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CENTRO PER LA CONSERVAZIONE E VALORIZZAZIONE DELLE TRADIZIONI POPOLARI - BORGO SAN ROCCO News... come una volta Anno 7 n. 3 15 ottobre 2012 9 lustri di “lusors” edizione straordinaria 9 lustri di “lusors”

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CENTRO PER LA CONSERVAZIONE E VALORIZZAZIONE DELLE TRADIZIONI POPOLARI - BORGO SAN ROCCO

News...come una voltaAnno 7 n. 315 ottobre 2012

9 lustridi “lusors”

edizione straordinaria9 lustri

di “lusors”

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9 L U S T R I D I “ L U S O R S ”

L’uscita di questa edizione delle News è dedicata ad un uomoche in quest’ultimo cinquantennio sta sicuramente lasciando unsegno importante e direi unico sul nostro Borgo.All’interno di questo numero ci sono diversi articoli dedicati alnostro Monsignore che ne ricordano i momenti vissuti insieme eche invito tutti a leggere; dal canto mio cercherò in queste pocherighe di darne una descrizione attraverso l’utilizzo di pochi vo-caboli, che a mio modo di vedere gli si addicono.Energico - in quanto da sempre instancabile motore e promotoredi iniziative e attività di ogni genere che fanno di San Rocco unatra le parrocchie più attive in ambito cittadino e non solo.Educatore – in tutti questi anni ha educato migliaia di ragazzi adiventare uomini sia nello spirito, ma anche dal punto di vista ci-vico. Il nostro “Monsignor no”, come è stato soprannominato direcente, ha insegnato a molti di noi che nella vita la rassegna-zione agli eventi che ci accadono intorno, non è sicuramente lamiglior strada da seguire, ma che invece è meglio essere prota-gonisti in positivo su ciò che ci circonda per sforzarsi di trovaredelle soluzioni ai problemi senza liquidarli con il solito “tantonon c’è niente da fare …”Carismatico – sia nel senso Cristiano del termine e cioè nel met-tere al servizio degli altri la propria esperienza (donarsi), che inun senso più laico del termine che viene attribuito a personalitàin grado di esercitare una forte influenza su altre persone. A chidi noi non è capitato di essere invitato in modo “spontaneo” adaccettare incarichi che non avrebbe mai immaginato …Esuberante – da un lato qualità positiva che gli ha permesso didare la giusta importanza e visibilità alle diverse iniziative pro-poste, ma che gli fa purtroppo avere anche meno amici di quelliche merita.Tutte queste caratteristiche messe insieme ne fanno però unapersona unica nel suo genere e che al giorno d’oggi verrebbe de-nominata “leader”.Per tutto quanto ha fatto e che ancora farà, auguro infine anome del Centro per la Conservazione e Valorizzazione delle Tra-dizioni Popolari di Borgo S. Rocco un buon anniversario al nostroMonsignore.

Marco Lutman

E’ l’estate del 1989… l’estate dei miei 16 anni… l’estate delcampeggio Primero… delle amicizie che non morirannomai, delle tende allagate per tre giorni, dei canti con la chi-tarra fino a notte fonda… a fine campo scuola tutti ci scam-biamo dediche e pensieri da portare via con noi, su quellibretto un po’ sgualcito dei canti. Anche a don Ruggerochiedo una dedica e tra mille disegni e frasi con le pennecolorate, la sua penna nera traccia un pensiero deciso: “VI-VERE INSIEME È FATICA… MA È VERIFICA CONTINUA DI SÉ,NON DEGLI ALTRI!”. Ho portato queste parole scolpite dentro di me per anni…le ho portate da figlia, da sorella, da amica… ora le portoda moglie, da mamma, da collega… le porto come un mo-nito ma anche come un sollievo. Perché nessun uomo èun’isola, ma gli infiniti arcipelaghi che costruiamo e incon-triamo nella vita valgono bene la nostra fatica, perchésanno dare senso, colore e sapore alle nostre esistenze.Ogni volta che penso a quelle estati, a quei campeggi,penso a quanto quel “grande papà” ci ami, ogni giorno, amodo suo, con gli abbracci e con qualche rimprovero, conocchi spalancati ad ascoltarti mentre fa il solitario… perchésembra non ti ascolti, ma ha già capito tutto!Io di anni ne ho trentanove… quindi è un bel pezzo distrada per poter dire GRAZIE!

Lilli

Caro Ruggero, per i Tuoi 45 anni di operato Ti faccio i miei più cari auguri! Ricordo ancora quando ero piccolo e Tu venivi in campeggio con la parrocchia di San Rocco. Tanti ragazzi giovani con grande voglia di divertirsi. Sfide a calcio dove Tu eri il “mister” inferocito che incitava i suoi con una forza ed un entusiasmo che avrebbe fatto impallidire i più grandi allenatori di serie A. Gli anni passano, ma Tu sei sempre rimasto con me ed i mie cari, e di questo Ti ringrazio. Per me sei sempre stato un riferimento, specialmente per la semplicità con cui affronti le cose e risolvi i miei problemi. Sapere di averti sempre avuto vicino, nei momenti più belli e anche quelli più tristi della mia vita, è stato un grande conforto e mi ha dato sempre quel senso di sicurezza e tranquillità che servono per essere sereni. Mi hai sposato con una moglie meravigliosa, hai battezzato i miei tre figli che sono lo scopo della mia vita, mi sei stato vicino nei momenti più tristi quando papà ci ha lasciati. La vita è così e Tu sei la persona che meglio conosce i destini di tutti. Per questo è un piacere ed un arricchimento averti sempre vicino. Grazie di essere sempre stato disponibile a leggere la messa ogni domenica in campeggio, grazie di avermi aiutato in tutte le situazioni, grazie delle tue profonde prediche, grazie di tutto caro Don Ruggero! Un grande abbraccio. Ivan, Alessandra e famiglia

Vivere insieme è fatica ... ma è verificacontinua di sé, non degli altri !

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Mi associo volentieri alla gioiosa ricorrenza celebrata dai par-rocchiani e dagli amici, per presentare la mia testimonianza.Nei lunghi anni della mia permanenza alla Caritas Italiana, lapersona di Don Ruggero è tra quelle che sono rimaste più im-presse nel mio ricordo, nella mia stima e nel mio affetto.E’ l’immagine di un Sacerdote che ha avuto la felice sorte diabbinare il ministero di parroco a quello di direttore Caritas. Idue ruoli sono stati reciprocamente arricchenti. L’essere par-roco ha consentito a Don Ruggero di inserire i problemi delservizio caritativo nel vissuto quotidiano. I poveri non eranoper lui una categoria astratta: erano persone con un volto euna storia inconfondibile, spesso persone in sofferenza, per lamalattia, per la carenza di risorse economiche, per la solitu-dine, per il senso dell’abbandono. L’azione di carità è stata an-zitutto la creazione di un rapporto umano.L’essere responsabile della Caritas diocesana lo ha stimolato arispondere alle richieste di aiuto con lucidità ed efficacia, conla volontà di far uscire le persone dallo stato di povertà e didipendenza e, nello stesso tempo, lo ha stimolato a far diven-tare i problemi degli emarginati problemi di tutta la comunità,passando dalle famiglie, al vicinato, alla comunità eucaristicadomenicale.Don Ruggero è un Sacerdote che ha sempre avuto un’idea pre-cisa della carità e della Caritas. Ha visto la carità come vita di Dio e dono dato ai credenti, per-chè testimoniassero ai fratelli la paternità divina e la sua Prov-videnza. Ha creduto alla Caritas come strumento voluto da Papa PaoloVI° e dai Vescovi Italiani, per diffondere una carità autentica,non assistenzialistica, ma promozionale, liberante, stretta-mente collegata con la giustizia.Don Ruggero ha interiorizzato questa visione e ha saputo par-lare con coraggio, nella difesa dei diritti dei poveri, impegnan-dosi a costruire una società civile, dove anche gli ultimiavessero una voce e potessero dare il proprio contributo albene comune.Voglio augurare al caro Don Ruggero di poter continuare,negli anni che il Signore gli concederà, a tenere alta questa‘bandiera’ nella sua Gorizia e a testimoniare l’amore di Dioverso tutti e in particolare verso gli ultimi, che sono i primi nelRegno.

Sacerdote Giuseppe B. Pasini

Dove va la Caritas?Dove va la Chiesa?Dove va il mondo?

I poveri non sonouna categoriaastratta

Don Ruggero è l’uomo dei tempi lunghi. Mi spiego. Non è cer-tamente uno che ci mette tanto tempo per fare una cosa anzi.Quando l’ho conosciuto in Caritas, tanto tempo fa, era capacedi decidere in un minuto un viaggio da compiere nelle terremartoriate della ex-Jugoslavia. Quando gli ho chiesto di accom-pagnarmi per la mia prima missione in zone di guerra, mi dissesubito di si, e concordammo in poche battute tempi e modalità.Ci siamo conosciuti vent’anni fa, quando, nel dicembre del1992, dopo essere stato nominato da poche settimane direttoredella Caritas diocesana di Concordia-Pordenone, dovevo andarea Osijek, città croata con la quale dovevamo iniziare un gemel-laggio. E nel primo viaggio (ma quanti ne seguirono) imparai aconoscerlo. Non era certo un ingenuo, sapeva cogliere le neces-sità delle comunità e dei singoli, ma senza ignorare anche i di-fetti dei “poveri”, come li chiamavamo noi. Da amare anchequesti, ma anche da conoscere per sviluppare una solidarietàintelligente.Qualche volta, incontrando vescovi, direttori, monsignori, ab-biamo sfiorato incidenti diplomatici, perché diplomatico donRuggero non lo è mai stato, e l’amore per la verità irritava qual-che volta qualcuno.In che senso dicevo che don Ruggero è l’uomo dei tempi lun-ghi? È uno cioè che cerca sempre di alzare lo sguardo e guar-dare lontano. Gli riconosco la capacità di guardare più in alto epiù lontano, uno che non si accontenta del quotidiano. Che siponeva, e ci poneva delle domande – questione di allora e dioggi: Dove va la Caritas? dove va la Chiesa? Dove va il mondo?Con quello spirito giovanile che ha conservato e che sa trasmet-tere anche se ormai gli ottanta sono vicini… Confesso che facciofatica ad accettare che don Ruggero sia oramai così avanti inetà. Ma devo rassegnarmi, lui è sempre davanti. È stato 45 anniin parrocchia a san Rocco, forse troppi. Ma, penso, che non sisia mai seduto, abbia sempre provocato e si sia lasciato provo-care dalle cose che accadono, per scoprire dentro la verità dellecose, e poi, insieme seguirla, con impegno e gusto del nuovo.Tanti auguri don Ruggero, continua a provocarci con il tuosguardo che guarda lontano, ma che non trascura l’oggi, so-prattutto per chi il quotidiano lo vive con fatica.

Don Livio CorazzaParroco di Concordia

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Si legge, in alcuni passi del “profilo” al Premio San Rocco con-feritogli in un ormai datato 1992, di una personalità da “pri-mario”, ovvero in possesso di una struttura valoriale di rilievo;ma anche di un “uomo solo”, caratteristica che, per defini-zione, inquadra colui che, investito di particolari responsabilità,spesso è chiamato a decidere in situazioni d’incertezza, assu-

In ogni suo atto vedo presente una dialettica che si avvale di pa-role pertinenti ed efficaci e sa mettere in evidenza sempre lacomplessità del concreto, senza perdere mai di vista il principiodell’aggregazione dei valori, con una eccezionale capacità dimuoversi nelle difficoltà e criticità di un mondo che cambia conla velocità della luce, rapportandosi con naturalezza e disinvol-

La speranza è un dovere

Ricordi di gioventùCorreva l’anno…. E già si assaporava labrezza annunciante il ciclone sessantotte-sco.Noi, nel senso di quelli della mia genera-zione, eravamo adolescenti, da alcuni annicresciuti in oratorio con l’opera, l’impegnoe le iniziative di don Onofrio (Burgnich)che già rappresentava un punto di aggre-gazione significativo anche per l’appenanato quartiere di S. Anna.Poi la novità: la promozione del parroco diS. Rocco a parroco di S. Ambrogio a Mon-falcone e la notizia dell’arrivo “tra di noi”di don Ruggero “quello del Pastor”.

Come spesso accade in tanti luoghi, c’èstato un po’ di sgomento nella comunitàe in qualcuno anche preoccupazione per-ché “cambiare” poteva anche significareperdere l’identità borghigiana. Non fu cosìe le doti e le capacità dell’”uomo”, del“sacerdote” vinsero le diffidenze e le chiu-sure e furono dedite al dialogo, al collo-quio e alla presenza “vera” nella comunitàtenendo anche, ad esempio, sempreaperta la porta della canonica ove allog-giava anche don Alberto primo parrocodella nuova parrocchia di S.Anna. Furonoanni di intensissima attività pastorale e di

crescita culturale e sociale seguendo l’in-segnamento di ”Colui che si era sacrificatosulla Croce”, così affermava sempre donRuggero e la domenica durante l’omeliaci rinnovava questa carica.Ho avuto la fortuna di “esserci” ed ho vis-suto intensamente questa esperienza peroltre dieci anni attraverso le innumerevoliiniziative che coinvolgevano i giovani, manon solo, che rilanciavano e coinvolge-vano tutte le istituzioni parrocchiali e bor-ghigiane quali la Corale parrocchiale, latradizionale Sagra centenaria, le famigliecontadine del borgo eccetera, eccetera. Fu

mendosi dei rischi; e poi, di per-sona spesso ”diretta” con l’inter-locutore che, talvoltaimpre parato ad argomentazioninon propriamente “convenzio-nali”, viene colto da legittimoturbamento; ed ancora, inca-pace caratterialmente di ricer-care il perseguimento delconsenso usando sempre il “sì”,prerogativa che è una sorta disegno distintivo nelle relazioniinterpersonali centrate priorita-riamente sulle sintesi estreme inun’essenzialità che rasenta l’intransigenza.Ma anche capace di una straordinaria tensione nei confrontidei gruppi umani, giovanili e non; e di offrirsi oltre i limiti del-l’utilità e della convenienza personale, privilegiando la situa-zione del prossimo fino al sacrificio della propria, intensamenteproiettato a far capire che ciò che è di uno è di tutti, che signi-fica anche poter contare, nei momenti del bisogno, sui propricompagni di viaggio.Con un disegno di promozione dell’uomo che si fonda sulla po-sitività dei rapporti, e quel far riflettere sul rispetto e la com-prensione nel trattare i problemi quando sono in gioco lepersone, richiamando l’attenzione, sempre, sulla necessità didedicarsi attivamente e con sacrifici propri ai bisogni della variaumanità che stà attorno, e far emergere l’espansività rispettoalla riservatezza, la collaborazione rispetto alla competitività,componendo i contrasti, e capace di cogliere il significato dellecose al di là delle apparenze.

tura alle persone di ogni livello.Nel mezzo di questo quadro,

permane un rammarico : quellodi non trovarlo più convinto as-sertore della necessità di difen-dere con un atteggiamentofermo e deciso, la “memoria”del borgo, nella sua storia edidentità, della cui cultura ven-gono unanimemente ricono-sciuti i meriti, poiché culla dellaciviltà contadina goriziana; e perevitare che il sipario scenda ine-sorabile su quella secolare vi-

cenda. Forse un paradosso dei dualismi strutturali che talvoltasembrano assalirlo.L’energia vitale che gli consente di mantenere uno standard ele-vato di quell’insieme di dinamiche valide a garantirgli una pro-duzione di impulsi sorretti da una forza caratteriale con pochiparagoni, probabilmente non è più sufficiente per tentare qual-che “tocco” pregiato in mezzo al campo di calcio con gli adole-scenti, ma sull’altare credo di poter affermare tema pochiparagoni, soprattutto quando c’è ragione per scuotere e stimo-lare le coscienze, nonostante il pesante fardello di essere sacer-dote in questi tempi maledettamente cupi per tanti motivi.Parlando con lui, però, si avverte netta la sensazione che lo ac-compagni imperturbabile una forza interiore che lo aiuta a nonmollare mai.Perché, come l’ho sentito affermare di recente, “la speranza èun dovere” !

/rm

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così che la canonica e l’oratorio divennero una fucina di novità, diincontri e di approfondimenti che l’evolvere della società rendevaopportuni oltre che necessari e ciò contribuì per tanti di noi al-l’apertura del proprio animo e della propria mente. Fu così chetanti di noi, grazie a questo insegnamento, si impegnarono nelcampo della solidarietà, dell’aiuto a chi ne aveva bisogno, nel so-ciale ed anche in politica per dare un contributo all’amministra-zione della propria città.Riflettendo, credo di aver passato in quel periodo più ore in par-rocchia e in oratorio che a casa mia. Passando ai ricordi, nella miamente sono indelebilmente impresse alcune immagini: i campeggimontani di ragazzi e ragazze della parrocchia, le escursioni in mon-tagna, la domenica dello svuotamento delle cantine e delle soffitte

Il cuore di un padre, il coraggio di un pastore di assalto, l’animadi un fanciullo, il rigore e l’ironia del saggio, la sapienza di unuomo di Dio, la generosità di un amico per sempre.

Fu soprattutto durante gli eventi bellici in Croazia e Bosnia chela Caritas Diocesana di Gorizia divenne punto di riferimentoper molte Caritas Diocesane, per la Caritas Italiana e, natural-mente il suo direttore don Ruggero e la Parrocchia di SanRocco, il luogo materiale della accoglienza, del ristoro, dellaprima tappa illuminatrice su fatti ed eventi - per lo più incom-prensibili e irrazionali per molti - e di conseguenza, casa dellaconoscenza e della amicizia, della fraternità e della familiarità.A San Rocco si poteva arrivare a qualunque ora del giorno edella notte, si poteva soddisfare qualunque necessità ed avereun quadro di riferimento sempre aggiornato e preciso su ognievento capitasse oltre i confini orientali.E fu proprio in quei primi anni novanta che abbiamo avuto lapossibilità di conoscere a fondo il personaggio che guidava laCaritas a Gorizia con sulle spalle anche la Parrocchia situata inquell’ultimo lembo di terra italiana a ridosso di un confine chemoltissimi operatori Caritas d’Italia e non solo, mai avevano va-licato.Fu proprio così che anche io conobbi e scoprii don Ruggero.La prima impressione che ne trassi fu quella di un sacerdotecon un grande cuore di padre, una paternità compiuta, inten-samente spirituale ma anche materialmente ricettiva, acco-

sto dei relativi premi, la nascita del coro “Ars Musica” con la parte-cipazione anche a concorsi nazionali, l’incontro, la conoscenza el’amicizia con tanti ragazzi di “quelli del Pastor”. Poi ancora,quando ero militare a Tolmezzo, la sorpresa della visita inaspettatadi don Ruggero in compagnia di mio nonno “Fancio”, la straordi-naria esperienza dei giorni passati alla Comunità ecumenica diTaizè nei pressi di Lione in Francia compreso l’avventuroso viaggiocon la mitica “500” di don Ruggero assieme a Luciano e Tullio e an-cora il privilegio di aver fatto la conoscenza di alcuni familiari didon Ruggero, il maestro del Coro di Ruda, Orlando e la sorella Rinanel cui ristorante vicino a Palmanova siamo stati tante volte ospiti.

Il cuore di un padre,il coraggio di unpastore

gliente, abbracciante se così mi posso esprimere. Un padre:ecco, questa fu la prima esperienza che vissi con don Ruggero.Egli univa in sé la forza dilagante dell’uomo di Dio, appassio-nato delle anime, dei poveri, degli ultimi, della gente che nonconta, dei miseri della terra, della gente comune, dei parroc-chiani, dei volontari che cercano di fare qualcosa per gli altri oper se stessi. Un prete padre capace di discernimento e di con-siglio, affettuoso e pronto anche a mandarti …, libero nella

del borgo zeppedi cose non inuso o inutili chefurono anche ilprimo esempiodi “raccolta dif-ferenziata” incittà, l’al le sti -men to della pe -sca di bene -ficenza con ilprecedente gi -ro vagare per laricerca e l’acqui-

Questi ricordi milegano “con af-fetto” alla per-sona e alla figuradi don Ruggero inparticolare. E poitanti altri ancora.Negli anni la re-altà parrocchialeè cresciuta, sononate innumere-voli nuove inizia-tive culturali,sociali e di solida-

rietà tanto da divenire una realtà riconoscibile e riconosciuta incittà ed anche oltre.Per quanto mi riguarda S. Rocco e la Parrocchia di San Rocco sonoe rimarranno sempre un punto di riferimento importante così comecredo sia per molti altri, e va dato atto che gran parte del meritovada riconosciuto a quel sacerdote che con tanto entusiasmo, im-pegno ed anche fatica ha guidato e guida la comunità parrocchialerendendola, assieme ai suoi numerosi collaboratori, viva e vitaleanche dopo il passare di tanti anni. GRAZIE don RUGGERO.

Luciano Franco

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adesione di fede sincera e limpida, lucido nelle decisioni e de-terminato nel bene.In lui ho sempre apprezzato il coraggio del lucido parroco- pa-store d’ assalto. Mai in seconda linea, mai nascosto o ritroso,ma sempre capace di intelligente esposizione di sé a salva-guardia di principi e soprattutto delle persone. Non sopportai codardi don Ruggero, non fanno strada con lui i neghittosi.Davvero secondo la parola del Vangelo, è uno che ha postomano all’aratro e non si è mai voltato indietro. A lui di addiceil rigore dell’intellettuale onesto e la dolcezza dell’uomo diDio che deve operare nella misericordia.Volentieri ho accettato alcune volte ( troppo poche purtroppoper le tante cose da fare sempre) la sua ospitalità e lì spesso,seduto con lui nella sua - si fa per dire - casa, ho consideratol’anima semplice del fanciullo che tuttavia conserva don Rug-gero, dentro quel travolgente ritmo che era allora la sua vita.La spiritualità del bambino - “se non ritornerete come bam-bini” - credo sia una delle componenti più significative dellaadesione di fede e della testimonianza di amore al Signore didon Ruggero. Mi sorprendeva nella quotidianità la sua totaleimmersione nella vita parrocchiale, dopo averlo visto operaresulle scene internazionali o nazionali della Caritas, il suo stilepulito e semplice, diretto e limpido, nell’abbandono più pienoalla Provvidenza e alla Carità. E poi gustavo i momenti in cuil’ironia, intelligente e mordace, aveva il sopravvento e, tal-volta, in situazioni scabrose, toglieva tutti da imbarazzanti si-lenzi con le sue uscite mordaci e accattivanti. Allora si scoprivatutta la sua sagacia, unita a saggezza inveterata, e la sua sa-pienza di uomo di Dio, maturato sotto il sole del lavoro sodonella vigna del Signore. Senza stanchezze, senza bisogno, omeglio rifuggendo, da allori e riconoscimenti, per pura pas-sione e generosità dirompente.Questo don Ruggero io ho conosciuto negli anni del comuneservizio alla Caritas. E di lui continuo a serbare grato e lumi-noso ricordo come di uomo illuminato e prete tutto donato aDio e ai fratelli. So per certo che nella sua casa, quando volessimo ancora, laporta aperta e un posto ci sarà sempre: per quanti ne avrannobisogno e anche per me.Grazie, don Ruggero. Mandi.

Pre Agnul Zanello

“Come il parla ben ciò…” Quante volte l’ho sentito ripeteredagli anziani della corale, durante o dopo la predica. Un sus-sulto ammirato — quello che nel linguaggio mediatico di oggisi direbbe un tweet — nel quale si riflette forse anche l’animadi quel borgo contadino che San Rocco doveva essere quaran-tacinque anni fa, quando, nei miei ricordi, il cortile non era an-cora un selciato, e al centro (o quasi) si ergeva un’unica pianta(mi pare fosse una palma, in ogni caso ci faceva sognare cieliazzurri e lidi lontani in domeniche assolate e polverose, comenella canzone di Celentano). In quel borgo di allora, quel gio-vane prete, forte e carismatico, doveva imporsi come una stra-ordinaria guida spirituale. Direi, per riassumere, che sono statianni di passione e vocazione, passati in un lampo, senza rou-tine: una parrocchia che continua a crescere, a pulsare nellasua infinita serie di campeggi, messe, sagre, ufiei, incontri, gite,viaggi, case in montagna. Don Ruggero e San Rocco: un le-game indissolubile, gli atomi di una stessa molecola. E quellafrase rimasta vera, anche se il mondo che lasciava trapelare —un mondo nel quale i sacerdoti erano visti un po’ come degliautorevoli funzionari delle anime — è distante ormai anni luce.Uno dei grandi doni di Don Ruggero è in quel saper parlare aisuoi parrocchiani. Forse si potrebbe dire che sa parlare al cuore,anche se il termine oggi è consumato, masticato com’è da chifinisce per rivolgersi soprattutto alla pancia o al portafoglio. Edel resto, a ben pensarci, più che di “parlare” si tratta più fa-cilmente di uno “scuotere”, o di un “tuonare”. Il messaggionon sempre levigato, e anzi francamente schietto delle predi-che del “Don” non sarà sfuggito a nessuno. Ma che bel tuo-nare! Forse un segno del fatto che qui il cuore non ha nientea che fare con i sentimenti a buon mercato. È un fondo del-l’anima, un non-luogo sicuramente meno silenzioso di quellodel quale avevano parlato Eckhart o Pascal, ma nel quale è inatto un dialogo con la trascendenza. Don Ruggero ce lo ha mo-strato e continua a mostrarcelo in molti modi, forse soprat-tutto con il suo esempio quotidiano: una disponibilità senzaderoghe, un fare svelto, il più spesso improvvisato, deliziosa-mente imperfetto quanto possono esserlo gli autentici gestid’amore — quelli, del resto, che di là dai programmi e daibuoni principi, la vita ti chiede di improvvisare nel presente. “Il parla ben”, certo: forse perché quelle parole le trovi giàsempre lì, prima e dopo il pulpito, calate nelle situazioni quo-tidiane di ieri e di oggi. Non così spesso mi è capitato, in quasimezzo secolo, di incontrare persone capaci di tradurre in modocosì tangibile la vocazione religiosa, di viverla con un simile en-tusiasmo, incarnata in un’etica così luminosa. Non possiamoche dirti grazie, Don Ruggero. Ti dobbiamo molto, ma forsepossiamo anche dirti che questo tuo anniversario è anche il no-stro. I tuoi quarantacinque anni di servizio, sono e continuanoad essere, per tutti noi, un dono che ha reso più bella e ricca lanostra vita. Speriamo di saperne trarre i frutti!

Alessandro Arbo

Il tuo anniversarioè anche il nostro

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Il suo posto è sul seggiolino sopra i gradini della porta d’in-gresso, dove di solito si siede la guida.Non è una guida turistica eppure riesce a fare altrettanto eancor meglio. Ogni viaggio, anche breve, è qualcosa di speciale. Per iniziare una breve preghiera a Maria, che protegga ilgruppo durante il cammino e poi un susseguirsi ininterrotto diletture, spiegazioni, considerazioni, inviti alla riflessione, conl’intento di scuotere gli animi ed affinare le conoscenze.Arrivati alla meta, scende velocemente dal pullman e si avviarapido ad intraprendere le visite, quasi a non voler sprecareneppure un secondo del tempo a disposizione. I passeggeri, tal-volta sono costretti a corse rocambolesche per stare al suo passoe non perdere il gruppo. Borbottano un po’, anche se alla finecorrono.

Vi voglio raccontare il mio primo incontro con Don Ruggero.Avevo 10 anni, sono entrata per la prima volta a San Rocco permano con mia mamma. Volevamo sederci verso il fondo dellachiesa (un po’ timorose come nuove parrocchiane), quando ab-biamo visto subito venirci incontro il parroco: viso sorridente,portamento sicuro, stretta di mano energica…….. Mi sono sen-tita accolta, la benvenuta in una grande famiglia.Sono passati 25 anni da quel giorno e il capo famiglia è sempreLui, don Ruggero, e mio fratello ed io ci troviamo qui a parlarvidi lui. Pensare di descriverlo con poche parole è impossibile,quindi scriveremo chi è lui per noi. Se pensiamo a quello che rappresenta per noi, non possiamoche pensare ad un padre, e la prima parola che ci viene inmente è GUIDA.Come dovrebbe fare ogni genitore, lui trasmette protezionecon l’obiettivo di infondere sempre più sicurezza verso unamaggiore autonomia e responsabilizzazione nel cammino dellacrescita. Don Ruggero insegna il valore della fatica, quella vera, quellaautentica, quella che ti fa capire che spesso è più bello dare chericevere e che ti lascia dentro stanco ma decisamente appagatoe fiero.Il DIALOGO: don Ruggero cerca sempre la comunicazione con isuoi “figli”, fa attenzione alla propria capacità di ascoltare e diaffrontare i conflitti. Apprezza la schiettezza e cerca il con-

fronto intelligente; ma si fa anche portavoce del silenzio, con-sapevole del fatto che, spesso “il silenzio forma eroi e il chiassopartorisce marionette”.Impone con autorevolezza delle regole ma aiuta anche a vi-verle. Ci lascia libertà nell’esprimerci ma all’interno di limiti edi regole chiare.Portatore di valori del suo tempo, a volte incomprensibile perle nuove generazioni cresciute a leccornie e tecnologie.Apre i sentieri e vuole sempre essere il primo della fila. Sua ca-ratteristica inconfondibile – come tutti noi ben sappiamo – mala perfezione è divina e lui no!Ci insegna ogni giorno che il luogo dei miracoli è il quotidiano.Alla sua mensa c’è sempre la possibilità di aggiungere un postoa tavola.Incrocia Dio negli occhi di chi lo circonda. Perdona soltanto set-tanta volte sette. Rispetta se stesso e rispetta noi, riconoscen-doci una nostra identità e personalità; nella relazione rinforzala nostra autostima e ci dona la forza interiore per affrontarela vita.Don Ruggero sa che noi, suoi figli, siamo come aquiloni, cometorrenti impetuosi, come puledri scatenati; il nostro istinto èvolare, ma abbiamo bisogno di sponde robuste e di braccia fortie sicure: è lui è tutto questo!

Marco e Cristina Luciano

Sempre in cammino

Visitando i monumenti, le chiese, i musei o passeggiando perle strade presta attenzione alle novità e coglie appieno anchetutti i particolari nella sua naturale propensione ad appren-dere. Altrettanto spontanea si manifesta in lui la curiosità adassaggiare cibi e pietanze del luogo, sicché la sosta per degu-stare le specialità gastronomiche non manca proprio mai.Nel viaggio di ritorno è solito ripensare a quanto vissuto, edallora riassume, commenta, confronta… aiutando chi loascolta a trattenere le conoscenze, le sensazioni, le emozioninuove.E poi c’è il tempo della musica. Canzoni vecchie o più recenti,con parole giuste o inventate al momento, rimbalzano tra i fi-nestrini della corriera, non importa se talvolta un po’ stonate.La gioia di vivere è lì, si tocca con mano.

Claudia Ursic

Voglia di comunicare

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Mica facile scrivere nel 45°di un parroco.Non è un giubileo di ordinazione sacer-dotale ma un qualcosa di più simile adun anniversario di matrimonio. Soloche nel nostro caso lo sposo (leggi: ilparroco) è rimasto sempre quello men-tre la sposa (leggi: la parrocchia), purnon essendo cambiata nella sostanza,ha assunto – coll’inevitabile turnoverche lo scorrere del tempo produce –volti diversi. E se ricordiamo che dietroogni volto c’è una storia fatta “dellegioie e delle speranze di uomini edonne” di cui il Concilio parla, ci ren-diamo conto che si è trattato di un rap-porto che nasceva complicato o almenonon scontato in partenza.Ed allora viene spontaneo chiedersi: è losposo che si è adeguato al mutare dellasposa o la sposa che ha dovuto ade-guarsi allo sposo?Domanda non semplice soprattutto ovesi pensi che il legame rischiava di na-scere viziato in partenza visto che losposo, da giovane, era convinto fautoredel “matrimonio a tempo” in questotipo di unione. La sposa - secondo lui -doveva essere cambiata almeno ogninove anni per non far cadere nell’abitu-dinarietà il rapporto: oggi che di lustrine sono passati nove e che la loro storiaha ormai abbracciato ben due millenni,viene da pensare, se non altro, a quantitraslochi avrebbe dovuto fare il nostrosposo da allora!La risposta alla domanda iniziale, pro-babilmente, non porta a privilegiarenessuna delle due parti.Anche perché, col venir meno dell’iden-tificazione assoluta fra luogo di resi-denza e parrocchia frequentata, vasempre più diffondendosi la tendenza ascegliersi la parrocchia su misura. Ma-gari in base alla simpatia del parroco,alla brevità delle sue omelie, alla capa-cità della chiesa di offrire un caldo acco-gliente d’inverno ed un fresco riposanted’estate, ai servizi di babysitting propo-sti ai genitori quando la scuola chiude ipropri battenti, alla disponibilità diun’attrezzata casa per ferie in monta-gna…

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Casti Connubii

Ed allora perché un credente dovrebbescegliere nell’era dell’iphone e di face-book di fare parte di quella sposa cheha in don Ruggero il proprio sposo?Per ”masochismo” sarebbe la rispostavelata d’ironia e più probabile di coloroche in questi anni hanno deciso di es-sere parte di un’altra sposa per insana-bile diversità di carattere con lo sposo.E forse anche loro, ora che il tempo èvenuto a mitigare l’affronto percepitoper qualche parola andata magari oltrele righe, si accorgono che certi atteggia-menti dello sposo (anche se potevanoessere espressi in modo diverso…) eranodettati innanzitutto e solamente dal vo-lere il bene della sposa. Dal cercare difar sì che essa potesse mettere a fruttopienamente i talenti ricevuti dal Si-gnore. E pazienza, poi, se una delle ca-ratteristiche dello sposo è sempre statala gelosia: una gelosia non morbosa mafrutto dell’atteggiamento, più o menoinconscio, di chi si affeziona alle per-sone e non vorrebbe mai vederle an-dare altrove, rimanendo per lorosempre un (unico) riferimento.Eppure, nonostante tutto, in tanti sonorimasti fedeli allo sposo o, addirittura,lo hanno preferito ad altri.Una scelta dovuta, in primis, alla capa-cità dello sposo di essere grillo parlante.Di farsi coscienza critica per ricordarequanto sia sconvolgente nella sua attua-lità il messaggio di quel Rabbì vissutoduemila anni fa in Palestina e che Gio-vanni Paolo II, all’inizio del suo pontifi-cato, sintetizzò nella frase: “Nonabbiate paura, aprite le porte a Cristo…Lui solo ha parole di vita: di vitaeterna!”. Ed accogliere quella Parola divita eterna non può lasciare indifferentima porta ad appassionarsi alla vicendadi ogni uomo: rendendosi conto che

ogni persona che incrociamo sulla no-stra strada non è un anonimo ma il no-stro prossimo. Incontrare quella Parola -che da duemila anni è una Persona viva- fa di ogni credente un testimone dellebeatitudini e come tale impegnato a ri-spondere con entusiasmo a chi gli do-mandi ragione della Speranza che c’è inlui. Vista in quest’ottica, ogni cosa si spiegae tutto assume il giusto significato.E lo sposo della parrocchia di San Roccoè da 45 anni che continua ad inquietarsie a non accontentarsi; che continua adincitare i ragazzi a guardarsi attornomentre salgono un sentiero per coglierela bellezza di quel Creato che è donogratuito del Creatore; che continua asollecitare i giovani a dimostrarsi mag-giorenni non perché lo certifica la cartad’identità ma in quanto capaci di un im-pegno preciso nella società e nella vita;che continua a stimolare gli adulti ad es-sere protagonisti nel quotidiano dellaloro città; che continua a sognare fami-glie capaci di trasformarsi in comunitàaccogliente ed educante, che continuaa fustigare quanti considerano la poli-tica un mestiere per far denaro e non lapiù alta forma di carità… Certo, non è più il tempo delle omeliedomenicali degli anni ’80: allora lachiesa di San Rocco sembrava tanto si-mile al duomo di Firenze quando a sa-lire sul pulpito era il Savonarola. I toni sisono (mediamente) attenuati, lo sposonel frattempo da don è divenuto mon-signor(no), ma immutata è rimasta lapassione dell’annunziare Cristo; ricor-dando alla sposa, con le parole di unasplendida preghiera del XIV secolo, cheanche oggi “Cristo ha soltanto le nostremani, i nostri piedi, le nostre labbra perraccontare di sé”.

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Ne ha fatte di cose lo sposo in questi 45anni ma parafrasando un detto popo-lare viene da dire “dietro ogni grandesposo c’è una grande sposa”: molte diquelle cose non avrebbe potuto com-pierle se non avesse incontrato questasposa. Una sposa che l’ha atteso paziente edoperosa quando lui partiva per il mondoper assolvere altri incarichi; che l’ha so-stenuto con fiducia anche nelle scelteforse non immediatamente comprensi-bili e condivisibili; che ha risposto congenerosità alle sue chiamate all’impe-gno; che ha saputo farlo crescere e ma-turare (non cambiare, fortunatamente!)attraverso il dono prezioso ricevutodall’incontro con tanti uomini e donne,i cui volti e le cui storie sono nel suocuore… Certamente qualche volta lasposa si sarebbe attesa una parola in piùdi conferma e di apprezzamento; maanche allo sposo non saranno mancateoccasioni per sentirsi disilluso ed ama-reggiato quando gli sarà sembrato chela sposa non procedesse più al suo passoe sulla sua stessa strada.Eppure, sorreggendosi a vicenda, cam-minano, fianco a fianco, da 45 anni“nella buona e nella cattiva sorte”. Trac-ciare il bilancio della semina fatta in-sieme, in questo lungo tempo, spettaunicamente a Colui che solo conosce iltempo del germoglio.

Mauro Ungaro

(Casti Connubii è il titolo di un’Enciclica dipapa Pio XI, pubblicata il 31 dicembre 1930avente per tema l’indissolubilità delmatrimonio cristiano rato e consumato).

Il mio primo incontro con Ruggero avveniva a metà degli anni Cinquanta del secoloscorso. L’istituto che ci ospitava era naturalmente il Seminario di Udine, dove dopo illiceo potevamo intraprendere i corsi teologici, necessaria preparazione culturale espirituale al sacerdozio ministeriale verso cui eravamo incamminati.Con lui c’erano pochi altri studenti di teologia, sempre della diocesi goriziana, chericordo con stima e simpatia.Il loro gruppo aveva per me un interesse particolare: la loro educazione di base avevaun respiro più largo, una spontaneità nativa, una facilità di rapporti che diceva sicu-rezza ed apertura.Stavamo bene insieme perché nel vissuto quotidiano si riduceva la rigidità che carat-terizzava l’ambiente ed emergeva una serenità di fondo che rendeva più umano epiù accettabile l’impegno culturale, la disciplina che l’accompagnava, la spiritualitàche lo sosteneva e lo guidava.Questa “leggerezza” non mortificava l’approccio alla piccola o grande storia perso-nale, friulana, italiana ma lo valorizzava suggerendo l’attenzione alla diversità comevalore; favorendo l’accettazione di una pluralità emergente; promuovendo l’urgenzadi una comunicazione che raccogliesse dalla base situazioni, desideri, progetti e neverificasse l’attuazione; stimolando una creatività che “aggiornasse” il sopito dellastessa confessione cattolica.I nostri quattro anni di studi teologici erano punteggiati da conversazioni, da riferi-menti, da valutazioni su posizioni dottrinali, su scelte concrete di uomini e di ambientiche preludevano e preparavano in qualche modo un futuro soprattutto ecclesiale dimaggior respiro evangelico.Non erano escluse le valutazioni specificamente socio-politiche, anzi, in certi momentierano privilegiate, ma la situazione di “cristianità” decisamente voluta e pensatacome dimensione della stessa vita civile non favoriva gli attuali convincimenti, anchese affermava con forza l’attualizzazione di riforme sociali che rendessero concreta eviva la dimesione, appunto, di una carità non elemosina, ma esperienza irrinunciabilea partire dalla giustizia.Non posso non ricordare l’attenzione all’arte, soprattutto alla musica, alle specificheperformances delle due soprano allora dominanti le scene mondiali: la Tebaldi e laCallas. Discussioni se si vuole marginali, ma importanti per quella leggerezza che ras-serenava, come dicevo, la pesantezza di molte giornate consegnate alla ripetitivitàdel metodo educativo di allora. Così arrivammo al presbiterato e cominciammo non più da vicini ma da lontani il no-stro servizio pastorale: Ruggero a Gorizia, io a Udine.Gli anni ’58-’68 videro il servizio alla Chiesa di Giovanni XXIII, la celebrazione del Con-cilio, le mediazioni di Paolo VI, il travaglio ecclesiale di molte comunità, le vistose tra-sformazioni della società civile. Ci trovammo in un mare di problemi, molte volte conil rischio di smarrire la stessa identità che ci aveva costruiti.Fra il battage che ci ha investito ciascuno ha tentato di perseguire una sua strada.Posso dire che Ruggero è stato per me, oltre che amico stimato, un riferimento co-stante per alcune decisioni che nella maturità hanno segnato la sua esperienza e sonodiventate fondamentali: concretezza, misura, servizio sono la tonalità di fondo diun’intera vita. Concependo la propria vita come dono è spontaneo trovare un popolo a cui donarsi.Credo sia il primo e il più grande pregio di Ruggero. Quarantacinque anni a S. Rocco.Un vero rapporto sponsale. Non un girovagare su se stessi inutile, evasivo, narcisistico,ma un donarsi alle persone e alle esigenze concrete di una comunità da promuovereverso gli autentici valori evangelici, segno di creativa concretezza e di costoso amore.Intelligenza, cultura, solidità temperamentale, vivacità operativa, capacità proget-tuale, attitudine al governo erano ovviamente premesse per incarichi di prestigio.L’impegno nella Caritas, esemplare, efficace, internazionale, è stato vissuto con de-dizione e con costante libertà. È la libertà del dono.

La libertà del dono

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Non posso dimenticare la misura con cui ha vissuto e promosso gli “ag-giornamenti” del post-Concilio. La radicalità a cui abbiamo assistito eforse favorito aveva nel migliore dei casi buone intenzioni, ma spessoha diviso le persone e il cammino della comunità, lasciando vuoto, ama-rezza, dispersione. Il pastore unisce, cura, sana. Solo così prepara un fu-turo possibile. La misura domanda persone che si possiedono, che non mendicanoidentità surrettizie. Una continuità è reale se avviene senza strappi lesividella vita, delle istituzioni, della stessa crescita interiore.Il servizio è una conquista difficilissima: nasce dalla libertà delle personee si nutre di ascesi continua. È la parola più usata nelle democrazie edè la più tradita. Dire servizio per i credenti in Cristo è porsi oltre l’oriz-zonte dei diritti, non per svalutarli ma per dare loro una continuità ge-nerativa. Credo che Ruggero abbia vissuto così i suoi momenti più veri con la co-munità di S. Rocco. E credo che questa sia la tensione forte con cui ab-biamo vissuto la dimensione pre-politica. Abbiamo discusso spesso negliultimi incontri, anche se rari. L’esperienza cristiana ci covince che solola carità fonda, in ultima analisi, un’autentica vita civile e la sua giusti-zia.L’amore non nasce dalle leggi di una sia pur efficiente democrazia, mada un cuore e una mente convertiti. La giustizia proposta dal Vangelofornisce la libertà che schiude l’orizzonte del dono e della gratuità. Ho intravisto Ruggero qui a Gorizia dopo l’intervento di Gabriella Ca-ramore all’ultima tre giorni di È storia e mi sono domandato quale fu-turo ci attende. Prossimi agli ottant’anni siamo a testimoniare che forseconcretezza, misura e servizio dovranno essere sempre la cornice e iltessuto portante di un rinnovato rapporto con e nel mondo.All’amico Ruggero e alla comunità di S. Rocco “Ad multos annos”.

Nicolino Borgo

La battagliaEravamo seduti ai tavoli dell’ottagono, la strutturaper l’appunto ottagonale costruita a fianco dellacasa di Malborghetto, per vivere un momento di ri-flessione in cui tutti ci si guarda in faccia.Don Ruggero cercava di spronarci alla vita, alla ce-lebrazione della nostra unicità e al desiderio. Lo fa-ceva probabilmente memore di altri tempi e diun’altra generazione, quando si parlava di utopia.Ma dovette restare deluso perché si accorse che nonvi era la volontà di affrontare qualsivoglia tematica.Questi attimi di tentata riflessione venivano letticome una costrizione che andava ad annegare unindefinito ideale di libertà. Cinicamente: la libertàviolata era quella di non fare nulla.Don Ruggero non poteva accettare di vedere ungruppo di ragazzi, in quello che si considera il mo-mento più vitale della loro giovinezza, vivere senzail desiderio di imporsi nel mondo, ma semplice-mente sbatacchiati da un’illusione all’altra e guidatida piccoli desideri momentanei senza alcuna fina-lità più alta. Odia lo spreco di energie. Da semprel’ho visto fare di quest’odio una battaglia personalee non l’ ho mai visto arrendersi all’arrendevolezzagenerale. E spero che si possa interiorizzare appienoe presto questa lezione che è una lezione di grinta,caparbietà e volontà verso la costruzione di una re-altà più alta di quella che si vive. Don Ruggero con-tinua ad insegnarci che, per avere la percezione diciò che è “alto”, bisogna coltivare con costanza ilpensiero che poi dovrà guidare il nostro agire. Lalezione che vuole dare a quelli che vengono defi-niti, con insopportabile generalizzazione, “i gio-vani” è che non è degna una vita passata a schivareciò che ci viene incontro rinchiudendoci in un gusciocome si fosse tartarughe. E, per quanto far com-prendere queste cose in un contesto post-necessariosia più che mai un’ardua battaglia, sono certo checontinuerà a combatterla con titanica determina-zione ed una fede rara. E preziosa.

Marco Populin

RingraziandoLa per l'inestimabile e profiqua collaborazione for-nita nel tempo a quest'Ufficio, ed in particolare in occasione degliingenti flussi di migranti del fine anni '90, quando il lavoro co-mune era giornaliero, a nome mio e del personale tutto Le porgofervidi auguri nel 45° anniversario

Il Dirigente il Settore Polizia di Frontiera di Gorizia,dott.ssa Maria Elena NAPOLANO

45 anni.. per la maggior parte c'ero anch'io! Felice e orgogliosa di essere"cresciuta" con te qui in questi anni.. una vita... Ci penso spesso: le cosebuone che vedo dentro di me ci sono anche grazie a te... Come un papàmi hai dato l'esempio e sei stato la mia guida.. Ti voglio bene!

Silvia Ursic

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Così venni interpellata dagli studenti dell’ Università quandodissi loro che mi ero trasferita a Gorizia. Conosco poco di Pop-per ed ancor meno conoscevo ‘quel prete’ – nel frattempo di-venuto Monsignore – che predicava nelle messe dellaDomenica, suscitando l’interesse perplesso dei giovani intellet-tuali, ospiti dell’antico seminario arcivescovile di Via Alviano.Filosofi a parte, in verità i sermoni domenicali di Don Ruggerocolpivano sempre a segno: un problema nascosto nell’incon-scio ti balzava in chiaro e trovava – se non soluzione – almenocondivisione e conforto . Non è facile tentare di disegnare il profilo di una persona.Nemmeno mettendo insieme tanti tasselli di esperienze, ri-cordi, impressioni, notizie provenienti dalle più diverse fontisi riesce ad avvicinarsi alla reale essenza della persona. Le qua-lifiche ufficiali possono dare un orientamento, ma sono sostan-zialmente solo degli orpelli. La sostanza vera sta altrove, nelprofondo insondabile di ciascuno. Pertanto non oserò avvici-nami a codesta dimensione e rientrerò nel ranghi, verso la su-perficie sorridente e solidale del ‘Nostro Don’ impegnato neicampi più diversi della nostra vita umana – quotidiana edeterna.

Ricorderò Don Ruggero chino sulla tomba della mia famiglianel Cimitero di Merna i primi giorni della mia vita goriziana,e Don Ruggero sorridente nella sala del Centro Incontri al-l’apertura della mostra di pittura della Zia Argentina. Ricor-derò Don Ruggero che mi aiuta a trovare le parole rimastemichiuse in gola nel ricordare la scomparsa Amica Bruna Tom-masini (Premio San Rocco ) durante la S. Messa in suo suffra-gio e Don Ruggero svolazzante tra i tavoli della Sagra annualedel mese d’agosto. E il Don Ruggero che canta sonoramentelungo Via Lunga svegliando gli ultimi dormienti il mattinodella Processione di Pasqua, dopo aver cantato altrettanto so-noramente la sera della veglia portando il fuoco benedettodal grande falò del sagrato alla piccola chiesa buia. Oppure ilDon Ruggero che capita improvvisamente in casa della vec-chia parrocchiana che non cammina più ovvero il Don Rug-gero che ti porta nei santuari più lontani, dal Portogallo allaTerra Santa, illuminando con le sue parole sagge e colte –anche se talvolta taglienti e un po’ ‘polemiche’ – i momentistorici e le situazioni contingenti più diverse. Polemico o comprensivo : Grazie di tutto, Monsignor Don Rug-gero…

Marina Cerne

Ti siamo grati soprattutto per laperseveranza con la quale haisempre privilegiato l'educazionealla responsabilità: da genitoriverso i figli, da operatori sociali epolitici verso i cittadini, da inse-gnanti nei confronti degli stu-denti, da giovani verso glianziani.Con l'insistenza al limite del fasti-dio, spesso incurante ed insoffe-rente delle critiche, a rischio delrifiuto, ma con quella esemplareforza dei genitori (adesso po-tremmo dire dei nostri vecchi...)che hanno a cuore il futuro deiloro figli molto di più della loroimmediata benevolenza, perquanto attraente e gratificante.Ma il domani è più importante.Ci hai invitati ed anche richiamati,durante innumerevoli e mai brevi"prediche", ad essere inquieti edinquietanti, fedeli quanto possi-bile alla scelta cristiana che rendeliberi: ti esortiamo a proseguirenella tua missione, a privilegiarel'ennesimo e ripetuto incoraggia-mento rispetto alla pur compren-sibile e ripetuta delusione, aproporti quale riferimento di unasperanza operosa e condivisa.Ne abbiamo ancora bisogno.

Famiglia Fornasir

“In Borgo San Rocco? Là dove c’è quel preteche parla di Popper?”

... anch’io voglio dirti due parole: qualche vivo ricordo che ho nel cuore e nella mente e cheho scritto semplicemente (non ho la pretesa di saper scrivere) e comincio subito rievocandoil Premio San Rocco, ricevuto tanti anni fa, era il novembre del 1990 in una mattina grigiache per me…si schiarì ben presto!Premio che non solo mi ha sorpreso felicemente e onorato, ma è stato un dono veramentespeciale perché sono entrata nel mondo di San Rocco, di don Ruggero e del suo Centro!“Centro” che generosamente ti accoglie e ti aiuta, ti rallegra e ti offre un ambiente caldoe amico. E come non ricordare le tue Messe, caro don Ruggero, accompagnate dal coro benpreparato e dall’organo festoso, nonché le tue prediche speciali! E alla fine della Messa granfesta al sole (per me c’era sempre il sole in quella festa), i coristi col bicchiere in mano a can-tare “in furlan” allegramente, i brindisi ai quali spesso partecipavo anch’io e gli incontri concari amici, con gli allievi di un tempo, e poi ancora un po’ di vino….gli ufjei fumanti e le si-gnore e signorine col “tabin” …. grande la preoccupazione della cara e attenta Olivia! E

Caro don Ruggero...

ancora canti, fiori, risate….tutto grazie a te donRuggero sorridente, allegro e soddisfatto!A questo punto come non ricordare il pranzodalla Joæica? Il suo gustoso pranzo! Con la “jota”,minestra favolosa, e poi….e poi altri piatti po-tenti! Ma passiamo allo strudel finale che richia-mava il bis, e poi il vino e il caffè con la grappa!Quanta serena allegria, calda amicizia – questo èciò che provavo! Ora la tua parrocchia e il tuocentro si sono arricchiti di una preziosa saletta daconcerto, per conferenze, poesia e arte: un verogioiello per l’acustica e…l’eleganza. Ho detto il“tuo Centro” perché la Sala è frutto della tua vo-lontà e amore per la cultura, l’arte e la musica.Grazie e grazie don Ruggero e con l’augurio disempre nuovi progetti ti abbraccio riconoscente

Cecilia Seghizzi Campolieti….di anni 104

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I miei ricordi più belli

Quella domenicapomeriggio...

La gabbana nera arrivava sempre pre-ceduta da un timbro di voce pesante.Eppure lo sguardo era dolce, propriocome ora, anche quando tirava qual-che calcio al pallone al Pastor Angeli-cus. Già lui era il nuovo pastore di noigiovani "fiamme" che si dividevanotra l'oratorio e il Duomo, quando inpalio - nella speciale classifica dei chie-richetti - c'erano quello che adesso igiovani chiamano scarpini, ma per noierano "tretari". E si cercava, nel servir

compromesso; scomodo solamenteper le troppe coscienze addormentatein un lungo inverno goriziano, Rug-gero ha saputo "coltivare"genera-zioni di donne e uomini guidandoli suquel sentiero, allora come adessopoco praticato, che passa per la "cul-tura dell'accoglienza". Andandospesso controcorrente. Ma quasi sem-pre nella direzione giusta. Come safare il pastore saggio.

Roberto Collini

Domenica pomeriggio, 5 agosto, nel-l'anno del Signore 2012. Accompagno(anzi, mi faccio accompagnare) da donRuggero al santuario di Monte Santodove è stato invitato a celebrare messain italiano. Strada facendo si parla. Gliconfesso il mio stato d'animo non pro-prio sereno, irto di spine che pungonol'anima quando si arriva al giro di boadei cinquant'anni. Lui ascolta, suggeri-sce, ma non consola. La mia mente èavida delle sue parole, come lo è dell'ac-qua la gola secca dopo un'arrampicatalungo un ghiaione cotto dal solleone. Ascolto la messa, la predica sembra cali-

brata apposta per placare i miei tor-menti. Bene, bravo, bis. Sto meglio equel giorno - lui ancora non lo sa – di-venterà per me un giorno speciale. Mi-racolo? Non scherziamo, don Ruggeronon fa i miracoli e per fortuna non fanemmeno il prete come certi suoi colle-ghi che facevano inginocchiare i bimbisui sassi durante il catechismo.Però quella candela accesa al santuarioqualcosa deve aver riscaldato.Al ritorno da Monte Santo mi liquida infretta e furia davanti alla chiesa di San

bambini. Mi piacerebbe in un'altra vitafare anch'io il parroco; forse l'avrei fattopure in questa se non mi avessero fattoinginocchiare sui sassi. Mica Gesù vuolequesto.Gesù vuole tanti don Ruggero Dipiazza,uomini che ascoltano e vogliono benead altri uomini e ad altre donne. Siamosulla stessa barca e lui l'ha capito primadegli altri. Io per lui prego e prego chelui preghi per tutti. E se al prossimo pas-saggio in auto mi farà scendere comeDio comanda gli sarò ancora più grato.

Roberto Covaz

Rocco. Deve cele-brare messa a Gradoe quasi non fermanemmeno la vettura:devo scendere incorsa come fanno icommissari di polizianei film d'azione. Penso che don Rug-gero non si sia maifermato in vita sua egli riconosco, tra itanti, il merito di averpiù ascoltato che as-solto. Mi piacerebbesapere dove comprale magliette nere amaniche corte che in-dossa in estate; a pa-rità di pancia sembrapiù magro lui di me.Mi piacerebbe saperedove trova la forza diessere un uomo cosìfresco, capace di dia-logare con mezzo se-colo di generazioni di

messa, di evitareil tuonante Velcipreferendo ilmite Tuni che tiperdonava qual-che scampanel-lio di troppo o ibisticci con lea m p o l l i n e .Anche perchètra vino e acqua-visto che l'assag-gio era peccato-spesso ci si con-fondeva.Ruggero arrivòtra noi a cavallodegli anni Ses-santa, proprioquando a Gorizia sbocciava la sta-gione dei sogni, delle speranze e -purtroppo - delle tante, troppe illu-sioni. Al Pastor si scambiò l'ideale testi-mone con Alberto destinato a divenire- sospinto anche dai venti del Concilio- uno scomodo antesignano interpretedella "dottrina sociale della Chiesa".Dalla Curia "ingessata" Ruggero riuscìa sgattaiolare con la benedizione dimonsignor Cocolin e approdò a SanRocco - un tempo il contado - terra fer-tile e pronta per la "semina". In questi nove lustri (durante i quali cisiamo incontrati e anche vivacementeconfrontati in diverse occasioni) nonha mai smesso di essere il parrocodella gente, al servizio della carità,alla ricerca - spesso tormentata - dellaprospettiva per questa città. Fautoredel dialogo, ma in lite perenne con il

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Mi sono sempre chiesto dove Don Rug-gero trovi il tempo per fare tutte le coseche fa e che per ovvi motivi di spazionon mi avventuro ad elencare. Credotuttavia che questa sua singolare capa-cità derivi soprattutto dal carisma per-sonale che gli consente di coinvolgerenel suo “fare” un gran numero di per-sone, catturate dal suo spirito di concre-tezza e dal senso di umana solidarietàche lo caratterizza. Singolare poi il pro-cesso di identificazione che è interve-nuto in questi lunghi anni tra la suapersona e il luogo in cui ha esercitato lasua sollecitudine pastorale: se dici SanRocco dici Don Ruggero e viceversa.Non è certo uomo e prete che abbiaoperato solo nella ristretta cerchia san-rocchina, molto di importante ha fattoanche in campo internazionale, ma ilsuo “habitat” è e resta questo territoriogoriziano che mantiene orgogliosa-mente la propria identità, anche nellatenace volontà di salvaguardare la par-lata friulana. “Va a tirami fur i numarsda tombule, magari ché dai fruts”, è ilsuo saluto annuale quando mi vede allasagra di San Rocco, immediatamente at-tivato nel tentativo di far sì che tuttidiano una mano, facciano qualcosa. Cheprete, che uomo! Proprio perché lo co-nosco, evito ulteriori celebrazioni enco-miastiche, mi rimprovererebbe di sicuro:meglio prenotarmi per il prossimo im-mancabile brindisi, almeno un “tajut”bisogna pur gustarlo insieme. Un ab-braccio sincero, Don.

Bruno Pizzul

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Se dici San Rocco,dici don Ruggero !

A te, che sei un uomo dellaMitteleuropa e che ti senticittadino di una Goriziaaperta alle culture e alletradizioni che la circondano,al di là delle frontieredisegnate dagli uomini,auguro di rimanere con un cuore sempre teneroe con uno sguardo che sa piegarsi sulle vicende di ogni giorno,ma anche innalzarsi a scrutare gli orizzonti della storia,perché solo così si mantiene un senso e una direzioneche danno respiro all’esistenza. A te, prete della gente, contento di condividere le sue gioie e le suepene, di spartire il pane della consolazione come quello delle lacrime,auguro di rimanere sempre attento alle necessitàdegli uomini e delle donne che ti vivono accanto,pronto ad accogliere ogni richiesta di aiuto,anche quelle mute che si lasciano coglieresolo nel volto di chi sta penandoe non ce la fa da solo a tirare avanti.A te, operatore della Caritas, desideroso di mettere in praticauna solidarietà accorta ed audace, saggia e coraggiosa,di riconoscere i nuovi poveri e di prestare soccorsoa quelli che oggi patiscono di piùperché messi ai margini di una societàche butta fuori dal circuito del benesserequelli che sono più sprovvisti e meno furbi,auguro di trovarti sempre benein mezzo ai poveri, ai diseredati e agli oppressi,a quelli che non contano e non hanno voceperché sono i prediletti del Signore Gesù.A te che, come tutti, dai ogni tanto un’occhiataalla carta d’identità e ti accorgiche gli anni passano velocementeauguro di contare il tempo con la saggezza dei giustiche rimangono eternamente giovaniperché non perdono tempoad armarsi e a difendere la loro vita,ma la spendono con generosità,senza misurare il tempo e le energie.A te, che hai la fortuna di presiedere l’Eucaristiaauguro di sciogliere ogni giornoil tuo rendimento di grazieperché Dio ti ha donato di viverel’avventura della fede nel ministeroe ha colmato ogni giorno della sua gioia.Mandi, don Ruggero!

Roberto Laurita

Per l’uomo, la musica, almeno quella che il suo amico Quirino Principedefinisce “musica forte”, rappresenta sempre un’elevazione. Aman-dola, e ospitandola negli spazi che lo vedono “padrone di casa”, mon-signor Dipiazza completa e affina il servizio delle sue parole.

Alex Pessotto

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L’approccio, pertanto, mette qualcuno unpo’ in apprensione ma di solito è amiche-vole e disponibile. Comunque ti intriga.Ieri come oggi, vigilia di traguardi di vitasingolari ed impegnativi per uno che è vis-suto e vissuto intensamente. Da giovanequando calcava i campi di calcio, stavasempre sulla sinistra ma a centrocampo equindi con la pretesa dichiarata di control-lare il campo e di essere il centro, attra-verso il quale inesorabilmente sonodestinate a passare tutte le azioni e,quindi, anche il risultato finale. Nella vitaha imparato quanto sia difficile la gestionedelle esigenze comunitarie.Dopo quelle evoluzioni sul campo di giocodi Comeglians, la vita di don Ruggero hapreso pieghe sempre importanti come sidice oggi quando si carenza di aggettivi.Per la verità, l’impatto a Monfalcone dovenon mancavano compaesani e parenti coni parastinchi e con la parola pronta, finan-che sfiancante e ingiustificata, la sua fran-chezza gli è costata il posto. Trasferitoall’oratorio Pastor angelicus, ha dato il me-glio di sé in quella età della giovinezza eprima maturità alla quale sono consentitemolte libertà ma anche passioni forti e co-raggio per tentare di liberare campo egioco da molti provincialismi e di speri-mentare tutto, anche quello - essere vica-rio del duomo - che restava fisso e conmedaglia di Maria Teresa al petto.Chi l’ha conosciuto dopo il sessant’otto - equindi trentaquattrenne di prestigio e diesperienza, parroco a S.Rocco - e gli davadel Lei come si usava in quel tempo, lo havisto impegnato nella titanica impresa diconservare molto, pretendendo di indos-sare spesso i vestiti dell’innovatore e il lin-guaggio di chi vuole motivare posizioni escelte. Trasformato in uomo d’azione, ha

vissuto in prima persona molte delle coseche predicava, come per esempio l’acco-glienza e la convivenza, con indomito co-raggio e esemplare applicazione. La capacità di accostare situazioni difficili,tipica dell’uomo e del sacerdote don Rug-gero, si è accompagnata sempre con uncuore che ama gettarsi oltre l’ostacolo maanche con innegabile grinta (che dura finoad oggi e gli auguriamo ancora per tanto).Il cambiamento richiede sempre la raziona-lità delle scelte e la determinazione per de-cisioni che guardino al domani: centrale èsempre quello dell’ educazione e della rea-lizzazione di strutture che possano dare ri-sposta a questa esigenza. Oratorio, casa inmontagna, sala per la cultura: tre passaggied un unico approdo stringente. Obiettivoraggiunto con l’intelligenza di cambiare ladestinazione dei beni, l’intraprendenza ditrovare contributi e fondi, la progettualitàcoraggiosa ed il consiglio di persone spec-chiate (amici prima di tutto) e con la forzadi arrivare in fondo senza cedere mai, met-tendo a servizio della comunità cittadinaluoghi e persone per un servizio, spessocontestato ma reale.Lo stesso, appassionato e fervido, passag-gio dentro la Caritas diocesana - che è po-tuta diventare tale soprattutto quandonon ci si è chiusi nel trinomio liturgia cate-chesi e carità - ha valorizzato ed espressopienamente la sua ansia bisognosa diascolto e di conoscenza, di cultura e di po-litica, di ecumenismo reale: è stata una lun-ghezza d’onda impegnativa e una scuolache esclude illusioni ed educa al realismo.Tipico dei conservatori, si dice, è difenderela memoria: una difesa che diventi trasfor-mazione attraverso il Centro per la conser-

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Essendo mancino, preferisceaffrontare persone e situazionida sinistra.

vazione del borgo citta-dino, è una impresa tita-nica non priva diondeg giamenti, ma cheuna fedeltà coraggiosa tra-sforma in innegabile sug-gestione per il futuro.Qualche gelosia e la tenta-zione di essere sempre sullacronaca e di avere l’ultimaparola, gli si può - e deve -perdonare, chiedendogli diessere grato a quanti -anche con le critiche - glihanno dato una mano.“Ad multos annos”.

Renzo Boscarol

Nelle molte e svariatissime attività cheun buon parroco può (o dovrebbe) pro-muovere e svolgere spiccano il senso deldovere pastorale e il fondamento deirapporti stretti con i fedeli: ed è ciò chedistingue l'operato e l'atteggiamento didon Ruggero nella sua parrocchia damolti anni.Ha modo di farsi apprezzare l'intesanella collaborazione con le famiglie econ i gruppi associati e organizzati, inun fecondo coordinamento in vari am-biti, con vantaggi evidenti anzitutto trala gioventù che si dimostra coinvolta eattaccata alla comunità intera; l'esem-pio e i riscontri riguardano un po' tantialtri settori della vita e dell'identità par-rocchiale: e qui si distingue la cura pun-tuale nella continuità fedele eaggiornata delle tradizioni particolari dicui sono depositari la parrocchia e ilborgo di San Rocco.In modo particolare, l'intraprendenza,che pure rende sempre nuova ogni ri-proposta tradizionale, si rivela efficacee in crescita a favore della musica, dellacultura (preziose sono diventate alcunestrutture, come la rivista «Borc SanRoc», la sala «Incontro», accanto allaSagra popolarissima e al Centro per letradizioni popolari); e non possono es-sere dimenticate la casa di Malbor-ghetto, i tanti viaggi e le escursioni, veristrumenti di socializzazione e di cono-scenza più che pretesti per l'evasione,ciò che avviene anche per alcuni cicli dipregevoli serate musicali, storiche e let-terarie.Al di sopra e dietro a tante propostecontinue e a tanti strumenti, di cui si av-vantaggiano un po' tutti in città, si col-loca la personalità di don Ruggero, colsuo vigore ma anche con il suo distaccosorridente ma anche geloso: un'autoritàche può apparire esigente ma che si tra-duce in forme e strumenti persuasivi nelrichiamarsi a principi autorevoli e a cri-teri didatticamente incisivi su basi eti-che.È raro che si possano riscontrare formesimili di collaborazione, il cui merito sideve anche alla partecipazione di tantisingoli e di vari gruppi, opportuna-mente stimolati e generosamente par-tecipi, in un'azione di così alto valore.

Sergio Tavano

Una fucina diideee iniziative

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15 ottobre 196715 ottobre 2012

Osservazionea distanza

Il quindici di ottobre di quarantacinque annifa facevi il tuo ingresso nella parrocchia diSan Rocco in Gorizia con la responsabilità diguidare una realtà cittadina dalla forte iden-tità e dalle consolidate tradizioni che avevada poco dovuto salutare il suo precedentepastore, don Onofrio Burgnich, che così tantoaveva saputo fare per la comunità durante isuoi otto anni di servizio che sarebbe statosempre ricordato con affetto e riconoscenzanegli anni successivi.Solo tu ricordi le sensazioni ed i pensieri cheaffollavano la tua mente mentre tra due alidi folla, passando accanto alla fontana del La-sciac, ti dirigevi verso l’ingresso della chiesa.Gli anniversari sono inevitabilmente anchetempo di bilanci e viene spontaneo chiedersicosa è cambiato in questo lungo lasso ditempo.Sfogliando i giornali di quell’ormai lontanoottobre 1967, vediamo una Gorizia alle presecon rilevanti situazioni di crisi industriale a li-vello provinciale (e da questo punto di vista,sembra oggi con la differenza che il pro-blema lavoro ha raggiunto ora un livello diguardia e che è ormai del tutto scomparsa larealtà industriale da questa città); una cittàproiettata verso altre mete demografiche (inespansione verso i 50 mila abitanti) ma pe-santemente condizionata dal confine di Statotracciato giusto giusto vent’anni prima; unacittà che appena si apriva all’esterno cer-cando nella cultura un ponte verso le gentidella vecchia Mitteleuropa. Guardando alla parrocchia, in quel mese tro-vavi una comunità che dopo aver festeggiatocome tradizione la sua sagra secolare avevadovuto salutare il suo parroco che l’avevafatta crescere e dotata, tra l’altro di un nuovooratorio e si chiedeva probabilmente di chepasta sarebbe stato il nuovo che stava per ac-cogliere. Una parrocchia che hai raccolto econtribuito a cambiare anche negli spazi fisici(la canonica, la Sala Incontro e non solo).Eppure vi è anche una rilevante corrispon-denza che pare unire quel periodo al nostrotempo : allora, proprio come ora, la nostraDiocesi era ad una svolta e accoglieva il suonuovo vescovo in monsignor Pietro Cocolindestinato a rimanere nei cuori della suagente per il suo particolare calore umano.Oggi attraversiamo una situazione analogadi novità e di speranze accogliendo il nuovoarcivescovo.La tua avventura tra noi iniziava dunque nelsegno del cambiamento ma anche di una in-negabile continuità nella geografia di prove-nienza (Aiello del Friuli per te, Ruda per donOnofrio, Saciletto per il vescovo Pietro).Spesso ami ricordare le tue origini umili di fi-

glio del Friuli Goriziano e proprio queste ori-gini ti hanno permesso di entrare in pro-fonda sintonia con lo spirito più genuino diquesta comunità nonostante le difficoltà chehai incontrato. Non deve essere stato certa-mente un compito facile da principio conqui-stare la fiducia e la stima dei borghigiani edimmaginiamo quante energie e quanta faticati deve essere costato l’essere comunque unpunto di riferimento per la gente di SanRocco, credente e non.Grazie alla tua iniziativa e alle persone chehai trovato disponibili lungo la tua strada, lanostra comunità si è impegnata e si impegnatanto da essere riconosciuta come una dellepiù dinamiche e attive; essa rappresenta i ta-lenti che ti sono stati affidati e quanto hai sa-puto farli fruttare è possibile capirlo da alcunisegni quali le realtà che operano attorno allaparrocchia ma la rete di relazioni, di legamiumani che hai saputo tessere con la tua per-severanza, il tuo calore e la tua talvolta ru-vida sincerità sono il frutto più profondo everitiero del tuo operato; ci vuole passioneper l’uomo in tutte le dimensioni nelle qualipuò esprimersi la sua ricchezza e questo è ciòche traspare evidente dal tuo agire. Ti ha aiu-tato la tua naturale grande capacità comuni-cativa che ti fa essere, a secondadel l’interlocutore, bambino con i bambini,giovane con i giovani e maturo con le per-sone più grandi. E’ un grande dono e non èda tutti. Possiamo proprio dire che la sceltacaduta sulla tua persona quarantacinqueanni fa è stata veramente azzeccata e che –pur con tutti i tuoi limiti (e si perché qualcosaabbiamo anche noi da farti notare!) hai dato“sale” a questa comunità, stimolando, pro-ponendo, provocando senza sosta quasi a te-mere continuamente che si adagi su se stessa.L’augurio che ti facciamo e che ci facciamo èquello di vederti ancora a lungo alla guida diquesta comunità a spronarci a camminare in-sieme alzando lo sguardo oltre l’orizzontedel nostro quotidiano per annunciarci che c’èqualcosa di più.Siamo felici di averti accompagnato fin qui ese non siamo stati sempre all’altezza delle tueaspettative ricorda quello che di buono siamoriusciti a dare: GRAZIE DON !

Pierpaolo MartinaConsiglio pastorale parrocchiale

Mi propongono una testimonianza per-sonale su monsignor Ruggero Dipiazza.Non prevedevo che qualcuno me loavrebbe chiesto, anche se, forse, spe-ravo in qualche piega dei miei desideriche questo avvenisse. Quasi sempre, diuna persona mi piace più parlare chescrivere. Ma nel caso di questo sacerdotedalla fisionomia complessa, piena disporgenze e di accensioni improvvise edi asperità che invitano al dialogo in-vece di frenarlo, e dall’immagine este-riore molto diversa da quella che labanalità quotidiana si raffigura a propo-sito di un ecclesiastico, lo scrivere puòessere necessario più che il conversare oil lasciarsi guidare dalle impressioni.Ruggero Dipiazza è più anime in una,convergenti in una qualità dello spiritoe perciò unificate e disciplinate. Scri-verne, significa anche fare ordine nellemie idee.La cronistoria degli avvenimenti che melo hanno fatto conoscere è originali esemplice, persino povera. Prima di lui,avevo conosciuto suo fratello, l’eccel-lente compositore Orlando Dipiazza,avendone ascoltato le musiche di altopregio artistico e di somma abilità poli-fonica prima in esecuzioni di altri musi-cisti, poi avendole lette in partitura astampa, e infine avendone ascoltatouna bella e generosa scelta in un memo-rabile concerto ad Aiello, nel 1999.Qualche anno dopo, durante la pausanei lavori di un convegno, fui presen-tato a don Ruggero. Fu un incontro bre-vissimo: egli ebbe l’occasione di dirmi,con simpatica animazione, che le cosedette e scritte da me lo facevano semprearrabbiare, ma che egli le trovava sem-pre in maggiore o minore misura inte-ressanti. Fu uno dei giudizi sulla qualitàdei miei intemperanti sproloqui cheoggi mi rendono maggiore giustizia , eche tuttora continuano ad appagarmi.Aggiunse anche una sua interpreta-zione: che io avessi (e abbia) in me laforte tendenza a provocare, per “épaterles bourgeois”. Aveva colto subito unlato essenziale delle mie debolezze “al-lzumenschlich”.Ancora qualche tempo, e ricevetti, in-credulo e orgoglioso, una sua telefo-

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Materiale fotografico: Renzo Crobe, Luciano Franco,Claudia Ursic

Direttore: Erika JazbarRedazione: Vanni Feresin e Laura Madriz MacuzziCopertina: Piazza e Chiesa di San Rocco di Franco DugoIn questo numero hanno collaborato:

Alessandro Arbo, Nicolino Borgo, Renzo Boscarol,Marina Cerne, Roberto Collini, Livio Corazza,Roberto Covaz, Nicolò Fornasir, Luciano Franco,Roberto Laurita, Cristina e Marco Luciano, MarcoLutman, Elisabetta Lilli Madriz, Renato Madriz,Pierpaolo Martina, Ivan Marzola, Maria ElenaNapolano, Giuseppe Pasini, Alex Pessotto, BrunoPizzul, Marco Populin, Quirino Principe, CeciliaSeghizzi, Mauro Ungaro, Claudia Ursic, SilviaUrsic, Sergio Tavano, Angelo Zanello.

Editore: Centro per la Conservazione e Valorizzazionedelle Tradizioni Popolari - borgo San Rocco

Correttore di bozze: Giuseppe Marchi

Stampa: Tipografia Grafica Goriziana - Gorizia

Supplemento a Borc San Roc 23

Macuzzi LorenzoIMPRESA EDILE ARTIGIANA

Via Blaserna, 3034170 Gorizia

Cell: 347 [email protected]

34170 GoriziaCorso Italia, 50

Tel. / fax 0481 533643E-mail: [email protected]

CONCESSIONARIA

S.p.A.

nata, in cui m’invitava a parlare (non ri-cordo l’argomento preciso) a Gorizia, nelCentro di Borgo San Rocco, luogo di ag-gregazione e di mediazione culturale incui si ha la sensazione che esista davveroun’anima pensante della nostra città.Nelle mie personali esperienze di rela-tore, intrattenitore, vanitoso esibizioni-sta, vissute in quella e in altre pur nonnumerosissime occasioni, ho sempre os-servato senza parere, ma con la massimacuriosità, il pubblico, attratto da quellasala, dall’energia intellettuale, morale ecivica di don Ruggero, da quel luogo diGorizia: un luogo in cui deve per forzanascondersi una pietra irradiante lumino-sità e forza. È da credere che, quando siè nella sala, le decine di migliaia dianime che vivono, respirano e dormonotra il Castello e l’Isonzo siano rappresen-tate tutte, e che lo siano come espres-sione della migliore volontà.Il primo merito che voglio indicare, fraquanti vanno riconosciuti a monsignorRuggero Dipiazza, è proprio questo. Inmezzo secolo di attività pastorale svoltaa Gorizia, egli ha fatto nascere una realtàculturale e civica fondata su tre idee pri-marie: l’aggregazione fraterna, la libertàdall’ideologia, l’indipendenza dalle pa-role d’ordine e dalle mode promossedall’industria culturale. Tutto questo in-sieme costituisce una fisionomia ricono-scibile non appena un visitatore curiosoma forestiero entra nel Centro mentresta per cominciare uno degli incontri. Èuna fisionomia che esprime (a) il piaceree l’intelligente tensione dello stare in-sieme in modo dialettico, (b) la rara pos-sibilità di constatare la diversità diopinioni senza per questo sentirsi avver-sari incompatibili, (c) il compiersi del co-mandamento formulato da StéphaneMallarmé nel sonetto Le tombeau deEdgar Poe: compito del poeta è «donnerun sens plus pur aux mots de la tribu»,purificare da ruggine e incrostazioni illinguaggio della tribù, dei nostri vicini esimili, di coloro che parlano il nostrostesso idioma. Compito del poeta: insenso estensivo, il compito del maestro,dell’amico, di chiunque dialoghi con unaltro e voglia rendere sempre attivo e lu-cido lo strumento del dialogare. Mi è ac-caduto di dialogare con monsignor

Dipiazza in tempi imprevedibili, e con in-tervalli molto irregolari, e mi dispiacemolto che ora, a causa delle mie condi-zioni fisiche, da qualche anno non visitopiù la mia città, Gorizia, e non incontropiù quell’uomo, guida spirituale e cultu-rale di tanti goriziani. Il periodico «BorcSan Roc», edito a Gorizia dal “Centro perla conservazione e per la valorizzazionedelle tradizioni popolari di Borgo SanRocco” e diretto da Dalia Vodice (se lemie informazioni sono aggiornate), èspecchio dell’esattezza ‒‒ vorrei dire,della perfezione assunta a obiettivo mi-nimo ‒‒ che è caratteristica della sua di-rettrice, e si configura secondo le lineeculturali su cui concordano i suoi collabo-ratori, alcuni maturi e illustri, altri gio-vani e molto promettenti; ma non c’èdubbio che l’ispirazione e l’esempio intel-lettuale di don Ruggero abbiano un fortepeso specifico. A titolo dimostrativo, vorrei scegliere duenumeri del periodico, il n. 17 (novembre2005) e il n. 19 (novembre 2007), che holetto con particolare attenzione, trattan-dosi di due quaderni corposi e ricchissimidi notizie e di idee (“ricchissimi” è un ag-gettivo a mala pena adeguato), e daiquali ho tratto dettagliate annotazioni,poiché quasi nella loro totalità essi sonoveri e propri numeri monografici, riviste-libri dedicate alla musica e alla culturamusicale. I due quaderni raccolgono studisulla tradizione musicale goriziana o, insenso più esteso, regionale, che nessunconoscitore di musica né tanto meno al-cuno studioso di musica in termini storio-grafici e scientifici potrebbe ignorare. Itemi più frequentati, e, per me, più gori-ziani: canti e riti della Settimana Santa(Vanni Feresin), Augusto Cesare Seghizzimusicista malgrado tutto durante l’inter-namento a Wagna (Bernardo Bressan),Gaetano Mugnone e il suo soggiorno aGorizia Gioacchino Grasso), Corrado Bar-tolomeo Cartocci (Grasso), Eugenio Vo-lani (Feresin), e altri saggi su musica earchitettura, musica e organizzazione ec-clesiastica… Ma questi, appunto, e ana-loghi, sono i temi sui quali avevoconversato con monsignor Dipiazza,uomo, sacerdote e goriziano d’elezione(ma vicinissimo per nascita), la cui pas-sione per la musica che io propongo di

chiamare “forte” e non “classica” è unofra i segni fondamentali del carattere.La forza di una passione per un oggettoaltissimo, sulla cui collocazione nellasfera del sublime don Ruggero e io, ossial’acqua santa e il diavolo, forse c’inten-diamo facilmente; questa è una delle ra-gioni che rendono saldissima la stima chesento per lui, per le sue letture libere eprobabilmente solitarie e notturne, perla libertà incondizionata che ha ispiratosempre, durante i nostri non frequentima sempre vivi e dialettici colloqui, il mioaffetto per lui e l’ammirazione per il la-voro inestimabile da lui compiuto neglioramai quarantacinque anni di serviziopastorale a San Rocco. L’indimenticabileatto di simpatia e di generosità con ilquale, in una mattina fredda e brumosadi qualche inverno fa, don Ruggero ebbepietà di me e mi accompagnò in auto daGorizia a Verona, permettendomi così difare la mia giornata di lezione subitodopo una delle felici serate al Centro diBorgo San Rocco, non è stato un “valoreaggiunto”: è stato un simbolo, burberoe quasi segreto per gli altri, della caritasdi chi vede le cime montane e vuole soc-correre uno che tenta di vederle, tirandoil collo più che può.Buon anniversario, don Ruggero !

Quirino Principe