NO ALLA BOCCIATURA!

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Contro il sistema di valutazione, Contro le INVALSI, Contro il limite di assenze, Contro il 5 in condotta, Contro il voto numerico e contro lo strumento della Bocciatura. Una riflessione ampia e complessiva sui temi della valutazione e della didattica che provano ad interrogare il senso vero della Scuola Pubblica e il suo ruolo e la sua funzione nel nostro paese.

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Introduzione

Con questo documen-to vogliamo sviluppare un ragionamento circa il ruolo e la funzione dello strumento della boccia-tura all’interno del no-stro sistema formativo.Nonostante esso sia accet-tato oramai dalla maggior parte degli operatori che vivono le nostre scuole, il dibattito che lo ha accom-pagnato nel corso degli anni, dalla sua introduzio-ne ad oggi, è sempre stato molto ampio, investendo vari campi del “fare scuola”. Tale dibattito risulta inol-tre essere tornato centra-le soprattutto negli ultimi anni, con l’approvazione delle leggi 133 e 137 del 2008 (più nota come Rifor-ma Gelmini), con cui si è reintrodotto il voto di con-dotta e si modificavano le norme che disciplinano la promozione (sufficienza in ogni materia e il cosiddetto “limite delle 50 assenze”).Il tentativo che qui provia-mo a fare, è quello di ana-lizzare, nella maniera più completa possibile, tutte le implicazioni intrinseche ed estrinseche di questo metodo, ma soprattutto i suoi necessari legami con quelli che sono, da una

parte il modello di valuta-zione ad oggi vigente (e quindi le metodologie per cui si decide se bocciare o meno uno studente), e dall’altra la la didattica, interrogandoci quindi so-prattutto sulla figura del docente e sul suo rappor-to con il gruppo-classe.La tesi qui sostenuta, ov-vero quella dell’abolizione della bocciatura, vuole es-sere una provocazione pri-ma ancora che una riven-dicazione, per provare ad aprire nuovi e necessari ra-gionamenti sui concetti di fondo della “Buona Scuola” di Renzi: valutazione e me-ritocrazia. Concetti di cui molto spesso diamo per assunto alcuni connotati che non gli appartengono realmente. Per chi, come noi, prova a combattere questo ennesimo attacco al mondo della formazione, è necessario riuscire ad in-dividuare ed agire laddove le contraddizioni sono più evidenti, interrogando la materialità dei bisogni e dei problemi delle studentesse e degli studenti e creando sempre nuovi spazi di con-fronto e di partecipazione. La provocazione è quindi rivolta ad aprire una di-

scussione forte su un tema, quello della bocciatura, che ha da sempre diviso, tanto i docenti (tra giusti-ficazionisti e intransigenti), quanto gli studenti stessi.La domanda che lancia-mo, e a cui invitiamo tutti, docenti, studenti, presidi e genitori a rispon-dere, è quindi questa:“Cosa cambierebbe nel-la scuola se domani abo-lissero la bocciatura?”

A questa domanda prove-remo a dare durante tutto il testo degli incipit di ra-gionamento, consapevoli ovviamente che una rispo-sta esaustiva non esiste e che da sola l’abolizione della bocciatura non ba-sta al cambiamento che serve alla scuola italiana.Siamo però d’altra parte convinti che da questi temi passi una riflessione ampia sul senso stesso della scuola e dell’istruzione nel nostro paese e che solo riuscen-do ad avere un’ idea com-plessiva di essa si possano apportare le riforme di cui abbisogna il nostro siste-ma di formazione pubblica.

NO ALLA BOCCIATURA!La scuola ha un problema solo.I ragazzi che perde.

[Don Lorenzo Milani]

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In Europa i sistemi formativi sono fortemente vari ed ete-rogenei e risulta quindi osti-co operare un confronto tra i vari modelli, soprattutto se si vuole andare ad analizza-re la validità della bocciatura e i risultati da essi raggiunti.Premesso che le differenze si sostanziano soprattutto ri-guardo alla divisione in cicli scolastici e all’età dell’obbli-go scolastico (per la mag-gior parte dei paese 15-16 anni e solo in 7 paesi fino ai 18 anni di età) possia-mo operare una classifica-zione rispetto a tre modelli:1) quelli che non bocciano.2) quelli che bocciano solo alla fine di un ciclo.3) quelli che promuovo-no e bocciano ogni anno.Riguardo ai primi i paesi che applicano la promozione au-tomatica sono: Danimarca, Grecia, Irlanda, Cipro, Sve-zia, Regno Unito, Islanda, Liechtenstein e Norvegia (anche se nella prassi anche Finlandia e Malta sembrano adottare la stessa politica). In questi paesi la bocciatu-ra rappresenta un provvedi-mento da adottare solo in via del tutto eccezionale e deve essere concordata con i ge-nitori in seguito al parere di

professionalità esterne alla scuola (psicologici, medici e operatori sociali). In tutti gli altri casi gli studenti che mostrano difficoltà ricevono un supporto supplementare per colmare le proprie lacune.Inoltre in Regno Unito la va-lutazione è altamente fram-mentata per cui la tendenza non è quella di raggiungere ad un voto complessivo del-lo studente quanto più di una valutazione su singole mate-rie a cui è legato un partico-lare titolo di studio (che at-testa le “skills” possedute dal soggetto). Tali titoli vengono rilasciati da apposite agenzie esterne controllate dal gover-no che definiscono i program-mi e i moduli di certificazione.Il secondo caso invece è pro-prio della penisola iberica (Spagna e Portogallo) e della Francia, dove per cicli non s’ intende soltanto i gradi di scuola, ma di sottoinsiemi, più o meno lunghi, di due o al massimo 4 anni. Il caso francese è particolarmente interessante. Qui l’elementa-re è divisa in tre cicli (anno preparatorio, bienni ele-mentare e medio), la media in due bienni (adattamento e orientamento), la secon-da superiore in un biennio e

un anno terminale. Ad ogni biennio sono legati obietti-vi da raggiungere con cui si valuta la possibilità o meno di rimandare lo studente. Il terzo modello è quello a cui siamo abituati nel nostro paese che prevede una valu-tazione di anno in anno dello studente che può essere am-messo o rimandato nel caso in cui abbia raggiunto almeno la sufficienza in ogni materia. In alcuni paesi che adottano lo stesso metodo, vedi il caso della Germania, un’insuffi-cienza non porta irrimedia-bilmente alla bocciatura se essa viene accompagnata da un’adeguata motivazione del consiglio di classe (si possono “giustificare” fino a tre insuffi-cienze per la promozione!”).La tendenza Europea confer-ma quello che già con Fioro-ni, ma poi ancor di più con la Gelmini, si sta introducendo in Italia, ovvero una maggiore severità giovata in chiave se-lettiva e punitiva. “Una scuo-la che promuove tutti non è una scuola seria” le parole del ministro all’istruzione dell’ul-timo governo Berlusconi le ricordiamo tutti e danno bene l’idea di una scuola an-cora di stampo autoritario.

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Uno sguardo europeo

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Andiamo con ordine...

Partiamo da alcuni dati. L’Ita-lia si piazza tra i primi paesi in Europa dove si boccia di più. Secondo i dati OCSE Pisa, in-fatti, il 17% degli studenti che hanno assolto l’obbligo sco-lastico (che hanno compiuto cioè 16 anni) ha dovuto ripe-tere almeno una volta l’anno, contro una media europea del 12,4%. Le percentuali inoltre mostrando elevate disegua-glianze nel caso si prenda-no in considerazione istituti tecnici-professionali oppure i licei. Nel primo caso, infatti, il numero di bocciati aumen-ta quintuplicando quello dei coetanei ripetenti dei licei (25-33% per i tecnici-profes-sionali; 4-6% per i secondi).Questo dato sembra confer-mare un antico stereotipo per cui quelli capaci e preparati si inscrivono in un liceo mentre quelli che non hanno voglia di fare nulla scelgono “la via più semplice” del professionale.Un altro importante dato da tenere in considerazione è che le bocciature aumentano fino al 26% per gli studenti a basso reddito, e ancora più preoccu-

pante se si pensa ai figli degli immigrati per cui il 30% vie-ne bocciato almeno una volta.Se uniamo a queste ultime percentuali quella riguar-dante il dato di dispersione scolastica (20% come media nazionale, ma con punte del 25% nel meridione e nelle isole) è facile capire come la scuola non rappresenti anco-ra quello strumento di eman-cipazione individuale soprat-tutto per l’azione congiunta delle notevoli barriere che ne impediscono l’accesso e delle forze, come appunto la boc-ciatura, che ne spingono fuori.Spingere fuori dal percorso di formazione pubblico non fa altro che rafforzare le di-seguaglianze tra chi può per-mettersi un percorso di studi privato e chi invece è costret-to ad abbandonare e metter-si alla ricerca di un lavoro o “ritentare” lo stesso anno.Gli ultimi dati utili alla no-stra riflessione sono legati ai risultati prodotti dalla boc-ciatura e quindi da una parte l’indice di recidività (pari al 16%), ovvero di coloro i qua-

li vengono bocciati più volte, e dall’altra dal profitto scola-stico conseguito dagli stessi e dai suoi compagni di classe. Infatti le statistiche mostrano come il ripetente raramen-te l’anno successivo mostra dei decisi miglioramenti nel profitto scolastico, ma anzi, sempre le statistiche ci dico-no che le classi dove vengono inseriti bocciati sono inclini ad avere un abbassamento dei propri risultati complessivi.In conclusione un elemen-to da prendere in conside-razione, con le precauzioni del caso, sono legati al costo della bocciatura, che oscilla tra i 10mila e i 15mila euro, che ovviamente non posso-no essere visti semplicemen-te come sprechi (che indur-rebbe a vedere l’abolizione della bocciatura come ulte-riore opportunità di disinve-stimento) bensì come risorse necessaria per integrare atti-vità di recupero e di sostegno.

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La bocciatura costituisce il fallimento di tutta la scuola, non dello studente!

Quello che viene fuori dall’in-terpretazione dei dati è un modello di scuola fortemente selettivo, sia sul piano sociale che su quello territoriale. Le condizioni socio-economiche da cui gli studenti provengo-no sono spesso determinanti rispetto al loro percorso sco-lastico. Sul profilo economico vi è una graduale selezione che avviene in primo luogo già tra coloro che possono permettersi un’istruzione e chi invece ne resta escluso e che procede in un secondo stadio tra chi si inscrive ai licei (anche perché aspira ad andare all’università) e chi invece si inscrive negli isti-tuti tecnici e professionali. Proprio questi ultimi spesso sono quelli con più difficoltà economiche per cui la scelta dei professionali risulta esse-re in qualche modo obbliga-ta per la necessità di trovare il prima possibile un lavoro e ottenere quindi un reddi-to che possa essere di ausilio anche per la propria famiglia.La meritocrazia risulta quin-di poggiare su fondamenta altamente fragili appunto per le diseguaglianze struttura-li che ne falsano i risultati.Ma cosa centra la meritocra-

zia con la bocciatura, che è l’oggetto di tale documento?Quando parliamo di merito-crazia siamo infatti soliti pen-sare a un modello che premia i meritevoli e che quindi si che concentra a valorizzare le eccellenze. Se questo ra-gionamento è accettato dal-la grande maggioranza delle persone, esso spesso è usa-to per celare disuguaglianze che sono invece strutturali e che andrebbero combattute anziché esasperate. Studia-re, come d’altra parte lavo-rare, sono diritti inalienabili dell’uomo e come tali devono essere garantiti e non posti alla base di una competizio-ne che inevitabilmente por-ta una parte a godere di tali “privilegi” solo a patto che un’altra parte ne venga esclu-sa. Meritocrazia non è sino-nimo di giustizia sociale ed è soprattutto compito della scuola, e più in generale del-la formazione pubblica, ap-pianare le diseguaglianze di ordine socio-economico che determinano l’inclusione, o di contro l’esclusione, dalla cittadinanza in senso ampio.La meritocrazia presuppo-ne difatti l’esistenza di privi-legi, dati per natura o con-

quistabili con il “lavoro”, che non corrispondono a criteri di equità su cui do-vrebbe fondarsi la nostra so-cietà portando sempre più chi sta in alto a determinare quello che sta sotto di esso.

Inoltre se proviamo a ribalta-re, per un momento, il punto di vista comune ci accorgia-mo come tale metodo se da una parte vuole assicurare un “premio” a chi dimostra di averne le capacità dall’al-tra parte condanna chi non le possiede (basti pensare all’e-spressione “meritare la boc-ciatura”) . Questo passaggio è fondamentale perché mette in discussione non solo il ruolo della scuola ma la sua essenza stessa. Lo scopo della forma-zione, infatti, non è quello di selezionare chi possiede de-terminate competenze bensì quello di garantire a tutti e tutte il “successo formativo”, inteso come realizzazione pie-na della propria personalità.Dato per assunto questo fondamentale principio è importante ora analizza-re il come si arriva alla va-lutazione della bocciatura.Per farlo partiamo da una considerazione.

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Valutazione e meritocrazia

Alla bocciatura noi ricorriamo solo se essa costituisce, non il male minore, ma la soluzione migliore per assicurare il successo formativo all’alunno

[B.S.]

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Da anni da parte dei movi-menti studenteschi e non solo si parla del processo di aziendalizzazione della scuola, ovvero il processo di introduzione di elemen-ti tipici della produzione di fabbrica nel mondo del-la formazione, sia sul piano di governance che in quel-lo di gestione e valutazione.Proviamo a partire pro-prio da questi ultimi due.Il primo modello teorico di gestione delle imprese è stato quello cosiddetto autocrati-co, basato sull’autorità della dirigenza per assicurarsi i livelli di produzione e red-ditività richiesta dall’ammi-nistrazione. Essa si fondava su una concezione di uomo che, appunto per sua natura,

è incline a rigettare il lavo-ro, il che rendeva necessarie forme di costrizione e puni-zione per indurlo a lavorare.Nonostante tale teoria sul piano della gestione azienda-le sia stato già ampiamente superato, il principio su cui si basa la bocciatura sembra essere più o meno lo stesso: “lo studente di sua natura odia dover studiare quindi è necessario avere strumen-ti per costringerlo a farlo!”.La più frequente argomen-tazione dei sostenitori della bocciatura è, infatti, proprio questa, “senza la bocciatura gli insegnanti non avrebbero armi con cui intimidire gli studenti!”. L’espressione bel-lica è di sicuro la più ricor-rente. La bocciatura quindi

è vista come una guerra pre-ventiva al lassismo e al disin-teresse da parte degli studenti.E’ utile, invece, da questo punto di vista ricordare che a scuola non siamo né in guerra né in battaglia e che quindi le armi non servono. Gli studenti e gli insegnanti non sono parti contrappo-ste ma portatori di interessi prevalentemente coincidenti.L’apprendimento è un’atti-tudine innata nell’uomo per cui le costrizioni, soprattutto quelle percepite come impo-sizioni, risultano in molti casi deleteri più che d’incentivo a differenza, invece, degli stru-menti di partecipazione che generano consenso e prote-se ad includere gli studenti.

Valutazione e meritocrazia

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Il parallelismo studio-la-voro è inoltre utile come chiave di interpretazione dell’intero modello di va-lutazione dominante oggi.Il principio da cui muove la valutazione è chiaramente di natura quantitativa, inteso come approccio oggettivo, di comparazione e classifica-zione di risultati. Risultati a cui corrisponde un profitto. Così come il salario spetta al dipendente come ricom-pensa del proprio lavoro, così allo studente vengono assegnati crediti formativi (o viceversa, debiti formativi) per ripagarlo della propria prestazione. Ciò produce un paradossico gioco del-le parti in cui lo studente si può ritrovare ad essere cre-ditore o debitore senza una reciproca controparte da cui ricevere o a cui dare qualco-sa. Un paradosso il cui fine è, ancora una volta, quello del-la costrizione e della paura, la “paura di un brutto voto”.Da questa paura dovreb-be, secondo i sostenitori di questo modello valutativo (e quindi della bocciatu-ra), nascere la motivazione a studiare e a impegnarsi.Molti psicologici e peda-gogici sono, invece d’altra parte, concordi nel sostene-re che dal timore nasca più che altro un blocco da parte degli studenti a non volersi

esprimere per paura di un giudizio che li ponga su un gradino più basso di un altro. Ciò può manifestarsi tanto nella chiusura del soggetto in se stesso, isolandosi dal resto del gruppo-classe, tan-to invece nell’opposto, ovve-ro in quelli che si mostrano spavaldi e che, sostanzial-mente, tendono a denigrare l’andamento scolastico so-stituendo ad esso una scala di valori e principi propri in cui esso può valutare se stes-so in maniera soddisfacente.La competizione pur es-sendo una generale ten-denza dell’uomo non è accettata da tutti nella stessa misura, e non tutti hanno il medesimo codi-ce etico di interpretazione.Inoltre il bisogno di autorea-lizzazione di sé è un bisogno cosiddetto “insoddisfatti-vo”, ovvero nel momento in cui esso non viene porta-to a compimento, genera frustrazione e avvilimento.La “sconfitta di questa grande competizione” viene appunto percepita come tale. La bocciatura può essere avvertita come insuccesso personale o come un’ingiustizia subita.Questa percezione inficia anche sul comportamento della persona nell’anno suc-cessivo. Ripetendo, infatti, in un contesto in cui l’età

media è generalmente più bassa, lo studente si sen-te ancor di più denigrato, e spesso finisce per mostrare un atteggiamento ancor più indifferente verso lo studio.Sotto questo aspetto può risultare utile riprendere il pensiero del pedagogo, nonché psicologo cogniti-vo, Antoine de La Garande-rie che nel saggio “Imparare senza paura” sosteneva che lo studente apprende mag-giormente quando “perce-pisce la libertà”, ovvero si sente libero, non semplice-mente di poter studiare o meno, ma di poterlo in ma-niera completamente auto-noma. L’insegnante secondo La Garanderie, infatti, non è “né un distributore di sapere né il giudice di performance” ma anzi è sua responsabilità individuare le motivazio-ni giuste per incoraggiare i propri allievi e creare le con-dizioni per cui ci sia un’in-tegrazione generale degli interessi di tutte le compo-nenti del gruppo classe (la sua persona compresa).La bocciatura non è il falli-mento del singolo ma di tut-ti, quindi è inutile crimina-lizzare gli studenti svogliati ma anzi è proprio a loro, pa-rafrasando quello che dice-va Don Milani, che va dato uno scopo, un obiettivo da perseguire convintamente.

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Pedagogia - psicologia

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L’abolizione della bocciatu-ra è quindi, ancor prima che un cambiamento legislati-vo, un cambiamento con-cettuale che coinvolge non solo l’aspetto scolastico ma tutti gli aspetti della vita.La valutazione non è sem-plicemente per un modo per dire ciò che è buono e ciò che è cattivo, la valutazione è uno strumento descrittivo perché analizza i processi e non i ri-sultati, e controlla con il fine di guidare verso il “meglio”. E’ quindi un approccio qua-litativo più che quantitativo, ovvero matematicamente e oggettivamente, misurabile.La valutazione è processo che coinvolge più soggetti, posti sullo stesso piano senza di-stinzioni tra soggetto attivo che valuta e soggetto passi-vo che viene valutato. Essa è uno strumento dato in mano a tutti i soggetti in campo per comprendere al meglio

quali siano le proprie forze e le proprie lacune, per va-lorizzare le prime e colmare le seconde. Evidentemente la bocciatura non risponde a queste finalità, in quanto la risposta che da è semplicisti-ca, e si confà nel costringere a ripetere, spesso, nello stesso ambiente in cui lo studente ha generato i propri deficit. Una vera e propria lotteria in cui l’unica chance è ritentare e sperare di essere più fortunati.Quello che va implementato quindi è una valutazione di natura dialogica e parteci-pata, fatta tra studenti e do-centi e tra gli studenti stessi.La capacità di sapersi con-frontare senza il bisogno di classificazione, dire cioè chi è più bravo di chi, significa sostituire alla competizio-ne la cooperazione tra pari. Inoltre è evidente come tra compagni di classe ci si rie-sca a conoscere meglio che

un professore e questa co-noscenza se condivisa con i compagni e con i docenti, migliora inevitabilmente i risultati complessivi perché è come se ognuno mettesse le proprie capacità migliori a disposizione della collettività.Ciò ovviamente non è una cosa così semplice in quanto molto spesso le conoscenze acquisite vengono percepite dal soggetto come una forma di potere e quindi questo si mostra restio nel volerle con-dividere come per paura di perdere la propria forma di vantaggio. Proprio per questo è fondamentale, soprattutto nelle scuole, riuscire ad impo-stare un clima di cooperazio-ne e di aiuto reciproco più che di competitività, per riuscire a sviluppare meglio i proces-si di “Knowledge Sharing” e “Cooperative Learning”.

Come cambiare la valutazione

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Proviamo ora a considerare un aspetto che viene mar-ginalizzato quando si parla di bocciatura o viene trat-to superficialmente e spes-so con il futile intento di individuare un colpevole.Parliamo quindi di quanto e di come la didattica esercitata all’interno delle classi influen-zi il rendimento scolastico e quindi anche sulla bocciatura.Partiamo dal presupposto te-orico, già sottolineato in pre-cedenza, che l’apprendimento non può essere slegato dal contesto sociale, la persona-lità e la natura del soggetto discente. E’ quindi di princi-pale importanza la capacità dell’insegnante di conoscere il meglio possibile ogni per-sona presente nella propria classe. Ciò al fine di modifica-re la propria didattica per as-sicurarne il risultato migliore.Questo non significa adottare un modello diverso per ogni studente ma riuscire a connet-

tere i diversi profili presenti e costruire insieme a loro una base condivisa sia di prin-cipi su cui basare la lezione che di obiettivi da perseguire.Spesso, infatti, i motivi del-la bocciatura sono da ricer-care all’interno della classe anziché all’esterno o nell’in-dividuo stesso. Ovvero gli studenti che mostrano poco interesse nell’andare a scuola sono quelli che non hanno trovato lì un luogo adatto a loro stessi, non hanno cioè trovato la proprio dimensio-ne. Sentendosi esclusi ma co-stretti al loro interno l’atteg-giamento è facilmente di chi si ribella a un modello com-portamentale e di apprendi-mento che percepisce come imposto. Se invece esso viene percepito come condiviso, viene interiorizzato e gene-ra, spesso, maggior rispetto e riconoscenza nella figura del docente, visto come primo fra pari, e non posto al di sopra o

al di la degli studenti stessi.Interpretata in quest’acce-zione, la bocciatura risul-ta essere un fallimento in primo luogo della didatti-ca e quindi dell’insegnante.Con questo non vogliamo, ovviamente, rendere respon-sabili ogni docente della boc-ciatura del proprio allievo, come sempre le responsabi-lità non stanno mai solo da una sola parte, ma è il pro-vare a ribaltare il punto di vista comune. Cioè anziché parlare di uno studente che non ha risposto in maniera positiva agli stimoli, prova-re ad interrogarsi un attimo su cosa ha fatto la scuola per venire incontro alle esigenze di quello studente, appun-to perché, come scritto all’i-nizio, il ruolo della scuola non è selezionare ma garan-tire il successo formativo.

DidatticaPreside, Astariti non è bravo, Astariti è un "primo della classe".Astariti non c'ha i capelli tagliati alla mohicana, non si vestecome il figlio di uno spacciatore, non si mette le scarpedel fratello che puzzano. Astariti è pulito, perfetto.Interrogato, si dispone al lato della cattedra senza libri,senza appunti, senza imbrogli.Ripete la lezione senza pause: tutto quello che mi è uscito di bocca,tutto il fedele rispecchiamento di un anno di lavoro!Alla fine gli metto 8, ma vorrei tagliarmi la gola! [...]Ma perché Astariti è la dimostrazione evidente che la scuola italianafunziona solo con chi non ne ha bisogno!

[Vivaldi nel film “La Scuola”]

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Tenuto conto di quanto scrit-to finora, ci accorgiamo di come i processi valutativi e didattici utilizzati all’inter-no delle nostre scuole molto spesso esulino dal ruolo che è proprio della formazione.Quello che accade è l’im-posizione sia di un modello cognitivo che disciplinare-comportamentale. L’idea di studente-perfetto è quindi quella con il massimo dei voti in ogni materia, sempre attento e partecipe in classe durante le lezioni. Ma sia-mo davvero sicuri che siano davvero questi gli attributi di ciò che possiamo definire “eccellenze”? Oppure siamo davvero sicuri che “eccellere” in un ambito piuttosto che in un altro sia in qualche modo meno qualificante? O ancora, siamo sicuri che essere por-tatori di un sapere enciclo-pedico, capace magari di de-scrivere al meglio la realtà ma senza avere le competenze, le attitudini e anche la fantasia necessaria per influenzarla?Se pensiamo ai saperi come

un qualcosa di non parcel-lizzabile in singoli comparti né tantomeno riassumibi-li in unicum totalizzante di conoscenze, capiamo come non è possibile dare una de-finizione universalmente ac-cettabile di cosa possa essere un’eccellenza e, di contro, di quale sia uno “standard suffi-ciente a non essere bocciato”.Lo sviluppo di saperi sempre più trasversali, quindi mul-tidisciplinari, che educhino alla rielaborazione più che alla semplice assimilazione significa ribaltare completa-mente la finalità della scuola.Essa, infatti, non ti chiede di essere e di sapere qualcuno o qualcosa ma prova a dotarti degli strumenti necessari ad analizzare la propria persona e la propria realtà. In questo modo la formazione assu-me un connotato dinamico per cui lo studente “è quel-lo che diventa” e si approc-cia a ciò che lo circonda in chiave di interconnessione.Se assumiamo questa chiave di lettura, possiamo legitti-

mamente affermare che non è possibile bocciare una per-sona perché non conosce an-cora le proprie inclinazioni o perché esse non sono ogget-to di valutazione. La scuola dovrebbe avere la capacità di individuare e valorizza-re le differenze caratteria-li, personali e individuali di ogni singolo studente e non assoggettare ad un modello ideale di studente richiesto.Kahil Gibran scriveva che l’arte dell’insegnamento non è condurre il discepolo nel-la casa del sapere ma pre-paare la vista affinché esso riconosca la propria strada.Inoltre per la natura stes-sa dei saperi, come più vol-te l’abbiamo descritti, non è possibile affidare ad un mero dato statistico (la me-dia dei voti di fine anno) la decisione al passaggio o meno dell’anno scolastico.L’apprendimento è un proces-so di crescita e di scoperta e nessuno può essere bocciato per non essere stato “capace” di aver trovato quello cercava.

La scuola non dovrebbe dirti chi devi essere,ma aiutarti a scoprire chi sei!

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Come abbiamo evidenziato l’analisi sul ruolo e la funzio-ne della bocciatura non può precludere un’analisi in toto del sistema di valutazione su cui sostanzialmente si basano tutte le tipologie di test e/o schede somministrate oggi all’interno dei luoghi della for-mazione (dai test INVALSI a quelli di ingresso all’universi-tà passando per l’esame di sta-to) che si basano appunto sul sistema selettivo dell’aut-aut, o dentro o fuori, e un approc-cio quantitativo. L’abolizione della bocciatura vuole quindi essere l’abolizione di questo intero sistema che non fa che alimentare competizione e individualismo negli studen-ti, in una gara alla conquista della possibilità di “meritarsi” ciò che invece gli spettereb-

be di diritto (un’istruzione, un lavoro e, più in generale, una vita degna). Contrap-porre a questo modello altri schemi basati sull’equilibrio di una valutazione qualita-tiva (oltre che quantitativa) che incentivi la cooperazio-ne e che valorizza l’individuo all’interno della collettività significa ragionare di un mo-dello di scuola totalmente altro rispetto a quello a cui siamo abituati o a quello pro-postoci dalla “Buona Scuola”.L’apprendimento non è mai un processo solamen-te individuale e persona-le così non può esserlo la rispettiva valutazione.Inoltre la valutazione non può essere ancora considera-to come uno strumento puni-tivo che tenta di omologare ad

un unico modello comporta-mentale o di apprendimento ma è necessario che essa di-venti lo strumento di guida nel direzionare gli obiettivi didattici di ogni studente.Quello che vogliamo è un si-stema formativo che risponda alle esigenze e ai bisogni che nascono dentro società e non alle richieste dei mercati a cui invece la si vuole assoggettare. I saperi sono una forza dina-mica in continuo movimento e non è possibile rinchiuderli entro recinti del nozionismo e del tecnicismo. Il loro ruo-lo non è quello della semplice riproduzione dell’esistente ma quello di decostruire e rico-struire continuamente il no-stro mondo, in maniera sem-pre complessiva e radicale.

NO ALLA BOCCIATURA!

Conclusioni

"Il nostro obiettivo: elaborare una pedagogiache insegni ad apprendere, ad ap-prendere per tutta la vita dalla vita stessa."

[R.Steiner]