Newman. La Speranza, Gli Idoli e i Santi

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7/17/2019 Newman. La Speranza, Gli Idoli e i Santi http://slidepdf.com/reader/full/newman-la-speranza-gli-idoli-e-i-santi 1/1 L’OSSERVATORE ROMANO sabato 12 settembre 2015 pagina 7  John Henry Newman e la speranza nella vita cristiana Buoni maestri di HERMANN GEISSLER In un discorso su «La santità come criterio esemplare del principio cri- stiano», John Henry Newman ap- profondisce alcuni pensieri. Come è per lui usuale, parte dalla coscienza, da quell’istinto del cuore che «sug- gerisce all’uomo la differenza tra il bene e il male e costituisce il criterio per valutare i pensieri e le azioni» (Sermoni cattolici , 57). La luce della coscienza ci è data per guidare l’ani- ma nel suo cammino verso il cielo, «per additarci il nostro dovere in ogni circostanza, per istruirci in par- ticolare intorno alla natura del pec- cato, per renderci atti a giudicare tra tutte le diverse cose che ci si pro- pongono, e sceverare il prezioso dal vile; per impedire che fossimo sedot- ti da ciò cheha un’apparenza grata e piacevole; per dissipare i sofismi della nostra ragione» (ibidem, 58). Per essere in grado di compiere questa missione, la coscienza «ha bi- sogno di essere guidata e sostenuta; lasciata a se stessa, anche se, in un primo momento, si esprime secondo verità, tende in seguitoa farsi incer- ta, ambigua e falsa. Per mantenersi sulla via del dovere, ha bisogno di buoni maestri e di buoni esempi» (ibidem, 57). Ora la tragedia, secon- do Newman, sta nel fatto che questi necessari maestri ed esempi spesso ci mancano. Anche in Paesi che si van- tano di essere cristiani, la luce nel cuore di tante persone si è fatta fio- ca e impotente, perché non hanno più un’idea chiara di Dio e di ciò che è vero, buono e bello. Per carat- terizzare questepersone, Newman impegna un’immagine forte: assomi- gliano a uomini che vivono in caver- ne sotterranee: «Laggiù lavorano, laggiù prendono i loro piaceri, lag- giù forse muoiono» (ibidem, 58). Es- se non vedono mai la luce del gior- no e, sebbene abbiano occhi come tutti, non possono formarsi un’idea esatta dello splendore radioso del sole, dei bei cieli inarcati, degli spa- z i a zz ur ri , d ei m on ti i mp er vi , d el verde ridente dei prati. E poiché non possono rimanere nelle tenebre, si creano delle proprie luci. Esse, in- fatti, per un bisogno della loro natu- ra, devono poter levare lo sguardo verso qualche cosa di alto e, se non sanno nulla di Dio e dei suoi santi, si creano degli idoli che diventano oggetto della loro adorazione (cfr. Sermoni cattolici , 61). Una prima luce-idolo, da tanti adorata evenerata, èla ricchezza terrena. Scrive Newman: «Il loro dio è mammona. Badate: non voglio dire, con questo, che ciascuno di lo- ro si dia pena e s’affanni per arric- chire, ma che tutti s’inchinano di fronte alla ricchezza. È infatti alla ricchezza che la gran maggioranza d eg li u om in i r en de u n o ma gg io istintivo» (ibidem, 61). Molti sanno bene chenon possono mai diventare ricchi, ma misurano la felicità dalla ricchezza, ritengono rispettabili i ric- chi, cercano amici tra i ricchi, pensa- no che la ricchezza possa fare ogni cosa. Newman menziona ancora una se- conda luce-idolo. «La ricchezza — così afferma — è il primo idolo del n os tr o t em po . La notorietà è il se- condo» (ibidem, 62). I moderni mez- zi di comunicazione hanno aperto nuove possibilità per gli uomini di guadagnare prestigio e di farsi im- portanti agli occhi del mondo. «Og- gi, la notorietà, la fama giornalistica sono, per la gran maggioranza, quello che l’eleganza e lo stile (per usare il linguaggio mondano) sono per coloro che appartengono più o meno intrinsecamente agli ambienti più elevati. La notorietà è diventata p er la m as sa u na s pe ci e di i do lo , adorato di per se stesso» ( ibidem, 62). Certo, non tutti possono arriva- re alla notorietà, ma giudicano il va- lore di una persona a partire dalla sua notorietà, dalla sua fama pubbli- ca, dal suo prestigio nel mondo. Di fronte a queste luci-idolo, Ne- w ma n e sc la ma p ie no di d ol or e: «Questi sono i tuoi dei, o Israele (cfr.  Esodo, 32, 4). Ohimé! Questo grande e nobile popolo, nato per tendere a cose grandi, nato per ve- nerare ciò che è elevato, guardatelo, ora, come s’aggira alla luce di torce nella caverna, o insegue i fuochi fa- tui delle paludi, incapace d’intende- re se stesso e il proprio destino, la propria contaminazione, la propria miseria, perché è privo della luce dei grandi luminari del cielo» ( Sermoni cattolici , 63). Ricchezza e notorietà non sono mali in sé, ma diventano mali se vengono venerati e adorati, se diventano idoli per gli uomini che vivono nelle caverne sotterranee e non conoscono la vera luce. Ora, che cosa capita se gli uomi- ni, per un intervento della provvi- denza di Dio, giungono alla soglia d el la c av er na e vedono la luce del giorno? «Quale mutamento per essi — scrive Newman — quando, per la prima volta, gli occhi della loro ani- m a s i d is su gg el la no e , c on l a v is ta che dà la grazia, cominciano a con- templare il sole di giustizia, Gesù, i cieli di angeli e arcangeliove egli ha la sua dimora, la risplendente stella del mattino, che è la madre sua be- nedetta, le continue cascate e i fiotti di luce che si riversano sulla terra e nel toccarla si trasformano in un ar- cobaleno d’infiniti colori, che sono i suoi santi, e il mare sconfinato che è l’immagine della divina eternità! E poi, ancora, la placida luna notturna che è figura della sua Chiesa, e le stelle silenti, come pii e santi vian- danti, che viaggiano in solitario pel- legrinaggio verso il loro eterno ripo- so» (ibidem, 64). Una simile esperienza di Tabor fanno coloro che sono disposti a uscire dalla caverna del pensiero mondano, egocentrico, autosuffi- ciente e si aprono alla luce meravi- gliosa di Dio. Riconoscono che i ve- ri criteriper valutare il bene non so- no né la ricchezza,né l’influenza so- ciale, né il rango elevato, ma «la santità e i beni che l’accompagnano: la santa purezza, la santa povertà, la fortezza eroica, la pazienza, il sacri- ficio di sé per amore degli altri, la rinuncia al mondo, i favori del cielo, la protezione degli angeli, il sorriso della beata Vergine, i donidella gra- zia, gli interventi straordinari del miracolo, la comunione dei meriti» (ibidem, 65). Uomini di questo genere mirano ad alti ideali. Essi, forse, non sono sempre capaci di mettere in pratica ciò che è buono, vero e giusto. Però conoscono quello che è vero, «sanno che cosa pensare, sanno come giudi- care; hannoun modello che fornisce loro un criterio per giudicare dei principi di condotta, e, questo mo- dello, è l’immagine del santo a for- marlo nella loro mente» (ibidem, 65). Certo, i santi non cadono dal cielo, e ss i c on os co no l e t en ta zi on i d el mondo, ma combattono la buona battaglia della fede, vivono della grazia di Dio e vincono contro il male. I santi manifestano alle molti- tudini «quel che Dio è capace di operare, quel che l’uomo è capace di essere» (ibidem, 69). Ci sono santi in tutti gli strati della società, nei vari stati di vita e nei più diversificati compiti nella Chiesa e nel mondo. I santi sono molto diversi tra loro e spesso hanno ricevuto dei doni particolari. Non sempre possono es- sere un esempio per noi, «restano però in ogni caso il nostro modello del giusto e del bene. Sono stati co- sì innalzati per essere un memoriale e un insegnamento: ci fan memoria di Dio, ci introducono nel mondo invisibile, ci apprendono che cosa Cristo ami, tracciano per noi la stra- da che conduce al cielo. Rappresen- tano, per noi che li contempliamo, quello che la ricchezza, la fama, il rango, il nome, significano per la moltitudine che vive nella caverna: sono l’oggetto della nostra venera- zione e del nostro omaggio» (ibidem, 7 0) . I s an ti , n ei q u al i b ri ll a l a l uc e di Dio, sono un sicuro punto di rife- rimento per la nostra coscienza af- finché possiamo distinguere il giusto dall’ingiusto, il bene dal male e lo Spirito di Dio dallo spirito del mon- do. Isanti, inoltre, cispingono a c om pi er e i l b en e, c on i l s os te gn o dell’aiuto di Dio. Benedetto XVI, nella sua enciclica sulla speranza cristiana, ha sottoli- neato l’importanza dei santi. Scrive infatti: «Le vere stelle della nostra vita sono le persone che hanno sa- puto vivere rettamente. Esse sono luci di speranza. Certo, Gesù Cristo è la luce perantonomasia, il sole sorto sopra tutte le tenebre della storia. Ma per giungere fino a Lui abbiamo bisogno anche di luci vici- ne — di persone che donano luce traendola dalla sua luce ed offrono così orientamento per la nostra tra- versata» (Spe salvi , n. 49). Se la no- stra coscienza è incerta e non sa co- me agire in unasituazione concreta, cerchiamo di pensare a una persona santa. Se riusciamo a far sorgere in noi un tale pensiero, quasi sempre riceviamo la luce e la forza percom- piere il prossimo passo, sul nostro cammino di pellegrinaggio verso Dio e la vita eterna, la vita vera nel- la comunione dei santi. Messa del Pontefice a Santa Marta Rischio ipocrisia «Se si trovasse una persona che mai, mai, mai ha parlato male di un’altrasi potrebbe canonizzare su- bito»: è con un’espressione forte che Francesco ha messo in guardia dalla tentazione «ipocrita» di pun- tare il dito sempre contro gli altri. Invitando, piuttosto, ad avere «il coraggio di fare il primo passo» ri- conoscendo i propri errori e le pro- prie debolezze e accusando se stes- si. È il consiglio spirituale, centrato su perdono e misericordia, che il Pontefice ha suggerito nella messa celebrata venerdì mattina, 11 settem- bre, nella cappella della Casa Santa Marta. Perché «l’ipocrisia» —ha ammonito — è un rischio che cor- riamo «tutti, incominciando dal Pa- pa in giù». «In questi giorni — ha fatto subi- to notare Francesco — la liturgia ci ha fatto riflettere tante volte sulla pace, sul lavoro di pacificare e di ri- conciliare che ha fatto Gesù, e an- che sul nostro dovere di fare lo stesso» e cioè «fare la pace, fare la riconciliazione». Inoltre, ha prose- guito il Papa, «la liturgia ci ha fatto anche riflettere sullo stile cristiano, soprattutto su due parole, parole che Gesù ha messoin atto: perdo- no e misericordia». Ma, ha insistito Francesco, «dobbiamo realizzarle anche noi». E «così — ha proseguito — in questi giorni, la liturgia ci ha porta- to a pensare questo, a riflettere su questa strada della misericordia, del perdono, dello stile cristiano con quei sentimenti di tenerezza, bontà, umiltà, mansuetudine, magnanimi- tà». Lo stile cristiano, infatti,consi- ste nel «sopportarci a vicenda, l’uno l’altro»: un atteggiamentoche «porta all’amore, al perdono, alla magnanimità». Perché «proprio, lo stile cristiano è magnanimo, è grande». «Il Signore — ha spiegato il Pon- tefice — ci ha poi detto che, con questo spirito grande, c’è anche un’altra cosa: quella generosità, ge- nerosità del perdono, generosità della misericordia». E «ci spinge a essere così, generosi, e a dare: dare tutto da noi, dal nostro cuore; dare amore, soprattutto». In questa pro- spettiva, ha aggiunto, «ci parladel- la “ricomp ensa”: non giudicate e non sarete giudicati; non condanna- te e non sarete condannati». Questo, dunque, ha affermato Francesco, «è il riassunto del Si- gnore: perdonate e sarete perdona- ti; date e vi sarà dato». Ma «che cosa vi sarà dato? Una misura buo- na, pigiata, colma, traboccante — ha ricordato il Papa — vi sarà versa- te nel grembo, perché con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi il cammino». Insomma «se tu hai una grande misura d’amore, di misericordia, di generosità, sarai giudicato così; altrimenti, secondo la tua misura». Così «è il riassunto del pensiero della liturgia in questi giorni» ha fatto presente il Pontefice. Tutti noi, ha commentato, «possiamo di- re: “Questo è bello, eh! Ma, padre, è bello, macome si fa, come si in- comincia questo? E qual è il primo p as so p er a nd ar e s u q ue st a s tr a- da?”». Proprio nella liturgia, è la rispo- sta suggerita dalPapa, vediamo questo «primo passo, sia nella pri- ma lettura sia nel Vangelo». E «il primo passo è l’accusa di se stessi, il coraggio di accusare se stessi, pri- ma di accusare gli altri». L’ap ostolo Paolo, nella prima lettera a a Timo- teo (1, 1-2.12-14), «loda il Signore perché lo ha eletto e rende grazie perché gli ha dato “fiducia metten- do al suo servizio me, che prima Per la dedicazione della nuova cattedrale Il cardinale Vingt-Trois inviato papale a Créteil  Lo scorso 8 agosto è stata pubblicata la nomina del cardinale André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi, a inviato speciale di Papa Francesco alla celebrazione eucaristica col rito della dedicazione della nuova cattedrale della diocesi di Créteil (Francia), in programma il 20 settembre. Di seguito la lettera  pontificia di nomina. Venerabili Fratri Nostro  ANDREAE S..E. Cardinali INGT-TROIS, Archiepiscopo Metropolitae Parisiensi Sacrarum Scripturarum verba meditantes: «Ego autem in multitudine misericordiae tuae introibo in domum tuam; adorabo ad tem- plum sanctum tuum in timore tuo» ( Ps 5, 8), grato laetoque animo nuper accepimus proxi- me Christoliensi in urbe novum cathedrale templum sollemni modo consecratum iri. Illo die istius dioecesis presbyteri et christifideles laici gratias omnipotenti Deo agent ob tanta Eius beneficia quae superiores per annos toti inibi christianae communitati largiri est digna- tus. Eodem enim tempore quo sacra illa aedes extruebatur, Synodum dioecesanam cui titulus est «Cum Iesu Christo alter alterius onera por- tate et cum omnibus Evangelii gaudium com- municate» (cfr. Gal 6, 2) tota dioecesana com- munitas celebravit atque, diligenti Sacro Prae- sule Venerabili Fratre Michaele Santier mode- rante,precibus et meditatione Sacrarum Scrip- turarum nec non per consideratam missionem in mundo nostrae aetatis solide sead hanc ce- lebrationem paravit. Quam ob rem memoratus Episcopus huma- nissime Nos rogavit ut aliquem eminentem vi- rum mitteremus, qui Nostras vices Cristolii ge- reret Nostramque erga istum gregem dilectio- nem manifestaret. Ad Te ergo, Venerabilis Fra- ter Noster, qui gravissimum munus Archiepi- scopi Metropolitae Parisiensis exerces, mentem Nostramvertimus Teque hisce Litteris Missum  Extraordinarium Nostrum nominamus ad conse- crationem dictae ecclesiae, quae die XX proxi- mi mensis Septembris in memorata urbeperfi- cietur. Sollemni praesidebis Eucharistiae cum ritu consecrationis atque omnes adstantes sermone tuo ad diligentiorem usque Christi imitationem cohortaberis: oportet enim ut novis viribus no- voque studio peculiarem dilectionem Evangelii et Ecclesiae demonstremus atque cotidiana in vita fidei virtute ardeamus. Rogamus Te etiam ut Nostram omnibusibi congregatis salutationem afferas, Episcopo no- minatim Christoliensi ceterisque sacris Pastori- bus, presbyteris, religiosis viris ac mulieribus christifidelibusque laicis. Exoptamus denique ut verba Nostrae benevolentiae etiam ad civiles auctoritates nec non aliarum religionum asse- clas extendas et ad omnes qui Ecclesiae mis- sionem, libertatis religiosae condicionem atque sincerum personae humanae bonum studiose fovent. Nos autem Te, Venerabilis Frater Noster, in tua missione implenda precibus ferventer co- mitabimur. Denique Benedictionem Nostram  Apostolicam libentes Tibi impertimur, signum Nostrae erga Te benevolentiae et caelestium donorum pignus, quam omnibus celebrationis participibus rite transmittes, dum a vobis pre- ces expostulamus, ut pergrave Petrinum mu- nus secundum divinam voluntatem diligenter exercere valeamus. Ex Aedibus Vaticanis, die XI mensis Augusti, in memoria S. Clarae, virginis, anno MMXV , Pontificatus Nostri tertio. ero un bestemmiatore, un persecu- tore e unviolento”». Questa, ha spiegato Francesco, «è stata miseri- cordia». Paolo «dice di se stesso cosa era, un bestemmiatore, ma chi bestemmiava era condannato alla lapidazione, alla morte». Paolo era dunque un «persecutore di Gesù Cristo, un violento, un uomo che non aveva pace nella sua anima né faceva la pace con gli altri». Ed ec- co che oggi «Paolo ci insegna ad accusare noi stessi». Nel passo evangelico di Luca (6, 39-42) «il Signore, con quell’imma- gine della pagliuzza che è nell’oc- chio di tuofratello e della trave che è nel tuo,ci insegna lo stesso: fra- tello, togli prima la trave dal tuo occhio, prima accusa te stesso; e al- lora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratel- lo». Dunque il «primo passo» è: «accusa te stesso». Così Francesco ha suggerito an- che unesame di coscienza «quando a noi vengono ipensieri su altre persone», del tipo: «Ma guarda questo così, quello così, quello fa questo,e questo...». Proprio in quei momenti è opportuno domandare a se stessi: «E tu che fai? Cosa fai? Io cosa faccio? Io sono giusto? Io mi sento il giudice per togliere la pagliuzza dagli occhi degli altri e accusare gli altri?». Per queste situazioni Gesù sceglie la parola «ipocrita» che, ha fatto notare il Papa, «usa soltanto con quelli che hanno doppia faccia, doppia anima: ipocrita!». L’uomo e la donna «che non imparano ad ac- cusare se stessi diventano ipocriti». Tutti, eh! Tutti! Incominciando dal Papa ingiù: tutti!». Infatti, ha pro- seguito, «se uno di noi nonha la capacità di accusare se stesso e poi dire, se è necessario, a chi si devo- no dire le cose degli altri, non è cri- s ti an o, non entra i n q ue st ’o pera tanto bella della riconciliazione, della pacificazione, della tenerezza, della bontà, del perdono, della ma- gnanimità, della misericordia che ci ha portato Gesù Cristo». Perciò, ha affermato il Pontefice, «se tu non puoi fare questo primo passo, chiedila grazia al Signore di una conversione». E appunto «il primo passo è questo: io sono capa- ce di accusare me stesso? E come si fa?». La risposta in fondo è «sem- p li ce , è un e se rc iz io s em pl ic e» . Francesco ha suggerito questo con- siglio pratico: «Quando mi viene in mente di pensare ai difetti degli al- tri, fermarsi: “Ah, e io?”. Quando mi viene la voglia di dire agli altri i difetti degli altri, fermarsi: “E io?”». Bisogna avere anche «il coraggio che ha Paolo» nello scrivere di sé a Timoteo: «Io ero un bestemmiato- re, un persecutore, un violento». Ma, ha domandato il Papa, «quan- te cose possiamo dire di noi stes- si?». E allora «risparmiamo i com- menti sugli altri e facciamo com- menti su noi stessi». E così faccia- mo davvero «il primo passo su que- sta strada della magnanimità». Per- ché chi «sa guardare soltanto le pa- gliuzze nell’occhio dell’altro, finisce nella meschinità: un’anima meschi- n a, p ie na d i p ic co le zz e, p ie na d i chiacchiere». Prima di proseguire la celebrazio- ne, il Pontefice ha invitato a chie- dere nella preghiera «al Signore la grazia — questo è anche il coraggio di Paolo — di seguire il consiglio di Gesù: essere generosi nel perdono, essere generosi nella misericordia». Tanto che, ha concluso, «per rico- noscere santa una persona c’è tutto un processo, c’è bisogno del mira- colo, e poi la Chiesa la proclama santa. Ma se si trovasse una perso- na che mai,mai, mai avesse parlato male dell’altro la si potrebbe cano- nizzare subito. È bello, eh?».  Amir Yeke, «Dintorno all’ipocrisia» (2011)

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L’OSSERVATORE ROMANOsabato 12 settembre 2015 pagina 7

 John Henry Newman e la speranza nella vita cristiana

Buoni maestri

di H ERMANN GEISSLER 

In un discorso su «La santità comecriterio esemplare del principio cri-stiano», John Henry Newman ap-profondisce alcuni pensieri. Come èper lui usuale, parte dalla coscienza,

da quell’istinto del cuore che «sug-gerisce all’uomo la differenza tra ilbene e il male e costituisce il criterioper valutare i pensieri e le azioni»(Sermoni cattolici , 57) . La luce del lacoscienza ci è data per guidare l’ani-ma nel suo cammino verso il cielo,«per additarci il nostro dovere inogni circostanza, per istruirci in par-ticolare intorno alla natura del pec-cato, per renderci atti a giudicare tratutte le diverse cose che c i si pro-pongono, e sceverare il prezioso dalvile; per impedire che fossimo sedot-ti da ciò che ha un’apparenza gratae piacevole; per dissipare i sofismidella nostra ragione» (ibidem, 58).

Per essere in grado di compierequesta missione, la coscienza «ha bi-sogno di essere guidata e sostenuta;lasciata a se stessa, anche se, in unprimo momento, si esprime secondoverità, tende in seguito a farsi incer-ta, ambigua e falsa. Per mantenersisulla via del dovere, ha bisogno dibuoni maestri e di buoni esempi»(ibidem, 57). Ora la tragedia, secon-

do Newman, sta nel fatto che questinecessari maestri ed esempi spesso cimancano. Anche in Paesi che si van-tano di essere cristiani, la luce nelcuore di tante persone si è fatta fio-ca e impotente, perché non hannopiù un’idea chiara di Dio e di ciòche è vero, buono e bello. Per carat-terizzare queste persone, Newmanimpegna un’immagine forte: assomi-gliano a uomini che vivono in caver-ne sotterranee: «Laggiù lavorano,laggiù prendono i loro piaceri, lag-giù forse muoiono» (ibidem, 58). Es-se non vedono mai la luce del gior-no e, sebbene abbiano occhi cometutti, non possono formarsi un’ideaesatta dello splendore radioso delsole, dei bei cieli inarcati, degli spa-z i azzurri , dei monti impervi , delverde ridente dei prati. E poichénon possono rimanere nelle tenebre,si creano delle proprie luci. Esse, in-fatti, per un bisogno della loro natu-ra, devono poter levare lo sguardoverso qualche cosa di alto e, se nonsanno nulla di Dio e dei suoi santi,

si creano degli idoli che diventanooggetto della loro adorazione (cfr.Sermoni cattolici , 61).

Una prima luce-idolo, da tantiadorata e venerata, è la ricchezzaterrena. Scrive Newman: «Il lorodio è mammona. Badate: non vogliodire, con questo, che ciascuno di lo-ro si dia pena e s’affanni per arric-chire, ma che tutti s’inchinano difronte alla ricchezza. È infatti allaricchezza che la gran maggioranzadegli uomini rende un omaggioistintivo» (ibidem, 61). Molti sannobene che non possono mai diventarericchi, ma misurano la felicità dallaricchezza, ritengono rispettabili i ric-chi, cercano amici tra i ricchi, pensa-

no che la ricchezza possa fare ognicosa.

Newman menziona ancora una se-conda luce-idolo. «La ricchezza —così afferma — è il primo idolo delnostro tempo. La notorietà è i l se-condo» (ibidem, 62). I moderni mez-zi di comunicazione hanno apertonuove possibilità per gli uomini diguadagnare prestigio e di farsi im-portanti agli occhi del mondo. «Og-gi, la notorietà, la fama giornalisticasono, per la gran maggioranza,quello che l’eleganza e lo stile (perusare il linguaggio mondano) sonoper coloro che appartengono più omeno intrinsecamente agli ambientipiù elevati. La notorietà è diventatap er la m assa u na spe ci e di ido lo ,adorato di per se stesso» (ibidem,62). Certo, non tutti possono arriva-re alla notorietà, ma giudicano il va-lore di una persona a partire dalla

sua notorietà, dalla sua fama pubbli-ca, dal suo prestigio nel mondo.Di fronte a queste luci-idolo, Ne-

wman esc lama p ieno di dolore:«Questi sono i tuoi dei, o Israele(cfr.  Esodo, 32, 4). Ohimé! Questogrande e nobile popolo, nato pertendere a cose grandi, nato per ve-nerare ciò che è elevato, guardatelo,ora, come s’aggira alla luce di torcenella caverna, o insegue i fuochi fa-tui delle paludi, incapace d’intende-re se stesso e il proprio destino, lapropria contaminazione, la propriamiseria, perché è privo della luce deigrandi luminari del cielo» (Sermoni cattolici , 63). Ricchezza e notorietànon sono mali in sé, ma diventanomali se vengono venerati e adorati,

se diventano idoli per gli uominiche vivono nelle caverne sotterraneee non conoscono la vera luce.

Ora, che cosa capita se gli uomi-ni, per un intervento della provvi-denza di Dio, giungono alla sogliadel la caverna e vedono la luce delgiorno? «Quale mutamento per essi— scrive Newman — quando, per laprima volta, gli occhi della loro ani-ma si d issuggel lano e , con la vistache dà la grazia, cominciano a con-templare il sole di giustizia, Gesù, icieli di angeli e arcangeli ove egli hala sua dimora, la risplendente stelladel mattino, che è la madre sua be-nedetta, le continue cascate e i fiottidi luce che si riversano sulla terra enel toccarla si trasformano in un ar-cobaleno d’infiniti colori, che sono isuoi santi, e il mare sconfinato che èl’immagine della divina eternità! Epoi, ancora, la placida luna notturnache è figura della sua Chiesa, e lestelle silenti, come pii e santi vian-danti, che viaggiano in solitario pel-legrinaggio verso il loro eterno ripo-so» (ibidem, 64).

Una simile esperienza di Taborfanno coloro che sono disposti auscire dalla caverna del pensieromondano, egocentrico, autosuffi-ciente e si aprono alla luce meravi-gliosa di Dio. Riconoscono che i ve-ri criteri per valutare il bene non so-no né la ricchezza, né l’influenza so-ciale, né il rango elevato, ma «lasantità e i beni che l’accompagnano:la santa purezza, la santa povertà, lafortezza eroica, la pazienza, il sacri-ficio di sé per amore degli altri, larinuncia al mondo, i favori del cielo,

la protezione degli angeli, il sorrisodella beata Vergine, i doni della gra-zia, gli interventi straordinari delmiracolo, la comunione dei meriti»(ibidem, 65).

Uomini di questo genere miranoad alti ideali. Essi, forse, non sono

sempre capaci di mettere in praticaciò che è buono, vero e giusto. Peròconoscono quello che è vero, «sannoche cosa pensare, sanno come giudi-care; hanno un modello che fornisceloro un criterio per giudicare deiprincipi di condotta, e, questo mo-dello, è l’immagine del santo a for-marlo nella loro mente» (ibidem, 65).Certo, i santi non cadono dal cielo,essi conoscono le tentazioni delmondo, ma combattono la buonabattaglia della fede, vivono dellagrazia di Dio e vincono contro ilmale. I santi manifestano alle molti-tudini «quel che Dio è capace dioperare, quel che l’uomo è capace diessere» (ibidem, 69). Ci sono santi intutti gli strati della società, nei varistati di vita e nei più diversificaticompiti nella Chiesa e nel mondo.

I santi sono molto diversi tra loroe spesso hanno ricevuto dei doniparticolari. Non sempre possono es-sere un esempio per noi, «restanoperò in ogni caso il nostro modellodel giusto e del bene. Sono stati co-

sì innalzati per essere un memorialee un insegnamento: ci fan memoriadi Dio, ci introducono nel mondoinvisibile, ci apprendono che cosaCristo ami, tracciano per noi la stra-da che conduce al cielo. Rappresen-tano, per noi che li contempliamo,quello che la ricchezza, la fama, ilrango, il nome, significano per lamoltitudine che vive nella caverna:sono l’oggetto della nostra venera-zione e del nostro omaggio» (ibidem,70) . I santi , nei qual i bri ll a la lucedi Dio, sono un sicuro punto di rife-rimento per la nostra coscienza af-finché possiamo distinguere il giustodall’ingiusto, il bene dal male e loSpirito di Dio dallo spirito del mon-do. I santi, inoltre, ci spingono acompiere i l bene, con il sostegnodell’aiuto di Dio.

Benedetto XVI, nella sua enciclicasulla speranza cristiana, ha sottoli-neato l’importanza dei santi. Scriveinfatti: «Le vere stelle della nostravita sono le persone che hanno sa-puto vivere rettamente. Esse sonoluci di speranza. Certo, Gesù Cristoè la luce per antonomasia, il solesorto sopra tutte le tenebre dellastoria. Ma per giungere fino a Luiabbiamo bisogno anche di luci vici-ne — di persone che donano lucetraendola dalla sua luce ed offronocosì orientamento per la nostra tra-versata» (Spe salvi , n. 49). Se la no-stra coscienza è incerta e non sa co-me agire in una situazione concreta,cerchiamo di pensare a una personasanta. Se riusciamo a far sorgere innoi un tale pensiero, quasi semprericeviamo la luce e la forza percom-piere il prossimo passo, sul nostrocammino di pellegrinaggio versoDio e la vita eterna, la vita vera nel-la comunione dei santi.

Messa del Pontefice a Santa Marta

Rischio ipocrisia«Se si trovasse una persona chemai, mai, mai ha parlato male diun’altra si potrebbe canonizzare su-bito»: è con un’espressione forteche Francesco ha messo in guardiadalla tentazione «ipocrita» di pun-tare il dito sempre contro gli altri.Invitando, piuttosto, ad avere «ilcoraggio di fare il primo passo» ri-conoscendo i propri errori e le pro-prie debolezze e accusando se stes-si. È il consiglio spirituale, centratosu perdono e misericordia, che ilPontefice ha suggerito nella messacelebrata venerdì mattina, 11 settem-bre, nella cappella della Casa SantaMarta. Perché «l’ipocrisia» — haammonito — è un rischio che cor-riamo «tutti, incominciando dal Pa-pa in giù».

«In questi giorni — ha fatto subi-to notare Francesco — la liturgia ciha fatto riflettere tante volte sullapace, sul lavoro di pacificare e di ri-conciliare che ha fatto Gesù, e an-ch e sul n os tro do ve re d i f are lostesso» e cioè «fare la pace, fare lariconciliazione». Inoltre, ha prose-guito il Papa, «la liturgia ci ha fattoanche riflettere sullo stile cristiano,soprattutto su due parole, paroleche Gesù ha messo in atto: perdo-no e misericordia». Ma, ha insistitoFrancesco, «dobbiamo realizzarleanche noi».

E «c os ì — h a pro se gu ito — inquesti giorni, la liturgia ci ha porta-to a pensare questo, a riflettere suquesta strada della misericordia, delperdono, dello stile cristiano conquei sentimenti di tenerezza, bontà,umiltà, mansuetudine, magnanimi-tà». Lo stile cristiano, infatti, consi-ste nel «sopportarci a vicenda,

l’uno l’altro»: un atteggiamento che«porta all’amore, al perdono, allamagnanimità». Perché «proprio, lostile cristiano è magnanimo, ègrande».

«Il Signore — ha spiegato il Pon-tefice — ci ha poi detto che, conquesto spirito grande, c’è ancheun’altra cosa: quella generosità, ge-nerosità del perdono, generositàdella misericordia». E «ci spinge aessere così, generosi, e a dare: daretutto da noi, dal nostro cuore; dareamore, soprattutto». In questa pro-spettiva, ha aggiunto, «ci parla del-la “ricomp ensa”: non giudicate enon sarete giudicati; non condanna-te e non sarete condannati».

Questo, dunque, ha affermatoFrancesco, «è il riassunto del Si-gnore: perdonate e sarete perdona-ti; date e vi sarà dato». Ma «checosa vi sarà dato? Una misura buo-na, pigiata, colma, traboccante —ha ricordato il Papa — vi sarà versa-te nel grembo, perché con la misuracon la quale misurate sarà misuratoa voi il cammino». Insomma «se tuhai una grande misura d’amore, dimisericordia, di generosità, saraigiudicato così; altrimenti, secondola tua misura».

Così «è il r iassunto del pensierodella liturgia in questi giorni» hafatto presente il Pontefice. Tuttinoi, ha commentato, «possiamo di-re: “Questo è bello, eh! Ma, padre,è bello, ma come si fa, come si in-comincia questo? E qual è il primopasso per andare su questa stra-da?”».

Proprio nella liturgia, è la rispo-sta suggerita dal Papa, vediamoquesto «primo passo, sia nella pri-ma lettura sia nel Vangelo». E «ilprimo passo è l ’accusa di se stessi,il coraggio di accusare se stessi, pri-ma di accusare gli altri». L’ap ostoloPaolo, nella prima lettera a a Timo-teo (1, 1-2.12-14), «loda il Signoreperché lo ha eletto e rende grazieperché gli ha dato “fiducia metten-do al suo servizio me, che prima

Per la dedicazione della nuova cattedrale

Il cardinale Vingt-Trois inviato papale a Créteil Lo scorso 8 agosto è stata pubblicatala nomina del cardinale André Vingt-Trois,arcivescovo di Parigi, a inviato speciale di Papa Francesco alla celebrazione eucaristicacol rito della dedicazione della nuova cattedrale della diocesi di Créteil (Francia), in programmail 20 settembre. Di seguito la lettera pontificia di nomina.

Venerabili Fratri Nostro ANDREAE S.R .E. Ca rd ina li

V INGT-TROIS, Archiepiscopo Metropolitae

Pa r i s i e n s iSacrarum Scripturarum verba meditantes:«Ego autem in multitudine misericordiae tuaeintroibo in domum tuam; adorabo ad tem-plum sanctum tuum in timore tuo» (Ps 5, 8),grato laetoque animo nuper accepimus proxi-me Christoliensi in urbe novum cathedrale

templum sollemni modo consecratum iri. Illodie istius dioecesis presbyteri et christifideleslaici gratias omnipotenti Deo agent ob tantaEius beneficia quae superiores per annos totiinibi christianae communitati largiri est digna-tus. Eodem enim tempore quo sacra illa aedesextruebatur, Synodum dioecesanam cui titulusest «Cum Iesu Christo alter alterius onera por-tate et cum omnibus Evangelii gaudium com-municate» (cfr. Gal 6, 2) tota dioecesana com-munitas celebravit atque, diligenti Sacro Prae-sule Venerabili Fratre Michaele Santier mode-rante, precibus et meditatione Sacrarum Scrip-turarum nec non per consideratam missionemin mundo nostrae aetatis solide se ad hanc ce-lebrationem paravit.

Quam ob rem memoratus Episcopus huma-nissime Nos rogavit ut aliquem eminentem vi-rum mitteremus, qui Nostras vices Cristolii ge-reret Nostramque erga istum gregem dilectio-nem manifestaret. Ad Te ergo, Venerabilis Fra-ter Noster, qui gravissimum munus Archiepi-scopi Metropolitae Parisiensis exerces, mentemNostram vertimus Teque hisce Litteris Missum Extraordinarium Nostrum nominamus ad conse-

crationem dictae ecclesiae, quae die XX p ro x i -mi mensis Septembris in memorata urbe perfi-c i e t u r.

Sollemni praesidebis Eucharistiae cum rituconsecrationis atque omnes adstantes sermonetuo ad diligentiorem usque Christi imitationemcohortaberis: oportet enim ut novis viribus no-

voque studio peculiarem dilectionem Evangeliiet Ecclesiae demonstremus atque cotidiana invita fidei virtute ardeamus.

Rogamus Te etiam ut Nostram omnibus ibicongregatis salutationem afferas, Episcopo no-minatim Christoliensi ceterisque sacris Pastori-bus, presbyteris, religiosis viris ac mulieribuschristifidelibusque laicis. Exoptamus deniqueut verba Nostrae benevolentiae etiam ad civilesauctoritates nec non aliarum religionum asse-clas extendas et ad omnes qui Ecclesiae mis-sionem, libertatis religiosae condicionem atquesincerum personae humanae bonum studiosefovent.

Nos autem Te, Venerabilis Frater Noster, intua missione implenda precibus ferventer co-mitabimur. Denique Benedictionem Nostram Apostolicam libentes Tibi impertimur, signumNostrae erga Te benevolentiae et caelestiumdonorum pignus, quam omnibus celebrationisparticipibus rite transmittes, dum a vobis pre-ces expostulamus, ut pergrave Petrinum mu-nus secundum divinam voluntatem diligenterexercere valeamus.

Ex Aedibus Vaticanis,die XI mensis Augusti,in memoria S. Clarae, virginis,

anno MMXV , Pontificatus Nostri tertio.

ero un bestemmiatore, un persecu-tore e un violento”». Questa, haspiegato Francesco, «è stata miseri-cordia». Paolo «dice di se stessocosa era, un bestemmiatore, ma chibestemmiava era condannato allalapidazione, alla morte». Paolo eradunque un «persecutore di GesùCristo, un violento, un uomo chenon aveva pace nella sua anima néfaceva la pace con gli altri». Ed ec-co che oggi «Paolo ci insegna adaccusare noi stessi».

Nel passo evangelico di Luca (6,39-42) «il Signore, con quell’imma-gine della pagliuzza che è nell’o c-chio di tuofratello e della trave cheè nel tuo, ci insegna lo stesso: fra-tello, togli prima la trave dal tuoocchio, prima accusa te stesso; e al-lora ci vedrai bene per togliere lapagliuzza dall’occhio del tuo fratel-lo». Dunque il «primo passo» è:«accusa te stesso».

Così Francesco ha suggerito an-che un esame di coscienza «quandoa noi vengono i pensieri su altrepersone», del tipo: «Ma guardaquesto così, quello così, quello faquesto, e questo...». Proprio in queimomenti è opportuno domandare ase stessi: «E tu che fai? Cosa fai?Io cosa faccio? Io sono giusto? Iomi sento il giudice per togliere lapagliuzza dagli occhi degli altri eaccusare gli altri?».

Per queste situazioni Gesù scegliela parola «ipocrita» che, ha fattonotare il Papa, «usa soltanto conquelli che hanno doppia faccia,doppia anima: ipocrita!». L’uomo ela donna «che non imparano ad ac-cusare se stessi diventano ipocriti».Tutti, eh! Tutti! Incominciando dal

Papa in giù: tutti!». Infatti, ha pro-seguito, «se uno di noi non ha lacapacità di accusare se stesso e poidire, se è necessario, a chi si devo-no dire le cose degli altri, non è cri-stiano, non entra in quest ’operatanto bella della riconciliazione,della pacificazione, della tenerezza,della bontà, del perdono, della ma-gnanimità, della misericordia che ciha portato Gesù Cristo».

Perciò, ha affermato il Pontefice,«se tu non puoi fare questo primopasso, chiedi la grazia al Signore diuna conversione». E appunto «ilprimo passo è questo: io sono capa-ce di accusare me stesso? E come sifa?». La risposta in fondo è «sem-plice , è un eserc iz io sempl ice».Francesco ha suggerito questo con-siglio pratico: «Quando mi viene in

mente di pensare ai difetti degli al-tri, fermarsi: “Ah, e io?”. Quandomi viene la voglia di dire agli altri idifetti degli altri, fermarsi: “Eio?”».

Bisogna avere anche «il coraggioche ha Paolo» nello scrivere di sé aTimoteo: «Io ero un bestemmiato-re, un persecutore, un violento».Ma, ha domandato il Papa, «quan-te cose possiamo dire di noi stes-si?». E allora «risparmiamo i com-menti sugli altri e facciamo com-menti su noi stessi». E così faccia-mo davvero «il primo passo su que-sta strada della magnanimità». Per-ché chi «sa guardare soltanto le pa-gliuzze nell’occhio dell’altro, finiscenella meschinità: un’anima meschi-na, p iena di p iccolezze, p iena dich ia cchi e re ».

Prima di proseguire la celebrazio-ne, il Pontefice ha invitato a chie-dere nella preghiera «al Signore lagrazia — questo è anche il coraggiodi Paolo — di seguire il consiglio diGesù: essere generosi nel perdono,essere generosi nella misericordia».Tanto che, ha concluso, «per rico-noscere santa una persona c’è tuttoun processo, c’è bisogno del mira-colo, e poi la Chiesa la proclamasanta. Ma se si trovasse una perso-na che mai, mai, mai avesse parlatomale dell’altro la si potrebbe cano-nizzare subito. È bello, eh?».

 Amir Yeke, «Dintorno all’ipocrisia» (2011)