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TEODORO TUSINO NON DISSE MAI NO P. Annibale Maria Di Francia II edizione EDIZIONI PAOLINE

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TEODORO TUSINO

NON DISSE MAI NOP. Annibale Maria Di Francia

II edizione

EDIZIONI PAOLINE

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Segreteria di Stato di Sua Santitàn. 74158

Dal Vaticano 15 giugno 1966

Reverendissimo Padre Sono lieto di comunicarLe che l’Augusto Pontefice ha

accolto con gradimento l’omaggo del suo recente libro daltitolo “ Non disse mai no - P. Annibale Maria Di Francia”devotamente offertoGli dalla Paternità Vostra Rev.ma.

Sua Santità mi affida pertanto il venerato incarico diesprimerLe il Suo ringraziamento per tale atto di filiale os-sequio, e di manifestarLe la Sua compiacenza per la pub-blicazione, che illustra la figura e l’opera di un “apostolodella preghiera per le vocazioni sacerdotali, e apostolo dicarità, specie per gli orfani abbandoati”.

Nell’augurare copiosi frutti di bene, il Santo Padre dicuore Le imparte la propiziatrice Benedizione Apostolica.

Mi valgo dell’incarico per confermarmi con sensi di re-ligioso ossequio

della Paternità Vostra Rev.maDev.mo nel Signore

+ ANGELO DELL’ACQUASostituto

Reverendissimo PadrePadre Teodoro Tusino RCJVa Tuscolana 167 - Roma

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Sacra Congregatio de Seminariiset Studiorum Universitatibus

Roma, 13 luglio 1966

Reverendissimo Signore,mi è pervenuto il gradito omaggio, che la

Signoria vostra si è compiaciuto di inviarmi, della biografiadel Servo di Dio P. Annibale M. Di Francia.

Nel ringraziare la Signoria vostra Rev.ma per l’atenzioneusatami, desidero complimentarmi con l’Autore per la sem-plicità e la oggettività con cui ha saputo tratteggiare la vita,l’opera e lo SPirito del Servo di Dio.

Accanto alle precedenti biografie, alcune anche di note-vole valore storico-letterario, la presente ha il pregio di dirtutto brevemente, e con sicura intuizione delle carateristichedella spiritualità del Di Francia.

Auguro di cuore che la fatica dell’Autore sia ripagata dauna vasa diffuzione della sua opera; sarà questo un mzzonon solo per far conoscere il Servo di Dio, ma pr continuareil suo apostolato a favore delle sacre vocazioni.

Gradisca l’espressione del mio particolare ossequio e micreda

della Signoria Vostra Rev.madev.mo nel Signore

Reverendissimo SignorePadre Carmelo Drago Superiore Generale dei PP. Rogazionisti Va Tuscolana 167 - Roma

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Arcivescovo di Trani Nazareth e BarlettaAmministratore perpetuo di Bisceglie

Trani, 5 Agosto 1966

Rev.mo Padre,inviandomi la vita del S. Fondatore dei PP.

Rogazionisti, scritta dal P. Tusino, Ella mi ha fatto un belregalo davvero. Nelle pagine del P. Tusino rivive, vivace,dinamico, simpaticissimo, il Padre degli Orfani e l’Apostolodelle Vocazioni. Il libro del P. Tusino si legge tutto d’un fiatoper lo stile agile e brioso, ma più ancora per il contenutotanto interessante, che rende una bellissima testimonianzaalla santità del P. Di Francia.

Nell’esprimere di nuovo la mia riconoscenza per questovolume, faccio voti che la causa di beatificazione del Servodi Dio presto arrivi alla sua felice conclusione,

Gradisca, Padre Re.mo, i miei distinti ossequi e mi rac-comandi al Signore

suo dev.mo in Cristo+ Reginaldo Addazzi

Reverendissimo SignorePadre Carmelo Drago Superiore Generale dei PP. Rogazionisti Va Tuscolana 167 - Roma

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PREFAZIONE

Del Servo di Dio Annibale M. Di Francia ha scritto lavita con obiettività di storico ed affetto di figlio, il P. Fran-cesco Vitale, suo collaboratore per lunghi anni e immediatosuccessore nel governo dei Rogazionisti. Quel poderoso vo-lume (VITALE, Il Can.co Annibale M. Di Francia nella vitae nelle opere, pag VIII-768) è però da un pezzo fuori com-mercio.

Giorgio Papàsogli e Lelio Taddei, scrittori di alta quotain fatto di agiografia, ci hanno dato un lavoro molto accu-rato (PAPàSOGLI - TADDEI, Annibale Maria Di Francia,Ma-rietti, 1958) al quale rimandiamo, per chi volesse una vitaabbastanza sviluppata del Servo di Dio.

Segnalato il lavoro (di D. GIUSEPPE PESCI, Gli uomini nonpossono attendere, Salani, Firenze, 1958), presentato dal P.Lombardi: «Una biografia con ampio quadro storico», sic-ché l’autore ha «trovato modo di fare un trattatello sulle vo-cazioni e sul mezzo principale per ottenerle».

Chi amasse avere la vita del Di Francia in un’organica ri-duzione, può leggere il volumetto del Cappuccino P. Feliceda Porretta (Vita popolare del Can.co Annibale M. Di Fran-cia); ma è un lavoro che rimonta ormai a venticinque anniaddietro, e da allora molti documenti venuti fuori hanno me-glio illuminato la figura e l’opera del Di Francia.

Si è quindi pensato ad un profilo biografico, che mettessein risalto specialmente lo spirito del Servo di Dio, in rela-

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zione alla sua duplice missione: apostolo del Rogate, per ladiffusione della preghiera per le vocazioni, e apostolo dellacarità, a servizio degli abbandonati figli del popolo.

Si spiega così l’orgine e lo scopo di questo modesto la-voro.

Se siamo riusciti nell’intento, ne sia lode al Signore e allaMadonna; se abbiamo fallito alla méta, ci si voglia compa-tire, formulando con noi il voto che penne di ben altro va-lore si muovano presto a darci opera perfetta.

Roma, 8 dicembre 1965, Festa dell’Immacolata e chiu-sura del Concilio Ecumenico Vaticano II.

L’AUTORE

PER LA SECONDA EDIZIONE

Esaurita in breve la prima edizione di questa biografia,eccone la seconda, pur essa forte di 10.000 esemplari.

Sostanzialmente nulla è stato mutato; molto discrete lemodifiche e aggiunte.

Voglia la Madonna SS. continuare a benedire il modestolavoro «che illustra la figura e l’opera di un apostolo dellapreghiera per le vocazioni sacerdotali, e apostolo di carità,specie per gli orfani abbandonati».

Roma, 15 agosto 1966, Assunzione di Maria SS.L’AUTORE

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1. Il primo e l’ultimo incontro

20 agosto 1911: in treno, sulla linea adriatica verso Brin-disi. Eravamo nove ragazzi; il Padre Di Francia ci aveva ri-levati a Bisceglie e ci conduceva ad Oria nel suo Istituto diS. Pasquale.

Ero il più piccolo della comitiva, ed egli in seguito sicompiacerà di richiamare all’occasione quel viaggio, era ilricordo che gli aveva lasciato la mia vivacità.

– Era tanto - e faceva segno con la mano - era tanto pic-colino, e per tutto il viaggio rideva, rideva sempre...

Certo è una testimonianza che non mi fa onore; ma di benaltra natura è il ricordo incancellabile che ha lasciato in metutto quel giorno, il primo, passato in compagnia del Padre.

Come il treno si mosse, mi domandò:– Dimmi: quanto ami Gesù?Mi trovai imbarazzato e balbettai: – L’amo quanto

posso! – Ed Egli ad insistere: – Ma quanto vuoi amarlo? –Non ricordo ciò che risposi; ricordo invece che, dopo averrivolto a tutti la stessa domanda, egli suggerì questa rispo-

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CAPITOLO I

LA VITA SECOLARE

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sta: – Io voglio amare Gesù con l’amore con cui l’amanotutti gli Angeli e tutti i Santi del cielo e tutti i giusti dellaterra, con l’amore con cui l’ama la SS. Vergine Maria e fi-nalmente con l’amore con cui l’ama il suo stesso Divin Ge-nitore!

E spiegava; – Certo, non è possibile arrivare a tanto; mache importa? Gesù gradisce i santi desideri, se ne compiacee accresce nell’anima le fiamme del suo amore.

Un discorso di tal genere era per me del tutto nuovo; nèmeno nuovo il fatto che il viaggio era ampiamente costellatodi preghiere e di rosari. Avvicinandoci ai diversi paesi, ilServo di Dio si affacciava al finestrino cercando con losguardo la Chiesa, e diceva: – Vedi, lì c’è Gesù: salutiamolo;a quest’ora forse è solo, abbandonato... – Rammento peròbenissimo che non mi annoiavo, mentre egli sapeva distrarcicon santi discorsi: ci narrò, per esempio, la vita di S. Barsa-nofio Abate, protettore di Oria, ci parlò dell’istituto di S.Pasquale, ecc.

Ad un tratto io interruppi bruscamente: – Padre, ho sete!I treni di quel tempo non vantavano gli innumerevoli

comforts di oggi, e, l’acquedotto pugliese essendo ancorada venire, un bicchier di acqua si comprava agli spacci pub-blici. Il Padre pertanto mi si rivolse sorridente e disse: – OraGesù beve nel tuo cuore; a Brindisi Gesù darà da bere a te.

Linguaggio nuovo anche questo; e io guardavo con tantodi occhi, quasi per dire: ma intanto l’acqua non c’è! E ilPadre, amorevolmente: – Non credi? Sta attento: offri que-sta sete a Gesù: è come se gli avessi offerta dell’acqua,quando Egli la chiedeva sulla Croce!

Il discorso correva a meraviglia, e da tutto il complessodi cose vedute ed osservate nel viaggio, nella mia piccolatesta frugolina si veniva formulando un pensiero: – QuestoPadre è davvero un santo!

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E il pensiero si andò maturando successivamente inferma convinzione, nei sedici anni che rimasi alla suascuola.

30 maggio 1927, antivigilia della morte.Il Padre si trovava da una ventina di giorni alla Guardia,

contrada periferica di Messina, dove si sperava nella ripresadella sua salute ormai sfinita.

Quella mattina gli portai la Comunione per tempo e dopola S. Messa andai a licenziarmi da lui per tornare in città.Lo trovai seduto sulla sua vecchia sedia di vimini verdi.

– Come sta, Padre?– Come l’albero caduto! - mi rispose con accento della

voce e lampo degli occhi, in cui, pur nella pienezza dell’ab-bandono al divino volere, riviveva la nostalgia dei tempipassati, quando l’albero vigoroso sfidava i venti e le tem-peste. E continuò: – Lasciamo fare a Dio: Iddio sa quelloche fa, Iddio sa quello che fa! Benedico. – E alzò la manopaterna sul mio capo.

Fu quello per me il suo ultimo insegnamento e la sua ul-tima benedizione: insegnamento e benedizione che mi ri-mangono impressi profondamente nell’anima, miaccompagnano nelle alterne vicende della vita, fino algiorno in cui il Signore per sua infinita misericordia vorràschiudermi le porte della eternità beata.

E mi aiuti quella benedizione a stendere queste brevi me-morie.

2. Al collegio S. Nicolò

Il P. Annibale Maria Di Francia fu apostolo della pre-ghiera per le vocazioni sacerdotali, apostolo di carità specie

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per gli orfani abbandonati, e apostolo della devozione a S.Antonio di Padova.

Nacque a Messina il 5 luglio 1851, sabato, dal Cav. Fran-cesco, Marchese di S. Caterina, creato da Pio XI Vicecon-sole Pontificio e Capitano onorario della Marina, e dallanobildonna Anna Toscano dei Marchesi di Montanaro daparte di madre.

Orfano a due anni, trasse una infanzia solitaria e triste,perché la mamma, impegnata nella sistemazione del patri-monio familiare che si andava disgregando, non poté occu-parsi immediatamente di lui e lo affidò ad una vecchia zia,che viveva sola, in ambiente chiuso, fatto proprio per mor-tificare la vivacità di un bambino. Di questo suo tormentofisico e morale si servì la Provvidenza, per infondergli nel-l’anima fanciulla, i germi di quella incomparabile tenerezzaper i piccoli e i derelitti, che caratterizzano la sua vita.

A sette anni fu messo dalla madre nel collegio S. Nicolòdei Gentiluomini, tenuto dai Cistercensi, dove, aprendo lamente ai primi rudimenti del sapere, riscaldava il cuore alfuoco della pietà: egli ricorderà sempre con riconoscenza ilbuon P. Foti, che ogni sera lo conduceva dinanzi ad una im-magine della Madonna a recitare con lui lo stellario dellaImmacolata Concezione, e coi suoi discorsi ed esempi glisviluppava nell’anima fiamme di amore verso la SS. Ver-gine (1).

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(1) Nella vita edificante del fratello del servo di Dio, Francesco, (FELICI, Ilpadre delle orfane, Mons. Francesco M. Di Francia e il suo Istituto, RomaNova Lux), Icilio Felici associa Francesco ad Annibale nella dimora pressola zia strana e misantropa e poi al Collegio dei Cisterciensi. La prima cosanon ci risulta; anzi abbiamo argomenti che direbbero il contrario. Parlandodelle sue paure infantili accanto alla zia, Annibale, che ricordava con mirabilelucidità persone e cose di quel tempo, non ha mai fatto cenno di suo fratello

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La carità sembrava nata con lui. Sua madre soleva direche, fin da bambino, grande era la sollecitudine del Servodi Dio verso i poveri ai quali dava tutto quello che in casapoteva raccogliere di oggetti o cibo per essi.

3. L’abbraccio del poverello

Ci viene segnalato un episodio che si riferisce a questianni di collegio.

Un povero era stato ammesso nel refettorio dei collegiali.Mentre consumava in un angolo quanto gli era stato offerto,ecco che viene fatto segno alle impertinenze di quellaciurma incosciente, che, a cominciare dagli assistenti, confrizzi e motti dapprima, e poi col lancio di bucce, torsi e ri-fiuti della tavola, lo costrinsero a ritirarsi mortificato. Aquello spettacolo il piccolo Annibale Maria non resse: rac-colse in un cestino pane, formaggio, frutta e corse ad offrirloal poveretto che si allontanava. Il buon vecchio lo abbracciòe baciò con le lacrime agli occhi.

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D’accordo col Felici che la Sig.ra Toscano non poteva, per la ncessaria di-fesa del patrimonio familiare, andare in giro per gli studi degli avvocati e leaule dei tribunali, portandosi in braccio il piccolo Francesco; ma tra la suaparentela non si contava solo la melanconica zia. Scrive a ragione il Vitale:che la Sig.ra Toscano «pensò di affidare ai parenti i più picoli dei figliuoli».Riteniamo che Francesco più fortunato di Annibale, non abbia subito le stra-vaganze della vecchia isterica; che del resto se ne andò ben presto col coleradel 1854.

In quanto alla permanenza del Servo di Dio in Collegio, per la precisionestorica vanno distinti due periodi. Il primo si chiude con l’entrata di Garibaldia Messina, il 24 luglio 1860, quando la sig.ra Toscano riparò coi figli pressoi suoi parenti in Napoli. Sedata la rivoluzione, il Servo di Dio fu rimesso a S.Nicolò, dove rimase fino alla soppressione del 1866. In questo periodo ebbea compagno di educandato il fratello minore Francesco.

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In seguito alla rivoluzione del 1860, la mamma lasciòMessina, riparando in Napoli presso i parenti, col giovanettoche vestiva la bianca cocolla cisterciense.

– Puozza ‘mbiri ‘nto calici! – cioè possa tu diventare sa-cerdote - gli disse sorridendo la portinaia; e il Servo di Diosi compiaceva di ricordare fino agli ultimi tempi come il Si-gnore aveva realizzato l’augurio della buona popolana.

4. Alla scuola del Bisazza

A quindici anni uscì dal collegio, definitivamente chiusodalle leggi eversive, e continuò i suoi studi con molto pro-fitto sotto la guida dell’insigne poeta messinese Felice Bi-sazza.

Egli era nato poeta. In seguito diremo anche della suavena e della sua attività poetica. Certamente, se avesse avutotempo e modo di coltivare le disposizioni naturali, il Servodi Dio avrebbe colto nel campo della poesia più di un alloro.Preferì invece coglierlo nel campo della carità: e non è forsepoesia, altissima poesia, la carità?

5. L’apostolato della stampa

Un suo zio dirigeva La Parola Cattolica, coraggioso set-timanale che affrontava a viso aperto le battaglie della fedee la difesa del Papato, tanto da meritare parecchi sequestrie un anno di sospensione, dal giugno del 1866 al giugno1867, per la strenua affermazione della causa cattolica.

Il Servo di Dio vi cominciò giovanissimo il suo postolatodella stampa, che fu sempre per lui una passione. Ci limi-

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tiamo a segnalare le sue due prime collaborazioni, una inversi e l’altra in prosa.

Il 2 giugno 1868 pubblica una saffica Per Maria Vergine.

Sul tuo trono di stelle anch’io ti cantoAmareggiato nell’april degli anni,Che d’un dolore intemerato e santo

Bevvi agli affanni!. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Addio, vergini sogni! addio, beateIllusion dell’animo, esclamai,Che nel fervore d’una prima etate

Ebbro sognai!

Si sente l’anima ricca di pietà e di fervore, ma si trattasempre di un giovane con le sue ansie e i suoi problemi.

Il poeta continua rilevando la tristezza dei tempi, la vio-lenza della lotta tra il bene e il male, che lacera l’Italia, eannunzia la salvezza, che verrà dalla Madonna. Ma cometrionferà la Madonna?

Il poeta, ripetiamo, è giovane e i giovani – anche i sani ei ... futuri auspicati santi! – si sa, sono tutti, chi più chi meno,della focosa famiglia dei Boanerges (Mc 3, 17), figli deltuono, i quali, come Giacomo e Giovanni, domandanofuoco dal cielo. Conchiude quindi:

Donna e Regina dell’eterna sede,Fulmina gli empi dal tuo ciel supremo!

A questo punto mi sembra di vedere la santa Madonnachinarsi sull’ardente giovanetto, per fargli sentire all’orec-chi, adattandole a Sé, le parole del suo Divin Figlio: «Tu

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non sai di che spirito sei: la mia missione non è quella diperdere gli uomini, ma di salvarli». Il giovane intese questorichiamo, e sul giornale che conservò per sé, corresse di suopugno:

Converti gli empi dal tuo ciel supremo!

6. « Giustizia all’innocenza »

Il suo primo articolo, del 26 novembre dello stesso 1868,ha per titolo: Giustizia all’innocenza. È sintomatico che ilfuturo apostolo del Rogate ci si riveli in questo suo primoscritto dato alle stampe come difensore dei sacerdoti. Sitratta infatti della difesa di due sacerdoti, il direttore e uncollaboratore di L’Ape Iblea, giornale cattolico di Palermo,arrestati e lasciati languire in prigione, senza adeguato mo-tivo, e ciò per lo spirito settario che dominava l’ambiente:«Colpevoli solo di aver difeso i princípi del cattolicismo inuna città libera. Non possiamo trattenerci dal denunzareall’Europa civile un fatto che basta a far conoscere l’immo-ralità e l’arbitrio dei nostri governanti». E conchiude: «Mache si crede? Di costringerci forse al silenzio con simili attidi arbitrio? Oh, la si sbaglia di gran lunga! L’amore dellapatria e della religione, con l’aiuto di Dio, ci terrà fermi esaldi nella pugna. Sì lo diciamo a fronte alta e sicura: use-remo dei diritti che ci concede la legge per isvelare semprele vostre trame, o bassi nemici della fede cattolica; conti-nueremo sempre a disingannare gl’illusi, a chiamarli allareligione, a renderli ubbidienti alla voce del Sommo Ponte-fice. Questa è la nostra missione, che vorremmo esercitareanche su di voi. Ma sventuratamente lo spirito del male vi

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serpe nelle vene, vi soggioga il cuore e l’intelletto, né il vo-stro danno vi fa scorgere. Voi temete la luce: chi teme laluce è degno delle tenebre, e vi resti sepolto!»

A parte l’enfasi retorica, a parte la conclusione, che rivelaancora il figlio del tuono, non si può non ammirare lo zelo,la franchezza, il coraggio di questo giovane diciassettennenel sostenere le proprie idee a difesa della religione.

Nel 1869 pubblicò pure un carme ad onore di Pio IX, chel’11 aprile celebrava le sue nozze d’oro sacerdotali.

7. Un ceffone bene assestato

Ma l’apostolato del giovane Di Francia, all’occorrenzanon si limitava alla penna.

Una volta, uscendo dalla cattedrale, col vestito di gala ela sua brava tuba in testa, notò sulla piazza un ciarlatano cheaveva radunato un crocchio e sbraiava contro il Papa. Senzapensarci due volte, il marchesino Di Francia ruppe il cer-chio, affrontò l’impostore e lo ridusse immantinenti al si-lenzio con un solenne ceffone, che riscosse l’applauso ditutti.

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1. La Vocazione

Ritornato in famiglia dal Collegio, il Servo di Dio sentivain cuore un forte impulso alla pietà e all’unione con Dio, ea diciassete anni ottenne dal confessore di poter fare la Co-munione quotidiana, che a quei tempi costituiva davvero unprivilegio. Questa fa supporre un sensibile progresso delgiovane nella vita spirituale. Egli però ancora non avvertivanessun indizio di chiamata allo stato ecclesiastico; ritenneanzi per qualche momento di esser destinato a formarsi unafamiglia. A diciott’anni, coi fremiti della insorgente person-lità, sente un maggior bisogno di riflessione e di ripiega-mento su se stesso, quasi per mettersi in ascolto della vocedi Dio e ritmare con quella i palpiti del suo cuore. Nel set-tembre del 1869 nella ode Solitudine canta:

Quando d’amor l’angelicaCeleste poesiaMi accenderà nell’anima,Grande un desio d’amar Stretto alle sante immaginiDi Cristo e di Maria

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CAPITOLO II

IL CHIERICATO

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Non cesserò di piangereNon cesserò d’amar!

Ma ecco che il Signore si fa sentire.Confidenzialmente mi disse un giorno: « La mia voca-

zione ha avuto tre qualità: 1) Fu anzitutto improvvisa: perquanto io amassi la vita divota, in quei tempi di massoneriae di liberalismo imperanti, pure non pensavo alla carrieraecclesiastica: di colpo il Signore mi mandò la sua luce. 2)Fu irresistibile: sentivo che non potevo sottrarmi all’azionedella grazia: dovevo assolutamente cedere. 3) Fu sicuris-sima: dopo quel lume, io fui assolutamente certo che Diomi chiamava, non potevo piú menomamente dubitare che ilSignore mi voleva per quella via ».

Fu allora che pensò di farsi gesuita? Potrebbe darsi, per-ché su La Parola Cattolica del 3 ottobre del 1869 egli pub-blica la recensione della vita di Giovanni Berchmans,beatificato da Pio IX nel 1865, e si compiace che questolibro «può molto sul cuore dei giovani, e potrà servire a la-sciar loro una beata simpatia per le religiose istituzioni, incui germogliano questi purissimi gigli del Signore, e spe-cialmente per l’Ordine glorioso di S. Ignazio, il quale sem-pre combattuto dagli empi, non cessa però di distinguersifra tutti per dottrina e per santità ».

Comunque, o allora o dopo, ci fu un’aspirazione allaCompagnia, che però non fu approvata dal confessore, ilquale lo indirizzò verso il sacerdozio diocesano.

2. « Oh, se ci fossero ancora dei santi! »

La mattina dell’8 dicembre 1869 - in quel giorno a Romasi apriva il Concilio Vaticano I - dopo una nottata spesa in

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preghiera, vestì l’abito talare, insieme al fratello Francesco,nel tempio dell’Immacolata, ai piedi della Madonna SS., sfi-dando le opposizioni e i contrasti dei parenti, specialmentedella mamma, che non li ricevette in casa se non dietro im-posizione del proprio confessore.

Nel suo autoelogio funebre, parlando in terza persona, faquesto accenno alla sua vocazione: « A diciassette anni s’in-tese chiamato in un modo piuttosto straordinario, o meglionon prettamente ordinario, al sacerdozio »; e rende contodella sua intenzione: « Vi si spinse con un certo amore alladevozione e con un intento di voler essere tutto di Gesù edi guadagnargli anime ».

In un discorso tenuto a Napoli nel 1922, apre uno spiraglioda cui ci é dato di contemplare la sua anima, parlando dellasua visita alla Serva di Dio Suor Maria Luisa di Gesù: « Ioero nel fiore degli anni miei, non ancora sacerdote, ma solovestito del sacro abito; e mi dilettavo e mi inebriavo qualchevolta alla lettura delle vite dei santi, e , ancor nuovo nell’espe-rienza religiosa, m’immaginavo che i santi o le sante vi eranoun tempo, ma che poi fossero cessati, come certi eroi leggen-dari, che piú non si riproducono. E dicevo fra di me: - Oh, sevi fossero ancora dei santi! Come vorrei conoscerli ed amarli,ed ottenere per loro mezzo ogni grazia da Dio! - Con l’animovibrante di giovanile ardore, io raffiguravo la santità obietti-vamente nelle incomprese regioni del piú trascendentale mi-sticismo, in quella comunicazione intima di un’anima eletta,che non vive piú la vita dei sensi, ma che si è tutta in Dio tra-sformata, e ne ritrae in sè gli splendori divini, come uno spec-chio tersissimo posto ai raggi del sole: un essere che vive diuna vita soprannaturale, non comune a tutti gli altri uomini,e, come confidente dell’Infinita Bontà, ne può trarre sullaterra grazie e benedizioni senza fine.

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« Tali in verità sono stati i grandi eroi e le grandi eroinedel cristianesimo, che la S. Chiesa eleva agli onori degli al-tari.

« Così preoccupato, io mi recai da un venerando Padrefrancescano - il P. Pietro da Porto Salvo - in un conventodi Messina e gli proposi il mio dubbio: cioè se vi fosseroancora sulla terra esseri sovrumani come negli scorsi secoli.Ma colui, che era uomo di Dio, mi disse che non mancanomai sulla terra anime di perfetta santità; che N.S. Gesù nonne lascia mai priva la sua mistica Sposa, che é la Chiesa ».

Seppi così da lui della Serva di Dio Suor. M. Luisa diGesù, che godeva in Napoli e fuori fama di grande santità;e pensò subito di andare a Napoli: « Io vi giunsi il 26 lugliodel 1870. Palpitavo di sacra emozione, innanzi alla grata delMonastero di Stella Mattutina, in presenza dell’umile Servadel Signore, la quale, dotata com’era dello Spirito del Si-gnore, precorse il mio avvenire con quanto il suo CelesteSposo le ispirava ».

3. Apostolato della parola

Con la iscrizione alla milizia ecclesiasticaa divampò nelcuore del giovane seminarista la sete delle anime, ed egliimpiegava il tempo che gli avanzava dallo studio in operedi apostolato.

Si diede di preferenza all’insegnamento del catechismoai bambini e alla predicazione, per la quale dimostrava spe-ciali attitudini, affinate già in collegio dall’esercizio delladeclamazione.

Il suo chiericato è ricordevole specialmente per un’intensaattività oratoria in Messina e dintorni. Un chierico che facciail predicatore oggi non si saprebbe concepire, almeno con

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quella intensità con la quale predicava il Di Francia; ma al-lora i tempi portavano così. Ci limitiamo a ricordare qui lapredicazione del sabato sulla Madonna, per vari anni, equella del mese di maggio del 1876 nella parrocchiale di S.Lorenzo quando introdusse in Messina la devozione allaMadonna di Lourdes, e nel seguente luglio, la novena delPreziosissimo Sangue in S. Luca.

Gli era stato rivolto invito, con approvazione dei due Or-dinari, per una novena a S. Veronica Giuliani in Città di Ca-stello (Perugia), al quale però dovette rinunciare persopravvenuta malattia.

4. Collaborazione a LA PAROLA CATTOLICA

Continua intanto la sua collaborazione a La Parola Cat-tolica.La Chiesa e il Concilio Ecumenico del 1870: un poemetto

in versi sciolti, che si protrasse per diversi numeri; ritessela storia dei Concili e canta le glorie dela Chiesa.Dolori e trionfi è un carme per il 25° della incoronazione

di Pio IX nel giugno del 1871. 23 agosto 1871 celebra ilgiorno in cui Pio IX compie i giorni del pontificato di S.Pietro. Trovandosi a Roma il Servo di Dio il 20 settembre1871, scrive le Reminiscenze della città di Roma.

S’intuisce ovviamente come in tutti questi versi l’autorenon può non deplorare la violenza fatta alla Chiesa e al Papacon la breccia di Porta Pia (1).

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(1) Ripubblicando questi versi in Fede e Poesia, cinquant’anni appresso,il Servo di Dio li fa seguire da questa nota: «Questi versi furono scritti dal-

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Il 1878 leggiamo una sua protesta Alla Gazzetta di Mes-sina.

Per la morte di Vittorio Emanuele II quel giornale avevaraccolto una fantastica corrispondenza da Roma, vera ofinta, in cui Pio IX é preso da rimorso per il trattamentousato al re: «diviene tremendo nell’aspetto, ed urla contro iCardinali che lo circondano e li minaccia e grida: Guai secon la vistra bocca velenosa contaminate la sacra e purafigura del santo dei Santi di Savoia! »

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l’autore subito dopo l’entrata delle truppe italiane in Roma, quando l’animodi tutti i cattolici e veri amanti del Sommo Pontefice si sentì ferito nell’attac-camento al Vicario di Gesù Cristo, non sapendo che ne sarebbe avvenuto.

» I tempi in seguito hanno dimostrato come l’Onnipotente, che tutto sa vol-gere alla sua gloria, ha fatto riuscire mirabilmente la sua divina permissioneall’esaltazione del Sommo Pontefice Romano, in quantochè gli stessi nemicidella Santa Sede, in tanti anni che Roma è aggregata all’Italia, sono stati co-stretti ad ammirare da vicino che cosa vuol dire gloria del Papato e l’incrol-labile stabilità di questa divina istituzione, contro la quale le portedell’Inferno, cioè tutte le avverse potenze infernali o umane, non possonoprevalere, e non prevarranno giammai giusta, la promessa infallibile di N.S.Gesù Cristo: Non prævalebunt!, confermata da venti secoli.

» Oh, come in mezzo al turbinio delle passioni, al cozzo dei partiti, all’agi-tazione dei popoli, la divina figura del Vicario di Gesù Cristo, in più di cin-quant’anni dalla presa di Roma, è rimasta nobile, sublime, pacificatrice,generosa e santa, vera immagine del Cristo Redentore e Dio!

» La coscienza italiana è rimasta incantata ai piedi dell’incrollabile Roccadel Vaticano, ai trionfi di un inerme Vegliardo, che il mondo tutto ammirastupefatto! Per questa via quanti che non conoscevano il Papato se non attra-verso degli scherni e delle calunnie delle cattive stampe, si sono disingannati,e hanno finito per ammirare e amare anch’essi ciò che ormai vedono e toc-cano con mano!»

Nel 1921 quando il Servo di Dio scriveva questa nota, si era ancora lontanidalla Conciliazione, e la questione romana rimaneva attuale e scottante, e per-ciò conchiude: «In quanto alla così detta quistione romana, che è sempre viva,l’autore pur volendo l’alma patria nostra Italia grande, magnanima e potente,come privilegiata da Dio fra tutte le nazioni, si rimette senza restrizione al-cuna alla mente del Vicario di Gesù Cristo e di tutti i suoi Successori » .

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Il Servo di Dio risponde a tono; ma qui ci limitiamo a ri-portare la conclusione del lungo articolo: è una calda am-monizione agli scrittori del giornale: « Ah! credetelo, negliestremi momenti della vita non conforteranno né gli articoliscritti contro la Chiesa, né gli omaggi fatti ai nemici di GesùCristo, né gli insuti lanciati contro il Papa e i preti, ma bensìla memoria di essere stati fermi nella vera fede in cui si nac-que, di aver servito costantemente Gesù Cristo, di aver sa-crificato l’orgoglio, di aver vinto le passioni, di aver difesola verità e la gioia di morire nel gremdo della Chiesa Catto-lica. Voglia Iddio che ciascuno sappia profittare di questegrandi verità! » (La Parola Cattolica, 23 gen 1878).

Come si vede, vanno sbollendo i furori del figlio deltuono!

5. « Pregate il Padrone della messe! »

Nel foglio del 13 marzo 1875 trovo un Invito di pre-ghiere, senza firma, ma io ritengo che sia del Servo di Dio;e sarebbe la prima volta che egli ricorda nella stampa il di-vino comando.

In seguito alla morte di Mons. Luigi Natòli, Messina è inattesa del nuovo Arcivescovo. La Parola Cattolica invita lacittadinanza alla preghiera, e noi non possiamo pensare chel’estensore sia altri che il nostro Servo di Dio: « Non po-tremmo elevare a Dio supplica di questa piú grande, giacchéEgli stesso lasciò detto: – Vedete questi campi coperti dimesse già matura: pregate dunque il padrone della messe,che mandi operai per raccoglierla. – Se noi sogliamo affret-tarci con preghiere pubbliche, affinché il Signore mandi lapioggia nelle nostre campagne, tanto piú dobbiamo fervo-

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rosamente pregare Iddio che benefichi le vigne delle nostreanime, mediante le cure di un Pastore saggio, pieno delladivina sapienza. Oh, sì! Domandiamo con tutto il cuore allaMadonna della Sacra Lettera nostra protettrice un Arcive-scovo santo e dotto, un uomo di senno, di prudenza e di for-tezza, e che sia di Lei devotissimo... Oh, sì, preghiamo! Lapreghiera umile, confidente e perseverante é onnipotentepresso il cuore di Dio, infinito nella sua misericorda!Quanto piú noi lo pregheremo, tanto piú abbondanti ve-dremo i frutti della nostra preghiera ». E ricorda i grandi Ve-scovi della Chiesa in ogni tempo: S. Ignazio, S. Basilio, S.Carlo Borromeo, S. Francesco di Sales, S. Alfonso de’ Li-guori...

6. Sacerdote!

Durante il chiericato, il Servo di Dio conseguì il diplomadi maestro elemenatre, in data 26 gennaio 1876, anche perdare un aiuto alla mamma e non essere di peso ai suoi.

E gli studi del Servo di Dio preparatori al sacerdozio?In quel tempo non c’era Seminario in Messina, chiuso

per i moti politici. I seminaristi frequentavano la scuola dialcuni maestri: il prof. Catara-Lettieri per la filosofia, ilCan.co Ardoino per la morale, per il domma il Can.co Filò-camo, e mons. Basile per il diritto canonico. Era questa delresto la condizione in cui allora si trovavano la maggiorparte dei Seminari d’Italia. La serietà, o meglio la comple-tezza degli studi ne scapitava; e il Servo di Dio piglia da ciòoccasione di umiliarsi. Scrive difatti nel suo autoelogio:«Debolissimo negli studi teologici: a rigor di giutizia nonlo si sarebbe potuto ordinare sacerdote ».

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Certamente egli non fu uomo di tavolino: Iddio lo desti-nava all’azione; ma in fatto di studi sacri sapeva bene il fattosuo, come del resto si può rilevare anche dai suoi scritti.

Il 16 marzo 1878, sabato delle Tempora di quaresima, ilnuovo Arcivescovo di Messina, Mons. Giuseppe Guarino,lo consacrava sacerdote nella chiesa dello Spirito Santo (2).

Abbiamo rilevato che fin da chierico il Servo di Dioaveva intrapreso la predicazione settimanale del sabato nellaparrocchiale di S. Lorenzo. Anche in quel sabato della suaordinazione sacerdotale volle tener fede all’impegno e passòil pomeriggio, raccolto nella sua cameretta, a preparare ildiscorso della sera. Lo dedicò a S. Giuseppe, la cui festa ri-correva il prossimo martedì, intendendo con questo renderei suoi ringraziamenti al gran Santo per il sacerdozio conse-guito.

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(2) Da Mons. Natòli aveva ricevuto: Tonsura, Ostiariato e Lettorato il 15settembre 1872 nella Cappella del Palazzo Arcivescovile; il 20 marzo 1873,Esorcistato e Accolitato nella Cattedrale. Da Mons. Guarino: Suddiaconatoil 10 giugno 1876 nella Chiesa del Monastero di S. Teresa; Diaconato il 26maggio 1877 nella Chiesa di Montevergine.

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1. Le Gardenie di Cumìa!

Entrava un giorno in Messina un tale Lorenzo, fioraio,con un cestino di gardenie, le nivee, profumate gardeniedi Cumìa.

Ad un tratto il cestino gli sfugge di mano e i candidi fiorifiniscono in una pozzanghera.

– Sia fatta la volontà di Dio! – esclama rassegnato il po-ver’uomo, che vede così perduto il pane della giornata.

– Sì, figliuolo benedetto, bravo: sia sempre fatta l’ado-rabile volontà di Dio! – aggiunse subito il Can.co Di Fran-cia, che veniva di qualche passo dietro quel poveretto,aveva visto la scena e sentito le parole. Continuò:

– Vedi intanto: é cosa da nulla; stai fermo, tieni il ce-stino.

Il pio sacerdote si chinò, raccolse dal fango quei fiori aduno ad uno, li rimise nel cestino nivei, intatti comeprima!...

– Miracolo! – esclamò trasecolato il poveretto. Ma il P.Di Francia allungò il passo e continuò per la sua strada.

Dio ha suscitato il P. Di Francia per questa missione;

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CAPITOLO III

AL QUARTIERE AVIGNONE

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sollevare le anime dal fango della via e farne risplenderela bellezza nella luce della verità e della grazia.

2. L’incontro con Zancone

Era ancora diacono, quando il Signore dispose un in-contro che doveva decidere del suo avvenire.

S’imbatté un giorno in un giovane cieco, certo France-sco Zancone, che gli chiese l’elemosina.

– Dove abiti? – Gli domandò il diacono.– Alle Case Avignone.– Dove sono le Case Avignone?– Versa la Zaera.– Sai le cose di Dio?– E chi me le insegna?– Verrò a trovarti; tieni – e gli fece scivolare sulla mano

un’elemosina.

3. La «terra maledetta»

Nel carnevale del 1878 il Di Francia riuscì a rintracciarele Case Avignone, così chiamate dal nome del proprietario:un quartiere periferico della città, risultante di vere topaie,con un centinaio di inquilini, in deplorevole promiscuità,in mezzo alle miserie e al luridume, e, in conseguenza, alloscompiglio, ignoranza, disordine materiale e morale piùdegradante. Quel luogo fu definito giustamente pezzo diterra maledetta, abitata da un branco di bestie.

Il Servo di Dio si accorse subito « che luogo migliorenon potea darsi per esercitarvi un pochino la carità per puro

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amore di Nostro Signore Gesù Sommo bene, che pur tantoama i poverelli e li vuole salvi ».

Dinanzi alla figura smilza ed emaciata del giovane prete,che si presentava nientemeno con la pretesa di riformatore,i maggioraschi di quel ghetto si credettero in dovere di pi-gliare posizione e gli intimarono apertamente di ritirarsi:

– Per convertire questa razza di gente, ci vogliono duecappuccini con tanto di barba! – e accompagnavano le pa-role con un gesto significativo: – Non é opera vostra, po-tete andarvene

Egli invece non se ne andò, ma si immerse fino al colloin quel putridume... Cominciamo col rilevare che una dellelotte piú energiche che egli dovette sostenere fu contro gliinsetti parassiti, che brulicavano in mezzo al marciume diquei luoghi e infestavano orrendamente quella turba dicenciosi « fino a morirne taluni, scrive il Servo di Dio, len-tamente divorati ». Nonostante le misure igieniche messein opera, non si riusciva a sterminarli. Se ne liberò infinecoi mezzi della fede, a cui sempre faceva ricorso: una fer-vorosa novena a S. Giuseppe Benedetto Labre, che trovavain tali molesti animaletti il suo cilizio. Il Santo intervenneperché il nostro Servo di Dio non aveva la singolare stranavocazione dell’insigne Pellegrino francese...

Il lavoro del Servo di Dio cominciò a mano a mano adare i suoi frutti.

A spese di sacrifici senza numero il quartiere Avignonecambiò volto: fu redento moralmente e materialmente; ein quel luogo malfamato il Padre, – così il Di Francia co-minciò ad essere chiamato da allora in poi – fece il centrodelle sue opere di carità e di zelo, che dovevano di là dif-fondersi largamente in Italia e fuori, principalmente a van-taggio degli orfani abbandonati.

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4. Mano all’opera

Ma rifacciamoci a quei primi tempi e cerchiamo di se-guire il Servo di Dio nelle sue prime esperienze apostoli-che in mezzo a quella plebe.

Si mise dunque all’opera in quella bolgia davvero in-fernale di Avignone. Lavoro immane, che ci dà fin d’orala misura della virtú del giovane sacerdote. Bisognava ele-vare quel branco di bestie all’onore di uomini prima e oialla dignità di cristiani. Sapeva bene che bisognava co-minciare dal corpo per arrivare all’anima facendo tesorodella raccomandazione del Venerabile Ludovico da Caso-ria: « Quando voi avrete raccolto un povero e l’avrete pu-lito e vestito e rivestito dalla testa ai piedi, e l’avretesoccorso almeno per un mese, allora potrete cominciare aparlargli di confessione».

E quindi si diede a ripulire, soccorrere con vesti, letti,cibo, danaro. Cominciò a comprare – a peso d’oro, pur-troppo! – quelle catapecchie per avere un punto d’appog-gio e un luogo di riunione.

Ma da solo non era possibile tirare innanzi. Alcuni sa-cerdoti si unirono a lui, primo fra tutti il Can. Ciccòlo, sin-golarmente dotato di abilità organizzative; ma solamenteper richiamare l’attenzione della città sulle condizioni mi-serande del quartiere e attirare delle elemosine. Il 19marzo 1881 fu imbandito per tutti quei poveri un pranzoservito dalle dame dell’aristocrazia di Messina. Quellastessa mattina fu celebrata in quei luoghi per la primavolta la S. Messa in una di quelle stamberghe trasformatain cappella. L’anno appresso, il 19 marzo 1882, il pranzofu rinnovato per tutti i fanciulli del quartiere. Nell’ottobredello stesso anno, nuovo pranzo offerto dal P. Angelo Co-

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lantoni, dei Frati Minori, che volle così celebrare il cente-nario di S. Francesco. L’agape fu onorata dalla presenzadell’Arcivescovo Giuseppe Guarino, che benedisse lamensa servita da giovani del Circolo Cattolico

In realtà, l’aiuto che veniva al Servo di Dio dai suoisporadici collaboratori si limitava all’organizzazione diquesti pranzi di carità e di una modesta fiera di benefi-cenza; sicché egli rimaneva solo sulla breccia a lottare conl’infinità di miserie materiali e morali, che formavano ilpoco invidiabile retaggio di un nome altisonante: Mar-chesi Avignone.

Del resto non si poteva pretendere da tutti l’eroismo. Siricorda che il Can. Ciccòlo quando mise piede per la primavolta ad Avignone ne uscì pallido, sgomento; e natural-mente, pur cooperando come detto sopra, non si sentival’animo d’impegnarsi a somiglianza del Servo di Dio.

5. Le relazioni col P. Cusmano

Le testimonianze dirette sulle origini dell’Opera e lasua vita stentata dei primi anni sono state travolte daltempo; ma un gruppetto di lettere inviate al Servo di DioGiacomo Cusmano (1) ci mette sott’occhio, con plasticaevidenza, l’ambiente di lavoro e le difficoltà umanamenteinsormontabili, in mezzo alle quali il nostro Servo di Diogettò le basi della sua Opera.

« Mio Dio, che orrori! – scriveva questi nell’agostodell’84 al detto P. Cusmano: – alla miseria va aggiunta la

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(1) Il P. Cusmano (1834-1888) fu fondatore in Palermo dell’Opera delBoccone del Povero delle suore Serve dei Poveri e dei missionari Servi deiPoveri.

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demoralizzazione e lo strazio spaventevole della inno-cenza e della verginità! Solo, solo, affidato alla DivinaProvvidenza, destituito di mezzi, perché sono povero an-ch’io, ho procurato di sollevare questa povera plebe, diriformare quei luridi luoghi e di salvare la innocenza e laverginità pericolanti ».

In un’altra dello stesso mese gli raccomanda viva-mente: « Soprattutto la S.V. preghi il Sommo Dio e laMadre sua SS. e S. Giuseppe che si degnino di far fiorirele sante virtú in quel luogo, che è stato finora di orrori edi abbandono!»

6. I primi asili

Senza trascurare gli adulti, ai quali, col bene della istru-zione morale e religiosa, non faceva mancare il pane ma-teriale, il Servo di Dio si diede principalmente alla curadei piccoli: scuola serale per maschietti, asilo per bambinedai cinque agli otto anni, che la sera ritornavano in fami-glia; e poi l’inizio dell’orfanotrofo femminile, l’8 settem-bre 1882, detto Piccolo Rifugio del Cuore di Gesù e inseguito Rifugio di Maria Immacolata. L’anno appresso, 4novembre 1883, nacque l’orfanotrofio maschile.

I ragazzi venivano avviati alle arti e ai mestieri: con unavecchia macchina regalata dal Cav. Crupi, si era iniziatauna tipografia; funzionava una calzoleria in regola e, scri-veva il Padre, « si spera di impiantare quanto prima altrearti utili». Le fanciulle erano addestrate nei lavori donne-schi.

Si aggiungeva una piccola comunità di vecchie e stor-pie: in tutto un centinaio di persone.

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7. Tra spine e triboli il Rogate

Dall’annunziata corrispondenza col P. Cusmano pos-siamo ricavare altre notizie e completare il quadro del-l’Opera in quei primi anni.

« Con l’aiuto del Signore son riuscito a fabbricare unachiesetta al Sacro Ciore di Gesù... Sulla facciatina vi stascritto Rogate dominum messis (Luc. 2, 10). Questo spiritodi preghiera per questo supremo interesse del Sacro Cuoredi Gesù, cioè la grazia di avere buoni operai per la S.Chiesa, mi sforzo di farlo divenire spirito e vita di que-st’Opera ». E guardava fin d’allora con tenerezza quei fi-glioli che dimostravano un germe di vocazione sacedotale:« Io vagheggio l’idea di coltivar le sante vocazioni al sa-cerdozio, qualora se ne presentassero, come spero inGesù». « Le fanciulle lavorano, e fra queste un certo nu-mero vogliono darsi a Gesù; ed oh, pare che siano i primifiorellini che germogliano fra gli orrori di quel luogo! »

La corrispondenza fra i due Servi di Dio si era iniziata eproseguiva al fine di conseguire una eventuale cessione del-l’Opera alle Bocconiste fondate dal P. Cusmano, e perciòil nostro spiegava: « Questo luogo dei poveri, dove do-vranno venire le sue sante figlie, é una vigna eletta del Di-vino Agricoltore. Ma oh, quante spine e triboli ancora lacircondano! Io non nascondo alla S. V., mio carissimoPadre, che venendo qua le sue figlie troveraqnno molte oc-casioni per esercitare tutte le virtú: la pazienza, l’umiltà, lasanta povertà, la carità, la mortificazione ed altre virtú. Tro-veranno la Croce di Gesù Cristo distesa per lungo e perlargo su tutto quel luogo. Ma l’Opera è grande, e grandisono sopra di essa i disegni della Divina Provvidenza!...Questo luogo era stato il ludibrio e l’ignominia di tutta

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Messina. La povertà estrema e la estrema depravazione vierano riunite da circa quarant’anni che esiste. Pare che ilSommo Dio voglia mutarlo in luogo di grazie, di gloria edi misericordia: e qual soggiorno di una povertà santificata.Una tale trasformazione si è cominciata, ma non è che alprincipio».

Parlando delle giovinette rileva: « Quivi comincia a fio-rire lo pirito della cristiana perfezione. È questa la comunitànella quale debbono venire ad abitare le Suore Bocconiste,e le assicuro, Padre mio, che troveranno una bella vigna dacoltivare: ma non senza spine ». E conchiude: « Prego ilS. Cuore di Gesù che dovendo fare questa importante fon-dazione in Messina, la illumini a scegliere le piú sante frale sue figlie. Viva Gesù nostro amore! »

8. È un’opera sui generis

Il Di Francia teme di non aver dato il quadro precisodell’Opera e non vuole preparare al Cusmano una delu-sione: « Mi accorgo che la S.V... si è formato di questa PiaOpera troppo buon concetto. In questa Pia Opera non vi èné quella disciplina, né quello sviluppo di arti, né quei lavoriche s’immagina. Tutt’altro: non vi è che cominciamento ditutte queste cose. L’Opera è ancora un abbozzo: non se lapuò immaginare se non la vede. È sui generis: nasce dalcaos, e cresce fuori di tutti i calcoli, in mezzo a strane enuove tribolazioni e miserie ». E conchiude con una solenneprofessione di umiltà: « Una sola cosa vi manca per esseresublime assai quest’Opera: l’uomo di Dio a capo di essa!»

E le fonti di vita? Scrive il Servo di Dio: « Non c’è ren-dite, si vive di pure elemosine: pare umanamente impossi-

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bile tirare innanzi, si vive stentatamente alla giornata; ma sivedono grandi miracoli della Divina Provvidenza! Le con-traddizioni, le difficoltà e le pene sono continue. VivaGesù!» E altrove ripete: « L’Opera non ha rendita alcuna evive puramente di elemosine. La Divina Provvidenza si ma-nifesta in modo portentoso, quantunque siamo sempre condebiti ».

E sollecita la visita del P. Cusmano anche per un interessepersonale: « Non stia a pensare, mio carissimo Padre, sedebba o no farsi questa fondazione a Messina: questo sivedrà in seguito, dopo che Vossignoria sarà in Messina. Perora l’importante è che venga: venendo vedrà di che si trattae son certo che manderà le Suore. In ogni modo ed in ognicaso la sola sua venuta non sarà di lieve vantaggio, ma digrande bene, poiché mi trovo pressocché annegato negli af-fanni: Tempestas demersit me! Sono giunto al penultmo li-mite dell’abbattiemnto Mi volto a destra e a sinistra e nontrovo chi mi consoli! Ah, Padre mio! io sento necessità ditrovare per un momento chi mi comprenda e chi comprendal’Opera, e mi guidi e ammaestri. Vossignoria mi dirà chenon è da tanto. Sta bene. Il vero Consolatore è Dio! Gesù èil vero maestro! Ma Vossignoria lavora da molti anni, io dapochi! Potrà dunque darmi qualche lume, con l’aiuto del Si-gnore. Io debbo dirle tante e tante cose! » E in seguito: « Ioattendo istantemente la venuta della S.V. come foriera dinuove misericordie che voglia fare il S. Cuore di Gesù aquesti luoghi, dove in mezzo alle piú estreme miserie spiri-tuali e temporali ha impiantato la sua Croce e ha messo ilmisterioso granello di senapa! »

Vedremo in seguito come questo misterioso granello si èsviluppato in albero che dà riparo trai suoi rami agli uccellidel cielo...

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9. Vide e baciò Gesù Cristo

Nei primissimi tempi del suo apostolato, il Servo di Diotrovò un ragazzo scemo, lurido, bavoso, zimbello dei mo-nelli, che lo aizzavano per farsi beffe di lui. Il Padre lo sot-trasse a quello scempio, lo menò a casa, lo lavò, lo ripulìe lo adagiò sul suo letto per farlo riposare: ricordandoquindi che i poveri rappresentano Nostro Signore, si chinòper baciarlo. Ebbe allora una visione di intelligenza, perun istante: egli vide e baciò Gesù Cristo.

Nei suoi tenerissimi versi ad onore del Sacro Volto diNostro Signore, forse c’è un richiamo alla dolcissima vi-sione. Essa disparve ben presto, ma gli lasciò nell’animaun beneficio perenne nello spirito di viva fede e di ardentecarità verso i poveri, che fu la caratteristica della sua vita;essi divennero per lui i veramente grandi del regno di Dio;e il chiamarli marchesi, baroni, principi, come usava, nonera, come il mondo potrà pensare, uno scherzo o una iro-nia, ma la manifestazione di questo suo intimo convinci-mento. Ricordo una bella espressione del Can.co Celona:« I poveri per il Padre erano veramente Gesù Cristo ». Eperciò ripulirli, inginocchiarsi dinanzi ad essi, lavar loro ipiedi, baciarli con intenso affetto, era una delle gioie piúvive e piú pure del suo spirito, ed egli aveva cura di pro-cacciarsela assai frequentemente.

10. Avvocato dei poveri

La causa dei poveri era la sua causa, e non possiamonon ricordare una difesa che ne scrisse, nel 1899, quando

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in Messina s’incrudelì verso i mendicanti, organizzandouna vera caccia a i poveri, e, sotto il pretesto della legge, siarrestavano i mendicanti, tanto che un pretore si vantava colServo di Dio di averne mandati in prigione piú di sessanta.Egli allora scrisse una vibrata protesta pregando tutta lastampa cittadina di pubblicarla. Vi si definisce anzitutto ilgiusto concetto della legge contro l’accattonaggio: « Lalegge condanna la questua fatta con modi vessatori, e in per-sona di giovani accattoni che al lavoro preferiscono vessareil pubblico e forse anche scroccarlo ». Non i trattava di que-sto: « È tutt’altro il presentarsi di un povero vecchio ca-dente, il quale con voce pietosa stende la mano e domandaun tozzo, per non morire d’inedia come un cane! Dove sonoqui i modi vessatori! quale legge può colpire questo dere-litto? Ma è forse un delitto la povertà? So che la povertà sireputa come una sventura, come una infelicità, come unagrave tribolazione: ma non si è detto mai che l’esser poveroè una delinquenza! Se la povertà fosse un delitto, se il po-vero fosse lo stesso che un malfattore, perché Colui chevenne al mondo per insegnarci ad amarci gli uni gli altricome fratelli, volle abbracciare la povertà, protesse i poveri,e dichiarò come fatto a Se stesso ciò che si fa ai poverelliabbandonati?... Il povero è privo di tante e tante cose, maalmeno lasciategli godere il libero sole, la libera aria, il li-bero orizzonte della natura, oggi che vi è tanta libertà pertutti! Più si considera questa grave ingiustizia sociale, e piùappare raccapricciante! »

La stampa cittadina pubblicò la protesta, e la caccia aipoveri fu per lo meno attenuata per un certo tempo.

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1. È Dio che pianta, non l’uomo

Uno sguardo alle difficoltà innumerevoli cui andò in-contro il Servo di Dio, difficoltà immancabili per ogniopera di bene; segno del resto delle benedizioni del Cielo,che tali opere vuole accompagnate e sorrette dalla S.Croce.

Con le stesse parole del P. Di Francia presentiamo unasintesi delle lotte che dovete affrontare per stabilirel’Opera sua. Egli usa termini generali, ma rispecchianoperfettamente le sue condizioni.

« Chi non sa quanto siano gravi, e alle volte umana-mente insuperabili, le difficoltà che circondano lo svol-gersi delle opere del Signore?

» Io direi che chi intraprende simili opere, deve lottarecontro quattro opposti obiettivi:

» In primo luogo, egli deve lottare con opposizioniesterne: le critiche, le persecuzioni, le disapprovazioni deibuoni stessi... Si aggiugano le scarsezze dei mezzi, le pe-nurie, le defezioni, le ingratitudini degli stessi beneficatie cento altre difficoltà e dolorose peripezie.

» In secondo luogo, bisogna lottare con se stesso,L’uomo si affiacchisce, si sente venir meno... eppure ci

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CAPITOLO IV

LE DIFFICOLTA’

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vuole fortezza, sacrificio, costanza... è uno stato di conti-nua violenza con se stesso.

» In terzo luogo, c’è chi cmbatte di notte e di giorno,estrinsecamente, intrinsecamente, per mezzo degli uomini,per mezzo delle stesse nostre passioni: è Satana!

» Ma in un’altra lotta di genere ben differente, e sarebbela quarta, entra chi intraprende simili opere. Questa è lalotta di Giacobbe con l’Angelo. Egli deve lottare con Diostesso. È l’Altissimo Iddio l’autore di ogni opera buona,e l’uomo non è che un debole ed inutile strumento. Ma suquesto istrumento e con questo istrumento, Iddio lavora!Egli vuole la immolazione. Gesù Sommo Bene vuole lasua imitazione... Dio vuole le opere, ma le vuole formatetra gli stenti, i gemiti, i sospiri, i sacrifici. Egli agisce condue mani: con una sostiene il debole strumento e con l’al-tra lo esercita alla lotta. Allora l’uomo conosce la sua im-potenza, il suo nulla, entra nella diffidenza di se stesso, siumilia, si annichila, si reputa come l’ostacolo di ognibuona riuscita... Finalmente la lotta di Giacobbe con l’An-gelo termina con quel forte abbraccio accompganato daquella amorosa protesta: Non ti lascerò finché non miavrai accoradate le tue benedizioni, e resta felicementeconchiusa con la copia delle benedizioni divine, le qualitanto saranno più abbondanti, per quanto più lunga e fati-cosa è stata la misterosa lotta. Dunque, era Iddio che pian-tava, non l’uomo ».

2. « Madre... dammi consiglio! »

« Queste quattro difficoltà – continua il Servo di Dio –circondarono questa piccola Opera di beneficenza e la in-

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vestirono da ogni lato fin dalla sua prima concezione. Essesono andate sempre più crescendo, con tale complicazionedi cose, con tale intreccio di circostanze, che l’Opera si ètrovata in un vortice di tribolazione ed è stata cento voltepresso a morire prima di nascere. Quante volte m’intesispinto ad esclamare col lamentevole profeta: Inundaveruntaquæ super caput meum; dixi: perii. Un diluvio di acquesi è scaricato sulla mia testa e io dissi: son perduto ».

Ma la sua fiduca in Dio non venne mai meno e lo so-steneva il ricorso alla Madre Celeste. « Il Poeta Arici –egli scrive – l’elegante lirico bresciano della eletta schieradei poeti del principio del nostro secolo, scrisse bellissimiversi ad onore della SS. Vergine sotto il dolce titolo delBuon Consiglio. Io lo ricordavo spesso, e nei momenti incui infieriva la tempesta ed ogni scampo pareva chiuso,esclamavo con quei delicati versi:

Come Te vide il peregrin per viaSgombrare i nembi ad un girar di ciglio,Madre, a salvar la navicella mia

Dammi consiglio!

« Maria SS. è il canale di tutte le grazie che scendonodal Cielo: anzi non vi è grazia, al dir di S. Bernardo, chenon passi per le sue belle mani. A lei è affidato tutto il traf-fico del celeste erario. Dessa vediamo in principio del-l’umana salute; Dessa a capo di tutte le Opere, di tutte leIstituzioni, grandi e piccole, che sorgono nella Chiesa diGesù Cristo.

» Con questa fiducia, invocavo spesso la Madre delBuon Consiglio »

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3. Ingrato ambiente

Ecco ora qualcosa in particolare delle difficolà incon-trate dal Servo di Dio.

Anzitutto l’ambiente nel quale lavorava: gente dell’in-fima plebe, incapace di comprendere lo stato di abbrutti-meno nel quale giaceva e di apprezzare gli sforzi tra i qualiil pio sacerdote si logorava per la loro redenzione. Figu-rarsi che quelle donne pretendavno di essere pagate per-chè – nientemeno! – lasciavano nell’Istituto le lorobambine! Non sapevano darsi conto che un collegio deveavere delle norme disciplinari, che regolano le visite e irapporti con l’esterno; e perchè durante un’assenza delPadre la pia donna che stava a capo dell’asilo aveva messouna ruota nel parlatorio, ne nacque una vera sommossa:l’Istituto fu preso d’assalto e le mamme si trascinaronofuori le figlie.

Al Padre toccò poi ricominciare tutto daccapo.Vengono intanto le opposizioni irriducibili dei parenti

ed amici; e lo stesso clero non sapeva comprenderlo. Per-chè perdersi tra i rifiuti dell’umanità, mentre poteva e do-veva essere l’oratore, l’apologista, il maestro?

4. Autorevoli incoraggiamenti

Ma altra era la sua vocazione; ed egli era risoluto a se-guirla, urtando contro ogni difficoltà, forte della benedi-zione del suo Arcivesco che gli aveva detto: – Ci vada, civada ad Avignone, e salvi quei poveretti!

Si aggiungeva l’incoraggiamento di insigni Servi diDio: P. Ludovico da Casoria e il grande don Bosco.

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Il primo gli esprimeva così il suo giudizio sull’Operanascente: « Mi piace, mi piace, perchè nasce nella grotta diBetlemme », alludendo alla povertà degli inizi; e – comeabbiamo innanzi notato – metteva a parte il nostro Servo diDio delle sue esperienze per l’efficacia dell’apostolato tra ipoveri, suggerendo di cominciare dal corpo per arrivareall’anima.

Il secondo gli scriveva per mezzo di don Rua: « Facciacoraggio. Le opere del Signore soffrono difficoltà grandi;ma è quello precisamente il segno evidentissimo che sonodel Signore, per cui non possono perire, se quegli che ne èlo strumento va avanti sempre con fede inconcussa ». E glisuggeriva di servirsi della stampa. « Se ella facesse parlarequalche giornale locale, molti prenderebbero conoscenzadlla situazione sua, e qualche anima caritatevole sarebbetocca nel cuore ».

5. La malattia del fratello

Una grave triboazione fu pel P. Di Francia la malattiadi suo fratello Giovanni. Il povero malato pretendeva cheil fratello Annibale gli fosse sempre vicino, « avendo trattodalla sua – rileva il nostro in certi suoi appnti – la compas-sione dell’Arcivescovo Guarino, il quale teneva presentequel passo di S. Paolo: Si quis autem suorum et maxime do-mesticorum curam non habet, fidem negavit et est infidelideterir (1 Tm 5, 8), e lo applicava al caso mio. Interpellatodalla Signora Jensen per lettera rispondeva: – Il Can.co DiFrancia trovi un sacerdote suo amico che lo supplisca nel-l’Opera –. Essendo impossibile trovarlo, io credetti che se-guivo la volontà dell’Arcivescovo abbandonando per piú

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anni l’Opera quasi totalmente e stando accanto a mio fra-tello ». In seguito affittò il quarto di Alessi ad Avignone,dove fu trasportato il malato, e così potè anche lui stabilirsiin mezzo ai bambini.

La sua forzata assenza però produsse effetti deleteri: «Lamia lontananza ha prodotto che un Istituto qual era quellodegli orfanelli, è andato tutto sossopra ». E aggiunge me-stamente: « Ho veduto disperdersi le mie fatiche, sbandarsii teneri agnellini, e perire tante mie speranze, come peri-scono i desideri del peccatore! Di tutto sia benedetta la di-vina Volontà ». Anche ora – e questa volta col ramomaschile – gli toccò cominciare da capo! « Nella fondazionedi questa Pia Opera – aggiunge il Servo di Dio – molti sa-crifici richiede il Signore, forse perché parimenti grandi nedovranno essere i destini! »

6. La lotta per l’esistenza

Qui intanto va ricordata quella che fu la fatica e l’assillodi lunghi anni: la lotta per l’esistenza delle sue Opere, ber-sagliate da mille contraddizioni, ma sempre trionfanti perla misericordia di Dio e la fede smisurata del suo Servo.

Donde egli traeva i mezzi per mantenere tanti indivi-dui? Tutto frutto delle sue industrie e attività personali. Sirivolgeva alle amministrazioni comunale e provinciale, ri-correva con suppliche anche fuori Messina per sollecitareil buon cuore di nobili e ricchi, che avrebbero potuto ve-nirgli in aiuto.

Seguendo il consiglio di don Bosco, interessava lastampa cittadina, che piú volte ne raccomandò l’opera. Ri-

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portiamo da La Gazzetta di Messina del 17 aprile 1885:«Veramente deve aversi il coraggio per addossarsi il pesodi mantenere ed educare un centinaio di fanciulli, quandonon si possiede nulla di certo; ma l’aiuto di cuori generosinon mancherà per sorreggere gli sforzi del pio Sacerdote ».Al Quartiere Avignone si tirava avanti, sì, ma sempre, vor-remmo dire, proprio con l’anima tra i denti: la Provvidenzadel Signore non mancava al momento opportuno, quando imezzi umani erano ormai falliti; ma essa voleva che il suoServo impegnasse prima di tutto le sue risorse di fede e disacrificio, per averne un grande merito, e perché l’opera suavenisse segnata col sigillo di Dio.

7. « O miei bambini, un dì verrà che voi... »

Dopo aver barattato tutto il suo patrimonio, il Servo diDio si fece mendicante per i suoi bambini domandando atutti la carità per amore di Gesù e di Maria. Per oltre ventianni la città di Messina vide l’erede dei Marchesi di S. Ca-terina percorrere a lunghi passi le sue vie, tutti i giorni, sottoil sole, il vento e l’acqua, con la tunica stinta, le scarperotte e il cappello sgualcito, battere di porta in porta im-plorando: « Non per me, ma per i miei bmbini » (1).

Perché non manchi a queste mense il paneHo gelato, ho sudato... Oh, ecco intantoQuest’oggi il vitto, o figli miei, dimaneCi penserà quel Dio che vi ama tanto!

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(1) Icilio Felici (Op. cit. pag 61) anche ad Avignone mette Don Fran-cesco Di Francia accanto ad Annibale e vede « i due fratelli, aventi nelle

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Spesso ho battuto a ferree porte invanoAtroce è stata la sentenza mia:– Via di qua l’importuno, egli è un insanoSconti la pena della sua follia! –O miei bambini, un dì verrà che voiSaprete il mio martirio e l’amor mio,Che più non ama il padre i nati suoiChe per voi scongiurai gli uomini e Dio!

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vene sangue aristocratico, muoversi ed agitarsi in quella bolgia infernaleche era allora il quartiere Avignone! » perché gli « appare del tutto logicoche (Francesco) si mettesse a sua (di Annibale) disposizione per collabo-rare all’opera intrapresa ».

La cosa non sta propriamente così. Francesco aveva scelto altra vita:quella del missionario in diocesi e vi lavorò per molti anni e assai frut-tuosamente; ad Annibale dava, quando poteva, qualche aiuto occasionale,come gli altri sacerdoti, Ciccòlo e Muscolino, ma poi si ritirava. E pos-siamo documentare la nostra asserzione. Nel 1884 il Padre dovrà fermarsialquanto a Roma e di lì, in data 1° luglio, scrive a Francesco: « Ti racco-mando quei poveri fanciulli delle Case Avignone. Quando puoi andarciqualche volta, va’ pure a confortarli ».

Don Francesco prese a frequentare Avignone nel 1887. Scrive infatti ilPadre a Mons. Guarino in data 25 novembre 1887: « Mio fratello il sa-cerdote da alquanti mesi ha messo un particolare amore a questi luoghi,vi dimora spesso, vi pernotta di quando in quando, e fa istanza perché gliallestisca una stanzetta ». Si unì al Padre nel 1888. Il Padre infatti, tratte-nuto al letto del fratello Giovanni, scrive alle Suore il 9 settembre 1888:« Appena il Signore allontanò me, fece venire costì mio fratello, che nonpensava mai a quest’opera » ( la sottolineatura è nostra).

Ma ai tempi di Don Francesco il quartiere Avignone per merito di An-nibale aveva cessato da un pezzo di essere una « bolgia infernale ».

Comunque, anche quando don Francesco stabilì il suo domcilio in Avi-gnone, la sua residenza effettiva era sempre limitata, perché subirdinataalle poche disponibilità che gli lasciavano i suoi impegni missionari; e ilmendicante di Avignone è stato sempre e solo Annibale.

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8. Le passeggiate di beneficenza

In un discorso alle dame dell’aristocrazia messinese, ago-sto 1906, il Servo di Dio sente il bisogno di richiamare laloro benevolenza sulle sue opere, contro le critiche, che noncessavano di molestarlo: « Vi raccomando i miei orfanelli ele mie orfanelle! No, non sono delle sole elemosine che iovi domando... Io vi domando altri favori: il vostro appoggiomorale, la vostra benevolenza, la vostra pietosa considera-zione per questi Istituti... Io vi domando che non accogliatetanto facilmente le ingiuste critiche con cui alle volte per-sone, mosse non so da quale spirito, spargono sinistre voci,specialmente tra le classi agiate, per alienarmi gli animi...mettendo in mala vista, come opera di inutile sfruttamento,i miei Istituti. Ci vuol poco, o signori, a criticare e demolire,ma voi siete abbastanza pieni di senno e di esperienza, percomprendere quanto ci voglia per edificare».

In omaggio alla verità, però, il Servo di Dio vuole che siriconosca che gli avversari ed oppositori in Messina si ridu-cevano ad una frazione, mentre la quasi totalità della popo-lazione ha semrpre guardato con simpatia i suoi Istituti. Neimomenti critici si bandivano delle fiere e lotterie, e la citta-dinanza rispondeva sufficientemente. Egli amava ricordarein particolare le varie passeggiate di beneficenza. « Alloratutti i ceti di Messina si prestavano, tutta la città si mettevain movimento! Il comando militare ci apprestava due grandicarri, che venivano adornati opportunamente e imbandierati,e nell’uno si collocavano alquante orfanelle nll’altro al-quanti orfaneli; la banda musicale militare precedeva i carri,la banda municipale li seguiva. Immenso popolo li circon-dava; e tra i musicali concerti e la universale commozione, idue carri procedevano percorrendo lentamente quasi tutte le

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principali vie della grande e bella città. Allora era una garadi dare. Dai balconi piovevano robe e denari. Dalle botteghesi offrivano tele, commestibili e vari oggetti, a seconda divari negozi. Giovani baldi e ferventi si armavano di cassettee correvano di qua e di là, di su e di giù per fare delle col-lette.Bisognava più volte nella giornata che i carri ritornas-sero agli Istituti per riversare le robe, i commestibili e glioggetti ond’erano ripieni, e i giovani l’obolo delle cassette,per indi ricominciare la benefica passeggiata! Oh, care me-morie... voi non morrete mai nei nostri cuori! »

Uno spettacolo simile oggi non saprebbe concepirsi! Lagiustizia sociale, con le sue leggi assicurative e assistenziali,ha certo modificato le condizioni degli orfani; ma siam certiche essa non potrà mai eliminare o sostituire la carità: lalegge sovrana, che il cristianesimo va diffondendo nelmondo, dietro l’esempio e l’insegnamento del suo DivinoFondatore.

Anche le amministrazioni cittadine – tranne un caso chesegnaleremo – si mostravano sempre benevole; così purequelle proinciali. Né il Sevo di Dio voleva che andassero di-menticati i benefattori insigni, come, ad esemio, il SignorMariano Gentile, la Signora Luisa Pellegrino, i fratelliCiampa da Piana di Sorrento, il banchiere Grill, protestantema molto generoso di cuore, finché non si ridusse al falli-mento e il suo figliolo passò tra i beneficati del Servo di Dio.

9. Il lavoro dei ricoverati

Ma il P. Di Francia faceva molto assegnamento sul lavorocome fonte di vita. Per diversi anni la stampa di carte colo-rate per i limoni che si spedivano all’estero fruttava discre-tamente; e poi i lavori delle ragazze: maglieria, ricano in

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bianco, in seta e in oro, lavori di filet, di uncinetto, di tom-bolo, di oro filato, di merletto uso antico; e poi fiori artifi-ciali in carta, in stoffa, in metallo; e in seguito la floricoltura:« E se le ghirlande di fiori freschi, composte dalle nostre or-fanelle – rileva il Servo di Dio – hanno simboleggiato l’ef-fluvio della preghiera per qualche cara memoria, i mazzi dirose o di gardenie hanno profumato la ricca mensa deglieseguiti sponsali... »

Col lascito del Sig. Mariano Gentile, sopra citato, eglipotè metter su un mulino e un panificio: « Opera veramenteardita – nota esplicitamente – che ci ha fatto invecchiare an-zitempo, ma con cui abbiamo risolto un grave problema peri nostri Istituti: cioè il pane quotidiano, che si trae dai guad-gni della vendita del pane di puro grano... Inoltre siamo lietidi avere offerto alla città un pane perfettamente igienico esostanzioso, ritenuto come il più sicuro che non contengaestranei ».

10. Il pensiero predominate

L’Opera del Servo di Dio intanto andava avanti, sia purein mezzo agli stenti: il Signore premiava in tal maniera lasua fede: « Per grazia dell’Altissimo, predominava un pen-siero, un sentimento, una fede, cioè: cerchamo Dio, atten-diamo ad immolarci per le anime, cerchiamone la buonariuscita, la santificazione, la salvezza; e a tutto provvederàil Signore. Le pratiche di pietà, la preghiera, l’orazione men-tale, il lavoro e alcune devozioni specialissime, efficacis-sime, anzi chiamamole industrie devote nuove, singolari,fecondissime, sono state, sono e saranno sempre, le grandirisorse di questa Pia Opera di beneficenza, così piccola, mi-sera, abietta nel suo nascere ».

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1. « Pel Rogate non diciamo nulla: vi si dedicò! »

Contemporaneamente assillavano il Servo di Dio lecure di un altro apostolato.

Da giovane s’intese particolarmente portato alla pre-ghiera per ottenere sacerdoti alla Chiesa, specialmente inseguito alla lettura delle opere di S. Alfonso e di S. Fran-cesco di Sales, che gli facevano desiderare anime dellatempra di quei grandi Santi, per la dilatazione del Regnodi Dio sulla terra. E specialmente nelle sue prolungateadorazioni a Gesù Sacramentato, esposto per le Quaran-tore nella Chiesa di S. Giovanni di Malta, il suo gemito sifaceva appassionato ed ardente. Quando poi lesse nel Van-gelo le parole di Gesù: Rogate ergo Dominum messis, utmittat operarios in messem suam (Mt 9, 38; Lc 10, 2) unaluce soprannaturale illuminò il suo intelletto ed egli com-prese che il Signore lo chiamava a consacrare tutte le forzee tutta la vita a diffondere il divino comando e a sollecitareda parte di tutti la obbedienza a questa categorica imposi-zione del Divino Maestro.

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CAPITOLO V

L’APOSTOLO DEL « ROGATE »

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Abbiamo su questo punto esplicita confessione delServo di Dio, sebbene si nasconda sotto il velo dell’ano-nimo, parlando di un « tale che ebbe un’attenzione su que-sto Divino Comando, prima ancora che lo avesse letto nelVangelo, ed esordì con questa attenzione la sua carrieradella vita »; ed aggiunge che a questo tale « il Signore, persua infinita gratuita bontà, diede lumi su questa grande pa-rola del Vangelo ».

Quando poi la carriera della vita toccava il suo estremo,nella serena visione della missione compiuta, la testimo-nianza della sua buona coscienza dettava al Servo di Diole parole del suo testamento: « Pel Rogate non diciamonulla: vi si dedicò: o per zelo o per fissazione, o l’uno el’altro ». Sembra di ascoltare l’eco delle parole dell’Apo-stolo a Timoteo: Bonum certamen certavi, cursum consum-mavi, fidem servavi (2 Tim 4,7) : poteva dire anche lui diaver combattuto la buona battaglia, di aver terminato lacorsa, di aver conservato la fede, di essere stato cioè fedelealla missione che, giovanetto ancora, il Signore gli affidavaa pié degli altari.

Tra la prima e la seconda testimonianza ci corre dimezzo la vita, che dal Rogate s’inizia, col Rogate si chiude,pel Rogate si spende: « Vi si dedicò! » Qui sta tutto il no-stro Servo di Dio.

2. Il divino comando

Ecco come il Servo di Dio ci presenta il comando diGesù:

« Due evangelisti, S. Matteo e S. Luca, hanno registratauna grande parola di Nostro Signore Gesù Cristo.

» S. Matteo (9, 36-38) così si esprime: E vedendo quelle

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turbe, (Gesù) ebbe compassione di loro abbandonate e di-sperse come gregge senza pastore. Allora disse ai suoi di-scepoli: la messe veramente è copiosa, ma gli operai sonopochi; Pregate dunque il padrone della messe, che mandioperai alla sua messe: Rogate ergo dominum messis, ut mit-tat operarios in messem suam.

» S. Luca (10, 2) così scrive: Allora Gesù diceva ai suoidiscepoli: La Messe è veramente copiosa, ma gli operaisono pochi. Pregate dunque il padrone della messe, perchémandi operai alla sua messe: Rogate ergo dominum messis,ut mittat operarios in messem suam.

» Il senso di queste parole è molto chiaro. Per la messes’intendono le anime, gli operai sono i sacerdoti e tutti quelliche hanno l’ufficio di salvare le anime a loro affidate; leanime da salvare sono molte, ma i ministri di Dio sonopochi. Gesù Cristo diceva: Rogate ergo dominum messis:Pregate il padrone della messe, val quanto dire: Pregate Dioperché mandi sacerdoti numerosi nella sua Chiesa per lasalvezza di tutte le anime.

» In questo Rogate-Pregate vi è una esortazione e un co-mando insieme. È dovere di ogni cristiano obbedire a questocomando. Bisogna che tutti, tutti preghiamo a questo fine,perché Gesù Cristo lo vuole ».

3. Nel Rogate la grande risorsa della Chiesa

E rileviamo dagli scritti del Servo di Dio i gravi pensieriche, a ritmo serrato, gli martellavano la mente dai giovanianni: « Gesù rappresentava, con quelle simboliche parole,la S. Chiesa e il mondo tutto e ogni singola riunione so-ciale come una messe la quale, ben coltivata per mezzo dibuoni Operai, avrebbe riempito i mistici granai di abbon-

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dante raccolto, ma trascurata sarebbe miseramente perita...Gesù Signor Nostro con quelle parole veniva a mostrareche la salvezza di questa mistica messe delle anime sonoi suoi sacerdoti; ed è fuor di dubbio che nell’obbedienzaa questo divino comando si contiene il gran segreto dellasalvezza della Chiesa e della Società, la piú grande risorsache possa avere la S. Chiesa per la dilatazione del regnodi Dio e un gran mezzo di tutti i beni nel tempo e nell’eter-nità... Nostro Signore vuol far comprendere che per otte-nere questo inestimabile bene bisogna domandarloall’Altissimo Padrone che è Dio, che è Egli stesso. Volleistruirci che i suoi sacerdoti non sorgono a caso, non siformano da sé, non può formarli l’umano sforzo; ma ven-gono dalla Divina misericordia che li crea, che li genera,che li dona al mondo; e che se non si prega per averli, nonsi ottengono! Non è forse questa una delle piú grandi mi-sericordie che Egli concede? Come si può pretedere diaverla se mai si domanda? Il comando di Gesù Cristo èmolto chiaro: la messe è molta, ma gli operai sono pochi:Rogate ergo!... »

4. Supremo, infallibile rimedio

Anche oggi, come nei giorni della sua vita mortale,«Gesù fa sentire il doloroso lamento: messis quidem multa,operarii autem pauci. Quale il rimedio? Nostro Signore l’haadditato grande, universale: Rogate ergo Dominum messis,ut mittat operarios in messem suam!

» Esso dunque è legato alla preghiera: supremo, infalli-bile rimedio. E chiamiamo infallibile questo rimedio, per-ché, avendolo additato e imposto Nostro Signore, non può

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fallire; e se additò la preghiera a questo scopo, vuol dire chevuole esaudirla, se no non l’avrebbe comandata. Ed è comese avesse detto: – Se mi domandate gli operai per la messedelle anime, ve li darò. – Il che significa pure: – Se non meli domanderete, non li avrete quanti e come abbisognano.

» Ricordiamo che, quando Dio vuol punire un popolo conil massimo dei castighi, lo priva di buoni sacerdoti, e questaè la maggiore sventura che possa incogliere ad una nazione,ad una città; al contrario la piú grande fra le divine miseri-cordie, si è quando il Sommo Dio manda i buoni operai perla salute delle anime, come mandò una volta l’Unigenitosuo Figliuolo sulla terra, del quale i sacerdoti sono i verirappresentanti! »

5. Programma di vita

Il divino comando di Gesù fu dunque la divisa, l’ideale,il programma di vita del Servo di Dio.

Ripeteva continuamente: « Si fanno preghiere per lapioggia, per le buone annate, per la liberazione dai divinicastighi, e si tralascia di pregae il Sommo Dio, perchémandi buoni evangelici operai alla mistica messe ».

Scrisse e divulgò allo scopo una serie di infocate pre-ghiere, che, raccolte in un opuscolo, furono tradotte invarie lingue. « La salvezza del mondo, diceva, dipendedai sacerdotti, e il mezzo per averli noi l’abbiamo sicuroed infallibile nella preghiera comandata da nostro SignoreGesù Cristo: non obbedire al comando di Gesù, vuol direnon volere sacerdoti, non volere la salvezza del mondo ».E in un’ardente invocazione al S. Cuore supplica e scon-giura: « Perché tutti i vostri amanti non innalzano al vostro

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cospetto questa salutare preghiera? Perché, mentre tanteanime periscono, il mondo cattolico non si leva come unsol uomo per implorare dal vostro Divino Cuore innume-revoli sacerdoti? Dilatate, o Signore, dall’oriente all’oc-cidente, dal mezogiorno al settentrione, questo spirito dipreghiera: ne fervano e ribocchino i cuori di tutti gli altiprelati, dei vostri vescovi dei sacerdoti, di tutta quanta laChiesa. Se ne infiammino i cuori di tutte le vergini e dellemonache a voi consacrate... Vi domandiamo, o SignoreGesù, il trionfo della rogazione evangelica del vostroCuore in tutta la Chiesa, in tutto il mondo. Fate che diventiuna rogazione universale... Che tutti gli occhi si rivolganoa questo divino desiderio del vostro Cuore, che tutte leorecchie siano penetrate da questo incessante grido del vo-stro Cuore anelante: molta è la messe, ma gli operai sonopochi: rogate ergo dominum messis! »

6. Opportune et importune

Ci troviamo davvero dinanzi ad un’anima di fuoco! Conragione fu scritto del Servo di Dio: « Il rogate fu la lucedei suoi passi, la stella del suo pensiero, il sole della suavita; era nato per quello; e non si può immaginare il P. DiFrancia se non in atto di agitare questa luminosa bandieracon l’ansia spasimante di portarla alla conquista delmondo ».

In verità, opportune et importune, diremo con l’Apo-stolo, con tutti e sempre parlava e trattava del rogate; co-glieva tutte le occasioni, sfruttava tutte le circostanze; suaansia ardente era quella di attirare l’attenzione di tutto ilmondo crstiano sulla necessità di questa preghiera. « Fu

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così penetrato della necessità di questa preghiera, per laChiesa, di avere numerosi e degni operai e della efficaciadel rimedio evangelico per impetrarli, che, ad attuarlo,mosse, si può dire, terra e cielo ».

Al pensiero che questo suo sogno apostolico poteva di-ventare realtà, egli scriveva una volta ad un vescovo, misento morire dalla gioia!

Al contrario, nulla poteva rendergli piú dolorosamentesensibile un eventuale fallimento dei suoi Istituti, quandoil pensiero che il rogate potesse venire dimenticato.

« Quando nelle nostre imprese – scriveva – tutto va sos-sopra, non resta altro conforto che la rassegnazione allaDivina Volontà, che ogni cosa fa bene, quantunque noinon lo comprendiamo. Quanto còsti questa rassegnazionein simili casi ben può comprenderlo chi si è trovato. Manel caso mio vi era una circostanza che rendeva ancorapiú amaro questo calice: il dovermi cioè rassegnare aveder disperdere il germe di un’opera consacrata al san-tissimo scopo di quel celeste mandato: rogate ergo domi-num messis, ut mitatt operarios in messem suam; il doverripiegare questo sacrosanto vessillo, in cui risplende unadelle piú tenere espressioni del Cuore SS. di Gesù, e a cuipuò essere legata la salute delle anime per la via piú brevee piú sicura ».

7. Tutto in funzione del Rogate

Le opere di carità, a cui il Servo di Dio consacrò le sueforze e quelle delle Congregazioni religiose da lui fondate,non sono da lui considerate che in funzione di obbedienzaal rogate di Gesù: se si prega per i buoni operai, bisogna

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essere ed operare da zelanti operai; e la diffusione di que-sto spirito di preghiera non può essere piú validamente as-sicurata, che propagandolo in mezzo ai fanciulli, che loporteranno domani nelle famiglie e nella società.

Le sue Congregazioni hanno a scopo primario l’obbe-dienza al divino comando e la propagazione di questa pre-ghiera, con l’obbligo di un quarto voto particolare, e intutte le sue Case risuona perenne e fervorosa, sulle labbradi tutti i suoi figli, la invocazione: Domine messis, mitteoperarios in messem tuam!

8. Tra il clero e tra i fedeli

Per la diffusione di questo spirito di preghiera in mezzoal clero fondò la Sacra Alleanza in cui invita Vescovi,Prelati, Sacerdoti ad un’intensa crociata, in unione spiri-tuale coi suoi Istituti; pei fedeli eresse canonicamnete laPia Unione della Rogazione Evangelica del Cuore diGesù.

Dal S. Padre Pio X impetrò il privilegio, pei suoi Isti-tuti, di aggiungere nelle Litanie dei Santi, dopo il versettoUt Domnum Apostolicum ecc. quest’altro: ut dignos acsanctos operarios in messem tuam copiose mittere digne-ris, Te rogamus audi nos; e raccolse da oltre ottocento Ve-scovi di tutti i continenti la petizione, che inoltrò pressola Sacra Congregazione dei Riti, perché tale versetto ve-nisse esteso alla Chiesa unversale.

Nelle sue corrispondenze coi monasteri, anime pie – ene ebbe tante! – il pensiero del rogate ritorna con assiduafrequenza, con la insistenza di un tema obbligato.

E quando la divina Provvidenza gli diè i mezzi d’in-

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nalzare in Messina quel gioello di Tempio al S. Cuore,Santuario di S. Antono, volle che a caratteri cubitali ri-splendesse sulla facciata il comando divino: rogate ergodominum messis ut mitat operarios in messem suam.

9. Operarii non vuol dire solo sacerdoti

Il Servo di Dio insiste sulla parola Operarii, termineche abbraccia, certamente e in primo luogo, i sacerdoti;ma non si limita a questi. Esso ha significato molto piúvasto, abbracciando anche tutto il laicato, la cui attivitàpromana, in certo senso, dal sacerdzio e ad esso è insci-dibilmente legata.

« Il sacerdozio, nota il Servo di Dio, esercitato sotto ladipendenza degli Ordinari, ha esso solo la grande virtú didistruggere il regno del peccato, di piantare il regno diGesù Cristo e di cambiare la faccia della terra. Esso hauna potenza che non è di questo mondo: ha una forza di-vina, un segreto miracoloso con cui si guadagna i cuori erende impotenti tutte le avverse potenze terrene ed infer-nali,

« Ma – egli continua la divina parola è sempre una su-blime sintesi, che racchude innumerevoli misteri, e dallaquale si possono trarre molteplici salutari applicazioni.Quel divino rogate ergo non è solo da considerare in rap-porto ai sacerdoti suscitati dalle supreme vocazioni, equeste ottenute dall’obbedienza a quel divino comando,ma è da considerare in ordine a quanti l’Altissimo spingecon la sua divina grazia ad operare un bene piú o menoefficace nella sua Chiesa, nella gran messe delle anime ».

E scende al dettaglio: « Dalle apostoliche fatiche dei

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sacerdoti proviene pure la formazione di tanti coadiutori,i quali possono essere i laici veri e fervorosi cattolici, lesuore e quanti si affaticano con zelo a questa santa operadella salute eterna delle anime, nel gran campo dellaChiesa e del mondo. I re, i governanti cattolici, illuminatidal Signore, veri figli della Chiesa e del Sommo Ponte-fice, possono e debbono essere, col compimento delleloro grandi missioni civili, i salvatori delle mistiche messiloro affidate.

« Ubbidire a quel divino rogate, vale pure domandarealla divina Bontà maestri ed educatori e direttori d’Istituticredenti, praticanti, timorati di Dio, che mentre istrui-scono la mente con santa istruzione, santamente ne edu-cano il cuore. Vale pure questa preghiera perché il buonDio dia lumi e grazie a tutti i genitori, che hanno nelleloro mani la gran messe delle future generazioni, perchésappiano edificare col loro esempio i figli loro e saperlitener lontani dai pericoli dell’anima, li crescano con santaeducazione e li presentino bene riusciti o avviati ad unabuona riuscita, a quel Dio che a questo fine loro li ha dati:rogate ergo! »

10. Il gran mezzo di tutti i beni

Sentiamo ancora il Servo di Dio, inesauribile sul temache è al centro del suo cuore: rogate!

« In rapporto alla società, questa divina parola è il granmezzo di tutti i beni e di ogni salute nel tempo e nell’eter-nità. Eppure in venti secoli – questa è la verità – la granparola, la quale è, né piú né meno, che un esplicito e ri-petuto comando di N.S. Gesù Cristo, è rimasta quasi se-

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polta e inavvertita nelle pagine stesse del Vangelo, mentrein quel divino comando, uscito dal divino zelo del Cuoredi Gesù, si contiene un gran segreto di salvezza dellaChiesa e della Società. Inesplicabili misteri di Dio! Forsel’Altissimo ha riserbata la manifestazione di questo se-greto, peraltro così chiaro, ai tempi nostri, in cui il San-tuario è divenuto deserto, e le città e i popoli sono privi diciò che forma il piú garnde elemento di salvezza ».

11. Oriens ex alto...

E abbiamo assistito alla graduale rivelazione di questosegreto per opera dei Sommi Pontefici.

Leone XIII aveva incoraggiato il Servo di Dio a pro-seguire le sue imprese fino alla completa realizzazione.San Pio X lo confortò delle sue benedizioni, rilevando cheaveva trovato modo di far eco al comando di Cristo. Be-nedetto XV lo assicurò che la preghiera pei buoni operaiinteressava anzitutto Lui, Capo della Chiesa, che si pro-clamò il primo rogazionista.

Quando Pio XI, approvando la Pia Unione di preghiereper le vocazioni istituita in Roma dal Card. Vicario, la de-finì: l’opera delle opere, egli scrisse: « Parola veramenteispirata: Dio ha parlato per bocca del suo Vicario! Operadelle opere è pregare per le vocazioni sacre! La preghieracomandata da Gesù Cristo per ottenere sacerdoti allaChiesa, quando è costituita ed organizzata in opera, questadeve chiamarsi l’opera delle opere! La quale espressione,a penetrarla, vorrebbe dire: – Un’opera dedicata a questoscopo è l’opera madre di molte opere buone, generatricedi opere grandi e sante, per la massima gloria di Dio, per

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la maggior salute delle anime, per la piú ampia espleta-zione della dicvina missione della Chiesa di Gesù Cristonel mondo tutto, come quella che ottiene certamente glieletti di Dio e produce perfino i Santi nella Chiesa ».

E il Servo di Dio non può trattenersi dall’osservare alproposito: « Non si può considerare senza gaudio interiorel’affacciarsi come del primo raggio del sole nascente diquesto spirito di preghiera o rogazione universale peropera dei Sommi Pontefici. Ma questo oriens ex alto –egli continuava richiamando l’espressione di Pio XI – siè cominciata ad inoltrare splendido e luminoso fin daiprimi giorni del Pontificato di Pio XI ».

12. Il primo meriggio

Egli però prevenuto dalla morte, non poté assistere alpieno meriggio di questo sole radiante: Fiat, fiat! Amen!scrisse nei suoi ultimi tempi; e possiamo pensare, appel-lando alla comunione dei Santi, che le sue preghiere nonsono estranee al trionfo del rogate, sviluppatosi oggi peropera di S.S. Paolo VI. Questi ha istituita la Giornatamondiale di preghiere per le vocazioni, fissata alla se-conda domenica dopo Pasqua, ed ha richiamato alla mentedei fedeli due grandi verità, che la prima sorgente dellavocazione sacerdotale è Dio stesso, la sua misericordiosae liberissima volontà e che il primo dovere, che incombea tutti i cristiani, in ordine alle vocazioni, è quello dellapreghiera, secondo il precetto del Signore: messis quidemmulta, operarii autem pauci. Rogate ergo dominum messisut mittat operarios in messem suam. (Da la Summi DeiVerbum).

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La grande anima del Servo di Dio vede così coronatadi successo, con la parola del Papa, l’ansia apostolica, chelo travagliò in tutta la vita pel trionfo del divino rogate!

Nella gioiosa previsione dei frutti di salvezza prove-nienti dall’obbedienza a questo specifico comando del Si-gnore egli aveva cantato:

Sognai, sognai, nell’estasi amorosa,Campi fecondi e intrepidi operaiPrecinti della stola radiosaBaldi e ferventi di divino zeloRaccoglier nei granaiLe spighe biondeggiantiAnime a mille, ed avviarne al CieloGl’incerti passi erranti...

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1. Canonico e prefetto dei chierici

Ripigliamo il filo della nostra storia.Il 12 gennaio 1882 Mons. Guarino nominava il Servo

di Dio Canonico della Cattedrale. Egli « espose con la-crime » le condizioni che gli impedivano di accettarequella dignità, e cioè il suo impegno coi poveri di Avi-gnone; ma l’Arcivescovo insistette, incoraggiandolo conl’esempio di S. Giovanni Battista De Rossi, che fu apo-stolo di carità pur nell’ufficio canonicale. Nello stessoanno lo creò prefetto dei chierici esterni, cioè dei chiericiche vivevano in famiglia e venivano assegnati a determi-nate chiese per le pratiche di pietà e in aiuto ai parroci.

2. Da cosa nasce cosa

Egli intanto si trovava con due Istituti che andavanocrescendo. Come provvedere alla loro consistenza?

I messinesi, ammirano la immensa carità del Servo di

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CAPITOLO VI

LE CONGREGAZIONI RELIGIOSE

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Dio , e lo chiamano: il nostro S. Vincenzo de’ Paoli; maegli può paragonarsi a S. Vincenzo anche per il modo dicomportarsi nella fondazione delle sue opere. Di S. Vin-cenzo leggiamo che non concepì di getto il suo piano ca-ritativo: temeva di intralciare i passi della DivinaProvvidenza; profittava invece delle occasioni che gli sipresentavano di fare il bene, e poi organizzava e svilup-pava le sue opere di carità.

Così il nostro. Non sognò mai di fare il fondatore: laProvvidenza lo mise a lavorare al Quartiere Avignone, edegli vi si impegnò con tutte le sue forze, seguendo sempredocilmente le vie della stessa Provvidenza.

Ecco come si presenta al P. Cusmano, nell’agosto del1884: « Da piú di sei anni mi trovo nel principio di alcunefondazioni, senza quasi conoscere come mi ci trovo. Mapare che così vuole il Sommo Dio, che sceglie le cose in-ferme». L’opera ha bisogno di una direzione sicura, maegli non si sente da tanto , e ripete il pensiero riportato al-trove: « Quest’Opera delle Case Avignone è proprio bellae sublime,ma il grande inconvevniente che c’è è chemanca di un uomo di Dio, il quale la spinga innanzi. È piùtempo che io prego il S. Cuore, che si degni provvederequestOpera di un uomo apostolico, e gli dico spesso quelleparole di Mosè innanzi al roveto ardente: mitte domine,obsecro, quem missurus es (Es 4, 13). Si è per ciò che iola prego, Padre mio, di fare pure questa preghiera al S.Cuore di Gesù per quest’Opera ».

Ma l’uomo prescelto da Dio era proprio lui, senza chelui se ne accorgesse. « Da cosa nasce cosa » egli diceva;e così da quella cosa informe e repellente che erano leCase Avignone, vennero fuori, con gli Orfanotrofi, dueCongregazioni religiose.

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Nel 1901, dando notizia dei nomi definitivamente rico-nosciuti per la sua Pia Opera, il Padre scriveva ai SacriAlleati: « Trovati i nomi per questi nascenti Istituti, possoio forse lusingarmi che questa Istituzione di religione e dibeneficenza sia già stabilita? che abbia già messe pro-fonde radici e che sia per dare abbondanti frutti? Ah, sonoben lungi dal fare a me stesso questa illusione! L’Operanon è che una neonata: essa ancora è all’inizio. Venti annitrascorsi dal suo cominciamento non posso qualificarli checome il tempo della sua lenta concezione. Il granello èlungamente sotterra a macerarsi: ieri ha gettato il primogermoglio. Ma crescerà questa pianticella? Si formeràessa? Diverrà albero? Dio lo sa! Se io guardo all’abissodella mia debolezza e miseria, nulla di buono posso au-gurarmi del suo avvenire. Ma se l’opera è di Dio, il suoonnipotente braccio le darà le persone adatte alla sua for-mazione e stabilità ».

Le persone vennero, per misericordia divina, ma dopoun lungo martirio del Servo di Dio.

Per la comunità degli Orfani, egli per lungo tempo do-vette attendervi da solo, giovandosi anche dell’aiuto di piisacerdoti e di qualche buon laico. C furono pure dei Chie-rici – Antonino Damiotti e Pasquale Scibilia; – ma si trat-tava sempre di aiuti sporadici, provvisori, che prestovenivano meno, perché la vita del P. Di Francia era unavita tutta di sacrificio e di immolazione, in mezzo alla po-vertà più assoluta, che confinava con la miseria, alimen-tata soltanto dalla fiamma vivissima della sua fede e dellasua carità ardente.

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3. La visita del P. Cusmano

Ci fu un momento – ne abbiamo trattato avanti – cheegli pensò di cedere tutta la sua opera – e forse anche sestesso – al P. Giacomo Cusmano, fondatore in Palermodell’Opera del Boccone del Povero. Dietro suo invito in-fatti il P. Cusmano fu a Messina l’11 e 12 maggio 1883,a visitare l’incipiente opera del nostro Servo di Dio, e latrovò « incantevole per la sua povertà e per la protezionecon la quale il Signore custodisce in un’ammirevolequiete quegli esseri, che trovansi ivi assembrati ». Ag-giunge anzi che resta « commosso per lo zelo caritate-vole» del Di Francia e « per la pacifica povertà che sigode in quel luogo »; e coclude: « Conferendo con quelbuon Padre pare che fosse disposto ad unirsi a noi ».

Di questa unione però non se ne fece niente, perchéquesta non era la volontà di Dio: le due opere dovevanorimanere separate, avendo ognuna il proprio spirito e ilproprio indirizzo. « L’unione, scriveva, il P. Cusmano,non farebbe che distruggerci ».

La visita del P. Cusmano rianimò il P. Di Francia e loincoraggiò a proseguire per la sua via secondo il suo me-todo, cioè del pieno abbandono nella Provvidenza. « Lointerrogai, scrive il nostro, se in queste opere di benefi-cenza si possono contrarre debiti. Mi rispose che sì, per-ché in tal modo noi provochiamo chi ci fa credito acompiere un’opera di carità. Gli domandai se in tali operesi deve andare con il compasso, cioè calcolando introitied esiti come si fa in un’amministrazione in regola, e pro-porzionando così il bene che si può fare, oppure se si puòandare alla buona, con la fiducia in Dio, senza tanti cal-coli.

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Mi rispose queste precise parole: Quando io non an-davo con il compasso, vedevo miracoli » (1).

4. I Rogazionisti del Cuore di Gesù

Comunque, il Di Francia, pur vedendo i miracoli per-ché non usava il compasso, rimase lungamente solo inAvignone: la mancanza di braccia è stato il tormento ditutta la sua vita.

Durante la malattia di suo fratello Giovanni, nel 1888,

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(1) Dietro richiesta del P. Mammana, Superiore Generale dei Bocconi-sti, il nostro Servo di Dio, lasciò questa testimonianza sul P. Cusmano:

« Ammirai: 1) Grande distacco, perché avendo veduto che i miei mi-nimi Istituti, sebbene al primo inizio, avevano un indirizzo a sé, non con-sentì di aggregarseli, ma mi incoraggiò a proseguire. 2) Grande umiltà egrande amore alla santa povertà, poiché avendo visto che gli Istituti na-scevano dentro certe casupole o tuguri, esclamò: oh, quando mi commuo-vono queste casette! quanto mi piacciono! 3) Grande fervore. Predicònella S. Messa con gran fervore sull’efficacia della preghiera, dicendo frale altre cose: Dio è onnipotente, ma la preghiera è onnipotentissima!4) Grande raccoglimento: nel celebrare la S. Messa era proprio assorto!5) Grande prudenza. Mi raccontò il suo incontro con Melania, la pastorelladella Salette, ma tacque il nome; e interrogato da me disse: non si aggravidi un segreto! 6) Grandissima fiducia nella SS. Vergine. Interrogato dame che volesse svelarmi il segreto come lui otteneva le grazie, mi rispose:dico un’Ave Maria alla Madre di Dio! Ciò parendo troppo poco alla miapoca fede, lo tornai ad interrogare fino a tre volte, e sempre mi rispose:dico un’Ave Maria alla Madre di Dio! 7) Nell’assieme moveva a venera-zione l’aria di santità che gli aleggiava in viso, e un parlare quieto, soave,modesto, come di anima morta a tutto e unita a Dio».

Questo scritto rimonta al gennaio 1912. Nel 1923 i Bocconisti rinno-varono la richiesta di nuove notizie e il Servo di Dio stese una relazionesulla visita del P. Cusmano a Messina, e sviluppa alquanto i pensieri giàespressi nella lettera del 1912.

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cominciò a frequentare le Case Avignone l’altro suo fra-tello, Sac. Francesco, che fino a quel momento non avevamai pensato all’Opera. Ora anzi vi si stabilì e prese a dareuna mano a suo fratello; anche questo però era un aiutoprovvisorio, saltuario, perché don Francesco, zelantissimosacerdote, – lo abbiamo già detto altrove – si era dato allapredicazione delle missioni al popolo, in cui lavorò permolti anni con grande frutto, e perciò spesso era assenteda casa. Comunque, anche questo aiuto piú tardi vennemeno essendosi don Francesco ritirato per fondare unanuova Congregazione.

Una collettività cominciò nel 1889, quando il Padreprese ad accogliere dei giovani aspiranti al sacerdozio, ene formò un bel drappello: oltre una trentina. Ma ancoranon si delineava perfettamente l’idea di una comunità re-ligiosa; e l’Arcivescovo a mano a mano che i giovani ve-nivano ordinati, li sottraeva al Servo di Dio assegnandolialla cura delle anime. Del resto, i giovani stessi, che fre-quentavano il seminario per la scuola, non mostravano diavere altra mentalità che quella di preti diocesani. Fatto èche quando, nel 1904, il Servo di Dio propose ad essi ilnoviziato, nel giro di pochi giorni vennero meno fino al-l’ultimo e lo lasciarono nuovamente solo.

– Ecco, se ne sono andati tutti!... – diceva una sera alPadre Vitale, additandogli i posti vuoti a refettorio; manon ebbe un lamento per nessuno: adorava in tutto l’ama-bile volontà di Dio!

E si rimise all’opera con mirabile tenacia e con piú mi-rabile fiducia nella divina Provvidenza; e con l’aiuto diquelli che poi furono i suoi piú validi collaboratori – il P.Pantaleone Palma e il P. Francesco Vitale – poté gettarele basi della Congregazione maschile, che dal Rogatevolle chiamarla I Rogazionisti del Cuore di Gesù.

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5. Le Figlie del Divino Zelo

Nei primi tempi il Servo di Dio affidò le bambine aduna distinta signora già convertita a vita di fervore da unasua predcazione: Laura Jensen Bucca che gli fu di validoaiuto per alcuni anni, ma poi si ritirò; e il Padre, dopo es-sersi rivolto invano a varie comunità religiose, si deciseper la fondazione di una Congregazione femmnile, chechiamò Figlie del Divino Zelo, riferendosi nel suo pen-siero , anche qui, al rogate, che è l’espressione dello zelodel quale ardeva il Cuore Divino di Gesù per la gloria delPadre e la salvezza delle anime.

Il 18 marzo del 1887, vigilia della festa di S. Giuseppe,il Servo di Dio diede l’abito a quattro giovanette, primogerme della nuova Congregazione.

L’orgine intima della Congregazione ce la scopre lostesso Servo di Dio in un suo discorso del 1906: « Il gra-vissimo compito della educazione ed istruzone di tante or-fanelle, mi mise in una grave necessità: nella necessità odi procurarmi delle buone educatrici o di formarle. Dap-prima cercai di procurarle; e mi rivolsi a due Comunità diSuore in Italia, poiché in questo affare della educazionedelle giovanette raccolte in un Istituto, non ci lusinghiamoin contrario, nessuna maestra privata uguaglierà mai unaSuora, la quale è nata fatta fra le mani della religione perfare da madre, da maestra, da amica, da sorella, alle gio-vanette di qualsiasi condizione. La suora educatrice emadre delle alunne, è uno dei più belli spettacoli che ilCristianesimo ha offerto in ogni tempo, e specialmente dadue secoli in qua.

» Io intesi lo stretto bisogno fin da quando presi a rac-cogliere orfanelle. Ma le comunità che io vagheggiavo peril mio orfanotrofio, cioé le Figlie della Carità e le Figlie

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di S. Anna, non poterono accettare il mio invito, nonavendo io i mezzi come retribuirle.

» Allora concepii un pensiero troppo ardito, se non au-dace: quello di formare io stesso una comunità di suoreeducatrici per le mie orfanelle ».

Naturale che l’ardito progetto passasse al vaglio dellelingue... benevoli; e il Servo di Dio non lo ignora: « Io loso che la critica mordace non mi è mancata contro que-st’ardita impresa della formazione di una Comunità diSuore, per la salvezza delle orfanelle. In verità, sarebbestata una gran meraviglia se la critica mi fosse mancata!È purtroppo vero che nessuno è profeta in patria sua; maio ho temuto piuttosto la critica dell’avvenire che quelladi oggi: ho temuto piuttosto che domani, dopo la miamorte, questo orfanotrofio avesse a venir meno; e alloraun giusto biasimo si leverebbe a colpire la mia memoria,perché non avrei saputo rendere stabile e duraturo questoasilo di salvezza per le povere e orfane fanciulle. La per-petuità di questa qualsiasi opera di beneficnza, è stata incima dei miei pensieri, è stato uno dei principali obiettividei miei poveri sforzi. A conseguire questo intento di nonlieve importanza, bisognava formare una comunità disuore; e giaccé non ho potuto avere né le Figlie della Ca-rità, né le Figlie di S. Anna, pensai a formare le Figlie delDivino Zelo ».

Ma quanto costa un’opera siffatta! « Non è agevolecomprendere quanto simili imprese riescano difficili... Oh,se quelli che una volta mi criticavano, sapessero per qualifortunose vicende ho dovuto passare per la formazione diquesta Congregazione di Suore; come ho dovuto gelare esudare, nel tempo stesso che la povera anima mia abbrac-ciava a stuoli orfani e orfane della città, della provincia e

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del comune! Dover formare la riuscita di tante ragazze edover nel contempo formare le loro educatrici e maestre!»

» Ardua impresa, o signori, immensamente ardua, perme che della suora moderna ho nella mente un tipo, unideale elevatissimo! Oggi la suora non è più chiusa traquattro mura: essa è in contatto con la società, essa deverispondere alle esigenze di un secolo critico, beffardo emiscredente; essa deve saper onorare l’abito che porta,deve risplendere di virtù, di modestia, di prudenza, edanche d’intelligenza e di sapere! »

6. L’anno di benedizione

Rileviamo intanto che nella nascente comunità nonmancarono torbidi: la tribolazione accompagna tutte leopere del Signore: anzi, essa è il sigillo delle divine com-piacenze.

Anzitutto si consumò uno scisma (2) che accrebbe i

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(2) L’indole di questo lavoruccio non comporta un’ampia ed esaurienteesposizione dei fatti; ma perché non resti deformata la verità, riteniamonecessarie delle precisazioni.

Nel 1897, don Francesco Di Francia, che da nove anni saltuariamenteaiutava in Avignone, si staccò dal fratello Annibale. Diversità di idee diordine amministrativo resta alla base di un doloroso stato di fatto venutoa crearsi nell’Opera, per cui si rese necessaria la separazione.

Certo il governo del Servo di Dio era singolare, originale. Lo classificaperfetamente Mons. Di Tommaso, Vescovo di Oria: « Il suo governo fuquello di un santo, si direbbe piuttosto di un imprudente, perché audace,fidando sconfinatamenete nella Provvidenza ». Ora bisogna lealmente ri-conoscere che un governo siffatto esce fuori dal comune e se richiede unavocazione particolare in chi lo esercita, non ne vuole di meno in chi losubisce. Certe posizioni comandano l’eroismo; e questo, evidentemente,non è da tutti! Bisogna tener presente, in conseguenza, che il Servo di Dionon può essere giudicato coi criteri comuni.

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pregiudizi già esistenti a carico del Servo di Dio e dellasua opera, anche da parte del Clero.

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Il Risveglio del 4 maggio del 1895, periodico locale, definiva il Servodi Dio: un uomo dalla tempra del Cottolengo. E chi ha letto la vita di quelSanto sa bene quante gliene toccò passare perché lo si voleva misurarecol metro dei piccoli uomini. Il Padre non lasciò mai mancare il necessarioalla comunità; e, per la parte spirituale, la pietà e la vita interiore dei sog-getti, la coltivava con tutto l’impegno, fino ad essere tacciato di esagera-zione; ma bisognava saper guardare l’uomo mettendosi dal suo punto divista per poter giudicare rettamente l’opera sua.

Sta proprio qui l’origine intima della scissura consumata in mezzo allacomunità di quel tempo.

Lottare per l’esistenza giorno per giorno, come accadeva in Avignone,e trovarsi sempre in secca dinanzi all’impossibile perché la generosità delPadre dava tutto ai poveri, rendeva davero impossibile umanamente lavita per alcune di quelle giovani suore. Se la cosa si fosse limitata al sa-crificio materiale del lavoro assillante e della questua mai interrotta, ma-gari ci si poteva adattare; ma, come esse dicevano, ne andava di mezzo laquiete dello spirito, perché non trovavano in comunità quell’ordine ma-teriale e quella regolarità di pratiche, che sono un dovere e un privilegiodegli Istituti formati. Però non si rendevano conto che condizioni siffattenon si possono pretendere nello stato embrionale di un’Opera. Esse desi-deravano un nuovo stato di cose e frattanto in comunità serpeggiavanomalcontenti e malumori.

Quelle giovani erano state indirizate ad Annibale da don Francesco equindi portavano a lui i loro lamenti. Don Francesco condivideva le loroidee; e non è esatto dire che egli collaborava con Annibale «con docilità,più che di un fratello, di un figlio amorevole » (FELICI, o.c., pag 81).

La comunità si trovò così divisa in due; e don Francesco ritenne giustodi appoggiare le sue protette.

Pefettamente d’accordo col Felici, che la «cosa non può sorprenderciaffatto »; ma... era così, ed era sempre dolorosa.

Tra le giovani che aspiravano ad una mutazione di cose primeggiavaSuor Veronica di Gesù Bambino, al secolo Natala Briguglio.

Apriamo una parentesi per una rettifica di date.Si fa entrare Suor Veronica il 6 maggio 1886 in Avignone, il 18 marzo

1887 al noviziato e se ne data la professione il 19 marzo 1889 (IL RAMOFIORITO, L’Istituto delle Suore Terziarie Cappuccine del Sacro Cuore nel50° della morte del Fondatore, pag. 35). Non è così.

Tra le prime quattro Suore, che iniziarono la Comunità delle Figlie del

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Qualche mese dopo, la fuga di un’orfana e il conse-guente intervento della questura, durante un’assenza del

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Divino Zelo il 18 marzo 1887 – Giuffrida, Affronte, Santamaria,D’Amico – come si vede, manca la Briguglio. Essa ci risulta ammessa adAvignone il 6 maggio 1888. Il 9 maggio prese l’abito di aspirante e fu ri-cevuta come novizia il 18 marzo 1889. La data della professione pur-troppo non ci risulta. È certo però che al 18 marzo 1891 essa non avevaancora professato: la troviamo infatti quinta nell’elenco di sei novizie.

Suor Veronica non fu superiora, ma fu a capo delle tre o quattro Suorerimaste per un paio di anni ad Avignone, dopo il passaggio al Brunaccini,per l’assistenza domestica, sempre alle dipendenza della Superora che di-morava al Brunaccini e poi allo Spirito Santo. Fino al giugno del 1892superiora fu Sr. Arezzo, poi Sr. D’Amore, alla quale seguì Sr. Maione.

Ripigliamo ora il filo del discorso.Per quello che si è detto sopra, la comunità era profondamente divisa;

e parlare di «incomprensioni, persecuzioni, perfino calunnie » a carico diSuor Veronica e della mancanza di un « direttore spirituale capace di com-prenderla e guidarla » (FELICI, o.c., pag. 197) non vale certamente a pun-tualizzare la situazione e molto meno a spiegarne adeguatamente lasoluzione che ne seguì.

Ci furono ricorsi all’Autorità Ecclesiastica e il Card. Guarino con uffi-cio del 3 agosto 1896 depose la superiora, Suor. M. Carmela D’Amore.Ma le cose non cambiarono, perché la nuova superiora Suor. M. NazarenaMaione, si mostrava legata al Fondatore non meno di Sr. D’Amore.

Allora le Suore malcontente credettero bene di separarsi. Di notte, in-salutato hospite, uscendo dalla porta della chiesa, l’11 marzo 1897 – enon 1895 : anche qui un’importante rettifica! – andarono in un paese dellaprovincia, Roccalumera, e vi rimsero sotto la guida di don Francesco.

Sono vie della Provvidenza, che in modo mirabile persegue i suoi mi-sterios disegni. Da quel modesto gruppo è venuta fuori una bella e pro-spera Congregazione religiosa, le Suore Terziarie Cappuccine del S.Cuore.

Conchiudendo, ci preme mettere in risalto: 1) La separazione delleopere non ha inciso per nulla sulla fraternità dei sentimenti del Servo diDio verso don Francesco. 2) Il Servo di Dio fino alla morte fu costantebenefattore delle Suore di suo fratello. Suor Veronica afferma di lui: «Am-miarava la nostra comunità. Per noi erano i migliori regali che il suo grancuore ci destinava ». 3) I figli e le figlie del P. Annibale perpetuano l’am-mirazione di lui per le figlie di don Francesco con gli auguri e la preghieraper ogni loro prosperità nel Signore.

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Padre da Messina, fecero traboccare la bilancia, e il Vica-rio Generale, Mons. Basile, decretò la soppressione del-l’Istituto.

Per l’autorevole intervento di un venerando Frate Mi-nore, il P. Bernardo da Portosalvo, si ottenne la sospen-sione del decreto, e fu accordato al Servo di Dio un annodi prova. In quest’anno egli potè avere a cooperatricedell’Opera Melnia Calvat, la celebre pastorella, alla qualeera apparsa la gran Madre di Dio sulla montagna della Sa-lette il 19 settembre 1846. Melania rimase nell’Istituto unanno, dal 14 settembre 1897 al 2 ottobre 1898, e il Padrechiamava quello veramente un anno di benedizione. Laprova fu felicemente superata, la comunità ebbe un vigo-roso impuso e la vita della Congregazione femminile fuassicurata.

Tutto questo il Servo di Dio attribuiva alla Madonna. Unastatua in legno, che si venerava nella cappella delle suore,il 25 maggio 1897 sudò copiosamente, tanto che se ne in-zupparono dei pannolini; e uno scultore in legno, AntoninoSaccà, sollecitato dietro invito del Vicario Generale a stu-diare il fenomeno, lo dichiarò inspiegabile per la scienza.Il Servo di Dio ricorda questo sudore e ne dà l’interpreta-zione in certi versi che mette in bocca a Gesù in colloquiocon la Congregazione delle Figlie del Divino Zelo:

Tristi quei giorni! Allor la Madre miaDal simulacro della sua cappellaDiede le stille, come chi per viaSuda affannoso: tal sudava anch’EllaPer te sudava a chiedermi salvezza,Per te sudava a discacciar Satanno;Parea piangesse teco, e l’amarezzaDivider teco del recente affanno!...

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1. Le orfanelle del P. Sòllima

Presto il ramo femminile sciamò dal Quartiere Avi-gnone, ormai troppo angusto per l’Opera che si andavasviluppando, accresciuta ora dalle orfane del P. Sòllima,un pio sacerdote che con la morte lasciava un suo orfa-notrofio in pericolo di disperdersi. Il Servo di Dio accettòquelle bambine nel suo Istituto, che trasferì dapprima alBrunaccini, storico palazzo che ospitò Goethe, e poi nel1895 in sede definitiva al monastero dello Spirito Santo,avuto dal Municipio prima in linea provvisoria e appressoin enfiteusi.

2. « In trenta secondi »

Poi venne il terremoto del 28 dicembre 1908.« Fu una catastrofe immane – scrive il Servo di Dio –

che difficilmente ha riscontro con altri fatti storici di similgenere, dappoiché solo in Messina, nella popolosa e

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CAPITOLO VII

IL TERREMOTO DEL 1908

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splendida città di centoventimila abitanti, ottantamilagiacquero sotto le rovine, sepolti tra le macerie delle pro-prie abitazioni.

» In trenta secondi circa, Messina civile, Messina com-merciale, Messina industrale, Messina religiosa, Messinamonumentale, Messina popolare, Messina bella, ridente,artistica, disparve. Le onde dei suoi cilestri mari, che ba-gnano quelle famose rive, sparse di macerie, par che pian-gano col loro lento fiotto la sorte della vetusta città, controcui il dito del giusto Iddio le aveva financo sospinte, quasiad inghiottirla!

» O miei cari concittadini – egli esclama – foste voimorti sopra un campo di battaglia, imbrandendo le armiper Dio e per la Patria! Foste voi morti come i martiri delSignore, sotto le persecuzioni e gli assalti dei nemici dellaFede! Ma sentirvi nel buio della notte, dalla quiete delsonno sbalzati dal subitaneo vorticoso ondeggiamentodella terra, vedere le porte delle vostre case dimenarsicome vele esposte ai venti, e in mezzo ai cupi boati e loscroscio delle fabbriche scompaginate e il nembo del sof-focante polverio, trovarvi o schiacciati sotto un masso, osanguinanti sotto un trave, o incagliati ed oppressi tra itetti e i pavimenti! O figliuoli della mia patria, o vittimedell’improvviso scoppio della giusta ira di Dio, oh, qualiurli, quali gemiti ed agonie furono le vostre, quali rantoliin quei supremi momenti, nelle strette di morte così cru-dele! Ah, si levavano finanche le vostre voci lamentevoli,imploranti aiuto di sotto le macerie... ma per voi, che làsotto periste, non vi fu aiuto, furono sordi gli uomini, viabbandonarono forse finanche i superstiti amici o parenti,che atterriti, esterefatti, si davano alla fuga!...»

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3. Non è il caso o la natura

Il Servo di Dio prende di qui occasione per rintuzzarel’obiezione dell’incredulo o dell’uomo di poca fede, chedinanzi a uno spettacolo così terrificante, non pensa aDio, ma fa appello al caso o alla natura. « Per noi il casoe la natura non rappresentano che le cause seconde, intutto regolate e mosse dall’onnipotente Causa prima, cheè Iddio; non rappresentano che coincidenza tra il peccatoe il castigo, predisposta ab æterno dalla infinita mente del-l’Altissimo, il Quale fa che in un medesimo punto presta-bilito s’incontrino le due correnti, quella morale dellecolpe che riempiono la misura e quella naturale, fisica, tel-lurica, o umana di quel disastro, di quel terremoto, diquella guerra, di quella carestia, di quel flagello punitore.Per noi credenti, quando Iddio così opera non è crudele oingiusto, ma Egli è perfettissimo e santo, e del pari pie-toso». E ricordando le parole della Scrittura: etiam cumiratus fueris, misericordiam facis, pensa alle anime innu-merevoli che la divina misericordia ha messe in salvo me-diante quel flagello.

4. Flagello di Dio più volte preannunziatoFlagello che il Servo di Dio aveva preveduto e più

volte preannunziato. Parve che il Signore lo avesse inve-stito, come il Profeta, della missione di richiamare la suacittà sulle vie del bene con la minaccia dei divini castighi.Aveva pubblicato un opuscolo di considerazioni e pre-ghiere dal titolo Il preservativo dei divini flagelli e ne fa-ceva larga diffusione. Questo argomento ricorreva difrequente nella sua predicazione.

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In Messina annualmente si praticava una funzione pro-piziatoria, stabilita per voto dal Senato della Città in se-guito al terremoto del 5 febbraio 1783, portata poi al 16novembre per la formidabile scossa avvenuta in quelgiorno del 1894, in cui fu evidente il miracolo della pro-tezione della Madonna se Messina non fu abbattuta. Pa-recchie volte il Servo di Dio fu incaricato di predicare intale occasione, ed egli lo faceva con la massima libertà:sembrava un profeta inviato durus nuntius (III dei Re, 14,6) ai suoi concittadini. L’ultimo discorso per la luttuosacircostanza rimonta al 16 novembre 1905, che lasciònell’uditorio della vasta cattedrale profonda impressione.

« Bisogna che io compia – egli gridò – il mio santo mi-nistero! E senza mezzi termini, senza reticenza e timori,io vi dico, o miei concittadini, che Messina è sotto la mi-naccia dei castighi di Dio... I castighi stanno alle porte el’Angelo delle divine vendette già rotea la spada stermi-natrice ». Egli presenta un terremoto forte e sterminatoree mentre anima alla fiducia nella divina misericordia, chepotrà salvare i singoli i quali vivono secondo la DivinaLegge e si abbandonano nelle mani di Dio, esplicitamenteannunzia che per tutta la città non vede via di scampo:«Lo scampo dovrebbe essere né piú né meno che quelloche trovarono i Niniviti alla predicazione di Giona. Chefecero allora i Niniviti? A cominciare dal loro Re, tutti fe-cero penitenza con sacco, cilizio e digiuno ecc. animaliecc. Messina questo non lo fa. Ciò vuol dire che per tuttala Città non vi è scampo: il castigo è inevitabile...»

Ed ecco le condizioni di spirito del profeta mentre an-nunzia il castigo del Signore: « Ah! se le minacce dell’iradi Dio, che io vengo ad annunziarvi, si debbono adempire;se al tremendo ufficio mi abbia prescelto il Signore di pre-pararvi allo scoppio della folgore divina su questa pecca-

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trice Città, io non cercherò di fuggire come Giona dallafaccia del Signore, ma, come Giona ai piloti, dirò agli An-geli Santi e a voi tutti: tollite me, et mittite me in mare, etcessabit mare! (Gn 1, 12). Ah, potesse, o Signore, bastarvil’inutile sacrificio della mia vita, purché questa terra siasalva dai vostri castighi! »

Dio non ratificò l’offerta e Messina fu distrutta.

5. La protezione divina su gl’Istituti

Noi qui non ci fermiano a descrivere le scene terrifi-canti di quell’alba di sangue; ma la protezione divina sirese manifesta in maniera lampante.

Nessuna vittima nell’Istituto maschile: crollato il dor-mitorio, rimane in alto solo quel tratto di tettoia che so-vrastava gli orfanelli raccolti in un angolo, attorno allaimmagine della Madonna, per le preci del mattino. Lostesso fenomeno si verifica nella chiesetta, dove si tro-vavno per la meditazione i religiosi: caduta la tettoia,restò fermo solo quel tratto sotto cui i religiossi prega-vano.

Alla casa femminile, anche le orfanelle furono tuttesalve, non senza una evidente protezione divina. « Inmezzo al tremendo sconquasso delle mura che crollavano,in mezzo alle tenebre fitte, le ragazze trovavano la via diuscire a salvamento, raccogliendosi a gruppi nel giardino.Una ragazza di tredici anni, abbattutosi il muro, fu sbal-zata sulla strada, dove sarebbe andata in pezzi: invece in-toppò in un balcone e vi rimase illesa. Una bimbetta dicinque anni non si accorse di nulla: alcune travi della sof-fitta, cadendo, si erano incrociate sul suo letto, che rimasecosì protetto dalle macerie: quando aprì gli occhi, venne

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fuori da quel groviglio e si fermò sulle rovine, in attesache andassero a rilevarla, e si scusava poi con la suora chenon aveva sentito la sveglia! »

6. Le vittime

Le vittime però ci furono; e il Signore le scelse tra leSuore. S. Antonio benedetto ne volle tredici: il suo numerosimbolico: tredici lampade che si consumarono per otte-nere dalla divina misericorida la salvezza degli Istituti.

Il Servo di Dio le ricorda con espressioni piene di ac-corata tenerezza paterna: « Carissime figlie! esse eranotredici agnellini di questo mistico ovile! Erano umilissimedi cuore, ubbidienti ad ogni comando, rispettosissime conle loro superiore, attaccatissime alla frequenza dei santiSacramenti.Ve n’erano tra loro che sostenevano la casacon le loro fatiche e col sacrficio; ve n’erano modelli didocilità e di pazienza nei più umili e materiali lavori; ven’erano di svegliato impegno, di gusto artistico, avviateagli studi, alle belle arti, ai lavori fini; e tutto con l’unicointento di dar gloria a Dio, di consolare il Cuore SS. diGesù e quello dei propri superiori e di dare incremento alproprio Istituto; anime fedelissime intente alla propria san-tificazione... Oh, carissime anime! Voi pure, dilettissimeal Cuore di Gesù, soffriste le atroci pene di quella mortecosì crudele, forse anche prolungate sotto le accumulatemacerie, senza umano aiuto, senza umano conforto! Magioite pure là nel regno degli eletti, dove il vostro celestesposo, vi ha già posto in dito l’anello dell’eterno sposali-zio, e vi ha rivestito col manto della sua gloria! »

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Il Servo di Dio volle in seguito che tredici lampade diargento ardessero nella cappella dello Spirito Santo,ognuna col nome corrispondente della Suora defunta.

7. «Mio Dio! La mia Messina... i miei figliuoli!...»

Gravissimo colpo fu al cuore de Servo di Dio il terre-moto. Egli si trovava a Roma e la notizia l’apprese daigiornali alle ore 10 del martedì 29 dicembre. Restò comeimpietrito; poi alzò gli occhi al cielo: « Mio Dio! la miaMessina... i miei figliuoli... ». E ripartì subito col vaporeScilla, sul quale provvidenzialmente era riuscito ad avereun posto a Napoli.

« Il mio cuore era oppresso – egli scrive – mi rasse-gnavo al divino volere, benedicevo la giusta ira dell’Al-tissimo, e tra le lacrime pregavo per i superstiti e per idefunti, tra i quali la mente raffigurava tutti i miei figli inCristo! »

Giunse al porto di Messina alle ore sedici del giovedì31 dicembre. Dalla nave, dinanzi al cumulo delle macerie,che avevano seppellito la città, cercò con gli occhi il luogodove erano i suoi Istituti e alzò la mano tracciando unlargo segno di croce. La Superiora Generale delle Figliedel Divino Zelo, Madre Maria Nazzarena Maione, che sitrovava con la comunità dinanzi al SS. Sacramento espo-sto in una improvvisata baracca, ebbe in quel momentoun intuito straordinario ed esclamò: – Il Padre è al porto eci benedice!

Messina si trovava in stato di assedio e non vi si potevaentrare. Il Servo di Dio dovette proseguire per Catania edi là ottenne di poter tornare a Messina. Si trovò in mezzo

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ai suoi figliuoli la sera del 5 gennaio, quando terminavaun triduo di preghiere fatte dalla comunità per ottenere ilsuo felice ritorno.

8. «Maria ci vuol far risorgere!...»

Come il Sevo di Dio aveva insistito preannunziandoil divino flagello, con lo stesso zelo, dopo il terremoto,non si stancava di sollevare incessantemente l’animo ab-battuto dei suoi concittadini, riaccendendo in loro inmodo particolare la fiducia nella protezione della Ma-donna.

Nella chesa-baracca sorta sulle macerie in Piazza Cai-roli, il 3 giugno 1909, festa della Madonna della Lettera,protettrice di Messina, tenne il panegirico, in cui dimostròche la Madonna SS. non era venuta meno alla sua pro-messa di perpetua protezione. « L’abbandono di Dio e diMaria è quando lasciano fare!... Per la china sulla quale siera messa, Messina periva... Se Dio l’avesse lasciata a sestessa, sarebbe venuta meno la sua Fede. Dio la colpì, vuoldire che la vuole salva. E questa è la protezione di MariaSS.... La Scrittura è piena di questi esempi, i quali hannoriscontro con quella divina parola: quos amo arguo et ca-stigo ».

E inaugurando il 12 giugno 1911 il risorto Santuariodella Madonna di Montalto proclama quale dev’essere lanuova Messina: « Maria ci vuole far risorgere. QuestoSantuario ne è la prova. Ma qual è la resurrezione chevuole Maria? Gesù Cristo disse: ego sum resurrectio etvita. La resurrezione di un popolo non può essere cheGesù Cristo. Per Maria si va a Gesù... La resurrezione diMessina non può venire se non col ritorno di Gesù Cristo.

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Adunque ciascuno di noi ritorni di vero cuore a Gesù permezzo di Maria. Chi non ritorna a Gesù è nemico di sestesso, di Maria, di Messina. Chi non ritorna a Gesù, vuolela perdizione sua e della Città! Ah, non sia mai! Abbiamocompassione di noi e abbiamo compassione di una Cittàche giace oppressa e affranta, circondata di macerie... Maqui riappare Maria, stella del mattino! Qui l’aurora dei no-stri trionfi! Qui Messina cattolica; ed è con Messina cat-tolica solamente che potrà risorgere Messinacommerciale, Messina artistica, Messina industriale, Mes-sina storica, Messina scientifica e letteraria, perché nes-suna cosa può restaurarsi se non nel Cristo e non si arrivaal Cristo se non per Maria! »

9. Le prime relazioni con don Orione

In occasione del terremoto si ebbero i primi contattipersonali del Padre con quel Servo di Dio che fu donLuigi Ofrione.

Le relazioni epistolari rimontano al 1900, quando alnostro giunse la fama delle opere apostoliche di donOrione, allora giovane sacerdote. E gli scrisse in data 18luglio di quell’anno:

« Reverendo Padre e carissimo Fratello, per mezzodell’Ecc.mo Mons Vescovo di Noto, Blandini, ho cono-sciuto come V. R., essendo ancora giovane, si è tutto con-sacrato, anima e corpo, mente e cuore, al servizio deldolcissimo S. N. Gesù Cristo, zelando ardentemente la sa-lute delle anime, che sono le preziosissime perle che Gesùacquistò con l’inestimabile prezzo del Sangue suo prezio-sissimo!

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» Oh, quanto queste notizie inondarono di intima, pro-fonda e immensa gioia l’abbattuto animo mio!

» Da quel giorno non ho cessato indegnamente di averlapresente ogni giorno nelle mie deboli, inutili e meschinepreghiere, domandando al dilettissimo Signore che vogliasempre più accenderla con le inestinguibili fiamme delsuo amore e del suo zelo, e voglia darle sempre più lena,vigore, ardore, fervore, forza, coraggio e virtù e costanza,per faticare nella mistica vigna, dove tanto scarsi sono glioperai!...

» Ora io sarei lietissimo, mio caro fratello, se volessemandarmi una sua pregiata lettera, e farmi conoscere se equando passerà da Messina, perché io vorrei vederla dipresenza, e abbracciarla e baciarla in Cristo Gesù, dilettodei nostri cuori.

» Siccome ogni giorno col massimo fervore che mi èpossibile, parlo di lei col supremo mio Signore ed eternoBene, così pure la prego che voglia raccomandarmi allepietosissime viscere della carità del Cuore misericordio-sissimo di Gesù, mentre baciando e ribaciando le sue sacremani, che si aprono alla carità, alla misericordia e al sol-lievo e salvezza dei fanciulli e di molte anime, mi dichiaroumilissimamente: Suo inutile infimo servo Can.co Anni-bale M. Di Francia ».

Non sembra però che i due Servi di Dio si siano incon-trati prima del terremoto del 1908. Capitò a don Orioneuna disavventura simile a quella occorsa al nostro Padrecon la diserzione dei chierici. Nel 1902 il Vescovo di Tor-tona ordinò che i chierici di don Orione entrassero in se-minario e così « una dozzina di suoi figliuoli, cresciuti alpane della sua mensa e al calore della sua carità, lascia-rono la Congregazione alla vigilia, possiamo dire, del sa-cerdozio» (Il Servo di Dio don GASPARE GOGGI, dei figli

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della Divina Provvidenza, pag. 175). Questo fatto importòla chiusura di varie case, fra le quali quella di Noto, evenne meno per don Orione l’occasione di un suo vaggioin Sicilia.

10. « La S.V. viene proclamata nostro Direttore Generale »

Col terremoto don Orione veniva a Messina, primacome membro della Commissione pontificia dei soccorsiai terremotati, e poi, dal 17 giugno 1909 al 7 febbraio1912, come Vicario Generale della Diocesi, nominato di-rettamente da Pio X.

Il Padre ne fu immensamente lieto e non mancò di ren-dere omaggio al nuovo superiore scrivendo da Sava (Ta-ranto) il 18 settembre 1909.

Anche questa lettera merita di essere ricordata:« Da questo momento siamo tutti soggetti alla sua sag-

gia direzione, e la S.V. viene proclamata nostro DirettoreGenerale. Abbracci nel suo apostolico cuore quest’altraOpera come sua, e al spinga nella via del suo duplicescopo di religione e di beneficenza, mediante le sue ar-denti preghiere, i suoi consigli, i suoi ammaestramenti e isuoi comandi. Tutti e tutte le Case siamo pronti, conl’aiuto del Signore alla sua obbedienza.

» Ora io spero che il Cuore SS. di Gesù voglia conce-derci quelle grazie che la mia indegnità non ha potuto ot-tenere, e apportare riparo a tanti e tanti mali che io hoprodotti.

» Presento alla S.V., insieme al personale delle nostresette minime Case, quel sacro vessillo sul quale sta

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scritto: rogate ergo Dominum messis ut mittat operariosin messem suam! Questa divina parola uscita dal divinozelo del Cuore di Gesù, il mandato del suo divino zelo, incui si contiene il gran segreto di salvezza per la Chiesa eper la società, la S. V. Rev.ma la raccolga dalla bocca ado-rabile del Redntore divino, come noi l’abbiamo raccoltae impressa nei nostri cuori per formare una santissimamissione, e se ne faccia apostolo e banditore!

» Le chiedo la S. Benediizione, le bacio le mani e midico: suo umilissimo servo Can.co Annibale M. Di Fran-cia ».

Si strinsero allora i vincoli che, nella carità di NostroSignore, unirono indissolubilmente i due Servi di Dio; ericordo che la prima conoscenza che io feci con donOrione si lega a questa relazione.

Il P. Vitale lo presentò a noi studenti, in Messina, conqueste parole: – Ecco don Orione, l’amico del nostroPadre.

E l’insigne Servo di Dio sottolineò con compiacenza,col sorriso largo del labbro e il lampo dei suoi grandiocchi, che era la caratteristica di don Orione: – Amico, sì;amico vero, amico vero!

Il nostro Padre, nel Libro dei divini benefici, all’anno1909 definisce così l’incontro con l’apostolo della DivinaProvvidenza: « Quest’anno abbiamo avuto l’avvicina-mento singolare di don Orione, che ha spiegato per noigrande protezione ed affetto ».

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1. In terra pugliese

Il terremoto di Messina, che avrebbe potuto annientarel’Opera del P. Francia, nei disegni di Dio diede occasioneal suo maggiore sviluppo.

Veramente fin dal 1902 la pianticella del Rogate avevamesso nuovi germogli a Taormina con l’orfanotrofio fem-minile nell’ex convento dei Cappuccini e nella vicinaGiardini con un esternato di giovanette e scuola di lavoro,che divenne in poco tempo fiorente.

Nel novembre del 1908 il Servo di Dio era stato nellePuglie per una predicazione a Francavila Fontana (Brin-disi), diocesi di Oria, e aveva iniziato, per la mediazionedi quel Vescovo, Mons. Antonio Di Tommaso, le praticheper l’acquisto dell’ex convento degli Alcantarini, S. Pa-squale.

Sopravvenuto il terremoto, il grosso della Comunità,almeno per i primi tempi, non poteva restare a Messina,e si trasferì a Francavilla.

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CAPITOLO VIII

LO SVILUPPO DEGLI ISTITUTI

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2. Due contrari affetti

Nel discorso di presentazione dei suoi orfani alle Au-torità e al popolo di Francavilla, il 31 gennaio 1909, ilServo di Dio apre i sentimenti dell’animo suo per que-l’avvenimento: « Il giorno che insieme a questi orfanelliche voi qui vedete, io lasciai Messina, io intesi dentro dime due contrari affetti, che lottavano nel mio seno comei due gemelli nel seno di Rebecca. Io dovevo dire: –Addio, o Messina, addio , o mia cara patria, così misera-mente perita! Nelle tue strade ostruite da monti di macerie,non passeranno più i miei orfanelli, che tu tanto amasti!nelle tue chiese, già rase al suolo non vedrai più queti figliche tu soccorrevi con il tuo obolo! Quel residuo di popolomessinese, che accampa sotto le tende, tra il fango e lapioggia, nel viale S. Martino, vide passare rapidamentequesti bambini che si avviavano per giungere al piroscafoche già fumava, ed apprendendo che già lasciavano Mes-sina, crollavano le loro tese e sospiravano! Tutto ciò eraargomento di profondo dolore per me messinese. Avreivoluto tornare indietro, rimettere al loro posto di battagliae di sacrificio i miei orfanelli... Ma dinanzi allo sguardodell’animo, come lontana visione, m’appariva Franca-villa!... Io soffocai nel mio cuore gli argomenti del miodolore, come figlio di una terra che mi vide nascere e cre-scere; e quando la locomotiva si mosse dal territorio dellapur essa infelice Reggio,per trasportarci qui velocemente,io dovetti soffocare dentro di me la mia pena, per darluogo ad argomenti di fiducia e di letizia nel Signore. Oraeccoci dunque in mezzo a voi, o francavillesi! Voi dunquesarete la patria di questi fanciulli, che li nutrirà nel suoseno; voi sarete i loro nuovi benefattori, che vi interessatedi loro, delle loro necssità, del loro avvenire! Erano figli

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di Messina, diventano figli di Francavilla; erano figli dellaSS. Vergine della Sacra Lettera, saranno figli devoti diMaria SS. della Fontana ».

Le Figlie del Divino Zelo il 4 aprile 1909, domenicadelle palme, pigliavano possesso in Oria del Monastero S.Benedetto; e, stipulato il compromesso per l’acquisto delConvento S. Pasquale per i Rogazionisti, questi ne piglia-vano possesso il 28 settembre dello stesso anno.

3. Le benedizioni di S. Pio X

In quei tempi una grave tribolazione affliggeva la co-munità femminile, con frequenti malattie e anche morta-lità.

Inaugurando ora la casa di Oria, il Servo di Dio in data7 ottobre implorava dal S. Padre l’apostolica benedizionesulla nuova fondazione e raccomandava le inferme allesue preghiere.

« Per due misericordie della S. V., vengo ai suoi piedi.» Per primo espongo che ho acquistato, col debito per-

messo di Mons. Vescovo Di Tommaso, un ex convento inOria, assai bello e grande. Apparteneva ai Padri Alcantarini.

» Ora io, insieme ai miei supplichiamo umilissima-mente la Santità Vostra, perché voglia accompagnare que-sto nostro ingresso in quel sacro recinto con tale paterna,pietosa ed apostolica benedizione, che renda pienamenteaccetta al Cuore SS. di Gesù per ora e per l’avvenire, l’oc-cupazione che noi facciamo di quel sacro locale.

» Per secondo, umilissimamente espongo alla S. V., cheda qualche tempo il giusto e supremo Signore visita la no-stra comunità religiosa femminile con frequenti e lunghemalattie, ed anche con mortalità, in persona o delle supe-

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riore o di alcune suore ufficiali, che più si rendono neces-sarie al buon andamento delle case.

» Ora, tutti supplichiamo la carità della S. V., perchévoglia farci una speciale preghiera nel gran Sacrificiodella S. Messa, e voglia particolarmente benedire questecomunità, affinché l’Altissimo non guardi i miei peccati,e ci faccia misericordia con la guarigione delle inferme,se così piace al suo Divino Cuore, per l’intercessione dellaSua SS. Madre ».

Le malattie e le mortalità cessarono in breve tempo enon senza fondamento il Servo di Dio attribuiva questobeneficio alle preghiere e alle benedizioni di S. Pio X.

4. A S. Pier Niceto

Il 24 ottobre, per generoso interessamento del Sac.Francesco Antonuccio, Vicario Foraneo, si apriva la casadi San Pier Niceto (Messina). L’Antonuccio offriva la suacasa, le sue proprietà, la chiesetta da lui edificata alla Ma-donna SS. del Rosario di Pompei, e inoltre tutta la sua at-tività personale a servizio della fondazione. Anche duesue sorelle entravano tra le Figlie del Divino Zelo, e di-vennero, una specialmente, Suor Maria Paracleta, assaibenemerite della Congregazione.

5. I Criteri per le fondazioni

Vale la pena rilevare qui i criteri che guidavano il Servodi Dio nelle fondazioni, e ci riferiamo a quanto egli scriveper le Suore.

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Anzitutto è indispensabile preparare il personaleadatto: « La superiora attenda a formare lo spirito e l’in-telletto delle suore, l’abilità nei lavori, l’adempimentodegli uffici e quanto ci vuole per riuscire una suora per-fetta». E dà una regola d’oro, che è il grande segreto dellevocazioni e della felice propaganda di un Istituto: « Ri-tenga che quando la formazione spirituale, intellettuale edomestica è fatta bene, Nostro Signore manda semprenuove vocazioni, poiché l’Istituto procedendoo così bene,diventa un’arca di salvezza e di santificazione per quantevi si aggregano ».

« Le fondazioni non debbono considerarsi con spiritodi ambizione, di leggerezza, di vanità, di vanagloria: sa-rebbe ciò un delitto e il Signore non potrebbe benedirequesto modo di comportarsi ».

« Le suore si tengano pronte come soldati al cenno deisuperiori militari: così stiano ad attendere, a cominciaredalla superiora, quando si manifesterà la volontà del Si-gnore, per muoversi a nuove fondazioni, e sempre per ladivina gloria, per il massimo piacere del Cuore SS. diGesù e per la salute delle anime, per lavorare nella S.Chiesa, nel mistico campo del gran Padre che è Dio ».

Avute notizia intorno alla fondazione che si desidera,«si comincino subito novene ed altre preci e celebrazionidi SS. Messe, almeno per un mese ».

Bisogna certamente esaminare i mezzi di sussistenza,che offre la nuova fondazione; ma « non si deve preten-dere che le rendite siano fisse ed equiparate al manteni-mento delle orfane: resti pure un margine vuoto, perquanto si possa aggiungere coi propri lucri e per quantola Divina Provvidenza vi concorra, nella quale bisognaavere grande fiducia; ma non bisogna andare agli eccessi

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tentandola, con intraprendere fondazioni di orfanotrofidove umanamente c’è poco o nulla sa sperare. Si prendain tutto la giusta via di mezzo ».

6. Le fondazioni nei piccoli centri

Che dire di una fondazione nei piccoli centri? Se essadà granzia di sussistenza e di sviluppo, « in tal caso unafondazione si accetti con amore, anche se debba preferirsia qualche fondazione in grandi centri, specialmente se inquel piccolo paese non esiste altra fondazione di suore one esiste qualcuna delle differenti. Nostro Signore gradi-sce che si operi il bene per quelle anime che ne hanno piùbisogno, forse sono più docili di quelle delle grandi cittàe delle figlie dei grandi del mondo. Si tenga presente ciòche avanti si è detto, cioè che le fondazioni si devono farenon per ambizione, cercando grandi centri, dove l’Istitutopossa mettersi in qualche vista nel mondo e possa locu-pletarsi di guadagni, ma si cerchi umilmente la gloria diNostro Signore Gesù Cristo e il bene delle povere anime,alle quali non si pensa da altre istituzioni ».

E conchiude con un magnifico incoraggiamento per lesuore destinate a fondazioni di simil genere: « Forse lesuore missionarie che vanno nelle terre selvagge degli in-fedeli ci vanno per proprio comodo? Una fondazione inun centro umile e povero, purché possa sussistere, è unavera missione, assai gradita al buon Pastore Gesù, checerca qua e là, sui monti e per i campi, le pecorelle sparse,dimenticate e facile preda dei lupi infernali. Le suore diuna tale fondazione dovrebbero avere molto fiducia che ilSignore le benedica e le provveda, purché esse non dege-nerino dalla loro vocazione, ma vivano sempre col primi-

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tivo fervore, con lo spirito di santificazione e faccianogrande profitto in se stesse e nelle anime loro affidate ».

7. A Trani

E seguitando la stora rileviamo che nel 1910 le Figliedel Divino Zelo aprirono casa a Trani (Bari) per l’interes-samento di quell’Arcivescovo, Mons. Francesco PaoloCarrano, insigne benefattore di quella Casa. Nell’aprilesi iniziò una scuola di lavoro per le figlie del popolo; manell’estate di quell’anno la città fu colpita dal colera chevi fece molte vittime, e allora il Padre vi aggiunse subitol’orfanotrofio.

Il Servo di Dio ci tenne a far conoscere le benemerenzedi Mons. Carano nel discorso per le sue nozze d’oro sa-cerdotali e nell’elogio funebre di lui, deceduto il 17 marzodel 1915. Mons. Carrano comprò la casa, vi fabbricò unsecondo piano, collaborò per le prime spese e cedette ilucri delle botteghe, magazzini e ammezzati annessi alpalazzo. Il Servo di Dio ne ha perpetuata la memoria conuna lapide commemorativa.

8. Durante la guerra

Poi venne la guerra con tutti i suoi orrori. Le case ma-schili furono decimate. Quelle femminili andarono avantiin mezzo agli stenti.

Nel 1915, in seguito a donazione di una pia vergine se-colare, suor Maria Rosaria Jaculano, si aprì un laboratorio

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per giovinette a S. Eufemia d’Aspromonte (Reggio Ca-labria) al quale seguì poi l’orfanotrofio.

In quello stesso anno il Padre scrive nel diario: « Set-tembre 1915: acquisto di un vasto terreno in Padova, con-trada Arcella, dove sorgerà, Deo placente, un grandeIstituto ».

Padova è stato sempre un grande sogno del Servo diDio: una fondazione nella città del Santo, accanto alla suatomba, doveva essere un attestato di amore, devozione esentita riconoscenza pel grande Taumaturgo, che dispie-gava con tanta generosità la sua protezione a favore dellesue opere.

Quelle parole del diario sono una vera profezia. Subitosi ebbe di fatto una modesta costruzione, che però pervarie vicende, rimase lunghi anni deserta, finché l’ultimaguerra non la spazzò dalle fondamenta, per un grappolodi bombe che aprì in quel posto una immensa voragine.Ma la parola del Servo di Dio non doveva cadere nelvuoto: ora il grande Istiuto è già funzionante e speriamopoter inaugure fra non molto l’annessa bella chiesa, par-rocchia di Gesù Buon Pastore.

Nel 1916 il Servo di Dio aprì in Altamura (Bari) l’orfa-notrofio per le figlie dei militari morti in guerra: intendevacosì rendere anche un omaggio alla patria, per la cui gran-dezza i figli avevano immolato la vita.

9. Il tempio della Rogazione Evangelica

Tornando ora qualche anno indietro, ricordiamo chefino al terremoto del 1908, l’Istituto maschile in Messinaera dotato solo di cappella semipubblica: la chiesa vennenel 1910, una bella chiesa-baracca, inaugurata il 1° luglio

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di quell’anno dal P. Vitale, in assenza del Servo di Dio; esi ricorda per la circostanza la presenza di don Orione,che partecipò anche all’adorazione insieme con don Al-bera, il futuro vescovo di Mileto. Fu la prima chiesa almondo, pensiamo, che alla sommità dell’umile ingressoportava con lo slancio di una passione, il divino comandorogate ergo dominum messis, ut mittat operarios in mes-sem suam. E fu il nostro primo santuario di S. Antonio, acui il cuore di mille e mille fedeli inviò palpiti e voti.

Dopo circa nove anni di vita feconda, la chiesa scom-parve fra le fiamme di un indomabile incendio nella nottesulla Domenica in albis dal 26 al 27 aprile 1919. Nulla furisparmiato; e lo stesso Gesù Sacramentato non fu possi-bile mettere in salvo.

Ed ecco il Servo di Dio ridiventare mendico per dare alSignore una casa più grande e più bella: sorse così il beltempio della Rogazione Evangelica, ricco di ori e dimarmi, vero gioiello di arte, che potè essere inaugurato lamattina di Pasqua, 4 aprile 1926. In verità in quel tempole forze del Di Fancia erano ormai cadenti: egli vi celebròsolo due volte e due volte vi predicò; ma la gioia del suoanimo fu immensa, al pensiero specialmente che il divinorogate splendeva al sole in caratteri di oro sulla maestosafacciata, per ricordare a tutti i fedeli l’obbligo di obbedireperennemente al comando del S. Cuore.

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1. Fine dell’educazione

Scrive il Servo di Dio: « Ammassare dei ragazzi per ci-barli e lasciarli vegetare, non è impiantare una casa di edu-cazione, non è mutare le sorti dell’abbandonata orfanità epreparare l’avvenire ai derelitti figli del popolo. Bisognache l’educazione rigeneri e moralizzi la fanciullezza strap-pata al vagabondaggio; bisogna che l’istruzione la rendaatta a guadagnarsi un giorno onestamente il pane dellavita».

Una parola sul Servo di Dio educatore è indispensabileper avere un profilo adeguato della sua figura morale.

Pio XI il 31 dicembre 1929 ha scritto che «l’educazioneconsiste essenzialmente nella formazione dell’uomo,quale egli dev’essere, e come deve comportarsi in questavita terrena per conseguire il suo ultimo fine, per il qualefu creato » e che « non può darsi vera educazione che nonsia ordinata a questo fine ».

Il Servo di Dio non ha letto la Divini illius Magistri, ve-nuta fuori dopo la sua morte, ma non poteva avere con-cetto diverso sulla educazione dei giovani. Il regolamento

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CAPITOLO IX

L’EDUCATORE

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da lui scritto si chiude con queste parole: « Apprendanofin d’ora i giovani ad adempiere i loro doveri verso Dio,verso se stessi e verso il prossimo; e si metteranno cosìsulla strada di fare una buona riuscita, e , quel che è più,cominceranno fin d’ora ad operare la loro eterna salute;poiché tutto passa e ogni uomo è stato creato per l’eternitàe ogni cristiano deve avere sempre dinanzi il suo ultimofine, qual si è la salvezza eterna dell’anima propria ».

2. Il fondamento: la religione

Prima di ogni cosa, dunque, educazione religiosa. In undiscorso tenuto il 31 gennaio 1909 così esprime il suo pen-siero: « Da trent’anni che mi affatico a raccogliere orfa-nelli ed educarli, per provvedere al loro avvenire, hostimato ed ho sperimentato che base inconcussa di ognieducazione civile si è l’educazione religiosa! Ho toccatocon mano questa verità insegnata dall’esperienza, dalla ra-gione, dalla fede, dai dotti e dal buon senso di tutta l’uma-nità, che per formare l’uomo civile, educato, buoncittadino, bisogna formarlo cristiano! Se s’istruisce lamente dei giovani nella grande palestra dello scibile, bi-sogna altresì istruirla nei supremi princìpi della fede cat-tolica. Se si esercitano le braccia dei figli del popolo allearti e ai mestieri, bisogna altresì esercitare le loro labbraalla preghiera, ed innalzare la loro mente a quella puris-sima regione di luce, in cui non vi sarà distinzione secondoi ranghi e le distinzioni sociali, ma secondo la virtù e i me-riti della vita cristiana. Oggi la società va in rovina, perchéè stata scossa la base della religione, sia nell’educazionedel cuore che negli insegnamenti dell’intelletto!»

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3. Anzitutto la pietà

Il grande pensiero del Servo di Dio era anzitutto di sal-vare l’innocenza dei bambini; e perciò li accoglieva pic-coli, dai cinque ai sette aani, e li custodiva come la pupilladegli occhi, e li curava con sollecitudine più che maternae ne seguiva ansioso e trepidante il progresso nello studioe nel lavoro, ma soprattutto nella virtù, che voleva in essisoda, fortemente ancorata al timore di Dio, refrattaria allelusinghe delle passioni.

Pertanto nei suoi Istituti il primo e indispensabile e in-sostituibile mezzo di formazione è la pietà, con la preghierasentita come bisogno dell’anima e la frequenza ai Sacra-menti, canali di grazia e sorgenti di vita soprannaturale.

Preghiera anzitutto e soprattutto da parte degli educa-tori, per impetrare efficaia al loro apostolato.

Richiamo un episodio verificatosi a Roma col primo or-fanello accolto in quella casa: un bimbetto di cinque anni.

Aveva commesso un impertinenzuola e le Suore lo pre-sentarono al Servo di Dio perché domandase perdono: mail ragazzetto non si scosse: rimase impettito, freddo, guar-dando quasi in atto di sfida, per quanto potesse compor-tarlo la caparbietà di un frugolo di cinque anni. Il Padrescrisse al P. Vitale: « Le suore me lo hanno portato a chie-dere perdono: egli mi stette innanzi come un pesce muto,senza dire una parola, nonostante i suggerimeni e le insi-stenze della suora. Non pareva convinto del suo torto! »;e concludeva: « Preghiamo pertanto, perché senza la gra-zia divina, non é possibile piegare la volontà umana, nep-pure quella di un bambino a cinque anni ».

Il Servo di Dio fin dai primi inzi degli orfanotrofi avevaprescritta una preghiera quotidiana alla SS. Vergine Im-macolata per la buona riuscita delle ragazze.

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4. L’esempio dell’educatore

La disciplina esterna deve tendere a facilitare l’impulsodella grazia e a cooperare alla sua azione: bisogna circon-dare il ragazzo di tale cautele, con un’assistenza vigile, as-sidua, paterna, da metterlo nella morale impossibilità dicommettere mancanze. È il metodo preventivo, di cui ègrande maestro S. Giovanni Bosco.

Perché questo metodo possa essere applicato retta-mente, il Servo di Dio richiede un assistene tale che inesso anzitutto « risplenda osservanza, pietà, zelo, carità,unione di cuori, santo fervore, onde ne provengano per glieducandi esempi di virtù e di santità; e, più che le parole,le loro azioni penetrino edificantissime nel tenero animodei soggetti! » Ed esemplifica: l’assistente che si fa ilsegno della croce « non quella gravità e compunzione cherichiede un tale atto, insegna ai giovani, se ne avveda ono, di aver per nulla il segno di Croce ». Chi mormora delsuperiore « priva assolutamente i giovani, per non direaltro, dell’insegnamento che c’è un principio di autoritàdivina, che si trasmette in terra a creature che siano inve-stite di una superiorità ».

5. Spirito di sacrificio

Educatore potrà essere solo chi sa apprezzare le animee si vota generosamente ad una vita di sacrificio: « Stimeròtalmente le anime, che, per la salvezza di una sola, crederòbene d’impiegare la mia vita, quand’anche fosse tutta dipatimenti e di sacrfici ». E: « Terremo presente che edu-care i fanciulli è opera di continui sacrifici, che richiede

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grande abnegazione: si debbono sopportare molestie, pri-vazioni, noie, difficoltà; tutto abbracciamo di buon gradoe offriamo all’adorabile Signor Nostro Gesù Cristo ».

Si tenga presene che l’educazione dei fanciulli è operaassai ardua. « L’educazione dei fanciulli – scriveva – è arsartium, scientia scientiarum, pochi la sanno possedere, ebisognerebbe essere filosofo, teologo, grande conoscitoredel cuore umano e santo per essere educatore di un piccolobambino ». Egli perciò lamentava: « Nel mondo la rovinadelle anime nelle famiglie ordinariamente è un’ecatombe.Si è detto che nel mondo l’educazione può definirsi: l’artela più difficile affidata alle mani le più inesperte ».

E tutto questo egli ricorda non per avvilire o scorag-giare, ma per accrescere la fiducia degli educatori nellagrazia divina e il loro impegno nell’applicare le normeeducative che vengono loro assegnate.

6. Norme educative

Le norme sono poche, ma vanno rigorosamente appli-cate.

Anzitutto, amore. Sta tutto qui il segreto della riuscitadegli educatori: « Bisogna amare di puro e santo amore ifanciulli, in Dio, con intima intelligenza di carità, con ca-rità tenera, paterna, ché questo è il segreto per guadagnarlia Dio e salvarli ». E insiste: gli educatori « siano animeamanti e l’amore le farà forti a patire, ad operare, ad im-molarsi »

In secondo luogo, rispetto: « Sentiranno nel loro cuoregrande affetto e rispetto in Dio per tutti i poveri orfanellia loro affidati, considerandoli come anime carissime al Si-

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gnore, e forse più care di loro stessi – che sono religiosi –al Cuore di Gesù per la loro innocenza e povertà ». Per-tanto: « Mai e poi mai si debbono ingiuriare i ragazzi; maie poi mai bisogna indispettirsi coi ragazzi e mostrar lororancore e diffidenza; ciò è lo stesso che disanimarli e farlirilassare ».

E poi, assistenza, assistenza... Il sistema preventivo«consiste nel prevenire i ragazzi da educare...; essi sianosorvegliati in maniera che non abbiano largo o libertà dirilassarsi o di commettere mancanze, e formati così cri-stianamente e devotamente che essi stessi abbiano inerior-mente il santo timor di Dio, in maniera da stare attenti ecircospetti e non commettere delle mancanze rilevanti ».

« La vigilanza e l’assistenza sia per noi un precetto edun obbligo dei più stretti. I direttori e gli immediati, cia-scuno per la sua parte, non perdano mai d’occhio alcunragazzo in chiesa, nei labratori, nella scuola e special-mente nella ricreazione e nei dormitori ». L’assistente«deve avere sempre sott’occhio tutta l’accolta degli orfani,e non deve sfuggirgli nessun movimento degli stessi, nes-suna azione, nessuna parola ». Li faccia « giocare, saltare,e fare del chiasso, perché hanno bisogno di sfogo, chetanto conferisce alla salute e allo sviluppo dei ragazzi; mabadi che non si facciano del male, che non si mettano lemani addosso, che non si bisticcino. Sia vigilante che nes-suno, e tanto meno due soli, si appartino a distanza, o die-tro legno o alberi a confabulare; ma li abbia tuttisott’occhio nel medesimo terreno, che deve essere liberoe sgombro, per non porgere occasione di nascondimento».E chiude con un richiamo di massima importanza: « Il de-monio cerca assiduamente il pervertimento dei fanciulli:l’assistente deve eludere, con grande attenzione, tutte le

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insidie di Satana, e custodire come angelo i fanciulli a luiaffidati, per renderli immacolati al Signore ».

7. Punizioni e premi

E non ci sono punizioni? A volte si rendono necessarieanche quelle « essendo la natura umana inclinata al malefin dall’adolescenza » come rileva il Servo di Dio riferen-dosi ad un testo della S. Scrittura.

« Le punizioni – però – non debbono essere mai fre-quenti, né sproporzionate alla colpa; come la medicina cheè data all’infermo al di là della dose utile fa male piuttostoche bene, e può anche ucciderlo ». Inoltre , le medicine,«se sono prese troppo di frequente, non fanno effetto, per-ché la persona ci si abitua; e allora bisogna aumentare ladose... Ciò però non può farsi con le punizioni, le quali,in un istituto di educazione in mano di religiosi, non pos-sono e non debbono mai arrivare a tal punto, che gli alunninon le sentano più e che l’istituto diventi una casa di cor-rezione». La punizione principale pel Servo di Dio, comedel resto per don Bosco, e che è connaturale al sistemapreventivo, è « una finta sottrazione di affetto: respingereil ragazzo che si avvicina, non mostrargli buon viso, mo-strare di non volergli più bene ».

Stimolo naturale a ben fare è l’allettamento del premio;e il Servo di Dio prescrive che ogni anno si faccia una so-lenne premiazione degli alunni, « con un invito e tratteni-mento »; e il premio non si limiti al diploma o medaglia,ma si concretizzi in un libretto di banca, e così « quandoi ragazzi usciranno dall’Istituto, alla debita età, verrà loroconsegnato il peculio ».

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8. Il lavoro

Ma i ragazzi debbono prepararsi alla vita e imparare aguadagnarsi onestamente il pane. Ed ecco la necessità dellavoro nell’opera educativa. Il Servo di Dio ne rileva tuttal’importanza in un suo discorso: « I ragazzi e le ragazzedebbono avvezzarsi al lavoro. Il lavoro in una casa di edu-cazione è tra i primi coefficenti della moralità: esso è or-dine, è disciplina, è vita, è caparra di buon avvenire peisoggetti che vengono educati. Essi apprendono per tempoa guadagnarsi il pane col sudore della loro fronte. Non vipuò essere educazione né religiosa, né civile discompa-gnata dal lavoro. Ora et labora, prega e lavora, era ilmotto che prendevano per loro divisa i solitari dell’occi-dente, che sebbene dedicati ad una vita di trascendentaleascetismo, pure proclamavano che non vi è sodezza diprincipi religiosi dove manca il lavoro ».

Su questo punto, i criteri del Servo di Dio non ammet-tono equivoci: « Io ho ritenuto sempre che un Istituto chesi prefigge l’educazione della gioventù, nel quale oltre deibambini, vi sono anche dei giovinetti capaci di lavorare,qualora pretendesse sostentarsi con le sole elemosine, siassomiglierebbe né più né meno che ad un giovane robu-sto, che invece di lavorare, volesse vivere di accattonaggo.Ad una istituzione di carità è lecito, dentro certi limiti, distendere la mano, solo quando ha dei soggetti incapaci allavoro: come ciechi, storpi, o vecchi cadenti o bambini dipochi anni. Del resto appoggiri sulle elemosine per istitutidi giovanetti d’ambo i sessi, sarebbe un pregiudizio alretto indirizzo educativo ».

E nel citato discorso al Comitato di signore dell’aristo-crazia messinese, che si recò in visita all’orfanotrofio fem-

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minile il 20 agosto 1906, egli domanda lavoro per le sueorfanelle: « Esse devono vivere col lavoro delle loro mani,più che con le contribuzioni: adunque date loro delle com-missioni... Lavoro io vi domando, o signori: se il contin-gente delle tante bambine, che non manca mai nel mioorfanotofio, ha quasi un diritto alla vostra carità, quellodelle giovinette giá addestrate al lavoro, non vuol viveredi elemosina: esse vogliono lavorare, anche se debbonotogliere le ore al sonno, purché lavorino, purché man-giando il pane quotidiano possano dire: Noi ce l’abbiamolavorato! Dio benedica le nostre benefattrici, che ci hannodato un lavoro proficuo ».

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1. « Mi chiaman Padre... »

Mi chiaman Padre e sulle loro chiomeDel Ministro di Dio la man si posa...

Ed era spontanea, naturale, sulle labbra di tutti l’attri-buzione del nome di Padre a lui, che riversava su tuttil’onda di quella tenerezza paterna, di cui ribocca il sacer-dozio di Gesù Cristo.

Lo stato miserando degli abbandonati figli del popoloera un quadro triste e nero, che non si partiva dalla suamente. In particolar modo teneva presenti le bambine,«povere creature, in mezzo ai vortici di un mondo cattivoe disordinato, in tempi in cui l’innocenza è esposta a tantipericoli, figliuoline nate nella povera ed oscura condizionedi disagiate famiglie del popolo, dove alla miseria e allepenurie va unita la ignoranza della religione e della stessaumana dignità, prive anzitempo della paterna e della ma-terna assistenza... Oh, spettacolo di pianto e di orrore!Queste bambine starebbero nel lezzo di qualche tugurio,

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CAPITOLO X

IL PADRE

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cenciosette, sofferenti la fame, il freddo, i visacci, l’ira-condia dei volgari consanguinei, sfoganti sopra di loro ilcruccio e il rammarico dell’estrema povertà ».

Fiorellini d’Italia, appena natiEra aperto l’abisso per divorarliNon era sguardo d’occhi innamoratiChe potesse un istante sol bearli.Pargoletti dispersi in sul cammino,Senza amor, senza brio, senza sorrisi,Ahime! quale avvenir, quale destinoLi avria nel torchio del dolor conquisi!

« E quindi – scrive il P. Vitale (pag 666) – principaleoggetto delle sue amorose sollecitudini erano i bambini ele bambine. Oh, come li guardava in viso, negli occhi,sulla lingua, chi sa potessero accennare a qualche male!Uno era palliduccio e conveniva nutrirlo particolarmente;l’altro accusava un po’ di anemia e gli si doveva prescri-vere una cura ricostituente; quegli non sembrava poter tol-lerare il piombo della tipografia e doveva avviarsi ad altromestiere, quella fanciulla doveva escludersi dal lavoro delpanificio e quell’altra dal lavatoio o dai lavori materiali ».

2. « In fatto di igiene, io mi ci picco un poco...»

Ricordava a tutti che, ricevendo i bambini, non solo cisi impegna ad educarli e ad attendere al loro bene spiri-tuale, ma si assume pure grave obbligo di custodire, sal-vaguardare e far progredire la sanità corporale deiragazzi.

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Era esigente su questo punto. Scriveva: « In fatto diigiene io mi ci picco un poco. Sono kneippista, ho anheletto il trattato di Mantegazza, e all’igiene ci tengo scru-polosamente. Nei nostri refettori c’è un piccolo regola-mento di precetti morali, igienici e di buona creanza,riguardanti il modo di prendere il cibo... Aria e luce sonoi primi fattori della vita; e noi deploriamo che questa im-portante regola igienica sia maltrattata e praticamente sco-nosciuta dalla maggior parte. Presso di noi vigoreggia...La florida salute che, grazie a Dio, godono i miei orfani, èanche dovuta alla più larga osservanza di questa regolaigienica: aria, aria sempre, aria fresca, aria nuova, aria puradi giorno e di notte, nel dormitorio, nel laboratorio, nellascuola, nella ricreazione, nel refettorio, dovunque».

Agli assistenti e alle maestre chiedeva conto della salutedei ragazzi, e pretendeva che i superiori vigilassero atten-tamente, e diceva: « La più piccola delle orfanelle vale piùdel Fondatore e della Madre Generale! »

3. In mezzo ai bambini

In mezzo ai bambini si trovava nel suo centro. Un epi-sodio semplicissimo, che rimonta ai suoi ultimi anni di vitae che mi è rimasto scolpito nel cuore.

Siamo a Messina, Quartiere Avignone. I ragazzi sonoalle officine; alcuni piccolini, esenti dal lavoro, per qual-che bisticcio avvenuto tra loro piagnucolano raggruppatiattorno al gigantsco eucaliptus che domina e profuma ilcortile. Ad un tratto entra il Padre, che viene da fuori, cap-pello in testa e ferraiolo a lembi distesi, che accresce la di-gnità del suo nobile portamento. I ragazzi scattano: – Il

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Padre, il Padre – e gli corrono incontro festosi, battendole mani.

Il Padre sorride: apre il mantello, e i frugoli, sotto, felici.– Andiamo, andiamo! – dice il Padre – camminiamo

così – In tal maniera, come trascinando i ragazzi sotto ilmantello fa con essi a passi misurati il giro del cortile.

Aveva dimenticato stanchezza, cure ed affanni. Coibambini tornava bambino! Non per nulla aveva cantato:

Io l’amo i miei bambni, ei per me sonoIl più caro ideal della mia vita,Li strappai dall’oblio, dall’abbandonoSpinto nel cor da una speranza ardita!. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. ..Perle deterse le bambine mie,Le raccolsi nel loto ad una ad una,Quasi conchiglie in mezzo delle vie:Oggi avviate a più civil fortuna.

Nelle festicciole che si celebravano in famiglia, i bam-bini e le bambine gli leggevano poesiole. A volte egli ri-spondeva pure in versi conservando lo stesso metro e lastessa rima di quelli.

Ne riporto alcuni per la ragazza Loiodice:Se io mi avessi virtù simili a fioriI più vaghi di questi cogliereiE dipinti di amabili coloriA te li porgerei.A te li porgerei, figliuola mia,Per farti amar Gesù con vivo affettoOra io prego Gesù che tu gli siatu stesso un dono accetto:Un dono che Egli stringa sul suo CuoreSorridendoti in dolce atto di amore.

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4. Correggere e incoraggiare

Ma la sua paternità si estendeva senza parzialità a tuttidegl’Istituti: meglio, una parzialità o preferenza c’era, edera per quelli che maggiormente soffrivano.

Come sapeva incoraggiare! Ad una novizia dotata dibellissima voce, dopo una esecuzione fece dono di una im-maginetta della Madonna di Lourdes, con queste parole atergo: « Un evviva nel Signore e una benedizione partico-lare, con l’augurio che si unisca l’armonia delle santevirtù, essendo questo il vero cantico armonioso dinanzi alSignore ».

Le correzioni del Padre non si dimenticavano. Una voltaattraversavo in fretta il corridoio davanti la sua stanza. Dalpasso mi riconobbe: si fece sulla porta, accennò con lamano di moderarmi e mi disse sorridendo: « Non ricordiquello che dice Dante della fretta? Che l’onestade adogn’atto dismaga (Purg. III, 11). La fretta toglie perfe-zione alle cose, guasta le cose. Va pure e... senza fretta ».

Un giorno intese dalla stanza che un ragazzo, in contesacon un compagno di giuoco, aveva gridato: – Bugia!

Il Padre venne fuori e domandò: – Chi ha detto bugia?È mancanza di carità verso il compagno, supponendo inlui l’intenzione d’ingannare. Si dice semplicemente: nonè così!

Sapeva anche punire e... far accettare con piacere.Una volta mi mise in ginocchio a refettorio, perché, pre-

parando la pisside con le particole, l’avevo riempitatroppo, e una particola era scivolata sul corporale.

– Devi fare un castigo...– Volentieri, Padre.– Starai in ginocchio a refettorio.

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Finito il castigo andai a domandargli perdono. Comemi vide, sorrise. Mi inginocchiai e cominciai: – Padre, miperdoni... – Non mi lasciò continuae: – La particola nonera consacrata... e poi... qualche castigo a volte io lo doper vedere come i figliuoli lo accettano... Va’ in pace...

E raccomandava ai superiori la pazienza, la modera-zione, le buone maniere. Esorta la Madre Nazzarena, Su-periora Generale, a «scrivere moderata, umile, rispettosa,con le spose di Gesú Cristo ed edificante». E cita le paroledella Scrittura: « Il liuto e la cetra fanno un bel suono, cheperò sono superati da una lingua soave». « Con stile dolcee soave si può dire di tutto e non si offende ed amareggiaun’anima. Badate che vuol dire Vicaria della SS. Verginee imitate Colei che fu colomba senza fiele ».

5. Coi figliuoli saldati

Venne la guerra... quante amarezze per il suo cuore pa-terno!

Scrisse anzitutto una fervorosa preghiera, Per i nostriconfratelli che si trovano nella milizia, che si recitavaogni giorno in tutte le Case.

Negli inni del 1° luglio di quegli anni affiora sempre ilricordo dei suoi figliuoli soldati:

Gesù, dove si aggiranoDel tuo Rogate i figli?Figli essi pur d’ItaliaTra i rischi e tra i perigli...Soldati di due eserciti,Dell’italo e del ciel!

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E alla Madonna SS.:Cari figli, diletti tuoi figli,Del Rogate campioni costanti:Or dispersi tra i rischi e perigli, Sulle terre di sangue fumanti!Deh, quel giorno tra i giorni più belliRiconducine i cari fratelli!

E ancora:O gran Madre! se l’ira divinaPure ha tratti di mite perdono,Deh, nel campo di tanta ruinaSalva i nostri sacrati al Signor!Ti sovvieni che il germe essi sonoDel Rogate del suo divin Cor!

Il Servo di Dio non mancava di farsi accanto ai suoi fi-gliuoli con l’incoraggiamento, la buona parola, l’aiuto ma-teriale.

Come seppe che ero stato arruolato, mi scrisse subito:« Ho appreso che già sei stato dichiarato abile per laguerra! Che debbo dirti? Mi sono afflitto fino alle lacrime,ma dobbiamo diffidare della dolcissima misericordia delCuore SS. di Gesù? Non sia mai! »

In una circolare ai Rogazionisti soldati, scrive: « Colgol’occasione, figliuoli carissimi, per avvertirvi che non ri-lasciate il vostro spirito dalla Divina Presenza e dallo spi-rito religioso, e che le fatiche e i disagi della vita militarevi abbiano a servire come mezzo efficacissimo con cui ilSignore vi chiama ad una più stretta unione col suo DivinoCuore ». E ancora: « Sono tutte vie di Dio. Quando vo-ialtri nostri carissimi figliuoli ritornerete al caro Istituto,come fermamente speriamo nella carità del Cuore SS. di

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Gesù, ritornerete uomini fatti, per diventar campioni diGesù Cristo e della sua amata evangelica Rogazione! In-tanto il Signore vuole che passiate per una trafila di sacri-fici di ogni maniera, interiori ed esteriori, poiché stascritto: Chi non ha penato, che cosa sa egli mai? »

Ritornare tutti! Era il sogno, la preghiera... Aveva im-plorato dalla Madonna:

Deh! quando fia dall’uno all’altro lidoSalva l’Italia e riverente a Te,Tornali, o Madre, al loro dolce nido,Tornali tutti per tua gran mercè!

Ma ci fu chi non tornò perché non volle; e ci fu pure chinon potè tornare: Fr,llo Mansueto Drago, un nostro caris-simo giovane studente, lasciava la vita sul Monte Nero(Carso) il 24 marzo del 1917. Il Padre ne perennò la me-moria nell’inno eucaristico di quell’anno:

Compagno pietosissimo Del nostro esilio, or miraDel tuo Rogate il piccoloGregge che a Te sospira,Che adora il tuo decretoPel figlio MansuetoChe trar volesti a Te.

E a questo unisce la preghiera per tutti i Rogazionistisoldati:

Mirali, agnelli teneri Dei tuoi più cari oviliDal tempio e dal silenzioSparsi sui campi ostili!A te si volge il piantoDel loro cuore affrantoMa saldo nella Fe’.

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6. « Giammai sono stato così trafitto!»

E la guerra fece anche un’altra vittima. Un cugino diFr.llo Mansueto, Fr.llo Mariano Drago, coadiutore, soldatoa Palermo, in pochi giorni accecò completamente!

Il Padre scrisse: «Il mio cuore è profondamnete col-pito!... Tra i nostri carissimi figli, nessuno così espansivonell’amore con noi – specie con me – quanto il carissimofra Mariano! Sarà una vittima dei miei peccati e dell’at-tuale società! »

Corse a Palermo e dovette lavorare intensamente per ot-tenergli il congedo.

Scriveva: « Giammai sono stato così trafitto! Morire ungiovane al fronte non è il massimo dei dolori, come cre-devamo! Perdere la vista a 25 anni per vivere morto altriquaranta, cinquant’anni è più terribile! Certo che noi, cheper grazia del Signore siamo cristiani e suoi ministri, lo-diamo sempre e benediciamo la volontà adorabilissima diDio; ma Egli non vieta al sacro paterno amore che nu-triamo pei nostri carissimi figliuoli in G. C. d’imploraregrazia, grazia! »

Fece l’impossibile perché il giovane potesse riacqui-stare la vista, specialmente col sollecitare preghiere delleanime buone e dei monasteri di sua conoscenza. Alla Su-periora di Altamura, Suor M. Elisabetta, raccomandandovivissime preghiere al Bambino Gesù, conchiudeva; « Di-tegliene tante, che si abbia ad arrendere! » Gesù non si ar-rese, perché aveva i suoi particolari disegni su quel pioreligioso, ma le preghiere furono certamente efficaci.

Nei primi giorni della sventura, quando era ancora ne-l’ospedale di Palermo, il Padre notava: « Le tante pre-ghiere che si fanno per lui, povero figliuolo, gli attirano

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l’occhio misericordioso del Signore, che stasera amoro-samente gli’infuse tanta quiete interiore, che appena iol’avevo lasciato, ovvero mi aveva lui licenziato, io intesicome se si lamentasse.Non sapevo che fosse: mi avvicinaie gli domandai che avesse. Calmo e tranquillo mi rispose:« Sto cantando: Sangue del primo martire! »

7. Le Figlie del Divino Zelo a Padova

Nel 1917 le Figlie del Divino Zelo furono richieste aPadova da quel Vescovo per l’ospedale militare Belzoni.Il Servo di Dio ne mandò otto e con quanta cura le seguìper quei pochi mesi che vi restarono! Fu a visitarle più diuna volta e le incoraggiava in quella missione per loronuova: « Voi costì non solo avete il compito di assistere econfortare i nostri afflitti fratelli soldati; ma pure avete ilcompito di far risplendere e stimare dalle Autorità Eccle-siastiche e Civili il vostro santo abito e di preparare labella opera dell’Arcella, alla quale il glorioso Taumaturgoci ha chiamato. Per diportarvi così bene, bisogna che stiateattente ai vostri doveri religiosi, cominciando dalla ora-zione della mattina, che è tanto importante. Non tralasciatenulla delle pratiche religiose di uso nostro, secondo il no-stro calendario. Tutte dipendano come bambine dalla pre-posta, che tra di voi rappresenta la stessa SuperioraGenerale, o, se vogliamo la stessa Divina Superiora. Siatetra voi affezionatissime l’una con l’altra ».

« Grande l’impresa che vi fu assegnata, abbastanzalargo il campo e nuovo. Ma sapete voi tutte, quali sono lenostre armi: la preghiera, la retta intenzione, lo spirito di

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sacrificio, l’esercizio della carità, del pari la buona osser-vanza delle regole religiose tra le stesse Suore... Non viimpressionate, né voi né le altre, del modo di stare degliinfermi; usate da parte vostra la modestia degli occhi, ildovuto contegno, il raccoglimento interiore e tirate avanti.Le Suore di vita attiva debbono essere come la colombanoetica, che tornò all’arca senza bagnarrsi, o come il rag-gio di sole, che se pur tocca il loto non si offusca mai ».

Alla fine di ottobre di quell’anno si verificò la rotturadel nostro fronte e la invasione del Veneto. Il Servo di Diodiede disposizioni alle Suore di non muoversi: « Finchécostì vi è l’Ospedale, restate ferme al posto, perché cosìha raccomandato il Santo Padre per tutti gli ecclesiastici».Ma egli fece subito telegramma a tutte le Case perché sifacessero preghiere per quelle Suore, e le confortava così:« Anch’io indegnamente non cesso di raccomandarvi alCuore SS. di Gesù, alla SS. Vergine, a S. Antonio di Pa-dova, perché vi custodiscano e vi diano lumi come rego-larvi nei casi dubbi in cui non avete chi vi consigli...Ammiro la vostra reasegnazione al divino volere, il vostroperfetto abbandono in Dio; e questa è l’ottima disposi-zione, perché il Cuore SS. di Gesù vi aiuti ed assista inogni evento. È superfluo raccomandare a voi e a tutte lapiù perfetta osservanza, il più perfetto esercizo delle santevirtù, la più perfetta diligenza di non dispiacere in nullaal Cuore adorabile di Gesù, abbastanza sdegnato control’umanità peccatrice! »

Dopo Caporetto, l’Ospedale Belzoni fu trasferito a Fi-renze, dove non fu più necessaria l’opera delle Figlie delDivino Zelo, che rientrarono a Trani.

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8. La spagnola

Nel 1918 una grande epidemia, la spagnola. Ecco sulproposito i sentimenti del Servo di Dio: « La mano giusta,santa e divina del Sommo Dio si fa sentire dovunque sullademente e apostata società! Oh, che gioia ciò apporta,anche se dovessimo perire! Venga il tempo della rivendi-cazione delle incessanti umane iniquità! Resti l’Altissimorivendicato e soddisfatto della umana universale prevari-cazione! Restino re e popoli oppressi, rignerati sotto il di-vino flagello: ciò sarà a salvezza! Soli Deo honor et gloria!ma ancora initia sunt dolorum!Abbandoniamoci fiduciosinel Cuore adorabile di Gesù, e offriamoci vittime della suaadorabile volontà ».

In quei giorni si trovava nelle Puglie, passando e ripas-sando da Trani ad Altamura e viceversa, le Case maggior-mente colpite, incoraggiando, aiutando, supplendo comeinfermiere ed altro... era il Padre col cuore di madre...

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1. Non si tirava mai indietroLe Congregazioni e gli Orfanotrofi del Servo di Dio, se

lo tenevano costantemete impegnato, non esaurivano lasua attività, che si estendeva, per quanto possibile, al di làdelle sue Opere. Quando si trattava di fare del bene, il P.Di Francia non si tirava mai indietro.

Richiamiamo brevemente.Il Servo di Dio nutrì fin dai primi anni particolare de-

vozione a S. Veronca Giuliani, e se non potè predicare lanovena a Città di Castello – come abbiamo detto avanti –contribuì alla gloria della Santa rivelando al mondo unTesoro nascosto nella pubblicazione dei suoi mirabiliscritti, che erano rimasti sepolti nell’archivio delle Cap-puccine per oltre un secolo e mezzo. Peccato che la pub-blicazione si arrestò al secondo volume, per sopravvenutamalattia e per ulteriori impegni!

Al suo zelo e alla sua pietà si deve la conservazione inMessina della preziosa reliquia del cuore di S. Camillo,che altrimenti sarebbe passata a Palermo.

Nel 1894, al dì 16 novembre, un forte terremoto scosse

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CAPITOLO XI

OLTRE IL RECINTO

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Messina e parve miracolo che la città rimanesse in piedi.Il popolo ne sentì una reazione salutare; e furono giorni digrandi fatiche per il Servo di Dio e per suo fratello. Lefolle accorrevano al Quartiere Avignone, desiderose di unaparola di fiducia e di riconciliazione con Dio. Di lì move-vano quasi in processione verso il palazzo arcivescovile eil Card. Guarino si affacciava al balcone per benedire lafolla con largo gesto della mano sinistra, avendo la destragià paralizzata.

2. Bisogna predicare Gesù CrocifissoPiù vasto ricordo dobbiamo fare qui dell’intensa attività

del Servo di Dio nel campo della sacra predicazione.È opportuno anzitutto conoscere le sue idee intorno al-

l’argomento. Le rileviamo dal resoconto di un discorso delCan.co Ardoino per la fine dell’anno 1877, pubblicato suLa Parola Cattolica del 2 gennaio 1878.

La predica del Can.co Ardoino « fu svolta con la mas-sima chiarezza e popolarità; ma una chiarezza che non il-languidiva il pensiero ed una popolarità che non degradavala sublimità degli insegnamenti cristiani. La verità altret-tanto è più chiara e nobile per quanto è più semplice. I pas-saggi biblici e patristici, tanto indispensabili nell’oratoriacristiana, corroboravano i suoi argomenti. Il modo di por-gere era grave, sicuro e dignitoso, come di chi è tutto com-penetrato della verità del suo soggetto. Qualche breveinesattezza di immagini spariva assorbita nell’abbondanzadell’eloquio e nel naturale e parco maneggio delle figureoratorie.

» In qualche tratto particolare lampeggiava il geniodell’eloquenza cristiana. Abbiamo osservato con molto

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compiacimento che il popolo pendeva dalle labbra del-l’oratore, e dava segni di compunzione, più che di vanaed inutile ammirazione, non aggiungiamo altro: veramenteabbiamo detto un po’ troppo per la modestia del Rev. Can.Ardoino, ma ci prendemmo questa libertà piuttosto peresprimere una volta francamente le nostre idee relativeallo stato dell’arte oratoria in Messina. Vogliamo sperarche molti si persuadano in che consiste il vero pregio delbanditore della Divina Parola. Via la vana ostentazione diun’intricata scolastica e di una nebulosa filosofia: una pa-rabola del Vangelo ben spiegata val più di tutte le ampol-lose declamazioni. Il fondo della morale cristiana è ungran mare, al quale si può attingere sempre con successoe forse con minor fatica.

» È la dichiarazione dei discorsi di Dio, come dice ilProfeta, quella che illumina e dà intelletto ai pargoli. Nonè forse con lo svolgimento pratico di questa morale chesalirono a grande altezza della cristiana eloquenza i Mas-sillon, i Bourdaloue e i Bossuet in Francia, e i Segneri, iTorniello , i Venini , i Ventura e molti altri in Italia? Nonè forse spiegando l’Evangelo e correggendo i costumi delpopolo che toccarono l’apogeo dell’eloquenza un Tertul-liano, un S. Agostino, un S. Basilio e un S. Govanni Cri-sostomo, miracolo imperituro dell’oratoria cristiana? Ah,sì abbiamo sempre per le mani questi modelli, si attingaalla Bibbia, ai Padri, al Vangelo, alla soda dottrina teolo-gica; si ordini bene la materia che vuole svolgersi, si studil’arte di ben vestirla e di renderla gradita, si tratti il mini-stero della Divina Parola con purità di intenzione, concompunzione di cuore, con ordine, chiarezza, opportunitàe parsimonia d’ornamenti, e allora si otterrà profitto delleanime!

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»Ricordiamoci sempre che bisogna predicare Gesù Cri-sto Crocifisso e non noi stessi ».

3. La sua eloquenzaDella predicazione del Servo di Dio abbiamo già detto

qualche cosa trattando del suo chiericao. Il Signore gliaveva dato una parola facile, viva, fascinosa; una voce, senon molto robusta, penetrante, quasi tagliente, che inci-deva negli uditori come una lama; e poi il gesto misurato,espressivo; e poi il fuoco del cuore...: una sua predica siricordava per lungo tempo.

Se non potè darsi alla predicazione ex professo, profit-tava volentieri di ogni occasione per effondere l’anima suaattraverso la parola.

Ecco intanto com’egli giudica la sua eloquenza nell’au-toelogio: « Fatto sacerdote si diede alla predicazione, equasi subito a questa Pia Opera... Il suo predicare era unalto e basso. Alle volte prediche vibranti, alle volte mise-rie! Egli diceva che alle sue prediche succedevano due fe-nomeni: alcuni sbadigliavano, alcuni piangevano ».

Diverso però è il giudizio degli uditori. Il Can.co Celonaricorda: « La sua vita interiore aveva occasione di mani-festarsi esternamente attraverso la predicazione, che fluivaspontanea ed eloquente dal suo cuore e che, ascoltata conimmenso piacere dal popolo produceva frutti abbondanti».Aveva un modo di parlare tutto suo. Una volta don Orione,a Brà, volle che dicesse due parole ai novizi e sacerdotidella sua Congregazione. Don Risi, che era presente, con-fessa: « Per me fu un incanto, e per quello che disse e peril modo come lo disse ».

I parroci e i rettori di chiese, specialmente durante i

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primi anni del sacerdozio, se lo contendevano; ed egli nonsapeva negarsi.

Nutriva il massimo rispetto per la parola di Dio e perciò,tranne casi particolari, non improvvisava mai, qualunquefosse l’uditorio, anche pochi ragazzi o modestissimesuore, nonostante la naturale facilità e il lungo eserciziodella parola.

4. Nelle grandi occasioniDi lui ci restano voluminosi appunti di prediche, istru-

zioni, panegirici, colloqui ecc. Faceva sempre lo schema,anzi spesso una traccia abbastanza sviluppata e ci sono di-scorsi scritti per intero, sebbene pochi. Ricordiamo fra que-sti i panegirici della Madonna della Lettera e dellaRaccomndata, di S. Ignazio, S. Chiara, S. Marco, S. Luigi,S. Eùplio, S. Ciro, Beata Eustochio. Per intero, si capisce,sono scritti i discorsi occasionali, che venivano letti; e vannopoi ricordati alcuni elogi funebri che, diremmo, feceroepoca, perché nelle grandi occasioni Messina voleva sentirela sua parola.

Nel 1885 moriva il Can. Ardoino, insigne maestro di teo-logia morale, la cui fama riempiva allora la Sicilia; e nel di-scorso funebre il Servo di Dio scioglie un inno alSacerdozio, luce dei popoli col doppio raggio della scienzae della santità. Naturalmente affiorano i ricordi dei suoi gio-vani anni: « Tenere e meste ricordanze! A me sembra di ve-derlo, quando, calmo e sereno, nella scuola del nostroseminario, come un buon padre tra i figli, spiegava a noigiovani le astruse questioni morali e rendeva più intelleg-gibili le dotte pagine dello Scavini... Sempre ilare, sempreamabile, sempre paziente Gli anni che sopravvenivano lo

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trovavano a quel posto: mutavano le classi: i chierici si suc-cedevano ai chierici, nuovi discepoli si assidevano a quellascuola, ma egli era sempre lì indefesso al suo posto, per eru-dire e coltivare i germogli del Santuario! Ahimè! una nuovagenerazione di chierici entrerà domani in quella scuola, mal’antico Maestro non verrà per istruirla! »

Per la morte dell’Arcivescovo, Cardinal Guarino, in unamagnifca rievocazione, egli lo ricorda: «Padre, che fremedi tenerezza e di amore per i suoi figli; Pastore, che effondese stesso per le sue pecorelle; Principe, che regna e governasantamente in mezzo al suo popolo ».

Splendido l’elogio funebre per Leone XIII.Soppresso il potere temporale dei Papi, il liberalismo set-

tario prevedeva ed annunziava prossima la fine della Chiesacon la morte di Pio IX, ma ecco che la Divina Provvidenzasuscita Leone XIII « il fatidico lumen in caelo » che in ven-ticinque anni di pontificato vibrò i suoi raggi su tutto ilmondo: « Egli accrebbe meravigliosamente lustro e splen-dore alla S. Chiesa: dilatò il regno di Dio nel mondo, ri-chiamò il Cristo al cospetto del secolo, e lo fece vedere qualè nel cattolicesimo: il Dio della pace, dell’amore e della ve-rità; il Dio della vita eterna ». Egli fece splendere di vividaluce la potenza morale del Papato, che non ha bisogno diarmi materiali per trionfare di un secolo convulso, irre-quieto, sfrenato: « Si agguerrì delle più forti armi spirituali.Cinse l’usbergo della fortezza e della costanza, imbracciòlo scudo della dottrina evangelica e della santità dei suoi di-ritti, si adattò l’elmo delle grandi concezioni della fede cat-tolica, impugnò la spada a doppio taglio della divina parola,e, affidatosi ad un grande invicibile duce, qual si è lo spiritodella vera prudenza e della mansuetudine cristiana, eglientrò nella lotta e vinse ».

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Il ricordo di Leone XIII è indissolubilmente legato allasua azione sociale.

« Oh, che vasto campo mi si apre dinanzi – esclama ilServo di Dio –; come percorrerlo in sì breve ora? dovrei diredella grande importanza di questo problema sociale? del-l’argomento che le miserie della classe operaia porgono alsocialismo, per mettere innanzi le sue teorie, e bandirsi perl’atteso messia di popoli? Ma io taccio, perché mi sembradi vedere quella mano diafana e tremante del Vicario di Cri-sto, come se Egli dal suo feretro l’avvicinasse al suo cuoreper dirmi: qui ho portato lo stanco operaio! » E ricorda laRerum Novarum del 1891 e l’enciclica sulla DemocraziaCristiana del 1901.

5. La commemorazione di Ludovico Windthorst Non possiamo trascurare una pagina del Servo di Dio

che trova particolare riferimento coi tempi attuali, special-mente per quello che dice in relazione all’apostolato deilaici: la commemorazione di Ludovico Windthorst (1812-1891), insigne campione del cattolicesimo in Germania,che fieramente tenne testa a Bismarck e lo costrinse allacapitolazione.

« Windthorst fu l’uomo suscitato dalla Divina Provvi-denza... Tra le moltepliici persecuzioni a cui è stata fattabersaglio ai nostri giorni la Chiesa di Gesù Cristo, non èda reputarsi come l’ultima quella che le veniva dalla piùpotente nazione del mondo, dalla Germania. Persecuzioneche già si manifestava con inique leggi, là dove a capodella Germania di Lutero stava arbitro dei destini dei po-poli il più intelligente politico dei nostri tempi, il quale

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lanciando quasi un guanto di sfida al Papato diceva: – Noinon andremo a Canossa!

» Ma vi fu un uomo che raccolse quel guanto, e scese sulcampo per misurarsi col temuto prussiano. Quest’uomo fuWindthorst.

» Ciò che egli ha operato per abbattere il capo del parla-mento tedesco, non può spiegarsi con un semplice procedi-mento di fatti umani. Ma con l’occhio della fede dobbiamoammirare quella grazia del Signore, che penetra i cuori, cheinveste le menti, che accende, che suscita, che muove, cheagita, che ispira, che riempie di un sacro furore, giustal’espressione biblica: sacro furore repletus sum; imperocchéquel Dio che forma i santi, forma i geni. Egli è che crea lapietà e il coraggio, la compassione e la fortezza, l’estasid’amore e l’ardore della battaglia! Qui facit omnia in om-nibus, ebbe a dire l’Apostolo. Ed ecco che mentre sul freddosettentrione si addensano le nubi gravide di orrenda buferaper riversarsi contro la mistica navicella di Pietro, ad untratto un soffio le dirada: fuggono, spariscono, la procelladilegua, ritorna il sereno, e il fiero oppositore del cattolici-smo ritira il suo guanto di sfida, straccia le sue inique leggie si rivolge riverente ed umiliato al venerando Vegliardo delVaticano.

» La Provvidenza ha ottenuto il suo intento: Windthorst,l’uomo provvidenziale, ha compìto la sua missione! »

Parla poi delle fatiche, delle battaglie sostenute dalWindthorst per arrivare al trionfo del suo ideale cristiano:« Egli vide ed afferrò nel suo sguardo tutti i nemici ac-campamenti. Bisognva formarsi una maggioranza; biso-gnava che i cattolici si unissero in uno, e opponessero laloro energia e la loro volontà allo sfrenato procedere degliavversari della religione cattolica. E in primo luogo biso-

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gnava che questo nucleo, che questo centro di cattolicismovivo, attivo, battagliero, fosse cattolicismo vero, fosse lai-cato cattolico costituito, organizzato, compatto, i cui prin-cipi fossero puri cattolici. E qui è la maggiore difficoltàdei nostri tempi: molti si dicono cattolici, ma pochi sonoquelli che nella loro interezza professano i principi del cat-tolicesimo! Ma Windthorst fu superiore ai tempi e ad ognidifficoltà. L’uomo di mente e di cuore fu anche uomo diazione e di eloquente parola. Egli assembrò intorno a sé ideputati cattolici del parlamento tedesco, formò la granmaggioranza, anzi la costituì così salda e compatta, cheparve fosse un sol uomo, e per tal modo potè imporsi agliavversari della Chiesa e reprimere l’audace baldanza ».

Il Servo di Dio continua illustrando le conseguenze chediscendono dall’esempio di quel grande per i cristiani delsuo e del nostro tempo: « Qual si è dunque il dovere deicattolici? Quali sono i sentimenti che debbono in noi sve-gliarsi dinanzi all’augusta bara di così generoso figliuolodella Chiesa? Ah, non altro è il nostro dovere, che zelareancor noi con tutte le nostre forze l’onore del mistico San-tuario di Dio, qual si è la cattolica Chiesa, e procedere inquesto sacro compito con quella rettitudine di coscienza,con quella purezza di principi, con quella fermezza di pro-positi, con quella libertà di spirito e di parola con cuicompì la nobile carriera il benemerito difensore della giu-sta causa, il grande Windthorst ».

E rivolgendosi ai giovani promotori di quella comme-morazione, esorta: « Giovani, a voi in primo luogo si offrequesto modello, affinchè apprendiate come l’amore allaChiesa, l’ossequio alle sue sante leggi e la pietà cattolica,che il secolo chiama bigottismo, formano invece i grandiuomini, che si attirano l’universale ammirazione.

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» Avvi una gloria che si fonda sulla vanità delle umanefallaci estimazioni, ma che presto decade e si offusca di-nanzi al giudizio imparziale della storia e dinanzi alla se-rena e spassionata coscienza dei nuovi popoli. Ma vi hala gloria vera, che attraversa i tempi, perché è un riflessodi quella eterna; la gloria di chi può dire anche in mezzoalle umane vicissitudini e alle terrene sconfitte: ho amatola giustizia e ho odiato l’iniquità! Lasciamo al secolo lesue follie e gloriamoci di essere figliuoli della Chiesa e diaspirare anche noi alla vera gloria.

» Il Regno di Dio sulla terra sia tutta la nostra ambi-zione; e le nostre vittorie non potranno mancare. Con noiarmonizzano i cieli, a noi fanno eco i celesti: con noi staDio! Siamo coraggiosi, senza lasciarci intimidire dagliumani rispetti; non ci vergogniamo di chiamarci cattolici,perché Gesù Cristo ha detto: se voi non mi confesseretedinanzi agli uomini, nemmeno io vi confesserò dinanzi alPadre mio. Mostriamo la nostra religione nelle opere e perprima la purezza di principi. Che sia lungi da noi quelmezzo cattolicismo, che accoglie tutti gli articoli dellalegge, ma con un ma!; che rispetta il Vicario di Gesù Cri-sto, ma con certe condizioni; che transige con gli opposi-tori della Chesa; quel cattolicimo insomma non puro, nonintiero, ma misto alle false massime del mondo, per cuitaluni, mentre si chiamano figli della Chiesa, non rifug-gono dal farsi caldi ammiratori e sostenitori dei nemicidella Chiesa! »

E conchiude:« Siate uniti, o giovani, nell’unico intentodella difesa della santa causa, perché nell’unità sta laforza!... Tali sono, o signori, i sentimenti che debbono innoi risvegliarsi alla memoria di quell’uomo grande che fuil Windthorst, vero tipo del laicato cattolico! »

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6. Le Geltrudine del Sacro Cuore Dalla oratoria, passiamo ora agli asili e case di religione

e beneficenza.Il Servo di Dio verso il 1910 fece conoscenza di una

opera consacrata a S. Geltrude, fondata in Napoli da unaoblata benedettina, donna Geltrude Gomez d’Anza, coa-diuvata dal Sac. Angelo Padovano. Alla iniziale casa dilavoro per l’assistenza alle giovanette operaie si era in se-guito aggiunto un orfanotrofio. L’opera navigava in mezzoa innumerevoli difficoltà e aveva bisogno di aiuti.

Il P. Di Francia, al solito, non lesinò da parte sua, e siadoperò attraverso la stampa a far conoscere la nuova isti-tuzione, richiamando su di essa l’attenzione specialmentedei napoletani. Lasciò anche, per qualche anno a Napoli,due Figlie dl Divino Zelo, rivestite dell’abito benedettino,per la formazione delle « Geltrudine del Cuore di Gesù ».

In un suo foglio, il Sac. Padovano attribuisce al nostroServo di Dio il titolo di Confondatore, il che fa supporreche egli si sia adoperato non poco a mandare avantiquell’Opera, oggi, grazie a Dio, abbastanza fiorente.

7. Le Figlie del Sacro Costato Maggiore impegno richiesero le Figlie del Sacro Co-

stato iniziate in Gravina di Puglia (Bari) nel 1908 dal piis-simo Sac. Eustachio Montemurro, aiutato dal Sac. SaverioValerio, con la valida collaborazione del gesuita P. Gen-naro Bracale. Senonché, appena qualche anno dopo, nel1911, le competenti autorità ecclesiastiche allontanaronoi fondatori, sotto l’addebito di pseudomisticismo, e sop-pressero la fondazione.

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I Vescovi delle diocesi, nelle quali le Figlie del SacroCostato esercitavano con zelo l’apostolato, ottennero daS. Pio X di poter tentare il salvataggio dell’Istituto dan-dogli una nuova direzione, e misero nelle mani del nostroServo di Dio l’Opera ormai distrutta, perché egli le infon-desse nuova vita e vigore. E il Servo di Dio vi lavorò contanta assiduità ed amore da poter poi scrivere: « Io ho ri-guardato le Figlie dl Sacro Costato come una mia fonda-zione e mi sono dispendiato per soccorrerle e per portarleavanti ».

Anzitutto ne rinnovò lo spirito, dando ad esse un rego-lamento adatto alla loro condizione. Presentandolo allecomunità diceva: « Riflettete bene che avrete gran bisognodi osservarlo, perché dovete considerarvi come una Co-munità che fu colpita dalla S. Chiesa e distrutta... e per-ché?

» L’umiltà richiede che voi riteniate che avete ricevutoquesto tremendo colpo pei vostri peccati, per le vostreinosservanze... E quindi con grande spirito di umiltà, congrande compunzione e contrizione dovete attaccarvi aqueste regole. e prendere questo regolamento come unmezzo che vi offre il pietoso Signore per la vostra spiri-tuale resurrezione. Non trascurate questo mezzo di salute.Considerate che dalla perfetta osservanza di questi puntidi regola ne potranno venire i più grandi vantaggi, cioèche voi sarete una comunità santa, che attirerete altreanime a questa santa vocazione, che le case andranno sem-pre avantti, che nuove case aprirete, e così si moltiplicheràil bene delle anime nella S. Chiesa... e la divina Miseri-cordia potrà darvi più di quanto abbiate perduto ».

E fu proprio così. L’istituzione non solo si rimise, maprese a prosperare felicemente. Nel 1919 per una diver-

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genza con Mons. Ràzzoli, Vescovo di Potenza, ci fu la Vi-sita Apostolica di Mons. Farina, in seguito alla quale leFiglie del Sacro Costato si divisero in due rami: Missio-narie Catechiste del Cuore di Gesù, alle dipendenze delVescovo di Potenza, e Suore Missionarie del Sacro Co-stato, che rimasero fedeli al Servo di Dio e dopo la suamorte si sono affiliate alla Compagnia di Gesù.

L’una e l’altra Congregazone sono di diritto pontificioe, con l’aiuto di Dio, vanno operando molto bene nella S.Chiesa.

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1. Le ristrettezze economicheAbbiamo accennato che fra le tante tribolazioni delle

sue opere, per oltre un ventennio, una delle più assillantiera costituita dalle ristrettezze economiche: tribolazioniche il Servo di Dio potè superare affidandosi ciecamentealla Divina Provvidenza.

« Guardata dal lato dei mezzi di sussistenza – egli scrivenel 1901 – quest’opera non ha che la durata di un giorno,cioè dell’oggi solamente, e per il domani il vuoto. Eppurenon molto di questo ci siamo preoccupati, parendoci chel’importante per un’Opera sia quello di attendere alla di-vina gloria e al bene delle anime, con retta intenzione – ilche è pura grazia di Dio – e che le Opere si formano noncon l’oro e l’argento, ma con gettarne le basi sui purissimiprincipi del timore di Dio e delle sante virtù cristiane. Diquesto sì, ci siamo preoccupati al punto di voler più voltedesistere...

» D’altronde, quella Divina Provvidenza che pasce gliuccelli dell’aria e veste i gigli del campo, non ci è maimancata, ma spesso ci ha sovvenuto in modo veramentemirabile! »

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CAPITOLO XII

IL PANE DI S. ANTONIO

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Ai tempi del Servo di Dio – e lo abbiamo già rilevato –mancavano quelle leggi e provvidenze ispirate alla giusti-zia sociale, che sono una conquista dei giorni nostri. L’or-fano che non aveva beni di famiglia restava abbandonato,e chi s’impegnava in opere di beneficenza non poteva con-tare che semplicemente sulla carità privata. L’abito talare,poi, in genere, dava ombra, specialmente agli amministra-tori della cosa pubblica.

2. «Io sono prete... »

Per la richiesta di un sussidio di L. 3.000, che il Servodi Dio aveva avanzata preso il Municipio di Messiina, perle feste di mezzagosto del 1902, gli toccò subire, col di-niego del soccorso, una serqua d’invettive in piena cameradi consiglio, che suscitarono una vibrata reazione.

« I signori consiglieri a me contrari – egli scrisse fiera-mente – fanno questone di partito e di principi, preten-dendo che per tremila lire io abbia a vendere i mieiprincipi per quelli di loro! Ma se essi non credono, se sonorazionalisti, o atei, o nemici dei preti, io sono prete, sonosacerdote, sono cattolico, apostolico, romano, sono fedelealla mia divisa, sono fiero dei miei principi di religione,che mi hanno sostenuto e mi sosterranno nella tremendalotta della salvezza di tante infelici creaturine, che contutte le declamazioni e invettive dei miei contrari, aquest’ora sarebbero o nelle carceri o nelle case di prosti-tuzione. Ho coscienza che il mio indirizzo educativo miraa formare giovani costumati, laboriosi e civili.

»Sono rimasto indifferente alla sottrazione del sussidiodelle tremila lire annue, attesocché ho sempre fidato in

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quell’altissima Provvidenza che pasce gli uccelletti nel-l’aria e il verme sotto la pietra! Solo mi è rimasto un sensomisto di orrore e pietà, a constatare per quale china correl’attuale Società!...»

3. Tutti i bisognosi ricorrevano a lui

Il suo modesto patrimonio di famiglia sfumò ben presto,e i bisogni si moltiplicarono di giorno in giorno, tanto piùche i soli suoi ricoverati erano una cerchia troppo ristrettaper la sua carità.

Tutti i bisognosi ricorrevano a lui e non ne partivanomai insoddisfatti: egli dava senza calcoli e senza riserve,dava sempre, dava a tutti; e quanto meno sentiva d’avere,tanto più era largo nel dare, convinto che era proprio que-sto il segreto per attirare le divine compiacenze e comecostringere la Divina Provvidnza alla più larga liberalità.

In Messina era di moda il detto:

Chista è a casa du Patri Francia,cu veni si ssetta e mancia

Il Servo di Dio ha lasciato scritto pei suoi figliuoli: «Ri-cordino i Rogazonisti che la nostra Pia Opera è nata conquesta santa missione di dare; e quanto più diamo, tantopiù il Signore ci darà, avendo detto: unum datis et centumaccipietis, et vitam æternam possidebitis; per uno che da-rete vi sarà dato il centuplo e avrete la vita eterna. E al-trove: beatius est magis dare quam accipere; è maggiorventura il dare che il ricevere ».

Che giocondo spettacolo vederlo assiso in mezzo ai po-

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veri! Mangiare con essi, dopo aver racimolato da loro, inginocchio, per amor di Dio, un poco della loro pietanza;parlare loro affabilmente, catechizzarli, distribuire le ele-mosine, mentre il volto gli raggiava di gioia! Traeva il da-naro da un certo pentolino di metallo e diceva sorridendo:« Qui dentro gli spezzati bolliscono e si moltiplicano peri poveri...»

4. Un’accusa che fa dispiacereI principi soprannaturali erano la regola costante della

sua vita e illuminavano tutta quanta la sua attività bene-fica. Naturalmente non mancavano i critici; ma egli nonsi dava per inteso, e in una data occasione volle anche giu-tificarsi.

« Mi si accusa – egli scrive – che soccorro i poveri.Quest’accusa, in verità, mi fa dispiacere! Soccorrere i po-veri afflitti, miseri, abbandonati, morenti di fame e difreddo, storpi, ciechi, inabili al lavoro, è obbligo di ognicristiano, anche facendo degli sforzi. Gesù Cristo SignorNostro ci ha insegnato di fare agli altri quello che vor-remmo che fosse fatto a noi.

» – Ma voi non avete i mezzi per soccorrerli, avete gliorfani da provvedere.

» Io non ho mai tolto nulla ai mei orfani ricoverati persoccorere i poverelli. I mezzi li ho procurati dalla pubblicabeneficenza, ed ho constatato che una Provvidenza su-prema, innanzi alla quale il povero non vale meno delricco, non mi ha fatto mancare mai i mezzi per dare un po’di minestra e un po’ di pane ai poveri più derelitti e biso-gnosi.

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» – Ma voi soccorrete accattoni, che potrebbero lavo-rare.

» Prego i miei signori di venire qualche volta nell’oradel mezzodì al mio Istituto, e vedranno la probatica pi-scina. Vedranno vecchi decrepiti, ciechi, storpi, languentidi inedia. Assicuro che ne ho presi svenuti a terra perfame. Se poi fra tanti ve ne siano disoccupati, non c’èforse anche tra i disoccupati quelli che pur volendo lavo-rare, non trovano lavoro del loro mestiere? la società devecondannare a morte costoro? Ma la carità e l’umanità nonosano farlo, non osano negare almeno un tozzo di pane.

» – Ma noi sappiamo che taluni v’ingannano e vi ru-bano.

» Può darsi che sotto le mentite forme di estrema po-vertà si nasconda alle volte un mariuolo e mi ruba la mi-nestra e il tozzo di pane. (Gran cosa in verità!) Ma io nonposso adottare la massima: purché il reo non si salvi il giu-sto pera. Non posso, dico, per timore di dare il tozzo dipane ad un accattone finto povero, negarlo a tanti veri in-felici!

» Mi rubano! Ma, di grazia, signori, giammai loro sonostati rubati? Giammai l’umana frode e simulazione vi hatratto quattrini dalla tasca o dalla cassaforte, nonostante lavostra vigilanza ed oculatezza?Ah! che forse vi sto toc-cando un tasto ben doloroso e vi sto risvegliando memoriefuneste!...

» Prego dunque che non mi si critichi con tanta facilità,se mentre distribuisco un soccorso a tanti poveri afflitticapita nella mischia un accattone, il quale alla fine è dop-piamente infelice! Sì! la società non si curò di lui quandoera un discolo, un accattoncello; egli fu abbandonato a sé

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stesso, si diede a mala vita: oggi la società lo condanneràa morte? Almeno nell’alito celeste della carità potrà eglitrovare un’aura di pace, che lo riconduca a miglior consi-glio ».

5. I debiti e i creditoriCon questa larghezza di cuore e di mano del Servo di

Dio, era naturale che i debiti si accumulassero, con unaconseguente seria tribolazione: le pressanti continue ri-chieste dei creditori, che arrivavano a volte a ingurie, in-sulti, minacce.

Il Prof. Gazzarra fu presente un giorno ad una scena di-sgustosa che poteva diventare tragica, ma che fortunata-mente ebbe epilogo felice. Un creditore si presentò allaporta fermamente deciso ad esser soddisfatto o a fare qual-che sproposito... Il Servo di Dio calmo cercava di rabbo-nirlo; ma l’altro era intestato più che mai... La provvidenzaintervenne a tempo opportuno: arriva in sul momento unabusta anonima, che salda il debito con discreto marginepei bisogni della casa.

Altra volta, certo Sig. Presente, stanco di attendere ilpagamento del pane fornito agli orfani, spiccò contro ilServo di Dio la citazione. In pretura il magistrato domandòal Servo di Dio se avesse l’avvocato. Egli trasse di tasccauna figura di San Giuseppe « Ecco il mio avvocato... ri-conosco il mio debito e voglio pagare e lo farò sicura-mente appena la Provvvidenza mi manderà il danaro ».

A questo punto il Sig. Presente si fa ... presente a prote-stare: « Sempre così, fiducia in San Giuseppe, debbo pa-gare, pagherò, aspettiamo la Provvidenza... Ad ogni modo,

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aspettiamo ancora e per oggi non se ne parli...» E così finìl’udienza.

6. La Provvidenza interveniva sempreIn verità, se la provvidenza Divina metteva il suo servo

fedele nella difficoltà per esercizio di fede ed accresci-mento di meriti, non mancava di intervenire a tempo op-portuno, per vie che avevao del misterioso: quando tuttosembrava perduto, all’ultimo momento una risorsa ina-spettata cambiava la posizione! Non è successo una solavolta che all’ora del pranzo o della cena, a tavole non sitrovasse nulla: il Servo di Dio raccoglieva intorno a sé isuoi piccoli, li metteva in preghiera o più sovente li met-teva dinanzi al tabernacolo o alla Madonna e la Provvi-denza arrivava infallibilmente.

Un episodio di sapore evangelico>In uno dei non infrequenti giorni di secca, gli orfani

erano andati a refettorio mentre le tavole erano nude.Entrò il Padre: – Figliuoli, preghiamo e il Signore non cifarà mancare il necessario. – Finita appena la preghiera,ecco arrivare alla porta, con una cesta di pane, un grossotonno, che servì abbondantemente pel pranzo. Era statopescato quella mattina, eccezzionalmente, nelle acque diMilazzo, e ignoti benefattori pensarono che potesse beneservire agli orfanelli.

In altra occasione le Suore lamentano che le bambinedifettano assolutamente di biancheria. E il Padre: « Fate-gliela chiedere alla Madonna!»

Le bimbe pregano e la Madonna ascolta: ecco alla portaun carro di roba, inviato inaspettatamente da una caritate-

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vole signora: lenzuola, camicie, tela più un letto in ferro equattro materassi. Mentre in casa si è affacendati a siste-mare quella provvidenza, sopraggiunge una nuova graziadi Dio: da parte di ignota persona un buona quantità dipasta...

Una sera i giovani addetti alla cucina vanno dal Padrea dirgli che in casa non c’è neppure una goccia di olio percondire l’insalata.

E il Padre: – Avete guardato bene?– Benissimo; e il recipiente è asciutto asciutto...– Tornate a guardare meglio.Si diressero alla dispensa sfiduciati, avevano aperto

tanto di occhi e l’orciuolo era lì, che cantava...Frattanto il Padre, giunte le mani, alzava gli occhi al

cielo in atto di preghiera... Ed ecco che i giovani tornaronofestosi: – Padre, olio ce n’è, ce n’è abbastanza...

Altra volta furono richieste al Padre di urgenza lire 78,per non so quale indilazionabile bisogno della casa, IlPadre si trovava col P. Vitale e il Can. Celona; solo il P.Vitale rovistando per le tasche racimolò pochi soldi: intutto due lire.

– Fate entrare i ragazzi in Chiesa – ingiunse il Servo diDio.

Egli indossò cotta e stola, aprì il Tabernacolo e comin-ciò la recita i alcuni Pater noster. Finite le preghiere sisentì suonare alla porta. Era il fattorino postale con unplico urgente raccomandato. Come il Servo di Dio lo ebbein mano, si fece dare le due lire dal P. Vitale per passare lamancia al fattorino, il quale protestava di non volerle, eche comunque erano troppe, specialmente per il Padre DiFrancia che aveva tanta gente da mantenere. Ma il Servo

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di Dio si mostrava sempre generoso: insistette e quello do-vette accettare.

Si apre il plico: un paio di orecchini d’oro e una busta;più un biglietto che specificava: gli orecchini li attacche-rete alla statua di S. Antonio; i soldi – nella busta c’eranoquattro monete d’oro da L. 20 ciascuna – serviranno per ibisogni degli orfanelli. Così S. Antonio mandava le L. 78occorrenti, più la mancia per il fattorino.

Abbiamo nominato S. Antonio, e aggiungiamo subitoche la soluzione definitiva del problema economico del-l’Opera del Servo di Dio, se l’assunse il glorioso S. Anto-nio di Padova.

7. La prima conoscenza con S. AntonioDiciamo anzitutto come il Servo di Dio si rivolse per la

prima volta a S. Antonio.Questo Santo non godeva particolare culto nella sua fa-

miglia. Dopo S. Giuseppe, veniva S. Francesco di Paola, dicui portavano il nome il papà e il fratello del Servo di Dio:U Santu Patri, come dicevano gli autentici messinesi di untempo, che non potevano dimenticare il miracoloso apprododel Santo al Ringo, traghettando sul suo lacero mantello.

Non ricordo se ai primi tempi del chiericato o del sacer-dozio, il Padre perdette una fibbia d’argento delle suescarpe, immancabile completamento della veste talare inquel tempo, almeno nel meridione. Gli fu suggerito di ri-volgersi a S. Antonio per ritrovarla, ed egli indirizzò pre-ghiere al Santo per alcuni giorni; ma la fibbia non tornava...Finalmente si decise di andare da un orefice per una fibbianuova.

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L’orefice gli disse subito: « Ecco la sua fibbia: l’hannotrovata per la strada e l’hanno portata a me chi sa si presen-tasse il padrone! »

Così S. Antonio e il Padre fecero la loro prima cono-scenza!

In seguito S. Antonio entrò nell’opera da particolare pa-trono.

8. Il colera del 1887Nel settembre-ottobre del 1887 il colera fece strage in

Messina.Tra gli orfani del P. Francia una sola vittima: Sarino, un

angioletto di cinque anni, vivace, intelligente, che sapevabene le preghierine e le ripeteva nella malattia: morì reci-tando l’Avemaria! Tra le femminucce, Rosa Di Blasi, undi-cenne, ridotta allo stato algido, si rianimò e superò la crisisubito dopo che il Servo di Dio le ebbe amministrato l’OlioSanto.

Forse vittima del morbo sarebbe stato lo stesso Servodi Dio, che ne fu attaccato, ma se ne liberò ben presto esenza strascichi: una vecchietta aveva offerta la sua vitaper lui, e, presa dal colera, ne era morta.

In quella occasione nacque la devozione del Pane di S.Antonio per gli orfanelli del P. Di Francia. E fu così.

Susanna Consiglio, vedova Miceli, infierendo il colera,promise che, se S. Antonio l’avesse risparmiata insiemecoi suoi, avrebbe dato lire sessanta agli orfanelli del P.Francia, per comprarne pane ad onore di S. Antonio.

La grazia fu ottenuta, e la signora mantenne la pro-messa, inviando la sua offerta a mezzo del suo domestico,

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il giovane Letterio Currò. La signora prese a rinnovare lapromessa di frequente, ad ogni bisogno di grazie, che S. An-tonio non mancava di accordarle per le preghiere dei suoiorfanelli.

La devozione del Pane di S. Antonio pei poveri, svilup-patasi dalla Francia per opera di Teresa Bouffier, da Tolone,ebbe inizio nel 1890, tre anni dopo che a Messina.

9. Gli Orfanotrofi AntonianiIl Servo di Dio mise allora sotto la protezione di S. An-

tonio i suoi orfani, che volle chiamarli orfanelli antoniani eorfanotrofi antoniani i suoi istituti di beneficenza (1).

Su una parete del piccolo oratorio fu esposta una modestaoleografia del Santo, innanzi alla quale si accendevano lecandele e gli orfani levavano le mani in preghiera. Si iniziòcosì il culto a S. Antonio, che doveva poi avere grandissimosviluppo nel tempio maestoso della Rogazione Evangelica,Santuario S. Antonio.

(1) Non è per nulla documentato l’artificioso colloquio del nostro Padrecol Servo di Dio P. Gioacchino La Lomìa, Cappuccino (1831-1905), che,secondo Il P. Da Porretta (Vita popolare del Can. A.M. Di Francia, pag.50 ss) sarebbe avvenuto nella chiesa dello Spirito Santo e al quale rimon-terebbe l’origine della devozione di S. Antonio nelle opere del Di Francia.

La visita del P. La Lomìa ad Avignone avvenne nei primi anni subitodopo il suo ritorno dalle missioni (1880), quando le Opere erano al primoinizio e nulla si prevedeva né della chiesa dello Spirito Santo né della de-vozione a S. Antonio. Il nostro Servo di Dio, parlando del P. Gioacchino,ne lodava le virtù, specialmente la semplicità con la quale raccontava fattiprodigiosi operati dal Signore per suo mezzo; ma non ebbe mai nessunaccenno a quanto si potesse riferire alla devozione a S. Antonio. Egli in-vece diceva spesso che era stato incoraggiato in questa propaganda, esempre dopo il fatto della Miceli, dal P. Bernardo di Portosalvo, Frate mi-nore, suo confessore.

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Si cominciò la propaganda nelle chiese per le varie dio-cesi della Sicilia, con le cassette del Pane di S. Antonioper gli orfanelli del Can. A. M. Di Francia, con quadroesplicativo, che illustrava lo scopo dell’istituto e la naturadella devozione, che deve servire al rinnovamento dei co-stumi e al rifiorimento della vita cristiana, e non limitarsial conseguimento di un favore materiale da parte delSanto.

«Il fine di chi aspetta grazie da S. Antonio di Padova –scriveva il Servo di Dio – dev’essere il vero bene spiri-tuale di sé e dei suoi, in ordine alla vita eterna, altrimentiogni devozione degenera in superstizione». E ancora: « Iltutto deve intendersi in senso cattolico e non nel senso su-perstizioso e simoniaco. Cioè le grazie del Santo non sicomprano col denaro ma si ottengono con la fede e con lacarità: la fede pura e retta in Dio e nei suoi Santi, e la caritàdel soccorso agli orfanelli e ai poverelli per amore di Gesùe del suo S. Antonio ».

Seguì Il segreto miracoloso, un opusoletto le cui edi-zioni si andarono moltiplicando ogni anno, e nel 1908ebbe vita il Dio e il Prossimo, periodico mensile, che inuna veste abbastanza modesta, con una tiratura che inbrevi anni dandò a superare le 700.00 copie, diffondeva ilnome del P. Di Francia e dei suoi Istituti nei cinque con-tinenti.

Il Dio e il Prossimo, organo degli Orfanotrofi Anto-niani, durò fino al 1942; dopo la guerra, ogni orfanotrofioha creato la propria edizione de l’Araldo di S. Antonio.

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1. Un tantino di vena del ParnasoDalla Tipografia Antoniana dell’Orfanotrofio Maschile

di Oria fu edito nel 1921 un volume dal titolo Fede e Poesia,in cui vennero raccolti una buona parte dei versi del Servodi Dio.

Abbiamo accennato fin dalle prime pagine al suo talentopoetico; qui ne parliamo ora di proposito.

La poesia egli la respirò in famiglia. « Fin dall’età di noveanni – scrive – cominciai a scribacchiare dei versi. Miopadre, che io non conobbi, perché morendo mi lasciò didue anni, era un buon poeta, studioso dei classici nostri, escrisse e pubblicò versi in questo stile. Mia madre avevapur essa un po’ di gusto poetico. Non poteva quindi avve-nire che io, e altri due miei fratelli, non avessimo un tan-tino della vena del Parnaso ».

Il suo gusto naturale affinò e ridusse a castigatezza diforma, anche questo abbiamo detto, alla scuola di FeliceBisazza, che ai suoi tempi godette larga fama di poeta fa-cile ed elegate, oggi ridimensionata dalla critica preten-

CAPITOLO XIII

« FEDE E POESIA »

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ziosa. Per il Di Francia però egli resta un poeta « da stareaccanto ai più grandi geni della moderna poesia». Mo-derna, nota vivacemente, non contemporanea, che ci hadato il libertinaggio anche in poesia! « Libertà in tutto! li-bertà di religione, libertà di culto, libertà di stampa, libertàdi pensiero, libertà di verseggiamento! Perché stare a sil-labe, ad accenti, a rime, ad armonia imitativa? Sarebbestata una schiavitù del libero pensiero!... » E secondo icanoni della poesia contemporanea il Padre Di Francianon può essere poeta.

2. « Ho scritto... perché ne sentivo l’estro »Egli concepiva la poesia come la concepiva il Bisazza;

ma non intende per questo paragonarsi a lui « Conosco lamia limitatezza, e mi sento di più rimpicciolire e quasi spa-risco a me stesso solo se nomino tanti e tanti poeti antichi emoderni di cui abbonda l’Italia nostra, terra di fiori, di carmie di poesia, incanto della natura, sorriso della creazione diDio! »

« Ho scritto – egli nota – parecchi componimenti inpoesia da giovanetto, perché ne sentivo l’estro e ancor piùquell’intimo e indefinito sentimento del bello, del puro edolce amore di tutto ciò che è buono e santo. Avviene checiò che si sente con un po’ di poesia, si ama di estrinsecaloin quelle forme poetiche che rispecchiano l’interno senti-mento.

« Ma sono stato così lontano dal credermi veramenteun poeta, un letterato, che quasi tutti i miei componimentifurono da me abbandonati e dispersi. L’essermi modesta-mente poi dedicato alle opere di benficenza per gli orfani

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derelitti e pei poveri, mi tolse non poco tempo agli studiletterari».

Comunque è certo che egli trasse da natura animo no-bile e delicato, cuore oltremodo sensibile ed affettuoso,fantasia eccitabile e creatrice, sentimento intimo e gentile,che gli fluiva limpido e facilissimo, ricco di immagini spe-ciose e vaghe. E cosa si vuole, dopo questo, per avere ilpoeta?

Il volume Fede e Poesia è venuto fuori non certo perinteressamento dell’autore, che così invece ne palesa l’ori-gine: « Anni or sono, i bravi giovani del mio Istituto, conogni diligenza si misero alla ricerca dei miei poveri scritti,li radunarono e mi fecero istanza perch’io loro accordassilicenza di stamparli. Non volli negarmi, dopo che contanto affetto si erano accinti alla poetica impresa ».

3. Il suo programma

Nel 1869, pubblicando un opuscolo: Primi versi di An-nibale Di Francia da Messina, chiude la prefazione conil programma che deve illuminare l’opera del poeta: « Isuoi ritmi saranno la grandezza della sua patria e le gloriedel suo Dio! ».Le glorie del suo Dio! Ecco la sintesi di tutta l’opera

poetica del Di Francia e il programma cui tenne fede co-stantemente per tutta la vita: sempre Dio è il tema del suocanto: Dio nel SS. Sacramento, Dio nella sua SS. Madre,Dio nei suoi Santi, Dio nella sua Chiesa.

È ovvio che non tutti i componimenti hanno uguale va-lore. Impeto lirico, forma scelta, sodezza di pensiero, ge-

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nialità di concezione non possono accompagnarlo semprené sostenerlo costantemente sulle altezze.

Si aggiunga che l’autore – come abbiamo inteso da luistesso – non è letterato di professione e nella sua laboriosaesistenza, ebbe, direbbe il Papini, « molto meglio da fare,che mettere insieme canti di versi rimati ». Gli toccavacorrere qua e là, dove lo richiedevano i molteplici bisognidelle sua case di benefienza e i versi erano quasi semprescritti in mezzo ai più gravi affari, taluni anche nei viaggi,sui treni. Un buon numero sono destinati ad esser cantatidai devoti di Santi e Sante, per la loro festa, e scritti perciò« con stile abbastanza popolare e dimesso e in corrispon-denza sempre di relative preghiere ».

Non mancano però componimenti « che conservanouna forma ed uno stile non andante e popolare, ma piutto-sto elevato e poetico, per quanto la mia limitata capacitào il mio piccolo genio hanno potuto ». Vanno tra questi leottave alla Madonna di Lourdes, le reminiscenze romane,i versi sciolti in morte di Carolina Taccone Gallucci e diSanti Nicola Proto, il polimetro in morte del Cav, Jaculanoe alcuni altri.

4. Gl’inni del 1° luglioDopo la morte del Servo di Dio furono pubblicati Gl’Inni

del 1° luglio, che celebrano la grande festa eucaristicadell’Opera: il ritorno di Gesù Sacramentato. Della festa di-remo in seguito, qui diciamo che un numero del programmaportava un inno nuovo a Gesù e uno alla Madonna relativoai titoli, da cantarsi in chiesa dalle comunità.

«Notamo subito che tutti i componimenti sono stati scritti

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senza nessuna preoccupazione letteraria: non era il caso perquel popolo di bimbi e di poveri che... non cercavano la let-teratura; ma c’è tutto il cuore del Padre che trabocca e pigliaoccasione dal ritorno di Gesù Sacramentato per rinnovare aLui la protesta dell’amore e della fedeltà costante.

Ordinariamente perciò gli inni hanno tre parti, delle qualila seconda ha carattere generale, cioè sviluppa e decanta leglorie del nuovo titolo, mentre la prima e la terza riflettonola natura e le circostanze speciali dell’Opera, nata in mezzoagli stenti, ricca d’immensa fiducia in Dio, nobilitata comeda un blasone di onore sovrumano da quella grande paroladi Gesù: rogate ergo Dominum messis, ut mittat operariosin messem suam; parola e comando divino che viene richia-mato e ripetuto in mille modi, come quello che formava lagrande ansia del cuore apostolico del Fondatore, che nel ro-gate riconosceva il segreto della salvezza delle anime e ditutto il mondo.

« Gl’inni generalmente si aprono con un grido di gioiaper il felice ritorno del Signore, o con accesa invocazione aLui, ardente sospiro dell’Opera, che lo implora con gemitinell’amarezza del suo temporaneo allontanamento.

» Nell’ultima parte è il ricordo del mistero eucaristico:Gesù nell’eucarestia ci richiama al sacerdozio, che questaEucarestia genera, custodisce e distribuisce alle anime, lequali tutte sentono nell’Eucarestia gli effetti salutari delnuovo titolo, ma in modo specialissimo li sente e li gustal’Opera, che mette la sua gloria nel vivere e consumarsi at-torno al tabernacolo. E questi concetti tante volte ripetutisono resi sempre con parole nuove, con accenti infocati, vi-branti di sacro entusiamo e di celestiale fervore.

» Anche la SS. Vergine e i vari Santi nostri patroni sono

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considerati negli inni sotto questa luce: la celeste protezioneda essi spiegata principalmente a favore dell’opera nelle suefortunose vicende ». (DI FRANCIA, Gl’inni del 1° luglio, pag.18).

5. Qualche saggioIl Servo di Dio raduna tutti i suoi figli attorno al trono

eucaristico di Gesù degnissimo d’infinite lodi:Pargoletti strappati all’oblioD’una sorte infelice al periglio,Orfanelle creature di Dio,Caste vergini sacre al Signor;E voi tutti dall’umido ciglio,Poverelli nel duro abbandono,Tutti e tutte prostrati al suo trono,Lodiamo Gesù redentor.

Viene Gesù, divin edificatore:Ritorna! ritorna! levate le gridaDi gioia erompenti dai fervidi petti;La piccola aiuola si aderga e sorrisa,Un giorno di festa pei figli spuntò.Il Dio degli altari, l’Amor degli eletti,Dai cieli ridenti di eternozaffiro,Dagli astri fulgenti che danzano in giro,Edificatore divino tornò.

Ecco, si avanza il Divino Imperatore:Oh, qual suono d’arpe angeliche,Quale scoppio d’armonieDegli spazi interminabiliTutti invade e campi e vie!

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È un librarsi ad alto volo,In un mare di splendore,Con un grido, un grido soloViva il Divo Imperatore!

Quale intima pena l’assenza di Gesù scramentato nellachiesetta muta e deserta!

Pianger parea la squallidaChiesetta disadornaL’aperto tabernacoloParea dicesse, torna!Torna! parea gemesseroGli spenti candelabri,Sugl’innocenti labbriTacea l’inno fedel.

Ecco il programma del’Opera: il Rogate:Salve, o Gesù, tra i ruderiUn arbsoscel germogla,Del tuo Rogate il palpitoGli vibra in ogni fogliaE prega... oh, Dio! lo prospera Col suo, col tuo rogar!

La gloria dell’Opera: immergersi nel Cuore divino, for-nace sempre ardente di eterna carità:

E tu, piccola ignota favillaErrabonda, dei turbini giuocoVa, t’immergi in quel Cuor che scintillaNelle fiamme di sua carità.Quivi tutta perduta in quel fuoco,Arderai nelle ebbrezze di amore,Consumarti lì dentro quel CuoreLa tua gloria più bella sarà.

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Il Di Francia riguardava la sua produzione poetica sacraalla luce dell’apostolato, e scriveva che « queste cosucce,perché dirette al sacro culto e all’onore dei Santi del Si-gnore, mi saranno di maggior profitto pel bene della poveraanima mia, e qualche volta mi parranno più belle di tantealtre, tinte della mia vanagloria! »

Noi riteniamo invece che queste cosucce potranno meri-tare all’autore il suo bravo posto tra i poeti sacri popolaridella nostra letteratura.

6. Poesia in prosaUsava poi il Servo di Dio anche la poesia in prosa. In ta-

lune circostanze scriveva dei componimenti che intitolavaSalmi, in prosa, ma l’onda della poesia vi urgeva rapida efremente, da incatenare lo spirito e rapirlo alla contemppla-zione.

Per il 3° centenario di S. Luigi (1891 pubblicò Giglio edAngelo, che La Madre Cattolica di Brescia, riportandolo perintero, definiva «Mirabile cantico troppo bello e troppo al-tamente ispirato... e noi lo diciamo cantico perché, sebbenedetto in prosa, è tutto poesa, e della più divinamente ispirata,tanto che a noi sembra non abbia nulla da invidiare ai Can-tici di Salomone ».

Di tali composizioni ce ne restano una dozzina: una perle nozze sacerdotali di S. Pio X, un’altra per le nozze d’ar-gento episcopali del Venerabile Dusmet, arcivescovo di Ca-tania; parecchie dedicate alla Madonna.

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7. Sine labe!A titolo di saggio riportiamo un salmo alla Immacolata:

« Un fremito di gioia scorre sulle cime dell’Hermon, del-l’Amana e del Carmelo, e gli alti cedri del Libano si com-mossero per l’esultanza...

» E Dio disse ai suoi Angeli: Andate, raccogliete il ver-miglio delle rose, il bruno della viola, il bianco dei gelso-mini, il candore delle camelie, quando sono aspersi dallarugiada del mattino;

» E raccoglietemi l’effluvio di tutti i fiori, il profumo delcinnamomo, dell’aloè e di tuttti gli aromi, che distillanodalla scorza degli alberi.

» Disse il Signore ai suoi Angeli: Portatemi l’azzurro deimari quando non sono agitati dalla tempesta e l’azzurro deicieli, che sono distesi come una fascia nello spazio;

» E i raggi del sole, quando nella primavera risplendenella valle di Betsaida, e la luce tremula delle stelle che bril-lano nel firmamento, e lo splendore inargentato della luna,quando si specchia nelle peschiere di Hèsebon.

» E gli Angeli del Signore scesero a volo sulla terra, eraccolsero il vermiglio della rosa, il bruno della violetta, ilbianco del gelsomino, il candore della camelia, l’effluvio ditutti i fiori e di tutti gli aromi, che distillano dalla scorzadegli alberi.

» E raccolsero l’azzurro dei mari e dei cieli, e i raggi delsole e la luce delle stelle e lo splendore della luna, che sispecchia nelle peschiere d Hèsebon.

» E passarono a volo sulla terra, per ritornare al cospettodell’Altissimo e videro i figli del peccato, che giacevanotremanti e aspersi di lacrime, fuori dall’Eden, dov’eranonati, e li consolarono.

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» E l’Altissimo si compiacque e formò la bellezza di tuttele bellezze, un profumo di tutti i profumi, uno splndore ditutti gli splendori.

» Per questo la Donna fu fatta Immacolata ed Ella uscìdalla mente di Dio come la stella mattutina, che sorge dal-l’oriente: perciò fu chiamata Maria, che significa luce.

» E la bendizione dell’Altissimo le penetrò per tuttal’anima,e il fuoco dello Spirito Santo le investì tutto il cuoree la ricolmò di tutte le grazie.

» Ella scese dai firmamenti e si affacciò all’orizzonte: ei cieli si piegarono sotto i suoi piedi e le stelle tremarono diesultanza e gli Angeli del Signore raccolsero i lembi dellasua veste; gli zeffiri poi ventilarono le sue chiome.

» Rumore grande di procelle, strepito di mille guerrieriche si combattono con lancia e usbergo e si cozzano con gliscudi sui campi di Amalec.

» Satana leva urli di rabbia; egli spalanca le sue faucicome le bocche dell’Etna, quando rumoreggia a guisa dituono e manda in alto le sue fiamme.

» E i suoi occhi lampeggiano come l’etere della nottenera, e artigli adunchi di avvoltoio, che strazia il cuore dellasua preda.

» Imperocché dalle sue zanne gronda il sangue delle vit-time, e il suo ventre è tutto pieno della carne del peccato, ecol giro della sua coda ha divelto persino gli astri del firma-mento.

» Levate, o figliuoli della terra, levate le mani ai firma-menti e intonate un cantico di allegrezza.

» Cingete di fortezza i vostri lombi e i vostri piedi sianosempre nella danza come i piedi di un giovane capriolo.

» Imperocché cose grandi fa l’Altissimo: Egli è che ab-

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batte i potenti e disperde gli eserciti come un pugno diarena, che il pellegrino strapazza col suo piede; Egli è checonquassa il capo di Satana.

» La Donna ha conquassato il capo di Satana; la Vergineha infranto la cervice del dragone; la Immacolata ha trituratola cresta del gran serpente.

» Ella è passata vittoriosa: per questo fremito di gioiascorre per le vette dell’Hermon, dell’Amana e del Carmeloe i cedri del Libno si commuovano per esultanza.

» Per questo è salutata Regina dell’universo, e le genera-zioni si consolano e la natura che non ha spirito e vita, equella che ha spirito e vita esclamano: lode eterna all’Altis-simo, che fa cose mirabili; lode eterna alla Donna sine labe.

Questa poesia in prosa ci sembra uno splendido com-mento alla inarrivabile terzina dantesca:

In te misericordia, in te pietateIn te magnificacenza, in te s’aduna, Quantunque in creatura è di bontade.

(Par. 33, 19-21)

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1. Lo spirito di fedeIl venerando Vescovo di Oria, Mons. Antonio Di Tom-

maso, additando un giorn il Servo di Dio ad un suo sacer-dote, diceva: Quell’uomo vuol essere a forza santo! Evoleva significare l’impegno e la costanza con la quale egliperseguiva l’opera della sua santificazione.

Per lui la santificazione non era altro che crescere giornoper giorno nell’amore di Dio e nello spirito di totale immo-lazione per lui, a servizio del prossimo. Propose: «Tenderócon tutte le mie forze a distruggere in me l’uomo vecchio,a mortificare in tutto i miei cattivi abiti e vestirmi dell’uomonuovo secondo Gesù Cristo ».

Gli eredi dei proprietari del Quartiere Avignone gli mos-sero causa perché non ritenevano legittimo l’acquisto dalui fatto. Il caso preoccupava e l’Istituto correva il pericolodi grave danno finanziario. Il P. Di francia fece quello chedoveva da parte sua e lavoró attivamente a preparare congli avvocati la difesa. Nominó pure una corte celeste, for-mata di Angeli e Santi pei quali stabilì un turno di pratichedevote e chiese anche il contributo di preghiere di nume-

CAPITOLO XIV

LA SUA VITA INTERIORE

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rose comunità da lui soccorse. Ma poi si rimise tranquil-lamente nelle mani di Dio. La causa, vinta in tribunale ein appello, si perdette in cassazione. Come ne ebbi notiziane informai il Servo di Dio: – Pare, abbiamo perduto lacausa! – Egli non fece gesto alcuno di sorpresa o meravi-glia. Si limitò a rilevare: – Eh, figlio mio, Dio vince sem-pre, vince sempre!– e come se nulla fosse, prese a parlaredel prossimo pellegrinaggio che in quei giorni le nostreComunità dovevano fare in Cattedrale, per la Madonnadella Lettera, nella quale occasione tenne la predica.

La causa si vinse poi definitivamente alla nuova Cortedi Appello di Palermo.

2. « Anzitutto obbedienza alla S. Madre Chiesa! »Piena ed incondizionata la sua sottomissione alla Chiesa.Scriveva al P. Vitale: « Agire con le regole della S. Chiesa

scrupolosamente, è indovinare sempre, come chi si regolacon la santa obbedienza! Anzitutto obbedienza alla S. MadreChiesa ».

Saputosi sospettato di propendere per la falsa dottrina,della teosofia, in una lettera alla Sig.ra Zùccaro protestaenergicamente « che ciò non è stato mai. Se io per un mo-mento solo avessi ammesso tale erronea e falsa dottrina,avrei rinnegato la mia santa fede cattolica, mi sarei oppostoa tutti gli insgnamenti della S. Chiesa... La falsa ed erroneae fantastica dottrina della teosofia è una delle tante eresie,che sono apparse nel mondo... uno dei tanti delirii dellamente umana... bruci codesti volumi, parto di menti squili-brate e lontane da Dio e dalla verità; stia ferma a ciò che laS. Chiesa insegna ».

Leggiamo nell’autoelogio: «Amò la S. Chiesa, si umiliava

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con grande amore innanzi al Sommo Pontefice, si doleva deiprogressi del male e si compiaceva di quelli del bene ».

La sua devozione al Papa era senza misura. « Riguarderòsempre il Papa, fino all’ultimo respiro della mia vita, comela persona stessa di Nostro Signore Gesù Cristo e con lostesso amore l’amerò e gli obbedirò. Tutti gli interessi delSommo Pontefice saranno interessi vivissimi del miocuore... I dolori e le pene del Sommo Pontefice, sarannopene e dolori miei... nelle mie meschine prghiere, il mioprimo oggetto sarà il Sommo Pontefice e tutte le di lui santeintenzioni ». Prescrive ai Rogazionisti: « Nella predica-zione, nell’insegnamento della dottrina cristiana, molto piùnell’educazione dei propri giovani, si metterà ogni cura diispirare amore, riverenza, obbedienza e culto al SommoPontefce. A tal fine si faranno istruzioni popolari sulla dot-trina De Romano Pontifice, specie sulla infallibilità, e gio-verà ricordare fatti gloriosi della Storia Ecclesiastica relativia Sommi Pontefici ».

Soffriva immensamente di ogni offesa al S. Padre.A Perugia era rimasto dolorosamente colpito da un mo-

numento che sonava insulto perenne al Papa: il grifo – em-blema della città – che straccia la tiara! Al nostro P. Santoro,che si recava ad ascoltare il P. Gavotti, del Centro della Mo-ralità, sceso in Messina per un ciclo di conferenze, egli rac-comandò vivamente di dire al detto Padre di adoperarsi intutti i modi per far cessare quello sconcio (1).

Il suo amore al Papa aveva delle espressioni oltremodofiliali.

Quando Benedetto XV prescrisse tre digiuni per la ces-

(1) Il monumento ricorda la rivoluzone del 1859, largamente sfruttatadalla polemica anticlericale sotto il nome di Stragi di Perugia. Lo sconciodeprecato risulta soppresso da tempo.

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sazione della guerra, dichiarando che egli il primo ne avrebedato l’esempio, il Servo di Dio lo pregò di dispensarsi datale mortificazione, che sarebe stata fatta volentieri da lui edalle sue comunità.

Varie volte gli mandò un bel cesto di mandarini del nostrogiardino di Oria.

Lo aveva santamente impressionato una figurina di Gesùai tribunali, con le parole evangeliche: Jesus autem tacebat!A scopo di propaganda ne fece fare una ristampa, moltosemplice in nero su carta patinata e ne mandò un pacchettoal Papa, pensando che essa « non poteva non riuscire graditaalla profonda pietà del S. Padre ».

Nel 1919 la rivoluzione metteva a soqquadro l’Italia. IlServo di Dio scriveva alla Madre Nazzarena: « I tempi strin-gono terribilmente. Altro che guerra! Il socialismo, l’anar-chia, cominciano a dominare! Il governo è impotente areprimere: non si sa dove andremo a finire ». Egli si preoc-cupa del Case, ma pensa al Papa: « Non dobbiamo dimen-ticare il Sommo Pontefice, il Santo nostro Padre BenedettoXV! Dio non voglia che si assalti il Vaticano... pare che daciò siamo ancora lontani, ma il pericolo c’è... Preghiamoper il S. Padre e facciamo l’offerta della nostra vita perquella del Sommo Pontefice! »

3. I voti della fiduciaIllimitata la sua fiducia nel Signore e vi si era obbligato

con triplice voto; 1) non diffidare mai della bontà e miseri-cordia di Dio in riguardo dei suoi peccati, certo che tutti glisono e saranno perdonati, purché egli sempre ricorra a Luicon pentimento vero e sincero; 2) in mezzo alle miserie, ri-strettezze e persecuzioni in cui si dibatte la sua Istituzione,

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si obbliga a non diffidare mai dell’amore dei Cuori SS. diGesù e di Maria, che lo libereranno da ogni male, ancheoperando prodigi di misericordia e di amore; 3) appoggiatoalle promesse di Gesù, egli s’impegna con voto a crederenell’efficacia della preghiera, che sempre sarà esaudita, pur-ché fatta con retta intenzione, umiltà, fervore, perseveranzae unione all’adorabile volontà di Dio.

4. Spirito di preghieraEcco il suo insegnameno: « La vita interiore, l’unione

con Dio, lo zelo, la carità, la sete delle anime offrono unagrande arma all’uomo di Dio, con cui egli opera cose grandiper il Signore e per le anime, non tanto con le sue personalifatiche, con nuovi sacrifici personali, con l’oro, con l’inge-gno, quanto per un invisibile, o meglio per un visibile con-corso della divina potenza. Quest’arma con cui tutto sivince, questa chiave d’oro, che apre i tesori della divina gra-zia, è la preghiera. Un Servo di Dio, che io intesi predicareuna volta, diceva una frase scultorea indimenticabile: –Dioè onnipotente, ma la preghiera è onnipotentissima ». (1)

(1) Si riferisce al P. Cusmano e alla sua visita alle Casette di Avignonenel maggio 1885. Scrive: « Non dimenticherò mai quel suo ferventissimodiscorso. L’argomento fu: la preghiera umile e fervorosa come fattricedelle opere che s’intraprendono per la gloria di Dio e il bene delle anime.Ci metteva tutto l’animo innanzi a Dio, per cui la preghiera penetra i cieli:pareva che egli stesso si annichilisse innanzi all’Altissimo, o meglio, cheriproducesse quella profonda intima umiltà e perfetta amorosa fiducia,con cui egli aveva già preso l’abito di annichilirsi nel sentimento del pro-prio nula al divino cospetto, e di lanciare il suo cuore al Sommo BeneGesù con quel fervore, col quale tante grzie aveva strappato al Cuore ado-rabile del Divin Redentore. La conclusione del suo discorso fu sublime!

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Il Rogazionista « deve fondare la speranza del suo veroincremento sullo spirito di preghiera. Se si userà bene il granmezzo della preghiera, ogni cosa andrà bene, ma se vienemeno la preghiera, sarà disseccata la sorgente delle graziee tutto perirà. Quod Deus avertat! »

La santità è legata alla preghiera: « I santi sono stati sa-pientissimi a servirsi di questo gran mezzo, non solo per sal-varsi, ma per crescere in ogni più eroica virtù per vincere eabbattere ogni loro disordinata passione, per vincere ognidifficoltà per superare tutto l’inferno, per santificare e sal-vare innumerevoli anime ed operare strepitosi prodigi. Mi-sero la loro fatica, la loro opera, i loro sacrifici di ognimaniera; ma né le fatiche, né le opere, né i sacrificici avreb-bero avuto valore senza la preghiera fervorosa ed inces-sante».

La vita del Servo di Dio era tutta una preghiera, anzi egliviveva di preghiera. A raccogliere le preghiere da lui scritteper le più svariate circostanze, se ne avranno dei volumi:domanda a N. S. e alla SS. Vergine, agli Angeli e Santi suoipatroni l’avanzamento nelle virtù, l’accrescimento di amoredivino, e non esita, con infantile semplicità a scendere aiparticolari bisogni della giornata: oggi mi occorre tanto,pensateci Voi; oggi siamo senza pane, provvedeteeci; quelcreditore si è mostrato tanto buono con noi, egli ha bisognoe noi non possiamo pagare, ci rimettiamo a Voi...

Egli disse: – Se Iddio è onnipotente, la preghiera così fatta è onnipoten-tissma –. Questa espressine mi colpì, m’istruì, mi rianimò. Sono passati38 anni da quel giorno e quella predica l’ho presente come se fosse di ieri.A volte accompagnava il suo dire, quando parlava degli effetti di cosifattapreghiera, con un sorriso che aveva qualche cosa di dolce e direi quasi diceleste. Terminata lui la S. Messa, mi accinsi a celebrarla, ed egli mi aiu-tava a vestire gli abiti; e siccome io volevo schermirmi, mi disse: « cuiservire regnare est... » (Relazione del 1923).

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Non cessa di domandare lo spirito di preghiera: « CaroGesù Maestro divino, Voi che avete ordinato la preghieracome mezzo necessario alla salvezza, datecene lo spirito.Datemi uno spirito di dolcezza e di mansuetudine in tutte lecose, lo spirito di perseveranza con la completa vittoria suisensi e sulla gola ».

Il Servo di Dio voleva che s’imparasse a pregare, più checon forme determinate, coi gemiti del cuore. « L’anima eser-citata nell’orazione mentale, nella meditazione e nella mor-tificazione; l’anima che sente l’amore di Gesù, il vivointeresse degl’interessi del Cuore di Gesù, il vivo impegnodi conoscere Gesù e di amarlo; che sente la compassione elo zelo ardente delle anime; quest’anima di virtù e di sacri-ficio, non ha bisogno di apprendere formule di preghiere dailibri, ma lo Spirito che è in essa la farà gemere gemitibusinenarrabilibus, con gemiti inenarrabili... Chi può direquante continue grazie strapperà quest’anima dai più recon-diti seni del Cuore adorabile di Gesù per tutta la S. Chiesa,per tutte le anime viatrici e purganti e pel mondo tutto?... »

Finchè l’assistè la salute, la preghiera notturna gli era abi-tuale. Non sappiamo di doni straordinari da lui goduti infatto di orazione: certo però che i vari gradi di essa, descrittida S. Teresa e da S. Giovanni della Croce. non presentavanoper lui difficoltà alcuna: il che – nota saggiamente il P. Vi-tale = non pare che possa spiegarsi senza una certa perso-nale esperienza.

Aveva il Servo di Dio distrazioni nella preghiera? Po-tremmo pensare di no, almeno abitualmente, da quanto egliscrive che certamente deve riflettere il suo stato personale:« Riteniamo che quando l’anima è davvero mortificata e di-ligente nei suoi doveri, distrazioni nell’orazione difficil-mente ne avvengono e facilmente si discacciano ».

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Frutto della preghiera era la sua abituale unione con Dio.Rivela il Can. Celona: « La sua mente era immersa in Dio;anche esternamente sembrava assorto in Dio». E un pro-vetto missionario gesuita, il P. Fazio, uscito da un colloquiocol Padre, esclamò ammirato: « Quest’uomo è tutto pienodi Dio!»

Se tale era la preghiera del Servo di Dio, che meravigliache la risposta del Cielo venisse spesso per vie impensate?

5. UmiltàProfonda la sua umiltà. Egli è « un miserabile pecca-

tore, l’abominio del cielo e della terra, che non ha più di-ritto all’aria che respira, né alla terra che lo sostiene, chedovrebbe stare in eterno sotto i piedi di Lucifero ». Riflet-tendo alle tante grazie ricevute dal Signore, dichiara: « Ionon solo mi sento inabissare nel mio nulla, ma un grandetimore mi prende, pensando che tutti questi tratti della Di-vina misericordia possano formare un nuovo cumulo didebiti per me verso la Divina Giustizia ».

Custodì gelosamente, dal 1887, una figurina che gli eracapitata tra mano: il Bambino Ges che impugna unagrande croce, reclinato accanto ad un asinello sdraiato aterra. Egli si sente rappresenato in quell’animale e sul retrodella figura scrive questa preghiera: « O Gesù buon Pa-drone, abbiate pietà del vostro asinello! Vedete com’è im-piagato e languente: porgetegli il cibo dei vostri pinguipascoli e abbeveratelo alle vostre limpide fonti! Cavalca-telo, o Gesù buon Padrone, ed eccitatelo con la potenza ela soavità della vostra parola a camminare per le vostrevie e portarvi dove Voi volete. Rendetelo ubbidiente allavostra volontà sotto il governo della vostra pietosa mano!

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O Gesù buon Padrone, se il vostro asinello non si vuol ren-dere, percotetelo pure con la vostra S. Croce e rendeteloperfettamente docile ai vostri cenni. Fate che l’asinello Viconosca per suo unico e vero Padrone e Vi serva con pa-zienza, umiltà e mansuetudine e Vi porti sempre dove Voivolete. Amen ».

Non voleva essere chiamato Fondatore. Spesso metevala cosa in burleta: sfondatore, fonditore, mangiatore e inuna lettera a Melania si firma fondatore, superiore e di-rettore des châteaux en Espagne (dei castelli in aria).L’Opera l’ha fondata Iddio, e i Cuori SS. di Gesù e diMaria ne sono i divini Superiori, secondo la solenne pro-clamazione che ne fece il 1° e il 2 luglio 1913.

Scrive al P. Palma: « Vedo che non ho fatto che rovinareil tutto, e la mia vita non è stata che una catena di errori,di sbagli, d’inesperienze, di temerità, e, quel che è più, dicattivi esempi ». E altra volta, in seguito ad un insuccesso:« Mi è chiarissimo che il Signore dispose così pei mieipeccati, e assai mi duole che tanti e tante nei nostri Istitutiportano spesso le pene delle mie colpe! L’Altissimo glieloascriva a merito ».

Nel suo autoelogio: « Vuole quell’anima trapassaa chesi sappia che in tutto il corso della sua vita terrena, fecesoffrire molte anime e molte persone e afflisse molti cuori!Egli dimanda perdono a Dio e a tutti di ogni cattivoesmpio e di ogni sofferenza data a chi si sia! »

Al P. Vitale: « Io sempre lo dico che quando mi allon-tano io, le cose vanno meglio, e tante difficoltà si supe-rano. Viva Gesù ! »

Egli aveva guastato l’Opera di Dio, secondo lui, e per-ciò si chiamava il guastamestieri, anzi l’unico guastame-stieri che fosse nell’Opera, mentre tutti gli altri siaffaticavano ad edificare.

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E ci diceva: « Cos’è quest’Opera nei disegni di Dio? Iola immagino come un grande palazzo a diversi piani, conaddobbi signorili, grandi cortili, vaste sale; oppure comeun immenso giardino, con parchi, ville, cascine ecc.Quanto bene da poter fare! Quante anime da salvare!Quanta gloria a Nostro Signore e consolazione al suoCuore dolcssimo! Questa l’Opera, se Dio avesse trovatoun altro al mio posto, o maggiore fedeltà in me! Ma,ahimè! i miei peccati l’hanno ridotta ad una misera pian-ticella, che tira una vita stentata... L’hanno lasciata confi-nata nella miseria delle Case Avignone! »

E della sua Opera scriveva che essa veniva da lui « ne-gligentemente condotta, ma che non ho potuto distruggere, perché il Signore l’ha protetta contro ogni mia im-perizia ». E ancora: « Ho lavorato più a distruggere chead edificare! E se non sono riuscito a distruggere il tutto,è stato perché l’Opera, come pare, è di Dio, ed il Signorenon l’ha permesso! »

L’umiltà gli era virtù prediletta, perché la virtù delSacro Cuore.

Un giorno entra in cortile mentre i giovanetti giuocanoanimatamente... Al vederlo, gli corron incontro; ed egli:

– Figliuoli, qual è la virtù che ci rende più acceti alCuore SS. di Gesù?

– L’umiltà, Padre, l’umiltà...Sorrise compiaciuto: c’eravamo incontrati col suo pen-

siero!– Bravi, proprio l’umiltà - aggiunse –; continuate a

giocare. E si ritirò.E nella Lettera agli Amici, destinata ad uomini di retto

sentre, anche se non di pratica religiosa, cerca di far lorocomprendere il valore dell’umiltà con argomento adatto

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per loro: « Taluni credono che umiliarsi vuol dire avvilirsie che l’umiltà sia avvilimento. Ma invece è tutto il con-trario: l’umiltà ingrandisce e c’innalza fino a Dio. Infattiessa è la morte della superbia, dell’orgoglio, dell’ambi-zione, della iattanza: passioni tutte che avviliscono l’uomoragionevole. Essa ci rende cortesi e prudenti e accettianche agli altri; poiché, siccome la superbia ci rende esosiagli altri, così l’umiltà, che è madre della modestia e dellacircospetta riservatezza, con cui non si mena vanto deipropri pregi né si disprezza alcuno, ci attira l’altrui rispettoe ammirazione ».

6. MortificazioneRigida mortificazione. Anzitutto egli precisa bene la ne-

cessità delle mortificazioni esterne: « Chi disprezza e tieneper nulla le penitenze corporali, dicendo che bastano leinteriori, mostra di non avere né il vero spirito, né la sa-pienza, né la vera scienza dei santi, e di non aspirare te-nacemente all’acquisto delle virtù interiori. Teniamopresenti le parole di N. S. Gesù Cristo: nisi poenitentiamegertis, omnes similiter peribitis (Lc 13, 5): se non faretepenitenza, tutti perirete; e il triplice grido di penitenza chefece sentire la SS. Vergine alla grotta di Lourdes, per mezzodi Bernardetta: penitenza, penitenza, penitenza! Vero è chele suddette parole di N. S. Gesù Cristo s’intendono anzituttoper la penitenza interiore, cioè il pentimento dei propri pec-cati per motivi soprannaturali; ma la parola di Dio ha signi-ficato d’infinita estensione, e quando inculcò la penitenza,senza la quale disse che periremo, intese pure parlare dellepenitenze volontarie, senza le quali l’anima chiamata allaperfezione, potendole fare e non facendole per trascuratezza

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perisce se non altro in rapporto all’acquisto della perfezionereligiosa, dal che ne avviene male incalcolabile, in detri-mento del proprio spirito, e ne può venire il poco penti-mento e il rimesso proponimento nel confessarsi, e quinditutto il resto, fra cui il pericolo di estinguere interamnte lospirito e perdere la santa vocazione ».

Il Servo di Dio però non manca di precisare che « la verapenitenza consiste nell’esercizio delle sante virtù interiori»e vuole che « ognuno abbracci come salutari e santi peni-tenze le sofferenze, le mortificazioni, le contraddizioni, leinfermità, le molestie, e quanto viene dalla Divina volontàimperante o permittente... Sarà pure salutare e santa peni-tenza ogni fatica che dovrà farsi nel servizio di Dio e delprossimo».

E mette in guardia dalle possibili anzi facili illusioni incui si può andare incontro riguardo alle penitenze: « Vi sonoanime che facilmente si luudono con le penitenze corporali:sono capaci di farne delle asprissime e poi mancano senzascrupoli alla santa obbedienza, all’umiltà, alla carità fra-terna, al buon andamento degli uffici ecc. Queste anime colfare penitenze corporali si credono già sante, e quindi siconfermano nel cattivo esercizio delle virtù e diventano osti-nate, poco trattabili, negligenti, iraconde ecc. ». In questocaso egli prescrive che non si permettano le penitenze cheesse capricciosamente vogliono fare, ma che ad esse si im-pongano altre penitenze anche sensibili.

In quanto alla pratica della penitenza, conserviamo unavera collezione di discipline, cilizi, catenelle, fasce armatedi punte di ferro, delle quali faceva uso. Da giovane si lo-gorò la salute con veglie e digiuni. Il suo cibo era abitual-mente amareggiato da aloè o centaurea o altra polvere.

Ma la sua più importante mortificazione era la vigilanza

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sopra se stesso: sempre misurate le parole, gli sguardi, ilgesto, il sorriso; mai un giorno di vacanza, mai un’ora dipasseggio. Portava continuamente, secondo la espressionebiblica, l’anima sua nelle sue mani; e tutta la sua vita gliera sempre presente e confessa con candida semplicità: « Iovedo nella mia mente tutti gli innumerevoli peccati che hocommessi nella mia vita, sebbene per misericordia del Si-gnore, confido che essi non abbiano mai raggiunto la gra-vità. Ma la malizia di un difetto chi può pesarla? Il Signoremi fa comprendere tanti difetti della mia gioventù, fino adoltre sessan’anni addietro, e come nessun difetto è rimastosenza castigo; anzi il Signore mi ha fatto comprendere chequel dato castigo mi veniva per purificarmi di quel tale di-fetto: e ricordo perciò le parole della S. Scrittura: se lo Spi-rito è sopra di te, non lo abbandonare, perché esso opereràla purgazione dei peccati. Ma bisogna avere sempre grandefiducia in Nostro Signore ».

7. Povertà

Quando il Servo di Dio l’amasse si può dedurlo dallavita che volle menare in mezzo ai poveri! La povertà eraper lui la vera ricchezza , « perla preziosasissima e saldofondamento dell’Istituto ». Oh, squallore del QuartiereAvignone! La prima volta che vi entrai – fu nel 1917, enon si era ai tempi eroici! – non potei trattenermi dalloscrivere al P. Vitale , ad Oria, le mie impressioni: « La po-vertà di queste casette non farebbe invidia a S. Francescod’Assisi! »

Il vestito del Padre, sempre lindo e pulito, anche perl’educazione avuta in famiglia, di stoffa comune, stinto e

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liso, gli doveva rimanere addosso finché... poteva tirare,e nei primi tempi dell’Opera si incaricava la Conferenzadi S. Vincenzo de’ Paoli a sostituirlo. È bello osservarenella sua stanzetta di Oria il suo attaccapanni formato dachiodi affissi al mro, da lui stesso rivestiti di stoffa per evi-tare le macchie di ruggine!

I viaggi sempre nella forma più economica. Invece divaligie, avvolgeva le robe in sacchi o grandi fazzoletti, amodo dei poveri e dei contadini. Perdendo o rompendoqualche oggetto, si accusava di mancanza di povertà, ele-mosinava perché la comunità non ne soffrisse e general-mente s’imponeva qualche rinunzia, specie a tavola, inriparazione.

Ecco il suo insegnamento. Le Opere, nate nella miseriadel Quartiere Avignone « si ricordino sempre della loroorigine e tengano presente che ogni casa deve avereun’impronta della loro primitiva povertà almeno perquanto sarà possibile. Siano poveri i mobili, povere le su-pellettili, povero il refettorio, povero il tutto. Il vitto siapure povero e semplice, quantunque sufficiente ». Vuoleinoltre che il Rogazionista « nei casi di controversia e di-scussione di punti di regola » inclini « sempre per la partepiù rigida della povertà evangelica ».

8. Castità

In quanto alla castità abbamo la sua esplicita confes-sione a P. Vitale: « Grazie al Signore, non conosco la ten-tazione in questa materia »; e nel suo autoelogio:«Dichiara, a gloria del Signore, che non seppe mai che

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cosa fossero certe azioni che si dicono disoneste, osceneecc., e non potè capire mai che godimento, sia pure cattivovi si possa trovare ». E non crediamo di dover aggiungerealtro.

9. Obbedienza

L’obbedienza egli la esalta come « virtù di perfetta san-tificazione e di perfetta unione con Dio, perché obbedendoal Superiore e alle regole si fa perfettamente la volontàdell’Altissimo... La santa obbedienza religiosa è la via piùcerta, più sicura e più breve per arrivare a grande perfe-zione; e una casa religiosa, dove tutti obbediscno religio-samente è un regno di Dio sulla terra ». Invece, neireligiosi « tutto verrà meno mancando l’obbedienza:l’amore di Dio, lo zelo della divina gloria, l’umiltà, la ca-stità, lavpovertà, la carità, la stessa vocazione ».

Egli aveva proposto: « Non ostinarmi mai nel mio giudi-zio e nella mia opinione, ma obbedendo esteriormente in-tendo anche obbedire interiormente, uniformando i mieigiudizi e i miei modi di vedere ai giudizi e ai modi di vederedei miei superiori ». Al P. Vitale che meravigliandosi ungiorno di vederlo agire in maniera diversa di quanto primaaveva pensato, dichiarò che quello era il desiderio del suoSuperiore: «E questo basta perché io lo segua ciecamente ».

Il suo Superiore immediato era l’Ordinario, e troviamonel suo autoelogio una frase in relazione con lui, che do-manda una spiegazione. Egli infatti si chiama in colpa neisuoi rapporti col superiore: « Alienò da sé e dalla PiaOpera l’animo di Mons. D’Arrigo, Arcivescovo di Mes-

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sina ». Esaminando invece la cosa non troviamo nel Servodi Dio colpa alcuna. Accenniamo brevemente.

Egli era stato apprezzato e ben voluto dal Card. Gua-rino, col quale il Can.co D’Arrigo si era trovato in oppo-sizione. Fatto Arcivescovo, Mons. D’Arrigo nutrìdiffidenza del P. Di Francia, pensando che gli fosse ostileper il suo attaccamento al Guarino, Niente di più errato.«Il Servo di Dio fu ugualmente fedele al Card. Guarino ea Mons. D’Arrigo. E questa fedeltà nasceva esclusiva-mente da un principio soprannaturale, in quanto egli ve-deva in ognuno dei due Arcivescovi i rappresentanti diDio e della Chiesa. Se Mons. D’Arrigo non seppe capirquesto, il motivo va ricercato o in una mentalità precon-cetta o nell’ambiente che egli stesso si era formato intorno.Mos. D’Arrigo faceva questione di persona e ciò esulavacompletamente dal pensiero del Servo di Dio, che, se-condo l’idea dell’Arcivescovo, ne avrebbe osteggiato ilgoverno per risentimento personale » (PAPàSOGLI -TADDEI,Annibale M. Di Francia, p. 275).

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1. « Innamoratevi di Gesù Cristo! »

« Non può farsi a Gesù amantissimo cosa più gradita,che dirgli: io Ti amo! Egli lo desidera e lo vuole da noi.Ripetiamoglielo adunque sovente; anzi, quando con labocca non possiamo, lo diremo col cuore... Protestiamogliche con ogni palpito del nostro cuore intendiamo ripeter-gli: Gesù io ti amo! ».

Con queste parole il Servo di Dio ci presentava il ri-tratto genuino dell’anima sua: un’anima tutta infiammatadell’amore di Gesù!

– Innamoratevi di Gesù Cristo – fu il consiglio chediede al P. Vitale in una delle prime volte che lo incontròda chierico; e rivelava con quelle parole, e più con laespressione con cui le pronunziava, tutta la ricchezza diamore che gli riempiva l’anima.

Gesù era lo specchio che teneva sempre dinanzi agliocchi, e tutto l’impegno della sua vita mirava a riprodurrein sé stesso la divina immagine. In una pagina riservata,che intitola Imitazione di Gesù Signor mio, è tutto uno stu-

CAPITOLO XV

GESÙ!

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dio delle parole, azioni e sentimeni interiori di Gesù perpotersi conformare in ogni cosa al Divino Modello.

In particolare ecco le principali devozioni del Servo diDio riguardanti la persona adorabile di Nostro Signore.

2. SS. Nome

Anzitutto il Nome SS. di Gesù. Vivat Jesus, vivat Jesus!era la giaculatoria prediletta, perché per lui, come per S.Bernardo, Gesù era miele alla bocca, armonia all’orec-chio, giubilo al cuore. A questo Nome aveva dedicato intutte le Case l’intero mese di gennaio, da conchiudersi consolenne novena da lui predicata per ben 34 anni di seguito.

Il 31, giorno della festa, – per la quale aveva ottenutodalla S. Sede di poter celebrare due SS. Messe del Nomedi Gesù – a mezzogiorno si offre all’Eterno Padre lagrande supplica: con questo il Servo di Dio intendeva farecome una provvista di grazie per tutti i bisogni dell’Opera,per tutto l’anno appoggiato alla divina promessa: In verità,in verità vi dico: tutto cio che domanderete al Padre mionel mio nome, ve lo darà (Gv 16, 23). « Non avere fede inquesta divina promessa – egli diceva – è un negar fede alladivinità stessa di Gesù Cristo! »

3. Gesù Bambino

Gesù Bambino!Voleva la novena accompagnta da pra-tiche devote ben adatte a suscitare l’amore e l’entusiasmotra i giovanetti. Bisognava preparare il materassino, il

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guancialino, la coltre, le fasce ecc. con particolari ossequied atti di virtù perché il santo Bambino potesse nascerenei cuori. Soprattutto voleva l’imitazione del S. Bambino,e scrisse un opuscoletto con 25 preghiere per aiutare leanime nella pratica della infanzia spirituale.

4. La Passione

La Passione di Gesù: era il soggetto della sua medita-zione quotidiana, che impose alle Congregazioni. Un ri-tratto del Servo di Dio ce lo mostra col Crocifisso tra lemani; ed è abbastanza significativo: sta a dirci che la ca-ratteristica della sua santità si illumina della luce che pro-mana dal Crocifisso. Conoscere ed amare GesùCrocifisso, farlo conoscere ed amare dagli altri, ecco loscopo della sua vita. Ci richiama a quegli anni quando, fa-cendo il catechismo ai suoi bambini, amava presentareloro il Crocifisso, additando le piaghe, i chiodi, la corona,le spine, il Cuore aperto, per far loro comprendere quantoci ha amato Gesù!

Particolare devozione nutriva per il S. Volto di NostroSignore, al quale veniva consacrato il mese di aprile. Curòla diffusione della santa Immagine ricavata dalla Sindonea cura di Celina, la sorella di S. Teresa del Bambino Gesù,e ne voleva il quadro grande esposto in tutte le Case. Nerilevava le preziose caratteristiche: « Si potrebbe dire cheun angelo abbia mossa la mano della devota artista. Essaè riuscita a far risaltare meravgliosamente non solo letracce di sangue, le piaghe, il gonfiore della guancia de-stra, l’ammaccatura del naso, la tumefazione dell’occhio

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destro, ma ancora la dolce serenità, la calma profonda, lasofferenza concentrata e la sublime maestà del DivinoVolto! »

5. Il preziosissimo Sangue

In Messina la devozione al preziosissimo Sangue erapopolare, cantata già nei primi anni del Servo di Dio dalsuo maestro Felice Bisazza, con quelle strofe che sono trale migliori uscite dalla sua penna:

Sangue del primo Martire,Sangue dell’Uomo-DioChe i nostri altari imporporiOstia del fallo mio,Ostia d’amor placabileIo mi rivolgo a Te!

Ma col tempo, e specie con la rivoluzione, si era andataaffievolendo: fu merito del Servo di Dio che la risvegliòcon la sua predicazione fin da chierico.

Nelle sue Case, al Sangue preziosissimo era consacratotutto il mese di luglio, specialmente in spirito di ripara-zione, e inoltre «potremo presentare – egli scrive – questogran prezzo del nostro riscatto all’Eterno divin Padre perla salvezza della S. Chiesa, mediante la sovrabbondanzadi operai santi, e indi per la salvezza del mondo intero».

Prescrisse l’ossequio giornaliero al Sangue divino consette Gloria Patri da dirsi con le braccia in croce, intra-mezzati dalla giaculatoria: Vi salutiamo, o Sangue imma-colato dell’Uomo Dio, moneta preziosa pel riscatto deipeccatori.

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6. Il Sacro Cuore

Il Cuore di Gesù! È la regina delle devozioni nel cuoredel Servo di Dio, perché « quando si dice Cuore di Gesùsi dice bontà infinita, amore infinito, carità infinita, mise-ricordia infinita ».

E spiega: « Nella vita santissima di Gesù tutto èamore... se non ché, fino a tanto che noi guardiamo Gesùnel seno materno, nel presepio, nella vita nascosta, nei mi-racoli, nella passione, noi vediamo l’amore nelle sue ma-nifestazioni esterori; non è questa la più bellacontemplazione dell’amore. Più bella contemplazione èspingere lo sguardo nell’interno dell’umanità santissimadi Gesù Cristo, rintracciare il Cuore SS. di Gesù: in queldivino Cuore si racchiude tutto l’amore di Gesù ».

E pertanto: « Nulla e più dolce, più soave e più caro perl’anima mia che la devozione al Cuore SS. di Gesù. Tuttigli interessi di questo divino Cuore intendo che siano gliinteressi miei» e cosi si spiega il titolo primitivo che as-segna globalmente alle sue realizzazioni nel campo dellabeneficenza e della religione: Pia Opera degl’interessi delCuore di Gesù!

« Mi glorierò di offrirmi come amante, figlio, schiavoe vittima di questo divino Cuore, e farò ogni mio possibileperché sia conosciuto ed amato in tutto il mondo».

« Voi sapete – scrive ai suoi figliuoli – come questo di-vino Cuore per noi è tutto: siamo a questo divino Cuoreconsacrati, al Quale apparteniamo noi, appartiene l’Opera,appartengono tutte le nostre povere fatiche, tutte le nostreintenzioni; sono del Cuore di Gesù le nostre case, i nostriOrfanotrofi, i nostri esternati e tutto è di quel divino Cuore».

Nelle nostre chiese e cappelle, vuole che troneggi il

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Cuore SS. di Gesù; e gli piaceva l’immagine del S. Cuoreche protende le mani come per accogliere sotto la sua pro-tezione tutti i suoi figli:

Che ci stende le braccia a tutela,Quasi a dirci: – Figliuoli, son qui:Non temete...

Ma il Servo di Dio insisteva su un aspetto particolaredella devozione al S. Cuore; e vuole che sia consideratocome carattere speciale dell’umile e piccolo istituto dei Ro-gazionisti, ritenendolo come un dono particolare che lorofa il Signore. E questo aspetto consiste nella meditazionedella « passione intima e amarissima del Cuore SS. diGesù... questa passione abbraccia quelle intime e ineffabilipene ed amarezze, che provò il divin Redentore Gesù, intutto il tempo della sua vita, nel suo SS. Cuore... alla vistadi tutti i peccati, di tutte le umane ingratitudini e di tutte leanime che si sarebbero esternamente perdute». Scrisse alproposito commoventi considerazioni e preghiere.

Egli vede il Rogate in relazione a questa passione in-tima del Cuore di Gesù: chi la medita attentamente, «nonpuò restare indifferente dinanzi agl’interessi di quel Cuoredivino. Allora risonerà all’orecchio quella divina parola el’anima nell’obbedienza a questo comando trova un granmezzo per consolare il Cuore SS. di Gesù nelle sue pene!»

7. « Ad maiorem consolationem Cordis Jesu!»Consolare il Cuore di Gesù! È la nota specifica della

sua devozione al S. Cuore. Lo aveva colpito profonda-mente la parola della S. Scrittura: sustinui qui consoleturet non inveni (Ps 68, 21) e quella rivolta da Gesù a Santa

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Margherita: « Tu almeno dammi questa consolazione diriparare all’ingratitudine degli uomini! » e tutta la sua vitafu impegnata nel dare consolazione al S. Cuore; e ne feceuna norma a tutti i suoi figli: « Come principio e fine dellaregola si prescrive che i Rogazionisti facciano tutto allamaggiore consolazione del Cuore SS. di Gesù ». Sicchécome il gesuita ha per motto programmatico: ad maioremDei gloriam; il salesiano: da mihi animas cetera tolle;l’orionino: anime, anime; il rogazionista prende a sua di-visa: ad maiorem consolationem Cordi Jesu! (AMCCJ).E quante volte, nell’impeto del suo amore a Gesù, quelmaiorem gliel’abbiamo inteso cambiare in ad maximam,ad infinitam consolationem Cordis Tui, Jesu!

8. Il 1° luglioMa Gesù è sempre con noi, vivo e vero nel SS. Sacra-

mento dell’altare. Ed ecco il posto che il Servo di Dio ri-conosce a Gesù Sacramentato nei suoi Istituti: « Tutto ilcentro amoroso, fecondo e doveroso e continuo di questaPia Opera degl’Interessi del Cuore di Gesù, dev’essereGesù in Sacramento. Deve sapersi e ritenersi, ora e in per-petuo, che questa pia Opera ha avuto per suo verace, ef-fettivo ed immediato fondatore Gesù in Sacramento.

« Pare che di questa Pia Opera possa dirsi: novum fecitDominus: Dio ha fatto una cosa nuova; in quanto che nelleopere che Dio forma, suole mettervi un fondatore riccodelle sue grazie e dei sui doni; ma in questa Pia Opera,che doveva elevare ad istituzione il comando del divinozelo del suo Cuore, senza intermediazione di un fondaa-tore nel vero senso della parola, si sia mostrato geloso diessere Egli stesso, dal S. Tabernacolo, il vero fondatore.

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Tutte le grazie, gli aiuti, i lumi, le divine provvidenze, sontutte piovute dal suo divino Cuore in Sacramento ».

Come sentiva e voleva fosse sentita da tutti la reale pre-senza di Gesù nel Tabernacolo che è il centro d’attrazionedella Casa!

Prima di rendere sacramentale il primitivo oratorio, su-scitò nei ricoverati per ben due anni il desiderio vivissimodella divina presenza di Gesù con ardenti preghiere e conpatetici versi, che risonavano con nostalgiche note nellecasette Avignone:

Cieli dei cieli, apritevi,Scenda il Diletto a noi, Chiuso nell’ostia, vittima Del suo divino amor.Venga tra i figli suoiL’Amato Redentor!

Il 1° luglio 1886, ottava del Corpus Domini, Gesù Sa-cramentato prese possesso del primo Tabernacolo del-l’Opera. Venne Gesù – scrive il Servo di Dio – « come retra i suoi sudditi, come buon pastore tra i suoi agnelli,come divino agricoltaore per coltivare da se stesso la pian-ticella, nel cui germe era accluso il piccolo seme del suodivino Rogate!Venne come padre amorosissimo tra i suoifigliuoli, per formarsi una piccola famiglia, la quale vi-vesse della sua Carne e del suo Sangue e fosse fatta capacedi poter raccogliere dalle sue divine labbra il comando deldivino zelo del suo Cuore: rogate ergo dominum messis,ut mittat operarios in messem suam! »

E da allora stabilì che ogni anno si rinnovasse l’amo-rosa aspettazione di Gesù Sacramentato con metodoadatto a ridestare il fervore delle anime: negli ultimi giorni

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di giugno si toglieva il SS. Sacramento e si ripetevano trevolte al giorno le preghiere e i cantici; il 1° luglio Gesùtornava con un nome nuovo: Re, Pontefice, Padre, BuonPastore ecc.; erano ogni anno nuovi cantici di lode, chescaturivano dal cuore del Servo di Dio. Venne in tal modoformandosi quel suo volume di versi che s’intitola Gl’innidel 1° luglio.

9. La S. MessaDalla presenza reale passiamo alla S. Messa.« Tutti i Congregati avranno altissimo concetto del gran

Sacrificio della S. Messa. Presso di noi la S. Messa sarà ilgran mezzo di ottenere ogni misericordia ed ogni graziadal Sommo Dio e di soddisfare gli obblighi di adorazionee di ringraziamento presso la sua Divina Maestà... Quandosi celebra la S. Messa, si devono vedere fiumi immensi digrazie e di benedizioni che si spargono per tutta la Chiesae pel mondo tutto,

» Si deve vedere Gesù Cristo in persona, vittima e sa-cerdote, che rinnova nella S. Messa tutti i misteri della suavita mortale, dall’incarnazione alla morte, alla resurre-zione, all’ascensione...

» Bisogna dunque nella S. Messa contemplare questospettacolo di fede, e unirsi a Gesù Cristo per adorare, of-frire soddisfazione per noi e per tutti, domandare ogni mi-nima grazia, o spirituale o temporale, per noi e per tutti,domandare grazie sopra grazie e misericordie senza fineper noi e per tutti.

» Le nostre preghiere fatte nella S. Messa si uniscono aquelle di G. C. S. N., che s’immola sull’altare per otteneretutte le garzie. I sacri scrittori insegnano che chi, per sua ne-gligenza o mancanza di fede e devozione, non riceve graziedurante la S. Messa, non ne riceverà giammai ».

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Egli non accettava, se non eccezionalmente, elemosineper la S. Messa. La offriva per la gloria della SS. Trinità, inringraziamento dei divini benefici, per i bisogni della S.Chiesa e dell’Opera, pei benefattori, e simili fini, che an-nunziava alle comunità prima della Messa, perché si unis-sero tutti alle sue intenzioni.

Con quanta fede celebrava! Assorto nella contemplazionedel grande mistero, non era più di questo mondo! Le lacrimedi compassione e di tenerezza, che spesso gl’inondavano ilvolto, dicevano tutta la sua intima partecazione al sacrificiodella Vittima divina. E non fa meraviglia che tanti cercas-sero un posto adatto per meglio vederlo e seguirlo nlla ce-lebrazione.

Quando gliela servivo da chierichetto, mi preparavomolto per tempo, a lato dell’altare, con le ampolline in manoper l’abluzione: era per me una festa dell’anima poter con-templare quel volto, che mi sembrava portasse i riflessi lu-minosi del contatto col Signore! Egli se ne accorse, e midisse: – Lascia, figliuolo, piena libertà al sacerdote di in-trattenersi con Dio! Devi restare in ginocchio sul gradino,quasi dietro il celebrante, e per l’abluzione ti alzerai solodopo che il sacerdote ha sunto il Divin Sangue, e non prima!

10. La SS. Comunione Che dire della SS. Comunione? Il Servo di Dio fu apostolo

della Comunione quotidiana, che prese a frequentare dai di-ciassette anni, prima ancora della vestizione clericale; ed eraassai rammaricato, che non aveva potuto farla fin dalla PrimaComunione. Troviamo tra i suoi appunti che egli volle sup-plire a questa mancanza con 2355 comunioni spirituali, pariai giorni che vanno dai sette ai diciassette anni.

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Voleva che il giorno della Prima Comunione «lasciasseun’impronta indelebile nella vita del ragazzo e pertantodoveva esser fatta in maniera solenne e memoranda. Vuoleche le Suore assistenti «quel giorno si mostrino così esi-larate per quella santa funzione da impressionare le stesseragazze, da edificarle e da trasformare quasi in loro sem-pre più il gran desiderio di ricevere il gran SacramentatoGesù». L’assistenza va continuata dopo la Prima Comu-nione e se ci sono di quelle che, col permesso del confes-sore, vogliono fare la Comunione frequente e quotidiana« le tengano d’occhio, perché la facciano sempre con uncrescente fervore e devozione, altrimenti meglio farsela,con un buon preparamento e ringraziamento, ogni dome-nica e nelle principali festività».

Avendo notato che tra le Suore molte non avevano me-moria della loro prima Comunione, pensò ad una festadella Prima Comunone rinnovata: con particolare purifi-cazione della coscienza e determinate preghiere e pratiche,ognuna doveva rinnovare in sé stessa il fervore del suoprimo contatto con Gesù Sacramentato.

Sull SS. Comunione aveva scritto per le sue comunitàpagine che non possono essere dimenticate, perché dallaSS. Comunione « dipende in particolar modo la loro san-tificazione e salvezza e l’incremento e la stabilità dellaloro Istituzione ». Il frutto della Comunone, si sa, è legatoalle disposizioni con le quali si riceve. Guai se ci fosse ilpccato! Avremmo il sacrilegio, il massimo danno chepossa incogliere ad un’anima.

Ma c’è anche un altro danno – egli rileva – da conside-rare seriamente, per evitarlo ad ogni costo, con ogni sforzoe con ogni sacrificio e santa violenza ». E questo si veri-fica quando l’anima religiosa « si accosta alla sacra mensaecuristica con certe imperfezioni che non vuole ricono-scere e di cui non vuole correggersi». Allora « che profitto

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può ricavare quell’anima? Per giusto giudizio di Dio, essasi acceca sempre più, si rende maggiormanete responsa-bile, si conferma nella sua ostinatezza e diventa più ira-conda ed impaziente...»

Invece, l’anima «si accosti alla santa mensa degli An-geli con cuore angelico, con profondissima umiltà, con ar-dente amore, con fede viva; si accosti con amorosa fiduciaed infocato desiderio; si accosti famelica, assetata di Gesù.Tutti i suoi affetti naturali, tutti i sentimenti del suo cuore,tutte le facoltà umane, tutta l’umana sensibilità, tutto deveessere trasformato in questa intelligenza spirituale e inquesta fame e sete di Gesù» perché « Gesù nell’Eucarestiaè pane che sazia i famelici e lascia digiune le anime infe-lici, che non hanno fame e sete del Sommo Bene».

Quando celebrava alle Comunità, prima della S.. Messa,dopo aver ricordato, come detto sopra, le intenzioni per lequali bisognava offrirla, immancabilmente passava a par-lare dell SS. Comunione per eccitare nell’anima il fervore.Nelle feste, e qualche volta anche nei giorni feriali, ag-giungeva apposito colloquio immediatamente prima dellaComunione, in cui trasfondeva nei suoi figliuoli tutto ilfuoco dell’anima sua per Gesù Sacramentato.

Era rigoroso nel pretendere il preparamento e special-mente il ringraziamento della SS. Comunione, «alla qualedeve seguire non un solo un ringraziamento passeggero,ma un complesso di ringraziamenti, che consecutivamentedebbono trasformarsi in un ringraziamento di tutta la gior-nata, fino al tempo dell’altra SS. Comunione». E descriveminutamente in qual modo questi vari ringraziamenti deb-bono farsi, sicché tutta la vita del Rogazionista e della Fi-glia del Divino Zeo, in qualunque maniera trascorra,dev’essere un perenne preparamento e ringraziamentodella SS. Comunione.

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1. Il Nome di Maria Dolce Maria! Tu l’alitoDei suoi sospiri ardentiTu luce, ond’egli plendidoIlluminò le genti:Di sé ti fece l’arbitraTrasse ogni cuore a Te!

Questa strofa, che il Servo di Dio cantò nel’inno a S. LuigiM. Grignion de Montfort, va applicata a lui stesso nella pie-nezza del suo significato. Egli amò sempre la Madonna contenerezza e fervore e lavorò indefessamente perché cosìfosse amata da tutti: era un’anima interamente mariana.

La pietà dei suoi genitori imponeva a tutti i figli come se-condo nome quello di Maria; al nostro invece esso risultacome primo, sia al battesimo che allo stato civile. Indubbia-mente ci fu un equivoco, ma il Servo di Dio ne gioiva e san-tamente se ne gloriava: – Penso, ci diceva, che il demoniodovette fremere di rabbia, perché così la Madonna dimo-strava di pigliarmi sotto la sua particolare protezione, senzala quale non potrei salvarmi.

CAPITOLO XVI

MARIA!

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Con l’amore di Gesù andò sempre crescendo nel suocuore quello di Maria: due amori indissolubili, come indis-solubili voleva quei nomi; e di qui il suo saluto e quello cheintrodusse nelle sue comunità: Sia lodato Gesù e Maria!

Vuole che tutte le sue Suore portino il nome augusto diMaria; ma gliene devono presentare speciale domanda – in-stanter, instantius, instantissime – ed egli lo concede con spe-ciale decreto; e tale concessione deve impegnarle ad unamore particolare alla SS. Vergine con l’imitazione delle suevirtù e la perfetta osservanza regolare, pena il ritiro della con-cessione.

Diede loro l’abito color caffè per affidarle alla MadonnaSS. del Carmelo e la cintura agostinina per richiamare ap-punto la Madonna della Cintura.

Per attirare maggiormaente su di sè la protezione della SS.Vergine, si fece terziario Carmelitano; anzi, quando ancoranon gli sembrava definitiva la chiamata del Signore ad Avi-gnone, pensava addirittura di entrare nell’Ordine del Car-melo, « dopo la consegna della Pia Operetta ad un eletto ».La sua umiltà non gli faceva vedere che l’eletto era propriolui: rinunziò al suo sogno, ma di spirito rimase sempre car-melitano.

2. Il cantore di Maria Il suo estro poetico lo mise al servizio della Madonna. Nel

1868 prometteva:Nei miei versi ti canterò Regina

Santa, immortale!

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E la cantò per circa sessant’anni, deponendo la sua cetraai piedi della Regina assisa alla destra del Re,nella contem-plazione di una madre che è tutta bontà e clemenza:

Dalla destra del Dio RedentoreA te passa lo scettro possenteTu lo inchina composta d’amoreSugli oranti tuoi figli clemente:Sappia ognuno qual Madre pregò!

I suoi canti mariani non si contano, nei titoli più vari e piùbelli.

Da giovane fondò nella parrochia di S. Maria dell’Arcola pia associazione della Madonna Stella Mattutina; e pub-blicò un libretto di preghiere e versi ad illustrare questo ti-tolo.

Frequentava da bambino la chiesa della Madonna dellaMercede, vicino alla sua casa, e questa devozione non glivenne mai meno.

3. L’apostolo di MariaDa chierico predicò per vari anni, in tutti i sabati, le glorie

della Madonna nella parrocchiale di S. Lorenzo e nel 1876 –lo abbiamo già detto – vi predicò il mese di maggio, intro-ducendo in Messina la devozione alla Madonna di Lourdes,conchiudendo anche qui con l’erezione della Confraternitae la pubblicazione di un opuscoletto sulla Madonna.

Studiò a fondo le Glorie di Maria di S. Alfonso e la Storiadei Santuari Mariani di tutto il mondo del Vico in 12 volumi,e così non gli mancavano mai solidi argomenti od esempinella predicazione.

Egli protestava: « Dolce e soave è il parlare di Colei, il

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cui nome è favo di miele, le cui venerate immagini rapisconoil cuore, la cui divina ricordanza fa languire d’amore».

Iniziando un anno la predicazione del mese di maggio siproclamava lieto di poter sciogliere la lingua « a lode diColei – dichiarava – per la Quale volentieri darei il mio san-gue ».

Conserviamo vari volumi di prediche sulla Madonna: inmaggior parte si tratta di schemi, che poi la sua fede e il suoamore traducevano in parola viva ed infiammante. Nonposso dimenticare quanto diceva il P. Nalbone S.J.: – Ri-cordo un panegirico alla Madonna della Scala. Fu un capo-lavoro: quello che incantava soprattutto era il suo senso diamor filiale alla Vergine.

4. Confidenza filialeE questo amor filiale si rivela soprattutto nella confidenza

con la quale ricorreva a Lei.Chiede alla Madonna la sua conversione « Madre tutta

pura, Madre tutta bella, Madre tutta santa, ispiratemi unsanto orrore ad ogni colpa, benché lievissima, e converti-temi; convertitemi a Dio, convertitemi a Gesù benedetto...convertitemi al perfetto adempimento della sua suprema vo-lontà ».

Col massimo fervore a Lei domanda le virtù delle qualiha bisogno: « Deh! Madre mia santissima, Maestra divina ditutte le virtù, io vi supplico, fatemi camminare per quella viaper la quale io riesca alla mia santificazione, alla santifica-zione delle anime, all’incremento di questa Pia Opera delCuore SS. di Gesù e giunga alla sospirata unione di amorecol mio Sommo Bene ».

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Nei bisogni dell’Opera, il rimedio infallibile lo trova nelricorso alla Madonna. Nei primissimi tempi del suo aposto-lato, dalla turba di Avignone faceva cantare alla SS. VergineMadre dei poveri:

Siam oppressi e derelitti,Sulla mensa il pan ci manca,E la nostra vita stanca,Tra gli affanni se ne va.Bella Madre degli afflitti,Abbi tu di noi pietà!Fischia il vento e la buferaSi riversa sopra i tetti:O Maria, se non ti affrettiQuest’inverno si morrà:Bella Madre e Madre veraAbbi tu di noi pietà!

E poi secondo i casi: « Deh! abbiate pietà di noi o poten-tissima Imperatrice, salvateci! Domani non abbiamo piùpane, non abbiamo più pasta, non abbiamo più introiti» Eancora: «Madre dei poveri, degli orfani, delle vergini, dei sa-cerdoti, abbiate pietà di noi! Tutte le porte sono chiuse: Portadei cieli, apritevi per noi! »

E le preghiere che le rivolge per le Vocazioni: « Guardate,o Madre santa, come periscono tante povere anime, perchénon vi é chi le salvi: guardate, o Madre pietosa, come la in-nocenza fa naufragio, perché mancano i Buoni Operai, checoltivino i teneri germogli... Voi siete, o Madre, la Reginadegli Apostoli e dalla intercessione vostra è venuta ogni vo-cazione...».

Prega per la Chiesa, sbattuta dalle tempeste: « Non puòperire, perché il Figlio tuo giurò che non perirà, ma le anime

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periscono, ma Satana divora le sue prede. Vieni, infrangi ilsuo capo. Basta che tu lo voglia, o Immacolata Maria ».

In una preghiera ricorre il titolo che poi fu solennementeproclamato e vivamente raccomandao da S. S. Paolo VI:Maria Madre della Chiesa.

Per Maria, tutte le grazie. « Vero è – egli scrive – chequando Dio chiude, al dire della S. Scrittura, nessuno apre;ma credo che sia eccettuata la SS. Vergine, la Quale apre ochiude a suo piacere: Essa stessa è porta, per cui passa ognigrazia a noi »

I dubbi, le perplessità, il Servo di Dio li risolveva col ri-corso alla SS. Vergine. Ricordava spesso le strofe dell’Aricialla Madonna del Buon Consiglio. Insiste che il Superiorespecialmente implori « in tutte le circostanze il divino aiutonel Nome SS. di Ges e i lumi della Beata Vergine del BuonConsiglio »; egli rileva: « L’invocazione della SS. Verginedel Buon Consiglio, fatta con amore e fede, si è sempre di-mostrata efficace più di quanto non si creda e apre le intelli-genze più ottuse ».

5. La «tessera speciale» dell’IstitutoL’Opera del Servo di Dio deve segnalarsi per una parti-

colare devozione alla Madonna: « Speciale gloria e caratte-ristica della Congregazione dei Rogazionisti sarà la piùgrande devozione verso la Madre di Dio... La devozione allaSS. Vergine forma una tessera speciale di questo pio Isti-tuto», perché senza l’amore alla Madonna non è possibile lasantità: «Ecco la fiamma d’amore che forma i Santi: quellafiamma che non può discompagnarsi dall’amore di Dio esenza la quale nessuna grazia del Signore può ottenersi: io

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dico l’amore tenero, profondo soave verso la Madre di DioMaria SS! L’Immacolata Signora si è Colei che formal’amore di tutti i predestinati».

E insisteva: « Allora regnerà Gesù nei nostri cuori quandol’amore di Maria SS. vi sarà penetrato. Non si può amareGesù se non si ama Maria; non si può andare a Gesù che permezzo di Maria... In verità, amando e servendo questa granMadre, e non altrimenti, si può arrivare a conoscere, amaree possedere con unione di carità il Sommo Bene Gesù Signornostro, il Quale deve formare il nostro ultimo e supremo fine.Ma non troverà Gesù chi non cerca Maria, e chi cerca Mariatroverà Gesù ».

Lo spirito mariano dell’Istituto viene subito denunziato,all’ingresso di una Casa del Servo di Dio, in cui si viene ac-colti dalle immagini sorridenti del Cuore SS. di Gesù e delCuore Immacolato di Maria che fanno rispettivamnete laloro presentazione così: « Io sono il Padrone di questa Casae di quelli che l’abitano e mi amano»; e « Io sono la Padronadi questa Casa e di quelli che l’abitano e mi amano».

Tutte le feste mariane vanno celebrate sempre col piùgrande fervore e preparate con fioretti, prediche, suppliche,letterine indirizzate alla Madonna. Ogni primo giorno delmese, consacrazione alla SS. Vergine del Perpetuo Soccorso;ogni sabato è prescritta l’astinenza dalla frutta e la medita-zione sulla Madonna; varie volte nell’anno sono in uso delleveglie, per es. per la Bambinella, la Immacolata, ecc. E nonsappiamo dire l’entusiasmo che suscitava nei cuori per laMadonna!

Voleva le statue e immagini della SS. Vergine belle, sacre,devote, cioè tali da eccitare la pietà e spingere alla preghiera,richiamando davvero alla Madonna, capolavoro di Dio. Ad

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una accreditata Rivista Mariana che aveva pubblicato unquadro della Madonna, che non gli piaceva, non mancò difare i suoi rilievi, perché « non riproduce per nulla la subli-mità e la eccellenza della nostra gran Signora Maria, non tra-sparendo dai lineamenti nulla di celeste, di sacro, di divino;né vale che l’autore sia di grido, poiché la riproduzione, ri-peto, manca di quell’estetica, la quale, invece di infervorarenella devozione, sembrami che la faccia piuttosto perdere.Se l’originale è lo stesso, vuol dire che l’Autore, con tutta lasua valentia, fece cosa inconcludente». Preferiva perciò perle sua case la Immacolata del Cantalamessa che, con le suemani giunte e atteggiamento raccolto, lo rapiva: – Vedetecom’è bella, ripeteva; è l’umiltà glorificata!

6. Industrie spirituali

E le industrie che sapeva escogitare la sua pietà per infer-vorare nell’amore alla Madonna!

Il 2 luglio 1913 doveva in Oria inaugurarsi appunto unadi queste statue. L’attesa era coltivata negli animi da lungotempo. Bisognava scoprire l’immagine dinanzi alla comu-nità, che si raccolse nel cortile, attorno alla cassa che la con-teneva. Pronti i chierichetti con le candele, la croce, ilsecchio di acqua benedetta per la processione: frenetici i mu-sicisti e i cantori per salutare la Madonna, subito al primoapparire.

Il Servo di Dio, in cotta e stola, prende a manovrare, aiu-tato dagli altri, martello e tenaglie: la cassa si apre, gli occhidi tutti si appuntano... delusione! la cassa è vuota... « Oh, –egli esclama come mortificato – la Mistica Colomba è vo-lata, è volata...». Ed ecco che dietro a lui, si gira per la casa,

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si fruga in tutti gli angoli del giardino... finalmente si scorgeun lumicino in fondo ad un ambulacro sotterraneo, si ascoltail tubare di colombelle... « Eccola, eccola la Mistica Co-lomba... si è rifugiata nel cavo della pietra... Entusiasta pro-pone il canto-invito:

Sorgi, Colomba eterea,Lascia il petroso nido, Esci dalle macerieCome dall’ombra il sol.Non odi? a Te sollevanoTanti tuoi figli il grido,Nel santo TabernacoloTi attende il Dio Figiuol!

Quante tenerezze per la Madonna! Alla Salette nota chele tre statue della SS. Vergine, rappresentanti le tre stazioni,sono al buio! Egli manda a quel Santuario tre Angeli inbronzo con una lampada in mano e con questa iscrizione:«Gli Angeli di Messina illuminano tra le tenebre di questimonti la Regina delle Alpi, la SS. Vergine della Salette. OMadre di Dio, la Città della tua Sacra Lettera ti saluta, ti amae ti domanda misericordia.

Ad Oria su una porta della città trova una statua della Ma-donna ompletamente decapitata dal ciclone avvenuto dodicianni prima. Provvede subito a far scolpire una bella testa colcorredo delle chiome fluenti; e la Madonna SS. torna a sor-ridere ai suoi fedeli.

Trova il nome di Maria sulle soglie di chiese, sulle pre-delle di altari; e provvede a sostituirle a sue spese, e ne fauna circolare ai Vescovi per eventuali simili casi, per elimi-nare così – e sempre a sue spese – che il Nome SS. di Mariavenga calpestato.

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7. La Divina Superiora

La Madonna SS. fu da lui proclamata SUperiora assoluta,effettiva ed immediata, guida e maestra dei Rogazionisti edelle Figlie del Divino Zelo, come d’altro canto il Cuore SS.di Ges era stato proclamato Superiore assoluto, immediatoed effettivo.

Da questa proclamazione egli si attende « i miracoli dellagrazia, della verace conversione a Ges e dell’acquisto degliabiti delle sante virt».

Egli infatti avverte bene i suoi figliuoli: « L’amore allaSS. Vergine consiste principalmente nell’imitazione delle suevirt, specialmente l’umilt, l’illibatezza dell’anima, l’amoreforte e costante pe N.S., lo zelo della sua gloria e dela salutedelle anime, una grande carit e dolcezza in tutti gli incon-tri».

8. La S. Schiavitù d’amore

Ma lo spirito mariano del Servo di Dio e dell’Opera suasta principalmente nella pratica interiore ed esteriore dellaSanta Schiavitù d’amore insegnata da S. Luigi Maria Gri-gnion de Monfort.

« Nel battesimo avviene il principio di questa schiavitù:da schiavi del peccato passiamo ad essere schiavi di GesùCristo Signor Nostro. Ebbene non possiamo esserlo, seprima non ci facciamo schiavi d’amore di Maria SS. Ecco ilsegreto! Ecco l’opera dettata a S. Luigi M. Grignion dalloSpirito Santo. Il fine di questa schiavitù d’amore dev’essereche Maria SS. ci renda perfetti schiavi di Gesù Signor No-stro, affinché Lo riconosciamo come Signore e Dio, Lo ser-

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viamo con fedeltà e facciamo in tutto e per tutto la sua ado-rabile volontà».

Il Servo di Dio non ignorava la polemica suscitata dal ti-tolo di schiavo, che fa arricciare il naso agli uomini del no-stro tempo, idolatri di una libertà senza confini... masuperava lo scoglio mettendo l’accento sull’amore, che ca-ratterizza questa schiavitù, che poi in fine non fa che legarcimaggiormente alla Madonna con legami di figli: « Basare iltutto - scrive – nell’amore di figlio che, per singolare amorealla Madre Regina, se ne vuole rendere anche schiavo; ov-vero che la Regina adotta per figlio lo schiavo, spinta da im-menso amore, e lo schiavo rimane figlio e schiavo». Econchiude: « Oh, felicissima schiavitù! Così noi diventiamotutti di Gesù e di Maria, e Gesù e Maria ci uniranno ai lorodivini Cuori e ci parteciperanno le loro grazie! Questa sacraschiavitù è tutta schiavitù d’amore, con la quale diventiamomaggiormente figli diletti di Gesù e di Maria. Questa sacraschiavitù ci farà crescere nella conoscenza e nell’amore diGesù e di Maria, e ci otterrà molte benedizioni in vita e cirenderà eternamente felici se saremo fedeli e perseveranti ».

S. Luigi M. Grignion avverte che arriverà all’ultimo gra-dino di questa devozione e vi dimorerà in modo stabile «solocolui al quale lo Spirito di Gesù Cristo svelerà questo se-greto: l’anima molto fedele che vi condurrà Egli medesimoperché avanzi di virtù in virtù, di grazie in grazie, di lumi inlumi, e giunga alla trasfromazione di se stessa in Gesù Cristoed alla pienezza dell’età sua in terra e della sua gloria inCielo ».

Riteniamo che una di queste anime fortunate sia stata pro-prio il nostro Servo di Dio.

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1. La virtù propria del Servo di Dio

La virtù propria del Servo di Dio, quella che dominavasulle altre e dà il carattere alla sua figura, la fisionomia pro-pria al suo apostolato è la carità.

« Egli è un sacerdote – dice il P. Nalbone – dimentico dise stesso, umile e mite, di una povertà fancescana, d’intimavita interore e di pietà singolare»; ma « la carità verso i po-veri formava la caratteristica, sicché per additare un uomocaritatevole si diceva e si dice tuttora: – È un altro Can. DiFrancia».

Troviamo affermato di lui ripetutamente: « Fu eccellenteed insuperabile nella carità; fu un eroe della carità, un geniodella carità ». Sicché giustamente egli si allinea coi grandicampioni che hanno illustrato la Chiesa in questi ultimitempi: Cottolengo, don Bosco, P. Ludovico da Casoria, donGuanella, don Orione, P. Cusmano.

Egli trovava la gioia, la felicità, la vita nel dare e nel darsi.

CAPITOLO XVII

LA CARITà

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2. L’offerta della sua vita

Anzitutto per il bene spirituale del prossimo.Amò immensamente le anime: « Stimerò talmente le

anime, che per la salvezza di una sola crederò bene d’impie-gare la mia vita, quand’anche fosse fatta tutta di patimenti,d’opere e di sacrifici, tenendo presente quell’insegnamentodei Santi, cio che Gesù Cristo Signor Nostro tanto amaun’anima sola quanto ama tutte le anime insieme e che senel mondo non ci fosse stata che un’anima sola, per que-st’anima sola Nostro Signore avrebbe patito passione emorte».

Rimonta al 3 maggo 1880 l’offerta di se stesso, deside-rando distruggersi e disfarsi per la gloria di Dio; e chiede de-solato al Signore: « Perché non vi so amare? perché non tuttivi amano? perché non tutti vi servono, vi obbediscono e con-tentano?» Riconosce il bisogno che Messina sente di un apo-stolo che la trasformi, la rigeneri « operando la conversionedei peccatori e la santificazione dei giusti»; e geme dal pro-fondo del cuore: «Manda, manda o Signore, quello che devimandare!... Dai tesori della vostra infinita bontà, mandate inMessina un vero apostolo prevenuto dalle vostre benedi-zioni: un sacerdote puro, casto, illibato, semplice, mansueto,sobrio, giusto, prudente, pieno di Spirito Santo, pieno di vi-scere di misericordia, di fortezza e di costanza, pieno discienza dei santi e di ogni dottrina ecclesiastica e letterariaper adempiere nel modo più degno della vostra gloria il suosublime ministero». E conchiude con la generosa offerta:«Se per suscitare questo sacerdote secondo il vostro Cuore,Voi volete, o mio Dio, l’offerta della mia vita, ecco che ve laoffro ora stesso... Accettate, o clementissimo Signore, questamia offerta: fatemi sparire dalla terra e al mio posto mettete

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questo apostolo desiderato, questo sacerdote fedele, che fac-cia secondo il vostro cuore. Manda, o Signore, quello chedevi mandare!

Possiamo pensare fondamentalmente che la supplica siastata accolta: e il sacerdote desiderato, l’apostolo invocato,sia proprio lui.

3. Sempre si ricorreva al P. FranciaIn Messina non si sapeva concepire un’opera di bene

pubblica che non fosse legata in qualche maniera al PadreFrancia, non fosse altro per l’appoggio morale e il vivo in-coraggiamento, oltre il contributo materiale in generose of-ferte che all’occorrenza non faceva mancare.

Bambini da catechizzare, dubbiosi da illuminare, infermida consolare, peccatori da convertire, caduti da riabilitare,matrimoni da sanare: erano tutte cose che lo interessavanoimmediatamente: o accorreva subito chiamato o si offrivaspontaneamente.

In casi disperati di moribondi che rifutavano i Sacramenti,si ricorreva al P. Francia. Egli metteva in preghiera i suoi or-fanelli e correva subito. Ebbe così delle belle consolazioni:tra gli altri, il farmacista Cananzi e il celebre giureconsultoe uomo politico Francesco Faranda furono da lui riconciliaticon Dio e assistiti fino all’ultimo.

Ricordo che il senatore Ludovico Fulci, noto esponentecapo della massoneria, non aveva fatto battezzare il suo fi-gliuolo. Un giorno il Servo di Dio si presenta al senatore,che si dichiara onorato della visita del P. Francia e pronto aservirlo in tutto quello che gli possa occorrere. E il Padre su-bito – Ecco quello che mi occorre ora: ho bisogno di battez-

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zare il suo bambino. – Al P. Francia non si poteva dire di no;e al battesimo del figlio, il Servo di Dio, presto aggiunse lalegittimazione del matrimonio dei genitori.

A suo tempo il Servo di Dio volle preparare personal-mente il suo figlioccio alla prima Comunione e l’accompa-gnò all’altare nella funzione che volle solenne, celebrata dalP. Vitale.

4. Col Prof. Tommaso CannizzaroFrequenti relazioni egli aveva col poeta e letterato mes-

sinese Tommaso Cannizzaro, che riceveva ben volentieri ilP. Francia. Egli si professava ateo, e quindi i discorsi e lediscussioni, iniziati generalmente con la lettura di versi chereciprocamente si scambiavano scendevano subito sul ter-reno religioso. La sua ottima figlia ci ha dato copia di unalettera del Servo di Dio a suo padre, in cui gli illustra la di-vinità di Gesù Cristo.

Il Professore aveva dichiarato di riconoscere Gesù Cristocome sublime figlio di Maria; e il Padre incalza: «Ella dadove trae la conoscenza di G. C. come uomo sublime, chescacciò i farisei, che consolò gli afflitti ecc.? Certo dal Van-gelo. Orbene, i santi Vangeli sono pieni della divinità di GesCristo... Gli evangeliti ce lo presentano in tutta la sua vitacome Uomo e come Dio. Nacque bambino nella grotta: eccol’Uomo. Gli Angeli sulla grotta scendono e cantano, e unAngelo l’annunzia ai pastri, dicendo loro: vi do una notiziad’immenso gaudio: è nato il Salvatore del mondo. Ecco ilDio. – A trent’anno entra in Gerusalemme, predica e consolagli afflitti: ecco l’Uomo. Opera stupendissimi miracoli, ri-suscitando i morti, moltiplicando i pani ecc.: Ecco il Dio. –

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I Giudei lo vilipendiano ed Egli tace: ecco l’Uomo. I suoidiscpoli col solo nome di Gesù scacciano i demoni e guari-scono gli ammalati: ecco il Dio».

E continuando di questo passo, arriva alla conclusione:«Io le auguro adunque, professore carissimo, che la Fede inGesù Cristo entri luminosa e splendida nella sua mente e nelsuo cuore, e vi accenda la bella fiamma di amore divino perGesù Cristo vero Uomo e vero Dio: e questo lume e questofuoco siano tali che la sua conversione alla vera Fede sia in-tera, completa, perfetta, universale, affinché la Fede possaliberarlo dall’eterna perdizione e condurlo ad eterna sal-vezza».

Il Professore morì durane un’assenza del Servo di Dio daMessina, riconciliato con Dio. Le preghiere del Padre nonfurono vane.

5. La « Lettera agli Amici »Il Cannizzaro fu « uomo di molta bontà naturale, retto,

incapace di offendere chi si sia » come scrive il P. Di Fran-cia; il quale estende il suo pensiero a tanti e tanti, che infatto di religione si dicono atei o indifferenti, ma che nonrigetterebbero una buona parola, che aprirebbero la mentee il cuore alla verità rivelata, che potrebbero in sostanza es-sere guadagnati a Dio, mediante la grazia, se trovassero unamico sincero che si interessasse di loro.

Di qui viene l’idea della sua Lettera agli amici: un opu-scolo che diede alle stampe, in cui, illustrando in manierasemplice e piana, le verità della dottrina cristiana, invita isuoi lettori a pensare sul serio al grande problema della sal-vezza dell’anima, che è poi lo scopo finale della vita.

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La indirizza « ai suoi amici e signori, che egli ama comese stesso e il cui benessere e felicità desisdera e brama comedi sé medesimo» E rivolgendosi ad uno specifico destina-tario spiega: questa lettera « la ideai per quegli uomini deiquali, o per mia conoscenza personale, o per relazioni altrui,o per fama, ho conosciuto aversi doti ammirevoli di mentee di cuore, parendomi i più ben disposti per ricevere le pureespressioni del mio cuore, con pura imparzialità della piùretta ragione».

La lettera fu spedita a tutta Messina intellettuale, edanche a forestieri, negli ambienti ostili o indifferenti nelcampo religioso; e ci consta che dovunque fu accolta conrispetto , e, voglia il buon Dio, anche con frutto.

6. Interesse supremo: la salvezza delle animeMetteva sempre davanti gli argomenti della fede, perché

per lui l’interesse supremo era la salvezza delle anime.Quando, nel 1923, si indisse a Messina per la prima volta

il Concorso della bellezza, egli pubblicò su La Scintilla unafiera protesta, che termina con un vigoroso richiamo al «se-verissimo conto che da qui al breve termine della vita dob-biamo dare di ogni nostra azione a quel Supremo Giudice,il Quale ha detto che è meglio mettersi una macina al colloe gettarsi in mare, anziché essere causa di scandalo agli in-nocenti! E dopo il fiero passaggio da questo mondo, l’in-contro di una eternità felice per gli osservanti della divinalegge, pei praticanti della religione santissima di Gesù Cri-sto, e infelicissima per chi è vissuto alieno da Dio e dai suoidoveri religiosi, e che poi in un momento, come decrive ilVangelo, piomba nell’inferno ».

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7. Dare e darsiDare e darsi era la vita del Servo di Dio, non solo per le

anime ma anche per i bisogni temporali del prossimo.Ha scritto: « Ricordino i Rogazionisti che la nostra Pia

Opera è nata con questa santa missione di dare, e quanto piùdiamo, tanto più il Signore ci darà, avendo detto: unum datiset centum accipietis et vtam æternam possidebitis: per unoche darete vi sarà dato il centuplo e avrete la vita eterna ».E insegnava: « Se da una parte dobbiamo cercare noi imezzi della sussistenza per noi e per le Opere, d’altra partedobbiamo fare omaggio alla parola del Divin Redentore:beatius est magis dare quam accipere (At. 20, 35). Questafede nelle parole di Nostro Signore Gesù Cristo ci farà ri-cordare quello che Egli stesso dichiarò quando disse: quid-quid fecistis uni ex minimis meis, mihi fecistis (Mt 25, 40)».

Queste divine parole costituiscono il programma dellavita del Servo di Dio. Tutto e sempre vuole distribuire: pane,danaro, vesti; e quando non ha più assolutamente nulla dadare, darà il sorriso, la buona parola e la speranza di daredomani; farà sentire tutta la sua angoscia di non poter dareper il momento: si sente lui mortificato.

Nelle sue case ci dev’essere ogni giorno la caldaia peipoveri, nessuno mai dev’essere rimandato senza soccorso.Avendo saputo che una volta una superiora aveva licenziatoun povero a mani vuote, perché, essendo la casa all’inizio,in quel momento non si trovava proprio nulla, non volle pas-sar per buona la scusa e impose che facesse una novena dicarità; e cioè un soccorso straordinario per nove giorni atutti i poveri che si presentavano, i quali, dandosi tra lorol’intesa, in quei giorni non furono pochi.

Letteralmene vero quello che di se stesso scriveva con

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semplicità: mi sembra di avere un legame di santa amiciziacon tutti sulla terra... ricchi o poveri, signori ed operai,umile e misera gente o alta aristocrazia. Ho veduto un miofratello, un mio signore in ognuno, e ciò che di meglio hodesiderato per me, in questa vita e nell’altra, l’ho deside-rato ugualmente per tutti.

Il suo cuore era immenso: le pene di tutti vi trovavanol’eco di una compassione fattiva e le lacrime di tutti gli af-flitti vi scendevano roventi e ne provocavano quel fiume dicarità, che andava allargando sempre più i suoi argini e pro-cedeva con abbondanza sempre più piena e fecondatrice.Famiglie decadute, operai senza lavoro, giovani pericolanti,studenti impossibilitati a continuare gli studi per mancazadi mezzi, afflitti di ogni maniera, perseguitati da sventuresenza nome e senza riparo: tutti ricorrevano a lui, che met-teva tutte le sue ore a disposizione di tutti, e tutti in lui tro-vavano il consolatore e il padre.

8. Pei sacerdoti e le comunità religioseTenerezze più che paterne serbava ai sacerdoti poveri e

alle comunità bisognose.Scriveva pei suoi figliuoli: «Non si può fare a meno di

sentirsi commuovere e allargare la mano verso quelli cheappartengono al Signore Nostro Gesù Cristo, con grande il-limitata fiducia nella divina promessa, quando si leggonoqueste parole del Profeta Malachia ( 3, 10ss): – Portate tuttila decima alla dispensa, affinchè quelli della mia casa ab-biano da mangiare, e fate prova di me, dice il Signorre, seio non aprirò le cateratte del Cielo e non verserò sopra divoi benedizioni in abbondanza. E per voi sgriderò i divora-

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tori (cioè: farò fuggire gli insetti che divorano le messi: ibruchi, le locuste ecc.) e non guasteranno i frutti dei vostriterreni e non sarà vigna sterile nelle vostre campagne, ebeati vi chiamerano tutte le genti, perché il vostro sarà unpaese invidiabile ».

9. « Un modo di agire che ha dello strano »Si regolava secondo questi principi; ed ecco come si giu-

stifica dinanzi alla richiesta di spiegazione, da parte del Vi-sitatore Apostolico Mons. Francesco Parrillo.

« Debbo rivelare a V.S. Rev.ma – che per noi rappresentala Suprema Autorità – un modo di agire, che ha dello strano,come io mi sono condotto in quaranta e più anni che mitrovo nel campo delle opere di beneficenza.

» Ho avuto una grande premura per gli orfani e per i po-veri, e sta bene; ma ho avuto una specie di presunzione divoler dare, non solamente per le opere da me intraprese, maanche per opere buone altrui: non solo per le persone interneda me prese negli Istituti, ma anche per poveri mendicanti,e specialmente per Case Religiose. Mi sono affidato a quelladivina parola: unum datis et centum accipietis, e a quell’al-tra: date e vi sarà dato: misura piena, pigiata, coagitata, ri-boccante sarà versata in seno a voi. Il dare l’ho riguardatocome segreto infallibile di continua Provvidenza.

» E la mia speraza in Dio non è stata delusa. Nostro Si-gnore, per sua infinita bontà, in ogni lato ci sovrabbonda didivina provvidenza. Per cui debbo notare che le mie elargi-zioni, in verità, nei rapporti dei nostri Istituti e delle personeinterne, non si potrebbero dire inconsiderate; poiché, pergrazia di Dio non ho mai fatto mancare nulla, in primo

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luogo agli interni; ed è sulla esuberanza di oggi che si è cer-cato di fare degli impieghi sul Banco della Divina Provvi-denza, senza molto festinare in crastinum.

» Ho chiuso gli occhi specialmente quando si è trattatodi aiutare religiose e case religiose. Dovrei dirlo? Glielodico in stretta confidenza: ad un Monastero decaduto di Na-poli, detto delle Monache di Stella Mattutina, una decina dianni or sono, ho elargito centoventimila lire. A molti mona-steri salesiani di S. Francesco di Sales in Italia e alcuni inFrancia, facciamo elargizioni, che assommano a parecchiemigliaia di lire mensili. Le Salesiane di Bologna, per gravicircostanze in cui si trovavano, si ebbero da noi lire trenta-mila. Clarisse, Carmelitane, Domenicane ecc. hanno soc-corsi mensili, dati i tristi tempi in cui le monache di clausuraperiscono e sono le vere vittime del secolo (1).

Così pensava ed operava il Servo di Dio; e la stranezza ela presunzione di cui umilmente si accusa, non gli merite-ranno certo alcuna condanna.

Il popolo di Messina invece lo aveva compreso e lo giu-dicava diversamente e lo aveva battezzato con un nome cherispondeva perfettamente alla sua natura: Padre dgli orfanie dei poveri; e non possiamo dimenticare la parola signifi-cativa colta sulle labbra di un popolano, alla morte del Servodi Dio: si è chiusa la bocca che non disse mai no!

(1) Per intendere la portata di queste beneficenze si tenga presente ilvalore del denaro ai tempi del Servo di Dio.

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1. « Me l’hanno fatta piangere... a tre anni! »

Chiuderemo con alcuni episodi che rivelano la tenerezzadel suo cuore.

Nell’orfanotrofio di Taormina trova una bimbetta di treanni che strilla inconsolabilmente. Si ferma a guardarla,s’intenerisce e piange. Apprende dalla suora che la bambinanon vuole il latte.

– Oh! Lascia, lascia, perché farla piangere così?E presa la bambina per mano, la mena nella sua stanza,

ripetendo con voce accorata: – Povera figlia mia. me l’han-no contristata, me l’hanno fatta piangere... a tre anni!

E la riconsegna alla suora solo dopo che il sorriso schiettoe sonoro ritorna sul labbro di quella innocente.

2. « Non sono forse io vostro padre/ »

Ancora a Taormina. Due giovanette dell’orfanotrofio sen-tivano particolarmente il peso della loro sventura: non ve-nivano mai chiamate al parrlatorio, né ricevevano regali,

CAPITOLO XVIII

ANEDDOTICA

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perché non avevano parenti. Ed ecco che il Servo di Dio faloro pervenire un pacco ciascuna, con l’invito: – Vostropadre vi attende in parlatorio.

E in parlatorio si fece trovare lui, che le accolse col piùamabile sorriso!

Allo stupore delle ragazze:— E che? – protestò– non sono forse io vostro padre?

3. « Il Signore non ci lascerà digiuni... »

Ad Oria una volta si presentò un poveretto, a cui si trovòad aprire la porta il Servo di Dio. Egli andò a refettorio, eraccolto il pane dai posti, giacché non c’era altro lo portò alpoveretto.

— Padre, – protestava il refettoriere – veda che ormai èl’ora del pranzo e non c’è pane per la comunità.

— Il Signore provvederà certamente, non ci lascerà di-giuni...

Mentre la campana della chiesa suona l’Angelus, unadonna viene alla porta, con un gran cesto di pane caldo fu-mante: chiede che una pagnotta le sia restituita benedettadal Padre, il resto vada ai bambini.

4. Vito Morabito

Una sera d’inverno del 1915 il P. Vitale arrivò a Reggioa tarda ora. Buio fitto, ché si era in guerra, e pioggia dirotta.Un facchino gli prese le valigie e si offerse di accompa-gnarlo ad un albergo sicuro; ma c’era folla e si dovette sten-tare abbastanza per trovare un alloggio.

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— E quanto ha dato a quel poveretto? – chiese subito ilPadre, come intese il fatto.

— Due lire, Padre –. I tempi allora erano altri e il pove-r’uomo ne era rimasto contento.

— Troppo poco, troppo poco – rilevò il Padre – Sa comesi chiama?

— Vito Morabito, mi ha detto.E il Servo di Dio scrisse sul suo taccuino: Vito Morabito;

aggiungendo:— Come andrò a Reggio lo cercherò alla stazione e lo

compenserò.Pensiamo che il compenso l’abbia dato: queste cose al

Padre non sfuggivano.

5. L’acquaioloUn giorno un portatore di acqua, essendo sdrucciolato,

ruppe il barile, si fece sangue ad un piede e uscì in bestem-mie.

Il Servo di Dio lo redarguì, minacciandogli i divini casti-ghi. Il poveretto, rimasto confuso, gli domandò perdono.Egli allora gli asciugò il sangue col suo fazzoletto, lo ac-compagnò alla vicina farmacia Frasti per la medicatura e,avendo saputo che il barile costava cinque lire, gliene diedeventicinque per comprarne due e il resto lo tenesse per igiorni di degenza a casa.

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6. « Quest’infelice avrà di che sfamarsi...»

Una volta il Padre rientrò in casa accompagnato da unuomo che portava un grosso cesto di frutta, certo non diprima qualità.

— Eh, Padre, che ne facciamo di questa roba inservi-bile? – azzardò l’Economo.

— Figlio benedetto, quest’uomo deve pur vivere: chivuoi che compri questa roba? Faremo lo scarto, ma questoinfelice avrà di che sfamarsi.

7. « Costringeremo la Provvidenza »

In tempi di strettezze, bisognava accrescere la carità: erail mezzo sicuro per uscirne lietamente.

Un giorno presenta un giovane disoccupato da assumerecome operaio.

— Ma, Padre, sa bene che non abbiamo denaro: comecopriremo le spese?

— Appunto per questo bisogna pigliare questo poveretto:facendo la carità costringeremo la Divina Provvidenza a ve-nirci in aiuto.

8. « Vedi i miracoli della Providenza »

Andando a Roma col P. Carmelo, allora studente, gli do-mandò quanti soldi avesse.

— Cento lire, Padre!— Troppo poco: comunque, dammele.

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Inutile protestare che, almeno cinquanta erano indispen-sabili pel biglietto di ritorno... Le volle tutte: le mise in unabusta e andò a consegnarle a un sacerdote povero, che avevavisto nell’altro scompartimento del treno.

Intanto un signore domandò al P. Carmelo chi fosse quelsacerdote; e, inteso che si trattava del P. Francia, si rallegròdi aver incontrato un sacerdote di cui aveva inteso parlaretanto bene, e, tornando il Padre al suo posto, andò a salutarloconsegnandoli una busta.

Vi trovarono mille lire; e il Padre fece osservare al gio-vane: – Vedi i miracoli della Provvidenza: se avessimo datocinquanta lire, ne avremmo avuto cinquecento; ne abbiamodato cento e il Signore ce ne manda mille!

9. Tre Padri CappucciniUna sera d’inverno, sotto l’acqua erano scesi alla stazione

di Oria, con l’ultimo treno, tre Padri Cappuccini. Li avevaincontrati il nostro Fratello Giuseppeantonio Meli e avevainteso che, parlottando tra loro, avevano deciso di indiriz-zarsi al Seminario per l’alloggio.

Come lo seppe il Servo di Dio, rimproverò il Fratello pernon aver offerto l’ospitalità nella nostra Casa, e subito volleche, nonostante la notte avanzata e la pioggia, munito di lan-terna, li andasse a cercare per invitarli. Il Fratello li trovòdifatti dietro il portone del Seminario, che a quell’ora nonsi apriva.

Accettarono quei buoni Padri, e il Servo di Dio prima diogni cosa si profferse di scuse, e poi fece preparare l’acquacalda e volle loro lavare i piedi. Andò quindi in cerca di co-perte perché non soffrissero il freddo e poiché queste scar-seggiavano, per la povertà della Casa, cedette le sue.

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10. «Non volevo partire senza darti la mia benedizione»Nell’ottobre del 1926 si trovava ad Oria: sentiva avvici-

narsi la fine. Non ebbe la forza di salire a S. Benedetto, laCasa femminile, ma invitò le Suore a scendere a S. Pa-squale, la Casa maschile, per riceversi la sua benedizione.Come la comunità fu schierata davanti a lui domandò pre-muroso: — E Sammeri dov’è?

Sammeri era un’antica orfanella che, compita la sua edu-cazione, non volle lasciare l’Istituto, ma vi rimase come fi-glia della casa. Il Padre non poteva dimenticare questaantica figliuola. Gli fu detto che era stata impossibilitata avenire, perché tormentata dai calli. Mandò subito a pren-derla in carrozza.

Come venne:— Figliuola, non verrò più in Oria e non volevo partire

senza darti la mia benedizione, Per i calli raccomàndati a S.Carlo Borromeo, che soffrì molto per questi ed è il patronocontro questo incomodo...

11. La pecorella al macellaioAveva visto in giardino una pecorella, regalata da un be-

nefattore. Ecco venire alla porta un povero che chiede l’ele-mosina per sé e per la famiglia. Intanto, pane non ce n’è...Denaro.... Il Servo di Dio ha le tasche completamente vuote!

— Che fa costui?— Il macellaio, Padre.Gli balena subito un’idea luminosa e il suo volto si ac-

cende di gioia improvvisa:— Bene, bene: dategli la pecorella: non può avere mi-

gliore destinazione.

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12. Uno scambio di piatti

Un giorno ordinò in cucina pranzo di gala.All’ora precisa entrarono gli invitati; il rifiuto dell’uma-

nità, accozzaglia di poveri cenciosi, che sono i marchesi, iprincipi della sua grande fede.

Si asside giulivo in mezzo a loro e comincia la festa. Mail suo vicino ha meno degli altri conoscenza con la puliziae con l’igiene, e imbratta quel piatto di pasta con gli scolidel naso e della bocca... Un attimo... e il Padre cambia ilsuo piatto con quello del povero. La suora che serve se n’èaccorta ed accenna ad un grido di orrore... Uno sguardo delPadre le impone di tacere, ed egli vuota il piatto con ecce-zionale avidità.

13. Zi’ Giacomo

Un vecchio domestico, Zi’ Giacomo, aveva lavorato lun-ghi anni nella casa; ora vi si aggirava, appoggiato ad unamazza contorta e bitorzoluta, che gli era capitata tra le mani,ma che non gli rendeva buon servizio.

— Povero vecchio! – disse il Padre come lo vide – cosìnon va, non va.

E la prima volta che ritornò in casa, portò un magnificobastone di lusso, col manico curvo e comodo, e corse difi-lato da Zi’ Giacomo, con un bel pacchetto di dolci:

— Ecco, pigliate tutto; l’ho scelto proprio per voi.

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14. « I poverelli sono nostri padroni »

Era sceso alla stazione e andava verso casa nella carrozzadell’Orfanotrofio: una carrozzella umile, tirata da un umilegiumento, guidata da un umile religioso.

Col Servo di Dio viaggiava un Fratello Coadiutore e unaSuora. Erano quasi le dodici.

Man mano che si avvicinavano all’Istituto, il Padre si af-facciava al finestrino e si profondeva in inchini e sorrisi, cheandavano sempre crescendo. Ma la Suora non sapeva ren-dersi conto di quei saluti così rispettosamente cordiali, epensava: – Quanti amici avrà il Padre in questo paese! matutti si son dati appuntamento a quest’ora? possibile? – ealla prima occasione allunga lo sguardo furtivo fuori del fi-nestrino e s’avvede con meraviglia di una turba di poveriluridi e cenciosi, che venivano dall’Orfanotrofio dopo averricevuto la minestra quotidiana.

Il Servo di Dio afferrò a volo il pensiero della Suora, e: –Figliuola – disse– non impressionarti se saluto così: i pove-relli non sono i nostri padroni?

15. Lo stormo dei passerotti

Ancora un tratto degno dei Fioretti.Abbondante era caduta la neve, e, dietro i vetri della fi-

nestra, il Servo di Dio, osservava uno stormo di passerotti,che volava smarrito, nella vana ricerca di becchime sopraquel bianco lenzuolo.

— Poveri uccelletti, sono anch’essi creature di Dio!E chiama: – Fratello, porta delle briciole per sfamare que-

sti animaletti.

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Il Fratello tornò subito con abbondante provvista; e ilPadre:

— Questo non basta: i chicchi sprofondano nella neve evannoperduti.

Bisognò andare a trovare una tavola, e sulla tavola fu im-bandito il banchetto e i passeri fecero festa a laude di Dio.

16. « Al P. Francia potevo dire di no? »

Un fattorino postale era stato licenziato per manomis-sione di corrispondenza e furto, proprio a danno del Servodi Dio. Qualche giorno dopo, il Direttore Provinciale feceriassumere in servizio il fattorino postale e cestinare la pra-tica che lo riguardava. A chi gli faceva le meraviglie con-fidò: – Non ho potuto fare a meno. Ieri sera è venuto atrovarmi il P. Francia, mi s’inginocchiò davanti perorandola causa di quel disgraziato con moglie e figli ecc.: « Io l’hoperdonato e deve perdonarlo anche lei », protestando chenon si sarebbe alzato se non l’avessi esaudito. Al PadreFrancia potevo dire di no?

17. « Non ha il coraggio di venire da me...»

Una sera d’inverno il Cav. Musicò incontra il Servo diDio nella strada, che andava col Fratello Mariantonio. tuttie due carichi di roba che nascondevano sotto il mantello.

— Padre – gli chiede il Musicò – che va facendo aquest’ora, con questo freddo e con l’acqua?

— Non si può pensare al freddo e all’acqua quando al-

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l’isolato... c’è una famiglia che muore di fame...Non ha ilcoraggio di venire da me; e bisogna che ci vada io.

18. La fine del bestemmiatore

Un episodio, a cui è legato purtroppo il ricordo di unatragica fine.

Alla stazione di Oria, il Servo di Dio un giorno s’imbattein un manovratore sconvolto dalla rabbia, che bestemmiavacome un turco.

— Perché bestemmi?! – gli chiede.— Ho perduto il portafogli con 50 lire...Il Padre non s’accorse, o finse di non accorgersi della

montatura: l’operaio voleva sfruttare la sua ben nota carità.— Ebbene: eccoti le cinquanta lire; ma non bestemmiare

più, se vuoi sfuggire al castigo di Dio.Il bestemmiatore intascò i soldi ma non si diede cura di

emendarsi, e, purtroppo, non molto tempo dopo, fu schiac-ciato tra due respingenti di un treno.

19. La zanzariera per la bambina

Una volta a Taormina osservò che un’orfanella era pal-lida.

— Ti senti male? – domandò.— Padre, la notte non posso dormire per le zanzare.Il Servo di Dio chiama la Superiora e le dice di mettere

al letto della ragazza la zanzariera che avevano preparatoper lui: « E state attenta – ammonì – a chiedere conto alleAssistenti della salute delle bambine ». E conchiuse ripe-

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tendo la sua frase: « La più piccola delle orfanelle vale piùdel Fondatore e della Madre Generale.

20. Le scarpe per Tommaso

Tra i poveri che frequentavano il Convento di S. Pasqualein Oria, ricordiamo un certo Tommaso, ridotto quasi alla ce-cità più che per un difetto fisico per mancanza di puliia.

Un giorno il Servo di Dio lo fece ripulire e vestire anuovo. Mancavano però le scarpe, e diede ordine di cercarlefra tante paia che erano in magazzino.

L’incaricato – Saro Marchese – le prova tutte: non ce n’èadatte per Tommaso. E va dal Padre a riferire, e il Padre: –Va in chiesa, di’ tre Pater, Ave e Gloria a Gesù Sacramen-tato, e troverai le scarpe.

Le preghiere vengono fatte, ma l’esito è negativo: lescarpe sono tutte irrimediabilmente piccole! E Marchesetorna dal Padre. Questi lo rimanda a pregare con fede...

— Pregare sì, – borbotta quello fra i denti – ma le scarpenon ci sono... – E torna per la terza o quarta volta dal Padre,sfiduciato e non perfettamente calmo.

— Vieni con me – gli dice il Padre. Vanno insieme inchiesa a pregare ancora; e quindi al magazzino, dove Tom-maso era in attesa.

Il Servo di Dio dà uno sguardo alla massa delle scarpe e,accennando ad un paio, dice risoluto: – Metti quelle!

Quelle scarpe sembravano fatte a misura!Il Marchese conchiude: – Mi congedai dal Padre e

piansi...

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1. Il sogno di lunghi anni: una Casa a Roma

Sul finire della vita del Servo di Dio, il Signore volle co-ronare il suo sogno di lunghi anni: aprire una Casa a Roma.

Aveva tentato più volte, e sempre con esito negativo, oper un motivo o per un altro; ma egli non si era mai stan-cato: Roma restava la sua mèta. « E ciò – scriveva – nonper umana ambizione – che Dio ce ne guardi! - ma perpoter innalzare il sacro vessillo del dimenticato comandodel Signore Nostro Gesù Cristo: Rogate ergo Dominummessis, ut mittat operarios in messem suam; innalzarlo,dico, nell’eterna Città, che è il centro del Cattolicesimo,dov’è la Suprema Sede della Chiesa docente, impersonatanel Pontefice Sommo, Vicario infallibile di Gesù Cristo, laquale è la grande depositaria di tutta la dottrina evangelica;ed è il Sommo Pontefice appunto, giusta l’espressiva paroladel S. Padre Benedetto XV, di santa memoria, quandosiamo stati ai suoi piedi, Colui il quale più di tutti deve in-teressarsi di questo gran Comando dato da Nostro SignoreGesù Cristo ».

CAPITOLO XIX

VERSO LA PATRIA

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Come si vede, sempre il rogate! la sua passione, la suafissazione, la stella della sua vita!

Nell’ottobre del 1924 poté acquistare un discreto localecon vasto appezzamento di terreno, fuori porta S. Giovanni,nel Quartiere Appio sulla via Circonvallazione. Il disbrigodi tutte le pratiche per il contratto, un complesso di ecce-zionali fatiche per la sistemazione del locale, con l’aggiuntadella dimora in ambiente umido in tempo rigido – l’invernodel 1924 – scossero l’organismo ormai logoro più che daglianni dalle fiamme dello zelo. Rimase quaranta giorni a lettoe poté rientrare in Messina il 15 dicembre, che era addirit-tura disfatto.

Il 20 gennaio del 1925, giorno in cui Messina celebravala festa della Beata Eustochio, quando le orfanelle si eranorecate in quella chiesa a pregare la Beata per la guarigionedel Padre, cominciò decisamente la ripresa, che permise alServo di Dio di poter ben presto rimettersi al lavoro, e ri-prendere i viaggi nel continente.

Preparò il Numero Unico per la Casa di Roma, che egliinaugurò la mattina del 24 maggio, festa di Maria SS. Au-siliatrice, consacrando la Casa al S. Cuore di Gesù e allaSS. Vergine e presentando ai SS. Cuori il primo orfanello.

Quella fondazione fu iniziata come orfanotrofio maschileinfantile tenuto dalle Figlie del Divino Zelo.

Ma la salute del Padre era ormai scossa: non si ripresepiù; egli però fino all’ultimo non volle rimettere della suaattività: le sue opere, i sui orfani rimasero il costante pen-siero e la preoccupazione di tutti i suoi giorni e quando sitrattava di operare per la salvezza delle anime egli traevaenergie sempre nuove dalle fiamme del suo zelo.

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2. Nunc dimittis!...

Il 1926 fu per il Servo di Dio l’anno della grande miseri-cordia divina per l’Opera: le due Congregazioni religiosedei Rogazionisti e delle Figlie del Divino Zelo si ebbero fi-nalmente la loro approvazione canonica.

E fu così.Era sceso a Messina Mons. Francesco Parrillo, Uditore

della Sacra Romana Rota, incaricato dalla S. Sede per unavisita agli Istituti. In verità egli era prevenuto contro di essi,né pare che le sue prevenzioni siano cadute dopo la visita.Egli però aveva parlato col Servo di Dio; e la sua figura, ilsuo atteggiamento, il suo spirito lo avevano colpito profon-damente. Passò insonne una notte trvagliata...

Quando il giorno appresso il P. Vitale andò per qualchechiarimento, Monsignore gli aprì pienamente e candida-mente il suo animo: egli pensava alla soppressione del-l’Opera, ma ormai era convinto che sarebbe stato andarecontro la volontà di Dio: « Stanotte non ho potuto chiudereocchio: avevo dinanzi a me la figura di un santo, di uno chemi diceva: Dio è con me! Ho ripassato nella mia mentequanto avevo visto e inteso: le parole dell’uomo di Dio e ilretto fine e l’andamento delle sue Opere, e sentivo una voceche mi rimproverava delle mie intenzioni. Ho dovuto con-vincermi che ho sbagliato e mi trovo dinanzi a un Operasanta che il Signore vuole e che si deve favorire ad ognicosto».

E di ritorno a Roma egli stesso s’impegnò al disbrigodelle pratiche necessarie, sicché l’Arcivescovo di Messina,Mons. Angelo Paino, il 6 agosto di quell’anno 1926, festadella Trasfigurazione del Signore e primo venerdì del mese,

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poté emettere i due decreti con cui erigeva le due Congre-gazioni religiose e ne approvava le Costituzioni.

Il 1910 in una lettera al P. Palma, il Servo di Dio avevascritto: « Prego il Signore che possa dire: nunc dimittis...quando vedrò fiorire la pianticella, in modo da essere asso-data per dare i suoi frutti. Fidiamo nel Cuore dolcissimo diGesù Sommo Bene, nella sua SS. Madre e nei nostri cariAngeli e Santi. Intanto, quello che possiamo fare facciamolonel Nome SS. di Gesù! »

Egli aveva fatto tutto quello che aveva potuto fare ed eraormai giunto al nunc dimittis...

Anche in quell’anno aveva fatto la consueta visita alleCase. La notizia dell’approvazione canonica lo raggiunse aTrani, dove qualche giorno dopo, e proprio il 15, festa dellaMadonna SS. Assunta, il Signore gli imponeva una nuovaprova, col chiamare a Sé una delle prime Suore e delle piùfedeli, Suor Maria Carmela D’Amore. Egli l’assistè nellamalattia e ne fece un magnifico elogio, che è stato dato allestampe.

Poi si spinse fino a Roma, ripassò da Oria e il 15 Ottobrerientrò in Messina.

3. La malattia

La mattina del 24 gennaio del 1927 il Padre non si alzò:quella notte la malattia aveva ripreso a tormentarlo e, conalti e bassi, lo portò alla fine.

Il 20 febbraio, domenica di Sessagesima, celebrò l’ultimavolta; d’allora in poi dové contentarsi della SS. Comunione.Era un sacrificio che gli costava assai, ma egli si consolava:

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« Voglio fare la volontà di Dio. La volontà del Signore staal di sopra di tutte le cose, anche della S. Messa ».

Il 15 marzo, martedì, chiese l’estrema Unzione, che glifu amministrata, per suo desiderio, dal P. Ernesto Fochesato,dei Camilliani: riteneva di assicurarsi così la particolare pro-tezione di S. Camillo per la sua ora estrema.

Don Orione, come seppe della sua malattia, il 16 marzogli inviò un « telegramma riboccante di fraterna carità » alquale egli rispose come « gli dettava il cuore». Il giorno ap-presso gli dà conto del suo stato: «Son divenuto impotentea leggere, a scrivere e a pensare molto. Mi trovo tra la vitae la morte, tanto il giorno quanto la notte. Non voglio senon quello che vuole Gesù. Molte preghiere si fanno per memisero, ma nove decimi li ho ceduti ai sofferenti come me,che non hanno i miei mezzi e le mie assistenze ».

E qualche giorno dopo, ricevendo da don Orione assicu-razione di preghiere da lui fatte all’Arca del Santo a Padovaper la sua guarigione, l’11 aprile risponde con questa lette-rina che resta come il commiato dall’amico del cuore emette il suggello a tutto il suo epistolario: « Grazie mille diavermi raccomandato al glorioso S. Antonio. Il mio stato ègrave, ma il gran Santo è assai potente. Parmi di essere unuomo distrutto. Vivo in un’estrema debolezza. Sforzi su-premi per cibarmi. Stato interiore: desolazioni spirituali!Anzitutto fiat in me voluntas Dei e l’amore del mio Gesùmi consumi! »

Frattanto, pur in mezzo alle desolazioni, il suo spirito siuniva sempre più intimamente al Signore. Deo Gratias! DeoGratias! ripeteva sempre, in tutte le occasioni, specialmentenei suoi dolori e nelle avversità, che non gli mancarono finoall’ultimo: – Sia sempre fatta l’adorabile volontà di Dio!

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4. Fiat, Domine, voluntas tua!

Scrive il suo infermiere: « Si dilettava ad udire lettureadatte ad invogliarlo a questa soave sottomissione e conclu-deva: – Così è: anche la mia malattia è volontà di Dio, cheveglia su di me. Sono sotto il torchio del divino volere. Egli,quando gli pare, calca e allenta le mie sofferenze: Fiat, Do-mine, voluntas tua, sicut in coelo et in terra ». A volte pre-gava: «Sono sicuro dei tuoi voleri, so che la mia sorte èdecretata; ma io ti domando, o Signore, la mia guarigionecon fervore, perché l’ubbidienza dei superiori me l’im-pone».

Egli guadagnò certamente il merito dell’obbedienza, maDio volle il sacrificio.

Quante lezioni in quei giorni terribili ci dava la sua virtù!« Figlio, – disse un giorno ad uno dei suoi sacerdoti – iprego il Signore che non ti faccia mai provare questo pa-tire». E aggiunse una volta: « Quanto soffro! Nostro Signoresoffre ogni volta che vede soffrire i suoi eletti. Ma io glielodico a Gesù: – Questo è niente, Gesù, questo è niente; nonvoglio che soffriate per me ». Dichiarava ancora: « Comesi vede l’effetto delle preghiere che si fanno per me! In certimomenti il patire è così acuto! Eppure che forza sento inme: e tutto mi viene da Nostro Signore! »

5. « Con Maria qui nel cuoreMorte in vita è tramutata! »

Aveva amato di singolarissimo amore la Divina Bambi-nella Maria. « Come sei bella - aveva scritto – o mia celesteBambina, con quel sorriso che ti sfiora le labbra! Oh! chi

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mi darà ch’io mi prostri accanto a quella culla, ch’io baciun lembo della coltre che ti copre, ch’io muoia di amore adun lampo di quegli occhi purissimi? »

La sua pietà seppe trovare tante pratiche geniali per ono-rarla.

Secondo la pia credenza, la Madonna, entrata trienne nelTempio di Gerusalemme, vi era rimasta 12 anni, dopo iquali andò sposa a S. Giuseppe.

Il Servo di Dio destinò una cappelletta della Casa di Ta-ormina a rappresentare il Tempio di Gerusalemme, dove laCeleste Bambina cresceva anno per anno. Le Suore rappre-sentavano le fanciulle ebree che stavano nel Tempio, chequi però dovevano servire questa eccelsa Signora, Madre ePadrona. Il 21 novembre era per lui data fissa: si partiva dadovunque si trovasse per non mancare all’appuntamentodella sua Divina Padrona. Quando la Madonna toccò i quin-dici anni, celebrò il suo sposalizio con S. Giuseppe, e ci fufesta, alla presenza dei Santi Gioacchino ed Anna. E quellacappelletta, decorata della presenza di così illustri perso-naggi, si chiamò e si chiama: « La stanza della Divina Su-periora ».

Ora che il suo Servo fedele si avvicinava alla fine del suoesilio terreno, la Bambinella dolcissima volle dargli unsegno del gradimento del culto avuto per Lei.

Una mattina, qualche giorno prima della sua morte, il suovolto si illuminò d’un tratto e lo sguardo si fissò ad un puntodella stanza... Egli prese ad esclamare rapito: – Vedi Fra-tello... com’è bella la SS. Bambinella Maria!... – e rimaseassorto nella dolce visione.

Trovava in questa maniera esaudimento la sua preghieraalla Madonna:

Ah, in quell’ora senza tregua,

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Quando tutto si dilegua,La terribile agoniaMuta allor nell’adorataTua presenza, o Madre mia!

La giornata del Servo di Dio era ormai compiuta. La seradel 31 maggio, recitate le ultime preghiere col fratello assi-stente, Michelino Lapelosa, si coricò dopo averlo benedetto.Passò qualche ora con crescente affanno e visibile soffe-renza. Ad un tratto un tremito scosse il letto. Il Fratello siavvicinò chiamando: Padre! Padre! Ma il Padre non ri-spose: era ormai l’agonia, che si protrasse per tutta la notte.Arrivato il P. Vitale, cominciò subito le preghiere dei mori-bondi, coi religiosi e le suore. Alle 6 il P. Gandolfo celebròla Messa degli agonizzanti. Alle 6,30 del 1° giugno 1927,mercoledì infra l’ottava dell’Ascensione, il servo buono efedele passava al riposo eterno.

Anche questo egli aveva cantato, vegliato dalla Madonna:Della morte il dì si affretta,Della morte io sento i tocchi...Chi mi veglia? Oh, la DilettaDel mio cor mi chiude gli occhi!Nun mi dica in quel momento:Egli muore, egli è spento!Con Maria qui nel cuoreMorte in vita è tramutata!

E noi possiamo piamente ritenere che questa vita piena,beata egli già goda in seno a Dio.

4. In attesa, preghiamo

La notizia della sua morte si diffuse in un baleno. Dalla

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città e dalle campagne fu un accorrere di folle per vedere«Il santo che dorme ».

Si chiudono i negozi, i muri sono listati a nero con grandistriscioni che annunziano: « Lutto cittadino per la morte delCan.co Di Francia », e una fiumana interminable si riversanella chiesa per venerare la salma.

L’Arcivescovo di Messina, Mons. Angelo Paino, nellasua notificazione scrive: « La ferale notizia che si è abbat-tuta sulle anime nostre, ahi quanto ci è triste! Il Can. Anni-bale Maria Di Francia non è più! Si è spenta la più vivafiamma di carità cristiana che per lungo ordine di anni abbiailluminato la nostra terra. Il sacerdote di Dio, sprezzantedegli agi del mondo, consumato soltanto dallo zelo per leanime, è volato al cielo onusto di meriti, portando nel cuoreil palpito per i suoi orfani, per il suo popolo di sofferenti,per l’avvenire sempre più fulgido e più cristiano della suaMessina ».

Il Vice Podestà ricorda ai cittadini: « Un uomo che tuttala sua vita e tutto il suo patrimonio spese per soccorrere leumane sofferenze; che con cristiana umiltà e con sublimespirito di umanità compì ed eresse opere grandiose di pub-blica assistenza; che per cinqunt’anni battè di porta in portaper raccogliere il fiore della carità; un uomo la cui esistenzafu tutta una missione ed un sacrificio; un uomo sì fatto nonscompare senza lasciare un solco profondo, una scia lumi-nosa di riconoscenza cittadina e di unanime venerazione ».

Messina visse in quei giorni tutta la intima profondità diquesto lutto, e l’Osservatore Romano scriveva: «Messinaha pianto come mai ha pianto ».

I funerali il sabato 4 giugno furono un trionfo, con l’in-tervento di tutti i sodalizi della città, delle scuole, Ordini re-

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ligiosi, Seminario al completo, lunga fila di Sacerdoti, Ca-pitolo con a capo l’Arcivescovo, Autorità civili e militari:corteo imponente che si stendeva per circa due chilometri.E poi la folla enorme, straripante: Messina era tutta lì con isuoi duecentomila abitanti, scaglionati lungo le vie percorsedal corteo, per salutare riverente e commossa la salma diquesto suo grande Figlio.

E ricordiamo le parole scritte venticinque anni prima dalsacerdote Silvio Cucinotta, a proposito dei carri militariusati per la passeggiata di beneficenza: « Un altro giornoun altro carro porterà in giro la salma di lui... Allora dai bal-coni e dalle verande e dalle terrazze, nel trionfo dell’ora,pioveranno rose e gigli...»

Ora la salma benedetta riposa nell’artistico tempio da luifondato.

La sua fama di santità va sempre crescendo e i ProcessiOrdinari per la sua beatificazione sono già passati all’esamedella S. Congregazione dei Riti

Preghiamo il Signore che si degni di glorificare sulla terrail suo Servo fedele.

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Prefazione pag. 11

Capitolo I - La vita secolare` » 131. Il primo e l’ultimo incontro - 2. Al collegio S. Nicolò3. L’abbraccio a poverello - 4. Alla scuola del Bisazza- 5. L’apostolato della stampa - 6. «Giustizia all’inno-cenza» - 7. Un ceffone bene assestato.

Capitolo II - Il Chiericato » 22

1. La vocazione - 2. « Oh, se vi fossero ancora deisanti!» - 3. Apostolato della parola - 4. Collaborazionea « La Parola Cattolica » 5. « Pregate il Padrone dellamesse! » 6. Sacerdote!

Capitolo III - Al quartiere Avignone » 31

1. Le cardenie di Cumìa - 2. L’incontro con Zancone -3. La « terra maledetta » - 4. Mano all’opera - 5. Le re-lazioni con il P. Cusmano- 6. I primi asili - 7. Tra spinee triboli il Rogate - 8. È un’opera sui generis - 9. Videe baciò Gesù Cristo - 10. Avvocato dei poveri.

Capitolo IV - Le difficoltà » 42

1. È Dio che pianta, non l’uomo - 2. « Madre... dammiconsiglio - 3. Ingrato ambiente - 4. Autorevoli incorag-giamenti - 5. La malattia del fratello - 6. La lotta perl’esistenza - 7. « O miei bambini, un dì verrà che voi...»- 8. Passeggiate di beneficenza - 9 Il lavoro dei ricove-rati - 10. Il pensiero dominante.

INDICE

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Capitolo V - L’ Apostolo del « Rogate » » 531. « Pel Rogate non diciamo nulla: vi si dedicò - 2. Ildivino comando - 3. Nel Rogate la grande risorsa dellaChiesa - 4. Supremo infallibile rimedio - 5. Programmadi vita - 6. Opportune e importune - 7. Tutto in funzionedel Rogate - 8. Tra il clero e tra i fedeli - 9 Operarii nonvuol dire solo sacerdoti - 10. Il gran mezzo di tutti i beni- 11. Oriens ex alto... - 12. Il pieno meriggio.

Capitolo VI - Le Congregazioni religiose » 661. Canonico e prefetto dei Chierici - 2. Da cosa nascecosa - 3. La visita del P. Cusmano - 4. I Rogazionistidel Cuore di Gesù - 5. Le Figlie del Divino Zelo - 6.L’anno di benedizione.

Capitolo VII - Il terremoto del 1908 » 781. Le orfane di P. Sòllima - 2. « In trenta secondi » - 3.Non è il caso o la natura - 4. Flagello di Dio più voltepreannunziato - 5. La protezione divina su gl’Istituti -6. Le vittime - 7. «Mio Dio! la mia Messina... » - 8. «Maria ci vuol far risorgere! » - 9 Le prime relazioni condon Orione - 10. « La S. V. viene proclamata nostro Di-rettore Generale ».

Capitolo VIII - Lo sviluppo degli Istituti » 901. In terra pugliese - 2. Due contrari affetti - 3. Le be-nedizioni di S. Pio X - 4. A S. Pier Niceto - 5. I criteriper le fondazioni - 6. Le fondazioni nei piccoli centri -7. A Trani - 8. Durante la guerra - 9 Il Tempio della Ro-gazione Evangelica.

Capitolo IX - L’Educatore » 991. Fine dell’educazione - 2. Il fondamento: la religione- 3. Anzitutto la pietà - 4. L’esempio dell’educatore - 5.Spirito di sacrificio - 6. Norme educative - 7. Punizionie premi - 8. Il lavoro.

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Capitolo X - Il Padre » 1081. « Mi chiamano Padre...» - 2. «In fatto di igiene, iomi ci picco un poco... » - 3. In mezzo ai bambini - 4.Correggere e incoraggiare - 5. Coi figliuoli soldati - 6.«Giammai sono stato così trafitto » - 7. Le Figlie delDivino Zelo a Padova - 8. La spagnola.

Capitolo XI - Oltre il recinto » 1201. Non si tirava mai indietro - 2. Bisogna predicareGesù Crocifisso - 3. La sua eloquenza - 4. Nelle grandioccasioni - 5. La commemorazione di Ludovico Win-dthorst - 6. Le geltrudine del Sacro Cuore - 7. Le Figliedel Sacro Costato.

Capitolo XII - Il pane di S. Antonio » 1331. Le ristrettezze economiche - 2. « Io sono prete » - 3.Tutti i bisognosi ricorrevano a lui - 4. Un’accusa che fadispiacere - 5. I debiti e i creditori - 6. La Provvidenzainterveniva sempre - 7. La prima conoscenza con S. An-tonio - 8. Il colera del 1887 - 9. Gli Orfanotrofi Anto-niani.

Capitolo XIII - « Fede e poesia » » 1451. Un tantino di vena del Parnaso - 2. « Ho scritto... per-ché ne sentivo l’estro » - 3. Il suo programma - 4. GliInni del 1° luglio - 5. Qualche saggio - 6. Poesia inprosa - 7. Sine labe.

Capitolo XIV - La sua vita interiore » 1561. Lo spirito di fede - 2. « Anzitutto obbedienza allaSanta Madre Chiesa! » - 3. I voti della fiducia - 4. Spi-rito di preghiera - 5. Umiltà - 6. Mortificazione - 7. Po-vertà - 8. Castità - 9. Obbedienza.

Capitolo XV - Gesù » 1721. «Innamoratevi di Gesù Cristo! » - 2. SS. Nome - 3.Gesù Bambino - 4. La Passione - 5. Il Preziosissimo

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Sangue - 6. Il Sacro Cuore - 7. « Ad maiorem consola-tionem Cordis Jesu! » - 8. Il 1° luglio - 9. La S. Messa- 10. la S. Comunione.

Capitolo XVI - Maria! » 1841. Il Nome di Maria - 2. Il cantore di Maria - 3. L’apo-stolo di Maria - 4. Confidenza filiale - 5. La « tesseraspeciale » dell’Istituto - 6. Industrie spirituali - 7. LaDivina Superiora - 8. La S. Schiavitù d’amore.

Capitolo XVII - La carità! » 1951. La virtù propria del Servo di Dio - 2. L’offerta dellasua vita - 3. Sempre si ricorreva al P. Francia - 4. ColProf. Tommaso Cannizzaro - 5. La « Lettera agliAmici» - 6. Interesse supremo: la salvezza delle anime- 7. Dare e darsi - 8. Pei sacerdoti e le comunità reli-giose - 9. «Un modo di agire che ha dello strano ».

Capitolo XVII - Aneddotica » 2051. « Me l’hanno fatta piangere... a tre anni » - 2. « Nonsono forse io vostro padre? » - 3. « Il Signore non ci la-scerà digiuni...» - 4. Vito Morabito - 5. L’acquaiolo - 6.« Quest’infelice avrà di che sfamarsi » - 7. « Costrin-geremo la Provvidenza » - 8. « Vedi i miracoli dellaProvvidenza » - 9. Tre Padri Cappuccini - 10. « Nonvolevo partire senza darti la mia benedizione » - 11. Lapecorella al macellaio - 12. Uno scambio di piatti - 13.Zi’ Giacomo - 14. « I poverelli sono nostri padroni » -15. Lo stormo dei passerotti - 16. « Al P. Francia potevodire di no? » - 17. « Non ha il coraggio di venire dame...» - 18. La fine del bestemmiatore - 19. La zanza-riera per la bambina - 20. Le scarpe per Tommaso.

Capitolo XVIII - Verso la patria » 2161. Il sogno di lunghi anni: una Casa a Roma - 2. Nuncdimittis!... - 3. La malattia - 4. Fiat, Domine, voluntastua! - 5. «Con Maria qui nel cuore - Morte in vita è tra-mutata! » - 6. In attesa, preghiamo.

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Questo volume trascritto a mano da P. Gioacchino Chiapperini nel mesedi Aprile 2018, corrisponde quasi fedelmente alla II edizione pubblicatacon i tipi delle Edizioni Paoline nell’anno 1967, pp. 230.