Nicolini Una Lettura Di l. Graverini, Le Metamorfosi Di Apuleio

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UNA LETTURA DIL. GRAVERINI ,LE M ETAMORFOSI DI A PULEIO. LETTERATURA EIDENTITÀ

Lara Nicolini

Scuola Normale Superiore di Pisa

Al romanzo antico in generale e particolarmente alle Metamorfosidi

Apuleio Luca Graverini ha dedicato negli ultimi anni un’attenzionecostante e una lunga serie di contributi, passando con disinvoltura daproblemi esegetici tradizionali a più sottili questioni di genere, intrec-ciando precise analisi linguistiche e documentate analisi storiche, pro-ponendo suggestive relazioni intertestuali.

Il risultato di queste ricerche, in parte già pubblicate o discusse neinumerosi convegni di cui G. è assiduo e instancabile frequentatore, inparte nuove (fra queste si segnala il ricco e composito secondo capito-lo) è questo volume, interamente dedicato al romanzo apuleiano esignificativamente sottotitolato “Letteratura e identità”: diviso ideal-mente in due parti, lo studio, dopo aver esaminato con grande accura-tezza i principali filoni di indagine legati all’interpretazione del roman-zo (questi stessi, in certo modo, problemi di identità: identità dell’ope-ra, del genere di appartenenza, della voce narrante), si sofferma più spe-cificamente su problemi di identità culturale dell’autore stesso, un pro- vinciale la cui stessa storia linguistica è il frutto di una dialettica tra“patrie” e culture diverse, del suo libro, una traduzione certamente

“romanizzata” di un’opera greca, e del suo pubblico, romanocentricoper cultura ma non necessariamente romano.

C AP. 1 UNA POETICA DOLCE

Nei primi due capitoli si indaga sul problema fondamentale, e quan-to mai dibattuto, dell’interpretazione ultima delle Metamorfosi.

Sono passati circa vent’anni da una famosa battuta di Penwill secon-do cui “l’unica cosa sulla quale gli interpreti apuleiani sono d’accordo è

ORDIA PRIMA 6 (2007) 197-212

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che c’è un grosso problema”; su questo grosso problema, causato com’ènoto dalla difficoltà di conciliare l’ultimo libro con i primi dieci, dalleincursioni continue e mistificatorie di una voce narrante mai piena-

mente affidabile, dall’ambiguità di fondo che caratterizza, oltre che icontenuti, la stessa espressione apuleiana, G. ha molto letto e certa-mente molto riflettuto.

Il disaccordo che permane tra le due principali correnti di interpre-tazione e, più in generale, l’attenzione particolare di cui godono le Metamorfosidi Apuleio all’interno di un rinnovato interesse per ilromanzo antico, hanno prodotto nell’ultimo ventennio una moleimpressionante di studi; non è tra i meriti minori di G. la padronanzasicura e lucida con cui egli maneggia questa sterminata bibliografia,della quale mostra una conoscenza critica e dettagliata (di molti tra i volumi più importanti della recente critica apuleiana G. è stato non acaso competente e fine recensore). E proprio dalle sue ultime letture,specificamente quella del recentissimoCompanion al prologo apuleia-no1 , G. riparte idealmente quando egli stesso dedica allo spazio privile-giato del prologo un nuovo, personale contributo.

Dopo una tradizionale ma doverosa definizione del genere letterarioin cui collochiamo l’opera principale di Apuleio e qualche chiarimentosulla terminologia per esso utilizzata, si entra subito nel vivo del testo:le molte pagine dedicate alla celebre combinazione inizialeat ego tibitengono conto di molte riflessioni precedenti, con una particolareattenzione ai recenti saggi di J. Morgan, K. Dowden, B. Gibson (tuttiinclusi nelCompanion) 2 e apportano qualche novità.

__________________ 1 A. Kahane & A. Laird (edd.), A Companion to the Prologue to Apuleius’

Metamorphoses, Oxford 2001.2 Questi tre saggi sono, a parere di chi scrive, i più interessanti tra i contributi

offerti dalCompanion , insieme alla raffinata riflessione di D. Fowler sulla dialettica-competizione tra oralità (nella finzione) e scrittura (come modo effettivo di espres-sione). Mantengo qualche riserva comunque sulla possibilità, avanzata da Gibson,che l’espressionelepidus susurrus , insieme adargutia Nilotici calami , nasconda, attra- verso un’allusione a Teocrito, una sorta di dichiarazione di stile alessandrino (su que-sto mi pare scettico anche G.) o istituisca un parallelo formale con altri testi in cui unnarratore in prima persona rimane non identificato.

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L’inizio con la congiunzioneat , col suo effetto di simulare una“transizione” e dunque una conversazione già in corso3 , fa piombare illettore direttamente dentro la narrazione, con una rinuncia apparente

dell’autore alle possibilità offerte dalla sede tradizionalmente metate-stuale dell’incipit , e impone nel frattempo una prospettiva (come sap-piamo ingannevole) a quanto segue. G. ipotizza che questa transizioneat egosi opponga virtualmente a un sottinteso “alii tibi...” ed abbia dun-que la funzione di dichiarare programmaticamente il tipo di scelta let-teraria e stilistica: per questo tipo, ben noto, di contrapposizione(«altri canteranno di ... ma io invece ...»), lo studioso apuleiano elencauna lunga serie di esempi tratti dalla prosa e dalla poesia (dove la con-trapposizione ad altri generi letterari è tipica di un certo modello direcusatio) 4 , soffermandosi in particolare sul prologo degli Aitia diCallimaco. Pur avendo idee diverse sulla scelta apuleiana di iniziareexabrupto con l’associazioneat ego , che in questa posizione rimanecomunque abbastanza inaspettata5 , ho trovato quest’idea particolar-mente suggestiva.

Nella sezione successiva, G. si sofferma sulla possibilità, questa perme meno evidente, che illepidus susurrusdella voce narrante alluda

__________________ 3 Non necessario invece pensare a un effetto di opposizione: il valore attenua-

to di congiunzioni avversative comeat ,sed ,tamen è un fatto di lingua d’uso su cui con-cordano traduzioni e commenti. Inutile, oltre che non supportata da elementi ester-ni, mi sembra dunque la proposta di Morgan, a cui G. concede qualche spazio, secon-do cui la formulaat ego tibisi opporrebbe a (e dunque presupporrebbe) una prece-dente narrazione (“tu mihi”) di diverso carattere e stile. G. fornisce un sostegno all’i-potesi, richiamando l’analogia delsermo Milesiusdi Aristide che si propone come nar-ratore-ascoltatore di storie, ma l’idea che il narratore debba anche essere un ascolta-tore semplicemente non serve.

4 Tutti questi paralleli, di per sé convincenti, rendono a mio parere superfluo ilconfronto con ilsed ego tedi Met . 4, 27, 8, diversamente contestualizzato e dunquesemanticamente meno probante.

5 L’inatteso esordio ha per me un valore essenzialmente pratico: da un puntodi vista narrativo permette fondamentalmente al misterioso narratore di porsi subitoall’interno della narrazione, ignorando la consuetudine diffusa nel romanzo antico difornire qualche informazione su di sé, e di sottrarre al lettore la possibilità di identifi-cazioni immediate e di appigli oggettivi. Questo garantirà l’ambiguità di fondo, pre-parerà la trappola per il lettore (ho discusso questa posizione nel saggio iniziale a Apuleio , Le Metamorfosi , BUR, Milano 2005, pp. 1- 4).

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piuttosto che al confronto con Teocrito già proposto da Gibson, allevissusurrus delle api della prima egloga virgiliana (e dunque ai valori pro-fondi, filosofici che la tradizione letteraria da Platone in poi associa alle

descrizioni della natura e dei suoi suoni). Mentre sospendo il giudiziosulla possibile allusione (come pure sul semplice fatto che qui Apuleioavesse in mente Virgilio), concordo con quanto, a partire da ciò, vienediffusamente sostenuto nei paragrafi che seguono, e cioè che le parti-colari scelte lessicali del prologo mirino principalmente a definire untipo di poetica che è “programmaticamente lontana dall’idea diutili-tas”. Sul fatto che di proposito (e in maniera, come vedremo, inganne- vole) il prologo suggerisca di ascrivere la storia a una categoria lettera-ria che deresponsabilizza il lettore e, quasi soggiogandolo con il potereincantatorio della narrativa, ne solleciti un tipo di lettura passivo, mitrovo assolutamente d’accordo. A questi argomenti G. dedica ben treparagrafi, riservandone poi un ultimo a una piacevole digressione sultema del potere psicagogico della poesia quale è descritto dai testi let-terari da Omero in poi (il verbo permulceredel prologo apuleiano sitrova così ancorato a una ben precisa tradizione letteraria e viene iden-tificato come termine tecnico della polemica retorica contro un tipo ben identificato di dizione poetica). Un’obiezione che si potrebbemuovere, e che G. in poche righe previene6 è che, essendo l’opera di Apuleio non un’opera originale, ma un riadattamento da una preesi-stente fonte greca, molti materiali anche lessicali avrebbero potuto tro- varsi appunto in questo originale perduto (ed è inutile dire quanto ciòrenda rischioso desumere allusioni da un materiale comunque non diprima mano). Il punto è che per ogni questione di interpretazione delromanzo apuleiano vale la regola generale che è poco rilevante che les-sico, nuclei narrativi, espedienti di collegamento fossero originali o

__________________ 6 Questa sorta di tecnica dell’occupatioè una cosa che ho molto apprezzato in

tutto il libro: mi ha piacevolmente sorpreso più volte che, a un dubbio effettivamentesopravvenuto riguardo a una sua proposta, G. rispondesse puntualmente qualchepagina dopo. Questa capacità di prevenire ogni possibile obiezione del lettore, senzadare per scontata l’esattezza della propria conclusione, non è dettata da pignoleria otimore, ma dall’onestà di chi sa porsi dal punto di vista degli altri e anzi lo ha eviden-temente già fatto, ha riflettuto sulla validità delle alternative possibili al proprio pen-siero e sa ripercorrere insieme agli altri la dialettica che alle sue conclusioni ha con-dotto.

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attinti da altre fonti per noi sconosciute: l’operazione decisiva – qui miassocio nella risposta, essendomi posta il problema a proposito dellapaternità delle inserzioni narrative secondarie – consiste infatti nella

scelta e nell’assemblaggio del materiale lessicale e narrativo, e questa èun’operazione in cui Apuleio dimostra certamente personalità e unforte grado di selettività.

Sulle fonti G. non si dilunga molto (com’è naturale, trattandosi diargomento abbondantemente scandagliato; e comunque viene ripro-posta una tavola di confronto stilata da A. Scobie tra la famosa schedadi Fozio e il prologo apuleiano7 ), ma aggiunge qualcosa di nuovo: a par-tire dall’immagine chiave dell’ “incantare le orecchie”, propone conmolta cautela un confronto con il prologo degli Amorespseudo-lucianeie con l’inizio dell’orazione di Eusebio De laudibus Constantini; che lo sicondivida o meno, il confronto sorprende e incuriosisce8 , concludendodegnamente l’analisi delle scelte terminologiche del proemio.

C AP. 2 STORIE DA VECCHIE E PIACERI SERVILI

Concluso il primo capitolo sulla definizione del programma lettera-rio che l’autore sembra delineare nel prologo, giunge il momento dichiedersi se quanto si è detto a partire dal testo (e quanto dunque iltesto stesso) sia affidabile: il prologo, cioè, dà sull’esegesi indicazioni verificabili o è esso stesso parte di una programmatica mistificazione?Dare una risposta a questa domanda è il tema del secondo capitolo,come si è detto interamente nuovo, e un tema imprescindibile soprat-tutto a partire dal 1985, anno di pubblicazione del saggio epocale di Winkler, che considera l’intero romanzo un testo aporetico, privo disoluzione e aperto a ogni possibilità. __________________

7 A questo proposito, una piccola osservazione forse pignola sulla tavola sinot-tica: sul confronto συνύφαινεν /consero , mi sembra un peccato sacrificare il gioco eti-mologico trasermoe conseropresente nel testo, per accettare l’eventuale possibilità diintendereconsero= “seminare, piantare”. Con laiunctura famosasermone … conseram Apuleio riscrive un gioco etimologico e fonico ben noto fin dall’epoca arcaica (la deri- vazione disermoda sero , sfruttata da Apuleio anche altrove, è probabilmente di origi-ne enniana e diventerà tradizionale).

8 Sul secondo confronto, in particolare, quello con l’incipit del De laudibusConstantini , verrebbe da dire chenon scrupulum sed lanceam inicit .

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Si parte da un confronto tra un famoso brano che segue la retro-meta-morfosi (la prima riflessione di Lucio dopo aver riacquistato la salvezza)e il prologo stesso, un confronto lessicale sorprendentemente ricco di

analogie che mi ha, se non convinto del tutto, certamente colpito molto(continuo, lo confesso, a non comprendere appieno l’utilità pratica diqueste riprese lessicali nella definizione della differenza tra l’egodel pro-logo e il nuovoegoparlante). Dopo questo gustoso aperitivo, G. riassu-me a grandi linee i termini della questione, rimandando alla bibliografiaprecedente e limitandosi a ricordare le due tendenze critiche principali,quella che, a partire da Merkelbach, crede nell’unitarietà del romanzo enel suo intento “serio”, quasi propagandistico della religione isiaca (o diun più generico messaggio filosofico), e l’altra che, a partire dal Perry,rifiuta ogni interpretazione seria e trova l’unica ragion d’essere delromanzo nella Lust zu fabulierendi un retore innamorato della parola.

Sono lontani (fortunatamente) i tempi in cui si ricercava l’unità delromanzo nella pretesa di attribuire significato serio a ogni singolo inser-to narrativo, al fine di conciliare i primi dieci libri con l’ultimo; oggi,semmai, hanno più fortuna i tentativi di dimostrare il contrario9 . G.comunque non si lascia trascinare dalle mode: se da una parte ammet-te che oggi è difficile leggere le Metamorfosicome testo “impegnato”,dall’altra sottopone a un attento vaglio soprattutto le ipotesi che oggisono più in voga, quelle cioè che vedono nell’ultimo libro non una seriaaretalogia della dea egiziana, ma una sorta di satira della credulità reli-giosa (ben in accordo con il resto dell’opera). Con grande equilibrio G.ripercorre le presunte “Dissonanze” e analizza i supposti “Dettagli dis-sacranti”10 , per affermare che mancano elementi seri per una lettura del

__________________ 9 Si pensi all’ultima, provocatoria ipotesi di E. J. Kenney, secondo cui il per-

corso potrebbe essere stato l’inverso: alla storia di una conversione di un’esperienzainiziatica realmente vissuta, che Apuleio aveva già deciso di scrivere o addirittura giàscritto – forse con intento satirico – finirono per aggiungersi i primi dieci libri ricava-ti da una fonte in cui nel frattempo si era per caso imbattuto; l’idea di combinare ledue istanze narrative avrebbe trovato un felice strumento di connessione nella pre-senza dell’asino protagonista. Sarebbero dunque i primi dieci libri, paradossalmente,a costituire un “afterthought” a fronte dell’idea originale contenuta nell’undicesimo(cfr. E. J. Kenney, “In the Mill with Slaves: Lucius Looks Back in Gratitude”,TAPA133, 2003, pp. 159-192).

10 Adopero qui i titoli dati da G. ai paragrafi in questione.

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testo in senso solo satirico: mi ha dato molta soddisfazione leggereun’osservazione che potrà forse apparire come l’uovo di Colombo, mache davvero non viene mai fatta, e cioè che non si può partire da ele-

menti (comici) che p e r f o r z a dovevano essere presenti nel testo, perscreditare (e definire come comico) il testo stesso. Ottimi gli esempiscelti, la nudità di Lucio dopo la retro-metamorfosi e il rituale di purifi-cazione dell’asino; il senso è: elementi comici si possono trovare – anzi,è inevitabile che si trovino – ma bisogna vedere se essi suggerisconorealmente (e in modo univoco) una lettura ironica11 . A partire da qui G.riesamina uno per uno gli altri elementi che da Winkler in poi sono tra-dizionalmente ritenuti capaci di screditare il testo e di suffragarne unalettura “aporetica”: dalla discordanza tra le interpretazioni di Mithras edella folla, ai silenzi di Lucio, alla scelta del nome Mithras per un sacer-dote di Iside (non siamo nel campo della satira anti-religiosa, ma sem-mai del sincretismo religioso tipico dei tempi di Apuleio)12 , alla rapaci-tà dei sacerdoti, alla testa rasata di Lucio13 . Raccomando in particolareil paragrafo dedicato a quest’ultimo argomento, un divertente trattatel-lo sulla calvizie che offre molti motivi di interesse e spunti divertenti.

A tutte queste difficoltà, comunemente adoperate come armi nellalettura satirica dell’opera, G. fornisce una risposta convincente e fonda-ta, occupandosi anche brevemente e in nota del “problema”14 del finale __________________

11 Io però estendo questo giudizio anche all’episodio di 9, 4, 1, citato da G. pocodopo: nel fatto che l’asino immerga interamente la testa nell’acqua, mentre dovrebbesolo bere, non vedo tanto un’allusione “ai rituali di purificazione”, quanto una pura esa-gerazione grottesca, tipica dei comportamenti, comici perché fuori misura, dell’asino;la scelta dell’aggettivosalutares è peraltro dovuta alla battuta che ne deriva (l’uso divere

sottolinea il senso letterale, etimologico in cui l’aggettivo dev’essere letto).12 Ottima la digressione storica (con molti e giusti rimandi agli studi sul mitrai-

smo di A. Mastrocinque) sulla disponibilità dei due culti ad essere accostati: accantoalle fonti letterarie sono giustamente citate quelle epigrafiche e i ritrovamenti archeo-logici; la difficoltà segnalata a suo tempo da Winkler («to give the name Mithras tothe high priest of Isis ... is like introducing the Pope ... and calling him MartinLuther») sembra oggi decisamente superata.

13 Particolarmente felice a mio parere la ridefinizione di questa calvizie che tantisospetti ha suscitato come semplice “elemento di un ritratto paradossale”.

14 Le virgolette indicano che G. qui, giustamente, non si pone dubbi sulla con-clusione del romanzo, sebbene citi una recente ipotesi di Mal-Maeder che esso possaessere mutilo della vera conclusione; mi limito a segnalare che a questo proposito

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del romanzo. Ancora una volta viene fuori con chiarezza come nessundi tutti questi elementi abbia una valenza univoca.

Giusta, d’altra parte, anche la decisa reazione a una serie di ecces

che caratterizzano la lettura di segno opposto (l’interpretazione “seriaper intenderci), così come saggia mi pare la constatazione, motivata ipiù punti, che la soluzione aporetica di Winkler in fondo risolve un pr blema creandone un altro15 .

Qual è dunque la giusta posizione da assumere? G. risponde, inmaniera oggi non più nuovissima, ma abbondantemente documentatae stringente, con l’ascrizione del programma letterario delle Metamorfosi alla vasta categoria dello σπουδογέλοιον16 . A partire daun’analisi molto dettagliata dell’espressione idiomaticaanilis fabula17

__________________ si sarebbe potuto citare anche Pecere, il primo in effetti a rilevare perlomeno il pr blema, generalmente “rimosso” dagli editori, della conclusioneabrupta del testo neimanoscritti (nel codice principale il testo dell’undicesimo libro delle Metamorfosièseguito immediatamente da lacuna, e il dettaglio non è segnalato da nessun editormoderno ad eccezione di Robertson; cfr. Pecere, “Qualche riflessione sulla tradiziondi Apuleio a Montecassino”, in O. Pecere & A. Stramaglia,Studi Apuleiani , Cassino2003, pp. 54-55 s., già in G. Cavallo ed., Le strade del testo , Bari 1987, pp. 99-124).

15 G. mi sembra condividere, in forma molto più analitica, un’opinione chanch’io tempo fa davo come semplice assunto, e cioè che in fondo uno scherzo norivelato ha la stessa efficacia di una propaganda religiosa non confermata (cf. Nicolini, Apuleio. Le Metamorfosi , Milano 2005, p. 52) . È proprio il fatto che l’autorenon possa verificare l’efficacia del suo gioco ironico o la soluzione, da parte del letre, del problema ermeneutico, il principale ostacolo alla cosiddetta interpretazionaporetica di Winkler (e ciò che provoca lo scivolamento semmai nell’interpretazionsatirica oggi più diffusa).

16 Sul metodo stilistico che condensa l’insegnamento fondamentale dell’esteticclassica, l’unione cioè didoceree delectare , G. ritorna nelle pagine conclusive, precisan-do appunto che il termine indica una modalità di scrittura, non un genere, una categorpiù libera e sovrapponibile, com’è ovvio, a molti testi. La circoscrizione del campodefinizione di σπουδογέλοιον, che giustamente G. definisce impresa difficile, non è sttamente necessaria ai nostri fini e qui forse si poteva soprassedere sulle distinzioni tr vari generi “seriocomici” in base al peso diverso che serio e comico assumono rispe vamente nella contaminazione. Allo stesso modo mi pare non necessaria e anzi forzl’assimilazione tra modello delSimposioplatonico e l’opera apuleiana (per non parlaredei confronti istituiti a partire da alcuni elementi lessicali nella descrizione di Lucio dinuto asino, tra l’asino stesso e la figura fisicamente grottesca di Socrate).

17 Molto materiale in questa sezione risale dichiaratamente a un ottimo studionon molto citato dalla critica apuleiana, di M. Massaro (“ Aniles fabellae”, inSIFC 49,

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(definizione data dall’autore alla favola di Amore e Psiche, da qui in poichiamata in aiuto all’interpretazione, ma naturalmente estendibile atutto il romanzo), G. si sofferma su alcuni caratteri di forme letterarie

apparentemente lontane dalle Metamorfosi , come il dialogo platonico,la satira oraziana, la favola di Esopo e Fedro, per mostrare l’elementocomune della natura serio-comica: l’uso dell’espressioneanilis fabula ,proiettato sullo sfondo di brani, in qualche modo analoghi, di autoricome Orazio, Fedro, Marziano Capella, viene visto come una sorta di“spia testuale” che rivela come dietro una storia gradevole e giocosapossa nascondersi un messaggio dell’autore: al lettore volonteroso ilcompito di estrarlo. La sezione, un po’ lunga e a volte restia a sottrarsialla spinta centrifuga rappresentata dalle possibili connessioni fra paro-le (penso soprattutto ai confronti lessicali istituiti con i dialoghi plato-nici: per dar ragione a G. non credo sia indispensabile leggere in chiaveplatonica le parole di Mithras), si chiude con l’esame dei due possibilimetodi di ricezione (superficialevsimpegnato) proposti implicitamen-te dallo stesso Apuleio. La conclusione, ormai ben chiara al lettore, èche Apuleio crea “una forma letteraria che, anche se va inserita a pienotitolo nel filone del romanzo antico, è caratterizzata anche da legamimolto forti con generi quali il dialogo filosofico e la satira” e come que-sti è segnata dalla compresenza di toni apparentementi contrastanti.E se sottolineare la compresenza di comico e serio nell’opera non è,come si è detto, una posizione nuova nell’ambito dell’ermeneutica apu-leiana, ottima è la conseguenza che ne scaturisce: certamente una novi-tà, contro le interpretazioni degli ultimi dieci anni, è l’affermazione(che chi scrive sposa in pieno) che in nessun modo l’alternativa a un’in-terpretazione seria è la lettura delle Metamorfosicome “satira della cre-dulità religiosa”. La scelta non è tra una lettura satirica e una lettura

“seria”, ma piuttosto tra una lettura disimpegnata, puramente “edoni-stica”, legata per natura al genere narrativo, e l’alternativa, possibile manon certo imposta, che dal divertimento fa emergere significati moralio filosofico-religiosi; significati ai quali non si deve comunque lasciaretroppo spazio. Il rischio di esagerare nell’attribuzione di significati sim- __________________ 1977, pp.104 -135), ma anche qui si osservano contributi originali di G. sia nella dis-cussione di alcuni passi, sia nell’aggiunta di qualche elemento nuovo (una nuova testi-monianza in Filostrato, la ridefinizione del concetto di fabulae per Quintiliano).

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bolici è tutto del lettore e soprattutto va a discapito della priorità asso-luta del genere narrativo che ovviamente non può essere la stessa che haun dialogo platonico o una satira oraziana. Questo “rovesciamento

delle priorità” è l’elemento chiave per interpretare in modo equilibratole differenze irriducibili tra generi giustamente chiamati a confronto enei quali si sono pure rinvenute tante analogie, ma che restano appun-to generi diversi.

C AP. 3 METAMORFOSI DEI GENERI

Generi a confronto costituiscono anche il nucleo del terzo capitolo,

dedicato all’esame dei modi in cui il romanzo, per sua caratteristicanaturale, sconfina in forme narrative in qualche modo contigue. Laprima parte riprende l’idea del possibile accostamento delle Metamorfosiai dialoghi socratici, prendendo a spunto i capitoli intro-duttivi del romanzo e poi proprio il nome di Socrate attribuito da Apuleio al personaggio della favola narrata da Aristomene. Se a chi scri- ve avevano già destato qualche perplessità i punti di contatto “fisici” dicui si è detto sopra, meno discutibili possono apparire le analogie situa-zionali chiamate in causa tra il Fedro platonico e il racconto apuleiano(l’atto di coprirsi la testa per l’imbarazzo, l’ambientazione della scenafinale sotto un platano – entrambe scene segnate da rovesciamentoparodico –, una discussione a monte sulla veridicità del racconto, certemovenze di Lucio irretito dalla curiosità e dai giochi intellettuali), restacomunque poco chiaro il fine ultimo di questa supposta operazione:che ci sia una relazione precisa e voluta tra l’atteggiamento di Lucio e ilSocrate platonico, una relazione “preparata fin dai primi capitoli delromanzo”, non mi sembra ipotesi particolarmente convincente, né

molto produttiva. A me sembra che gli elementi su cui tale ipotesi sipuntella siano troppo generici per affermare che “siamo di fronte ... aduna estremizzazione e reinterpretazione dei tratti paradossali già tradi-zionalmente presenti nella figura di Socrate”; e poi, a che fine? il letto-re avrebbe riconosciuto il modello di tali somiglianze? avrebbe maiinteso tutte queste possibili implicazioni? Il fatto poi che si possa indi-care, anzi sia già stato indicato, un ulteriore possibile contatto nell’uti-lizzazione stessa del nome di Socrate in un racconto contiguo, produceun effetto di accumulo, di sovrapposizione, che genera in me più con-

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fusione che persuasione; che altri, come R. Thibau e più recentemente Warren Smith e Maynard Woods, abbiano già “notato di recente unarelazione ... tra il Socrate filosofo e l’omonimo protagonista del raccon-

to di Aristomene” (sia pure con deduzioni diverse) non aggiunge parti-colare valore al raffronto (nessuno degli studi citati giunge a conclusio-ni memorabili). Mi pare invece più probabile che Apuleio si sia sempli-cemente divertito a dare a questo sfortunato personaggio – che passa dauna disavventura all’altra anche, ma non solo, a causa della sua dissen-natezza – il nome del saggio per eccellenza, quasikat’antìphrasin. Quimi pare che G. sfiori quel pericolo dal quale lui stesso metteva in guar-dia nel capitolo precedente, e cioè quello di spingersi troppo oltre“cogliendo significati nascosti e corrispondenze con testi filosofici”.Ben più concreta la sua conclusione, che punta sulle caratteristiche diirresponsabilità dell’ascoltatore Lucio, una conclusione per la qualeperò il richiamo all’episodio del Socrate platonico preoccupato, lui sì, didivenire oggetto della derisione delle cicale, semplicemente non è indi-spensabile.

Risultati completamente diversi si ottengono quando si cavalca unconfronto già indicato dallo stesso Apuleio, quello tra Lucio e Odisseo;qui non c’è speculazione, è il romanzo, come riconosce lo stesso G., asuggerire delle prospettive interessanti, che lo studioso esplora con vivacità e completezza (con intelligenti incursioni nel campo dell’anali-si lessicale). Lo stesso brano con cui Apuleio allude all’Odisseasi prestafruttuosamente a un altro tipo di approccio, che conduce G. al raffron-to, a suo tempo idealmente impostato da G.F. Gianotti, con la fraseo-logia e i criteri del racconto storiografico: decisamente personale e sti-molante l’idea dell’inversione operata da Apuleio nella gerarchia tradi-zionale dei due criteri di verità imprescindibili nel racconto storico,

ὄψις e ἀκοή. Che il racconto “pretenda” di essere vero, e il narratore spreoccupi continuamente di spiegare a unlector scrupulosuscome sia venuto a conoscenza dei fatti, che insista sui criteri di verità adoperati(criteri “scientifici” usati dagli stessi storici!) e che poi questi stessi cri-teri si rivelino ingannevoli è paradosso terribilmente in linea con lo spi-rito apuleiano.

Se Lucio è uno storico incompetente, Apuleio è un maestro della nar-razione “teatrale”: l’ultimo genere letterario preso come punto di riferi-mento è appunto il teatro. Riallacciandosi ad alcuni elementi del prolo-

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go, in cui è evidente il cortocircuito tra oralità e scrittura (una dialetticasu cui ha indagato, nel recenteCompanion sul prologo, D. Fowler e chein parte è ripresa nella stessa sede anche da A. Kahane), G. riprende il

confronto tra i sensi (vedere e sentire), dal punto di vista dellettore/ascoltatore. Che il racconto apuleiano miri continuamente allaspettacolarizzazione del narrato è innegabile: la stessa forma ipertroficadella lingua, delle descrizioni ne è un elemento importante; G. si soffer-ma in particolare sugli elementi linguistici che rimandano alla perfor-mance teatrale, suggeriscono una rappresentazione; come aveva giàsostenuto Fowler, le Metamorfosiesistono come testo scritto tra le manidel lettore, ma questo lettore è continuamente sollecitato a parteciparealle avventure che legge come se si trovasse presente davanti ad esse18 . A confermare questa teatralità del romanzo come strategia narrativa G. faseguire l’esame di alcuni passi precisi, in parte già utilizzati da Fowler, ilpiù interessante dei quali è certamente l’ultimo ( Met . 10, 2, 4), il piùesplicito nell’additare il modello del teatro, e al quale G. si riallaccia perporre infine all’attenzione del lettore la sovrapposizione più importante,generata dall’ambiguità semantica del termine fabula(adatto sia alla nar-razione in prosa sia alle opere teatrali), certamente non dovuta al caso.

C AP. 4 GRECIA , R OMA , A FRICA

Se il confronto con gli altri generi letterari e l’analisi dei possibilisignificati, mira a delineare l’identità letteraria di un testo, molti altrisono gli elementi da prendere in considerazione quando se ne vuoledefinire “l’identità culturale”; tanto più nel caso di un autore provincia-le, ma grande viaggiatore e personalità celebre in patria e fuori, africano

__________________ 18 Su ciò mi trovo in generale d’accordo, sebbene non condivida l’interpretazio-

ne di ogni singolo dettaglio: ad esempio attribuisco un valore puramente grammati-cale, e non marcato, stilizzato, all’uso frequente dicerneres(in 4, 14; 7, 13; 8, 17; 8,28), per me semplicemente un’espressione, normativa, dell’impersonale, e non una vera e propria apostrofe con cui Apuleio si rivolgerebbe al lettore “dicendogli che, sefosse stato presente agli avventimenti narrati, avrebbe potuto vedere ...”. Invece mi hamolto colpito il possibile doppio senso che può evincersi dall’interpretazione “teatra-le” dell’espressionead librum proferre.

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perfettamente trilingue, che rielabora un’opera di origine greca, ma cer-tamente romanizzata, il cui protagonista è un greco la cui storia si con-clude a Roma.

Giustamente G. prende le mosse dal confronto, che ci si aspetta,con la possibile fonte greca (o meglio con gli indizi che sulla fontegreca possiamo derivare dall’addizione Metamorfosi+ Onos pseudolu-cianeo). Le scelte operate da Apuleio nelle modifiche di alcuni ele-menti geografici, specificamente l’ambientazione indefinita dei libricentrali e l’introduzione di Corinto come punto di partenza e idealeconclusione delle peregrinazioni di Lucio, non sembrano effettivamen-te un fatto neutro e richiamano l’attenzione del commentatore: la pre-ferenza per Corinto, in particolare, è ampiamente discussa da G. che,rispetto alle motivazioni finora addotte dalla critica apuleiana (noto-rietà della città, suo valore simbolico come presenza in essa del cultoisiaco), offre qualche ragione in più nell’ottica appunto dell’identitàculturale; ripercorrendone la storia, G. mette in evidenza una caratteri-stica importante della città di Corinto e finora passata sotto silenzio: acausa delle sue vicende (fino al cruciale 146 a. C., ma anche gli eventisuccessivi alla trasformazione in colonia romana), la città dovette rap-presentare un potente simbolo ambivalente di identità per Greci eRomani, ma anche una sorta di ponte culturale nei rapporti tra Greciae Roma; e nel processo di “appropriazione culturale” che segna in partel’operazione apuleiana, Corinto diventa quasi un simbolo di relazionee di mediazione.

Su quanto poi la mediazione debba essere intesa come “romanizza-zione”, G. si sofferma nei capitoli successivi che devono molto alleriflessioni di G. Rosati e S. Harrison (cfr. rispettivamente “Quis ille?Identità e metamorfosi nel romanzo di Apuleio”, in M. Citroni ed.,

Memoria e identità. La cultura romana costruisce la sua immagine ,Firenze 2003, pp. 267-296; e Apuleius. A Latin Sophist , Oxford 2000),condivise in gran parte ma con qualche puntualizzazione; più critica,credo a ragione, la posizione nei riguardi dello studio piuttosto noto diK. Dowden, “The Roman Audience ofThe Golden Ass”, (in J. Tatum,ed.,The Search for the Ancient Novel , Baltimore-London 1994, pp. 419-434): in gran parte condivisibili i controargomenti opposti agli ele-menti che Dowden elenca come indizi pesanti di una prospettivaromanocentrica; ne deriva che difficilmente si può (con Dowden) rite-

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nere probabile una stesura dell’opera a Roma intorno alla metà del secolo19 .

Se una prospettiva pienamente romanocentrica è rifiutata da G., pe

il quale anche il pubblico romano è un pubblico privilegiato – questoinnegabile, dato il grado di allusività di alcuni toponimi e altri termispecifici e riferimenti culturali più immediatamente perspicui ai cittadni dell’Urbe che agli stranieri anche colti – ma non esclusivo, certamete insostenibile è la prospettiva “africana” (ed eventualmente polemiccontro l’autorità centrale) di R. Summers, alla quale forse si poteva cocedere uno spazio minore; mi trovo poco d’accordo anche sugli altri elmenti che secondo G. potrebbero giocare a favore di una “prospettivprovinciale”20 . D’altra parte mi sembra ineccepibile la conclusione di Gche vale tanto per la natura del romanzo quanto per quella del suo pub blico, secondo cui, fatte salve le differenze di genere, il romanzo è questo punto di vista assimilabile alle pubbliche esibizioni del retorMadaurense: così come per quelle, infatti, anche per le Metamorfosi Apuleio sembra prevedere un pubblico trasversale. È una conclusionche in fondo ricalca le conclusioni di G. sull’interpretazione generadell’opera. Nella misura in cui tutte le possibili allusioni letterarie, esignificati simbolici o filosofico-religiosi del romanzo sono pienamencomprensibili solo da un’élite colta e selezionata – ma ciò non toglie cun pubblico più vasto possa godere della lettura disimpegnata e puramente edonistica–, lo stesso ragionamento può simmetricamente vale

__________________ 19 Sulla collocazione cronologica dell’opera comunque G. non si sofferma più

lungo (fatta eccezione per l’accenno al più noto degli argomenti in favore di una datzione tarda, quelloex silentioderivato all’assenza di una sua menzione nell’ Apologia),e del resto ciò non è strettamente necessario ai fini della discussione.

20 Più precisamente rovescerei l’importanza attribuita ai due esempi chiamati icausa: che l’atteggiamento del soldato di 9, 39 possa valere come simbolo di un potre arrogante e brutale (così come in una prospettiva dialettica Romavsprovince fun-ziona l’insistenza sulla differenza linguistica tra i due personaggi dell’episodio) è idcondivisibile; ma l’idea, suggerita da Finkelpearl, che il personaggio di Carite rappsenti una sorta di “Didone rovesciata” che idealmente restaura l’etica dell’eroina ctaginese proteggendola dalle “maldicenze” virgiliane, mi pare poggiare su basi vemente fragili (le reminiscenze virgiliane nell’episodio della disperazione di Carite socertamente notevoli, ma esse agiscono a livello letterario più che strutturale e contnutistico, Didone cioè non costituisce certamente il modello dell’intero episodio).

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re per la definizione “geografica” di questo stesso pubblico: i riferimen-ti puntuali agli usi, alle istituzioni, a spazi e luoghi del mondo romanosaranno stati pienamente apprezzabili solo dai cittadini di Roma, ma

nulla di tutto ciò rendeva inaccessibile il romanzo a un pubblico piùampio. Quello che probabilmente aveva in mente il retore che volevapiacere.

Come a questo punto penso sia evidente dalla mia non troppo sinte-tica rilettura, questo volume di G. ha il merito indiscutibile di offrire unapanoramica completa di tutti gli aspetti e i problemi legati al romanzo di Apuleio, ponendosi di fronte a ciascuno di essi con grande senso critico

e competenza bibliografica e offrendo in molti casi spunti nuovi e degnidi riflessione. Sulle alternative cruciali poste dal testo, G. intervienesempre con un equilibrio e una lucidità che quasi inevitabilmente por-tano il lettore a concordare con lui. Talvolta gli si può forse rimprovera-re un eccessivounderstatement , che lo spinge ad esempio a cercare trop-po il supporto (o il consenso) di studiosi a lui precedenti, e a presenta-re le proprie idee nuove con troppa cautela; talvolta poi l’affollamentodelle opinioni riportate, necessariamente non tutte di eguale valore, e lapuntigliosa analisi di queste anche nelle ricchissime e lunghe note,rischia di distrarre il lettore e di non far emergere con immediatezza laposizione di G., o meglio quest’ultima ha bisogno di essere più volterichiamata e sintetizzata (generalmente, secondo l’efficace tecnicaanglo-americana, all’inizio e alla fine della discussione). Non è certo unrimprovero a tanta puntigliosità: la critica nasce dalla convinzione chenel primo caso, gli studi, la competenza e l’esperienza acquisite attra- verso un percorso lunghissimo e denso di contributi valgano da soli a G.un’auctoritas che talvolta potrebbe fare maggior affidamento su se stes-

sa; nel secondo caso, invece, si difende il punto di vista del lettore che,in qualche caso, può trovarsi sviato dalle tante dotte divagazioni o dal-l’addensarsi dei riferimenti, e che preferirebbe sapere subito come lapensa l’autore (tutto questo naturalmente vale soprattutto quando laconclusione a cui si giunge non diverge molto dall’opinione diffusa).

Come si può dire per ogni saggio monografico, questo libro è utile estimolante soprattutto se letto nel suo insieme (e molte sono le ideeche si ricollegano tra loro pur nella trattazione di argomenti diversi,molti i richiami tra un capitolo e un altro), ma credo che esso si presti

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anche a un tipo di consultazione più desultoria: per questo motivosarebbe stato desiderabile, accanto all’indice degli autori citati, un indi-ce delle cose notevoli, almeno per gli argomenti e i punti di interesse

più dibattuti.Sull’ampiezza e l’aggiornamento della bibliografia è inutile aggiun-gere altro a quanto implicitamente detto sopra; sono in pochi a poter vantare in questo campo una competenza simile a quella di G., del cuicatalogo bibliograficoon-line costantemente aggiornato tutti gli studio-si apuleiani si servono. Un’ultima osservazione invece sul prezzo bas-sissimo del libro (16 euro!), decisamente irrisorio rispetto alla mole dilavoro e all’erudizione che vi sono profusi.

Infine, tra i pochi refusi da correggere in un’eventuale ristampasegnalo:

p. 65 consuetudine > mansuetudinep. 72 ad> dap. 77 Madaurese > Madaurensep. 111 preffigono > prefiggonop. 117 nenieae> neniaep. 126 sviscereare > sviscerarep. 152 fondamentalle > fondamentalep. 160 poterà> porteràp. 163 speso> spessop. 194 II secolo d.C. > II secolo a.C.p. 206 volgevano > svolgevanop. 206 argomenti potrebbero> argomenti che potrebberop. 221 n. 102 window > widow

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