Nello studio di Francis Bacon

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Q uando, circa dieci anni fa, il contenuto dello studio lon- dinese di Francis Bacon fu trasportato in blocco a Du- blino, la maggiore difficoltà consistette nel preservare la polvere che vi regnava sovrana. Il resto — un fantastico accumulo di spazzatura e te- stimonianze preziose: carte, fotografie, ri- tagli, bottiglie di champagne vuote, mul- tiformi contenitori di pittura (tubetti, pa- stelli, barattoli, bombolette) mescolati a scatole di conserva, pennelli, libri, stracci, tele squarciate, dischi, attrezzi, spugne e vestiti vecchi; in totale più di settemila og- getti — fu rilevato, catalogato, mappato con cura maniacale e ricostruito in manie- ra apparentemente identica alla Hugh La- ne Gallery. Un’operazione costata un mi- lione e mezzo di sterline e durata mesi. So- lo per trasportare il tavolo e quanto vi era accatastato furono necessarie otto setti- mane di lavoro. In quanto alla polvere, la preziosa polvere accumulatasi per tre de- cenni e che tanta parte aveva avuto nella ri- cerca pittorica di Bacon, fu raccolta, im- pacchettata, etichettata «Bacon’s Dust» e ridistribuita con cura sul tappeto impasta- to di pigmenti che copre il pavimento nella nuova sede, ricreando la materia viscida e multicolore che ai rari visitatori richiama- va immancabilmente il compost, il prezio- so terriccio fertile rigenerato dalla decom- posizione di materiali organici. Per trent’anni il piccolo edificio al 7 di Reece Mews era stato abitazione e labora- torio, rifugio di un solitario e allo stesso tem- po sede di una corte bislacca e ambigua, for- mata da artisti, mercanti, critici ma anche ragazzi di vita, ladruncoli e piccoli spaccia- tori. Una corte che ruotava intorno ad uno dei massimi artisti del secolo scorso. Esser- vi ammesso rappresentava un’esperienza straordinaria, il cui resoconto, come nel ca- so del libro di Franck Maubert, non poteva prescindere da una meticolosa descrizione dell’ambiente. Per arrivarvi ci si arrampica- va su una scala talmente stretta e ripida che i quadri che uscivano dallo studio venivano immancabilmente graffiati ai bordi. Una corda faceva le veci di corrimano, testimo- nianza della primitiva modestia della siste- mazione: un tempo i mews erano edifici di servizio, usati come rimesse e alloggi per cocchieri. Il piano superiore, oltre allo stu- dio, ospitava una camera da letto scenogra- ficamente melodrammatica — velluti, co- perte damascate — e un bagno che fungeva anche da cucina, ingombro di bianche- ria stesa ad asciugare e di padelle ri- gurgitanti di pigmenti e colori. Bacon vi era arrivato nel 1961 dopo un lungo pellegrinare per Londra, alla ricerca di un luogo adatto per lavorare. Tentativi falliti uno dopo l’altro lo aveva- no portato dall’East End (allora troppo squallida), ai bordi del fiu- me (troppa luce) fino a quartieri bor- ghesi in cui aveva perfi- no arredato un am- biente con tende e moquette (trop- po noioso). A Kensington in- vece si era subito sentito a proprio agio e lo studio di- venne il solo punto fisso di una vita compli- cata. Il caos ne era parte integrante. «Mi sento a casa nel caos», diceva, «perché il di- sordine suscita delle immagini, ad ogni buon conto mi piace, potrebbe essere lo Francis Bacon Lo studio londinese del grande pittore del secolo scorso era un fantastico accumulo di spazzatura e fotografie, ritagli, bottiglie vuote di champagne, barattoli di pittura, scatole di conserva e soprattutto polvere. Adesso, in occasione del Festival della Mente di Sarzana, un libro rivela l’importanza creativa di quel caos CULTURA * 40 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 30 AGOSTO 2009 BARBARA BRIGANTI Repubblica Nazionale

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Un articolo di Barbara Briganti pubblicato su La Domenica di Repubblica (30/08/09) dedicato a Francis Bacon e al suo studio londinese.

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Quando, circa dieci anni fa, ilcontenuto dello studio lon-dinese di Francis Bacon futrasportato in blocco a Du-blino, la maggiore difficoltàconsistette nel preservare la

polvere che vi regnava sovrana. Il resto —un fantastico accumulo di spazzatura e te-stimonianze preziose: carte, fotografie, ri-tagli, bottiglie di champagne vuote, mul-tiformi contenitori di pittura (tubetti, pa-stelli, barattoli, bombolette) mescolati ascatole di conserva, pennelli, libri, stracci,tele squarciate, dischi, attrezzi, spugne evestiti vecchi; in totale più di settemila og-getti — fu rilevato, catalogato, mappatocon cura maniacale e ricostruito in manie-ra apparentemente identica alla Hugh La-ne Gallery. Un’operazione costata un mi-lione e mezzo di sterline e durata mesi. So-lo per trasportare il tavolo e quanto vi eraaccatastato furono necessarie otto setti-mane di lavoro. In quanto alla polvere, lapreziosa polvere accumulatasi per tre de-cenni e che tanta parte aveva avuto nella ri-cerca pittorica di Bacon, fu raccolta, im-pacchettata, etichettata «Bacon’s Dust» eridistribuita con cura sul tappeto impasta-to di pigmenti che copre il pavimento nellanuova sede, ricreando la materia viscida emulticolore che ai rari visitatori richiama-va immancabilmente il compost, il prezio-so terriccio fertile rigenerato dalla decom-posizione di materiali organici.

Per trent’anni il piccolo edificio al 7 diReece Mews era stato abitazione e labora-torio, rifugio di un solitario e allo stesso tem-po sede di una corte bislacca e ambigua, for-mata da artisti, mercanti, critici ma ancheragazzi di vita, ladruncoli e piccoli spaccia-tori. Una corte che ruotava intorno ad unodei massimi artisti del secolo scorso. Esser-vi ammesso rappresentava un’esperienzastraordinaria, il cui resoconto, come nel ca-so del libro di Franck Maubert, non potevaprescindere da una meticolosa descrizionedell’ambiente. Per arrivarvi ci si arrampica-va su una scala talmente stretta e ripida chei quadri che uscivano dallo studio venivanoimmancabilmente graffiati ai bordi. Unacorda faceva le veci di corrimano, testimo-nianza della primitiva modestia della siste-mazione: un tempo i mews erano edifici diservizio, usati come rimesse e alloggi percocchieri. Il piano superiore, oltre allo stu-dio, ospitava una camera da letto scenogra-ficamente melodrammatica — velluti, co-perte damascate — e un bagno che fungevaanche da cucina, ingombro di bianche-ria stesa ad asciugare e di padelle ri-gurgitanti di pigmenti e colori.

Bacon vi era arrivato nel 1961dopo un lungo pellegrinare perLondra, alla ricerca di un luogoadatto per lavorare. Tentativifalliti uno dopo l’altro lo aveva-no portato dall’East End (alloratroppo squallida), ai bordi del fiu-me (troppa luce) fino a quartieri bor-ghesi in cui aveva perfi-no arredato un am-biente con tende emoquette (trop-po noioso). AKensington in-vece si era subitosentito a proprioagio e lo studio di-venne il solo puntofisso di una vita compli-cata. Il caos ne era parte integrante. «Misento a casa nel caos», diceva, «perché il di-sordine suscita delle immagini, ad ognibuon conto mi piace, potrebbe essere lo

FrancisBacon

Lo studio londinese del grande pittore del secolo scorsoera un fantastico accumulo di spazzatura e fotografie,ritagli, bottiglie vuote di champagne, barattoli di pittura,scatole di conserva e soprattutto polvere. Adesso,in occasione del Festival della Mente di Sarzana,un libro rivela l’importanza creativa di quel caos

CULTURA*

40 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 30 AGOSTO 2009

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specchio di quel-lo che avvienenella mia mente».

Nella stanza laluce proveniva dalsoffitto, ed era ri-verberata da ungrande specchiorotondo, rotto econsumato, che do-minava la parete difondo. Uno specchionero, simile ad unostrumento divinato-

rio, che sottolineava la qualità di antro ma-gico, di laboratorio alchemico di cui l’am-biente era impregnato. Bacon lavorava so-lo la mattina, nella più assoluta solitudine,come uno sciamano in trance, compiendogesti istintivi e spesso violenti. La pitturaveniva scaraventata sulle tele, soffiata osputata insieme all’alcol, graffiata usandogli oggetti più disparati, scope, pettini e

spezzoni di bottiglia, oppure strofinata constracci, brandelli di pantaloni di velluto ovecchi golf di cachemire. C’era nella vio-lenza del gesto, nella ricerca angosciantedel mezzo, un aspetto erotico che all’artistastesso era perfettamente evidente.Blowjobs, chiamava alcuni dei suoi inter-venti sulla tela.

Autodidatta, la sua sperimentazionecon il materiale pittorico ed i sistemi perusarlo era virtualmente infinita. Passavadai pastelli alla vernice per automobili, dal-l’ovatta alla polvere raccolta dal pavimen-to e impastata col colore per rendere lamorbidezza della flanella in un ritratto, asabbia e terra spalmate sul quadro per raf-figurare appunto terra e sabbia. La telaspesso era usata a rovescio, dal lato grezzo,proprio per sfruttarne tessitura e granulo-sità.

È significativo che, tra le migliaia di og-getti raccolti e catalogati dagli archeologi,veri professionisti dello scavo, incaricati

del trasloco dello studio, non sia stata rin-venuta neppure una tavolozza. In com-penso i muri, le porte e ogni superficie di-sponibile erano impastati di colore, e pe-santemente marcati da gesti di forza. Ilgrande specchio rotondo era stato rotto nelcorso di una rissa. Spesso lo studio era oc-cupato da gruppi di ragazzi di vita; in loropresenza l’accoglienza agli estranei potevadiventare difficile, aggressiva, sia verbal-mente che fisicamente. Incombeva la sen-sazione di un gioco perverso con forzeoscure e pericolose. Talvolta Bacon lascia-va in giro fasci di banconote, che regolar-mente sparivano, una prova soddisfacentedel marcio che vedeva nei suoi compagni e,con orgoglio, in se stesso.

La scelta fatta dal suo ultimo amante ederede di donare il contenuto dello studioalla città di Dublino, rappresenta in qual-che modo una sorta di riconoscimento po-stumo all’infanzia dell’artista. Dublino erala città in cui, nel 1909, Bacon era nato. La

sua famiglia era inglese, numerosa e bor-ghese. Il padre allevava cavalli da corsa econ lui Francis entrò presto in rotta di col-lisione. Fu un rapporto di odio, amore e at-trazione sessuale che per tutta la vita pesòsulla sua psiche. Secondo una storia ormaileggendaria fu cacciato di casa a sedici an-ni perché scoperto ad indossare la bian-cheria intima della madre. Fatto frustaredagli stallieri di casa, finì col trasformare lapunizione in un’epifania erotica. Delle suetendenze omosessuali e sadomasochisti-che non fece mai mistero. Del suo strano eanticonvenzionale narcisismo neppure.Sotto i pantaloni strettissimi ed il sempi-terno giubbotto di cuoio nero, cimeliogiunto a Dublino insieme al materiale del-lo studio, indossava a quanto pare calze arete e biancheria femminile. Il volto, forseliftato, era pesantemente imbellettato, i ca-pelli tinti con il lucido da scarpe e i denti,sempre secondo la leggenda accurata-mente coltivata dell’artista maledetto e

LE FOTOGRAFIELe immagini inedite di Bacone del suo studio, tratteda Conversazione con Francis

Bacon di Franck Maubert,si pubblicano per gentileconcessionedell’Editore Laterzae del Festival della Mente

LE OPEREA centro pagina, tre teledi Bacon: Da sinistra:Autoritratto (1973);Studio del corpo umano

(1982); Autoritratto (1969)

IL FESTIVAL

A Sarzana (Sp)dal 4 al 6 settembrela VI edizionedel Festival

della Mente,dedicatoalla creativitàe ai processicreativi. Info:www.festival-dellamente.it

IL LIBRO

Conversazione

con Francis Bacon

di Franck Maubert(Laterza, 96 pagine,10 euro) in libreriail 3 settembreIl 4 alle ore 19 saràpresentatodall’autoreal Teatrodegli Impavididi Sarzana (Sp)

fuori da ogni schema, lavati col vim. Questa era la mitologia, meticolosa-

mente costruita, che aureolava Francis Ba-con. Ne facevano parte l’aneddotica sulsuo passato, gli amori tragici, le frequenta-zioni losche e le infinite provocazioni. Daquesto punto di vista lo studio di ReeceMews, così come la Conversazione con Ba-

con, pubblicata da chi ha avuto la fortuna dipoterla documentare, sono profonda-mente rivelatori della vera essenza del suooperato. O forse no. Le tracce, le stropiccia-ture, gli sfregi che segnano le foto che a cen-tinaia si accumulavano sul pavimento del-lo studio potrebbero testimoniare un ge-sto, un intervento, un interesse, oppure lapiù assoluta casualità. Le parole riportatepotrebbero essere verità o sottile provoca-zione. Studiosi e ricercatori hanno a dispo-sizione materiale sufficiente per interro-garsi per decenni sui meccanismi di crea-zione di un genio che fu anche un uomoprofondamente tormentato ed infelice.

Vita segretanell’antro del genio

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 41DOMENICA 30 AGOSTO 2009

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