Newsletter "In other Words" n.10/agosto 2012
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Transcript of Newsletter "In other Words" n.10/agosto 2012
N E W S L E T T E R M E N S I L E D I A R T I C O L O 3 - O S S E R V A T O R I O S U L L E D I S C R I M I N A Z I O N I
Agosto 2012 nº10
In Other Words NEWS
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza di-stinzione di sesso, di
razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizio-ni personali e sociali.
Costituzione della Re-pubblica Italiana,
Principi Fondamentali, Articolo 3
Indice:
Editoriale 1
Lo specchio 3
Il progetto 4
Approfondimento 6
“In Other Words “ è un progetto cofinanziato dalla Commissione Europea—DG Justice
Editoriale Nel mese di settembre di quest’anno cade il Capodanno ebraico (Rosh haShanah), un’importante ricorrenza religiosa per le comunità ebraiche di tutto il mondo. Purtroppo, sulle celebrazioni di una festa così ricca di significato, incombe, come sempre, lo spettro dell’antisemitismo. Un focolaio mai del tutto spento, che periodicamente divampa con vari gradi intensità e gravità. Su tutti, ricordiamo la strage di Tolosa, in Francia, in cui a perdere la vita sono stati anche dei bambini. In questi giorni, poi, ci ha pensato la comparsa di un filmato, o forse sarebbe meglio dire lo spezzone di un presunto film, The innocence of Muslims, a gettare benzina sul fuoco: qualcuno ha infatti pensato di diffondere immediatamente la (falsa) notizia che fossero stati degli ebrei a produrre questo controverso video. A voler essere (neanche troppo) maligni, il tempismo è veramente perfetto: a distanza di una settimana ricorrono l’attentato delle Torri gemelle (11 settembre) e il Rosh haShanah (16-17 settembre), ci mancava proprio un filmato chiaramente antislamico strumentalmente attribuito agli ebrei! Elena Cesari ci fornisce un’interessante analisi sulla situazione dell’antisemitismo in Europa, dove non mancano inquietanti esternazioni da parte di certi gruppi politici. Interessante è poi vedere quanto internet e i social network in particolare possano veicolare efficacemente l’odio (non è una novità), ma ciò che stupisce e preoccupa sempre è il colpevole disinteresse dei media ‘tradizionali’ nei confronti di un fenomeno così in crescita sul web. I giornali italiani, quando si occupano di antisemitismo, a quanto pare preferiscono puntare sul senso di paura, aumentare i pregiudizi e l’odio anziché combatterli. Historia magistra vitae. Ma, nel caso dell’antisemitismo, verrebbe proprio da chiedersi: cos’abbiamo imparato dalla storia? Maria Bacchi affronta il problema dell’insegnamento della storia, di come gli studenti nelle scuole vengano posti di fronte alla Shoah, dei metodi con cui certi contenuti vengono trasmessi. “Insegnare Auschwitz oggi” non è un compito facile, ma è necessario se vogliamo provare a difenderci dall’odio che ci circonda. L’antisemitismo sa assumere le forme più svariate, assurde e incoerenti: Angelica Bertellini ci istruisce sul consumo di carne secondo le regole dell’alimentazione ebraica (kasher), che prevede rigide regole atte a garantire il benessere degli animali destinati alla macellazione, l’uccisione limitando al massimo la sofferenza per le bestie, e non ultimo un consumo di carne moderato (“sostenibile”, per usare un termine di moda). Apparentemente, c’è chi riesce a trovare da ridire anche su questo!
Rocco Raspanti
Il progetto mira a formulare una risposta nei confronti della situazione attuale, in cui i media sono spesso veicoli per la diffusione degli stereotipi, e a contribuire al miglioramento del mes-saggio mediatico, in particolare rispetto alla rappresentazione che esso fornisce delle minoranze etniche e religiose, delle persone con disabilità e degli appartenenti alla comunità Lesbica-Gay-Bisex-Trans. Capofila del progetto: Provincia di Mantova Partner: Articolo 3, Intercultural Institute of Timisoara (Romania), Eurocircle (Francia), Dipu-taciòn Provincial de Jaen (Spagna), IEBA (Portogallo), Fundaciòn Almeria Social y Laboral (Spagna), Tallin University (Estonia). Il progetto prevede la creazione di una redazione locale in ogni Paese, dedita al monitoraggio dei media, ad attività di ricerca e decostruzione degli stereotipi e ad un lavoro di rete con gior-nalisti e professionisti dei media, scuole e università, organizzazioni della società civile. Per saperne di più: www.inotherwords-project.eu
“In Other Words”: un progetto europeo contro la discriminazione nei media
L’Agenzia per i Diritti Fondamentali della UE con sede a Vienna promuove un’indagine per conoscere la diffusione e le problematiche legate all’antisemitismo in nove Paesi (Belgio, Francia, Germania, Italia, Lettonia, Romania, Svezia, UK e Ungheria). Le rilevazioni, affidate allo Institute for Jewish Policy Research Institute, proseguono fino al 30 settembre.
Altre info su Moked.
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In Other Words NEWS
La newsletter si pubblica ogni mese a Mantova (Italia), Jaen (Spagna),
Almeria (Spagna), Mortagua (Portogallo),
Marsiglia (Francia), Timisoara (Romania) e Tallín (Estonia) con il
sostegno della Direzione Generale Giustizia della Commissione Europea.
L’edizione di Mantova è coordinata da Articolo 3,
Osservatorio sulle discriminazioni
Dopo Auschwitz: tra educazione e insegnamento della storia
N el 1969 Theodor Adorno, a poco più di vent’anni dalla chiusura dei lager nazi-sti, scrive un breve saggio dal quale, oggi più che mai, io non credo si possa pre-
scindere parlando di educazione contro l’antisemitismo: Educazione dopo Auschwitz. Adorno, sociologo e filosofo ebreo, esule negli Stati Uniti durante il nazismo, esordisce con questa riflessione:
Ed è sul soggetto, appunto, sull’individuo, sul singolo caso che io credo vada puntata l’attenzione per educare contro l’antisemitismo, il razzismo e ogni forma di violenza. Ma cosa significa per la scuola e per le istituzioni in generale oggi ‘educare dopo Auschwitz’?
Il rapporto annuale di Articolo 3 di anno in anno dedica molte pagine all’analisi di co-me la stampa locale parla di storia e dà conto delle iniziative istituzionali che celebrano le date che scandiscono il calendario ‘civile’ del nostro paese. Ogni anno più di mille articoli, solo per la stampa lombarda, la maggior parte dei quali è dedicata al Giorno della Memoria che in Italia cade il 27 gennaio, anniversario dell’apertura dei cancelli di Auschwitz. In Lombardia, come in molte altre regioni italiane, l’investimento principa-le è rivolto all’organizzazione dei ‘viaggi della memoria’ che accompagnano studentesse, studenti, lavoratori a visitare i lager nazisti. Ogni anno visitano Auschwitz circa un mi-lione e mezzo di persone, in gran parte giovani è lecito supporre, se oltre 1500 ragazzi partono ogni anno solo da Milano. Il contatto con i luoghi della sofferenza e del massacro di ebrei, sinti, rom, oppositori politici, omosessuali, disabili può essere un’esperienza che cambia la visione della vita, o almeno della storia, come vorrebbero gli organizzatori? In genere studentesse e stu-denti sono preparati a questa esperienza: incontri con testimoni, film, lezioni di storia, letture. Sono sempre accompagnati da adulti: non sempre sono coloro che li hanno preparati, non sempre sono i loro insegnanti di storia, qualche volta sono con loro so-pravvissuti ai lager, sempre ci sono rappresentanti delle istituzioni. I gruppi sono sem-pre numerosissimi, composti da centinaia di persone. Abbastanza spesso i media chie-dono ai ragazzi ‘reportage’ dei loro viaggi; sempre più spesso li si sollecita a fornirli in ‘tempo reale’ o addirittura li si accompagna con telecamere che immortalano la loro esperienza. Conoscenza, emozione, prestazione, confusione rischiano di accavallarsi e
“L'esigenza che Auschwitz non si ripeta è in assoluto la prima in campo educativo. Precede di tanto qualsiasi altra esigenza che credo non sia necessario né doveroso giustificarla. Doverla giustificare avrebbe qualcosa di mostruoso al cospetto di quel che di mostruoso accadde. […] Se nel principio di civilizzazione trova il suo fondamento anche la barbarie, allora esso possiede qualcosa di disperato contro cui dobbiamo insorgere. […] Poiché la possibilità di cambiare i presupposti obiettivi, cioè sociali e politici, che covano tali eventi è oggi limitata nel modo più estremo, i tentativi di contrastarne la ripetizione devono necessariamente spingersi in direzione dei soggetti.
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interferire anche nella mente e nel cuore dei giovani più volonterosi. Personalmente mi è capitato di seguire 400 ragazzi in viaggio al lager di Natzweiller. Avevano ricevuto, mi è stato detto, una preparazione seria. Li intervistavo solo se loro stessi mi autorizzavano a farlo. Un gruppo di una decina di giovani ha dichiarato di provare emozioni bellissime guardando la bandiera nazista, di ammirare Mussolini e Hitler, di detestare gli stra-nieri, gli omosessuali e gli ebrei. Detestavano soprattutto qualche inse-gnante di storia dal quale erano stati puniti perché avevano gridato -dicono per scherzo- viva il Duce. L’intervista è stata pubblicata sulla
Newsletter di Articolo 3 del 28 luglio 2009. E qui sta uno dei nodi: si possono trasmettere contenuti che dovrebbero mirare al cuore della formazione demo-cratica e civile con metodi autoritari? Chi può ‘insegnare Auschwitz’? Solo un insegnante che abbia riflettuto su se stesso può educare all’autoriflessività. Educarci all’auto-riflessione critica: è questo è l’invito, l’imperativo anzi, che sta alla base di tutto lo scritto di Adorno. Provo qui a sintetizzarlo con estrema schematicità: -Distogliere dal colpire verso gli altri senza aver riflettuto su se stessi. -Educare al principio di autonomia, in opposizione all’eteronomia, alla sottomissione a ciò che è più forte come norma, all’autorità. - Educare alla non identificazione cieca con la collettività, al rifiuto delle pratiche di iniziazione come tributo all’appartenenza al gruppo; al non fare ciò che fanno gli altri. - Praticare la vigilanza contro ogni azione violenta sul corpo. -Educare al riconoscimento della paura in opposizione all’educazione alla virilità insensibile al dolore. -Opporsi alla reificazione dell’altro, visto come cosa in nome del culto della tecnica e dell’efficienza. -Contrastare la freddezza nei confronti degli altri : aiutare la freddezza a prendere coscienza di se stessa, delle ragio-ni per cui si è formata ( il calore di cui l’infanzia ha bisogno non può rispondere all’imperativo ‘si deve’, se non al prezzo dell’ideologia che perpetua la freddezza). - E’ necessario accompagnare i giovani e la società verso la comprensione delle condizioni storiche, del gioco delle forze sociali che si trova sotto la superficie delle forme politiche che hanno reso possibile lo sterminio. Primo Levi ha scritto che la comprensione della Shoah è impossibile ma la sua conoscenza è necessaria. Allora bisogna studiare molta storia, leggere molta letteratura, ascoltare tanti racconti, non temere nessun interrogativo nasca dentro di noi e nei ragazzi con i quali lavoriamo. Avere fiducia nel dialogo e nella ricerca. Occorre rompere anche la stupida equazione, che troppo spesso gli insegnanti stabiliscono, fra memoria/emozione, storia/ragione. La passione per la storia è passione per gli esseri umani e le loro vicende; i documenti sono le tracce del loro pas-saggio, a volte terribile, nella vita: fotografie, diari, lettere, atti processuali, circolari, leggi parlano di uomini, don-ne, bambini e ci permettono di stabilire un dialogo tra passato e presente. Ogni città europea, ogni villaggio, spes-so, sono stati la scena della vita di donne, uomini, bambini ebrei; e poi della loro esclusione dai diritti; e poi della loro ricerca di vie di salvezza o del loro sterminio. In ogni città o villaggio d’Europa possiamo cercare le tracce di chi ha perpetrato il crimine, del perché e del come lo ha fatto; e di chi ha assistito indifferente. Ma anche di chi si è opposto e ha contribuito alla salvezza dei vicini di casa, dei colleghi d’ufficio, dei compagni di scuola. Insegnare Auschwitz oggi potrebbe anche voler dire chiederci ogni giorno cosa avremmo fatto noi; cosa non avremmo visto; quali discriminazioni e quali violenze tutti i giorni non vediamo oggi. La storia è un percorso appassionato e ragio-nato tra passato e presente che si snoda anche tra le vie delle nostre città.
Maria Bacchi
Una questione di sfumature, o della macellazione rituale
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Agosto 2012 nº10
Lo specchio
Le persone che professano queste fedi si cibano della
carne di alcuni animali, mentre altri sono vietati
(come, ad esempio, il maiale, per entrambi) e la ma-
cellazione di quelli consentiti deve essere fatta se-
guendo i precetti contenuti nella Torah (i primi cin-
que libri dell’antico testamento biblico, comune ai
cristiani) e nel Corano. Sarebbe assai riduttivo co-
stringere il complesso di norme alimentari entro i
confini della macellazione: sia musulmani sia ebrei,
infatti, raccolgono dai millenari Testi sacri molte
indicazioni che oggi gli alimentaristi consigliano; ma
neppure questo è tutto, perché – con riferimento agli
animali – le due culture parlano chiaro: il consumo
etico di carne è uno dei pilastri comportamentali
dell’essere umano. L’articolata regolamentazione
delle alimentazioni kasher e halal è tale anche per
limitare il consumo di carne allo stretto necessario ed
è molto chiara anche sul rispetto che è dovuto agli
animali. Sia la Torah, sia il Corano insistono sul
trattamento rispettoso degli animali, tutti, non solo
quelli che aiutano l’essere umano. Per queste ragioni
è bandita ogni forma di maltrattamento, perché la
qualità di vita dell’animale, anche quando destinato
all’alimentazione umana, deve essere buona; vietata
è anche qualunque forma di uccisione che non sia ai
diretti e soli fini dell’alimentazione. Si tratta, in sin-
tesi, di due sistemi che esprimono grande rispetto
per gli animali e che nella ritualità della macellazio-
ne impongono, per le medesime ragioni, che la soffe-
renza sia il più possibile limitata (a partire dal tra-
sporto, si badi). Ci sono anche ragioni pratiche, oltre
che etiche: la sofferenza induce l’organismo alla pro-
duzione di sostanze che permeano nei tessuti e pos-
sono essere potenzialmente nocive per chi poi se ne
ciberà. Gli addetti alla macellazione sono persone
Assume spesso sfumature antisemite e islamofobe il
movimento di opposizione alla macellazione rituale,
così come la prevedono le due confessioni.(1)
Le ragioni su cui tale opposizione poggia sono so-
stanzialmente due, che di volta in volta si sovrap-
pongono, si danno manforte, assumono più o meno
peso a seconda di chi se ne fa portavoce. Da un lato,
le motivazioni animaliste; dall’altro, quelle igienico-
sanitarie e burocratiche. Sotteso a entrambe le moti-
vazioni, il caro vecchio adagio della ‘civiltà’, la ma-
schera dietro la quale da sempre si nascondono for-
me più o meno evidenti di razzismo o astio interetni-
co.
Il dibattito ha assunto proporzioni notevoli. Il web
pullula di gruppi di opposizione alla pratica: gruppi
Facebook come Macellazione rituale: disapprovando
la macellazione in stato cosciente, o come Stop ma-
cellazione halal, tra i cui ben quindici membri figu-
rano gli esponenti della Lega Nord di Mantova e
provincia; siti di organizzazioni animaliste, petizio-
ni, raccolte firme. Ma la discussione è accesa anche
all’interno dei Consigli comunali e provinciali; e sui
giornali, che di questa diatriba danno notizia.
Percependo il pericolo di deriva islamofoba e antise-
mita di tali posizioni, Articolo 3 ha prodotto, per
mano di Angelica Bertellini, alcune riflessioni in ma-
teria di macellazione rituale, quali elementi di deco-
struzione e approfondimento dell’opposizione a tale
pratica.
Dal sito chiliamacisegua.org
La Repubblica Parma, 24 agosto 2010
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Agosto 2012 nº10
esperte, figure non frequenti, altamente preparate e
sottoposte a periodici controlli e verifiche, così come
prevedono i Testi sacri.
Nel nostro Paese la macellazione rituale è normata
dal decreto legislativo 333/98 (attuazione della diret-
tiva 93/119/CE relativa alla protezione degli animali
durante la macellazione o l’abbattimento) e dal de-
creto ministeriale dell’11 giugno 1980
(autorizzazione alla macel-
lazione degli animali secon-
do i riti religiosi ebraico e
islamico). A questi sono
sottese le norme che sanci-
scono l’uguaglianza tra le
persone e parimenti il dirit-
to a professare la propria fede e a non subire tratta-
menti discriminatori sulla base di questa.
Il dibattito sui diritti degli animali è finalmente al
centro dell’attenzione in Europa e nel nostro Paese,
e questo non può che far piacere a chi nutre un sen-
timento religioso che raccoglie anche il totale rispet-
to per tutte le creature. Sono numerosi gli studi ri-
volti alla valutazione strumentale del dolore prova-
to dagli animali al momento della macellazione e a
trovare il metodo che più possa preservarli non solo
dall’algia, ma anche dallo stress causato dal traspor-
to, dal luogo e contesto, dal contenimento. I risulta-
ti degli studi non possono essere citati in modo ap-
prossimativo, né tantomeno omettendo parte di essi
quando riportano dei danni all’animale causati da
alcune pratiche di stordimento ancora in uso; ne va
della loro scientificità e per questo si rinvia agli ap-
profondimenti consigliati.
Questa considerazione, che a molti può sembrare
ovvia, è invece del tutto ignorata da chi – almeno
dal 2008 ad oggi – sta proponendo sia in sede parla-
mentare, sia nei Consigli degli Enti locali (tra cui
quello della regione Lombardia e della provincia di
Mantova), di imporre lo stordimento preventivo,
pratica che inficerebbe la macellazione rituale. Spia-
ce rilevarlo, ma basta leggere le imprecise mozioni
proposte per coglierne la fumosità delle argomenta-
zioni; una volta, poi, affiancate alle pratiche di alle-
vamento e uccisione prevalenti (e legali), poco lucide
sotto il profilo dell’etica, si palesa il fondamento pre-
testuoso.
Se davvero si ha a cuore la tutela dell’animale desti-
nato alla macellazione, allora è necessario attuare
un percorso serio che metta al riparo da possibili
discriminazioni e che dunque coinvolga tutte le pra-
tiche di uccisione, così come tutte le pratiche di alle-
vamento e trasporto. In caso contrario, si tratta di
misure volte alla stigmatizzazione di un gruppo, de-
finito su base religiosa, che non hanno alcuna effica-
cia normativa (gli Enti locali non possono legiferare
su questa materia), ma ottengono l’effetto di diffon-
dere informazioni sbagliate e pregiudizi facili al raz-
zismo, e creano un clima di diffidenza reciproca.(2)
Angelica Bertellini
NOTE:
1. Per una buona bibliografia sull’argomento cfr. il sito di OLIR (Osservatorio sulle libertà ed istituzioni religiose), in particolare: http://www.olir.it/areetematiche/42/; la discussione si è riaperta di recente a seguito della mozione proposta in Consiglio regionale da parte della Lega Nord, documento non approvato anche grazie all’intervento dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane (vedi Newsletter n°35). Un ricco dossier sulla macellazione ritu-ale è nel mensile Pagine ebraiche, novembre 2011.
2. Rapporto 2011 di Articolo 3, pp. 44-46.
Gazzetta di Mantova, 15 ottobre 2011
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Agosto 2012 nº10
Approfondimento L’antisemitismo oggi
L'antisemitismo è sicuramente uno dei fenomeni più
complessi e multiformi del nostro tempo. L'identità
stessa del popolo ebraico si è andata formando nei
secoli in stretto rapporto con l'odio antisemita[1].
Questo articolo si limita a delineare alcune forme
dell'antisemitismo contemporaneo diffuso attraverso i
media, in particolare internet. Dopo la seconda guerra
mondiale e la Shoah, le teorie naziste sull'inferiorità
razziale degli ebrei sono state sostituite da forme più
subdole di antisemitismo, di volta in volta mascherate
da opinioni storico-politiche [2].
In Europa e in Italia l'antisemitismo è caratteristica
saliente dell'ideologia delle nuove ed emergenti forma-
zioni di estrema destra. L'odio per gli ebrei di questi
gruppi si lega ad un più generale rifiuto del multicultu-
ralismo e del mondialismo. I programmi delle destre
estreme, infatti, puntano a scaricare la responsabilità
della crisi economica che stanno attraversando gli stati
europei sullo straniero, di volta in volta ebreo, arabo o
musulmano. In Italia ad esempio, secondo studi recen-
ti, antisemitismo ed islamofobia non sono in conflitto
fra loro, anzi si alimentano entrambi del sospetto e
della paura verso lo “straniero in casa propria”. Dopo i
drammatici eventi dell'11 settembre 2001, i musulma-
ni vengono visti come potenziali cospiratori ed attenta-
tori della sicurezza della patria, in modo similare agli
ebrei, da secoli vittime del pregiudizio complottista
d'origine cristiana. Questo 'sodalizio' fra islamofobia
ed antisemitismo non è caratteristica solo italiana. In
Ungheria il partito xenofobo, ultraconservatore cristiano
Jobbick è cresciuto negli anni, fino a diventare il terzo par-
tito del Paese. Nel 2009 un rappresentante di questo par-
tito dichiarò: “L’antisemitismo non è solo un nostro dirit-
to, ma è un dovere di ogni ungherese amante della patria
e dobbiamo organizzarci per combattere contro gli ebrei”.
In Grecia il 6 maggio di quest'anno ha fatto ingresso in
Parlamento il partito di estrema destra, antisemita e xeno-
fobo, Alba Dorata: “Siamo tutti ebrei greci”. Iniziativa antiraz-
zista in Europa (Repubblica, 28/5). L'eventualità che in
tempi di crisi vecchie ideologie razziste attecchiscano nuo-
vamente nell'opinione pubblica e minaccino la democrazi-
a e il rispetto della dignità umana in Europa non sembra
dunque così remota.
Accanto all'antisemitismo delle destre neonaziste crescono
in Europa focolai di antisemitismo legati ai gruppi estre-
misti islamici. Si tratta di un odio che in Europa rischia di
far presa soprattutto nelle periferie delle città e che vede
più vulnerabili i giovani delle cosiddette seconde genera-
zioni di immigrati. Sullo sfondo vi è il conflitto israelo-
palestinese che alimenta ovunque nel mondo la radicaliz-
zazione delle identità e della violenza. E’ in particolare la
Francia, il paese europeo che ospita la più numerosa co-
munità ebraica (600.000 persone) e la più numerosa co-
munità musulmana (circa 6 milioni di persone), a seguito
della strage di Tolosa del marzo scorso nella quale furono
uccisi tre bambini e un professore di religione davanti alla
sinagoga, ad essersi improvvisamente scoperta esposta allo
scoppio di una violenza antisemita estrema. La risposta
della politica a questa violenza stenta ad aprirsi ad un con-
fronto aperto, che non si limiti da un lato alla repressione
degli estremisti e dall'altro alla rassicurazione dell'opinio-
ne pubblica: Francia, il dibattito incompleto sulla strage di
Tolosa (Limes, 5/4). La stampa ha raccontato di uno sven-
tato attentato contro una sinagoga anche in Italia, a Mila-
no. Ancora una volta, i quotidiani hanno preferito fare
appello alle paure e ai pregiudizi nei confronti di tutte le
persone di fede musulmana, piuttosto che alla responsabi-
lità individuale di ogni cittadino nel vigilare affinché nes-
suna forma di antisemitismo trovi spazi - nella società rea-
Approfondimento Agosto 2012 nº10
Pagina 7
le come in quella virtuale[3].
L’antisemitismo si nasconde spesso anche dietro
l’etichetta di antisionismo, un insieme di argomenta-
zioni che, interpretando in maniera ideologica il con-
flitto israelo-palestinese, tendono a giustificare l’odio
per gli ebrei. Partendo dal presupposto che il governo
dello Stato d'Israele rappresenti tutti gli ebrei israeliani
e del mondo, questo genere di discorso antisemita
trasferisce l'opposizione alle politiche di questo Stato,
o allo Stato stesso, a tutti gli ebrei in quanto ebrei,
indipendentemente dalle loro idee politiche. E' altresì
vero che la relazione Israele-popolo ebraico non è solo
alla base di alcune argomentazioni antisemite, ma an-
che del pensiero di diversi ricercatori e personalità del
mondo ebraico[4]. Infatti, da una parte vi sono studio-
si (forse una minoranza) come Pierre Vidal-Naquet –
che considerano legittime sia le critiche e l'opposizione
al governo israeliano, sia le posizioni antisioniste che
non degenerano in antisemitismo[5]; dall’altra, pensa-
tori come Pierre-Andrè Taguieff ritengono che l'anti-
sionismo e l'opposizione ad Israele siano in sé già for-
me di antisemitismo [6].
L'unico dato sul quale la maggior parte degli studiosi
dell'antisemitismo contemporaneo concorda è la pre-
minenza di internet ed in particolare dei social
network nella diffusione di queste nuove ‘opinioni’
antisemite[7]. Negazionismo, revisionismo, presunta
responsabilità degli ebrei nella crisi economica attuale,
teorie complottiste: questo l'armamentario ideologico
dell'antisemitismo via web. L'anno scorso Facebook
(che per ironia della sorte fu creato proprio da uno
studente ebreo di Harvard, Mark Zuckerberg, nel
2004) ha rifiutato di chiudere le pagine del network
nelle quali si negavano (e si negano) espressamente la
Shoah ed i campi di sterminio nazisti, nonostante le
proteste di un gruppo di sopravvissuti. “Pensiamo sia
importante mantenere una coerenza nelle nostre poli-
tiche che non proibiscono generalmente alla persone
di fare affermazioni relative ad eventi storici, indipen-
dentemente da quanto siano ignoranti queste afferma-
zioni e terribili questi eventi”: queste le parole con le
quali i gestori di Facebook hanno liquidato lo sterminio
nazista. La Shoah è presentata come “una menzogna” ed
Auschwitz come “un'impostura” dal blog negazionista Olo-
truffa, che si rifà direttamente al negazionismo di Robert
Faurisson.
Ma uno dei siti internet più accesamente antisemiti è Hol-
ywar, che riprende e amplifica ideologie e pregiudizi anti
ebraici antichissimi (come l'accusa di “deicidio”) e moder-
ni (come la leggenda dell'esistenza di una lobby ebraica
che controllerebbe il mondo).
Recentemente Holywar ha pubblicato una lista con i no-
mi di 163 docenti (26 dei quali italiani) “colpevoli” di
essere ebrei e accusati di “collaborare con l'intelligence
israeliana”: Lista nera di docenti italiani sul sito neonazi
“Holywar”. “Collaboratori di Israele” (Il Fatto Quotidiano,
20/3). Stormfront, social group nato in America negli anni
‘90, è uno degli strumenti web più conosciuti di divulga-
zione di idee negazioniste, antisemite e xenofobe.
Tuttavia, nonostante la mole impressionante delle ester-
nazioni neonaziste e antisemite che il web raccoglie e dif-
fonde, i media tradizionali restano piuttosto indifferenti e
restii alla denuncia e/o all'analisi delle forme dell'antise-
mitismo contemporaneo, eccezion fatta per fatti di ecla-
tante antisemitismo e per gli attacchi diretti a personalità
del mondo dello sport o della politica. A giugno 2012 il
giocatore della nazionale di calcio italiana Balotelli è stato
deriso su Stormfront per le sue (vere o presunte non ha
importanza) origini ebraiche: Stormfront contro Balotelli:
“Negro ed ebreo”. La comunità ebraica: “Ora basta”. Il sito
Approfondimento Agosto 2012 nº10
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neonazista contro il giocatore in visita ad Auschwitz. Danie-
le Nahum: “Bisogna applicare la Legge Mancino” (Corriere
della Sera, 8/6). Il ministro per la Cooperazione inter-
nazionale e l'integrazione Andrea Riccardi per aver
manifestato, in occasione della visita alla sinagoga di
Roma il 16 luglio scorso, l'impegno del governo per
“oscurare i siti web che predicano odio ed incitano al
razzismo e all'antisemitismo”, è stato attaccato da Stor-
mfront perché accusato di “collaborare con il Giudai-
smo internazionale” e di “voler meticciare e far sparire
gli italiani”: Sito antisemita attacca ministro Riccardi:
“Cancellieri non abbassare la guardia” (Fatto Quotidiano,
26/7) e Insulti a Riccardi dal sito razzista. Cancellieri: via i
neonazisti dal web (Corriere della Sera, 27/7).
Hannah Arendt so-
steneva che l'antise-
mitismo non può
essere considerato
un fenomeno astori-
co ed apolitico, cioè
eterno ed immutabi-
le, della cui esistenza
è quindi facile rasse-
gnarsi e del cui con-
trasto stancarsi. Inol-
tre, riconoscerne la
specificità non deve
impedire di rintrac-
ciarne le similitudini
e le intersezioni con
razzismo, xenofobia ed islamofobia. Dopo la seconda
guerra mondiale e la Shoah l’antisemitismo, lungi
dall’essere scomparso, ha assunto forme sotterranee e
spesso travestite da opinioni politiche. Non più legato
all’ideologia della razza, rischia di trovare terreno ferti-
le principalmente nelle giovani generazioni più esposte
ai contraccolpi della crisi economica e rinchiuse
nell’‘isolamento socializzato’ dei social network.
Ecco perché saper “educare dopo Auschwitz”, [8]cioè
essere in grado di combattere la rimozione degli orrori
passati, è azione ineludibile per abbattere il muro
dell’apatia e dell’indifferenza verso l’odio e il pregiudizio
presenti.
Elena Cesari
NOTE:
[1] Fondamentale per la scrittura di questo articolo è stata la lettu-ra di Hannah Arendt,
Ebraismo e modernità, Feltrinelli, 2009. Le riflessioni sviluppate da Arendt (che non entrano a far parte direttamente della sommaria analisi qui proposta) mi hanno però consentito di far luce sul passato, senza il quale il presente dell'antisemitismo mi sembrava impossibile da decifrare.
[2] Questo genere di antisemitismo viene chiamato anche da
alcuni studiosi secondary antisemitism (antisemitismo seconda-rio), la cui espressione più cruenta è la negazione della Shoah. Per un’indagine sull'antisemitismo secondario contemporaneo
in Europa si veda il Rapporto della European Agency for funda-
mental Rights (FRA).
[3] Per un’analisi più estesa del racconto mediatico della minac-
cia alla sinagoga di Milano si veda la Newsletter n.10 di Articolo3.
[4] Analizzare la portata storico-politica di questa identità esula dai limiti di questo articolo. Una panoramica delle posizioni di coloro che analizzano il fenomeno dell'antisemitismo è riporta-ta sul sito dell’Osservatorio sul pregiudizio antiebraico contem-poraneo.
[5] Si veda l'intervista a Pierre-Vidal Naquet pubblicata sul peri-
odico Una Città.
[6] Pierre André Taguieff, La Nouvelle Judéophobie, Parigi 2002.
[7] Il ricercatore australiano Andrè Oboler ha denominato l'an-tisemitismo via web antisemitismo 2.0 “richiamando il passag-gio da Web 1.0 a Web 2.0 avvenuto nel 2004 proprio con Face-book”,
[8] Si veda il contributo di Maria Bacchi su questa Newsletter.