Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

81
«I PROMESSI SPOSI» DI ALESSANDRO MANZONI di Salvatore S. Nigro Letteratura italiana Einaudi 1

description

Cesare Nigro - Ensayo sobre I promessi sposi en italiano

Transcript of Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

Page 1: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

«I PROMESSI SPOSI»DI ALESSANDRO MANZONI

di Salvatore S. Nigro

Letteratura italiana Einaudi 1

Page 2: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

In:Letteratura Italiana Einaudi. Le OpereVol. III, a cura di Alberto Asor Rosa,Einaudi, Torino 1995

Letteratura italiana Einaudi 2

Page 3: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

Sommario

1-2. Genesi, struttura, fonti. 4

3-5. Tematiche e personaggi. 44

6. Nota bibliografica. 73

Letteratura italiana Einaudi 3

Page 4: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

1-2. Genesi, struttura, fonti.

Una finestra a ghigliottina. Roma, 19 agosto 1778. Alessandro Verri scrive al fra-tello Pietro: «Io sono stato poco soddisfatto della Nouvelle Héloise a segno chenon ho possuto continuare la lettura dopo qualche lettera, e ciò perché vi ho tro-vato una morale falsa sotto il velo del sentimento filosofico, poiché insomma è unmaestro a cui si confida una zitella, e finisce a farla madre»1. La lepidezza, sul malsentimento e sul mal servizio della Julie, smentisce l’Entretien sur les romans entrel’éditeur et un homme de lettres pubblicato da Rousseau come seconda prefazioneal romanzo (1761). In questione erano le seduzioni dell’immaginario romanzescoche, nell’esemplificazione malignamente estrema di Alessandro Verri, andavanoad agire sugli affetti di una vergine eccitandone quelle istanze ormoniche che il ri-spetto della condizione avrebbe dovuto persuadere ad escludere. Il caso rientravanella casistica di follia da fascinazione e catturazione letterarie, stabilita dallo stes-so Rousseau nel suo «dialogo immaginario»:

L’on se plaint que les romans troublent les têtes; je le crois bien: en montrant sans cesseà ceux qui les lisent les prétendus charmes d’un état qui n’est pas le leur, ils les sédui-sent, ils leur font prendre leur état en dédain, et en faire un échange imaginaire contrecelui q’on leur fait aimer [...]. Il faut que les écrits faits pour les solitaires parlent la lan-gue des solitaires: pour les instruire, il faut qu’ils leur plaisent, qu’ils les intéressent; ilfaut qu’ils les attachent à leur état en leur rendant agréable2.

Un anno prima Pietro Verri, nei Ricordi a mia figlia Teresa, si era soffermatosulla «compagnia» cara e istruttiva dei libri:

Io approvo che voi leggiate sterminatamente tutte le Commedie e tutte le Tragedie pos-sibili, sono queste una dilettevolissima occupazione, vi conducono a sviluppare insensi-bilmente in voi medesima i penetrali del vostro cuore e dell’altrui, vi insegnano il più no-bile e decente modo di conversare, vi sviluppano sentimenti nobili e generosi e sono unaeccellente lezione di morale pratica. Anche i Romanzi scritti con decenza e con grazia gliapprovo, escludo soltanto i troppo libertini i quali se avete l’anima delicata vi stomaca-no e se disgraziatamente l’aveste poco ferma vi prostituiscono alla dissolutezza3.

1 A. VERRI, Lettera a Pietro Verri del 19 agosto 1778, in P. VERRI e A. VERRI, Carteggio (1° luglio 1778 - 29 di-cembre 1779), a cura di G. Seregni, Milano 1939, p. 53.

2 J. J. ROUSSEAU, Julie ou La nouvelle Héloise, Paris 1952, I, p. XVI (trad. it. di P. Bianconi, Giulia o La nuovaEloisa, I, Milano 1964, p. 31: «Ci si lagna che i romanzi fanno perdere la testa. Lo credo bene. Facendo continuamen-te vedere a quelli che li leggono i fallaci incanti d’uno stato che non è il loro, li seducono, li disgustano del loro pro-prio stato, al quale rinunciano per quello immaginario che i romanzi gli fanno amare [...]. Bisogna che gli scritti desti-nati ai solitari parlino il linguaggio dei solitari: per istruirlo bisogna che piacciano e interessino; bisogna che gli renda-no piacevole il loro stato e glielo facciano amare»). Salvo diversa indicazione, le traduzioni presenti nel testo sono no-stre.

3 P. VERRI, «Manoscritto» per Teresa, a cura di G. Barbarisi, Milano 1983, pp. 181-82.

Letteratura italiana Einaudi 4

Page 5: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

I due fratelli andavano di concerto. Con dotta complicità. Che spiega, infine,l’argomento morale, in stile espressionistico, della madre bambina; una volta chesi sia richiamata la passione collezionistica (condivisa con Cesare Beccaria)4 che«indiavolatamente» tentava Pietro di fronte alle «stampe buffone inglesi» e alle«carte inglesi di figure strane e ridicole» di William Hogarth5.

Il profilo della vergine passò in eredità al nipote dei Verri e di Beccaria. E siaffacciò nella prosa di Alessandro Manzoni, a dar testimonianza, ancora una vol-ta (e di nuovo a partire, anche, dal «dialogo immaginario» di Rousseau), del cari-co di responsabilità del genere romanzo: ripetutamente accusato di allettare e di-lettare; e di produrre eccitazione con le sue malsentimentali smodatezze, e persi-no con le tenerezze dell’amor contento che ancor di più, e subdolamente, espo-nevano i lettori alla persuasione della concupiscenza. Ma la zitella venne ulterior-mente «caricata» da Manzoni. Divenne estremisticamente hogarthiana, avanzatanegli anni e inappetibile. E difatti, nel ciclo pittorico e grafico dei Quattro mo-menti del giorno di Hogarth, fa curva grottesca l’impettimento fino al naso affila-to di una zia zitellona che di buon mattino consuma il «dramma quotidiano» del-la traversata della piazza, verso la chiesa di Covent Garden. La gentildonna è in-curante dei mendicanti. È però interessata agli ultimi e scomposti amoreggiamen-ti delle coppiette non ancora rincasate: il suo occhietto è nervoso; guarda di sbie-co, mentre il ventaglio chiuso preme sulle labbra, che sono una linea di dispetto,tirata e sottile.

Alessandro Manzoni scrive all’abate Eustachio Degola, di attiva fede gianse-nista. È il 10 maggio del 1825:

Come mai avete la bontà d’interessarvi alle bazzecole che escono dal mio calamaio? Sa-pete voi di che genere sia quella intorno a cui sto faticando, come se fosse un affared’importanza? È di quel genere di composizioni, agli autori delle quali il vostro e mioNicole regalava, senza cerimonia, il titolo di empoisonneurs publics. Certo, io ho postoogni studio a non meritarlo; ma ci sarò poi riuscito? Quando abbiate veduta l’opera,aspetterò con impazienza, e non senza timore il vostro giudizio. Vi avverto però che io,da buon autore, ho in pronto apologie contro tutte le obiezioni che mai vi possano ve-nire in mente; e intendo di giustificare il mio lavoro non solo dalla taccia di pernizioso,ma, vedete! anche dall’accusa di inutilità6.

4 Cfr. F. ANTAL, Hogarth and his Place in European Art, 1962 (trad. it. di A. De Caprariis, Hogarth e l’arte euro-pea, Torino 1990, p. 356).

5 Si veda P. VERRI e A. VERRI, Viaggio a Parigi e Londra (1766-1767), a cura di G. Gaspari, Milano 1980, pp. 171,193 e 202.

6 A. MANZONI, Lettera a Eustachio Degola del 15 maggio 1825, in ID., Tutte le lettere, a cura di C. Arieti, conun’aggiunta di lettere inedite o disperse, a cura di D. Isella, I, Milano 1986, p. 377. Cfr. anche Aggiunta II all’edizionedi Cesare Arieti, a cura di D. Isella, in «Annali manzoniani», nuova serie, II (1994), pp. 79-150.

Letteratura italiana Einaudi 5

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 6: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

Era già avvenuto con il teatro. Sul quale gravava la condanna agostiniana diimmoralità, trasmessa a Manzoni dai moralisti francesi del gran secolo ai quali siera poi affiancato il Rousseau della Lettre à Mr. d’Alembert. I romanzi erano «li-vres corrupteurs de la vie humaine», per Nicole; e per il Bossuet della Lettre sur lacomédie. Erano, per Bourdaloue, «divertissements criminels», rovinosi: «livresempestés» che dell’amore passionato oppure «honnête», trattato «par art et parrègles», avevano fatto la «passion dominante et le ressort de toutes les autres pas-sions»7. Per Manzoni non si trattò più di lodare o dislodare, di scusare o di accu-sare un genere letterario. Ma, più arditamente, di rifondare il romanzo; peraltroconvinto, insieme al sodale Ermes Visconti, che non esistono giustificazioni chepossano legittimare la messa al bando della letteratura o di qualcuna delle sue for-me:

Le arti del bello non si dovrebbero proscrivere, nemmeno se si potesse farlo senza in-correre ne’ gravissimi mali provenienti da un tale divieto sancito per leggi civili o pro-cacciato da uno stolto rigorismo religioso o filosofico. Concludendo, la somma degli ef-fetti delle arti del bello, purché gli artisti non vogliano abusarne scientemente, può es-sere favorevole alla virtù degli individui ed al meglio sociale8.

Il romanzo è «genere proscritto nella letteratura italiana moderna, la quale hala gloria di non averne o pochissimi», scrive Manzoni9. E conta molto, nella presad’atto, la terribilità dell’aggiunto di proibizione che porta su di sé l’inquietante me-moria storica di un editto sulla «proscription des romans», ispirato dal cancellieregiansenista Daguesseau, ed effettivamente promulgato in Francia nel 173910. Giànel discorso Della Moralità delle Opere Tragiche, Manzoni aveva appuntato: «Opi-nione ricantata e falsa: che il poeta per interessare deve movere le passioni. Se fos-se così sarebbe da proscriversi la poesia. – Ma non è così. La rappresentazione del-le passioni che non eccitano simpatia, ma riflessione sentita è più poetica d’ogni al-tra»11. Il romanzo non andava svalutato, né tanto meno proscritto. Andava rifor-

7 L. BOURDALOUE, Sermon sur les divertissements du monde, in ID., Œuvres, I, Paris 1837, pp. 582- 584 («lapassione dominante e il rinforzo di ogni altra passione»).

8 E. VISCONTI, Riflessioni sul bello e su alcuni rapporti di esso colla ragionevolezza, colla morale e colla presente ci-vilizzazione europea (1819-22), in ID., Saggi sul bello, sulla poesia e sullo stile, a cura di A. M. Mutterle, Roma-Bari1979, parte V, cap. 1, p. 164.

9 A. MANZONI, [Prima] Introduzione a ID., Fermo e Lucia, in ID., Tutte le opere, a cura di A. Chiari e F. Ghisal-berti, II/3, Milano 1954, p. 5.

10 Si veda G. MAY, Le dilemme du roman au XVIIIe siècle, Paris - New Haven Conn. 1963, cap. III (La proscriptiondes romans), pp. 75-105.

11 A. MANZONI, Della Moralità delle Opere Tragiche, in ID., Tutte le opere, V. Scritti linguistici e letterari, t. III, acura di C. Riccardi e B. Travi, Milano 1991, p. 57.

Letteratura italiana Einaudi 6

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 7: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

mato, in quanto «genere filosofico»12; e cioè, trattato a proposito come «un ramodelle scienze morali»13. La questione era di poetica narrativa. Manzoni si rifacevaalla tradizione critica che andava dalle settecentesche Lectures on Rhetoric and Bel-les Lettres di Hug Blair (presto tradotte e commentate da Francesco Soave), all’Es-sai sur les fictions di Madame de Staël, fino al recupero del Blair dentro il discorsosui romanzi (presentato nel 1821 dal tipografo Giovanni Pirotta, ma attribuibile al-lo stampatore e libraio Antonio Fortunato Stella)14 che inaugura la milanese Bi-blioteca amena ed istruttiva per le donne gentili. Blair era stato esplicito:

[…] certamente le storie fittizie possono impiegarsi ad utilissimi usi; conciossiaché for-niscan uno de’ mezzi migliori per trasmettere l’istruzione, per dipingere i costumi e levicende dell’umana vita, per dimostrare gli errori, in cui siamo tratti dalle nostre pas-sioni, per rendere amabile la virtù e odioso il vizio […]. Non è pertanto la natura diquesto componimento considerato in sé stesso, ma la difettosa maniera di eseguirlo,quella che lo può rendere dispregevole15.

Il discorso attribuito allo Stella andava oltre. E, al di là del rigorismo gianse-nista, conciliava con la religione lo «scandalo» del genere romanzo:

Numerose dissertazioni sono state scritte nei tempi addietro per provare che i romanzi,e così i componimenti teatrali, sono contrarii al vero spirito del cristianesimo, e i ro-manzieri quindi e i poeti di teatro essere pubblici avvelenatori non dei corpi, ma delleanime […]. Altri parlatori ci sono che si mostrano fortemente avversi ai romanzi, nonperché ne abbiano letto alcuno, ché arrossirebbero a prenderne uno in mano, ma per-ché sanno che non v’ha romanzo in cui non entri l’amore, il quale per lo più anzi n’è labase principale. E come credono che l’amore, non conoscendolo forse essi che da un la-to solo, non possa tendere ad altro che a contaminare i cuori ed a corromperli, così neiloro discorsi spiegano, sia apparente, o vero, un abborrimento tale all’amore, che quasisembra che il volessero sbandito non solo dai libri, ma anche dalla terra. Costoro me-glio ragionerebbero se, vedendo che l’amore non può sbandirsi dalla terra, a cui è statodato per la conservazione delle cose, intendessero tutta la cura de’ savi stare in ben di-rigerlo: onde d’istrumento di felicità, ché per tale la Provvidenza l’ha dato agli uomini,non diventi mezzo di ruina16.

Lo scoglio persistente era l’avversione moralistica alla passione amorosa, tracontenimento del sesso e gioia della virtù; e ancora, tra autoconservazione della

12 P. BORSIERI, Avventure letterarie di un giorno o consigli di un galantuomo a vari scrittori (1816), in Discussionie polemiche sul Romanticismo, a cura di E. Bellorini e A. M. Mutterie, I, Roma-Bari 1975, pp. 152-56.

13 A. MANZONI, Materiali estetici, in ID., Tutte le opere, V cit., t. III, p. 20.14 Si veda M. BERENGO, Intellettuali e librai nella Milano della Restaurazione, Torino 1980, pp. 150-51.15 U. BLAIR, Lezioni di rettorica e belle lettere, a cura di F. Soave, Venezia 1820, t. III, lezione XII, pp. 186-87.16 Gli Editori alle persone che amano le letture amene ed istruttive, in A. LA FONTAINE, Biblioteca amena ed

istruttiva per le donne gentili, I/1. Le confessioni al sepolcro, Milano 1821, pp. VI-VIII.

Letteratura italiana Einaudi 7

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 8: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

specie ed estrinsecazione dissipatrice del desiderio. Su tutto, gli attentati alla con-tinenza cristiana della carne. Non si faceva che perpetuare e ontologizzare, dall’u-na e dall’altra parte del dibattito, il vecchio precetto secentesco di Pierre-DanielHuet: «l’amore dev’essere il principale argomento del Romanzo»17. Mise in crisitanta ostinazione erotocentrica Madame de Staël. Che al romanzo apri nuovi sce-nari, e più vasti:

Une raison motivée diminue cependant dans l’opinion générale l’estime qu’on devraitaccorder au talent nécessaire pour écrire de bons romans, c’est qu’on les regarde com-me uniquement consacrés à peindre l’amour, la plus violente, la plus universelle, la plusvraie de toutes les passions […]. Une carrière nouvelle s’ouvrirait alors, ce me semble,aux auteurs qui possèdent le talent de peindre, et savent attacher par la connaissanceintime de tous les mouvements du cœur humain. L’ambition, l’orgueil, l’avarice, la va-nité, pourraient être l’objet principal de romans dont les incidents seraient plus neufs etles situations aussi variées que celles qui naissent de l’amour18.

Lavorando una sua più sottile e ragionata avversione alle angustie e alle scon-venienze (di modi e non di sostanza) del romanzo erotocentrico («Il restetoujours une grande objection contre les romans d’amour; ce que cette passion yest peinte de manière à la faire naître et qu’il a est des moments de la vie dans le-squels ce danger l’emporte sur tout espèce d’avantages»)19, Madame de Staël arri-va a prospettare un «romanzo senza amore»: del resto già realizzato dal «radica-le» inglese William Godwin (Things as They are or the Adventures of Caleb Wil-liams, 1794), come giallo stringente e ossessivo che una spietata caccia all’uomoespande in un «tableau le plus philosophique»20.

Un «romanzo senza amore», alla fine. Così come nel 1675, nel dibattito sullaIphigenie di Racine, e sulla moralità in genere del teatro tragico (e, di sguincio, delromanzo), era stata avanzata la proposta di «belles tragédies sans amour»: in un«dialogo immaginario» (tal quale quello assai più tardo di Rousseau); nell’Entre-

17 P.-D. HUET, Traité de l’origine des romans, 1670 (trad. it. Trattato sull’origine dei romanzi, a cura di R. Campa-gnoli e Y. Hersant, Torino 1977, p. 3).

18 A.-L.-G. NECKER DE STAËL - HOLSTEIN, Essai sur les fictions, in ID., Œuvres complètes, I, Paris 1871, p.63 («Un giudizio ragionato scredita nell’opinione pubblica la considerazione che andrebbe riconosciuta alla vocazio-ne necessaria a scrivere buoni romanzi, ed è che ad essi si guarda come unicamente votati alla pittura dell’amore, lapiù violenta, la più universale, la più vera delle passioni [...]. Un corso nuovo mi pare quindi che si aprirebbe agli au-tori capaci di narrare e avvincere per mezzo dello scandaglio intimo dei moti tutti del cuore. L’ambizione, l’orgoglio,l’avarizia, la vanità, potrebbero essere presi a tema di romanzi con vicende rinnovate e situazioni assai più varie diquelle ispirate dall’amore»).

19 Ibid., p. 71 («rimane comunque una grossa obiezione contro i romanzi d’amore; ed è che questa passione vi è di-pinta in modo da fomentarla, e che vi sono momenti nei quali questo pericolo prevale su qualsivoglia vantaggio»).

20 Ibid., p. 70. Cfr. S. B. CHANDLER, Manzoni e William Godwin, in «Rivista di letterature moderne e compara-te», (1975), 4, pp. 271-77; e A. CORRADO, William Godwin illuminista romantico, Napoli 1984.

Letteratura italiana Einaudi 8

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 9: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

tien sur les tragédies de ce temps, apparso anonimo a Parigi e attribuito, nella ri-proposta del 1739, all’abate Pierre de Villiers.

Un altro «dialogo immaginario» sull’amore aveva alle spalle Manzoni, quan-do invitò il Degola a disporsi a subire un’apologia del romanzo: della sua legitti-mità e della sua utilità. A scriverlo era stato lo stesso Manzoni, nello stile saggisti-co-colloquiale del «Conciliatore»: con un orecchio teso all’antica diatriba su Raci-ne; con l’altro al Rousseau dell’Entretien e alla Madame de Staël dell’Essai; in dia-logo sottinteso con gli amici di militanza letteraria, da Visconti, a Borsieri, a Pelli-co, al lontano Fauriel che nel frattempo era non a caso impegnato a sviscerare ilcodice amoroso del Petrarca21. Il Manzoni, che con il Degola corrisponde sul ro-manzo, ha già portato a termine la stesura del Fermo e Lucia (24 aprile 1821 - 17settembre 1823). E in questo romanzo, all’inizio del tomo secondo, ha aperto unadigressione sotto forma di «discussione sopra principj» con un «personaggio»burbanzoso voluto «ideale» per poterlo trattare «senza cerimonie»: come farànella lettera a Marco Coen del 2 giugno 1832 («[...] quel che m’ha dato animo adirle così schiettamente il mio parere, è stato appunto l’aver che fare come conpersonaggio ideale: e proverei ora la vergogna che a cagion di ciò non ho provata,se venissi a trovarmi dinanzi al personaggio vero, e potessi dire a me stesso che hofatto il dottore al signor tale»)22; in forza di una prassi del «Conciliatore», sullaquale aveva richiamato l’attenzione Ermes Visconti («Gl’interlocutori de’ dialo-ghi scientifici sogliono riguardarsi quasi come enti immaginarj, anche quandoportano il nome di persone reali: servono ad esprimere le opinioni di chi scrive, ele opinioni contrarie di cui volsi mostrare l’imperfezione o la fallacia»)23.

Il contraddittorio è spesso incordiale, e senza cerimoniali. Manzoni è incalza-to dall’impazienza crucciosa del «personaggio ideale»: dalla sua spavalderia e daqualche pensiero velenosetto. E il suo vario inquietarsi esplode infine in un bru-sco licenziamento dell’interlocutore; senza acquietamento. La durezza di Manzo-ni si fa forza di un principio irrinunciabile e capitale, che mai può venire a patticon un’idea di romanzo come letteratura della dilettazione:

Se le lettere dovessero aver per fine di divertire quella classe d’uomini che non fa quasialtro che divertirsi, sarebbe la più frivola, la più servile, l’ultima delle professioni. E viconfesso che troverei qualche cosa di più ragionevole, di più umano, e di più degno nel-le occupazioni di un montambanco che in una fiera trattiene con sue storie una folla di

21 Per Fauriel, Cfr. G. FOLENA, Manzoni «libertino» e i romanzi d’amore, in AA.VV., Manzoni e oltre, Napoli1987, pp. 11-50.

22 A. MANZONI, Lettera a Marco Coen del 2 giugno 1832, in ID., Tutte le lettere cit., t. 1, p. 671.23 E. VISCONTI, Dialogo sulle unità drammatiche di luogo e di tempo, in «Il Conciliatore», II (1819), n. 42; cfr. Il

Conciliatore. Foglio scientifico-letterario, a cura di V. Branca, II, Firenze 1953, p. 91.

Letteratura italiana Einaudi 9

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 10: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

contadini: costui almeno può aver fatti passare qualche momenti gaj a quelli che vivonodi stenti e di malinconie; ed è qualche cosa24.

Il nuovo romanzo, rifondato e ricodificato, non è trastullo di oziosi: che sul«serio» prendono solo il «divertimento»25. L’intemerata, tra tanta esplicita e rile-vata dichiarazione, si diverte a reticere e a svagolare: per umiliare e confonderel’intelligenza del «personaggio ideale» che, partigiano di una letteratura grossola-na che ha i «mezzi più potenti di dilettare», non arriva a capire le sottigliezze diun Manzoni che sta costeggiando il Triumphus Cupidinis di Petrarca all’altezza diquei versi (1, 82-84: «Ei [Amore] nacqua d’ozio e di lascivia umana, | nudrito dipensier dolci soavi, | fatto signore e dio da gente vana»)26 sui quali andava model-lando le qualità morali dei libertini del suo romanzo: di don Rodrigo, la cui pas-sione per Lucia era «nata per ozio», o meglio era «nata d’ozio e di lascivia» comepiù scopertamente petrarcheggia una variante27; e di Egidio, alle cui seduzioni ildialogo fa da premessa, che «parte per ozio, parte per curiosità» si affacciava aspiare le converse dall’abbaino della propria casa.28 Il tema era la corrispondenzatra l’oziosità e vanità dell’amore-passione e il diletto della letteratura d’amore.Con malthusiano divertimento, Manzoni aveva detto prima:

Concludo che l’amore è necessario a questo mondo: ma ve n’ha quanto basta, e non famestieri che altri si dia la briga di coltivarlo; e che col volerlo coltivare non si fa altroche farne nascere dove non fa bisogno. Vi hanno altri sentimenti dei quali il mondo habisogno, e che uno scrittore secondo le sue forze può diffondere un po’ più negli animi:come sarebbe la commiserazione, l’affetto al prossimo, la dolcezza, l’indulgenza, il sa-crificio di se stesso: oh di questi non v’ha mai eccesso; e lode a quegli scrittori che cer-cano di metterne un po’ più nelle cose di questo mondo: ma dell’amore come vi diceva,ve n’ha, facendo un calcolo moderato, seicento volte più di quello che sia necessario al-la conservazione della nostra riverita specie. Io stimo dunque opera imprudente l’an-darlo fomentando cogli scritti [... ]29.

Il dibattito aveva avuto presentazione e inscenatura provocatorie, sebbenenon sembrasse:

la narrazione sarà sospesa alquanto da una discussione quale occuperà probabilmente

24 A. MANZONI, Fermo e Lucia cit., t. n, cap. I, p. 148.25 L’evidenza esponenziale è nel cap. XVII della Parte prima (1819) di ID., Osservazioni sulla morale cattolica, a cu-

ra di R. Amerio, Milano-Napoli 1961, I, p. 154.26 F. PETRARCA, Trionfi, a cura di F. Neri, in ID., Rime, Trionfi e Poesie latine, a cura di F. Neri, G. Martellotti,

E. Bianchi e N. Sapegno, Milano-Napoli 1951, p. 484.27 A. MANZONI, Fermo e Lucia cit., t. II, cap. VI, pp. 238-39 (e p. 825 dell’apparato).28 Ibid., cap. V, p. 212 (e p. 822 dell’apparato).29 Ibid., cap. I, p. 145.

Letteratura italiana Einaudi 10

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 11: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

un buon terzo di questo capitolo. Il lettore che lo sa potrà saltare alcune pagine per ri-prendere il filo della storia far così: giacché le parole che mi sento sulla punta della pen-na sono tali da annojarlo, o anche da fargli venir la muffa al naso30.

Il lettore, che si infastidisce alle uscite digressive e ai rientri dalla e nella tra-ma del racconto, è di quelli che preferiscono una letteratura irriflessiva; ed è quin-di un lettore, non tanto da scoraggiare, ma da «toccare al vivo» didatticamente: sesi lascia compromettere dal gesto ostentativo di una «penna» irrisoriaa, che hadalla sua la forza irritante di un’intesa «milanese» tutta da nasare sui lemmi delVocabolario milanese-italiano di Francesco Cherubini («Andà al nas. Saperne ma-le. Sentirne male. Dar nel naso. Venir la muffa al naso. Sentire grave disgusto diparole o fatti altrui che ci tocchino al vivo. Gli cuoce. Gli sa rea. Gli pute»)31.

La messa in scena della disputa sull’amore nel romanzo prende avvio dall’o-biezione del «personaggio ideale», a proposito della sobrietà di cuore dei prota-gonisti della vicenda:

I protagonisti di questa storia […] sono due innamorati; promessi al punto di sposarsi,e quindi separati violentemente dalle circostanze condotte da una volontà perversa. Laloro avversione è quindi passata per molti stadi, e per quelli principalmente che le dan-no occasione di manifestarsi e di svolgersi nel modo più interessante. E intanto non sivede nulla di tutto ciò: ho taciuto finora ma quando si arriva ad una separazione secca,digiuna, concisa come quella che si trova nella fine del capitolo passato, non so lasciaredi farvi una inchiesta: – Questa vostra storia non ricorda nulla di quello che gl’infelicigiovani hanno sentito, non descrive i principj, gli aumenti, le comunicazioni del loro af-fetto, insomma non li dimostra innamorati?32.

Manzoni difende il suo casto romanzo, privo di dispendi amorosi e invecesensibile alle verecondia e alle semplicità di cuore; epperò disposto a concederedell’amore una rappresentazione lecita, senza complicità e simpatie da parte deilettori chiamati piuttosto a una «riflessione sentita»: «[…] io sono del parere dicoloro i quali dicono che non si deve scrivere d’amore in modo da far consentirel’animo di chi legge a questa passione»33.

Il «personaggio ideale» si scandalizza. E prorompe: «Ma i vostri riguardi so-no tanto più strani, in quanto l’amore dei vostri eroi è il più puro, il più legittimo,il più virtuoso; e se poteste descriverlo in modo di eccitarne il consenso, non fare-ste che far comunicare altrui ad un sentimento virtuoso»34.

30 Ibid., p. 143.31 F. CHERUBINI, Vocabolario milanese-italiano, Milano 1841, III, s. v. «Nàs», p. 162.32 A. MANZONI, Fermo e Lucia cit., t. II, cap. I, pp. 144-45.33 Ibid.34 Ibid.

Letteratura italiana Einaudi 11

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 12: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

L’amore semplice e innocente non può essere narrato, ribatte Manzoni. Enon per moralistico pregiudizio. La questione è stilistica:

Se io potessi fare in guisa che questa storia non capitasse in mano ad altri che a sposi in-namorati, nel giorno che hanno detto e inteso in presenza del parroco un sì delizioso,allora forse converrebbe mettervi quanto amore si potesse poiché per tali lettori nonpotrebbe certamente aver nulla di pericoloso. Penso però, che sarebbe inutile per essi,e che troverebbero tutto questo amore molto freddo, quand’anche fosse trattato datutt’altri che […] da me35.

La retorica discreta della preterizione e della reticenza è da Manzoni con-trapposta all’abuso sentimentale delle superfetazioni romanzesche. E tale sceltadi poetica è illustrata da due aneddoti in perfetto shandean style, che sterniana-mente ci riportano all’espressionismo tra sublime e grottesco delle «figure stranee ridicole» della Londra hogarthiana dei Verri:

[…] ponete il caso, che questa storia venisse alle mani per esempio d’una vergine nonpiù acerba, più saggia che avvenente (non mi direte che non ve n’abbia), e di angustefortune, la quale perduto già ogni pensiero di nozze, se ne va campucchiando, quieta-mente, e cerca di tenere occupato il cuor suo coll’idea dei suoi doveri, colle consolazio-ni della innocenza e della pace, e colle speranze che il mondo non può dare né torre; di-temi un po’ che bell’acconcio potrebbe fare a questa creatura una storia che le venisse arimescolare in cuore quei sentimenti, che molto saggiamente ella vi ha sopiti. Ponete ilcaso che un giovane prete il quale coi gravi uffici del suo ministero, colle fatiche dellacarità, con la preghiera, con lo studio, attende a sdrucciolare sugli anni pericolosi chegli rimangono da trascorrere, ponendo ogni cura di non cadere, e non guardando trop-po a dritta né a sinistra per non dar qualche stramazzone in un momento di distrazione,ponete il caso che questo giovane prete si ponga a leggere questa storia: giacché nonvorreste che si pubblicasse un libro che un prete non abbia da leggere: e ditemi un po’che vantaggio gli farebbe una descrizione di questi sentimenti ch’egli debbe soffocarben bene nel suo cuore, se non vuole mancare ad un impegno sacro ed assunto volon-tariamente, se non vuole porre nella sua vita una contraddizione che tutta la alteri36.

Manzoni aveva letto il Tristram Shandy nella traduzione e rimanipolazionefrancese iniziata da Joseph Pierre Frénais (1776) e portata a termine da AntoineG. Griffet de la Beaume (1785)37; varie volte ristampata, e non sempre con l’indi-cazione dei traduttori. Su di essa aveva affinato certi suoi scatti di finta intolleran-za, in dialogo con i lettori costretti dall’andamento digressivo a uscire spesso e

35 Ibid.36 Ibid.37 Su questa traduzione cfr. C. BERTONI, Il ftltro francese: Frénais e C.nie nella diffusione europea di Sterne, in

AA. VV., Effetto Sterne. La narrazione umoristica in Italia da Foscolo a Pirandello, Pisa 1990, pp. 119-59.

Letteratura italiana Einaudi 12

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 13: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

malvolentieri dalla linea del racconto: «[…] questa bella storia se la volete sapere,bisogna lasciarmela contare a modo mio»38; «[...] laissez-moi vous conter mon hi-stoire à ma mode»39. E da essa aveva tolto i casi paradossali della zitella (forzata alnon-amore) e del pretino (che della castità aveva fatto voto).

Il caporale Trim, nel Tristram Shandy, voleva rinarrare un incidente imbaraz-zante occorso al piccolo protagonista:

La servante avoit oublié de mettre un pot de chambre sous le lit. – Ne pouvez-vous, medit Suzanne, en soulevant le châssis de la fenêtre d’une main, et m’amenant tout près dela banquette avec l’autre, ne pouvez-vous, mon petit ami, essayer pour une fois de vousen passer? J’avois alors cinq ans. – Suzanne ne fit pas réflexion que de père en fils nousportions un nez ridiculement raccourci; témoin mon bisayeul. – Pan, – le châssis re-tomba sur nous comme un éclair. – Tout est perdu! s’écria Suzanne, tout est perdu! Jen’ai plus qu’à me sauver40.

Era una storia di vasi da notte e di finestre a ghigliottina; e di un piccolo pe-ne, del suo prepuzio offeso e della sua fimosi. Trim vuole riferire l’episodio condecenza, in modo che possa essere ascoltato (ed eccoci agli esempi addotti daManzoni) da «preti e vergini»: «Trim posa son premier doigt à plat sur la table,puis en le frappant à angle droit avec le tranchant de son autre main, il trouvamoyen de raconter mon histoire de manière que les prêtres et les vierges auroientpu l’écouter sans rougir»41. Fece solo un gesto di taglio, e la narrazione cadde:detta e non detta. Patatras, è il titolo della storia. Che prospetta una soluzione as-sai più complessa, una professione di narrazioni rese mute, rispetto allo scherzodi società che nella Francia napoleonica indusse Vivant Denon, consigliere d’am-basciata a Napoli e poi direttore generale unico dei musei francesi, a scrivere il ro-manzetto Point de lendemain: un petit conte libertine, che voleva dimostrare comesi potesse scrivere una storia d’amore senza fare ricorso a un linguaggio sconve-niente.

Il «personaggio ideale» continua a fraintendere. Riconduce le risposte del ro-manziere a un angusto moralismo. E contrattacca: «Ebbene, Racine. Non è ella

38 A. MANZONI, Fermo e Lucia cit., t. II, cap. II, p. 161.39 L. STERNE, Vie et opinione de Tristram Shandy, in ID., (Œuvres complètes, Paris 1803, t. I, cap.VI, p. 15.40 Ibid., t. III, cap. XIX, pp. 73-74 («La fantesca aveva dimenticato di mettere un vaso da notte sotto il letto. Su-

zanne, mentre con una mano sollevava la serranda della finestra e con l’altra mi accostava al davanzale, mi fa: – Nonpuoi per una volta provare a fame a meno, piccino mio? –. Avevo allora cinque anni. Suzanne non aveva tenuto contodel fatto che, di padre in figlio, in famiglia abbiamo tutti un naso ridicolmente abbreviato; lo testimonia il mio bisavo-lo. – Zac –, la serranda venne giù, addosso a me, come un fulmine. – Non c’è più niente da fare! – grida Suzanne –Non c’è più niente da fare! Non mi rimane che scappare »).

41 Ibid., cap, XXII, p. 78 («Trim mise il dito indice steso sul tavolo; poi, colpendolo ad angolo retto con il tagliodell’altra mano, trovò come raccontare la mia storia in modo che preti e vergini avessero potuto ascoltarla senza ar-rossire»).

Letteratura italiana Einaudi 13

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 14: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

cosa convenuta fra tutti gli uomini che hanno due dita di cervello, e che non sonoun secolo indietro dagli altri, che il pentimento che Racine provò per le sue trage-die è una debolezza degli ultimi suoi anni, debolezza indegna di quel grande in-telletto, debolezza che fa compassione?»42. La mossa è insidiosa. Ed è ardua lapresa di posizione di Manzoni. C’è il Racine delle «tragedie amorose»; e c’è il Ra-cine ravveduto di Athalie. C’è il poeta «tormentato e tormentatore pei meschiniinteressi della letteratura, e della sua letteratura»; e c’è il poeta libero dalle passio-ni, «in pace con sé, col genere umano e coi letterati [...] che si pentiva di averescritte rime d’amore»43. Se delle «tragedie amorose» di Racine fosse sopravvissu-to un unico esemplare; se fosse nelle mani di Manzoni, e Racine lo richiedesse perdarlo alle fiamme; ebbene, Manzoni non avrebbe avuto esitazioni:

Io glielo avrei dato subito perché quel brav’uomo potesse aver la soddisfazione di get-tarlo sul fuoco. Come! voi credete che si sarebbe dovuto esitare a togliergli dal cuorequesta spina? Gliel’avrei dato subito, perché il dispiacere ragionato, serio, riflessivo,nobile di Racine era un sentimento più importante, che non sia stato e non sia per esse-re il piacere che hanno dato e che sono per dare le sue tragedie fino alla consumazionedei secoli44.

Il Racine «greco» era, per Manzoni, uomo di dolore; e contrastante: «tor-mentato e tormentatore». La fallacia tematica della letteratura, e la scelta delmondo nella vita pratica, gli avevano fatto condividere la bufera infernale di que-gli «eroi» incontinenti che la «ragione» avevano sottomesso al «talento»: dante-scamente. Lo rileva la ripresa di un verso dell’Inferno (VI, 4: «novi tormenti e no-vi tormentati»), che si lasciava alle spalle l’amore colpevole dei due cognati piùcelebri della letteratura. Con la conversione all’«apologie» era subentrato in Raci-ne l’uomo del «dispiacere ragionato». E nell’Adelchi, nella vicenda di Ermengar-da («trasposizione purgatoriale dell’inferno di Fedra»)45, Manzoni andava intantomettendo in atto un suo Racine «riformato»46:

[...] O Carlo,farmi morire di dolor, tu il puoi;ma che gloria ti fia? Tu stesso un giornodolor ne avresti. – Amor tremendo è il mio.Tu nol conosci ancora; oh! tutto ancora

42 A. MANZONI, Fermo e Lucia cit., t. II, cap. 1, p. 146.43 Ibid., p. 147.44 Ibid., p. 148.45 P.P. TROMPEO, Vecchie e nuove rilegature gianseniste, Napoli 1958, p. 81.46 Cfr. G. CONTINI, Manzoni contro Racine (1939), in ID., Esercizi di lettura […], nuova edizione accresciuta, To-

rino 1974, pp. 349-57.

Letteratura italiana Einaudi 14

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 15: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

non tel mostrai: tu eri mio: securanel mio gaudio io tacea; né tutta maiquesto labbro pudico osato avriadirti l’ebbrezza del mio cor segreto47.

Il «gaudio» è la santa letizia del matrimonio, differenziata dall’«ebbrezza»profana della passione amorosa. E qui la tragedia si annoda con il Fermo e Lucia:«Chiesa, dove era preparato un rito [matrimoniale], dove l’approvazione e la be-nedizione di Dio doveva aggiungere all’ebbrezza della gioia il gaudio tranquillo esolenne della santità»48. Il linguaggio manzoniano lavora sul principio agostinianodella «castità coniugale», attraverso il Traité de la concupiscence di Bossuet: «[…]le mariage est un bien, et un grand bien, puisque c’est un grand Sacrement en J.C. et en son Eglise […]. Mais c’est un bien qui suppose un mal dont on use bien;c’est-à-dire, qui suppose le mal de la concupiscence […]»49.

La Digressione sull’amore fa da cerniera tra il brano sulle temperanze dell’a-more «giocondo» e «lieto» (che lo spirito romanzesco surdeterminerebbe) e lepassioni tenebrose di Egidio e della Monaca insanguinata; tra un respiro di cielo ela pesantezza del corpo, per usare il linguaggio di Bossuet; o (tornando al lin-guaggio di Manzoni) «[…] per quel pudore che non nasce dalla trista scienza delmale, per quel pudore che ignora se stesso, e somiglia al sospetto del fanciullo chetrema nelle tenebre senza sapere che cosa ci sia da temere»50, e l’«albero dellascienza» che «aveva maturato un frutto amaro e schifoso»51. Da una parte si col-loca l’inibizione narrativa. Dall’altra la diffusione, sostenuta da una salutare e di-stanziante pedagogia (tragica) dell’orrore: «Siamo stati più volte in dubbio se nonconvenisse stralciare dalla nostra storia queste turpi ed atroci avventure; ma esa-minando l’impressione che ce n’era rimasta, […] abbiamo trovato che era una im-pressione d’orrore; e ci è sembrato che la cognizione del male quando ne produ-ce l’orrore sia non solo innocua ma utile»52.

Nei Promessi sposi, dove la Digressione sull’amore non comparirà più, la teo-logia morale del riserbo e la poetica romantica della narrabilità passeranno in

47 A. MANZONI, Adelchi, atto IV, scena I, vv. 145-53, in ID., Tragedie, a cura di G. Bollati, Torino 1965, p. 188(corsivi nostri).

48 ID., Fermo e Lucia cit., t. I, cap. VIII, p. 140 (corsivi nostri).49 J.-B. BOSSUET, Traité de la concupiscence, 1742, p. 23 (trad. it. di G. Beltrani, Trattato della concupiscenza, pre-

sentazione di M. Sgalambro, Catania 1994, p. 22: «[…] il matrimonio […] è un bene, un bene immenso, poiché è ungrande sacramento in Gesù Cristo e nella sua Chiesa […]. Ma è un bene che presuppone un male di cui facciamobuon uso, vale a dire che presuppone il male della concupiscenza»).

50 A. MANZONI, Fermo e Lucia cit., t. I, cap. VIII, p. 135.51 Ibid., t. II, cap. V, p. 217.52 Ibid., cap. VI, p. 125.

Letteratura italiana Einaudi 15

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 16: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

consegna a Lucia. Che la sua storia di sentimenti impronunciabili confronterà conquella narrabile della Monaca:

[…] alla povera innocente quella storia [la sua] pareva più spinosa, più difficile da rac-contarsi, di tutte quelle che aveva sentite, e che credesse di poter sentire dalla signora.In queste c’era tirannia, insidie, patimenti; cose brutte e dolorose, ma che pur si pote-van nominare: nella sua c’era mescolato per tutto un sentimento, una parola, che non lepareva possibile di proferire, parlando di sé; e alla quale non avrebbe mai trovato da so-stituire una perifrasi che non le paresse sfacciata: l’amore!53.

E la parola fatidica, non da Lucia è esclamata, ma dallo sfacciatissimo Man-zoni. Il bistrattato «personaggio ideale» viene licenziato con uno «Sparisci», chenon consente repliche. Tuttavia il suo profilo farà capolino, un’altra volta ancora,nella scena della scrittura del Fermo e Lucia: «[…] questo lettore ha un animo ine-ducato al bello morale, avverso al decente, al buono istupidito nelle basse voglie,curvo all’istinto irrazionale»54. Il «personaggio» è stato però zittito, ormai. Defi-nitivamente.

Quei venticinque. Manzoni si era abbassato a scrivere un romanzo, malignò Tom-maseo. Che fece riassumere allo scrittore intervistato la sua inedita Digressionesull’amore nel romanzo. A suo modo, però, e preparando il Fogazzaro, che (con«turbamento» e «commozione amara») parlerà di una «questione» esclusivamen-te «morale»55: «[...] suo proposito era che quel libro potesse essere letto dalla suaGiulia, allora di quindici anni»56. L’indicazione ha fatto storia. È stata ripetutacon le frange: gonfiata, enfatizzata, e ulteriormente moralizzata. Fino a depositar-si in una lettera impossibile spedita a don Lisander da Albino Luciani, prima disalire al soglio pontificio con il nome di Giovanni Paolo I:

Dovunque la vostra penna toccava, sprizzavano scintille di fede religiosa, il che non po-teva succedere, se la mente e il cuore, che dirigevano la vostra mano nello scrivere di re-ligione non fossero state piene. I Promessi Sposi testimoniano in questo senso dal prin-cipio alla fine; è infatti sintomatico che di essi, di un romanzo, di una storia d’amore,

53 ID., I promessi sposi (nelle due edizioni del 1840 e del 1825-27 raffrontate tra loro), a cura di L. Caretti, Torino1971, cap. XVIII, pp. 418-19.

54 ID., Fermo e Lucia cit., t. III, cap. IV, p. 407.55 A. FOGAZZARO, Un’opinione di Alessandro Manzoni (1887), ID., Scritti di teoria e etica letteraria, a cura di E.

Landoni, Milano 1983, pp. 101-26. Cfr. anche L. CAPUANA, Nuovi ideali d’arte e di critica, in ID., Cronache lettera-rie, Catania 1899, pp. I-XXXII; e ID., Lettera a Giovanni Alfredo Cesareo del 12 luglio 1914, in Luigi Capuana a Gio-vanni Alfredo Cesareo (1882-1914), a cura di L. Sportelli, Valguarnera 1950, pp. 68-69.

56 N. TOMMASEO, Colloqui col Manzoni, in R. BONGHI, G. BORRI e N. TOMMASEO, Colloqui col Manzoni,a cura di A. Briganti, Roma 1985, p. 130.

Letteratura italiana Einaudi 16

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 17: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

Ludovico da Casoria, frate santo, abbia potuto dire: – È un libro che potrebbe essereletto in un coro di vergini presieduto dalla Madonna –57.

Dalla zitella, all’adolescente di casa Manzoni, alla Vergine Maria. Una bellapromozione, non c’è che dire. Rimane tuttavia il problema dei lettori elettivi diManzoni. Del suo numero. Limitato, volutamente e ponderatamente, a venticin-que.

Una questioncella, forse; ma di quelle che hanno fatto polverone. La sollevò,tirandola a fare effetto, il De Gubernatis:

È potuto parere strano ai lettori de’ Promessi Sposi che il Manzoni fissasse il numero de’suoi lettori a soli venticinque; o eran troppi, o troppo pochi; si disse che in quel caso ilManzoni affettava soverchia modestia; ma è difficile il cogliere il Manzoni in fallo; ilbuon senso è stato forse più vicino a lui che a qualsiasi altro mortale. Ora noi sappiamoche, prima di venir pubblicati, i Promessi Sposi furono veramente letti e talora moltocriticati da un numero scelto di amici, che potrebbero per l’appunto sommare insiemeal numero di venticinque58.

Provvide il figliastro di Manzoni, Stefano Stampa, a ridimensionarla:

Anche il sig. De Gubernatis si scervella per interpretare cosa significhino i miei 25 let-tori dei Promessi Sposi! [...] Si tranquillizzi perché il problema è bello e sciolto per boc-ca del Manzoni stesso (e mi pare d’averlo già detto) il quale, anche su questo, interro-gato direttamente da me, rispose che aveva voluto dire né più, né meno che, i miei po-chi lettori, senza allusione a nessun altro significato. Se questa frase l’avesse presa poi daqualche proverbio o modo di dire toscano, o l’abbia inventata lui, nol saprei dire59.

La faccenda si chiuse sull’affettazione di modestia. Si riaprì tuttavia sul ver-sante erudito, alla ricerca delle fonti letterarie della cifra tonda. Ed ecco la lungaserie di riscontri, su testi che vanno dal Trecento al Seicento, esibita da Mario Fer-rara, per dimostrare il «valore convenzionale» e come «cristallizzato» dell’indica-zione numerica60. Alla precisione del Ferrara diede autorità Bruno Migliorini61. Einquietò tutte le posizioni, di azione vecchia divenute nuove e sovreccitate, Virgi-nia Monzini. In una gherminella, arguta:

Se ci accostiamo all’interpretazione che lascia scorgere nei ‘venticinque’ una finta man-zoniana modestia, parlava forse nel Manzoni un giusto orgoglio ben dissimulato: l’ope-ra sua poteva piacere soltanto a pochi lettori, che dall’invenzione su sfondo storico sa-

57 A. LUCIANI, L’unica aristocrazia, in ID., Illustrissimi (1975), Padova 19783, p. 210.58 A. DE GUBERNATIS, Alessandro Manzoni. Studio biografico, Firenze 1879, pp. 265-66; si veda anche ID., Il

Manzoni ed il Fauriel studiati nel loro carteggio inedito, Roma 18802,p. 237.59 S. STAMPA, Alessandro Manzoni. La sua famiglia. I suoi amici. Appunti e memorie, II, Milano 1889, p. 176.60 Cfr. M. FERRARA, Per «i venticinque lettori» del Manzoni, in «Lingua nostra», IX (1948), 3-4,pp. 64-67.

Letteratura italiana Einaudi 17

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 18: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

pessero assurgere fino a comprendere un’equilibrata sapienza di pensiero e di stile. Manon è questione da dirimere con un giudizio assoluto; anche pei ’venticinque’ l’ambi-guità manzoniana ondeggia con la garbata insidia del doppio senso62.

Non c’è dubbio. All’inizio aveva agito in Manzoni un criticismo di modestia.Nel Fermo e Lucia lo scrittore interloquisce genericamente con «pochi lettori»63,che rischia di disaffezionare per strada negli andirivieni di una narrazione digres-siva e progressiva insieme: «[...] abbiamo forse già perduti i tre quarti dei nostrilettori; cioè almeno una trentina»64. Ancora più depresso è il numero d’affetto,nella lettera al Fauriel dell’11 giugno 1827. Qui è regredito a «dieci»65. Solo neiPromessi sposi la dannazione degli scarsi lettori si qualifica nella discussa misura:«Pensino ora i miei venticinque lettori [...]»66; all’interno della quale, lo scrittorene individua «dieci» (quanti ne esibiva a Fauriel) più anziani67.

Bisogna intendere i gradi di ironia e di divertita autoironia percorsi da Man-zoni mentre si proponeva di dare all’Italia la «gloria» di un’opera, che si vantavadi appartenere al genere «proscritto» dalle convenzioni letterarie e da quelle (tut-tavia congeniali all’autore) del rigorismo religioso di giansenistica vocazione. Diquesta giocata impudenza dà testimonianza la lettera citata al Degola, nella qualeManzoni si proclama empoisonneur public: con l’autorità che al titolo deriva daNicole. Su questa scena si esibiscono i «venticinque» già visti in visione (con l’ap-prossimazione di un circa) dal profeta Ezechiele (8, 16) e riproposti (in cifra pie-na) dall’incandescente oratoria del Memoriale ai milanesi di Carlo Borromeo:«Ezechiel […] vide quei venticinque uomini, che avevano voltato le spalle al tem-pio e la faccia ad oriente e adoravano il sole. Non vi pare, o figliuoli, che in un cer-to modo a guisa di questi siano tutti quelli che voltate le spalle a Dio, si daranno agodere il mondo […]?»68. Proprio come gli ipotetici lettori di una «bazzecola» diromanzo che, di concerto con l’autore, si prostrano al profano e trascurano gli af-fari «d’importanza». Che era un modo, in estremo, per strizzar l’occhio e dar digomito al Bartoli della Geografia trasportata al morale. Il gesuita aveva tenuto ilconto delle ore che in un anno un «pazzo» investe in sonno, giochi, cicalecci,commedie, novelle, romanzi, poesie, ozi, e «fatiche peggiori dell’ozio». Fatta lasomma, e calcolato il resto, aveva concluso: «D’ottomile settecento sessantase’ ore

61 Cfr. B. MIGLIORINI, I miei venticinque lettori, in «Video», VIII (1973), 9, p. 29.62 V. MONZINI, La critica dei «venticinque», in «Convivium», XXXIII (1965), 1, pp. 360-91.63 A. MANZONI, [Prima] Introduzione cit., pp. 7 e 8.64 ID., Fermo e Lucia cit., t. II, cap. IX, p. 323.65 ID., Lettera a Claude Fauriel dell’11 giugno 1827, in ID., Tutte le lettere cit., t. I, p. 415.66 ID., I promessi sposi cit., cap. I, p. 28.67 Ibid., cap. IX, p. 199.

Letteratura italiana Einaudi 18

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 19: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

che compongono un anno, inorriderà al non vedercene rimanere, delle spese util-mente (che sole può dir sue), voglialo Iddio, che venticinque»69.

Venticinque ore sante. Venticinque lettori «pazzi». E ancora, dentro la favoladel romanzo: le venticinque berlinghe di un debito con il curato; i venticinquescudi di una multa; i venticinque anni di una Monaca giunta al punto.

L’Anonimo e il Gesuita. La Fama è un centone anatomico. Uno svolazzo di dovi-zioso apparato. Uno sconcertato concerto. Divinità grifagna e nefaria, tutto, tracielo e terra, involge e svolge: è una ciarla a scataroscio; un deliramento, che veritàe menzogna non divaria. Così la rappresenta Manzoni, per ben due volte:

[…] quella che ha (mirabile a dirsi!) tanti occhi quante penne, e tante lingue quanti oc-chi, e (ma questo pare più naturale) tante bocche quante lingue, e finalmente tanteorecchie quanti occhi lingue e bocche (debb’essere una bella dea) questa ultima sorelladi Ceo e di Encelado, partorita dalla Terra in un momento di collera, veloce al passo eal volo, che cammina sul suolo e nasconde il capo tra le nuvole, che vola di notte perl’ombra del cielo e della terra, né mai vela gli occhi al sonno; e di giorno siede sui comi-gnoli dei tetti o su le torri, e spaventa le città, portando attorno il finto e il vero indiffe-rentemente, costei aveva già prima della notte diffusa nei paesi circonvicini la storia del-le avventure di quel giorno70.

Il targone avviva la ragionata visione delle strumenterie del classicismo mito-logico:

Per fare intendere al lettore questa particolarità, abbiamo usurpato formole che a dirvero appartengono esclusivamente alla poesia, ma saremo scusati da coloro, i quali san-no che ad imprimere vivamente una immagine nelle fantasie il mezzo più efficace è l’al-legoria, e singolarmente quella già nota e consecrata delle antiche favole: poiché quan-do si vuol fare immaginar bene una cosa, bisogna rappresentarne un’altra: così fatto èl’ingegno umano quando è coltivato con diligenza71.

La dea è un mostro generato «a bel diletto» dalla «bella» letteratura della fal-sificazione: «la natura, e la bella natura, sono due cose diverse»72; che fra loroconfliggono, come la naturale bellezza del «vero storico» e del «vero morale» conla guasta e stolida «poesia» di «una immaginazione falsa, non fondata, o strava-gante». È il nodo teorico dei Materiali estetici (1816-19)73 e della lettera al mar-

68 C. BORROMEO, Memoriale ai milanesi, prefazione di G. Testori, Milano 1965, parte Il, cap. II, p. 82.69 D. BARTOLI, La geografia trasportata al morale, Venezia 1666, cap. VIII (Le campagne d’Uraba), p. 121. 70 A. MANZONI, Fermo e Lucia cit., t. III, cap. III, p. 372; cfr., inoltre, ibid., t. II, cap. IX, p. 292.71 Ibid., t. III, cap. III, p. 372.72 Ibid., cap. VIII, p. 491.

Letteratura italiana Einaudi 19

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 20: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

chese Cesare d’Azeglio Sul Romanticismo (1823): «questo diletto [...] è distruttodalla cognizione del vero»74. E l’antimitologismo di Manzoni arriva a sconciare,con un pensiero di omofilia, la neoclassica scena «dipinta» di Amore e Psiche: op-pressa nel gesto di un oste che, alla luce di un «lucignolo», spia «furtivamente leforme» di quel «consorte sconosciuto», o «matto minchione», che è andato aubriacarsi e a mettersi nei guai nella sua bottega75.

«Se noi vogliamo cercare attentamente, e dire candidamente il vero, non èforse l’interesse delle cose presenti che principalmente ci muove ad esaminare lepassate?» Se lo chiede Manzoni nella Digressione sulla posterità della prima Co-lonna infame76. A ragion veduta. Dal momento che andava abbinando Ottocentoneoclassico e «abbominazione» barocca, in un’unica polemica contro il «mestiereguastato» delle lettere: «tengo per fermo che si parlerà dell’epoca mitologica del-la poesia moderna, come noi ora parliamo del gusto del seicento, anzi con tantopiù di maraviglia, quanto l’uso della favola è più essenzialmente assurdo, che noni concettini, più importantemente assurdo che non i bisticci»77. E i gradi di assur-dità erano nelle sostanze delle «idee»: nell’«idolatria» della favola; e nello «smar-rimento o pervertimento» del Seicento, che «fu un secolo in Italia grossolano ebarbaro in molte cose importantissime: politica, commercio, polizia, giurispru-denza e lettere, ecc. ecc.»78. La polemica antisecentesca dell’illuminismo lombar-do veniva convocata a sostegno dei manifesti romantici; a ribadire un’eredità e acontribuire alla sperimentazione di un romanzo, ambientato nella Lombardia de-gli anni 1628-30 (da un autunno all’altro: da un primo a un ultimo novembre),che si presentava con il cipiglio saggistico (inidillico e antieroico; cristianamentetragico e realisticamente antiteatrale) di una battaglia contro il «bel vivere» e con-tro l’artefatto geometrismo della falsità morale del romanzesco:

Bisogna confessare che nei romanzi e nelle opere teatrali, generalmente parlando, è unpiù bel vivere che a questo mondo: ben è vero che vi s’incontrano i birboni più feroci,più diabolici, più colossali, vi si scorgono scelleratezze più raffinate, più ingegnose, piùrecondite, più ardite che non nel corso reale degli avvenimenti; ma vi ha pure dei gran-di vantaggi, ed uno che basta a compensare molti mali, uno dei più invidiabili si è, chegli onesti, quelli che difendono la causa giusta, per quanto sieno inferiori di forze, e bat-

73 Cfr. ID., Materiali estetici cit., p. 21.74 ID., Sul Romanticismo, in ID., Tutte le opere cit., V/3, p. 248.75 ID., Fermo e Lucia cit., t. III, cap. VII, p. 471.76 Il testo è stato ripubblicato, in edizione critica, da C. RICCARDI, La digressione «Sulla posterità» (1985), in ID.,

Il «reale» e il «possibile». Dal «Carmagnola» alla «Colonna Infame», Firenze 1990, pp. 91-118.77 A. MANZONI, Sul Romantìcismo cit., p. 228.78 ID., Postilla al t. II del Cours de littérature dramatique, nella traduzione di M.me Necker de Saussure (Paris

Letteratura italiana Einaudi 20

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 21: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

tuti dalla fortuna, hanno sempre in faccia dell’empio ancor che trionfante una sicurez-za, una risoluzione, una superiorità d’animo e di linguaggio che dà loro la buona co-scienza, e che la buona coscienza non dà sempre agli uomini realmente viventi. Questi,quando abbiano dalla parte loro la giustizia senza la forza, e vogliano pure ottenerequalche cosa difficile in favore della giustizia sono obbligati a pensare ai mezzi pergiungere a questo loro fine, e i mezzi sono tanto scarsi, e per porli in opera senza gua-stare la faccenda si incontrano tanti ostacoli, fa bisogno di tanti riguardi, che da tuttequeste considerazioni si trovano posti necessariamente in uno stato di esitazione, dicautela, e di studio, che gli fa sovente scomparire, in faccia ai loro avversarj risoluti edincoraggiati dalla forza e dalla abitudine di vincere, e spesse volte, convien dirlo, dal fa-vore o sciocco, o perverso degli spettatori. L’uomo retto sente, a dir vero con certezza econ ardore la giustizia della sua ragione, ma questa sua idea è un risultato, una conse-guenza d’una serie di ragionamenti e di sentimenti, per la quale è trascorso il suo ani-mo: se egli la esprime fa ridere l’avversario, il quale per un’altra serie di idee è giunto esi è posto in un risultato opposto: e pur troppo, tolti alcuni casi, l’uomo che non ha chesé per testimonio e per approvatore, e che vede negli altri contraddizioni e scherno per-de facilmente fiducia, e quasi quasi è disposto a dubitare: o almeno si trova in quellostato di contrasto che fa comparire l’uomo imbarazzato. Avvien quindi spesse volte cheun ribaldo mostra in tutti i suoi atti una disinvoltura, una soddisfazione che si prende-rebbe quasi per la serenità della buona coscienza se fosse più placida e più composta, eche l’uomo onesto e nella espressione esteriore, e nell’animo interno mostra e prova tal-volta una specie d’angustia e di vergogna che si crederebbe rimorsi; dimodoché a pocoa poco finisce per essere soperchiato non solo nei fatti ma anche nel discorso, e nel con-tegno, e sta come un supplichevole e quasi come un reo dinanzi a colui che lo è vera-mente79.

S’io avessi ad inventare una storia, e per descrivere l’aspetto d’una città in una occasio-ne importante, mi fosse venuto a taglio una volta il partito di farvi arrivare, e girar perentro un personaggio, mi guarderei bene dal ripetere inettamente lo stesso partito perdescrivere la stessa città in un’altra occasione: che sarebbe un meritarsi l’accusa di steri-lità d’invenzione, una delle più terribili che abbian luogo nella repubblica delle lettere,la quale, come ognun sa, si distingue fra tutte per la saviezza delle sue leggi. Ma, comeil lettore è avvertito, io trascrivo una storia quale è accaduta: e gli avvenimenti reali nonsi astringono alle norme artificiali prescritte all’invenzione, procedono con tutt’altre lo-ro regole, senza darsi pensiero di soddisfare alle persone di gran gusto. Se fosse possi-bile assoggettarli all’andamento voluto dalle poetiche, il mondo ne diverrebbe forse an-cor più ameno che non sia; ma non è cosa da potersi sperare80.

Il programma è di «peindre une époque par le moyen d’une fable de […] in-vention»; come aveva fatto Walter Scott nell’Ivanhoe; e come, contemporanea-

1814), in ID., Opere inedite o rare, a cura di R. Bonghi, II, Milano 1885, p. 442.79 ID., Fermo e Lucia cit., t. I, cap. V, pp. 82-83.80 Ibid., t. V, cap. VI, p. 605.

Letteratura italiana Einaudi 21

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 22: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

mente, faceva il sodale Tommaso Grossi nel poema I Lombardi alla prima crociata.Ma senza i «colori» e le svogliatezze storiche dello scrittore scozzese. Ne dà contoManzoni nelle lettere al Fauriel del 23 gennaio del 1821 e del 29 maggio del182281; e ne ribadisce la portata innovativa il Visconti, in una lettera al Cousin del182182. La favola è quella di un matrimonio differito di due operai brianzoli; cele-brato, infine, con due anni di ritardo. E a interferire con essa, la storia di un’epoca:

[…] le gouvemement le plus arbitraire combiné avec l’anarchie féodale et l’anarchiepopulaire; une législation étonnante par ce qu’elle prescrit […] une ignorance profon-de, féroce, et prétentieuse […] une peste qui a donné de l’exercice à la scélératesse laplus consommée et la plus déhontée, aux préjugés les plus absurdes, et aux vertus lesplus touchantes etc. etc. […]83.

È il canovaccio del romanzo. Del doppio romanzo. Nato dapprima come Fer-mo e Lucia (1821-23). Poi riscritto e ristrutturato (anche con il supporto delle po-stillature sull’unità narrativa di Fauriel e su quelle antioratorie di Visconti); intito-lato I promessi sposi (non prima dell’estate del 1825)84; dato alle stampe nel 1827;e ristampato a dispense nel 1840-42 («con prolungamenti per certi fogli difettosi,che si protrassero fino all’autunno del 1845»)85, nell’edizione definitiva illustratada un’équipe di incisori: secondo un progetto grafico di Gonin e una «sceneggia-tura» predisposta dallo stesso Manzoni86. Il complesso percorso dal Fermo e Lu-cia alle due edizioni dei Promessi sposi è anche la storia sofferta del laboratorio diuna scrittura che, escluso il purismo cruscante e la sua ostinata retroversione al-l’aureo Cinquecento, vuole porsi «al livello delle cognizioni europee» e quindiadeguarsi a una lingua di comunicazione: da una urgenza dialettale, visceralmen-te milanese, disciplinata dall’uso letterario toscano, premuta dal modello france-se, e attestatasi in un espressivo mistilinguismo; alla fase toscano-milanese delleequivalenze e coincidenze fra locuzioni lombarde e modi toscani, attinte con l’au-silio dei vocabolari; all’abbassamento di letterarietà (con una sintassi che predili-ge l’indicativo al congiuntivo, e con l’attenzione a evitare latinismi eccessivamen-te scoperti)87; alla «risciacquatura» del lessico e della sua dizione nell’effettivo uso

81 Cfr. ID., Lettere a Claude Fauriel del 23 gennaio 1821 e del 29 maggio1822, in ID., Tutte le lettere cit., t. I, pp.227 e 270-71.

82 Cfr. ibid., p. 825.83 Ibid., p. 270 («[…] il governo più arbitrario combinato con l’anarchia feudale e con l’anarchia del popolo; una

legislazione strabiliante per ciò che prescrive […] una ignoranza profonda, feroce e pretenziosa […] una peste che hadato di che esercitarsi alla scelleratezza più consumata e spudorata, ai pregiudizi più assurdi e alle virtù più toccantiecc. ecc. […]»).

84 Cfr. D. DE ROBERTIS, Sul titolo dei «Promessi sposi», in «Lingua nostra», XLVII (1986), 2-3, pp. 33-37.85 C. FAHY, Per la stampa dell’edizione definitiva dei «Promessi sposi», in «Aevum», LVI (1982), 3, pp. 377-94.86 Cfr. F. MAZZOCCA, Quale Manzoni? Vicende figurative dei Promessi Sposi, Milano 1985.87 Cfr. S. PAPETTI, Varianti di indicativo e congiuntivo nelle edizioni dei «Promessi sposi» (1825-27; 1840), in

Letteratura italiana Einaudi 22

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 23: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

civile del fiorentino, grazie all’aiuto dei «correttori» Gaetano Cioni e Gian Batti-sta Niccolini e alla consulenza della giovane istitutrice fiorentina Emilia Luti.

Il Fermo e Lucia non è l’abbozzo che prepara I promessi sposi. È già il puntod’arrivo, in sé autonomo, di spostamenti e aggiustamenti delle unità narrative88. Ilprimo romanzo è tradizionalmente e convenzionalmente diviso in tomi (in tuttoquattro) e capitoli. Sulla linea di sviluppo della vicenda predominano le masse adampie unità costruttive, che i grandi quadri di saggismo storiografico sulla guerrae sulla peste (e sulle responsabilità culturali e politiche che su queste piaghe bibli-che pesavano) distolgono dal «romanzo» degli sposi promessi. E il «romanzo» è asua volta pluribiografico, organizzato in cicli: alla maniera delle «carriere» di Ho-garth e di tanti romanzi del Settecento. Laddove I promessi sposi (che non a casolasciano cadere la partizione a blocchi dei tomi) alla statica di storie e di storia so-stituiscono la dinamica delle linee misurate dalla scansione in giorni e mesi (e, inun caso, dall’onda lunga di un anno: quello della guerra per il possesso del duca-to di Mantova e del Monferrato; degli effetti della carestia; dei lanzichenecchi chepassano e dei «teleri» della peste) e che si separano e da lontano si corrispondo-no; e che toccano la storia, e con essa si intrecciano, tutto correlando. Il «ciclo» èunitario. E la «carriera» è tutta del protagonista maschile (di Renzo; non più diquel Fermo Spolino del primo romanzo, sempre fermo alla sua condizione dioperaio e buon «massaio»), che alla fine delle sue prove con il mondo viene pro-mosso dagli eventi a comproprietario, insieme al cugino Bortolo, di una piccolaindustria tessile nella libera terra di Bergamo: come l’operoso Goodchild dellaquarta tavola del «ciclo» Operosità e pigrizia di Hogarth, passato dal telaio allacomproprietà dell’azienda; mentre due guanti, che si danno di «mano» sullo scrit-toio, stringono l’intesa tra i due soci.

Di nuovo Hogarth. Nel Fermo e Lucia, la moglie dell’aristotelico don Ferran-te ha una «governatrice». Si chiama Margherita. La padrona la chiama SignoraGhitina. Gli altri servitori l’hanno però ribattezzata Signora Chitarra: «Pretende-vano costoro che il suo collo lungo, la sua testa in fuori, le sue spalle schiacciate,la vita serrata dal busto, e le anche allargate la facessero somigliare alla forma diquello strumento: e che la sua voce acuta, scordata, e saltellante imitasse appunto

«Critica letteraria», III (1975), 6, pp. 55-90. Per i latinismi, valga quest’esempio: «[…] di tutto si formava una indige-sta, immane congerie di pubblica forsennatezza» (edizione ’27); «di tutto si formava una massa enorme e confusa dipubblica follia» (edizione 40); cfr. A. MANZONI, I promessi sposi cit., cap. XXXII p. 749. La correzione elimina il ri-cordo di Ovidio: «[…] Chaos, rudis indigestaque moles» (Metamorphoseon libri, I, 7).

88 Cfr. L. TOSCHI, Si dia un padre a Lucia. Studio sugli autografi manzoniani, Padova 1983; e ID., Percorsi testua-li del «Fermo e Lucia», in AA.VV., Giornata di studio (16 maggio 1985) nel II centenario della nascita di AlessandroManzoni, Roma 1987, pp. 61-84. Di diverso avviso, filologicamente immotivato, è E. N. GIRARDI, Struttura e perso-naggi dei «Promessi Sposi», Milano 1994.

Letteratura italiana Einaudi 23

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 24: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

il suono, che esso dà quando è strimpellato da mano inesperta»89 . La figura a col-lo slungato, che include la «preformazione» intellettuale di uno strumento, è ma-nieristìca90. La donna-chitarra è nello stile manieristicamente espressionistico del-l’Hogarth della dama-teiera o del vescovo-arpa (nella stampa Monarchia, Episco-pato e Legge). La sagoma grottesca della «governatrice» viene sacrificata nei Pro-messi sposi. Dai quali invece emerge la donna-pentolaccia: «[...] sconcia era la fi-gura della donna: un pancione smisurato, che pareva tenuto a fatica da due brac-cia piegate: come una pentolaccia a due manichi […]»91. I promessi sposi «carica-no» il corrispondente passo del Fermo e Lucia, dove la sconcezza del corpo è do-vuta semplicemente a un’apparenza di tutta-pancia: «[...] da lontano sarebbesembrato una pancia immensa»92. La donna-pentolaccia nasce sì da un recuperodi Hogarth, ma riconquistato all’avventura delle parole: alle sottotracce sinuoseche, dentro le linee della narrazione, serpeggiano a rilevare, a raccogliere e a coor-dinare particolari altrimenti muti e dispersi. Nel Fermo e Lucia il pancione si la-scia sfuggire l’arguzia di ammiccare al guazzabuglio del «corpaccio» del popolo(o «pentola» che «aveva cominciato a ribollire»)93 durante l’insurrezione urbanaper il pane. Al contrario, nei Promessi sposi, la «pentolaccia» punta a correlare ledissennatezze della rivolta frumentaria del 1628 (una cuccagna di dispendio, chel’abbondanza di cibo pretende di far nascere feticisticamente dalla distruzionedelle madie dei forni e dalla seminagione di farina e pani per le strade della città)e l’insensato gioco politico delle corti europee (nelle quali la storia «bolle in pen-tola»)94 e della contesa del 1629 tra Spagna e Francia (che «bolliva» nella guerraper la successione nel Ducato di Mantova)95. Inoltre: nel Fermo e Lucia la donna-chitarra è un divertimento letterario; nei Promessi sposi la donna-pentolaccia è unparadigma che collabora alla spietata fenomenologia manzoniana del comporta-mento delle folle durante la carestia e la peste. La «pentolaccia» è un argomentomorale: è la donna-folla. E convive, nel romanzo, con due frammenti d’incubo:con l’uomo-folla, o «vecchio mal vissuto, che, spalancando due occhi affossati einfocati, contraendo le grinze a un sogghigno di compiacenza diabolica, con lemani alzate sopra una canizie vituperosa, agitava in aria un martello, una corda,quattro grandi chiodi, con che diceva di volere attaccare il vicario a un battente

89 A. MANZONI, Fermo e Lucia cit., t. III, cap. IX, p. 501.90 Cfr. R. LONGHI, Cinquecento classico e Cinquecento manieristico (1951-1970), Firenze 1976, pp. 93-94.91 A. MANZONI, I promessi sposi cit., cap. XI, p. 276.92 ID., Fermo e Lucia cit., t. III, cap. V, pp. 417-18.93 Ibid., cap. VIII, p. 485.94 ID., I promessi sposi cit., cap. V, p. 114.95 Ibid., cap. XXVII, p. 613.

Letteratura italiana Einaudi 24

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 25: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

della sua porta, ammazzato che fosse»96; e con l’altra donna-folla, che invita al dà-gli all’untore nella Milano appestata («la quale, con un viso ch’esprimeva terrore,odio, impazienza e malizia, con cert’occhi stravolti che volevano guardar lui, eguardar lontano, spalancando la bocca come in atto di gridare a più non posso,ma rattenendo anche il respiro, alzando due braccia scarne, allungando e ritiran-do due mani grinzose e piegate a guisa d’artigli, come se cercasse d’acchiapparqualcosa, si vedeva che voleva chiamar gente, in modo che qualcheduno se n’ac-corgesse»)97. La pentolaccia, il malvissuto e l’arpia sono i geni anonimi e saturni-ni della forza collettiva. Sono la cifra carnevalesca (nel caso della pentolaccia) ediabolica degli irresponsabili poteri di suggestione, convinzione e conculcazioneesercitati dalle masse sulla società: sugli amministratori e sulla magistratura. Lafobìa di Manzoni è «postrivoluzionaria». Paventa lo spettro dei sanculotti98. E inpiù, nell’urlo della folla, nel suo «muggito», riascolta il «tolle, tolle, crucifigeeum» (Ioannes, 19, 15) del massimo delitto giudiziario della storia. Il «primo uo-mo» dei Promessi sposi «s’avviò alla coda dell’esercito tumultuoso»99. Dimostran-do così che non c’è differenza morale tra una «coda» di popolo e la «coda» di un«eroe» della demagogia e della dissimulazione (e la sua «vecchiezza» è dissimula-tamente «decorosa», piuttosto che «vituperosa») qual è il gran cancelliere spa-gnolo Antonio Ferrer: «– [...] Chiudete ora: no; eh! eh! la toga! la toga! –. Sareb-be in fatti rimasta presa tra i battenti, se Ferrer non n’avesse ritirato con molta di-sinvoltura lo strascico, che disparve come la coda d’una serpe, che si rimbuca in-seguita»100.

Il Fermo e Lucia è superficialmente hogarthiano. I promessi sposi sonoprofondamente e intimamente hogarthiani. Dall’uno all’altro romanzo, Manzoniè passato dalla moralità dei cicli alla moralità della linea serpentina della bellezza:dall’applicazione delle stampe, all’utilizzazione accorta dell’Analysis of Beauty(tradotta in italiano nel 1761 e discussa da Visconti nell’appendice ai capitoli II eIII della prima parte della redazione 1819-24 delle Riflessioni sul bello). Sta di fat-to che Manzoni (tanto nel primo che nel secondo romanzo) si diverte a rivelare lalinea di Hogarth, sornionamente nascondendola nell’affrescaccio di una cappel-letta votiva di campagna:

I muri interni delle due viottole, in vece di riunirsi ad angolo, terminavano in un taber-

96 Ibid., cap. XIII, pp. 302-3.97 Ibid., cap. XXXIV, p. 803.98 Si veda S. TIMPANARO, I manzoniani del compromesso storico e alcune idee sul Manzoni (1975), in ID., Anti-

leopardiani e neomoderati nella sinistra italiana, Pisa 1982, pp. 17-47.99 A. MANZONI, I promessi sposi cit., cap. XII, p. 296.100 Ibid., cap. XIII, p. 315.

Letteratura italiana Einaudi 25

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 26: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

nacolo, sul quale eran dipinte certe figure lunghe, serpeggianti, che finivan in punta, eche, nell’intenzion dell’artista, e agli occhi degli abitanti del vicinato volevan dir fiam-me; e, alternate con le fiamme, cert’altre figure da non potersi descrivere, che volevandire anime del purgatorio: anime e fiamme a color di mattone, sur un fondo bigiogno-lo, con qualche scalcinatura qua e là101.

Manzoni dice «serpeggianti». Ed è rilevante. Perché la fonte prima dell’immagineè la «serpentinata» di cui discorre il Trattato dell’arte della pittura, scoltura et ar-chitettura di Gian Paolo Lomazzo102; nella dizione però di una citazione dell’Ho-garth italianizzato, circa la figura «serpeggiante»:

Si racconta dunque che Michel Angelo comunicò quest’osservazione al Pittore Marcoda Siena suo scolare, ch’egli dovesse sempre fare una figura piramidale, serpeggiante, emoltiplicata per uno, due e tre: nel qual precetto (secondo me) tutto il mistero dell’arteconsiste. Perché la maggior grazia, e vivacità che una pittura aver possa, è, che esprimail moto; il che i Pittori chiamano lo Spirito di una pittura. Ora non vi è forma, che sia piùacconcia ad esprimere un tal moto che quella della fiamma del fuoco, che secondo Ari-stotele, ed altri Filosofi è un elemento più attivo di tutti gli altri; perché la forma dellafiamma di esso è più atta per il moto; come che abbia un Cono, o punta acuta, con cuisembra divider l’aria per poter ascendere alla sua sfera. Talmente che una pittura aven-do questa forma sarà bellissima103.

Il Seicento del Fermo e Lucia ha una più forte rilevatura barbarica. Di tipotragico. E ancora nella lettera del Discorso sur alcuni punti della storia longobardi-ca in Italia (1822): «[...] salvare una moltitudine dalle ugne atroci delle fiere bar-bariche»104. Di «unghie» e «sozzi artigli», che graffiano l’aria, il romanzo è stipa-to; come pure di varie «fiere»: tanto che la stessa Lucia è «bella fera»105. La so-cietà è divisa in «facinorosi» e in «circospetti»106: bracchi e pernici; in cacciatori(talvolta leggiadri) e lepri; in uccellacci e uccellini; in diavoli incarnati e in pre-de107. Tutto il romanzo è una caccia all’uomo, crudele e barbarica. Che in parte

101 Ibid., cap. I, p. 12.102 Cfr. G. P. LOMAZZO, Trattato dell’arte della pittura, scoltura et architettura, in ID., Scritti sulle arti, a cura di

R. P. Ciardi, II, Firenze 1974, cap. I, p. 29. Cfr. L. BOTTONI e E. RAIMONDI, Metafora: parola e immagine, in Let-teratura italiana e arti figurative, a cura di A. Franceschetti, 1, Firenze 1988, pp. 61-80. Sul trattato di Hogarth cfr. G.C. ARGAN, Le idee artistiche di William Hogarth (1950), in ID., Studi e note. Dal Bramante al Canova, Roma 1970,pp. 405-22; e F. MENNA, William Hogarth. «L’analisi della bellezza», Salerno 1988.

103 W. HOGARTH, The Analysis of beauty, 1753 (trad. it. L’analisi della bellezza, ristampa dell’edizione Livorno1761, a cura di M. N. Varga, Milano 1989, p. 11).

104 A. MANZONI, Discorso sur alcuni punti della storia longobardica in Italia, a cura di A. Di Benedetto, Torino1984, cap. V, p. 132.

105 ID., Fermo e Lucia cit., t. II, cap. VII, p. 231.106 Ibid., cap. I, p. 149.107 Per l’animal analogy cfr. G. LONARDI, Caccia tragica, in ID., Ermengarda e il pirata Manzoni, dramma epico,

melodramma, Bologna 1991, pp. 133-46.

Letteratura italiana Einaudi 26

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 27: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

sopravvive nei Promessi sposi, ma nella superiore dimensione del «patire»: dell’a-delchiano «[…] far torto, o patirlo […]» (V, 7, 52); e di una feroce forza che «ilmondo possiede» (V, 7, 52-53). La morale della Chiesa «comanda di patire piut-tosto che farsi colpevole», dice Manzoni108. E il principio viene indegnamente tra-dotto da don Abbondio, nel suo idioletto della paura: «Non si tratta di torto o diragione; si tratta di forza»109.

La stessa parodia della letteratura del Seicento segue, nel Fermo e Lucia, il co-pione di una documentazione didatticamente canzonatoria che manca della «me-tafisicizzazione» e del più alto tiro del secondo romanzo. Manzoni era restìo allacorrispondenza epistolare. E questa sua avversione riversò nei due romanzi. Lelettere che corrono tra un personaggio e l’altro hanno il triste destino o di essereintercettate da chi non si vorrebbe, o di ottenere un effetto assai diverso dal finepredisposto; o, peggio, di incatenare il mittente a un impegno che lo perderà. L’e-terogenesi dei fini, il disturbo e l’imbroglio, sono massimi ed esilaranti nella cor-rispondenza tra personaggi di «omerico» analfabetismo; che mette in parodia laletteratura secentesca dei Segretari: i trattati dello scriver lettere sotto dettatura, edel corrispondere per «turcimanni»; e le raccolte di lettere segretariali. È dettonel Fermo e Lucia:

Chi ha avuto occasione di veder mai carteggi di questa specie sa come sono fatti e comeintesi. Colui che fa scrivere, dà al segretario un tema ravviluppato, e confuso; questiparte frantende, parte vuol correggere, parte esagerare per ottener meglio l’intento,parte non lo esprime come lo ha inteso; quegli a cui la lettera è indiritta, se la fa leggere;capisce poco; il lettore diventa allora interprete, e con le sue spiegazioni imbroglia an-che di più quel poco di filo che l’altro aveva afferrato: di modo che le due parti Fini-scono a comprendersi fra loro come due filosofi trascendentali110.

Alla casistica del Fermo e Lucia, il secondo romanzo aggiunge il caso perver-so e di metafisica vacuità di un dettatore che non può o non vuole farsi capire:

Che se, per di più, il soggetto della corrispondenza è un po’ geloso; se c’entrano affarisegreti, che non si vorrebbero lasciar capire a un terzo, caso mai che la lettera andassepersa; se, per questo riguardo, c’è stata anche l’intenzione positiva di non dir le cose af-fatto chiare; allora, per poco che la corrispondenza duri, le parti finiscono a intendersitra di loro come altre volte due scolastici [...]111.

L’arabesco di comunicazioni distorte e malfide diventa funambolico. Si attac-

108 A. MANZONI, Osservazioni sulla morale cattolica cit., II, cap. II, p. 466.109 ID., I promessi sposi cit., cap. II, p. 47.110 ID., Fermo e Lucia cit., t. III, cap. IX, pp. 509-10. 111 ID., I Promessi Sposi cit., cap. XXVII, p. 620.

Letteratura italiana Einaudi 27

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 28: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

ca alle nuvole. E su quelle nuvole, a tanta altezza di metafisica entelechia, Manzo-ni trova (solo adesso) più alto bersaglio nel romanzo barocco; se non proprio inuno del Biondi, intitolato La donzella desterrada (1628), in cui il re Arato detta undecreto «non volendo esser inteso», e pretendendo che «si facesse come se l’in-tendessero»: «Fu conchiusa finalmente una lunga diceria: chi la dettò non l’inte-se, per intendersi meno da chi non era per intendersi che male»112.

Il Fermo e Lucia è precario nella designazione dei nomi dei personaggi. Laserva del curato in principio è chiamata Vittoria, poi Perpetua. Il cugino del ti-ranno antagonista di Fermo (don Rodrigo) è indicato come conte Orazio, primadi diventare conte Attilio. Il cappuccino padre Galdino (e anche padre Guardia-no) diventa padre Cristoforo, e il suo primo nome passerà a designare il frate que-stuante ex fra Canziano; la «maschera» della falsa scienza secentesca, don Vale-riano, prenderà il nome di don Ferrante, e la moglie da donna Margherita diven-terà donna Prassede; il causidico dottor Pettola diventerà dottor Duplica, primadi stabilizzarsi nel trasparentissimo Azzecca-garbugli dei Promessi sposi. Tantomovimento ha la sua regola nell’effetto evocativo dei nomi, assai attenuato neiPromessi sposi. Vittoria, la vince sempre. Pettola è il nome di una maschera lom-barda, cosiddetta dalla falda sudicia dell’abito; e allude anche al tirà-foeura di pet-tol: al«cavar altrui d’intrigo». Duplica richiama la procedura processuale tenden-te a paralizzare la replica (toscano-milanese, tra Machiavelli e Maggi, è il nomeAzzecca-garbugli nei Promessi sposi)113. Con il promesso Fermo Spolino (RenzoTramaglino, da ‘tramaglio’, nel secondo romanzo), Manzoni si concede la licenzadi un bisticcio: si diverte all’ossimoro di un personaggio che sta «fermo» con ilnome, e «prilla» con il cognome; e tira giù un «Fermo» che «si era mosso»114. Im-porta che i personaggi del Fermo e Lucia, più coloristicamente e confidenzial-mente designati, hanno come unico contorno quello che a loro deriva dalla collo-cazione nello spazio del racconto. Sono visti dal di fuori: pedine della strategianarrativa. Nei Promessi sposi, Manzoni entra invece nel «guscio» dei personaggi,e da questa specola intima considera i contorni esterni.

La prova più evidente e inoppugnabile della diversità dei romanzi di Manzo-

112 G. F. BIONDI, La donzella desterrada, Venezia 1640, p. 72. Anche la storia del Seicento viene ulteriormenteapprofondita nei Promessì sposi, tramite il ricorso a nuove fonti storiografiche: cfr. O. BESOMI e I. BOTTA, Lettureriposte del Manzoni, in Di selva in selva. Studi e testi offerte Pio Fontana, a cura di p. Di Stefano e G. Fontana, Bellin-zona 1993, pp. 15-54.

113 Cfr. D. ISELLA, Porta e Manzoni, Porta in Manzoni, in ID. I Lombardi in rivolta. Da Carlo Maria Maggia CarloEmilio Gadda, Torino 1984, pp. 179-230; e O. CASTELLANI POLLIDORI, Teoria e prassi tra le quinte dei «Promes-si Sposi», in AA.VV., Manzoni. «L’eterno lavoro». Atti del Congresso internazionale sui problemi della lingua e del dia-letto nell’opera e negli studi del Manzoni (Milano, 6-9 novembre 1985), Milano 1987, pp. 373-402.

114 A. MANZONI, Fermo e Lucia cit., t. III, cap. VII, p. 462.

Letteratura italiana Einaudi 28

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 29: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

ni è offerta dall’anonimo del Seicento. Che ha due profili inconciliabili; e presie-de a due contrastanti e ben caratterizzate finzioni narrative. L’anonimo è perso-naggio con due anagrafi; e con due personalità. Il suo corpo è d’inchiostro, un po’dilavato. È disegnato dalle lettere e dai paleografici scarabocchi della inedita cro-naca. Quella cronaca d’altri tempi che Manzoni finge d’aver trovato e di aver co-minciato a trascrivere. E con la quale dialoga nei suoi romanzi; dissente e si stizza.E che tuttavia è preziosa. Perché gli permette di raccontare, nel corpo a corpo chelo impegna, i romanzi dei suoi romanzi: la genealogia delle sue opere, il loro cre-scere a contrasto; la messa a giorno delle loro strutture e la dichiarazione dellescelte linguistiche. L’anonimo consente il commentario che nei romanzi si inscri-ve. E dà l’alibi della distanza al trascrittore, che ha vocazione saggistica; e che siimpegna a dar conto e ragione del suo lavoro: a commentare, verificare, corregge-re e integrare la storia, e a raccogliere le parole della voce dei personaggi che nel-la storia incontra, e saggiarle sulle sue cognizioni di ragione e di fede («Il padresoggiunse, con la voce alterata: – il cuor mi dice che ci rivedremo presto –. Certo,il cuore, chi gli dà retta, ha sempre qualche cosa da dire su quello che sarà. Mache sa il cuore? Appena un poco di quello che è già accaduto»)115. L’anonimo dàa Manzoni il gusto di dar lezioni di gusto al secolo, al quale la cronaca sopravvive.E a parlare del passato, perché il presente intenda («Così va spesso il mondo... vo-glio dire, così andava nel secolo decimo settimo»)116. L’anonimo del Fermo e Lu-cia è estraneo ai personaggi della sua cronaca. Il suo manoscritto viene da un ar-chivio. È l’opera di un memorialista. Di un narratore. Che nella prima Introduzio-ne, contemporanea alla stesura dei primi capitoli, si presenta come «fedele spetta-tore» e osservatore degli «accidenti»; e nella seconda, rifatta a romanzo ultimatoe ormai in procinto di riscrittura, si corregge. «Narrando […]», aveva prima scrit-to. Adesso rifà la dicitura: «Descrivendo questo racconto avvenuto nelli tempi dimia gioventù […]». E non è la stessa cosa. Non solo perché l’anonimo dichiara isuoi anni non più verdi. Ma in quanto ‘narrare’ e ’descrivere’ non sono sinonimi.L’aveva spiegato Matteo Bandello, un secolo prima; quando dichiarava di ‘descri-vere’ le sue novelle dalla voce di chi gliele aveva raccontate. La divaricazione èoperativa nel Fermo e Lucia: «[…] se ella conoscesse per testimonianza degli occhisuoi i casi di questa giovane, certo ch’io non istarei ora in dubbio: ma ella non liconosce che per relazione […]»117. Il primo anonimo scrive «per testimonianzadegli occhi». Il secondo «per relazione». E che le cose stiano così, lo confermano

115 ID., I promessi sposi cit., cap. VIII, p. 190..116 Ibid., p. 171.117 ID., Fermo e Lucia cit., t. II, cap. I, p. 159.

Letteratura italiana Einaudi 29

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 30: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

i Promessi sposi. In essi, a scrivere con maggior pertinenza di arcaica grafia e di sti-le segretariale, è il secondo anonimo: «[…] descrivendo questo Racconto auue-nuto ne’ tempi di mia verde stagione […]». E il romanzo, il secondo, I promessisposi, finalmente rivela il mistero. Il narratore originario è Renzo. È stato lui a rac-contare e a replicare oralmente al cronista le sue traversie, poi ‘descritte’: «[…] luimedesimo […] soleva raccontar la sua storia molto per minuto, lunghettamenteanzi che no (e tutto conduce a credere che il nostro anonimo l’avesse sentita da luipiù di una volta […]»118. Un altro particolare apprendiamo sull’anonimo, dai Pro-messi sposi. Il «cronista» era amico di quel «furbo matricolato» di notaio che ar-restò Renzo nell’osteria della Luna piena: «[...] il nostro storico pare che fosse nelnumero de’ suoi amici».119 L’informazione dice più di quanto non dichiari, conquel «pare» che è un ammicco. Il notaio era uomo di «finte», e miserabili pergiunta. A Renzo avrebbe voluto far credere di essere suo «amico»; e lo arrestava.Insomma, un po’ bugiardo doveva esserlo, quest’anonimo: anche lui.

Il primo cronista ha più miti pretese. La sua cronaca vuole essere sì una «ri-cordanza ai posteri», ma si accontenta di giungere e fermarsi ai «discendenti». Lacronaca originaria è, quindi, nel genere dei Ricordi di famiglia. Un po’ mirabo-lante, e scolasticamente latineggiante, con le cose «mostruose» che hanno toccatovette ormai irraggiungibili: «Onde si vede esser vero quel detto che il mondo in-vecchiando peggiora, ma non credo che sarà vero d’ora in poi, perché avendo ilmale ormai passato i termini della comparazione, ha toccato l’apice del superlati-vo, e il pessimo non è di peggioramento capace»120. Il secondo anonimo vuole in-vece parlare alla posterità tutta, e dei discendenti neppure si cura. Né gli importail predicozzo sul mondo, che più di tanto non può peggiorare. Come il primoanonimo, parla solo il conte Attilio; nel Fermo e Lucia: «[... ] il mondo diventapeggiore di giorno in giorno ...»121. Il «picciolo teatro» al quale si affaccia l’autoredi ricordanze, ha in cartellone «luttuose tragedie di calamità, e scene di malvagitàgrandiosa». Quello dell’istorico prevede, per gli spettatori di più profondo sguar-do, spettacoli ulteriori. Soprannaturali e metafisicamente interferiti: «intermezi diimprese virtuose, et bontà angeliche che s’oppongono all’operationi diaboliche».I due cronisti hanno personalità diverse. Non coincidono, né per spessore cultu-rale né per intenzioni letterarie. Sono personaggi per nulla sovrapponibili. Uno è

118 ID., I promessi sposi cit., cap. XXXVII, p. 863. Cfr. H. GROSSER, Osservazioni sulla tecnica narrativa e sullostile nei «Promessi Sposi», in «Giornale storico della letteratura italiana», XCVIII (1981), 503, pp. 409-40; e E.MEIER-BRÜGGER, «Fermo e Lucia» e «I promessi sposi» come situazione comunicativa, Frankfurt am Main - Bern -New York - Paris 1987.

119 A. MANZONI, I promessi sposi cit., cap. XV, p. 362.120 ID., [Prima] Introduzione cit., p. 3.121 ID., Fermo e Lucia cit., t. II, cap. VIII, p. 267 (anche per le citazioni successive).

Letteratura italiana Einaudi 30

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 31: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

esterno al romanzo: l’autore di una cronaca ritrovata e trascritta. L’altro viene dal-l’interno del romanzo: è il trascrittor trascritto, sospettato di essere un «furbo ma-tricolato», degli scilinguagnoli di Renzo. Il Fermo e Lucia e I promessi sposi lavo-rano due diverse finzioni romanzesche. E due modi diversi di costruire i perso-naggi. Il primo anonimo è guardato dal di fuori. E ha lo spazio che la collocazio-ne gli definisce. Il secondo è guardato da un punto interno al ventre di balena delromanzo: il suo spazio è quello dilatato e interagente delle relazioni, di situazionee di parola, che fra di loro intrattengono i personaggi della finzione. Per di più, lacronaca dell’anonimo è un palinsesto. Prima di fissarsi nel testo esibito dai Pro-messi sposi, passa per i ripensamenti della prima Introduzione al Fermo e Lucia ele varianti della seconda.

L’anonimo dei Promessi sposi esordisce in trombazza: «L’Historia si può vera-mente deffinire una guerra illustre contro il Tempo, perché togliendoli di manogl’anni suoi prigionieri, anzi già fatti cadaueri, li richiama in vita, li passa in rasse-gna, e li schiera di nuovo in battaglia»122. Dispensatrice d’immortalità è l’Historia,nella duplice accezione di indagine e di racconto. L’incertezza era per l’aggiunto:«illustre» o «meravigliosa»? Il secondo dovette risultare troppo dichiarativo dipoetica. La scelta definitiva cadde su «illustre», un deverbale confortato dallaprosa del Fermo e Lucia: «io sento un rammarico di non possedere quella virtùche può tutto illustrare, di non poter dare uno splendore perpetuo di fama a que-ste parole […]»123. Il «Tempo» è esito ultimo, dopo una replicata «Morte». E sicapisce: riporta infatti all’oraziana «fuga temporum» dei Carmina (III, 30, v. 5).La predacità della Morte (una variante della prima Introduzione parla di «preda»)fa posto alla prigione del Tempo. L’Historia è marziale, nel suo procedere: richia-ma all’appello della vita gli anni «già incadaveriti», «fatti cadaveri»; e come mani-poli e falangi li schiera, li passa in rassegna e li ordina alla battaglia (li «appresen-ta» alla Morte, «ancora come nimici»: in una variante della prima Introduzione delFermo e Lucia). Certo, c’è barocca strampalatezza in questa immagine degli anni-salme. Un sovrappiù di segretariale ghiribizzo, rispetto alla fonte che l’anonimo«descrive». Che non può essere Renzo, privo com’è di storiografica scienza. Sia-mo al prologo teorico del «romanzo» di Renzo. E per esso, l’anonimo stralcia unapagina dalla sua biblioteca secentesca. La scelta è caduta sull’Introduttione dellaGeografia trasportata al morale (1664) di Daniello Bartoli. Era stato lo scrittore ge-suita a dire che «l’Historia, recatasi tutta sopra se stessa, non altrimenti che i Poe-ti fingerebbono una Maga, coll’incantata verga e il mormorio degli scongiuri», ci

122 ID., Introduzione a ID., I promessi sposi cit., p. 3.123 ID., Fermo e Lucia cit., t. III, cap. I, p. 333.

Letteratura italiana Einaudi 31

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 32: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

dispiega «scene e teatri» («Teatro […] e Scene», ripete a eco l’anonimo, nel pro-sieguo della cronaca); ovvero «spettacoli di mirabile apparenza» («cose mostruo-se»); nei quali «di novello» («di nuovo», nella prima Introduzione) i morti eroi,tratti dal «fondo» della terra o del mare («cemeteri alle ossa») si vedranno «ordi-narsi a battaglia» («li ordina in battaglia», nella prima Introduzione) e starci «aschiera innanzi» («li schiera», nel secondo anonimo). «Hor questo appunto è ilcontinuo far dell’Historia: ricavar di sotterra i tesori delle più pretiose memorieche il Tempo, vecchio decrepito, o vi perdé come smemorato o vi seppellì comeavaro», aveva sentenziato Bartoli; e aveva aggiunto il detto dell’anonimo e delconte Attilio: «le cose intristiscono tanto più, quanto invecchiano»124.

Per l’anonimo manzoniano (uno e bino, e trino) l’Historia va «trapuntandocoll’ago finissimo dell’ingegno i fili d’oro e di seta, che formano un perpetuo rica-mo di Attioni gloriose». Viene fuori così la discreta erudizione del cronista. È evo-cato infatti il manto del vanitoso quanto avvenente Demetrio Poliorcete, con so-pra ricamate le figure della terra e dei corpi celesti. Ne parla Plutarco, nelle Viteparallele. E ne parla Bartoli: «[…] sì com’è d’altro merito, che l’uscire a mostrar-si di quel fastoso Demetrio, soprannominato l’Espugnatore delle città, con indos-so il reale ammanto rappresentatovi sopra coll’ago in bel trapunto d’oro, tutto diperle e di care gemme fiorito, l’universal descrittione del mondo»125.

Frastornato dallo smusicar forte «de’ bellici Oricalchi», quella sola moltitudi-ne che è l’anonimo, trova modo di presentarsi come aristotelico (impuntato su«sostanza» e «accidenti») e come tolemaico che la fisica del suo universo traspor-ta in politica; spagnoleggiando con quell’«amparo», che si posa dentro il roman-zo sulle labbra dei cugini filoispanici Rodrigo e Attilio:

E veramente, considerando che questi nostri climi sijno l’amparo del Re Cattolico no-stro Signore, che è quel Sole che mai tramonta, e che sopra di essi, con riflesso Lume,qual Luna giamai calante, risplenda l’Heroe di nobil Prosapia che pro tempore ne tienele sue parti, e gl’Amplissimi Senatori quali Stelle fisse, e gl’altri Spettabili Magistratiqual’erranti Pianeti spandino la luce per ogni dove, venendo così a formare un nobilis-simo Cielo, altra causale trouar non si può del vederlo tramutato in inferno d’atti tene-brosi, malvaggità e sevitie che dagl’huomini temerarij si vanno moltiplicando, se non searte e fattura diabolica, attesoché l’humana malitia per sé sola bastar non dourebbe aresistere a tanti Heroi, che con occhj d’Argo e braccj di Briareo, si vanno trafficandoper li pubblici emolumenti126.

124 D.BARTOLI, La geografia trasportata al morale cit., pp. 10 e 17.125 Ibid., p. 4 (corsivi nostri).126 Per tutte le citazioni cfr. A. MANZONI, Introduzione a ID., I promessi sposi cit., pp. 3-4.

Letteratura italiana Einaudi 32

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 33: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

Il Manzoni della cronaca è antiquario, e gran falsario. Costruisce l’apocrifodell’anonimo come centone bartoliano. E l’anonimo stesso pregia delle qualità ir-riducibilmente tolemaiche e aristoteliche dello storico della Compagnia di Gesù;e della sua vocazione alle scenografie campali, entro le quali i demoni malefici sischierano come eserciti contro le potenze del bene. Volle però lombardizzare ilsecondo anonimo; e ulteriormente sgangherarlo: per dar colore di vero storico al-la «relazione» (interna al romanzo) del brianzolo Renzo e del suo «segretario».Solo a questo punto convertì la penna dell’anonimo ai furori fonetici e morfologi-ci del medico e storico lombardo Alessandro Tadino, che soleva scrivere «con legomita»127.

Alla religiosità antiprovvidenzialistica di Manzoni non poteva essere conge-niale il Bartoli che aveva celebrato l’attivismo trionfalistico, armato di proseliti-smo planetario e guidato dal dito di Dio, del cattolicesimo legionario dei Gesuiti.Ma alla sensibilità dell’artista non poteva essere indifferente il talento letterariodello scrittore, per quanto in simpatia presso i classicisti. Qualche rimorso dovet-te pur averlo Manzoni, per avere anonimizzato e strapazzato il barocco «fattuc-chiero» e «sognatore» di parole. Una riparazione si sente quindi di dovergliela. Eproprio nella prima pagina del romanzo, successiva all’Introduzione; a partire dal-la Introduttione storica alla «geografia morale».

Bartoli aveva accennato a «golfi e seni» che nella terra si «adentrano»128. Conquesti «golfi» e con questi «seni», che frastagliano il paesaggio, Manzoni (varian-do a eco e a specchio) apre e chiude il primo periodo del romanzo:

Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte dimonti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, qua-si a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio adestra, e un’ampia costiera dall’altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, parche renda ancor più sensibile all’occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui illago cessa, e l’Adda rincomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanan-dosi di nuovo, lascian l’acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni129.

Il Fermo e Lucia dava «vanj seni e per così dire piccioli golfi d’ineguale gran-dezza». E parlava di «riva» e «riviera» anziché di «costiera»130, che è, quest’ulti-

127 ID., Fermo e Lucia cit., t. III, cap. V, p. 430. Cfr. E. BONORA, Su una fonte dell’Introduzione dei «PromessiSposi», in ID., Manzoni. Conclusioni e proposte, Torino 1976, pp. 103-23. Sulla cronaca cfr. anche M. BARENGHI,Diciture per un inedito del secolo decimosettimo (1989), in ID., Ragionare alla carlona. Studi sui «Promessi sposi», Mi-lano 1994, pp. 11-55. Guido Pedrojetta propone dei riscontri (poco rilevanti) anche con il panegirico in morte di sanCarlo Borromeo del padre somasco Vincenzo Tasca del 1626: Cfr. G. PEDROJETTA, Carneade, chi era costui?, in«Annali manzoniani», nuova serie, III (1994), pp. 169-205.

128 D. BARTOLI, La geografia trasportata al morale cit., p. 18.129 A. MANZONI, I promessi sposi cit., cap. I, p. 9 (corsivi nostri).130 ID., Fermo e Lucia cit., t. I, cap. I, p. 17.

Letteratura italiana Einaudi 33

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 34: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

ma, parola quant’altre mai del Bartoli; la troviamo subito nella stessa Geografiatrasportata al morale: «Alle ampie falde, alle fiorite costiere voi v’accorgete che sia-mo innanzi al Mongibello»131. E il nuovo riscontro dà esempio minimo dell’im-postazione scenografica delle pagine «geografiche» del Bartoli, che si fa descritto-re e spettatore insieme. Come il Manzoni, in prima istanza descrittore: dal deitti-co d’apertura («Quel ramo»), al «primo vederlo» di un ipotetico spettatore132.L’intera apertura paesaggistica dei Promessi sposi (non così del Fermo e Lucia) èun esercizio d’ammirazione applicato alla prosa del Bartoli. L’aveva intuito Giu-seppe Bonaviri, che però si basava sulla Istoria della Compagnia di Gesù133.

Anche Manzoni anonimeggiava. Discretamente. Scriveva a Fauriel, e antici-pava il suo progetto di romanzo storico; il 3 novembre del 1821:

Pour vous indiquer brièvement mon idée principale sur les romans historiques, et vousmettre ainsi sur la voie de la rectifier, je vous dirai que je le confois comme une repré-sentation d’un état donné de la société par le moyen de faits et de caractères si sembla-bles à la réalité, qu’on puisse les croire une histoire véritable qu’on viendrait de décou-vrir134.

Una storia da far tornare alla luce, quindi; anche se qui Manzoni non calza lamaschera barocca del rabdomante e luogotenente di cadaveri. Il romanzo non èuna parata di urne. Eppure Manzoni aveva prestato la sua voce all’anonimo. Al-meno una volta. Quando l’aveva fatto distrarre dalle «Imprese de Prencipi e Po-tentati, e qualificati Personaggi», per farlo raccogliere sulle «gente meccaniche, edi piccol affare»; e «lasciarne memoria a Posteri, con far di tutto schietta e genui-namente il Racconto». Questi due avverbi con una sola terminazione in -mentedenunciavano lo stile solenne, burocratico e spagnoleggiante dell’anonimo135. Mail proposito era genuinamente manzoniano. Anzi, la chiusura del sipario sul granteatro delle «Attioni gloriose» (anche se motivato da una prudenza tutta secente-

131 D. BARTOLI, La geografia trasportata al morale cit., cap. II, p. 21 (corsivo nostro).132 Per la tecnica del Bartoli Cfr. B. MORTARA, Un uso infinito in Daniello Bartoli, in «Atti dell’Accademia Na-

zionale dei Lincei», CCCLIX (1962), 7-12, pp. 486-532.133 Cfr. G. BONAVIRI, Daniello Bartoli: una fonte per «Quel ramo del lago di Como» (1978), in ID., L’arenario, Mi-

lano 1984, pp. 165-82. Altre letture dell’incipit: G. ORELLI, «Quel ramo del lago di Como...», in «Paragone», n. 286(1973), pp. 47-66; G. BARDAZZI, Manzoni e la purificazione dello sguardo, in Le regard et l’écrivain, a cura di P. G.Conti, numero monografico di «Versants», XII (1987), pp. 95-111. Sugli «esordi» nel romanzo cfr. B. TRAVERSET-TI e S. ANDREANI, Incipit. Le tecniche dell’esordio nel romanzo europeo, Torino 1988; e A. DEL LUNGO, Pour unepoétique de l’incipit, in «Poétique», n. 94 (1993), pp. 1311-52.

134 A. MANZONI, Lettera a Claude Fauriel del 3 novembre 1821, in ID., Tutte le lettere cit., t. I, pp. 244-45 («Perdarvi un’idea sommaria di come io principalmente guardi ai romanzi storici, e mettervi così nella condizione di cor-reggermi, vi dirò che concepisco il romanzo come la rappresentazione di un certo stato della società per mezzo di fat-ti e caratteri talmente simili alla realtà, che si possa pensare a una storia vera che si fosse appena rinvenuta»).

135 Cfr. B. MIGLIORINI, Coppie avverbiali con un solo -mente (1952), in ID., Saggi linguistici, Firenze 1957, pp.148-55.

Letteratura italiana Einaudi 34

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 35: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

sca) e l’apertura dell’«angusto» e non meno tragico teatro dei «meccanici», riscri-veva una pagina di Voltaire: «En effet, l’histoire n’est que le Tableaux des crimeset des malheurs. La foule des hommes innocents et paisibles disparaît toujourssur ces vastes théâtres»136. E la «foule des hommes innocents et paisibles» è di-ventata «moltitudine vagabonda» nel romanzo: sull’esempio di Thierry e di Scott;e nello spirito del Discorso su alcuni punti della storia longobardica in Italia e del«concetto drammatico» dei desideri, dolori e patimenti «dell’immenso numerod’uomini che non ebbero parte attiva negli avvenimenti, ma che ne provarono glieffetti»137. Per questa umanità tradita dalla storia, Manzoni si è fatto storico di«seconda mano»: «[...] noi valendoci del privilegio che hanno gli storici di secon-da mano, di inventare qualche cosa di verisimile per rendere compiuta la storia, esupplire alle mancanze dei primi, affermiamo [...]»138. Ha cioè scritto un roman-zo (duale) che collabora con gli storici, senza subordinare la letteratura alla sto-riografia; e piuttosto dando legittimità all’«invenzione», che alla verità morale(per via di «poesia», aveva detto nella Lettre à Mr. Chauvet) recupera quanto glistorici hanno trascurato e taciuto. A questo progetto dovette conquistare una lin-gua di comunicazione; arduamente, dovendo partire (nella seconda Introduzioneal Fermo e Lucia) dal concetto di «analogia» elaborato dalla linguistica illumini-sta:

A bene scrivere bisogna sapere scegliere quelle parole e quelle frasi, che per convenzio-ne generale di tutti gli scrittori, e di tutti i favellatori (moralmente parlando) hanno queltale significato: parole e frasi che o nate nel popolo, o inventate dagli scrittori, o deriva-te da un’altra lingua, quando che sia, comunque, sono generalmente ricevute e usate.Parole e frasi che sono passate dal discorso negli scritti senza parervi basse, dagli scrittinel discorso senza parervi affettate; e sono generalmente e indifferentemente adoperateall’uno e all’altro uso139.

«Qui giace la lepre», dice il Fermo e Lucia. «Qui sta il punto», dicono I pro-messi sposi. E, tra «lepre» e «punto» si è consumato il passaggio dall’espressivi-smo (eclettico), al toscano e fiorentino. Ma, nei Promessi sposi, provvede il Grisoa recuperare il «qui giace la lepre» (cap. VIII); e dimostra ad evidenza che l’e-spressivismo non era finito.

136 VOLTAIRE, L’Ingénu, in ID., Romans et contes, a cura di R. Groos, Paris 1954, cap. X, p. 269 («Di fatto la sto-ria non è che quadro di crimini e calamità. La folla di innocenti e pacifici costantemente scompare in così vasti tea-tri»). Cfr. G. RAGONESE, Illuminismo e romanticismo in Alessandro Manzoni (1979), in ID., Da Manzoni a Fogazza-ro. Studi sull’Ottocento narrativo, Palermo 1983, pp. 15-55.

137 A. MANZONI, Discorso sur alcuni punti della storia longobardica cit., p. 46.138 ID., Fermo e Lucia cit., t. III, cap. VII, p. 455.139 ID., [Seconda] Introduzione, ibid., pp. 14-15.

Letteratura italiana Einaudi 35

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 36: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

140 ORAZIO, Carmina, III, 30, v. 1, in ID., Le opere, a cura di M. Ramous, Milano 1988, p. 544. («Ho alzato unmonumento più duraturo del bronzo»).

141 A. MANZONI., Materiali estetici cit., pp. 20-21.142. ID., I promessi sposi cit., cap. XIV, p. 334.

143 ID., Storia della Colonna infame (prima redazione), in ID., Storia della Colonna infame, a cura di C. Riccardi,Milano 1984, p. 170.

144 Ibid., p. 169 (corsivo nostro). Cfr. M. AMBROSE, Error and the abuse of language in the «Promessi Sposi», in«The Modern Language Review», LXXII (1977), pp. 62-72.

145 L. ARIOSTO, Orlando furioso, XXXV, XXIV, 5-8, a cura di L. Caretti, Milano-Napoli 1954, p. 915.

Letteratura italiana Einaudi 36

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

L’errore sulla lapide. «L’Historia si può veramente deffinire una guerra illustrecontro il Tempo». Parola di bugiardo «matricolato», ovvero di anonimo secente-sco. Per il quale scrivere vuol dire «scolpire» le carte, orazianamente: «Exegi mo-numentum aere perennius»140. L’anonimo (classicista) è smentito e irriso da Man-zoni:

Il parlare coi fati, l’alzare monumenti indistruttibili, il dar da fare al tempo edace, il far-si beffe della morte sono le solite canzoni che vi si trovano per entro [nella poesia] [...].E non è raro di trovare l’epiteto poetico per qualificare una immaginazione falsa, nonfondata, o stravagante. Il che non vuol dire altro se non che questi scrittori non sannoche sia, che sia stata e che possa essere la poesia141.

Difatti è «poeta» Renzo, nei Promessi sposi; quando si ubriaca in osteria, e nedice delle «curiose»142. Scopo della letteratura non è di erigere monumenti: «unpezzo di granito» non è «il criterio d’un fatto morale»; «la parola umana puòesprimere il vero e il falso» e «le parole incise in marmo» non sono «esenti daquesta condizione»143. Niente monumenti, senza verità. Non contro il tempocombatte la letteratura, bensì contro l’errore: «tutti gli scrittori sensati veggionodi quanti mali sia cagione l’errore, e con tacito accordo gli fanno la guerra»144.L’anonimo credeva che compito suo fosse di risuscitare gli anni «già fatti cadaue-ri», per consegnarli al perenne delle palme e degli allori. Era un necrofilo. Unbecchino che invece di seppellire, dissotterrava: truccandosi ora da archeologoora da negromante o mago rianimatore. Sui «sepolcri» e sul miracolo di Lazzarodella poesia, Manzoni non risparmiò imbeccate neppure all’Ariosto; che all’adu-lazione dei poeti aveva riconosciuto la capacità di tirar fuori «vivi» dal «sepolcro»quanti avevano saputo «farsi amica Cirra», «ancor ch’avesser tutti i rei costu-mi»145. L’adulazione delle debolezze e l’elogio degli errori, in bei versi privi dipudore, è il bell’ufficio di una letteratura indifferente al vero e pronta a tutto sur-rogare in monumento: nei Materiali estetici di Manzoni; come nel capitolo XVIII(Un bel Esprit, un Philosophe) del Traité de la concupiscence di Bossuet, che fa res-sa dietro la ramanzina di Manzoni («Ah! Messer Ludovico, quando scrivevate

Page 37: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

quelle ottave non vi avete pensato bene, o avete parlato per baja, il che sta male inargomento così serio»)146.

Babeliani sono gli artefici di monumenti. Rinnovano una bestemmia biblica.Pretendono di dare identità e perpetuità di «nome», costruendo ed elevando alcielo: «Venite, faciamus nobis civitatem et turrim, cuius culmen pertingat ad cae-lum, et celebremus nomen nostrum antequam dividamur in universas terras»147.È l’idolatrica imitatio Dei di quanti alzano la «torre», per «costruire» un «nome»:colpa che Dio ha punito con la dispersione; e con la confusione delle lingue. E pa-radigma lavora dentro I promessi sposi. Borsieri aveva presentato il Duomo di Mi-lano come un’«artificiale montagna di sasso»148. La similmontagna si biblicizzasubito in Manzoni, che le «pietre» di Dio contrappone ai «mattoni» dell’uomo; ela grandiosità della natura oppone alla «superbia» dell’ingegneria umana. L’oc-chio del montanaro Renzo si è educato alla contemplazione delle «alture di Dio»;ma a Milano è costretto a confrontarsi con l’«ottava maraviglia». Isola quindi la«macchina» dell’uomo. E la città diventa una scena vuota, ampia di solitudine.Dentro il metafisico deserto del perimetro urbano si alza l’umana superfetazione;fronteggiata, sulla linea dell’orizzonte, dalle dentaie del Resegone:

Renzo […] vide quella gran macchina del duomo sola sul piano, come se, non di mez-zo a una città, ma sorgesse in un deserto […]. Ma dopo qualche momento, voltandosiindietro, vide quella cresta frastagliata di montagne, vide distinto e alto tra quelle il suoResegone, si sentì tutto rimescolare il sangue, stette lì alquanto a guardar tristamente daquella parte, poi tristamente si voltò, e seguitò la sua strada149.

Nei «piani deserti» sorgono «città superbe ed affollate», aveva dichiarato ilFermo e Lucia150; «città tumultuose», specificano I promessi sposi151, che vi fannoperegrinare, tra il «grave» e il «morto» di un’atmosfera infernale, una «moltitudi-ne vagabonda e riunita», ovvero una «gente perduta sulla terra»152; e dolente: tor-mentata e tormentante. In mezzo, incombente e babelicamente incompiuta, c’è la«macchina» costruita dall’arroganza umana: che, nella designazione, convoglial’astuzia bellica della «macchina» di Ulisse per «desertos […] locos»; di quellavirgiliana «fatalis machina» (Aeneis, II, 28 e 237), che, nel romanzo, diventa an-

146 A. MANZONI, Materiali estetici cit., pp. 50-51.147 Genesis, II, 4 («Orsù! Costruiamoci una città e una torre la cui cima sia al cielo e facciamoci un nome per non

essere dispersi su tutta la terra»).148 P. BORSIERI, Avventure letterarie di un giorno cit., p. 115.149 A. MANZONI, I promessi sposi cit., cap. XI, p. 272.150 ID., Fermo e Lucia cit., t. I, cap. VIII, p. 139.151 ID., I promessi sposi cit., cap. VIII, p. 192.152 Ibid., capp. XXVIII e XI, pp. 648 e 254-55.

Letteratura italiana Einaudi 37

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 38: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

che la «macchina fatale», la scala, di una folla imbestialita che dà l’assalto alla ca-sa del vicario di provvisione durante il tumulto di San Martino153. La «macchina»(anche nelle varianti della «macchina» persecutoria di don Rodrigo, e dell’«abbo-minevole macchina della tortura» azionata da un potere giudiziario che va com-minando pene sproporzionate, ingiuste e inefficaci)154 è l’ordigno del generale«errore» (della scalata contro il Cielo e, fratricidamente, contro il prossimo) diuna umanità di oppressi e oppressori dispersa sul «piano» di un biblico deserto:«I provocatori, i soverchiatori, tutti coloro che, in qualunque modo, fanno tortoaltrui, sono rei, non solo del male che commettono, ma del pervertimento ancoraa cui portano gli animi degli offesi»155, I promessi sposi si stringono ai versi dell’A-delchi: «[…] genti disperse | nel piano […]» (II, V, vv. 337-38); «[…] gregge at-territo e sperso» (III, V, v. 186); «un volgo disperso» e «[…] un volgo dispersoche nome non ha» (III, Coro, vv. e 66). Il «gregge atterrito» ricorda le «ville spar-se e biancheggianti sul pendio, come branchi di pecore pascenti», che nell’addiodi Renzo e Lucia al loro villaggio (ritornando alle «biancheggianti ville» dei versigiovanili dell’Adda)156 sembrano voler fuggire dalla «torre piatta» del persecutoredon Rodrigo; mentre il palazzotto, con torre, del prepotente «pareva un feroceche, ritto nelle tenebre, in mezzo a una compagnia d’addormentati, vegliasse, me-ditando un delitto»157. Il sacrilegio della torre e del «nome»; e dall’altra, la di-spersione nei deserti della storia di un popolo buttato nella confusione delle lin-gue (alimentata dalla demagogia politica e dalla malizia umana, nella Milano chel’esule Renzo deve attraversare durante la sua fuga)158.

La storia è un «immenso pelago di errori». La denuncia veniva dall’illumini-smo giuridico. E da Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria, in particolare159.Tutti gli errori, Manzoni compendia nella storia morale e politica del Seicento:l’incertezza del diritto, la legislazione eccessivamente proliferante che a colpi digride sopporta l’arbitrio dei potenti e la manipolazione dei causidici, l’impunitàorganizzata delle classi e delle consorterie (e persino della Chiesa), la cultura eco-nomica irresponsabile e monopolistica (che blocca la libera concorrenza e impo-

153 Ibid., cap. XIII, p. 304.154 Ibid., capp. XVIII e XXXIV, pp. 411 e 790.155 Ibid., cap. II, pp. 48-49.156 ID., Adda, v. 11, in ID., Poesie prima della conversione, a cura di F. Gavazzeni, Torino 1992, p. 123.157 ID., I promessi sposi cit., cap. VIII, p. 191.158 Cfr. D. BANON, Babel ou l’idolâtrie embusquée, in «Tel Quel», n. 88 (1981), pp. 45-63; e C. GANDELMAN,

La Bibbia come «firma di Dio»: l’interpretazione cabalistica della Scrittura e del mito della «caduta nelle lingue», in«Carte semiotiche», n. 3 (1987), pp. 29-33.

159 Cfr. C. BECCARIA, Dei delitti e delle pene, cap. XVI, in Illuministi settentrionali, a cura di S. Romagnoli, Mi-lano 1962, p. 514.

Letteratura italiana Einaudi 38

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 39: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

ne la demagogia del prezzo politico), la persecuzione dell’onestà disarmata. Il ro-manzo di Manzoni aggredisce l’errore nei suoi punti di perversione. Con sdegno,senz’altro. Ma anche con compassione: «[…] la morale cattolica rimove le cagio-ni che rendono difficile l’adempimento di questi due doveri, odio all’errore, amo-re agli uomini»160. In polemica con Rousseau: «Vi ebbe però uno scrittore, e nonvolgare certamente, il quale pretese che conciliare la guerra all’errore e la pace co-gli uomini sia impresa non difficile, ma impossibile»161. E nella certezza che la«guerra illustre» della monumentalizzazione letteraria e storiografica sia iatturadell’orgoglio dei letterati. L’immortalità è per i giusti. Ma nel «monument éter-nel» scolpito dal dito di Dio. Il principio è nel sermone di Massillon Sur la salut;ed è ribadito nel Sermon sur l’emploi du temps, ovvero sugli «emplois illustressoutenus avec réputation»:

en vain les histoires parleront de nous; nous serons effacés du livre de vie et des histoi-res éternelles: en vain nos actions feront l’admiration des siècles à venir; elles ne serontpoint écrites sur les colonnes immortelles du temple céleste […] ce que le doigt deDieu tout seul aura écrit, durera autant que lui-même162.

L’eternità è prerogativa divina. Quella che i letterati promettono è usurpazio-ne blasfema: monumento terreno; torre di Babele. Le lapidi del giusto giudiziocontemplano l’«errore»: lo additano e lo combattono. L’orgoglio è la radice avve-lenata del mondo.

La torre di Babele è la «macchina» riassuntiva di un programma di superbia.Che include la costruzione della città, da parte della «posterità di Caino»163. Equella del «nome». Il dare e il darsi «nome» è una depravazione: quando l’uomo siconsidera il proprio dio, per eccesso d’amor proprio; e per empia sopravvalutazio-ne. Bossuet appendeva l’ombra del «nome» alle rovine dei «monumenti»; e ne fa-ceva convincimento di «errore»164. Il lemma ‘nominare’ è ben rubricato nel voca-bolario morale. Onomateta è il tiranno, il cui potere pretende di sconfinare versoquello divino. Come nel Tarquinio Superbo (1632) di Virgilio Malvezzi: «I principidoventano tiranni perché non si saziano di nominare: vogliono essere signori del-

160 A. MANZONI, Osservazioni sulla morale cattolica cit., Parte prima, cap. VII, p. 54.161 Ibid., p. 55.162 J.-B. MASSILLON, Sermon sur l’emploi du temps, in ID., Œuvres, Paris 1835, t. I, pp. 471-72 («Invano le sto-

rie parleranno di noi; saremo cancellati dal libro della vita e dalle storie eterne: invano le nostre azioni faranno l’am-mirazione dei secoli futuri; esse non saranno scritte sulle colonne immortali del tempio celeste […] soltanto ciò che ildito di Dio avrà scritto, durerà quanto lui»). Cfr. ID., Sermon sur la salut, ibid., pp. 473-85.

163 ID., Sermon sur la passion de notre Seigneur Jésus-Christ, ibid., t. I, p. 520.164 J.-B. BOSSUET, Oraison funèbre de Louis de Bourbon, in ID., Oraisons funèbres. Panégyrique, a cura di B. Ve-

lat, Paris 1950, p. 234.

Letteratura italiana Einaudi 39

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 40: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

l’onore, dell’avere e delle persone»165. Nell’ode manzoniana Il cinque maggio(1821), il verbo ha applicazione onomaturgica nell’autoappellazione di Napoleone:

Ei si nomò: due secoli,l’un contro l’altro armato,sommessi a lui si volsero,come aspettando il fato;ei fe’ silenzio, ed arbitros’assise in mezzo a lor166.

Con il solo presidio del pronome, Napoleone interpreta nella scena storicadell’ode l’azione biblica di Alessandro. Davanti a lui «siluit terra», come davantial Macedone (Machabaeorum, I, I-3). Ma il palcoscenico si fa subito smisurato.L’arbitraggio sui secoli spodesta Dio dal ruolo di «Roi immortel des siècles»167:«si fe’ signor» e «regnò signor», recitano le varianti del verso. A Dio solo compe-te di essere «arbitre» e «suprême modérateur»168. L’ambizione ha portato Napo-leone a misurarsi con Dio. E a negarlo: «c’est Dieu seul qui élève les grands et lespuissants; qui vous place au-dessus des autres»169. La bestemmia offusca il cielo.E aggredisce Dio nel suo diritto di «vocazione», che è legge di sovranità inviola-bile nella storia: «[…] ego Dominus […] voco nomen tuum […] et vocavi te no-mine tuo» (Isaias, 45, 3-4). Napoleone «si nomò». La sua, è insubordinazione em-pia; e tremenda.

Carducci fu corrivo nell’impertinenza. Manzoni aveva risposto a se stesso,nell’ode:

Fu vera gloria?Ai posteri l’ardua sentenza: nuichiniam la fronte al MassimoFattor che volle in luidel creator suo spiritopiù vasta orma stampar170.

I versi muovono dalla certezza espressa da Cristo nel Vangelo di Giovanni:

165 V. MALVEZZI, Il Tarquinio Superbo, Venezia 1662, p. 110. Sulle complicazioni religiose del ’nominare’ cfr. A.VERGOTE, Interprétation du language religieux, Paris 1974, pp. 122-24.

166 A. MANZONI, Il cinque maggio, vv. 49-54, in ID., Tutte le poesie (1812-1872), a cura di G. Lonardi e P. Azzo-lini, Venezia 1987, p. 110.

167 J.-B. MASSILLON, Sermon sur les dispositions nécessaires pour se consacrer à Dieu par une nouvelle vie, in ID.,OEuvres cit., t. II, p. 14.

168 L. BOURDALOUE, Sermon sur l’aumône, in ID., Œuvres cit., p. 167.169 J.-B. MASSILLON, Sermon sur les vices et les vertus des grands, in ID., Œuvres cit., t. I, p. 610. («Solo Dio in-

nalza i grandi e i potenti; è lui che vi pone al di sopra degli altri»).170 A. MANZONI, Il cinque maggio cit., vv. 31-36.

Letteratura italiana Einaudi 40

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 41: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

«Si ego glorifico meipsum, gloria mea nihil est: est Pater meus qui glorificat me[…]» (Ioannes, 8, 54). E seguono il sermone di Massillon Sur la fausseté de la gloi-re humaine: «il n’y a de grand dans les hommes que ce qui vient de Dieu […]élevé au-dessus de tout ce qui se passe, et soumis à Dieu seul; voilà la véritablegloire, et la base de tout ce qui fait les grands hommes»171; e l’altro, sempre diMassillon, Sur les caractères de la grandeur de Jésus-Christ: «Pour connoître lagrandeur véritable des souverains et des grands, il faut la chercher dans les sièclesqui vont venir après eux. Plus même ils s’éloignent de nous, plus leur gloire croîtet s’affermit lorsqu’elle a pris à source dans l’amour des peuples»172. Carducci siirritò alla «più vasta orma» stampata da Dio sullo «spirito» di Napoleone. Gliparve che Manzoni avesse così attribuito al Padre Eterno «l’irriverente atto di unapedata»173. E cadde nell’errore di mettere sullo stesso piano l’«orma» marcata daDio e l’«orma» calcata dal piede di Napoleone sulla «cruenta polvere» (vv. 10-12). La prima è l’impressione della mano del «Massimo Fattor»; il segno penta-dattilo del maggior privilegio accordato dalla sovranità divina. Ancora una voltasoccorre Massillon che, nell’orazione funebre per Messire de Villeroy, celebra i«vastes talents […] imprimés des mains de Dieu sur certaines âmes»174.

Le calcografie del Cinque maggio raccontano l’errore di temerarietà di un«unto» di Dio che «[…] contra ’l suo fattore alzò le ciglia» (come il Lucifero dan-tesco di Inferno, XXXIV, v. 35); per imporsi come il dio del proprio cesarismo,dopo avere rinnegato la superna investitura. L’«orma» che ha «calpestato» la«cruenta polvere» è di «piè mortale». Si contrappone, nella storia, a quella lascia-ta dal piede immortale di Cristo sulla polvere insanguinata non dal calpestamentoguerriero ma dal sacrificio della croce:

[…] quando, chiuso il tepidofonte di sua ferita,mise il potente anelito[…]della seconda vita;

171 J.-B. MASSILLON, Sermon sur la fausseté de la gloire humaine, in ID., Œuvres cit., t. I, pp. 591-92 («Nulla c’èdi grande negli uomini che quanto proviene da Dio […] innalzato al di sopra di tutto ciò che accade, e sottoposto so-lo a Dio; ecco la vera gloria, e la base di ciò che fa grandi gli uomini»).

172 ID., Sermon sur les caractères de la grandeur de Jésus-Christ, ibid., p. 586 («Per conoscere la grandezza vera deisovrani e dei grandi, bisogna cercarla nei secoli che verranno dopo di loro. Più essi si fanno a noi lontani, più la lorogloria cresce e si consolida se ha trovato fondamento nell’amore dei popoli»).

173 T. BARBIERI, Appunti di G. Carducci per quattro conferenze su «La lirica del Manzoni», in «Giornale storicodella letteratura italiana», XC (1973), 469, pp. 94-103. Cfr. M. STERPOS, Carducci di fronte a Manzoni - storia diun’avversione, in «Italianistica», XVII (1988), I, pp. 17-48.

174 B. MASSILLON, Oraison funèbre de Messire de Villeroy archevêque de Lyon, in ID., Œuvres cit., t. I, p. 640(«vaste qualità […] impresse dalle mani di Dio su certe anime»).

Letteratura italiana Einaudi 41

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 42: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

e dalla bassa polverealzando il piè divino[…]l’erto del ciel camminobenedicendo aprì175.

Il motivo era anche figurativo. Risaliva all’Ascensione di Dürer. E, attraversola mediazione di Lorenzo Lotto, era approdato in quella Bergamo nella quale sirisolve la vicenda dei Promessi sposi. Nel Coro intarsiato di Santa Maria Maggio-re in Bergamo, il maestro intagliatore Alessandro Belli su una collinetta (che è co-me un globo) «stampò» le orme di Cristo asceso al cielo.

Napoleone è un falsario di Dio. Per lui Manzoni, insieme alla leggenda diAlessandro 176, riesuma dalla letteratura classica sulla regalità il tema fetonteo del-la polemica anticesarea177. Napoleone «cadde, risorse e giacque» (v. 16). La vi-cenda di caduta e ripresa è quella di un semidio come Anteo: del gigante, figlio diNettuno, che riprendeva le proprie forze quando toccava il suolo («quasi novelloAnteo cadde e risorse»)178. Ma riferita al reggitore Napoleone, visto «folgorantein solio» (v. 12), e con l’aggiunta dell’esito di irreparabile caduta, evoca la mitolo-gia di un diverso semidio. Introduce nella reggia dove «[…] sedebat | in solioPhoebus claris lucente smaragdis»: con un richiamo ovidiano179, già attivo nelcanto VI del Bardo della selva nera di Monti (il «trono della luce» del «raggianteimperador») commentato da Pietro Borsieri nel capitolo VI delle Avventure lette-rarie di un giorno180. Il sole (folgorante: Phoibos-Ekebòlos) in continuazione «sor-ge» e «cade» (Il Nome di Maria, v. 41), tra accesso e recesso. Supremo auriga, èimmagine di Dio: biblicamente «sommo Sole» (Risurrezione, v. 47). Napoleone,che è «tanto raggio» (v. 22) e ha «rai fulminei» (v. 75), «giacque» però: rivelando-si sole mancato e auriga votato alla catastrofe. Napoleone è il semidio Fetonte, fi-glio di Febo: che irresponsabilmente ha preteso di sostituirsi al padre nella guidadel carro divino e ha ustionato il cielo con la sua folle e rovinosa corsa. Il «falsusauriga» giacque: «Ei fu»; laddove il vero reggitore «è»: «Vous êtes les divinités du

175 I versi appartengono al secondo abbozzo della Pentecoste: si veda A. MANZONI, La Pentecoste, dal primo ab-bozzo all’edizione definitiva, a cura di L. Firpo, Torino 1962, p. 36.

176 Cfr. L. BRACCESI, Per le fonti del «Cinque maggio» (1979), in ID., Proiezioni dell’antico, Bologna 1982, pp.85-92.

177 Cfr. R. DEGL’INNOCENTI PIERINI, Caligola come Fetonte (Sen. “Ad Pol.», 17,3), in «Giornale italiano difilologia», nuova serie, XVI (1985), I, pp. 73-89.

178 T. TASSO, Gerusalemme liberata, XX, CVIII, v. 2, a cura di L. Caretti, Bari 1967, p. 696.179 OVIDIO, Metamorphoseon libri, II, vv. 23-24, a cura di F. Bernini, I, Bologna 1981, pp. 48-50 («[…] sedeva |

Febo sul soglio che sfolgorava brillando di lucide pietre preziose»).180 P. BORSIERI, Avventure letterarie di un giorno cit., pp. 147-48.

Letteratura italiana Einaudi 42

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 43: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

monde, vous êtes les enfants du Très Haut; mais fausses divinités, vous étes mor-telles, et vous mourrez en effet», aveva predicato Bourdaloue181.

La culminazione fetontea del titanismo di Napoleone è presunzione temera-ria di specie babelica, punita con l’abbattimento del «nome». Il Napoleone delCinque maggio, stolto che al ciel s’agguaglia, è un senza-nome. Il titolo dell’ode èuna data sul monumento. Ma il monumento è quello della Fede trionfante, chesotto la data storica «scolpisce» l’orografia morale di una montagna di alta super-bia che alla fine, toccata dalla mano misericordiosa di Dio e quindi dalla graziadella «conversione», si prosterna alla collina della sublime umiltà cristiana:

Bella Immortal! beneficaFede ai trionfi avvezza!Scrivi ancor questo, allegrati;ché più superba altezzaal disonor del Golgotagiammai non si chinò182.

Quello della Fede è un ridir scolpendo il linguaggio profetico di Isaia («Om-nis vallis exaltabitur, et omnis mons et collis humiliabitur»)183, già ripreso e tantevolte variato dai grandi moralisti francesi: per esaltare l’umiliazione delle «monta-gnes du siècle», o «orgueil de Césars», di fronte all’«humilité de la croix»184. Ladiminuita geografia di Napoleone (dall’enormità planetaria, alla «breve sponda»dell’isola, al letto e alla «coltrice») giunge al punto di premio della buona mortecristiana registrata sul granito perenne del «livre de l’éternité»185. Avrebbero vo-luto essere «eterne» le pagine delle memorie di Napoleone. Su di esse la mano so-praffatta cadde «stanca», però. Potrebbe essere un monumento eterno (sull’«er-rore» e sulla Grazia; senza adulazione, e con «amore» alla tragedia dell’uomo) ilCinque maggio; che «[...] scioglie all’urna un cantico | che forse non morrà» (vv.23-24), proprio perché monumento letterario non alla storia ma alla Fede. Sullatraccia del Sermon sur l’emploi du temps di Massillon, che la vita dei conduttori egran motori della storia propone di guardare dal luogo estremo del letto di mor-te: dal raccoglimento finale; e dal consuntivo di una vita; quando i ricordi stingo-no e si dissolvono; e solo contano gli episodi segnati da una qualche vittoria della

181 L. BOURDALOUE, Sermon sur la pensée de la mort, in ID., Œuvres cit., p. 134 («Siete le divinità del mondo,siete i figli dell’Altissimo; ma false divinità, siete mortali, e infatti morirete»).

182 A. MANZONI, Il cinque maggio cit., vv. 96-101.183 Isaia, 40, 4 («Ogni valle sarà colmata, e ogni monte e colle sarà abbassato»); cfr. Luca, 3, 5.184 L. BOURDALOUE, Sermon sur l’ambition, e Sermon sur la religion chrétienne, in ID., OEuvres cit., t. I, pp.

247-57 e 197-207.185 J.-B. MASSILLON, Sermon sur la mort du pécheur et la mort du juste, in ID., Œuvres cit., t. I, p. 12.

Letteratura italiana Einaudi 43

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 44: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

fede e «dignes d’être célébrés par les cantiques éternels»186. Il resto è «errore» di«uom fatale», che ha solo il vessillo del pronome per esistere nel linguaggio diun’ode onomoclasta: «a quel che arse il tempio si dice “colui”»187, avevano inse-gnato gli storici antichi che avevano voluto umiliare nel «nome» il sacrilego Ero-strato.

Il «volto» calpestato della «madre terra» è un museo all’aria aperta di im-pronte pedagne. Lo dice Borsieri, nel capitolo inaugurale delle Avventure lettera-rie di un giorno. E l’aveva già detto quasi un secolo e mezzo prima il Bartoli, nelcapitolo altrettanto inaugurale dell’Uomo al punto. Anche Baldassar Castiglione siera interessato alle impronte fossili, all’inizio del terzo libro del Cortegiano, facen-do scoprire a Pitagora quanto «fosse stato maggior degl’altri piedi umani» il pie-de di Ercole. Della improntologia (che Defoe aveva messo in romanzo, nel Ro-binson Crusoe), Borsieri fece però un’inconsueta quanto obbligatoria via d’acces-so al romanticismo lombardo e ai suoi nuovi «eroi»: «[...] grazie agli Alessandried ai Cesari, ed a que’ pochi grandi che con piante insanguinate hanno percorsa laterra, sagrificando al simulacro della gloria fra il pianto e le strida delle nazioni,grazie, dissi, a costoro, il mondo è riuscito a formarsi una ben più nobile idea del-l’eroismo»188. Fra «que’ pochi grandi» dai piedi insanguinati, Manzoni non potéche estrarre Napoleone, che pose a misura di un diverso eroismo (anche «in bur-la», come voleva Borsieri). Vennero allora I promessi sposi, a studiare e a misurarele corserelle, i saltelloni, i trotti, i passi brevi e circospetti, lunghi o infuriati, diquanti nella storia viaggiano; e a distinguere un calpestio di sandali, sotto un ve-leggiar di tonaca.

3-5. Tematiche e personaggi.

Un falsario della prudenza e della Grazia. «Si fermò su due piedi»189: di botto; nel-la posa del coniglio. E fu l’inizio. Delle «ragioni» di don Abbondio190 e delle di-sgrazie dei promessi.

Ha occhi grigi, don Abbondio. Che entra in scena, portato dal tempo durati-vo di un imperfetto di consuetudine: «tornava bel bello dalla passeggiata verso

186 ID., Sermon sur l’emploi du temps cit., p. 472 (corsivo nostro).187 P. ARETINO, Lettera a Giovanni Pollastra del 28 agosto 1537, in ID., Lettere, a cura di P. Procaccioli, I, Mi-

lano 1993, p. 236.188 P. BORSIERI, Avventure letterarie di un giorno cit., p. 88 (corsivo nostro).189 A. MANZONI, I promessi sposi. cit., cap. I, p. 19.190 Sulle «ragioni del coniglio» cfr. L. PIRANDELLO, L’umorismo, introduzione di S. Guglielmino, Milano 1986,

p. 150. Di «eroe della piccola ragione» parlava L. RUSSO, Personaggi dei Promessi Sposi (1945), Bari 1970, p. 146.

Letteratura italiana Einaudi 44

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 45: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

casa, sulla sera del giorno 7 novembre dell’anno 1628»191. La sequenza è minima;nell’ordine della piccola vita di un curato di campagna. Ma l’indicazione punti-gliosa di giorno, mese e anno, è impegnativa. Guadagna alla storia ciò che avreb-be dovuto essere irrilevante; a partire dall’assuefazione alla quotidiana retorica dimani e piedi: destra e sinistra incrociate dietro la schiena, con l’indice della manodestra chiuso nel breviario; la cara mania di un piede, che punta i ciottoli del sen-tiero e li fa schizzare sul muricciolo. Lo sguardo di don Abbondio è ozioso e sva-gato. Tuttavia non si limita ad avvicinare il paesaggio. Esprime anche la volontà iallontanare inciampi e sorprese, di scansare e scansarsi. Ma il curato è arrivato aun incontro, che non consente astuzie di viottoli. Due bravacci, truci e scostuma-ti, gli chiudono la strada davanti a un’edicola votiva dedicata alle anime del pur-gatorio. È la mise en intrigue del destino del pavido curato, d’ora in avanti co-stretto a barcamenarsi tra «santi» e «birboni»: ora come «pulcino» impaniato nel-la stoppa, ora come «pulcino negli artigli del falco»; a subire, pusillanime, la ma-gnanimità tormentosa del cardinale Borromeo; e a patire l’argento vivo di «un ap-paltatore di delitti» convertito, che lo fa sentire in Malebolge.

La «santità» umile, prodiga ed eroica, degli ecclesiastici, ha natura d’acqua: lavita d’impiego e di servizio di Federico Borromeo è (con immagine declinata daBossuet) «come un ruscello che, scaturito limpido dalla roccia, senza ristagnarené intorbidarsi mai, in un lungo corso per diversi terreni, va limpido a gettarsi nelfiume»192; i cappuccini sono (con riferimento all’Ecclesiaste, I, 7) «come il mare,che riceve acqua da tutte le parti, e la torna a distribuire a tutti i fiumi»193. La vi-gliaccheria accanita e impenitente di don Abbondio, alimentata da colpevoli ne-gligenze e da inadempienti che si industriano con il latinorum o con il calar di bra-che (come dice Perpetua: la zitella che lo accudisce), ha natura di terra. E curatoè un «vaso di terracotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro»:

Il suo sistema consisteva principalmente nello scansar tutti i contrasti, e nel cedere, inquelli che non poteva scansare. Neutralità disarmata in tutte le guerre che scoppiavanointorno a lui […]. Se si trovava assolutamente costretto a prender parte tra due conten-denti, stava col più forte, sempre però alla retroguardia, e procurando di far vedere al-l’altro ch’egli non gli era volontariamente nemico […]. A chi, messosi a sostener le sueragioni contro un potente, rimaneva col capo rotto, don Abbondio sapeva trovar sem-pre qualche torto […]. Sopra tutto poi, declamava contro que’ suoi confratelli che, a lo-ro rischio, prendevan le parti d’un debole oppresso, contro un soverchiatore potente.

191 A. MANZONI, I promessi sposi cit., cap. I, p. 11.192 Ibid., cap. XXII, p. 496. cfr. A. M. D’AMBROSIO MAZZIOTTI, Fra Bossuet e Manzoni: la retorica e la ragio-

ne, in «Critica letteraria», XIII (1985), 48, pp. 483-507.193 A. MANZONI, I promessi sposi cit., cap. III, p. 72.

Letteratura italiana Einaudi 45

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 46: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

Questo chiamava un comprarsi gl’impicci a contanti, un voler raddrizzare le gambe aicani194.

In don Abbondio la debolezza terragna della natura ha sempre il sopravven-to sulla Grazia di Dio, che spezza «vases de terre» perché diano testimonianzadella luce e della potenza della fede: come le anfore di Gedeone che, rotte, face-vano apparire le torce fiammanti che dissimulavano dentro la loro opacità (Giudi-ci, 7,15-23). I «vasi di terra» erano, nell’articolazione ossimorica del Sermon surles afflictions di Massillon qui sintetizzato, l’emblema della debolezza gloriosa deimartiri di Cristo195. In don Abbondio sono invece la giustificazione blasfema del-la resistenza alla Grazia e alla missione del sacerdozio. La debolezza del curato hala forza e l’ostinazione di una bestemmia allegramente dichiarata. La «neutralitàdisarmata» è la teologia patetica della difesa a oltranza della «pelle» da parte di untenero quanto insolente e bizzoso «eroe» della viltà, che accomoda il suo buonDio alla propria industria di sopravvivenza e di quieto vivere: fino a farsi (suomalgrado) provocatore e complice di ribaldi e prepotenti. Ma don Abbondio nonè un grande peccatore. Il suo confronto con Dio è furbesco. Il curato è il «poveroprete» di un «povero Dio»196. Solo i grandi peccatori sanno convertirsi, sostenevaBourdaloue nella meditazione De la tiédeur dans le service de Dieu197. Don Ab-bondio non può avere pentimenti e rimorsi. È un uomo di «terra», fedele a sestesso: dall’inizio alla fine. E per il suo «errore», Manzoni ha umana comprensio-ne. Quando Federico Borromeo arringherà il confuso e ammutolito curato sul co-raggio intrepido dell’esercizio pastorale, sul «timore» e sull’«amore» che essocomporta, Manzoni si farà partecipe delle realistiche «ragioni» del pavido di fron-te alla facile magniloquenza di un «santo»:

[...] per dir la verità, anche noi, con questo manoscritto davanti, con una penna in ma-no, non avendo da contrastare che con le frasi, né altro da temere che le critiche de’ no-stri lettori [...] troviamo un non so che di strano in questo mettere in campo, con cosìpoca fatica, tanti bei precetti di fortezza e di carità, di premura operosa per gli altri, disacrifizio illimitato di sé. Ma pensando che quelle cose erano dette da uno che poi le fa-ceva, tiriamo avanti con coraggio198.

Dunque: i bravi erano lì ad aspettare don Abbondio. Il curato «disse mental-

194 Ibid., cap. I, pp. 25-27.195 J.-B. MASSILLON, Sermon sur les afflictions, in ID., Œuvres cit., t. I, p. 37.196 Cfr. G. MANGANELLI, Alessandro Manzoni - «I Promessi Sposi» (don Abbondio), in ID., Laboriose inezie,

Milano 1986, pp. 207-8.197 L. BOURDALOUE, De la tiédeur dans le service de Dieu, in ID., Œuvres cit., t. III, pp. 607-8.198 A. MANZONI, I promessi sposi cit., cap. XXVI, p. 591. Cfr. G. NENCIONI, La lingua di Manzoni, Bologna

1993, pp. 32-33.

Letteratura italiana Einaudi 46

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 47: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

mente: ci siamo; e si fermò su due piedi»199, a chiedere comandi. Fu subito ac-contentato. Il loro padrone, Don Rodrigo, gli intimava di non celebrare il matri-monio tra gli operai tessili Renzo Tramaglino e Lucia Mondella. E don Abbondiocedette all’«ubbidienza».

Quel tiranno di don Rodrigo si era incapricciato di Lucia. E su di essa avevafatto scommessa con il cugino Attilio, suo «spensierato» complice nelle soverchie-rie. Cominciano le traversie dei due operai. E intanto don Abbondio si prepara adaffrontare Renzo: il «ragazzone», che non aveva avuto nient’altro da fare che sentir«bruciore» e innamorarsi come un gatto. «Egli pensava alla morosa; ma io pensoalla pelle»: don Abbondio è lapidario. E si fa stratega della propria paura.

Il pauroso, il simpatico vigliacco, tra «consulte», «partito» e «deliberazione»,fa agire il linguaggio militare di Machiavelli (l’ha dimostrato Giovanni Bardaz-zi)200. La sua è una tattica d’ «utilitarismo», che la prudenza falsifica nelle «ragio-ni del coniglio». Sulle gambe di don Abbondio cammina, nel romanzo, la «mario-leria» comicizzata del segretario fiorentino. Le cui opere condividono con la Ra-gion di Stato di Giovanni Botero il palchetto della politica nella rappresentativabiblioteca dell’aristotelico filosofone don Ferrante, maestro in sillogismi e parolo-gismi:

Due [...] erano i libri che don Ferrante anteponeva a tutti, e di gran lunga, in questa ma-teria; due che, fino a un certo tempo, fu solito di chiamare i primi, senza mai potersi ri-solvere a qual de’ due convenisse unicamente quel grado: l’uno, il Principe e i Discorsidel celebre segretario fiorentino; mariolo sì, diceva don Ferrante, ma profondo: l’altro,la Ragion di Stato del non men celebre Giovanni Botero; galantuomo sì, diceva pure,ma acuto201.

E Machiavelli e Botero insieme, «mariolo ma galantuomo», era il Fermoubriaco che con l’oste della Luna piena recitava la favola di Amore e Psiche202.

«Insigne», Manzoni definisce nel saggio Del romanzo storico l’avversione perla Gerusalemme liberata di Galileo Galilei203. Il poema tassesco era sembrato alloscienziato una Wunderkammer:

uno studietto di qualche ometto curioso, che si sia dilettato di adornarlo di cose che ab-biano, o per antichità o per rarità o per altro, del pellegrino, ma che però sieno in effet-

199 A. MANZONI, I promessi sposi cit., cap. I, p. 19.200 G. BARDAZZI, Il “sistema’ di Manzoni, in «Cenobio», XXXV (1986), 4 (numero monografico: Atti del Con-

vegno di Ginevra, 13 ottobre 1985, su «Manzoni 1785-1985»), pp. 293-306.201 A. MANZONI, I promessi sposi cit., cap. XVII, pp. 630-31.202 ID., Fermo e Lucia cit., t. III, cap.VII, p.470. Si veda E. BONORA, Postille ai «Promessi Sposi», in ID., Man-

zoni. Conclusioni e proposte cit., pp. 182-84.203 A. MANZONI, Del romanzo storico, in ID., Tutte le opere cit., V/3, p. 336.

Letteratura italiana Einaudi 47

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 48: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

to coselline, avendovi, come saria a dire, un granchio petrificato, un camaleonte secco,una mosca e un ragno in gelatina in un pezzo d’ambra, alcuni di quei fantoccini di ter-ra che dicono trovarsi ne i sepolcri antichi d’Egitto [...]204.

C’è molta affinità tra lo «studiolo» manierista descritto da Galileo e la cultu-ra che si respira nella biblioteca di don Ferrante (passata dai quasi cento volumidel Fermo e Lucia ai quasi trecento dei Promessi sposi). L’aristotelico manzoniano,che si ostinerà a negare l’epidemia di peste (né «sostanza» né «accidente») purmentre ne moriva «prendendosela con le stelle», aveva dato una scorsa a erbari la-pidari e bestiari: e

sapeva a tempo trattenere una conversazione ragionando delle virtù più mirabili e dellecuriosità più singolari di molti semplici; descrivendo esattamente le forme e l’abitudinidelle sirene e dell’unica fenice; spiegando come la salamandra stia nel fuoco senza bru-ciare; come la remora, quel pesciolino, abbia la forza e l’abilità di fermare di punto inbianco, in alto mare, qualunque gran nave; come le gocciole della rugiada diventin per-le in seno delle conchiglie; come il camaleonte si cibi d’aria; come dal ghiaccio lenta-mente indurato, con l’andar de’ secoli, si formi il cristallo; e altri de’ più maravigliosi se-greti della natura205.

L’enciclopedismo strabiliante di don Ferrante, che è la quintessenza di pere-grina pedanteria spremuta da un’intera biblioteca, si esibisce anaforicamente inun elenco di schede esplicative che ricalca (positivizzandolo) quello in negativodella lettera del Tasso a Scipione Gonzaga (1579):

[…] se del nascimento di Cristo e de la sua eterna generazione non so render cagione,non lo so anche rendere de la generazione de’ tuoni e de’ lampi e de le grandini e de letempeste e de’ venti, se non molto fallace e incerta: né so, se non molto dubbiosamen-te, come l’aria si dipinga di tanta varietà di colori in quel suo arco, che arco del patto ènominato: né come ne la regione del fuoco o ne la vicina ci appaiano le comete, e la stra-da di latte, e tante altre apparenze ora spaventose ora vaghe, ma sempre maravigliose:né so come ne le viscere de la terra si generi l’oro e l’argento e gli altri metalli, e nel let-to del mare le perle e i coralli si producano: né saprei de la generazion de gli animali ab-bastanza ragionare; […] e come la fenice deponga la vecchiaia nel fuoco e a lunghissi-ma vita si rinnovelli; o come di due bruti di diverse specie ne nasca un misto che né a lamadre né al padre sia somigliante […]206.

204 G. GALILEI, Considerazioni al Tasso, in ID., Scritti letterari, a cura di A. Chiari, Firenze 1970, p. 502. Cfr. E.PANOFSKY, Galileo as a Critic of the Arts, 1954 (trad. it. di M. C. Mazzi, Galileo critico delle arti figurative, Venezia1985). Della stessa pagina antitassesca si è servito Umberto Eco nel romanzo L’isola del giorno prima (Milano 1994,cap. XX, p. 213), per descrivere, in «una stanza che rivelava un gusto per la raccolta erudita», «una mosca e un ragnoin un pezzo d’ambra, un camaleonte rinsecchito». Sul romanzo di Eco cfr. la chiusa bibliografica di questo saggio.

205 A. MANZONI, I promessi sposi cit., cap. XXVII, p. 629.206 T. TASSO, Lettera a Scipione Gonzaga del 15 aprile 1579, in ID., Le lettere, a cura di C. Guasti, Firenze1854,

Letteratura italiana Einaudi 48

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 49: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

Don Ferrante è un galileiano «ometto curioso». E la sua biblioteca è il luogodi falsificazione manieristica del rapporto tra arte e natura. Da questo «capric-cio», da questa Wunderkammer, Fermo ha preso i colori retorici della sua ciarla diubriaco; e don Abbondio ha tratto la scienza militare della sua falsificazione dellaprudenza.

Don Abbondio è però, anche e soprattutto, un teologo blasfemo: il falsariodella Provvidenza, che a Dio attribuisce gli effetti speciali di una peste e le man-sioni di uno spazzino compiacente. Non appena gli annunciano l’avvenuta morteper peste di don Rodrigo, scioglie all’urna una picciola orazione funebre; inaudi-ta sin nella cornice, che è una canzonatura in quinari del Cinque maggio: «Ah! èmorto dunque! è proprio andato! […] lui non c’è più, e noi ci siamo»207. È la pa-rodia del grido di Cassio alla morte di Cesare («C’en est fait, a n’est plus»). È unriportar l’inizio del Cinque maggio alla radice voltairiana («Il régnait, il n’estplus»)208. È una bestemmia, che la contrapposizione manzoniana tra la fulmineasparizione del «nome» di Napoleone e l’insidenza («Egli c’è») del «nome» di Dio,rivelato a Mosè nel colloquio del roveto, riduce alla goliardia esultante di due can-tanti quinari: «lui non c’è più, e noi ci siamo». E, dentro la cornice, lo «scopaboeam in scopa terens» di Isaia (14, 23) dà luogo all’immagine di una Provvidenzapestifera che spazza via foglie ancora verdi: «È stata un gran flagello questa peste;ma è anche una scopa; ha spazzato via certi soggetti, che, figliuoli miei, non ce neliberavamo più: verdi, freschi, prosperosi: bisogna dire che chi era destinato a farloro l’esequie, era ancora in seminario, a fare i latinucci»209.

Un tirannello in retta linea. Non pare. Eppure don Abbondio è, a modo suo, unfilologo. Di sicuro è un lettore. E non solo del breviario, con il quale entra «belbello» nel romanzo. Manzoni lo sorprende a leggere un «libricciolo», seduto sul«seggiolone»210, nell’ottavo capitolo dei Promessi sposi; e a chiedersi chi «diavo-lo» fosse il Carneade, di cui il libretto parlava. Era la sera del 10 novembre del1628; malaugurata sera e malaugurata notte, durante le quali Renzo e Lucia, spal-leggiati da Tonio e da Gervaso, tentarono di imporre al curato un matrimonioclandestino; mentre i bravi di don Rodrigo, guidati dal Griso, mancarono l’im-presa di rapire Lucia. Quella sera don Abbondio leggeva un panegirico in onore

II, pp. 21-22; cfr. G. BARDAZZI, Recensione a A. MANZONI, Tutte le poesie cit., e a ID., I Promessi Sposi, a cura diE. Raimondi e L. Bottoni, Milano 1987, in «Rivista di letteratura italiana», VI (1988), 2, pp. 313-42.

207 A. MANZONI, I promessi sposi cit., cap. XXXVIII, p. 885.208 Cfr. H. G. HALL, New light on Manzoni’s «Ei fu» in relation to French literature, in «The Modern Language

Review», LXVI (1971), 3, pp.568-79; E. A. MILLAR, Napoleon in Italian Literature 1796-1821, introduzione di M.Praz, Roma 1977; S. NIGRO, Manzoni, Roma-Bari 1978, p. 103, nota 1.

209 A. MANZONI, I promessi sposi cit., cap. XXVIII, p. 885 (corsivo nostro).

Letteratura italiana Einaudi 49

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 50: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

di san Carlo Borromeo; ed esattamente La dottrina di san Carlo Borromeo spiega-ta da Vincenzo Tasca nel duomo di Milano, addì 4 novembre 1626 (Milano1626)211. Ma il don Abbondio dei Promessi sposi ha letto pure il Fermo e Lucia diuno scrittore chiamato Alessandro Manzoni. L’anacronismo non è un problemain letteratura. Non si spiegherebbe altrimenti la guitteria dell’orazione funebredel curato, che l’ode napoleonica usa per seppellire alla paura il protervo perse-cutore suo e dei suoi parrocchiani. Sulle pagine del Fermo e Lucia, don Abbondioaveva studiato la megalomania «napoleonica» di don Rodrigo: un nano rampichi-no sulla torre di Babele; un Napoleone in ventiquattresimo. La «superba altezza»dell’eroe dell’ode era stata presa a modello da don Rodrigo, nel Fermo e Lucia:«[...] pareva che la superbia e l’iniquità di don Rodrigo fossero salite a quell’altez-za, dove la Provvidenza le arresta, e le rovina»212. Il tirannello s’era voluto piazza-re, anche lui, sulla torre di Babele. E quando la «macchina» venne giù, per lui, ilfilologo don Abbondio estrasse il «coccodrillo» napoleonico.

Pasolini sosteneva che Manzoni aveva «amore per la gioventù solida e benpiantata di Renzo»213. In parte è vero. Di contro Manzoni aveva una ripugnanzaviscerale per don Rodrigo. Più evidente nel Fermo e Lucia che nei Promessi sposi.E il dispetto è tale, che l’autore si spazientisce. Diventa sbrigativo. E manda aldiavolo il suo personaggio, senza complimenti. Così nel Fermo e Lucia: don Ro-drigo parte per Milano; «la carrozza andava celermente, senza impedimenti inuna strada solitaria. Buon viaggio!»214.

Per puntiglio ferito, don Rodrigo salta a cavallo. In abito da caccia. E seguitoda una «scorta pedestre». Va a comprare l’aiuto del Conte del Sagrato. Vuole cherapisca Lucia per lui. Ancora nel Fermo e Lucia.

La partenza è virgiliana. Il signorotto sembrava Giunone, quando «altre vol-te», nel primo libro dell’Eneide, si era recato a chiedere soccorso a Eolo nella sua«caverna»: «se non che la Dea pagava in Ninfe l’opera buona del re dei venti, e

210 Sulle suppellettili nei Promessi sposi, si veda F. ORLANDO, Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratu-ra, Torino 1993, pp. 127-30.

211 Si veda C. CASTIGLIONI, S. Carlo nella poesia e nell’oratoria sacra. Il panegirico con Carneade, in «Convi-vium», XVI-XVII (1938), pp. 61-74. Sui personaggi che leggono cfr. R. SABRY, Les lectures des héros des romans, in«Poétique», n. 94 (1993) pp. 185-204.

212 A.MANZONI, Fermo e Lucia cit., t. I, cap. VI, p. 99 (corsivi nostri).213 P. P. PASOLINI, Alessandro Manzoni, «I Promessi Sposi» (1973), in ID., Descrizioni di descrizioni, Torino

1979, pp. 152-57. Una strana miscela di pasolinismo e gramscismo, in R. PARIS, Il mito del proletariato nel romanzoitaliano, Milano 1977, p. 11: «Verso uno come Renzo Tramaglino il narratore proverà compiaciuto paternalismo, perla buona ragione che dentro ogni uomo alberga un omosessuale represso». Sul paternalismo manzoniano cfr. M. MC-CARTY, Ideas and the Novel, 1980 (trad. it. di S. Gorresio, Il romanzo e le idee, Palermo 1985).

214 A. MANZONI, Fermo e Lucia cit., t. III, cap. III, p. 376.

Letteratura italiana Einaudi 50

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 51: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

don Rodrigo sapeva bene che avrebbe dovuto recarla a Doppie»215. Il ronzino va«di passo». La «brigata» sfila davanti al convento di Pescarenico e giunge al Bio-ne: un torrentuccio senz’acque; così poco rilevante che il suo nome non è regi-strato «in alcun dizionario geografico». Il Bione è sempre in rima «naturale» conResegone216. Qui è in rima «mitologica» con Giunone. Tutti lo costeggiano. Solodon Rodrigo è costretto a varcarlo; con il rammarico peloso dello scrittore, che apiù alta e ardita impresa avrebbe voluto destinare l’eroe equestre e il suo trotte-rello. Don Rodrigo è fiero; potrebbe essere forte e marziale. E con un’azione glo-riosa potrebbe dar lustro al fiumiciattolo, e consegnarlo agli annali della gloria; aimedaglioni, agli emblemi, alle «divise». Ma il rigagnolo è breve e flebile; e diser-tato da Clio:

noi avremmo voluto che la nostra storia registrasse a questo passaggio qualche incon-tro, qualche avvenimento inaspettato, per poterne illustrare quel torrente, e togliere ilsuo nome dalla oscurità, ma la storia non ne registra: e noi solleciti della verità più ched’ogni altra cosa non possiamo dire altro se non che il cavallo di Don Rodrigo attraver-sò il letto in retta linea [...]217.

Il guado di un fiume è luogo comune nella pittura storica, almeno da LuigiXIV a Napoleone218. Ha l’antecedente antico di Giulio Cesare. Al quale ammiccaManzoni, con un silenzio di malizia che sospende nell’aria l’eco e lo strascico del-la rima «mitologica» Giunone-Bione; e, perché no, Rubicone. La rima è, però, indizione meneghina. È familiarmente dialettale: «poffar de bio», «corpo de biobion», sono bestemmie nelle Poesie del Porta219. Manzoni manda il condottierodon Rodrigo «a quel dio». In retta linea: dritto dritto; per la via più breve; in an-tifrasi con la linea della condotta morale retta (il «sentiero retto e facile», nel Fer-mo e Lucia; «retto e piano» nei Promessi sposi)220. Con una mossa picaresca: «Pre-guntóme si iba a Madrid por linea recta, o si iba por camino circumflejo»; nel Bu-scón di Quevedo221. E romanzescamente: ché «le chemin en ligne droite» dellaregistrazione topografica analizzata dal Discours preliminare des éditeurs nel-l’Encyclopédie, è assunto, nel saggio manzoniano Del romanzo storico, come me-tafora dell’invenzione «topografica» del romanzo contrapposta alla sistemazione

215 Ibid., t. II, cap. VIII, p. 252.216 Ibid., t. I, cap. VIII, pp. 136-37.217 Ibid., t. II, cap. VIII, p. 253.218 Cfr. P. BURKE, The Fabrication of Louis XIV, 1992 (trad. it. di L. Angelini, La fabbrica del sole, Milano 1993).219 Cfr. C. PORTA, Poesie, a cura di D. Isella, Milano 1985, pp. 375 (68, v. 3) e 423 (70, v. II).220 A. MANZONI, Fermo e Lucia cit., t. I, cap. VI, p. 104; ID., I promessi sposi cit., cap. VI, p. 132.221 FRANCISCO DE QUEVEDO, L’imbroglione, a cura di A. Ruffinato e M. Rosso Gallo, Venezia 1992, II, cap.

I, p. 145: «Mi chiese se andavo a Madrid in linea retta o per una strada circonflessa».

Letteratura italiana Einaudi 51

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 52: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

in «carta geografica» del discorso storico222. Don Rodrigo è installato sul suo mo-numento a dondolo. E Manzoni lo saluta.

Cavalier temerario da burla, don Rodrigo nel Fermo e Lucia esce di scena sul-la groppa di un cavallaccio. Ha preso la peste, e il Griso «fedel» l’ha venduto aimonatti. Si ritrova nel lazzeretto, fuor di senno: «frenetico», «demente», in «deli-rio»; e chiude la propria vita di libertino nel furore della dissennatezza: come ilprotagonista della Carriera di un libertino di Hogarth. Il cavallo s’impenna e va dicarriera, in una cavalcata infernale. Don Rodrigo corre alla «fossa». E fra Cri-stoforo, il cappuccino che contro di lui ha preso le difese dei promessi, esclama:«Giudizi di Dio». E aggiunge: «preghiamo per quell’infelice»223.

Nei Promessi sposi, Manzoni non è così spietato. Lascia che don Rodrigomuoia sul giaciglio di una capanna, colto nell’incoscienza del coma e umiliato nelcorpo illividito e pustoloso. Insieme ai «Giudizii di Dio», scompare la «demenza»hogarthiana. Subentra invece un santino della religiosità borromeana della Mila-no di san Carlo. La morte rovina su don Rodrigo. E fra Cristoforo commenta:«Può esser gastigo, può esser misericordia»224. Il frate porta Cristo inscritto nelnome; lascia quindi che la figura Christi agisca e si componga nell’immagine cheillustra il frontespizio del catechismo milanese, o Interrogatorio, fatto pubblicarenel 1569 da Carlo Borromeo. Si tratta di una crocefissione, commentata: sopra ilCristo in croce si legge «Redenzione»; ai lati stanno i due ladroni, con le scritte«misericordia» (a destra) e «castigo» (a sinistra)225. La vignetta dell’edizione illu-strata del romanzo lascia che la parete di legno della capanna disegni, sopra il gia-ciglio di don Rodrigo, una croce rovesciata.

Fra Cristoforo, evocatore di santini, è un attore nel teatro della fede. Prediligele pose sceniche. Incantatorie. E profetiche, soprattutto; alla Nathan: il profeta cheDio mandò a David per annunciargli la punizione. Nella duplice veste di incanta-tore e di profeta (schermitore) si è incontrato con don Rodrigo, la prima volta:«aveva preso tra le dita e metteva davanti agli occhi del suo accigliato ascoltatore ilteschietto di legno attaccato alla sua corona»; «[…] dando indietro due passi, po-standosi fieramente sul piede destro, mettendo la destra sull’anca, alzando la sini-stra con l’indice teso verso don Rodrigo, e piantandogli in faccia due occhi infiam-mati […] – […] sentite bene quel ch’io vi prometto: Verrà un giorno… –»226.

222 Cfr. Discours préliminaire des éditeurs, in Encyclopédie, Paris 1751, t. I, p. XV; e A. MANZONI, Del romanzostorico, in ID., Tutte le opere cit., V/3, parte I, p. 290.

223 ID., Fermo e Lucia cit., t. IV, cap. IX, pp. 656-57.224 ID., I promessi sposi cit., cap. XXXV, p. 830. 225 Sul frontespizio dell’Interrogatorio cfr. M. TENTORIO, Alessandro Manzoni e il collegio di S.Bartolomeo di

Merate dei pp. somaschi, Genova s. d., p. 100.226 A. MANZONI, I promessi sposi cit., cap. VI, pp. 119 e 121-22.

Letteratura italiana Einaudi 52

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 53: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

Il giorno giunse. Con il contagio. E con la deliquescenza, i vaneggiamenti e lemetonimie di un sogno; alla soglia della morte, sotto coperte che pesavano comemontagne:

[…] gli parve di trovarsi in una gran chiesa, in su, in su, in mezzo a una folla […] Guar-dava i circostanti; eran tutti visi gialli, distrutti, con cert’occhi incantati, abbacinati, conle labbra spenzolate; tutta gente con certi vestiti che cascavano a pezzi; e da’ rotti si ve-devano macchie e bubboni […] e sopra tutto gli pareva che qualcheduno di loro, con legomita o con altro, lo pigiasse a sinistra, tra a cuore e l’ascella, dove sentiva una puntu-ra dolorosa, e come pesante […]. Infuriato, volle metter mano alla spada; e appunto gliparve che, per la calca, gli fosse andata in su, e fosse il pomo di quella che lo premessein quel luogo; ma, mettendoci la mano, non ci trovò la spada, e senti in vece una trafit-ta più forte. Strepitava, era tutt’affannato, e voleva gridar più forte; quando gli parveche tutti que’ visi si rivolgessero a una parte. Guardò anche lui; vide un pulpito, e dalparapetto di quello spuntar su non so che di convesso, liscio e luccicante; poi alzarsi ecomparir distinta una testa pelata, poi due occhi, un viso, una barba lunga e bianca, unfrate ritto, fuor del parapetto fino alla cintola, fra Cristoforo. Il quale, fulminato unosguardo in giro su tutto l’uditorio, parve a don Rodrigo che lo fermasse in viso a lui, al-zando insieme la mano, nell’attitudine appunto che aveva presa in quella sala a terrenodel suo palazzotto. Allora alzò anche lui la mano in furia, fece uno sforzo, come perislanciarsi ad acchiappar quel braccio teso per aria; una voce che andava brontolandosordamente nella gola, scoppiò in un grand’urlo; e si destò227.

Due incubi, in un solo sogno: quello agorafobo dell’assedio di appestati; equello profetico dell’apparizione del biancobarbuto fra Cristoforo. Il primo è ri-calcato su un incubo dello stesso Manzoni, che nell’abisso vertiginoso del sogno sivedeva con tanti volti addosso. Il secondo è rifatto su un sogno che gli era statoraccontato: «[...] il sogno d’un uomo che, avendo fatta vita molto licenziosa, sipentì dietro un sogno che era di tre uomini, l’un dei quali, a barba bianca, che sta-va nel mezzo, lo minacciò di gran guai se avesse continuato». Entrambi gli incubi,quello autobiografico e quello aneddotico, vennero raccontati dallo stesso Man-zoni a Ruggero Bonghi. Che, di seguito, li trascrisse nel proprio Diario228.

In sogno, il persecutore si vede braccato e perseguitato. I ruoli si sono rove-sciati. La coscienza rimorde, in prossimità della morte. Mentre il teschietto di le-

227 Ibid., cap. XXXIII, pp. 757-58.228 Cfr. R. BONGHI, Dal «Diario», in ID., Studi manzoniani, a cura di F. Torraca, Firenze 1933, pp. 30-31 (corsi-

vo nostro). Sull’incubo autobiografico cfr. L. SCIASCIA, Fu capolavoro o impostura?, in «Corriere della Sera», 10 feb-braio 1985, p. 11; e M. RIVA, Agorafobia e conversione. Per una storia di una sindrome post-rivoluzionaria, in Nevrosie follia nella letteratura moderna, a cura di A. Dolfi, Roma 1993, pp. 87-110. Sul sogno di don Rodrigo cfr. M. LAVA-GETTO, Freud, la letteratura e altro, Torino 1985, p. 278; G. GRAMIGNA, Il sogno di don Rodrigo, in ID., Le formedel desiderio. Il linguaggio poetico alla prova della psicoanalisi, Milano 1986, pp. 30-39; V. SPINAZZOLA, Il libro pertutti. Saggio su «I Promessi Sposi», Roma 1983, pp. 130-31.

Letteratura italiana Einaudi 53

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 54: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

gno della profezia si fa allucinazione di «testa pelata»: ovvero di «cocuzzolo cal-vo», nell’edizione del ’27229. Bisogna riandare ad Agostino, al suo commento aiSalmi, e infilare la sequenza di etimologie morali dall’ebraico «Core» («figli diCore», sono i cristiani) a «cranio» e a «Calvario»; e al Girolamo del Liber inter-pretationis Hebraicorum nominum con l’equivalenza «Core»-«calvizie»230. E con-cludere che la «superba altezza» di don Rodrigo era arrivata, anch’essa, al con-fronto con il «disonor del Golgota». Forse fu castigo. Forse fu misericordia.

Un tiranno più alto delle somme altezze. Stremato e morituro, dolente nelle carni,don Rodrigo avverte l’incombenza del «giudizio» nello splendido orrore di unatravagliata immagine di febbre. Per l’incognita del «giudizio», ha rispetto fra Cri-stoforo. Sa che Dio è misericordioso: «flagella» e «perdona»231. Avarizia di cuoredimostra invece don Abbondio, fracassone come sempre. Ma il necrologio fibril-lante del curato è in stile rodrighesco. Accomuna don Abbondio e don Rodrigonella stessa angustia morale.

«Tornava don Rodrigo a casa sua»232. Mentre per lui cominciavano a spe-gnersi le luci di scena, tra la «malinconia» di una peste che incatastrofiva con isuoi fracidi carnami. «Tornava bel bello dalla passeggiata verso casa». Ed era donAbbondio, che varcava il sipario. Un’entrata e un’uscita di scena, stilisticamenteparallele. Come parallele sono le vocazioni oratorie dei due comprimari, nellaqualità monatto-bernesca del «viva la morìa!». Don Rodrigo tornava da un «ri-dotto d’amici soliti a straviziare insieme». Se la lieta brigata del Decameron si era«ricreata» raccontando novelle; la scanzonata e gaudente comitiva del «ridotto»si era rifatta della desolazione della peste, ridendo alla trovata di don Rodrigo cheaveva recitato «una specie d’elogio funebre del conte Attilio, portato via dalla pe-ste, due giorni prima». Il Bossuet da livido carnevale, sarà servito a sua volta dal-l’orateur sacré don Abbondio: la peste ha «portato via» il complice cugino; e ha«spazzato via» don Rodrigo. Sono le interfacce delle forme del terribile degrada-te in farsa e in commedia.

La misura piccola, bassamente sinistra e scalcinata, di don Rodrigo è anchenelle cose che lo rappresentano e nella schiera di bravi che lo circonda. Qualora

229 Cfr. G. CONTINI, Una strenna manzoniana (1962), in ID., Varianti e altra linguistica. Una raccolta di saggi(1938-1968), Torino 1970, p. 37: «[…] se mi è consentita un’esemplificazione un poco ilare, i Promessi del ’25-27 ap-partengono al Maestro relativamente aulico del ‘cocuzzolo calvo’ (Ferrer e padre Cristoforo), quelli del ’40-’42 alMaestro relativamente realistico e in monocromo della ‘zucca monda’ e meglio della ‘testa pelata’».

230 Cfr. AGOSTINO, in Psalmos XLI enarratio, in ID., Commento ai Salmi, a cura di M. Simonetti, Milano 1988,pp. 84-87, e 603, nota 13.

231 A. MANZONI, I promessi Sposi cit., cap. XXXV, p. 826. 232 Ibid., cap. XXXIII, p. 755.

Letteratura italiana Einaudi 54

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 55: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

un passeggero si fosse fermato a guardare il suo «palazzotto» o «castellotto», lasua «casuccia» o «bicocca» in cima a un «poggio»,

avrebbe potuto credere che fosse una casa abbandonata, se quattro creature, due vive edue morte, collocate in simmetria, di fuori, non avesser dato un indizio d’abitanti. Duegrand’avvoltoi, con l’ali spalancate, e co’ teschi penzoloni, l’uno spennacchiato e mezzoroso dal tempo, l’altro ancor saldo e pennuto, erano inchiodati, ciascuno sur un batten-te del portone; e due bravi, sdraiati, ciascuno sur una delle panche poste a destra e a si-nistra, facevan la guardia, aspettando d’esser chiamati a goder gl’avanzi della tavola delsignore233.

Due vivi cagnacci di bravi e due morti uccellacci di vile necrofagia (uno inavanzata decomposizione) sono il contrastato biglietto da visita di don Rodrigo.Ben altra antitesi elabora la ragionata arbitrarietà dell’ossimoro, che definisce lataverna che fa da «corpo di guardia» al «castello» o «castellaccio» del tiranno cuidon Rodrigo è costretto a ricorrere per far rapire Lucia: «Sur una vecchia insegnache pendeva sopra l’uscio, era dipinto da tutt’e due le parti un sole raggiante; mala voce pubblica, che talvolta ripete i nomi come le vengono insegnati, talvolta lirifà a modo suo, non chiama quella taverna che col nome della Malanotte»234. Albestiario patetico della caccia facile, si oppone l’astrologia terrifica del sole nero,micidiale, della malvagità; al «castellotto» su un domestico poggio, il «castellac-cio» rilevato su un poggio aspro di ostile impervietà e di ariostesca suggestione(ricorda il «sasso» su cui si ergeva il castello di Atlante)235.

Il tiranno, «appaltatore di delitti», è personaggio storico. Manzoni l’aveva in-contrato nella Vita di Federico Borromeo (1656) di Francesco Rivola; e soprattut-to nelle Historiae patriae dello storico secentesco Giuseppe Ripamonti. Nellarealtà, era il bandito d’alto lignaggio Francesco Bernardino di quei Visconti diBrignano dai quali discendeva la madre del nonno di Manzoni, Cesare Becca-ria236. Le fonti storiche coeve ne avevano però taciuto il nome: per riguardo al ca-sato, e per timore. Nel Fermo e Lucia il feroce bandito è chiamato Conte del Sa-grato, da una delle tante imprese delittuose che immedagliano la sua smodata car-riera di sangue. Gli viene data l’antonomastica designazione di innominato a par-tire dall’ampio «schizzo» manoscritto237, che segna il momento di passaggio dal

233 Ibid., cap. V, pp. 102-3.234 Ibid., cap. XX, pp. 452-53.235 Cfr. L. ARIOSTO, Orlando furioso cit., II, 41.236 Cfr. G. BELOTTI, Francesco Bernardino Visconti era o non era l’innominato manzoniano?, in AA.VV., Politica

ed economia in Alessandro Manzoni. Atti del Convegno Manzoni. Il suo e il nostro tempo (Bergamo, 22-24 febbraio1985), Bergamo 1985, pp. 145-52.

237 Finalmente in corretta trascrizione: A. MANZONI, Quell’innominato, a cura di L. Toschi, Palermo 1987.

Letteratura italiana Einaudi 55

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 56: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

volgare Conte del Sagrato al biblico blasfematore dei Promessi sposi: attraverso lacomplessa elaborazione di modelli, che vanno da Shakespeare a Byron, a Schillere a Scott238; e non senza la mediazione figurativa dell’iconografia borromeana, diCarlo e Federico (la posa dell’innominato che «va all’androne a porsi a canto unaparete, tenendo con la destra il cane e il grilletto, colla sinistra la canna d’una suacarabina terribilmente famosa al pari di lui»239, è studiata su quella di fra Gerola-mo Donato, detto il Farina, nel «telero» del Fiammenghino dedicato all’attentatodi Carlo Borromeo).

Il Conte del Sagrato abitava «un castello posto al confine degli stati veneti,sur un monte; […] non riconoscendo superiore a sé, arbitro violento dei negozjaltrui come di quelli nei quali era parte»240. Lo «schizzo» conferma l’arbitraggio,e iperbolizza la superiorità in terribilità: «[…] divenuto padrone in età assai gio-vanile, egli non fu contento della porzione di superiorità che avevano goduta isuoi maggiori. Queglino erano riveriti; egli volle esser terribile: eran lasciati stareanche dai più potenti e irrequieti; a lui pareva di scadere, quando non facesse sta-re nessuno»241. L’innominato della ventisettana era «selvaggio signore». Avevaprevidenza d’arte militare; aquilina, come quella descritta da Bossuet nell’Oraisonfunèbre de Louis de Bourbon: «Dall’alto del castellaccio, come l’aquila dal suo ni-do insanguinato […] dominava all’intorno tutto lo spazio dove orma d’uomo po-tesse posarsi, e non ne sentiva nessuna brulicare al di sopra del suo capo»242. An-cora una volta il testo insiste sul rifiuto del fuorilegge a riconoscere una qualsivo-glia autorità superiore; con un petrarchismo («ove vestigio human l’arena stam-pi»)243 rincalzato dall’«orma di piè mortale» del Cinque maggio (e all’ode napo-leonica riconduce la persistenza dell’«esser arbitro»)244. Non meno letterario è ilbrulichio d’orme sul cielo, oltre la testa; che mondanizza l’immagine classica eclassicista dell’impronta lasciata nell’aria dal calcagno di una divinità (come nelleDionisiache di Nonno: I, 385). Ogni altrui eminenza è odiosa a chi pretende ingrandezza. Ma questa selvaggia insofferenza, da uomo ostile e isolato, nella qua-rantana (e solo in essa), deletterarizzata, sconfina verso il potere divino. Diventatitanico assalto al cielo. Sfida di novello Capaneo. Acerrima arroganza d’abitatordi Babele: «[…] dominava all’intorno tutto lo spazio dove piede d’uomo potesse

238 Cfr. L. BOTTONI, La conversione di un «Innominato», in «Lettere italiane», XXXVIII (1986), I, pp. 338-61.239 A. MANZONI, Quell’innominato cit., p. 24.240 ID., Fermo e Lucia cit., t. II, cap. VII, p. 246.241 ID., Quell’innominato cit., p. 16.242 ID., I promessi sposi cit., cap. XX, p. 45.243 F. PETRARCA, Canzoniere, XXXV, 4, introduzione di R. Antonelli, testo critico e saggio di G. Contini, note

di D. Ponchiroli, Torino 19922, p. 49.244 A. MANZONI, I promessi sposi cit., cap. XIX, p. 445.

Letteratura italiana Einaudi 56

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 57: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

posarsi, e non vedeva mai nessuno al di sopra di sé, né più in alto». Tutt’altro che«tautologica»245, l’aggiunta è un far le fiche a Dio. È una bestemmia. Che dà ido-latrica timbratura al paragone con l’aquila: «come l’aquila» è l’innominato; «sicutaquila» è Dio, nel Deuteronomio (32, II). L’innominato è un idolo sanguinario: ri-belle agli uomini; e, come il Napoleone del Cinque maggio, a Dio. Se Napoleonecredette di essere Febo, e fu Fetonte; l’innominato è il sole raggiante della Mala-notte: «[…] sul volto dell’innominato si vedevano, per dir così, passare i pensieri,come, in un’ora burrascosa, le nuvole trascorrono dinanzi alla faccia del sole, al-ternando ogni momento una luce arrabbiata a un freddo buio»246. Lo sguardodell’innominato è un «lampeggiar sinistro, ma vivo degli occhi»247; quasi unaproiezione dei napoleonici «rai fulminei». E nel ripensare alle prosperità infelicidi una vita di delitti, all’innominato il tempo s’affaccia «voto d’ogni intento, d’o-gni occupazione, d’ogni volere, pieno soltanto di memorie intollerabili»; e tutte leore somigliano, per lui, a quella che gli passa «così lenta, così pesante sul capo»248:

Come sul capo al naufragol’onda s’avvolve e pesa,[…]tal su quell’alma il cumulodelle memorie scese!249.

Che Dio sia «più alto delle somme altezze», è biblica definizione in traduzioneagostiniana250. Audace e potente, superba e violenta, la vetta insanguinata e male-detta del tiranno ha osato forare il cielo; e stagliarsi oltre l’altezza somma di coluiche è sopra ogni nome251: «arrogantia tua decepit te, et superbia cordis tui, quihabitas in cavernis petrae et apprehendere niteris altitudinem collis: cum exalta-veris quasi aquila nidum tuum, inde detraliam te, dicit Dominus»252. L’arroganzaè l’«errore» del tiranno che, come l’eroe del Cinque maggio, e come tutti i babe-

245 Di «singolare tautologia» parla E. SALA DI FELICE, Costruzione e stile nei «Promessi Sposi», Padova1977, p.180.

246 A. MANZONI, I promessi sposi cit., cap. XXIII, p. 531. Cfr. S. AGOSTI, Per una semiologia della voce narra-tiva nei «Promessi Sposi» (1986), in ID., Enunciazione e racconto. Per una semiologia della voce narrativa, Bologna1989, pp. 107-53.

247 A. MANZONI, I promessi sposi cit., cap. XX, p. 454.248 Ibid., cap. XXI, p. 486.249 ID., II cinque maggio cit., vv. 61-68.250 AGOSTINO, Confessionum libri XIII, 1. VIII. Le confessioni, a cura di C. Mohramann e C. Vitali, Milano

1974, p. 213.251 Cfr. G. POZZI, I nomi di Dio nei «Promessi Sposi», Lugano 1989.252 Ieremias, 49, 16 («L’arroganza e l’orgoglio del tuo cuore hanno ingannato te che abiti nelle caverne delle roc-

ce e hai gloria di occupare le vette dei monti. Anche se tu mettessi il tuo nido in alto come l’aquila, di lassù ti farei pre-cipitare, dice il Signore»).

Letteratura italiana Einaudi 57

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 58: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

liani, ha costruito una «torre» la cui cima è al cielo; e si è dato un «nome» («ei sinomò»), facendosi «arbitro» innominàa (famoso, celebre: spiega il Vocabolariomilanese-italiano del Cherubini). Complice la reticente circospezione dei docu-menti storici, e continuando nello stile ossimorico che è della costruzione del per-sonaggio, Manzoni si appoggia al dialetto; si dà un solenne plurale di maestà e di-chiara: «[…] si proferiva, si mormorava il nome di colui che noi […] saremo co-stretti a chiamare l’innominato»253; il senza-nome, per eccesso blasfemo di «no-me», tal quale Napoleone254.

Il cuore ha orecchie. Ascolta la voce segreta che dentro ci parla. La voce diDio: il «prédicateur intérieur», che con l’attrizione rivela l’inferno che nell’intimoci arde. Il linguaggio oratorio di Bossuet e di Bourdaloue elabora così il primatoagostiniano dell’interiorità; del raccoglimento nell’intentio che, con l’aiuto dellaGrazia e della contrizione, prevale (come nel Cinque maggio) sulla distentio o di-spersione nell’esteriorità255. «Io sono però»256, sembra che la voce di Dio gridi al-l’innominato, su su dal profondo. Il nome di Dio (Esodo, 3,14) si rivela al senza-nome; e, per suo tramite, dichiara la propria aseità.

L’innominato vive il mistero altissimo della conversione. Diversamente dadon Rodrigo, che non è malvagio di prima grandezza. Il tirannello esercita la pro-pria malpropensione come «mezzo» per l’appagamento libertino e mondano. Glimanca lo spasimo della vocazione; e gli è estranea la profondità degli abissi dellacoscienza. L’innominato è invece un imprenditore del delitto. Della «tirannia» hafatto una santità nera, lo «scopo» di suprema intensità della propria vita257. Il luo-gotenente di don Rodrigo è il Griso, il cui nome parlante è foriero di sventura (l’ègrisa) ma è anche colorazione bigia di pelo e di morale: è antifrasticamente «fede-le» al padrone, tanto da tradirlo e derubarlo nell’ora difficile della morte. L’«aqui-la» del male ha al suo comando il Nibbio, rapace nel servizio; e di tale magnitudi-ne, da acconsentire a lasciarsi turbare dalla «compassione» per l’indifesa Lucia

253 A. MANZONI, I promessi sposi cit., cap. XIX, p. 449.254 Per Umberto Eco «l’innominato, scritto persino con la lettera minuscola», è solo un «capolavoro di reticen-

za»: cfr. U. ECO, Semiosi naturale e parola nei «Promessi Sposi», in Leggere i Promessi Sposi, a cura di G. Manetti, Mi-lano 1989, pp. 1-16. Remo Fasani polemizza con il commento ai Promessi sposi di Ezio Raimondi e Luciano Bottoni(Milano 1987, pp. 365-66, nn. 13-16): «Da respingere è […] la spiegazione di Innominato con l’innominàa del Cheru-bini, che significa invece e solamente ‘famoso, celebre’. Anche se il personaggio, nella cronaca dei suoi tempi, non eracerto uno sconosciuto, il Manzoni lo chiama in quel modo perché non sa o non vuole, come dice apertamente, chia-marlo col suo nome» (R. FASANI, Un Manzoni milanese?, in «Studi e problemi di critica testuale», n. 41 (1990), pp.51-65; p. 64, nota 4). La matrice dialettale dell’aggettivo sostantivato acquista nuovo senso entro le trame «babeliche»della scrittura manzoniana.

255 Cfr. J. TRUCHET, La prédication de Bossuet, 2 voll., Paris 1960 (con l’aggiunta di un terzo volume: Bossuetpanégyriste, Paris 1962); e P. BAYLEY, French Pulpit Oratory 1598-1610, Cambridge 1980.

256 A. MANZONI, I promessi sposi cit., cap. XX, p. 457.257 Cfr. ibid., cap. XIX, pp. 449-50.

Letteratura italiana Einaudi 58

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 59: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

che ha dovuto rapire e deportare nel «nido» aereo del suo signore. I servi parteci-pano della misura dei padroni258.

L’«uggia», anzitutto; e il rovello. Poi il peso degli anni; la solitudine tremen-da; la morte che gli cresce dentro. E la voce segreta, sabotatrice: che gli apre idoppi fondi della coscienza e gli fa la guerra con divieti imperiosi. Il letto di spinee il peso insostenibile delle coperte. La disperazione e la voglia di suicidio. L’in-comprensibile «compassione» del Nibbio e l’appello all’«opera di misericordia»di una forosetta innocente, che ha subìto l’enormità di un rapimento. L’innomi-nato è già un uomo «antico». E quello (paolinamente) «nuovo» sorge «come agiudicare l’antico»259. Aveva iniziato selvaggiamente con i piedi, picchiando all’u-scio della cella di Lucia «con un calcio». Dopo una notte angosciosa, era passatoalla mano gentile e al preannuncio: «picchiò, facendo insieme sentir la sua voce».Arrivò a un «picchio» discreto e a una voce sommessa260. Lucia era ormai libera;dopo la parabola del figliol prodigo dell’incontro dell’innominato con il cardina-le Federico Borromeo; e mentre si preparava la realizzazione della «figura» gio-vannea del «credette lui con tutta la sua famiglia» (Giovanni, 4, 53).

Un altro personaggio storico dei Promessi sposi è senza nome. Viene designa-to «il principe», con un seguito di tre stellette di reticenza sul casato. Manzoni po-trebbe chiamarlo principe-padre. Ma non gli basta il cuore. È un «tiranno». Uo-mo di «comando» e di «necessità fatale», le sue parole stampano orme indelebili,e devastanti ed empie, nel cervello della figlioletta Gertrude: che ha predestinatoalla monacazione, sacrificandola all’iniqua legge del maggiorasco. Anche il princi-pe, come l’innominato di prima della conversione, è un (napoleonico) attentatoredella sovranità di Dio: «parce que toute vocation étant une grâce, il n’y a queDieu qui la puisse communiquer; et de prétendre en disposer à l’égard d’un autre,c’est faire injure à la grâce même et s’arroger un droit qui n’est le propre que de laDivinité»261. A lui Manzoni ha voluto negare il monumento di un nome. Gli hadato l’appellativo di «principe», dopo averlo battezzato «marchese Matteo» nelFermo e Lucia. E, nella nuova designazione patrizia, ha sigillato l’etimo di un pri-meggiar forte e tirannico. C’è pure un tirannico blasfemar comico, nei Promessi

258 Cfr. M. DI FAZIO ALBERTI, Il servo nella narrativa italiana della prima metà dell’Ottocento, Napoli 1982; CG. PAGLIANO, Servo e padrone. L’orizzonte dei testi, Bologna 1983.

259 A. MANZONI, I promessi sposi cit., cap. XXI, p. 487.260 Ibid., cap. XXI, p. 475; XXII, p. 493; IV, pp. 535-36. Cfr. U. COLOMBO, L’umana teologia dei «Promessi Spo-

si», in AA.VV., Manzoni nella terra ambrosiana. Atti del Convegno della Diocesi di Milano nel bicentenario della nasci-ta (19-21 aprile 1985), Casale Monferrato 1985, pp. 123-54.

261 L. BOURDALOUE, Sermon sur le devoir des pères par rapport à la vocation des leurs enfants, in ID., Œuvrescit., t. I, p. 480 («Perché essendo ogni vocazione una grazia, solamente Dio la può trasmettere; e pretendere di di-sporne per un altro, è bestemmiare la grazia stessa e arrogarsi un diritto che è proprio di Dio solo»).

Letteratura italiana Einaudi 59

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 60: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

sposi. È il caso della moglie di don Ferrante, donna Prassede la faccendona: «[...]tutto il suo studio era di secondare i voleri del cielo: ma faceva spesso uno sbagliogrosso, ch’era di prender per cielo il suo cervello»262. La dimensione comica salvadonna Prassede dalla perdita del nome.

Il destino dell’innominato s’incontra con quello di Gertrude. Attraverso ilgiovane Egidio, «scellerato di professione» e quindi «collega» del tiranno.

L’«intrigo tenebroso» della vicenda monzese di Gertrude è un lungo viaggio,passo dopo passo, su una «strada d’abbominazione e di sangue». È la carriera diuna donna che (al contrario della Moll Flanders del romanzo eponimo di Defoe)non giunge a imparare a dire «no». Acconsente a sacrificare alle imposizioni delpadre le caste malizie e i torbidi candori della sua adolescenza. Dice «sì» alla mo-nacazione per forza, «risponde» al seduttore Egidio e accetta le lusinghe e le con-seguenze delittuose del vizio. Il romanzo nero di Egidio e di suor Gertrude rivisi-ta il romanzo biblico del Seicento più libertino, esemplificabile nell’Eva (1640) diFederico Malipiero. Nel romanzo barocco e nel romanzo manzoniano, come nel-l’episodio biblico di Eva e del serpente (e nel Traité de la concupiscence di Bos-suet), la tentazione è una strategia della parola che induce la donna alla «curio-sità» a oltranza, e a «risponder a cui le parla». Egidio incarna la bossuetiana con-cupiscenza degli occhi, nutrita d’ozio. Da una finestrella, che sporgeva e domina-va sul cortiletto del convento, ha adocchiato suor Gertrude. Le ha rivolto «la pa-rola» (nella ventisettana), ovvero il «discorso» (nella quarantana). «La sventuratarispose». E nella concentrazione della frase, nell’ipostasi morale di un aggettivosostantivato e di un verbo, si cancellano, e per sottintesi si dichiarano, le tantissi-me pagine che nel Fermo e Lucia si diffondevano nella narrazione dei progressidell’albero del crimine dentro le celle profanate del convento. Rimane l’ossessio-ne shakespeariana della conversa uccisa, che torna a visitare in immagine la men-te agitata e sconvolta di suor Gertrude parlandole fra l’altro con un «sussurro fan-tastico»; e la triplice analessi del «Quante volte» dell’ode napoleonica misura il ri-cordo con l’intensità del rimorso.

Suor Gertrude ha dato rifugio a Lucia, sfuggita alla persecuzione di don Ro-drigo. Si sono incontrati due «rossori»: uno di verecondia, l’altro maligno e distizza; da una parte c’è una madonnina spaesata, dall’altra una bisbetica agitata daun viluppo di passioni contrastanti. L’innominato ha chiesto a Egidio di favorire ilrapimento di Lucia da parte del Nibbio. Egidio ha chiesto, a sua volta, la compli-cità di Gertrude. Lo scellerato propose. La sventurata «ubbidì»263.

262 A. MANZONI, I promessi sposi cit., cap. XXV, p. 581.263 Per tutte le citazioni cfr. ibid., cap. X, pp. 249-51.

Letteratura italiana Einaudi 60

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 61: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

Il carro del sole. Il capitolo IV del racconto Il buco nel muro (1862) di FrancescoDomenico Guerrazzi è intitolato, con cauda sterniana, Vita e miracoli del Roman-zo: della morte ne riparleremo più tardi. Vi si racconta l’arrivo in Brianza del Ro-manzo. Qui il personaggio-genere

conobbe Renzo e Lucia, e prese tabacco nella scatola di padre Cristoforo; un degno fra-te in verità, ma il Romanzo dentro un orecchio ai suoi amici sussurrava sommesso chetre quarti delle virtù del frate Cristoforo Alessandro Manzoni le aveva tolte a nolo dalui, Romanzo, con promessa di riportargliele finito il lavoro, e poi gliele aveva negate264.

La sterniana sghembatura della condotta narrativa di Guerrazzi lambisce il ca-pitolo XXXVI dei Promessi sposi, là dove fra Cristoforo affida a Renzo e a Lucia(sopravvissuti alle persecuzioni e alla peste) il resto del pane del perdono dentro«una scatola d’un legno ordinario, ma tornita e lustrata con una certa finitezzacappuccinesca»265. Solo che la «scatola» è adesso diventata tabacchiera, dentro laquale si consuma sotto forma di dare e avere (come sternianamente aveva inse-gnato a vedere il Foscolo del Ragguaglio d’un’adunanza de’ Pitagorici: «– Sterne,Sterne! la scatola del frate! –»)266 uno scambio tra Romanzo e romanzo. Callida-mente, perché la cristoforesca «scatola» del perdono è riportata da Guerrazzi aldebito con la sua fonte letteraria: allo scambio, simbolo di un’offerta di «pace» edi un’attitudine a «patire» e «compatire», tra la tabacchiera di corno e la scatolet-ta di tartaruga di Yorik e di un frate francescano nel capitolo XII del primo volu-me del Viaggio sentimentale di Sterne e di Didimo Chierico alias Foscolo. Del re-sto c’è aria di parentela tra fra Cristoforo, «un uomo più vicino ai sessanta che aicinquant’anni»267, e il frate sterniano dai «pochi crini bianchi» e con le pupilleche «spiravano di un cotal fuoco, rattemprato, a quanto pareva, più dalla genti-lezza che dall’età, che tu glie ne avresti dato appena sessanta»268.

Don Abbondio ha occhi grigi. Sono lampeggianti gli occhi dell’innominato;gravi e vivaci quelli di Federico Borromeo; «grifagni» quelli dei bravi. Fra Cri-stoforo ha «due occhi infiammati», che sfolgorano repentini; «diavoli d’occhi»,tenuti a bada da un acquisito autocontrollo cappuccinesco. Il terragno don Ab-bondio è di gamba pesante; anche se al momento opportuno, per la paura, sa tra-sformarsi in felino arruffato: «diventerà lesto come un gatto, e scapperà come il

264 F. D. GUERRAZZI, Il buco nel muro. La serpicina, a cura di R. Bertacchini, Milano 1971, p. 73.265 A. MANZONI, I promessi sposi cit., cap. XXXVI, p. 856.266 U. FOSCOLO, Ragguaglio d’un’adunanza de’ Pitagorici (1810), in ID., Opere, edizione nazionale, VII. Lezio-

ni, articoli di critica e di polemica (1809-1811), a cura di E. Santini, Firenze 1967, pp. 269-70.267 A. MANZONI, I promessi sposi cit., cap. IV, p. 77.268 L. STERNE, A Sentimental Journey, 1800 (trad. it. di U. Foscolo, Viaggio sentimentale, a cura di G. Sertoli,

con uno scritto di M. Fubini, Milano 1983, I, cap. III, p. 9).

Letteratura italiana Einaudi 61

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 62: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

diavolo dall’acqua santa»269. L’innominato ha l’apertura di gambe di un «viaggia-tore frettoloso». Don Rodrigo ha bisogno di darsi dietro mitologico vento. Men-tre fra Cristoforo è lui stesso eolica e levitata leggerezza: «un calpestio affrettatodi sandali, e un rumore di tonaca sbattuta, somigliante a quello che fanno in unavela allentata i soffi ripetuti del vento, annunziarono il padre Cristoforo»270.

Fra Cristoforo (i cui connotati storici sono stati in gran parte ispirati dalle re-lazioni cappuccine sulla peste milanese del 1630 e forse anche dalla biografia diAlfonso III nelle Antichità estensi di Muratori) è assurto dal sangue alla missionereligiosa. Prima di indossare il sacco, era stato al secolo Lodovico: l’erede unico diun ricco mercante. Già nella vita laica (snobbato dalla aristocrazia in quanto bor-ghese, nonostante le «contratte abitudini signorili») si era dimostrato un onestoma violento «protettore degli oppressi, e [...] vendicatore de’ torti», e aveva im-piegato le proprie sostanze «in opere buone e in braverie»271. Il «meccanico» Lo-dovico aveva infine ucciso in duello un «gentiluomo», «arrogante e soverchiatoredi professione», che avrebbe voluto imporgli un feudale codice di precedenza pe-donale:

Tutt’e due camminavan rasente al muro; ma Lodovico (notate bene) lo strisciava col la-to destro; e ciò, secondo una consuetudine, gli dava il diritto (dove non va a ficcarsi ildiritto!) di non istaccarsi dal detto muro, per dar passo a chi si fosse; cosa della quale al-lora si faceva gran caso. L’altro pretendeva, all’opposto, che quel diritto competesse alui, come a nobile, e che a Lodovico toccasse d’andar nel mezzo; e ciò in forza d’un’al-tra consuetudine272.

L’ironia è pascaliana, anche a proposito del disequilibrio delle forze di rap-presentanza delle parti (due bravi e un «maestro di casa» per Lodovico, quattrobravi per l’altro):

Que l’on a bien fait de distinguer les hommes par l’extérieur, plutôt que par les qualitésintérieures! Qui passera de nous deux? qui cédera la place à l’autre? Le moins habile?mais je suis aussi habile que lui, il faudra se battre sur cela. Il a quatre laquais, et je n’enai qu’un: cela est visible; il n’y a qu’à compter; c’est à moi à ceder, et je suis un sot si jele conteste. Nous voilà en paix par ce moyen, ce qui est le plus grand des biens273.

269 A. MANZONI, I promessi sposi cit., cap. VI, p. 131.270 Ibid., p. 137.271 Ibid., cap. IV, p. 51.272 Ibid., p. 82 .273 B. PASCAL, Pensées, 1951(trad. it. di V. E. Alfieri, Pensieri, Milano 1952, p. 126: «Come si è fatto bene a di-

stinguere gli uomini dall’esteriore, anziché dalle qualità interiori! Chi di noi due passerà per primo? chi cederà il po-sto all’altro? Il meno capace? ma io sono capace quanto lui, sarà una questione da battersi in duello. Egli ha quattroservitori, e io non ne ho che uno: ecco una cosa visibile, basta contare; tocca a me cedere il passo, ed io sono uno scioc-co se lo contesto. Con questo mezzo eccoci in pace: ciò che è il più grande dei beni»).

Letteratura italiana Einaudi 62

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 63: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

La folla accorsa consegnerà il giovane omicida ferito ai cappuccini di un vici-no convento, per sottrarlo alla giustizia e soprattutto alla vendetta della potentefamiglia dell’ucciso. In questo asilo, Lodovico matura la sua conversione: prendeil sacco cappuccino, assume con umiltà il nome di un suo servitore morto nelloscontro con il prepotente «gentiluomo» e si reca nella casa del fratello dell’uccisoper chiedere pubblicamente perdono; e porterà sempre nella sporta il pane cheaveva chiesto come «segno» del perdono ottenuto e che gli era stato offerto «surun piatto d’argento»: a evidenziarne il valore di simbolo eucaristico274. Cristoforoè latore di Cristo; epperò del «pane», che darà in consegna a Renzo e Lucia: allafine della sua missione; per loro e per i loro figli: «Verranno in un tristo mondo, ein tristi tempi, in mezzo a’ superbi e a’ provocatori: dite loro che perdonino sem-pre, sempre! tutto, tutto! e che preghino, anche loro, per il povero frate!»275.

Passato dallo scandalo alla riparazione, fra Cristoforo non dismette né gli ori-ginari «spiriti guerreschi» né la primitiva vocazione di protettore dei deboli; soloche questi «resticcioli» di Lodovico, sotto le «ispirazioni superiori» della missio-ne religiosa e nella perpetua condizione di riscatto dalla tremenda «caduta» nellacolpa omicida («una vita intera di meriti non basta a coprire una violenza»)276, su-biscono una diversione verso un’idea di giustizia edificata a contrasto con la vio-lenza passata. Lodovico sopravvive in fra Cristoforo, accomodato: come «quelleparole troppo espressive nella loro forma naturale, che alcuni, anche ben educati,pronunziano, quando la passione trabocca, smozzicate, con qualche lettera muta-ta; parole che, in quel traviamento, fanno però ricordare della loro energia primi-tiva»277. Fra Cristoforo si pone in mezzo, tra vessatori e vittime: i primi esorta, ri-prende e cerca di correggere con drastiche restrizioni morali; agli altri insegna anon «affrontare», a non «provocare» e a farsi «guidare» da lui. Il carattere del fra-te è di qualità ignea. Il cappuccino ha «indole focosa». Il suo volto è «infocato».Le parole dell’abuso gli fanno «venir le fiamme sul viso». E lo mandano in com-bustione: «Tutti que’ bei proponimenti di prudenza e di pazienza andarono in fu-mo»278. Fra Cristoforo spunta insieme al sole: «Il sole non era ancor tutto appar-so sull’orizzonte, quando il padre Cristoforo uscì dal suo convento di Pescarenico

274 Cfr. G. P. BIASIN, Il sugo della storia (1987), in ID., I sapori della modernità. Cibo e romanzo, Bologna 1991,pp. 45-61. Più in generale: G. P. BARRICELLI, Structure and symbol in Manzoni’s «I Promessi Sposi», in «ItalianQuarterly», XVII, (1973), 67, pp. 80-102.

275 A. MANZONI, I promessi sposi cit., cap. XXXVI, p. 856.276 ID., Osservazioni sulla morale cattolica cit., Parte prima, cap. VII, p. 63.277 ID., I promessi sposi cit., cap. IV, p. 96. Cfr. E. RAIMONDI, Le imprecazioni travestite (1985), in ID., La dissi-

mulazione romanzesca. Antropologia manzoniana, Bologna 1990, pp. III-19 (anche in ID., I sentieri del lettore, a curadi A. Battistini, II, Bologna 1994, pp. 453-61).

278 A. MANZONI, I promessi sposi cit., cap. VI, p. 121.

Letteratura italiana Einaudi 63

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 64: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

[...]»279. E lo segue nel suo corso: «alzò gli occhi verso l’occidente, vide il sole in-clinato, che già toccava la cima del monte, e pensò che rimaneva ben poco delgiorno»280. Trionfatore della «passione» (che è «cavallo» bizzoso, nella notted’angoscia dell’innominato)281, è un conduttore; un imbrigliatore di cavalli: i suoiocchi «talvolta sfolgoravano [...] come due cavalli bizzarri, condotti a mano da uncocchiere, col quale sanno, per esperienza, che non si può vincerla, pure fanno, ditempo in tempo, qualche sgambetto, che scontan subito, con una buona tirata dimorso»282. Non è Fetonte: l’auriga temerario, il sostituto e il mistificatore di Febo,su cui l’ebbe vinta lo «sgambetto» dei destrieri. È Febo: il sole. Oltre che latore diCristo, il cappuccino è figura Dei. Su di sé assume Cristo e il Calvario. Fino a por-si in croce, morituro tra i due ladroni, nel santino evocato davanti all’agonizzantedon Rodrigo. Dopo essere riemerso da quel «paese lontano lontano» (Palermo,nel Fermo e Lucia; Rimini, nei Promessi sposi), nel quale era stato relegato dalladoppia diplomazia (complice e sorniona) del conte zio e del padre provinciale deicappuccini («in arbitrio del quale era l’andare e lo stare di quello», boccacciana-mente)283.

Il sugo della storia. Se non un’«ardente, amara glossa al Salterio», come volevaCristina Campo284, il romanzo manzoniano mette in azione narrativa un commen-to all’episodio biblico di Babele attraverso la fenomenologia della triplice concu-piscenza di superbia, curiosità e sensualità, del trattato di Bossuet e dei sermonidei grandi moralisti francesi già accostati nelle Osservazioni sulla morale cattolica.Il romanzo non ha un intreccio intricato. Lo faceva notare Edgar Allan Poe285.Mostra di fuori «una parete priva d’appigli per le dita»; ma all’interno è «un labi-rinto la cui ricchezza e vastità si vede solo col girarvi e frugarvi»: «l’opera di Man-zoni ha una superficie morbida e un rovescio aspro»286. E non solo va letta insie-me alla Storia della Colonna infame, secondo i suggerimenti di Macchia e Dioni-sotti287 (checché ne pensi Domenico De Robertis)288; ma anche a partire dalla pe-

279 Ibid., cap. IV, p. 76.280 Ibid., cap. VI, p. 126.281 Ibid., cap. XXI, p. 486.282 Ibid., cap. IV, p. 78.283 G. BOCCACCIO, Decameron, I, VII, 26, a cura di V. Branca, Torino 19873, p. 108.284 C. CAMPO, Il flauto e il tappeto, in ID., Gli imperdonabili, Milano 1987, p. 127.285 Cfr. F. CHIAPPELLI, Poe legge Manzoni, Roma 1987.286 G. PIOVENE, Manzoni solitario (1973), in ID., Idoli e ragione, Milano 1975, pp. 343-50; e ID., Capire Man-

zoni (1973), ibid., pp. 350-54.287 Cfr. G. MACCHIA, Tra don Giovanni e don Rodrigo. Scenari secenteschi, Milano 1989; ID., Manzoni e la via

del romanzo, Milano 1994; C. DIONISOTTI, Appendice storica alla «Colonna infame», in ID., Appunti sui moderni.Foscolo, Leopardi, Manzoni e altri, Bologna 1988, pp. 247-98.

288 Cfr. D. DE ROBERTIS, I diritti della storia, in «Annali d’italianistica», III (1985), pp. 64-84; e ID., La mente

Letteratura italiana Einaudi 64

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 65: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

tite histoire, come provocatoriamente proponeva Sciascia289; e passando attraver-so Il cinque maggio.

Agnese è vedova. Per la figlia Lucia ha tenerezze e trasporti di evangelico or-goglio: «si sarebbe […] buttata nel fuoco per quell’unica figlia, in cui aveva ripo-sta tutta la sua compiacenza»290 («Hic es Filius meus dilectus, in quo mihi com-placui»: Matthaeus, 3,17). Vuol bene anche a Renzo: «artigianello», «illetterato»;e «lieta furia d’un uomo di vent’anni»291: un caratterino, un po’ attenuato nel pas-saggio dalla ventisettana alla quarantana («volto […]collerico», «volto […] adira-to»; «voce […] collerica», «voce […] stizzosa»)292. Renzo sa fare gli occhi arditi estralunati, ed è capace di abbandonarsi a un «sogno di sangue». Ma a lei, adAgnese, sembra un «giovine quieto, fin troppo»293. Non solo è fisicamente pre-stante, Renzo. È di piè veloce. Ha la leggerezza del Cavalcanti decameroniano; edi un Mercurio dal calcagno alato: «Prende la mira, spicca un salto; è su, piantatosul piede destro, col sinistro in aria, e con le braccia alzate»294. Op là; e Primo Le-vi è pronto a commentare il gesto manierato, «al limite del credibile, o addirittu-ra del possibile»: fa pensare «a un processo mentale indiretto, come se l’autore, difronte a un atteggiamento del corpo umano, si sforzasse di costruire una illustra-zione nel gusto dell’epoca, e successivamente, nel testo scritto, cercasse di illu-strare l’illustrazione stessa in luogo del dato visivo immediato»295. Lucia ha acco-rata dolcezza; un misto di modestia e di pudore. Usa poche parole; in una sintas-si elementare che, nel passaggio dal Fermo e Lucia ai Promessi sposi talvolta sicomplica con inversioni da parlato: «vi perdono quello che mi avete fatto, e pre-gherò Dio per voi»; «Quello che m’avete fatto voi, ve lo perdono di cuore; e pre-gherò Dio per voi»296. Renzo invece si lancia nei discorsi, avventurosamente; fintroppo297. Manovra una più ampia tastiera linguistica, a partire da quella minimadell’educazione catechistica («posso aver fallato», ripete al proprio curato perben tre volte nella stessa pagina)298.

di Manzoni, in Filosofta e cultura. Per Eugenio Garin, a cura di M. Ciliberto e C. Vasoli, Roma 1991, pp. 547-75.289 L. SCIASCIA, Nota, in A. MANZONI, Storia della Colonna infame, Palermo 1981, pp. 169-90.290 A. MANZONI, I promessi sposi cit., cap. III, p. 74.291 Ibid., cap. II, pp. 36-37.292 Ibid., pp. 40-41.293 Ibid., cap. XXIV, p. 562.294 Ibid., cap. XXXIV, p. 806.295 P. LEVI, Il pugno di Renzo, in ID., L’altrui mestiere, Torino 1985, pp. 75-80.296 A. MANZONI, Fermo e Lucia cit., t. II, cap. X, p. 197; ID., I promessi sposi cit., cap. XX, p. 465.297 Cfr. G. DE RIENZO, «I Promessi Sposi» al computer. Analisi del lessico e della fraseologia di Lucia, in AA.VV.,

Atti del XII Congresso nazionale di studi manzoniani (Milano-Lecco-Barzio, 22-25 settembre 1983), Milano 1984, pp.77-88; ID., Metti don Abbondio nel computer, in «Corriere della Sera», 10 febbraio 1985, p. 13.

298 A. MANZONI, I promessi sposi cit., cap. II, p. 47.

Letteratura italiana Einaudi 65

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 66: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

Fra Cristoforo crede di aiutare i giovani promessi, costretti alla fuga dal bor-go, con due lettere di presentazione. Li spedisce in due conventi, a Monza e a Mi-lano. E finisce per consegnarli, sprovveduti, a due sconvolgenti romanzi: Luciainciampa nelle trame di sangue della Monaca e dell’innominato; e nell’allegra fol-lia di una «coppia d’alto affare» (don Ferrante e donna Prassede); Renzo si dissi-pa, tra strade e osterie, nel «grosse Welt della storia»299: da Milano a Bergamo, an-data-ritorno-andata, via carestia e peste, attraverso l’Adda che ha «buona voce». Idue giovani si ritroveranno a Milano, nel lazzeretto. Si sposeranno, aiutati dall’in-nominato e dall’erede di don Rodrigo. E cresceranno di famiglia in quel di Berga-mo: dove Lucia sarà la «bella baggiana» (un po’ deludente, in quanto a bellezza);e Renzo sarà padrone.

L’educazione «politica» di Renzo alla propria promozione sociale, si attuanella ricerca di un’identità più volte attentata (il montanaro viene scambiato dallafolla milanese per «servitore del vicario travestito da contadino» e denunciato dauno sbirro come facinoroso): attraverso la commisurazione del torto subìto con letrappole del potere e le proteste della folla, e della propria agitazione con quelladi una città in rivolta. Renzo, oltre che con il disordine politico, deve confrontar-si con il male estremo del disordine della natura (la peste e la morte) riassuntonell’apologo di una vigna di babelica confusione: con una botanica umanizzata emoralizzata («marmaglia di piante», «guazzabuglio», debolezze di erbe che si ti-rano giù «a vicenda, come accade spesso ai deboli che si prendon l’uno con l’altroper appoggio»)300, che ai lettori contemporanei sembrò scandalosamente antro-pomorfa. («E per aver trovato in un luogo marmaglia d’erbe, a gridare: vedete cheimproprietà […]»)301.

«La morte e il matrimonio terminano per lo più le tragedie e le commedie delteatro; ma danno sovente principio alle tragedie e alle commedie della vita reale»,aveva osservato Manzoni nel Fermo e Lucia302. I promessi sposi rischiavano seria-mente, e inverosimilmente, di finire in commedia («Ogni finzione che mostri l’uo-mo in riposo morale è dissimile dal vero»)303, con distribuzione di confetti, bacio-ni, figli e premi vari, se l’intervento un po’ piccoso di Lucia non avesse provvedu-to a sconvolgere e a rivoltare la iattanza maritale del «suo moralista» Renzo:

299 F. JAMESON, Magical Narratives, Romance as Genre (1975), in ID., The Political Unconscious, New York1981, pp. 103-50.

300 A. MANZONI, I promessi sposi cit., cap. XXXIII, pp. 775-77.301 N. TOMMASEO e G. p. VIEUSSEUX, Carteggio inedito, a cura di R. Ciampini e P. Ciureanu, I, Roma 1956,

p. 115. Cfr. G. GAMBA, Postille sulla «Vigna di Renzo», in «Lettere italiane», X (1958), I, pp. 77-87.302 A. MANZONI, Fermo e Lucia cit., t. IV, cap. I, p. 523303 ID., Materiali estetici cit., p. 48.

Letteratura italiana Einaudi 66

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 67: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

Il bello era a sentirlo raccontare le sue avventure: e finiva sempre col dire le gran coseche ci aveva imparate, per governarsi meglio in avvenire: – Ho imparato –, diceva, – anon mettermi ne’ tumulti: ho imparato a non predicare in piazza: ho imparato a guar-dare con chi parlo: ho imparato a non alzar troppo il gomito: ho imparato a non tenerein mano il martello delle porte, quando c’è d’intorno gente che ha la testa calda: ho im-parato a non attaccarmi un campanello al piede, prima d’aver pensato quel che possanascere –. E cent’altre cose. Lucia però, non che trovasse la dottrina falsa in sé, ma nonn’era soddisfatta; le pareva, così in confuso, che ci mancasse qualcosa. A forza di sentirripetere la stessa canzone, e di pensarci sopra ogni volta, – e io –, disse un giorno al suomoralista, – cosa volete che abbia imparato? Io non sono andata a cercare i guai: son lo-ro che sono venuti a cercar me. Quando non volesse dire –, aggiunse, soavemente sorri-dendo, – che il mio sproposito sia stato quello di volervi bene, e di promettermi a voi –.Renzo, alla prima, rimase impicciato. Dopo un lungo dibattere e cercare insieme, con-clusero che i guai vengono bensì spesso, perché ci è dato cagione; ma che la condottapiù cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per col-pa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore.Questa conclusione, benché trovata da povera gente, c’è parsa così giusta, che abbiampensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia304.

E credo dell’«edotto» Renzo (donabbondiesco, nella sostanza: «a un galan-tuomo» il qual bada a sé, e stia ne’ suoi panni, non accadon mai brutti incon-tri»)305 stava per far scendere come un sipario sul «teatro» della narrazione, la-sciando nel forno (come nel gergo teatrale viene chiamata la sala vuota o semivuo-ta) la «commedia della vita reale». Con la propria supponenza sermonizzante, chelo votava alla canonizzazione ovvero alla citazione esemplare, Renzo separava co-sì il teatro convenzionale del romanzo dal teatro del mondo:

Car qu’est-ce que le monde, disoit Cassiodore, sinon le grand théâtre et la grande écolede la Providence, où, pour peu qu’on fasse de réflexion, l’on apprend à tous momentsqu’il y a dans l’univers une puissance et une sagesse supérieure à celle des hommes, quise joue de leurs desseins, qui ordonne de leurs destinées, qui élève et qui abaisse, quiapprauvit et qui enrichit, qui mortifie et qui vivifie, qui dispose de tout comme l’Arbi-tre suprême de toutes choses.

Sono parole, queste, di Bourdaloue: dal Sermon sur la Providence306, ramme-

304 ID., I promessi sposi cit., cap. XXXVIII, pp. 901-2 (corsivi nostri).305 Ibid., cap. I, p. 28.306 L. BOURDALOUE, Sermon sur la Providence, in ID., Œuvres cit., t. I, pp. 328-29 («Infatti che cos’è il mon-

do, diceva Cassiodoro, se non il gran teatro e la grande scuola della Provvidenza, dove, per poco che vi si rifletta, si ap-prende in ogni momento che c’è nell’universo una potente saggezza superiore a quella degli uomini, che si prende gio-co dei loro disegni, che regola i loro destini, che innalza e atterra, che rende poveri e arricchisce, che mortifica e vivi-fica, che di tutto dispone come Arbitro supremo di ogni cosa»).

Letteratura italiana Einaudi 67

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 68: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

morato, fors’anche con supporto raciniano, nel Cinque maggio: «Il dio che atterrae suscita, | che affanna e che consola» (vv. 105-6).

L’ottimismo idillico di Renzo fa il paio con il provvidenzialismo igienico edecologico di don Abbondio; è il risvolto «comico» di certo trionfalismo teologicoalla Bossuet: la fede nella Provvidenza è premiata dall’affermazione, anche se len-ta e cieca, del bene307. Ma la Provvidenza, nella quale crede Manzoni, non è quel-la di Bossuet: è l’antidillica eteronomia dei fini, la «puissance et […] sagesse supé-rieure à celle des hommes, qui se joue de leurs desseins», di cui aveva parlatoBourdaloue.

Il richiamo a Bourdaloue non è casuale. Al predicatore francese riporta infat-ti una citazione inesplicita di Lucia, adoperata come leva di ribaltamento del con-venzionale lieto fine, in un primo momento avallato da Renzo.

Le parole con le quali Lucia corregge Renzo, iniettando nella narrazioneun’inquietudine cristiana che apre all’inexpletum del teatro del mondo la «com-media» del romanzo, poggiano su una sopravvenienza biblica (il Salmo 118, dedi-cato alla beatitudine di quanti «observant legem Dei»), passata attraverso la tra-duzione francese e le postillature morali di Bourdaloue:

[…] sans parler des monarques et des souverains, qui ne sont pas eux-mêmes exemptsde cette loi, dites-moi où est aujourd’hui le seigneur, où est le maître, où est le juge, leprélat, le magistrat, qui, pour l’être en chrétien, ne puisse pas et ne doive pas s’appli-quer ces paroles de David: Tribulatio et angustia invenerunt me (Ps. 118): Les inquiétu-des et les embarras me sont venus trouver? Je ne les cherchois pas, et je tâchois même àles éloigner de moi. Mais cette providence adorable de mon Dieu, qui dispose touteschoses pour mon salut, leur a donné entrée dans mon âme, et je me vois chargé de soinsqui m’accablent. Tribulatio et angustia invenerunt me308.

Bourdaloue intendeva moderare le «vaines enflures et les complaisancesqu’inspirent d’abord certaines distinctions et certains rangs honorables dans lemonde»309; allo stesso modo Lucia ha voluto correggere l’orgogliosa sicumera delmarito, che si reputava arrivato, integrandone il credo di quel «costrutto morale»,

307 Cfr. T. GOYET, L’humanisme de Bossuet, 2 voll., Paris 1965.308 L. BOURDALOUE, Sermon sur l’ambition, in ID., Œuvres cit., p. 256 («senza parlare dei monarchi e dei so-

vrani, che non sono essi stessi esenti da questa legge, ditemi, dov’è oggigiorno il signore, il maestro, il giudice, il pre-lato, il magistrato che, in quanto cristiano, non possa e non debba riferire a se stesso queste parole di David: Tribula-tio et angustia invenerunt me (Ps. 118): Le inquietudini e gli imbarazzi sono venuti a trovarmi? Non li ho cercati io, an-zi ho tentato di tenerli lontani da me. Ma questa provvidenza adorabile di Dio, che tutte le cose dispone per la mia sal-vezza, ha permesso a loro di entrare nel mio animo, e io mi vedo sovraccarico di angustie che mi prostrano: Tribulatioet angustia invenerunt me»). Cfr. S. S. NIGRO, Popolo e popolari, in Letteratura italiana, diretta da A. Asor Rosa, V. Lequestioni, Torino 1986, pp. 238-40 (§2. Il pulpito di Pamela, gli «attori mutoli», la città senza nome).

309 Ibid. («Le presunzioni vane e le compiacenze che in primis ispirano certe distinzioni e certi ranghi d’onore nelmondo»).

Letteratura italiana Einaudi 68

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 69: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

di quel «sugo» d’umiltà e d’incolpevole martirio cristiano che può essere «ritro-vato» persino dalla «povera gente»: affidato com’è al verbo divino, tramandatodalle sacre scritture (rilette da Manzoni anche nella mediazione stilistica dei gran-di oratori francesi del Seicento).

Infine anche Renzo concorda: «la condotta la più cauta e più innocente nonbasta a tenerli lontani [i guai]; […] quando vengono, o per colpa o senza colpa, lafiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore»310. Ma se Ren-zo ha imparato e continua a imparare, nulla ha imparato e nulla può imparare Lu-cia; per lei la verità sapienziale non è una conquista, è una dote da trasmettere.

Renzo era andato di parole, temperamentoso e affettatuzzo: troppo alla pro-pria esperienza attribuendo. In una vana persuasione d’orgoglio, aveva credutoche il suo decalogo di quietudine poggiasse sul granito; e fosse un «monumento»di conclusiva saggezza. Fu l’ultima sua matterìa; quasi una fanfaronata, spiantatae scavezzata dall’umile rigore di Lucia. Ché ogni appoggio è dirupante nel ritmovicissitudinale della storia: della storia vera di una storia supposta, che si svolge enuovamente s’involge; e insolentisce, inconcludibile. L’unica certezza è nella«guerra» all’«errore»: nell’inquietudine intrattabile, che i «monumenti» dell’or-goglio (pubblico o privato) vorrebbero dissimulare e negare.

Renzo è professorale, alla fine della favola. Nella vignetta che chiude il ro-manzo, Manzoni e Gonin l’hanno voluto in piedi dietro un tavolo: a gesticolare,con la mano destra. A sostenere nell’aria, giocoliere, il suo monumentino invisibi-le: tra la severità seduta di una Lucia tutta casa e la gioia, anch’essa seduta, di non-na Agnese che gioca col pupo. Attorno all’eloquenza contenziosa e alle ambagicerimoniose degli sposi, si dispone l’ambiente lindo e ordinato di una casa agiata.Su questa scena si adagia il romanzo, ma non il tomo del 1842: che si riapre con ilfrontespizio della Storia della Colonna infame; con un monumento, la colonna,piantato sui pietroni di quella che un tempo era stata la casa di uno degli «sventu-rati» untori. Il concambio è tragico. L’interfiguratività porta da una casa, alle ma-cerie di una casa; dalla «monumentale» certezza di Renzo, al monumento di unanefandezza storica. Il romanzo, con l’aggiunta, torna su se stesso; e dentro se stes-so: al suo nucleo di orrore e di «errore». La Storia della Colonna infame è un «ro-manzo giudiziario», che ha un precedente (dimenticato) in un’opera incompiutadi Fauriel: Les derniers jours du consulat; una requisitoria contro l’«ambizioso» e«orgoglioso» Napoleone proclamatosi (come nel Cinque maggio) «Dio della for-tuna e della gloria»311; e contro l’istruttoria del grande processo che seguì all’at-

310 A. MANZONI, I promessi sposi cit., cap. XXXVIII, p. 902.311 C. FAURIEL, Les derniers jours du consulat, edizione postuma 1886 (trad. it. Gli ultimi giorni del consolato, a

cura di G. M. Sibille, Torino 1945, cap. I, pp. 24-25).

Letteratura italiana Einaudi 69

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 70: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

tentato del 24 dicembre del 1800 contro il Bonaparte, per mezzo di un carrettominato o «machine infernale». E conta che la «machine» (ancora una «macchi-na») era servita alla polizia bonapartista per reintrodurre e giustificare la tortura(già abolita nel 1790) come «question préparatoire préalable»; quella tortura, oviolenza legale, che sta al centro del processo del 1630 della Colonna infame (fral’altro memore, negli anni di stesura tra il 1821 e il 1823, dei processi del governoaustriaco contro i liberali lombardi).

Prima e dopo, con Robinson. La storia non riposa. Non il punto fermo di Renzo,ma la virgola di Lucia lavora per essa, a pieno servizio.

È l’autunno del 1630:

Prima che finisse l’anno del matrimonio, venne alla luce una bella creatura; e fu unabambina; e potete credere che le fu messo nome Maria. Ne vennero poi col tempo nonso quant’altri, dell’uno e dell’altro sesso [...]. E furon tutti ben inclinati; e Renzo volleche imparassero tutti a leggere e scrivere, dicendo che, giacché la c’era questa birberia,dovevano almeno profittarne anche loro312.

I figli di Renzo e Lucia saranno coetanei di Robinson Crusoe, nato nella cittàdi York, per decreto romanzesco, nel 1632. Non arriveranno a leggere il romanzodi Daniel Defoe sul celebre naufrago, per ovvi limiti di età. Il Robinson Crusoeverrà pubblicato a Londra nel 1719: troppo tardi. Semmai poterono avere sento-re del diario che il naufrago cominciò a scrivere nell’Isola della Disperazione, sindal 30 settembre del 1659. Qualcuno ne avrà parlato. E i Tramaglino dovetteroavere dei soprassalti. Il padre amava «raccontare le sue avventure». Anche a loro,si suppone. Li avrà intrattenuti sulla sua fuga da Milano, tra sodaglie e boschi; esull’arrivo all’Adda, stanco e confuso tra le «macchie»: a guardar di mezzo al«prunaio» l’altra riva, quella della libertà e della salvezza; e a riconoscere, al di làdelle acque, l’agognata Bergamo, che era «una gran macchia biancastra» sotto laluna amica (come in uno degli sfondi, dietro lo spadone di san Paolo, del politti-co di Lorenzo Lotto, nella bergamasca Ponteranica). Renzo si era visto costrettoad aspettare l’alba:

Perciò si mise a consultar tra sé, molto a sangue freddo, sul partito da prendere. Ar-rampicarsi sur una pianta, e star lì a aspettar l’aurora, per forse sei ore che poteva anco-ra indugiare, con quella brezza, con quella brina, vestito così, c’era più che non biso-gnasse per intirizzir davvero. Passeggiare innanzi e indietro, tutto quel tempo, oltre chesarebbe stato poco efficace aiuto contro il rigore del sereno, era un richieder troppo daquelle povere gambe, che già avevano fatto più del loro dovere. Gli venne in mente d’a-

312 A. MANZONI, I promessi sposi cit., cap. XXXVIII, p. 901.

Letteratura italiana Einaudi 70

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 71: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

ver veduto, in uno de’ campì più vicini alla sodaglia, una di quelle capanne coperte dipaglia, costruite di tronchi e di rami, intonacati poi con la mota, dove i contadini delmilanese usan, l’estate, depositar la raccolta, e ripararsi la notte a guardarla: nell’altrestagioni, rimangono abbandonate. La disegnò subito per suo albergo; si rimise sul sen-tiero, ripassò il bosco, le macchie, la sodaglia; e andò verso la capanna. Un usciaccio in-tarlato e sconnesso era rabbattuto [...]. Renzo l’apri, entrò; vide sospeso per aria, e so-stenuto da ritorte di rami, un graticcio, a foggia d’hamac; ma non si curò di salirvi. Videin terra un po’ di paglia; e pensò che, anche lì, una dormitina sarebbe ben saporita313.

L’affabulatore di se stesso avrà sottolineato ai figli quel tornar sui propri pas-si, dopo aver ben ponderato le soluzioni possibili. Era una lezione di saggezza «asangue freddo». Un esempio per la famiglia. Ma anche una doverosa rettifica direalistico buonsenso al romanzo della sua vita che un cronista non autorizzatoaveva suggerito, con qualche «robinsonata», allo scrittore del Fermo e Lucia. E di-fatti, nel primo romanzo, Fermo aveva preferito un’«incomoda stazione»: si eraarrampicato «sur un albero» e vi si era «appiattato», «aspettando con ansietà l’ap-parire del giorno»314. L’autore del Fermo e Lucia aveva orologi molli. Era di com-portamento anacronistico. Aveva letto, in altro tempo, un’annotazione diaristicadi Robinson Crusoe, a proposito dell’attesa della sua prima alba nell’isola delnaufragio: «Al calar della notte, mi arrampicai per dormire in cima a un albe-ro»315. E a Fermo aveva attribuito l’esotica soluzione. Per ritrattarla, in seguito,attraverso Renzo; e svoltarla nella studiata e riduttiva proporzione tra «pianta» ecapanna di «tronchi e di rami»: e, dentro la capanna coperta di paglia, tra «pian-ta» e «ritorte di rami», tra albero e amaca; via via sproporzionando verso il rifugiodi «un po’ di paglia» in terra, che è uno scendere dalle stelle e dalle tortuosità delromanzesco alle concretezza del realismo; una palinodia, che ironizza anche sulromanzo nero di Ann Radcliffe: «Vivaldi [...] nel rivoltarsi poco dopo in un lettodi paglia, ebbe più di una ragione per rimpiangere il suo giaciglio sul casta-gno»316.

Il primo romanzo guardava esplicitamente al Robinson Crusoe di Defoe. Loscrittore aveva sorpreso suor Geltrude a compiacersi, consolandosene, dellapropria superiore bellezza e dei vantaggi di casta in quell’isola del naufragio cheera per lei il convento. E aveva commentato: «ma quali consolazioni, per amor

313 Ibid., cap. XVII, pp. 394-95.314 ID., Fermo e Lucia cit., t. III, cap. VIII, p. 491.315 D. DEFOE, The Life and Strange Surprising Adventures of Robinson Crusoe, 1719-20 (trad. it. Di R. Mainardi,

Robinson Crusoe, Milano 19823, p. 74).316 A. RADCLIFFE, The Italian or the Confessional of the Black Penitents, 1797, I, 10 (trad. it. di G. Spina, Il con-

fessionale dei penitenti neri, Milano 1970, p. 154).

Letteratura italiana Einaudi 71

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 72: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

del cielo! pari a quelle che provava Robinson nella sua isola in contemplare lemonete ch’egli aveva trovate nei frantumi del vascello sul quale era naufraga-to»317. Non lo dice, ma quelle consolazioni Robinson le aveva chiamate «spazza-tura»318.

Un altro naufragio è evocato, per andamento associativo, nei Promessi sposi:quando l’innominato si salva nella conversione, dopo essere stato travolto dallo«spavento» che gli si è schiantato «pesante sul capo». Ed era un’onda, quella,che si era alzata dall’isola della salvezza del Cinque maggio: dalla «breve sp-on-da» (v. 56) e dalla «pietà prof-onda» (v. 58); da quel punto estremo e impenetra-bile della geografia morale, da quell’incontro con Dio, che l’insulto insistito delpronome d’orgoglio (ei) aveva disperso nella grazia della morte: «E sparve, e i dìnell’ozio | chiuse [...]» (vv. 55-56); mentre lo stesso cantore di Napoleone si eraimpegnato a umiliare e castigare cristianamente la propria presenza pronomina-le nell’impersonale «Vide il m-io gen-io e tacque» (v. 14). Nell’«isola» del nau-fragio ci si può perdere con le «consolazioni» dell’orgoglio. E ci si può salvarecon l’umile accettazione della «mano» e della «voce» di Dio.

Renzo rinnega l’esotica robinsonata di Fermo. E tuttavia è un naufrago,nell’«isola» bergamasca: scampato alla «piazza», al «gomito», al «martello delleporte», al «campanello al piede» e a «cent’altre cose». Contrariamente a Fermo,artigiano a vita e spicciativo nel suo credo d’apprendimento («d’allora in poi hoimparato a non mischiarmi a quei che gridano in piazza, a non far la tal cosa, aguardarmi dalla tal altra»)319, Renzo è in crescita sociale e ha mente ragioniera. Èun «padrone» che ha imparato a far «fruttare» il «peso de’ quattrini»; e ad av-vantaggiarsi delle esenzioni fiscali del governo veneto e degli editti che «limita-vano le paghe degli operai». I luminelli acquisitivi del suo credo sono (e Robin-son insegnava) da libro contabile: il dare e l’avere di un bilancio, tra afflizionipagate e consolazioni da godere. Solo Lucia riesce a sobillare tanto protervo ac-comodamento, rendendo trasparente ad un perpetuo stato di pericolante so-pravvivenza, confortato dalla «fiducia in Dio», l’approdo nell’«isola» della rico-struzione: dopo i disastri della storia e della natura; e della dispersione babelicadi un popolo che aspirava, come nell’ode Marzo 1821, a essere «una gente […]libera tutta, | […]| una d’arme, di lingua, d’altare, | di memorie, di sangue e dicor» (vv. 29-32). Libro della sopravvivenza, è quindi il romanzo di Manzoni:«laico», diceva Hofmannsthal, e «impregnato nello stesso tempo di religiosità,

317 A. MANZONI, Fermo e Lucia cit., t. II, Cap. IV, p. 205.318 D. DEFOE, The Life and Strange cit., trad. it. p. 59.319 A. MANZONI, Fermo e Lucia cit., t. IV, cap. IX, p. 669.

Letteratura italiana Einaudi 72

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 73: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

di cristianità cattolica, postridentina, come nessun altro libro della letteraturamondiale»320.

6 . Nota bibliografica.

«Un modello di stile romanziero» furono subito I promessi sposi. Sin dall’edizionedel ’27. Niccolò Tommaseo si premurò d’informare il Vieusseux sulle prime rea-zioni dei lettori. Scrisse all’amico da Milano, il 24 giugno del 1827; e poi il 18 lu-glio. Il resoconto registrò consensi e dissensi, nel vario articolarsi di aspettazioniconfermate o deluse; e nell’evidenza dei giudizi: ora incordiali e stizziti, fino al so-lecismo di qualche lacrima; ora calorosi, seppure con riserve. «A Zajotti e ad Am-brosoli il romanzo di Manzoni non piace […]. A molti piace molto: tutti però citrovano troppi particolari […]. Una signora ha trovato ottimo il titolo di storia,perché, dice, par tutto vero. Un’altra, malissimo prevenuta, dovette pur piangere.S’accorse per altro ch’era un libro pericoloso, perché i contadini vi fanno migliorfigura che i nobili. L’istesso padre Cristoforo, diceva ella, è un mercante. V’ebbechi ha trovato che Manzoni guasta la letteratura, perché? […] perch’è inarrivabi-le: onde quelli che l’imitano, nol potendo agguagliare, non fanno che inezie. Adaltri parve leggiero, e insignificante il titolo; ad altri voluminosa la forma. Una fa-miglia inglese che lo voleva comperare, se ne tenne; perché lo trova non libro daviaggio, ma da chiesa; non romanzo, ma Bibbia» (N. TOMMASEO e G. P.VIEUSSEUX, Carteggio inedito, a cura di R. Ciampini e P. Ciureanu, I, Roma1956, pp. 114-17). Nella cronachetta del Tommaseo c’è in sintesi, per scorci e«presine», il destino della critica manzoniana.

Una guida bibliografica, aggiornata fino al 1987, si trova nella quinta ristam-pa di S. S. NIGRO, Manzoni, Roma-Bari 1988. Ma cfr.: P. PREDICATORI AZ-ZOLINI, Rassegna manzoniana (1968-72; 1973-82), in «Lettere italiane», XXVI(1974), 3, pp. 349-75, e XXXIV (1982), 4, pp. 530-74; M. G. SANJUST, L’attualesituazione della critica manzoniana, in «Critica letteraria», IV (1976), 2, pp. 320-64; Contributi per una bibliografia manzoniana, 1972-1976, a cura di E. Ballerio,U. Colombo e L. Turconi, in «Otto-Novecento», I (1977), 3, pp. 279-309; M. L.LOMBARDI, Saggio di bibliografia manzoniana (1973-78), in«Aevum», LIV(1980), 3, pp. 403-48; M. G. DE ROBERTIS e M. L. LOMBARDI, Saggio di bi-

320 H. VON HOFMANNSTHAL, Manzoni’s «Promessi Sposi», 1927 (trad. it. I «Promessi sposi» del Manzoni.Nel centenario della pubblicazione del romanzo, in ID., Opere, IV. Viaggi e saggi, a cura di L. Traverso, Firenze 1958,pp. 285-96).

Letteratura italiana Einaudi 73

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 74: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

bliografia manzoniana. II (1978-83, con integrazioni alla precedente rassegna),ibid., LVIII (1984),3, pp. 551-96; U. COLOMBO, Bibliografia, 1983-1986, inAA.VV., Manzoni e Brusuglio. Atti del Convegno su Enrichetta Blondel e del Con-gresso nazionale sul pensiero politico-sociale di Alessandro Manzoni, Cormano1986, pp. 123-28; F. DI CIACCIA, Rassegna bibliografica manzoniana (1985-86),in «L’Italia francescana», LXIII (1988), 3-4, pp. 3-4, P. 311-61; G. CAVALLINI,Alessandro Manzoni milanese europeo (rassegna) (1971-90), in ID., Un filo pergiungere al vero. Studi e note su Manzoni, Messina-Firenze 1993, pp. 210-33. Unbollettino di aggiornamenti manzoniani pubblica la rivista «Otto-Novecento».Mariella Goffredo De Robertis ha curato una bibliografia manzoniana, in corsodi stampa, per gli anni 1984-92.

In occasione del bicentenario della nascita dello scrittore, sono apparsi variAtti: Atti del XII Congresso nazionale di studi manzoniani. Verso il bicentenario delManzoni, Milano 1984; Manzoni nella terra ambrosiana, Milano 1985; Manzoni el’idea di letteratura, Torino 1985; Politica ed economia in Alessandro Manzoni,Bergamo 1986; Omaggio ad Alessandro Manzoni nel bicentenario della nascita, As-sisi 1986; Manzoni e il suo impegno civile, Milano 1986; Giornata di studio (16maggio 1985) nel II centenario della nascita di Alessandro Manzoni, Roma 1987.Cfr. anche Manzoni / Grossi. Atti del XIV Congresso nazionale di studi manzonia-ni (Lecco, 10-14 ottobre 1990), 2 voll., Milano 1991. Di valore assai discontinuo espesso di discutibile impostazione sono i tre volumi di Atti: Manzoni e la culturasiciliana, Messina 1991.

Guide utili sono: A. MARCHESE, Guida alla lettura di Manzoni, Milano1987 (si veda anche ID., L’enigma Manzoni. La spiritualità e l’arte di uno scrittore«negativo», Roma 1994); Il punto su: Manzoni, a cura di E. Sala Di Felice, Roma-Bari 1989; P. MAZZAMUTO, Il caso Manzoni, Palermo 1989; F. PORTINARI,Alessandro Manzoni, in Storia della civiltà letteraria italiana, diretta da G. BárberiSquarotti, IV, Torino 1992, pp. 667-778 (capitolo XIII). Per il dibattito a sinistra,cfr. S. TIMPANARO, I manzoniani del «compromesso storico» e alcune idee sulManzoni, in ID., Antileopardiani e neomoderati nella sinistra italiana, Pisa 1982,pp. 17-47. Per la «biografia» dei Promessi sposi, si rimanda a L. TOSCHI, La salarossa, Torino 1989, e a C. BOLOGNA, Il «romanzo in progress» di AlessandroManzoni, in ID., Tradizione e fortuna dei classici italiani, Torino 1993, II, pp. 642-71I. Cfr. inoltre il catalogo della mostra L’officina dei Promessi Sposi, a cura di F.Mazzocca e con un intervento critico di D. Isella, Milano 1985.

Gli studi di Luca Toschi, citati nel saggio, rendono necessaria una nuova edi-zione critica del Fermo e Lucia. Risultano ormai inadeguati i criteri seguiti da Fau-

Letteratura italiana Einaudi 74

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 75: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

sto Ghisalberti nel mondadoriano volume II, tomo III di A. MANZONI, Tutte leopere, Milano 1954. Cfr. le ristampe: ID., Fermo e Lucia, introduzione di S. Ro-magnoli e L. Toschi, Firenze 1985; ID., Fermo e Lucia, introduzione di G. Vigo-relli, Milano 1992. Cfr. Fermo e Lucia. Il primo romanzo del Manzoni. Atti del XIIICongresso nazionale di studi manzoniani (Lecco, 11-15 settembre 1985), a cura diU. Colombo, Milano 1986. Fondamentali sono i saggi di Claudio Varese, ora rac-colti in C. VARESE, Manzoni uno e molteplice. Con un’appendice sul Tommaseo,Roma 1992. Un buon contributo allo studio del sistema retorico del Fermo e Lu-cia si deve a U. MORANDO, L’espressione religiosa nel «Fermo e Lucia», in «An-nali manzoniani», nuova serie, II (1994), pp. 207-71.

Con l’apparato del Fermo e Lucia si intreccia quello dell’edizione del ’27 deiPromessi sposi. Ghisalberti sorvola e semplifica. Così è tutto da rifare l’apparatodell’edizione critica della ventisettana: cfr. D. ISELLA, Le testimonianze autogra-fe plurime (1985), in ID., Le carte mescolate. Esperienze di filologia d’autore, Pa-dova 1987, pp. 19-36.

Le traversie editoriali di Manzoni sono state ultimamente ricostruite da A. N.BONANNI, Editori, tipografi e librai dell’Ottocento. Una ricerca nell’epistolariodel Manzoni, Napoli 1988. Si aggiunga: S. VEGGIATO, Altre varianti dei «Pro-messi Sposi» nell’edizione Baudry del 1827, in «Otto-Novecento», XVI (1992), 2,pp. 5-21. Sulle edizioni illustrate dei Promessi sposi cfr.: il catalogo della mostraManzoni. Il suo e il nostro tempo, Milano 1985; F. MAZZOCCA, Quale Manzoni?Milano 1985; il catalogo della mostra I «Promessi Sposi» di Gaetano Previati, Mi-lano 1993. Ad aprire il problema delle fonti pittoriche di Manzoni è stata M.GREGORI, I ricordi figurativi di Alessandro Manzoni, in «Paragone», I (1950), 9,pp. 7-20. Sull’argomento è tornato di recente G. PALEN PIERCE, «I promessisposi» e la pittura del Seicento, in «Testo», VI (1985), 9 (numero monografico:Manzoni: l’arte, il sacro), pp. 68-84.

Strumento utilissimo per lo studio dei Promessi sposi sono le Concordanze, acura di G. De Rienzo, E. Del Boca e S. Orlando, 5 voll., Milano 1985. Sui pregi ei limiti di queste Concordanze cfr. G. FOLENA, Misure manzoniane, in «L’Indi-ce», n. 5 (1986), pp. 12-13.

Una svolta nella lettura del romanzo manzoniano, soprattutto in riferimentoal sottofondo linguistico milanese, è stata segnata dal commento di Ezio Raimon-di e Luciano Bottoni: A. MANZONI, I promessi sposi, Milano 1987. L’opera si av-vale degli innovativi studi manzoniani di E. RAIMONDI, Il romanzo senza idillio.Saggio sui «Promessi Sposi», Torino 1974, e di L. BOTTONI, Drammaturgia ro-mantica. Il sistema letterario manzoniano, Pisa 1984; cfr. anche ID., Scott 1821:

Letteratura italiana Einaudi 75

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 76: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

tecniche descrittive e funzioni epistemologiche, in «Lingua e stile», V (1970), 3, pp.409-34. Polemico con questo commento è R. FASANI, Un Manzoni milanese?, in«Studi e problemi di critica testuale», XLI (1990), pp. 51-65. Sui milanesismimanzoniani si vedano: E. BONORA, Osservazioni sui lombardismi dei PromessiSposi, in ID., Manzoni. Conclusioni e proposte, Torino 1976, pp. 125-61; T. MA-TARRESE, Lombardismi e toscanismi nel «Fermo e Lucia», in «Giornale storicodella letteratura italiana», XCIV (1977), 487, pp. 380-427; S. MAMBRETTI,Aspetti della lingua del «Fermo e Lucia» di A. Manzoni, in «Acme», XXXV(1982), I, pp. 67-96; ID., Aspetti linguistici della componente milanese del «Fermoe Lucia», in AA.VV., Studi di lingua e letteratura lombarda offerti a Maurizio Vita-le, Pisa 1983, II, pp. 747-63; D. ISELLA, Porta e Manzoni, Porta in Manzoni, inID., I Lombardi in rivolta. Da Carlo Maria Maggi a Carlo Emilio Gadda, Torino1984, pp. 179-230 (cfr. inoltre ID., Idea di un romanzo popolare (1985), in ID., L’i-dillio di Meulan. Da Manzoni a Sereni, Torino 1994, pp. 37-52).

Sui rapporti con il mondo classico cfr. la parte finale del saggio di C. ANNO-NI, La cultura di Manzoni: nuove ipotesi su fonti medioevali e su fonti classiche, in«Italianistica», XXII (1993), 1-3, pp. 53-70.

Nel saggio si è preferito usare l’edizione dei Promessi sposi curata da Lan-franco Caretti (Torino 1971), perché in essa sono messe a confronto la ventisetta-na e la quarantana. Sulle correzioni linguistiche del romanzo cfr.: G. NENCIO-NI, Conversioni dei «Promessi sposi» (1956), in ID., Tra grammatica e retorica. DaDante a Pirandello, Torino 1983, pp. 3-27; I. LOI CORVETTO, Analisi delle cor-rezioni semantiche a «I Promessi Sposi», in «Annali della Facoltà di Lettere e Filo-sofia e Magistero di Cagliari», XXXVI (1974 pp. 249-351; M. VITALE, La linguadi Alessandro Manzoni, Milano 1986 (19922); AA.VV., Manzoni. «L’eterno lavo-ro». Atti del Congresso internazionale sui problemi della lingua e del dialetto nel-l’opera e negli studi del Manzoni (Milano, 6-9 novembre 1985), Milano 1987. Si ag-giungano: G. G. AMORETTI, Mito e realtà della «sciacquatura in Arno»: le po-stille di Gaetano Cioni ai «Promessi Sposi», e ID., «L’oracolo di Casa Manzoni»:Emilia Luti e la revisione dei «Promessi Sposi», in «Otto-Novecento», XV (1991),3-4, pp. 99-116, e ibid., XVI (1992), 5, pp. 6-20. Cfr. la più ampia prospettiva diG. TELLINI, Manzoni 1827: Milano e Firenze (1985), in ID., Letteratura e storia.Da Manzoni a Pasolini, Roma 1988, pp. 11-37. Si vedano anche: G. G. AMO-RETTI, Le postille di C. Fauriel a «I Promessi Sposi», in «Revue des études ita-liennes», XXXII (1986), 1-4 (numero monografico su Manzoni), pp. 19-32; e ID.,Da «Fermo e Lucia» a «I Promessi Sposi». La parte del Visconti, in «Versants», n.16 (1989), pp. 33-51. Ma su Visconti postillatore non si può prescindere da V. PA-

Letteratura italiana Einaudi 76

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 77: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

LADINO, La revisione viscontea del romanzo manzoniano e altri saggi, Milano1986; e da E. RAIMONDI, Il lettore tra le righe, in ID., La dissimulazione roman-zesca. Antropologia manzoniana, Bologna 1990, pp. 131-45. Cfr. L. SCORRANO,Manzoni e il lettore. Rassegna di studi, in «Otto-Novecento», XV (1991), 6, pp.29-49. Strumenti imprescindibili sono: A. MANZONI, Postille al Vocabolario del-la Crusca nell’edizione veronese, a cura di D. Isella, Milano-Napoli 1964; D.MARTINELLI, Le postille inedite del Manzoni al «Lexicon» del Forcellini, in«Annali manzoniani», nuova serie, II (1994), pp. 35-78. Sulle postillature cfr.inoltre G. GASPARI, Per l’edizione delle postille manzoniane al «Vocabolario mi-lanese italiano» del Cherubini, in «Studi di filologia italiana» LVI (1993), pp. 231-54. Illustra l’uso stilistico del costrutto nominale nei Promessi sposi, S. VANVOL-SEM, L’infinito sostantivato in italiano, Firenze 1983, cap. III, pp. 131-79.

Il «mestiere guastato» delle lettere è il titolo che Giancarlo Vigorelli ha dato aun’antologia di pagine critiche del Manzoni (Milano 1985). Sull’argomento cfr.G. BÀRBERI SQUAROTTI, Manzoni: le delusioni della letteratura, Rovito 1988.Sulla questione dell’amore cfr. P. VALESIO, Lucia, ovvero: la «reticentia» nei«Promessi Sposi», in «Filologia e critica», XIII (1988), 2, pp. 207-38 (ripropostoin Leggere i Promessi Sposi, a cura di G. Manetti, Milano 1989, pp. 145-74); e la ri-sposta di G. PETROCCHI, Postille per Lucia, ibid., XIII (1988), 3, pp. 333-428.Giorgio Bàrberi Squarotti affronta la reticenza «come figura della scelta del nar-ratore soltanto quello che è necessario al fine etico del romanzo», nel saggio La fi-gura della reticenza, in La retorica del silenzio. Atti del Convegno internazionale(Lecce, 24-27 ottobre 1991), a cura di C. A. Augieri, Lecce 1994, pp. 243-83. Per irapporti Manzoni-Fauriel, si veda I. BOTTA, Manzoni a Fauriel - l’«Indication desarticles littéraires du Conciliateur», in «Studi di filologia italiana», XLIX (1991),pp. 203-49. Sul problema romanzo è importante il saggio di C. SEGRE, Alessan-dro Manzoni: il continuum storico, l’intreccio e il destinatario (1985), in ID., Noti-zie dalla crisi, Torino 1993, pp. 114-75.

Ricorrente è la tentazione di trovare una fonte alla trama del romanzo. Ciprovò G. GETTO, Echi di un romanzo barocco nei «Promessi Sposi» (1960), inID., Manzoni europeo, Milano 1971, pp. 11-56. Ha ritentato, con molte cautele,C. POVOLO, Il romanziere e l’archivista. Da un processo veneziano del ’600 all’a-nonimo manoscritto dei «Promessi Sposi», Venezia 1993 (cfr. V. BRANCA, I pro-messi sposi di Vicenza, e ID., Le minacce di don Paulo, in «Il Sole - 24 ore», 27 gen-naio 1993, p. 34, e 24 ottobre 1993, p. 27). Assai più proficuo è il lavoro archivi-stico sulle fonti storiche condotto da G. FARINELLI e E. PACCAGNINI, Pro-cesso agli untori. Milano 1630: cronaca e atti giudiziari, Milano 1988; G. FARI-

Letteratura italiana Einaudi 77

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 78: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

NELLI e E. PACCAGNINI, Processo per stregoneria a Caterina de’ Medici (1616-1617), Milano 1989. E dal gruppo di lavoro coordinato da U. Colombo: Vita eprocesso di suor Virginia Maria de Leyva monaca di Monza, presentazione di G. Vi-gorelli, Milano 1985. Polemici con quest’ultimo contributo sono E. BONORA,La Monaca di Monza nella storia (1986), in ID., Manzoni e la via italiana al reali-smo, Napoli 1989, pp. 17-33; e G. P. MARCHI, Per la Monaca di Monza e altre ri-cerche intorno a Manzoni, Verona 1993.

Su Manzoni e la storia: W. HEMPEL, Manzoni und die Darstellung der Man-schenmenge als erzähltechnisches Problem in den «Promessi Sposi» bei Scott und inden historischen Romanem der französischen Romantik, Krefeld 1974; G. TELLI-NI, Manzoni. La storia e il romanzo, Roma 1979; R. S. DOMBROSKI, L’apologiadel vero. Lettura ed interpretazione dei «Promessi Sposi», Padova 1984; U. DOT-TI, La critica etico-storica di Manzoni (1985), in ID., Il Savio e il Ribelle. Manzonie Leopardi, Roma 1986, pp. 193-45; M. A. CATTANEO, Carlo Goldoni e Ales-sandro Manzoni. Illuminismo e diritto penale, Milano 1987; W. FRANKE, Poeticsand Apocalypse in Manzoni’s interpretation of history, in «Esperienze letterarie»,XVIII (1993), pp. 17-36; H. GLADFELDER, Seeing black: Alessandro Manzonibetween fiction and history, in «Modern Language Notes», CVIII (1993), I, pp.5896. V. R. JONES, Conter-Reformation and Popular Culture in «I promessi spo-si»: a case of historical censorship, in «Renaissance and Moderne Studies», n. 36(1993), pp. 36-51. È ancora utile M. SANSONE, Manzoni francese. 1805-1810:dall’Illuminismo al Romanticismo, Roma-Bari 1993; ID., Alessandro Manzoni: lacrisi della poetica del vero, in AA.VV., Da Dante al secondo Ottocento. Studi in ono-re di Antonio Piromalli, Napoli 1994, pp. 503-45. Riguardano soprattutto le Os-servazioni comparative sulla rivoluzione francese e su quella italiana alcuni impor-tanti saggi, che però consentono di meglio leggere la fobia antinsurrezionale delManzoni dei Promessi Sposi: L. MANNORI, Manzoni e il fenomeno rivoluziona-rio. Miti e modelli della storiografia ottocentesca a confronto, in «Quaderni fioren-tini per la storia del pensiero giuridico moderno», n. 15 (1986), pp. 1-106; M.D’ADDIO, Le idee e la Rivoluzione. Il giudizio di Manzoni su Robespierre, in Poe-sia, verità e mistica. (Rosmini, Manzoni, Rebora), a cura di P. Pellegrino, Stresa-Milazzo 1986, pp. 85-117; L. GUERCI, Alessandro Manzoni e il 1789, in «Studisettecenteschi», V (1987), 10, pp. 229-53; S. GIOVANNUZZI, Il «Saggio» man-zoniano sulla Rivoluzione francese, in «La rassegna della letteratura italiana»,XCII (1988), 2-3, pp. 318-39; M. TESINI, La Rivoluzione francese e i liberal cat-tolici italiani. Manzoni e Rosmini, in «Studium», LXXXV (1989), 6, pp. 805-821;G. SARO, Manzoni et la révolution française, in «Croniques italiennes», V (1989),

Letteratura italiana Einaudi 78

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 79: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

20, pp. 61-72; M. DAVIE, Manzoni after 1848: an irresolute utopian?, in «TheModern Language Review», LXXXVII (1992), 4, pp. 847-57. Riportano ai Pro-messi Sposi: G. SARO, Le sens politique des «Promessi Sposi», in AA.VV., Idéolo-gie et politique, Abbeville Cedex 1978, pp. 9-60; C. AMBROISE, L’ideologie anti-urbaine des «Promessi Sposi», in AA.VV., Atti del Centro ricerche e documenti sul-l’attività classica, Milano 1978, pp. 355-61; M. GOLO STONE, Contro la moder-nità e la cultura borghese: «I promessi sposi» e l’ascesa del romanzo italiano, in«Modern Language Notes», CVII (1992), I, pp. 112-31.

Tre recenti letture complessive del romanzo: S. PAUTASSO, «I Promessi Spo-si». Appunti e ipotesi di lettura, Milano 1988; V. SPINAZZOLA, Il libro per tutti.Saggio su «I Promessi Sposi», Roma 1983; E. GRIMALDI, Dentro il romanzo.Strutture narrative e registri simbolici tra il «Fermo e Lucia» e «I Promessi Sposi»,Messina 1992. Analisi di singoli capitoli in AA.VV., Letture manzoniane 1987, Mi-lano 1988.

Sulle procedure descrittive e sui tempi della narrazione: S. B. CHANDLER,Point of view in the descriptions of «I Promessi Sposi», in «Italica», XLIII (1966),4, pp. 387-403; R. H. LANSING, Stylistic and structural duality in Manzoni’s «IPromessi Sposi», ibid., LIII (1976),3, pp. 347-61; G. LANYI, Plot-Time andrhythm in Manzoni’s “I Promessi sposi», in «Modern Language Notes», XCIIII(1978), I, pp. 36-51; S. AGOSTI, Enunciazione e punto di vista nei «Promessi Spo-si» (1989), in ID., Critica della testualità, Bologna 1994, pp. 23-37; G. GÜN-TERT, Descrizione e racconto nei «Promessi Sposi», in «Romanische Forschun-gen», CIV (1992), pp. 313-40.

Sulla struttura del romanzo: F. CHIAPPELLI, Un centro di smistamento del-la struttura narrativa dei «Promessi Sposi», in «Lettere italiane», XX (1968), 3, pp.333-50; I. CALVINO, «I Promessi Sposi»: il romanzo dei rapporti di forza (1973),in ID., Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società, Torino 1980, pp. 267-78;M. G. MARTIN-GISTUCCI, Alessandro Manzoni et la «fable innocente desFiancés», in «Revue des études italiennes», XXII (1976), 1-2, pp. 341-57; F. FI-DO, Per una descrizione dei «Promessi sposi»: il sistema dei personaggi, in ID., LeMetamorfosi del Centauro. Studi e letture da Boccaccio a Pirandello, Roma 1977,pp. 225-63; D. DELCORNO BRANCA, Strutture narrative manzoniane, in «Let-tere italiane», XXXII (1980), 1, pp. 314-50; M. BARATTO, Struttura narrativa emessaggio ideologico nei «Promessi Sposi» (1982), in «Chroniques italiennes», III(1987), 2, pp. 77-100.

Sui personaggi: D. DE ROBERTIS, Il personaggio e il suo autore, in «Rivistadi letteratura italiana», VI (1988), 1, pp. 71-99; F. PETRONI, L’ideologia e il si-

Letteratura italiana Einaudi 79

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 80: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

stema dei personaggi nel «Fermo e Lucia» e nei «Promessi Sposi», in «Allegoria»,nuova serie, V (1993),13, pp. 51-70; A. MARTINI, La figura manzoniana del car-dinal Federigo tra storia e invenzione, in Forme e vicende. Per Giovanni Pozzi, acura di O. Besomi, G. Gianella, A. Martini e G. Pedrojetta, Padova 1988, pp.513-535 (cfr. V. R. JONES, «I Promessi Sposi»: the sources of literacy, in «Rivistadi letteratura italiana», III (1985), 2-3, pp. 335-63; e G. BELLINI, Intertestualitàmanzoniane, in Mappe e letture. Studi in onore di Ezio Raimondi, a cura di A. Bat-tistini, Bologna 1994, pp. 263-74); G. FICARA, Renzo, l’allievo delle Muse, in«Lettere italiane», XXIX (1977), 1, pp. 36-58; M. BARENGHI, cognome e nome:Tramaglino Renzo. Osservazioni sull’onomastica manzoniana (1985), in ID., Ra-gionare alla Carlona. Studi sui «Promessi Sposi», Milano 1994, pp. 57-72; D. DEROBERTIS, La favola di Renzo («Promessi sposi», XVII), in «Cenobio», nuovaserie, (1986), 4, pp. 331-56; V. R. JONES, Towards a reconstruction of Manzoni’sLucias, in «The Italianist», VII (1987) (Women and Italy), pp. 36-44; A. PAL-LOTTA, Fra Cristoforo and don Rodrigo: the words that wound, in «Italica», LX-VII (1990), 3, pp. 335-52; F. SUITNER, Manzoni, don Ferrante il magnifico signorLucio, in AA.VV., Miscellanea di studi in onore di Marco Pecoraro, I, a cura di B.M. Da Rif e C. Griggio, Firenze 1991, pp. 361-92; M. PASTORE STOCCHI,Agnese, la lontananza e il turcimanno, in «Lettere italiane», XXVI (1974), I, pp.26-45; J. GATT-RUTTER, When the killing had to stop: Manzoni’s paradigm of ch-ristian conversion, in «The Italianist», X (1990), pp. 7-40; P. GIBELLINI, Le pic-cole donne dei «Promessi Sposi», in «Otto-Novecento», XVI (1992), 6, pp. 25-36.Sull’onomastica cfr. A. PERELLI, Prudenzio, la madre di Cecilia e altra onomasti-ca manzoniana, in «Critica letteraria», XVII (1989), 1, pp. 33-40.

Sulla Provvidenza e sul finale del romanzo cfr. E. NEF, Caso e Provvidenzanei «Promessi Sposi», in «Modern Language Notes», LXXXV (1970), 1, pp. 13-23; S. B. CHANDLER, Rassegna sul «lieto fine» ne «I Promessi Sposi», in «Criti-ca letteraria», VIII (1980), 3, pp. 581-97.

Accenni sulla fortuna all’estero dei Promessi sposi in A. DI BENEDETTO,Manzoni europeo, in ID., Dante e Manzoni, Salerno 1987, pp. 125-33. Manzoni vi-sto dagli scrittori, in G. CATTANEO, Quel cielo di Lombardia: il lettore curioso.Figure e testi della letteratura italiana, Firenze 1992, pp. 97-131. Per un Manzoniin filigrana cfr. V. R. JONES, Intertextual patterns: «I Promessi Sposi», in «La chi-mera», in «Italian Studies», XLVII (1992), pp. 51-67.

Il romanzo manzoniano ha fatto agire il Seicento attraverso la biblioteca didon Ferrante. Su di essa, sulla sua sorte, si è interrogato lo scrittore, alla fine delcap. XXXVII: «E quella sua famosa libreria?» La risposta, che egli stesso si è da-

Letteratura italiana Einaudi 80

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro

Page 81: Nigro-I Promessi Sposi Di Alessandro Manzoni

ta, è dubitativa: «È forse ancora dispersa su per i muriccioli».Senz’altro muricciolai, i libri di don Ferrante erano stati invece ricomprati dai

bouquinistes e ricomposti in non meno precaria biblioteca su una nave che un ca-pitano olandese guidava verso le Isole di Salomone. Se ne era incaricato il padregesuita Caspar Wanderdrossel del romanzo L’isola del giorno prima di UmbertoEco (Milano 1994, cap. XXI, p. 230): «Padre Caspar si era portato appresso alcu-ni buoni libri... e aveva raccontato un giorno al capitano che li aveva avuti per unnonnulla, e proprio a Milano: dopo la peste, sui muriccioli lungo i Navigli era sta-ta messa in vendita l’intera biblioteca di un signore immaturamente scomparso[...]. Per il capitano era evidente che i libri appartenuti a un appestato, erano gliagenti del contagio [...]. Il capitano non aveva voluto sentir ragioni, e la piccola ebella biblioteca di padre Caspar era finita trasportata dalle correnti».

Da quest’ultima dispersione, la «libreria» (appestata) è stata infine salvata daUmberto Eco, che i capitoli del suo romanzo (che è anche un omaggio a Manzo-ni, con i suoi «dilavati e graffiati autografi», con le sue «Heroiche Imprese» e conil suo «castelletto o castellaccio») ha concepito come «esercizi di maniera» sui li-bri di una donferrantesca età «bizzarra»: dal Serraglio degli stupori del Garzoni,alla Dissimulazione onesta dell’Accetto, al Cunto de li cunti del Basile, al Cannoc-chiale aristotelico del Tesauro, ecc. Attraverso Manzoni, e con Manzoni, Eco hasalvato il Seicento dal «naufragio» bibliografico: romanzescamente.

Letteratura italiana Einaudi 81

«I promessi sposi» di Alessandro Manzoni - Salvatore S. Nigro