di dissesto finanziario (aumento aliquote al massi-mo, alienazione beni immobili, riscossione residui, contenimento spesa per il persona-

    le; art. 243bis Tuel). La deliberazione della sezione regionale pu essere impugnata,tanto in caso di approvazione del piano quanto in caso di diniego, innanzi alle SezioniRiunite della medesima Corte dei Conti (art. 243quater Tuel).

    Le differenze di fondo con la procedura di dissesto consistono in breve: a) nella pos-sibilit, prevista dallart. 243bis del TUEL, di addivenire ad accordi con i creditori peril pagamento rateale dei crediti nel corso di un periodo pari alla durata del piano diriequilibrio e cio sino a 10 anni, durante i quali si rinunzia ad interessi e rivalutazio-ne (dal momento delladesione del comune alla procedura di riequilibrio finanziario icreditori non possono utilizzare alcuno strumento giudiziario per soddisfare il propriocredito), b) nella possibilit di accedere ad unanticipazione a valere sul fondo di rota-zione denominato: Fondo di rotazione per assicurare la stabilita finanziaria degli entilocali, anticipazione che deve anchessa essere restituita in un periodo massimo di10 anni e che pu raggiungere la cifra massima di euro 300 per abitante dei comuni; c)nella possibilit di assumere mutui per la copertura di debiti fuori bilancio riferiti pera spese di investimento in deroga alle norme ordinarie; d) nella gestione della proce-dura riequilibrio per il tramite dei soli organi di governo dellente senza lintervento dialcuna commissione di nomina ministeriale.

    Al pari della procedura del dissesto finanziario, anche la disciplina di riequilibrio strut-turale pluriennale appare disegnata sul modello di un istituto contenuto allinterno del-la legge fallimentare, vale a dire sul concordato. Le differenze che, tuttavia, emergonoictu oculi sono fondamentalmente due: a) nel concordato sufficiente che la maggio-

    ranza dei creditori si esprima favorevolmente alla proposta di estinzione dei crediti nel-la misura indicata dallimpresa istante affinch tale proposta vincoli anche i creditoridissenzienti. Se, quindi, ed a mo desempio, la maggioranza dei creditori ha accettatodi estinguere i crediti con il pagamento del solo 20% del loro valore, ai creditori dissen-

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    zienti non consentito agire in giudizio per reclamare la soddisfazione integrale dellapretesa patrimoniale. Mentre nella procedura di dissesto laccordo sulla soddisfazionedel credito nella misura e nel termine proposto dal Comune, con riguardo ai debiti fuoribilancio, deve essere perfezionato con ogni singolo creditore; b) secondo l id quod

    plerumque acciditil concordato rappresenta lanticamera della estinzione dellimpresa(almeno per le societ), mentre la procedura di predissesto preordinata al riequilibriodei conti del Comune che dovr continuare la propria attivit istituzionale.

    Leffetto principale che la procedura di riequilibrio sembrerebbe voler sortire quellodi evitare il consolidamento e la cristallizzazione del debito dei comuni, quantomenodei debiti fuori bilancio, alla data di dichiarazione dellaltrimenti inevitabile dissestofinanziario.

    Fatto, in ipotesi, 1000 il debito totale del comune, il meccanismo della procedura di rie-quilibrio consente, piuttosto che registrarlo per intero alla data (ipotesi) del 31.12.2013,

    di spalmarlo in 10 anni cos da iscrivere per ciascun anno solo la somma di 100! (conbenefici effetti sulla contabilit pubblica nazionale da presentare in sede europea?)

    Agli amministratori dei Comuni stata offerta, in sostanza, la possibilit di evitare ladichiarazione di dissesto e di incorrere di conseguenza nella scure del severo giudi-zio della Corte dei conti e nelle relative sanzioni politiche ed economiche. apparsonaturale (ma non corretto) che gli amministratori locali vedessero nella procedura diriequilibrio in primo luogo un salvagente per se stessi, circostanza che ha contribuitoad abbassare notevolmente il tasso di valutazione tecnica dellopportunit di aderireal meccanismo di cui allarticolo 243bis piuttosto che procedere alla dichiarazione didefault.

    Questo atteggiamento ha trovato la sponda nelle solite lungaggini e farraginosit dellalegislazione e della burocrazia italiana. La commissione per la finanza e gli organicidegli enti locali e la Corte dei conti stanno procedendo allesame dei piani di rientro,ma moltissimi comuni che hanno aderito alla procedura di riequilibrio sono ancora inattesa degli esiti delle valutazioni dei predetti organi. Il legislatore ha complicato ulte-riormente le cose perch, da un lato, lemanazione del d.l. 35/2013 relativo alle antici-pazioni ai comuni per il pagamento dei debiti scaduti nei confronti dei fornitori privatiha costretto le amministrazioni locali a rimodulare e riformulare il piano di riequilibrio,dallaltro, stata riconosciuta la facolt alle amministrazioni comunali appena insedia-te e ad inizio mandato di rimodulare il piano di riequilibrio presentato dalle precedenticompagini amministrative sin tanto che la Corte dei Conti non si sia pronunciata sulle

    precedenti deliberazioni di approvazione del medesimo piano (art. 243 bis, comma 5,TUEL).

    La Corte dei Conti dal canto suo e per ci che ci risulta non sta adottando un atteggia-mento di certo tenero. Le deliberazioni relative ai comuni di Napoli, Reggio Calabria,Alessandria e Catania aventi ad oggetto la valutazione dei rispettivi piani di riequilibrio,di cui discorreremo pi oltre, testimoniano un condivisibile atteggiamento severo, tesoad accertare il rispetto di tutti i principi della contabilit pubblica con particolare riferi-mento alla veridicit dei dati inseriti nel piano, alla credibilit dei giudizi prognostici dientrata e di spese ed alla prudenza nella loro quantificazione. In assenza di tali presup-posti la Corte ha bocciato il piano di risanamento destinando il comune inevitabilmente

    verso il dissesto finanziario, in applicazione del comma 7 dellarticolo 243quater TUEL,a tenore del quale la mancata presentazione del piano entro i termini di legge, il diniegodellapprovazione del piano, laccertamento di grave e reiterato mancato rispetto degliobiettivi intermedi fissati dal piano, ovvero il mancato raggiungimento del riequilibrio

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    finanziario dellente al termine del periodo di durata del piano stesso, comportano lat-tivazione della procedura per la dichiarazione di dissesto finanziario.

    interessante notare, invece, come i giudici contabili abbiano preferito valutare positi-vamente, ai fini del giudizio sulla credibilit e sostenibilit del piano di riequilibrio, laprudenza con la quale i comuni hanno inserito fra le entrate le voci relative alle dismis-sioni immobiliari, alla cessione delle partecipazioni o al recupero del residui attivi. Sulpunto interessante appare la deliberazione della Corte dei conti-sezione del controlloper la Regione siciliana del 26 settembre 2013 relativa allapprovazione del piano diriequilibrio del Comune di Catania, dove si plaude alla scelta di non associare in viacautelare alcun valore allinterno del piano agli eventuali introiti provenienti dalla ces-sione delle partecipazioni societarie.

    Vi da osservare, comunque, che quello della Corte dei Conti si atteggia a vero e pro-prio giudizio di merito in grado di sindacare lopportunit e la discrezionalit delle scel-

    te compiute dagli organi democraticamente eletti dal corpo elettorale. Questo sindaca-to incide senza dubbio sulla autonomia costituzionale riconosciuta ai comuni (art. 114Cost.) ma vale anche ad assicurare lequilibrio dei bilanci, la sostenibilit del debitopubblico (artt. 81 e 97, comma 1, Cost.) e lunit della Repubblica (art. 5 Cost.) e, per taleragione, oggi pu considerarsi, senza tema di smentita, indispensabile.

    A questo proposito opportuno ricordare come con la riforma del Titolo V della Costitu-zione del 2001 siano stati eliminati i controlli preventivi delle Commissioni Regionali diControllo sui provvedimenti degli enti locali. Lefficacia degli atti emanati dai Comuniera, cio, sottoposta alla condizione sospensiva della approvazione della Commissio-ne regionale la quale effettuava un sindacato di legittimit pieno. Il nuovo Titolo V, sulla

    scorta di una riforma tesa alla valorizzazione delle autonomie locali ed alla riduzionedel perimetro della centralizzazione delle funzioni amministrative, ha invece eliminatoqualsiasi forma di controllo preventivo sui provvedimenti adottati, bilanci preventivi erendiconti consuntivi compresi.

    I risultati, tuttavia, non sono stati soddisfacenti soprattutto per ci che concerne lasana gestione economico finanziaria delle casse pubbliche e cos stato necessariomettere sotto tutela della Corte dei Conti, i comuni, quantomeno limitatamente aicontrolli sui bilanci preventivi e sui rendiconti consuntivi. Lautonomia in sostanza non bastata molte volte a garantire buona amministrazione, di tal che, oggi non solo laCorte dei conti deve esaminare i bilanci preventivi ed i rendiconti consuntivi al fine diverificare il rispetto del patto di stabilit, del vincolo di indebitamento previsto dallart.

    119 Cost., della sostenibilit dellindebitamento e dellassenza di irregolarit suscetti-bili di pregiudicare, anche in prospettiva, gli equilibri economico-finanziari degli enti,come prescrive larticolo 148bis Tuel, ma chiamata, altres, ad esercitare poteri didirezione sui comuni attraverso i quali limita grandemente (e convenientemente) le-sercizio della autonomia locale al fine di ricondurla al rispetto di norme e principi dirango costituzionale.

    Di certo vi , infatti, che senza la costante e penetrante sorveglianza della Corte deiConti alle amministrazioni comunali sarebbe lasciata la possibilit di sperperare ingen-ti quantit di denaro pubblico, di perpetrare le pi gravi violazioni di legge nel settoredella contabilit pubblica, di falsificare i pi elementari dati economico-finanziari.

    Utilizzando le deliberazioni delle Sezioni regionali di controllo della Corte dei Contirelativi ai Comuni di Reggio Calabria, Napoli ed Alessandria, per i quali, nonostantela presentazione dei piani di riequilibrio pluriennale, sono state ritenute sussistere lecondizioni per la dichiarazione obbligatoria di dissesto, possibile verificare in concre-

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    to quanto stato poco sopra affermato e quali siano gli elementi pi significativi dellagestione contabile che conducono a default.

    Fra predissesto e dissesto: alcuni casi

    Reggio Calabria

    (Deliberazione della sezione regionale della Corte dei Conti per la Calabria n.11/2014)

    Per il Comune di Reggio Calabria stato accertato un debito di 110 milioni di euro. Talecifra, tuttavia, non stata ritenuta del tutto attendibile dalla Corte dei Conti a causadella insufficiente eliminazione dei residui attivi. Al 31.12.2011 i residui attivi relativi adentrate proprie ammontavano a 230 milioni di euro e quelli complessivi a 554 milioni dieuro, mentre i residui passivi correnti a 204 milioni di euro e quelli complessivi a 668milioni di euro. Tuttavia, pi del 30% dei residui attivi sono stati ritenuti dalla Corte non

    esigibili perch troppo vetusti o perch il Comune non comunque in grado di riscuo-terli. Complessivamente i tributi locali e le tariffe per i servizi a domanda individualesono stati riscossi nel lasso di tempo intercorrente il 2010/2012 nella misura del 50%circa. Cifre molto esigue riguardano la riscossione, ad esempio, delle tariffe dellacque-dotto comunale (nel 2012 il 25,19% sul totale accertato e dovuto e nel 2011 il 39,44%),dei proventi della TARSU (39,35% nel 2010, 36,04 nel 2012), della TOSAP (40,70% nel2010) e della addizionale IRPEF (24,37% nel 2012). La capacit di recuperare la riscos-sione dei residui attivi (dei crediti cio non riscossi) molto bassa, nellordine del 10%.I debiti fuori bilancio sono circa 25 milioni di euro.

    Napoli(Sezione regionale di controllo per la Campania, deliberazione 12/2014)

    Il disavanzo del Comune di Napoli di circa 850 milioni di euro, la capacit di riscos-sione di tributi propri e di entrate extra tributarie di circa il 50% negli ultimi 3 anni. Gliintroiti dalle tariffe per i servizi a domanda individuale dal 2008 al 2012 non hanno maicoperto pi del 32% del dovuto e dellaccertato, con punte inferiori del 14%. Nel 2012,ad esempio, le tariffe degli asili nido incassate sono state pari al 5,29%, del dovuto,quelle per le mense scolastiche al 28,83%, quelle per gli impianti sportivi al 12%.

    I crediti di dubbia esigibilit eliminati a seguito dellinvito pressante della Corte deiConti di procedere al riaccertamento ammontano a 870 milioni di euro. I giudici con-

    tabili hanno sottolineato linattendibilit di tutti i dati forniti dalla Amministrazione, laquale, prima di applicare correttamente i principi contabili su invito della Corte, avevaal 31.12.2011 presentato addirittura un avanzo di amministrazione di 92 milioni di europer trovarsi poi definitivamente con circa 850 milioni di disavanzo. La Corte, infine, haevidenziato che dopo la cancellazione dei residui attivi dal rendiconto 2011 permango-no ancora per le principali voci di entrata insussistenze potenziali dellordine del 90%,per residui TARSU e contravvenzioni del Codice della Strada, molti dei quali risalentipersino allanno 1995. I debiti fuori bilancio cui fare fronte sono circa 65 milioni di euro.

    Alessandria

    (Corte di Conti, Sezione regionale di controllo per il Piemonte, Deliberazione n. 260 del12 giugno 2012)

    Anche per il Comune di Alessandria, cittadina del profondo nord, emergono dati con-sistenti di mala gestio: 37 milioni di disavanzo, 45 milioni di residui attivi in gran parte

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    inesigibili, 27 milioni di debiti fuori bilancio, 78 milioni di debiti nei confronti degliorganismi partecipati, scarsa capacit di riscossione dei residui attivi.

    I casi di Napoli, Reggio Calabria ed Alessandria non lasciano dubbi e rappresentanorealt che non unesagerazione definire eclatanti. I dati, sebbene suscettibili di di-verse analisi interpretative, confermano lesistenza di una cattiva gestione della cosapubblica perpetratasi per molti anni. Ma le amministrazioni locali non sembrano an-cora oggi avvertire la gravit della condizione in cui navigano e continuano a porre inatto condotte che definire discutibili sarebbe un eufemismo. Il Comune di Napoli,come abbiamo visto, ha presentato alla Corte dei Conti un consuntivo che al 30.11.2011indicava avanzo di amministrazione per 92 milioni di euro! Lapplicazione corretta deiprincipi contabili (veridicit soprattutto) ha svelato un debito superiore a 850 milioni dieuro! Lamministrazione partenopea ha previsto di risanare il bilancio per mezzo dellaalienazione immobiliare del patrimonio rappresentato dagli alloggi di edilizia popola-

    re (13.005 in tutto) e dagli immobili costituenti il patrimonio disponibile del Comune(2.351 immobili). Il Comune aveva stimato un introito di euro 660 milioni, ma la Cortedei Conti, oltre a rilevare la inattendibilit del crono-programma delle vendite e delleprevisioni di entrata ha osservato che per espresso vincolo normativo

    solo il 25% degli eventuali proventi previsti dal piano di dismissioni del pa-trimonio ERP potr essere destinato al ripiano del deficit dellEnte proprie-tario, mentre il 75% andr obbligatoriamente destinato a piani di recuperoe di riqualificazione nonch alla costruzione di nuovi alloggi ed altre finalittese a dare risposte ai bisogni abitativi.

    Il piano di rientro, in conclusione, era fondato su unoperazione in gran parte giuridica-mente illegittima!

    Dello stesso tenore le considerazioni per i comuni di Reggio Calabria ed Alessandria,dove si sono registrate entrate tributarie troppo esigue, debiti fuori bilancio stratosfe-rici ed artifici contabili veramente fantasiosi. Il Comune di Alessandria, ha fatto notarela Corte dei Conti, per fare quadrare il bilancio aveva contabilizzato elevate plusvalenzeconseguenti ad alienazioni immobiliari. Sennonch

    Il Comune, infatti, aveva indicato come operazioni di cartolarizzazione levendite di beni effettuate in favore di societ partecipate, appositamentecostituite (SV.I.AL. s.r.l. e VALOR.I. AL.. srl, il cui capitale integralmente de-tenuto dal Comune), che ricorrevano al debito, garantito dallo stesso Comu-ne di Alessandria, per corrispondere allEnte locale il prezzo della cessione.

    Peraltro, la vendita, in molti casi, presentava difficolt rallentamenti e, addi-rittura, avveniva a prezzi inferiori a quelli di cessione da parte del Comunedi Alessandria, con il conseguente formarsi di elevate perdite a carico delbilancio delle societ che lente locale era tenuto a ripianare.

    Per i casi sopra rappresentati le competenti sezioni della Corte di Conti hanno bocciatoi piani di riequilibrio proposti dai Comuni ed hanno ordinato ex comma 7, art. 243qua-ter TUEL, la dichiarazione obbligatoria di default.

    Il nuovo Governo Renzi, tuttavia, si immediatamente prodigato in una falsa parten-za, atteso che con decreto legge n.16/2014 ha stabilito che per lesercizio 2014 gli entilocali che abbiano presentato, nel 2013, piani di riequilibrio finanziario che non sono

    poi stati approvati dalla Corte dei conti, hanno la facolt di presentare un nuovo pianoentro 90 giorni dal diniego della Corte a condizione che sia avvenuto un miglioramen-to nel risultato di amministrazione registrato nellultimo rendiconto approvato. Con ilmedesimo decreto, poi, il Governo, nonostante fosse originariamente previsto che la

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    bocciatura del piano di rientro da parte della competente sezione della Corte dei contifacesse decadere il divieto per i creditori di adire il giudice per la soddisfazione delleproprie pretese patrimoniali, ha previsto nuovamente il rinnovo della sospensione del-

    le procedure esecutive.

    Ancora un volta si consente agli alunni sonoramente bocciati di presentarsi per la se-conda occasione agli esami di riparazione anzich costringerli a ripetere lanno e sisvilisce la funzione giurisdizionale (a cosa servito il giudizio della Corte di conti?). Icomuni vivono nel limbo: non falliscono e non trovano la strada del risanamento, allostesso tempo, per, trascinano con loro in questa terra di nessuno i cittadini ed i credi-tori, ai quali ultimi si rende sempre pi difficoltoso lesercizio di un diritto costituzional-mente garantito qual quello alla tutela dei propri diritti ed interessi (art. 24 Cost.). Se,infatti, ragionevole, come abbiamo osservato, ordinare la sospensione delle azioniesecutive durante lo svolgimento della procedura di dissesto e dopo lapprovazione

    di quella di riequilibrio strutturale, non in alcun modo giustificabile che in esito allabocciatura del piano di rientro il creditore sia ancora costretto ad attendere le nuovedeterminazioni dellamministrazione pubblica.

    Conclusioni

    1. Il ruolo dello Stato nel dissesto dei comuni

    Le cronache giornalistiche hanno portato alla ribalta il tema dellintervento dello Statoin soccorso dei comuni che versano in condizioni di dissesto o di grave disequilibriostrutturale. il caso, adesso, di affermare che non vi pu essere pretesa di autonomiadella gestione senza esigere allo stesso tempo la responsabilit per il medesimo ope-

    rato. La cause del dissesto dei comuni non sono imputabili a difficolt economico/so-ciali (non in prevalenza almeno) o ad eventi calamitosi straordinari, bens si annidano,come abbiamo visto, pressoch esclusivamente nella mala gestiodi unintera classedi amministratori pubblici e nella connivenza di questa ultima con i pi retrivi costumisociali di alcune comunit locali. Lappello alla solidariet per il soccorso a comunitin difficolt appare in questa circostanza stucchevole oltre che giuridicamente privo dialcun fondamento. bene ricordare, infatti, che linderogabile dovere di solidariet cuilarticolo 2 della Costituzione fa espresso richiamo funzionale alla rimozione degliostacoli di ordine economico e sociale che limitano la libert e luguaglianza dei citta-dini (art. 3 Cost.), funzionale a colmare cio un divario originario che altera la sanacompetizione sociale, e non certo invocabile per porre rimedio alle conseguenze ne-

    gative prodottesi dalle condotte poste in essere da soggetti liberi e responsabili. Nonsi pu dimenticare, poi, che lo Stato un ruolo fondamentale a vantaggio dei comuni loha comunque svolto, sia con la disciplina sul cosiddetto predissesto (articolo 243bise ss. TUEL), sia con la predisposizione di un fondo di rotazione da utilizzare da partedei comuni per ripianare i buchi di bilancio, sia con le norme che hanno consentito dianticipare il pagamento dei debiti degli enti locali (d.l. n. 35/2013). Non , dunque,accettabile alcun soccorso ai comuni dissestati che gravi ingiustamente sulle cassedello Stato.

    2. Un fallimento vero ed un rating pubblico anche per i comuni

    In uneconomia di mercato il credito concesso dai soggetti che vi operano sulla basedel merito creditizio in ragione del quale si definisce la solidit del debitore e si misurail grado del rischio che la pretesa economica rimanga insoddisfatta. In questo contestoil creditore consapevole del rischio che grava sulla soddisfazione della propria pre-

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    tesa patrimoniale e sa che in caso di default del debitore le perdite potranno esseremolto ingenti e definitive. Il debitore, a sua volta, far quanto in suo potere per apparirerealmente affidabile attraverso la trasparenza del suo operato e dei suoi conti che do-

    vranno essere in ordine, pena il ritiro della fiducia del mercato ed il blocco di qualsiasitransazione.

    I soggetti che intrattengono rapporti con i comuni, invece, si trovano in una condizio-ne radicalmente differente. Non gli possibile di solito avere informazioni chiare edapprofondite circa lo stato di salute dei conti della amministrazione pubblica e fannoaffidamento esclusivamente su una delibera di impegno spesa che autorizza lesborsoeconomico (non il pagamento immediato) pur in assenza di una reale e prossima di-sponibilit di cassa. accaduto, cos, che i Comuni sono stati ritenuti tradizionalmenteclienti sicuri per quanti offrono loro beni e servizi; salvo scoprire (troppo in ritardo)che il credito concesso presenta in realt un altissimo rischio di non essere soddisfattonellimmediato ed in un prossimo futuro, rischio ancor pi grave per lipotesi che lentedichiari il dissesto finanziario.

    Sarebbe opportuno, allora, che chi si accinge a intrattenere rapporti contrattuali con iComuni (e con la P.A. pi in generale) possa avere a disposizione informazioni comple-te e veritiere circa il ratingdellamministrazione con la quale si predispone a contrat-tare al fine di potere valutare adeguatamente lopportunit di vendergli beni e servizi.La mera predisposizione del bilancio preventivo, infatti, nulla dice circa le reali condi-zioni in cui versa il comune in quanto lo strumento economico-finanziario presentatoper espressa volont legislativa sempre in pareggio (art. 162 Tuel). Ma si tratta di unbilancio preventivo. Ed il pareggio preventivo si ottiene solitamente con la sottovalu-tazione delle spese previste e per mezzo della sovrastima delle entrate programmate.

    Cosicch un impegno di spesa trova copertura solo teorica allinterno del bilancio e lasua liquidazione subordinata alla realizzazione entro lesercizio in corso delle entratepreviste. Qualche indicazione maggiore si pu ottenere dal rendiconto consuntivo, dalquale possibile evincere pi chiaramente le difficolt di cassa dellente. Ma si trat-ta sempre di elementi, come abbiamo visto, suscettibili di essere alterati oltre mododa amministrazioni irresponsabili. Una valutazione da parte di un soggetto terzo cherappresenti periodicamente in maniera obiettiva e quanto pi chiara possibile, invece,le reali condizioni del comune anche per il tramite di giudizi sintetici facilmente com-prensibili ai non addetti ai lavori renderebbe tutto pi agevole. Da un lato, il Comunesarebbe costretto ad avere i conti in ordine per scongiurare leventuale rifiuto del mer-cato di fornirgli i beni ed i servizi di cui necessita, dallaltro, per, il creditore sarebbe

    a sua volta disposto ad accettare serenamente le eventuali perdite per il caso di dis-sesto in ragione della consapevolezza del merito creditorio del Comune allepoca dellaconclusione del contratto. In questo modo si potrebbe anche arrivare a disciplinare unfallimento vero e proprio con lestinzione definitiva, cio, dei crediti rimasti insoddi-sfatti in esito alla procedura di dissesto. Oggi, invece, come abbiamo detto, i crediti deiprivati divenuti totalmente o parzialmente inesigibili a conclusione della procedura didissesto possono essere fatti valere (anche a distanza di molti anni) nei confronti delComune tornato in bonis(art. 268ter TUEL; sentenza TAR Napoli, n. 2819/2011), di talche continueranno a gravare sulla comunit dei cittadini.

    Daltronde non si comprende la ragione per la quale il credito nei confronti del Comunedebba essere sottratto al rischio di default del debitore come avviene, invece, ordina-

    riamente nel mercato privato. Un fallimento vero, dunque, anche per i Comuni, assistitodalle ordinarie cautele tipiche delle transazioni consumate allinterno di uneconomiadi mercato, permetterebbe di assicurare comunque lordinario svolgimento delle fun-zioni amministrative essenziali. N sarebbe dostacolo la presenza delle numerose so-

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    ciet partecipate cariche di ingenti debiti e di personale in eccesso rispetto ai fabbiso-gni reali. Anche per loro dovrebbe semplicemente aprirsi la strada della dismissione odel fallimento, con tutte le conseguenze necessarie, comprese quelle del licenziamen-to del personale in esubero e dellestinzione degli ingenti debiti, per ripartire, dopo,con laffidamento al mercato privato della erogazione dei relativi servizi pubblici.

    Dissesto o predissesto?

    La Corte dei Conti ha ribadito in pi occasioni che le condizioni di dissesto e predisse-sto, per quanto prossime luna allaltra non possono essere confuse tra loro e che inpresenza dei presupposti per il default previsti dalla legge

    lente locale tenuto alla dichiarazione di dissesto, non essendo la stes-sa frutto di una scelta discrezionale, quanto piuttosto una determinazione

    finalizzata al ripristino dellequilibrio di bilancio, funzionale a riportare ilfunzionamento dellEnte in condizioni di normalit, anche al fine di evita-re un ulteriore aggravarsi della situazione finanziaria (Sezione Regionaledi controllo per il Piemonte, deliberazione n. 260/2012, Consiglio di Stato,sez. V, sentenza n.143/2012, Sezione regionale di controllo per la Campa-nia, deliberazione 12/2014).

    Pur in presenza di un grave deficit strutturale lordinamento consente di provare ad evi-tare il dissesto quante volte le manovre programmate dallamministrazione comunalesu un orizzonte temporale massimo di 10 anni siano in grado, a giudizio della Cortedei Conti, di riportare la situazione finanziaria dellEnte in una condizione di normalit.

    Abbiamo visto, per che le leve utilizzabili dallamministrazione che accede alla proce-dura di riequilibrio finanziario pluriennale (predissesto) sono grosso modo identiche aquelle che il Comune deve di necessit mettere in campo per lipotesi di dichiarazionedi dissesto e pressoch identiche risultano essere le conseguenze per cittadini e cre-ditori.

    Ci che lascia perplessi, tuttavia, limpostazione, se ci consentito il termine, dirigi-sta che permea listituto legislativo del riequilibrio pluriennale dei comuni che versa-no in condizioni in cui il limescon il default veramente labile.

    Fare affidamento su una programmazione economico-finanziaria rigida di cos lungoperiodo, suscettibile di andare a gambe allaria al primo imprevedibile incidente di

    percorso che ragionevolmente potr presentarsi nel corso di 10 anni appare atteggia-mento forse troppo ambizioso e ottimistico.

    Troppe le variabili dalle quali dipende il buon esito di un piano di riequilibrio decennalee troppo scarne le leve che lamministrazione comunale pu utilizzare per fare frontealle prevedibili difficolt.

    Si pensi, ad esempio, agli ostacoli che si frappongono alla dismissione del patrimonioimmobiliare soprattutto in un contesto di grave crisi economica ed in assenza di stru-menti normativi che rendano appetibili gli investimenti dei privati; o alla difficolt dirimettere in sesto le societ ed i consorzi partecipati dai comuni permanendo gli attualilivelli di indebitamento e di inefficienze nella gestione. Come non guardare con sospet-

    to, poi, alla promessa, contenuta anchessa nei piani di riequilibrio, di incrementareper il futuro il tasso di riscossione dei tributi e delle tariffe per i servizi a domandaindividuale, in un contesto, anche questo, di grave difficolt economica e sociale e sen-za lindicazione di nuovi e diversi metodi capaci di assicurare il recupero di efficienza

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    Rocco Todero

    13712 settembre 2014

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    nella riscossione, come potrebbe verificarsi, invece, con lesternalizzazione completadella esazione?

    E poi, ancora, viene da chiedersi se nel corso di 10 anni il costo dei servizi da erogarealla cittadinanza rimarr costante, se landamento demografico rimarr stabile, se lacomposizione anagrafica della popolazione non incider in qualche misura sui numeridel piano di rientro e se il legislatore, infine, sapr resistere alla tentazione di mutare ilquadro di riferimento normativo sulla base del quale quei numeri si fondano.

    Queste, in conclusione, le perplessit che suggeriscono di preferire pi realisticamentela dichiarazione di default alla procedura di riequilibrio pluriennale, quantomeno (manon solo) per i comuni che hanno gi avuto bocciato il piano dalla Corte dei conti; sen-za ulteriori indugi, senza nuove eccezioni e rinnovate proroghe (come quelle adottateda ultimo dal Governo Renzi) il cui unico effetto quello di testimoniare della pi totaleincapacit a districarsi abilmente in questo pericolosissimo ginepraio.

  • 8/11/2019 Non Dissestare i Dissestati Di R.Todero

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