Nella storia dei popoli antichi si possono riscontrare diverse tipologie di famiglia.

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La famiglia nella Bibbia

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La famiglia nella Bibbia

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Nella storia dei popoli antichi si possono riscontrare diverse tipologie di famiglia.

Il fratriarcato,

dove l’autorità è esercitata dal fratello maggiore e che si trasmette da fratello a fratello, come pure l’eredità.Si sono riscontrati indizi di questa forma sociale presso gli ittiti e presso gli Hurriti, in Assiria e in Elam.

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Nell’Antico Testamento vi sono alcune tracce:

a. nell’istituzione del levirato, Dt 25,5-10: (Levir = cognato)

Quando i fratelli abiteranno insieme e uno di loro morirà senza lasciare figli, la moglie del defunto non si mariterà fuori, con un forestiero; il suo cognato verrà da lei e se la prenderà in moglie, compiendo così verso di lei il dovere del cognato; il primogenito che essa metterà al mondo, andrà sotto il nome del fratello morto perché il nome di questo non si estingua in Israele. Ma se quell’uomo non ha piacere di prendere la cognata, essa salirà alla porta degli anziani e dirà: Mio cognato rifiuta di assicurare in Israele il nome del fratello; non acconsente a compiere verso di me il dovere del cognato. Allora gli anziani della sua città lo chiameranno e gli parleranno; se egli persiste e dice: Non ho piacere di prenderla, allora sua cognata gli si avvicinerà in presenza degli anziani, gli toglierà il sandalo dal piede, gli sputerà in faccia e prendendo la parola dirà: Così sarà fatto all’uomo che non vuole ricostruire la famiglia del fratello. La famiglia di lui sarà chiamata in Israele la famiglia dello scalzato.

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b. nel caso di Dina, figlia di Lia e Giacobbe, che era stata disonorata da Sichem, figlio di Camor l’Eveo, principe di quel paese, che l’aveva rapita e le aveva fatto violenza. Camor, padre di Sichem, era andato da Giacobbe per accordarsi per il matrimonio, ma i figli di Giacobbe dissero:

«Non possiamo fare questo, dare cioè la nostra sorella ad un uomo non circonciso, perché ciò sarebbe un disonore per noi. Solo a questa condizione acconsentiremo alla vostra richiesta, se cioè voi diventerete come noi, circoncidendo ogni vostro maschio. Allora noi vi daremo le nostre figlie e ci prenderemo le vostre, abiteremo con voi e diventeremo un solo popolo. Ma se voi non ci ascoltate a proposito della nostra circoncisione, allora prenderemo la nostra figlia e ce ne andremo».

Gen 34, 14-17

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c. in Gen 24, con il matrimonio di Isacco e Rebecca:

1Abramo era ormai vecchio, avanti negli anni, e il Signore lo aveva benedetto in ogni cosa. 2Allora Abramo disse al suo servo, il più anziano della sua casa, che aveva potere su tutti i suoi beni: «Metti la mano sotto la mia coscia 3e ti farò giurare per il Signore, Dio del cielo e Dio della terra, che non prenderai per mio figlio una moglie tra le figlie dei Cananei, in mezzo ai quali abito, 4ma che andrai al mio paese, nella mia patria, a scegliere una moglie per mio figlio Isacco».

... Il servo portò per Isacco, figlio di Abramo, Rebecca, che era nata a Betuèl figlio di Milca, moglie di Nacor, fratello di Abramo (v. 15).

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Il matriarcato è una forma di famiglia molto più comune nelle società antiche.

La caratteristica non è che la madre esercita l’autorità [cosa rara] ma che la parentela è determinata dalla madre.

È la madre che garantisce al figlio una famiglia e un gruppo sociale a cui appartenere.

L’individuo non è parente dei congiunti di suo padre e i diritti all’eredità sono fissati dalla discendenza materna.

Il matriarcato sembra essere legato alla civiltà di piccola cultura, mentre la civiltà pastorale è tipicamente patriarcale.

Vi sono molti autori che ritengono che il “regime matriarcale” fosse la forma primitiva della famiglia presso i Semiti.

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Davide non avrebbe rifiutato il matrimonio tra i due fratelli Amnon e Tamar perchè erano entrambi suoi figli ma non della stessa donna.

Per Israele si trovano tracce in alcune usanze e narrazioni dell’Antico Testamento:

a. In Gen 20, Abramo aveva fatto passare Sara come sua sorella, perché come lui dice:

essa è veramente mia sorella, figlia di mio padre, ma non figlia di mia madre, ed è divenuta mia moglie (v.12).

b. 2Sam 13,11-13 si narra:

[Amnon] afferrò [Tamar] e le disse: «Vieni, unisciti a me, sorella mia». Essa gli rispose: «No, fratello mio, non farmi violenza; questo non si fa in Israele; non commettere questa infamia! Dove andrei io a portare il mio disonore? Quanto a te, tu diverresti come un malfamato in Israele. Parlane piuttosto al re, egli non mi rifiuterà a te».

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c. Ma il matrimonio con una sorellastra sia dal lato paterno come da quello materno, venne poi proibito dalla legge

Non scoprirai la nudità di tua sorella, figlia di tuo padre o figlia di tua madre, sia nata in casa o fuori (Lev 18,9)

Se uno prende la propria sorella, figlia di suo padre o figlia di sua madre, e vede la nudità di lei ed essa vede la nudità di lui, è un’infamia; tutti e due saranno eliminati alla presenza dei figli del loro popolo; quel tale ha scoperto la nudità della propria sorella; dovrà portare la pena della sua iniquità (Lev 20, 17).

Maledetto chi si unisce con la propria sorella, figlia di suo padre o figlia di sua madre! Tutto il popolo dirà: Amen (Deut 27,22).

Uno reca oltraggio alla donna del prossimo, l’altro contamina con incesto la nuora, altri viola la sorella, figlia del padre (Ez 22, 11).

La parentela si deduceva dal padre o dalla madre. Un fatto in cui la parentela veniva riconosciuta dalla madre si riscontra nei due figli di Giuseppe, nati da donne egiziane, che non furono riconosciuti come figli di Israele sino a quando non sono stati adottati da Giacobbe (Gen 48, 5).

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Il modello patriarcale

rimane predominante in Israele:

la famiglia viene designata come «casa paterna», bêt ‘ab;

le genealogie son sempre date seguendo la linea paterna e le donne non vi sono nominate che per eccezione;

il parente più prossimo, in linea collaterale, è lo zio paterno (Lv 25, 49).

Nel tipo normale di matrimonio israelitico il marito è il «padrone», il ba’al della sua donna.

Il padre ha sui figli e anche sui figli sposati se vivono con lui e sulle loro donne, un’autorità totale, che anticamente giungeva fino al diritto di vita e di morte: Giuda condanna la sua nuora, Tamar, accusata di cattiva condotta (Gen 38, 24).

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La famiglia si compone di coloro che hanno insieme la comunanza:

di sangue di abitazione

La «famiglia» è una «casa».

«fondare una famiglia» si dice «costruire una casa».

Gn 218 Dio disse: «Non è bene che l'uomo sia solo...»... 21Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo, che si addormentò; gli tolse un costola [sela] e rinchiuse la carne. 22Il Signore Dio costruì [ebraico banah; LXX: ôkodòmêsen] una donna con la costola [fianco-lato] che aveva tolto all’uomo.

“Casa” in ebraico bnh, in greco oikodoméô. La donna viene concepita come casa dell’uomo

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In Gen 2,7.18-24 viene poi descritta la scissione di ‘Adam in ‘ish (= uomo) e ‘ishshàh (= la donna).

‘ishshàh (= donna)

‘Adam

‘ish (= uomo)

Gen 2: 23Allora l'uomo disse: «Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall'uomo è stata tolta».24Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne.

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I Rabbini insegnavano:

Prima Adamo è stato creato dalla terra ed Eva da Adamo, da allora in poi a nostra immagine e somiglianza (Gen 1,26), né uomo senza donna né donna senza uomo, e neppure tutti e due senza la Presenza divina.

L’argomento è ripreso da Paolo:

Tuttavia, nel Signore, né la donna è senza l’uomo, né l’uomo è senza la donna; come infatti la donna deriva dall’uomo, così l’uomo ha vita dalla donna; tutto poi proviene da Dio. (1Cor 11,11-12)

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Alcuni rabbini avevano cominciato ad aggiungere dove il testo biblico nomina «la tua casa» o «la sua casa» la menzione della «donna-moglie».

Questo avviene per l’associazione «donna = casa dell’uomo».

Filone di Alessandria

partendo da Genesi 2,22, scrive che l’armonia e la pienezza derivanti dalla comunione tra l’uomo e la donna sono paragonabili a una «casa». Tutto ciò che è privo di una donna è veramente manchevole e non somiglia per niente a una casa. All’uomo, infatti, competono gli affari pubblici della città; alla donna, le questioni di casa. Perciò l’assenza della donna è sinonimo di rovina, mentre la sua presenza è garanzia di corretta gestione domestica.

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Rabbi Giacobbe, commentando Genesi 2,18 «Non è bene che l’uomo sia solo» dichiarava:

Colui che non ha moglie è senza beni, senza aiuto, senza allegria, senza benedizione, senza perdono, senza bene...

Senza allegria, come è detto: Ti rallegrerai tu e la tua casa (Dt 14,26); senza benedizione: Perché la benedizione si posi sulla tua casa (Ez 44,30); senza espiazione: E farà espiazione per sé e per la

sua casa (Lv 16, 11).

Rabbi Giuda insegnava che nei sette giorni di una festa nuziale si doveva recitare una lunga litania di benedizioni, in cui si diceva:

«Benedetto sia Colui che ha creato tutto per la sua Gloria, che ha plasmato l’uomo a sua immagine, a immagine della sua figura lo

ha formato, e ha ricavato per lui dal suo stesso corpo una costruzione [= la donna] per l’eternità».

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La famiglia di Noè comprende sua moglie, i suoi figli e le mogli dei suoi figli (Gn 7, 1 e 7).

Alcune esempi biblici

La famiglia di Giacobbe raggruppa tre generazioni (Gn 46, 8-26).

Alla famiglia appartengono anche i servi, i residenti stranieri detti ghērîm, le vedove o gli orfani, che vivono sotto la protezione del capo famiglia.

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Vi è il caso di Jefte, figlio illegittimo cacciato dai suoi fratelli:

Iefte, il Galaadita, era uomo forte e valoroso, figlio di una prostituta; lo aveva generato Gàlaad. Poi la moglie di Gàlaad gli partorì figli e, quando i figli della moglie furono adulti, cacciarono Iefte e gli dissero: Tu non avrai eredità nella casa di nostro padre, perché sei figlio di un'altra donna. Iefte fuggì lontano dai suoi fratelli e si stabilì nel paese di Tob. Attorno a Iefte si raccolsero alcuni sfaccendati e facevano scorrerie con lui. Qualche tempo dopo gli Ammoniti mossero guerra a Israele. Quando gli Ammoniti iniziarono la guerra contro Israele, gli anziani di Gàlaad andarono a prendere Iefte nel paese di Tob. Dissero a Iefte: Vieni, sii nostro condottiero e combatteremo contro gli Ammoniti. Ma Iefte rispose agli anziani di Gàlaad: Non siete forse voi quelli che mi avete odiato e scacciato dalla casa di mio padre? Perché venite da me ora che siete in difficoltà? (Giud 11,1-7)

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Il termine «casa» indica:

I significati di «casa»

una parte del popolocome la «casa di Giuseppe», la «casa di Levi».

ma giunge anche a comprendere il popolo intero, con i padri fondatori:

la «casa di Giacobbe» o «d’Israele»,

la famiglia di originee propriamente il “padre” su cui si fonda l’unità familiare,

Così si dice «la casa di mio padre».

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In senso più ampio, la famiglia si confonde con il clan, con la tribù.

Questa abita in uno stesso luogo, occupa uno o più villaggi secondo la sua importanza, come quello dei Daniti a Sorea e a Eshtaol (Giud 18,11),

oppure dentro una stessa città si incontrano parecchie “case”, come i gruppi di Giuda e di Beniamino a Gerusalemme (Neem 11,4-8; 1Cron 9, 4-9).

Il clan ha interessi e doveri comuni e i suoi membri sono coscienti dei legami di sangue che li uniscono: si chiamano «fratelli» (1Sam 20, 29).

L’unità sociale costituita dalla famiglia si manifesta anche sul piano religioso:

La Pasqua è una festa di famiglia che si celebra in ogni casa (Es 12, 3-4. 46). Ad esempio: ogni anno il padre di Samuele conduce tutta la sua famiglia in pellegrinaggio a Silo (1Sam 1,35).

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La solidarietà familiare: il «go’ēl»

Regola fondamentale della famiglia (casa) è che i membri si devono aiutare e proteggere

Questo dovere è regolato da una istituzione, che si trova in forma analoga anche in altri popoli (ad esempio gli Arabi), ma che in Israele assume una forma particolare, con un vocabolario speciale.

Si tratta dell’istituzione del go’ēl, da una radice che significa «riscattare, rivendicare», ma fondamentalmente «proteggere».

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Il go’ēl è un redentore, un difensore, un protettore degli interessi dell’individuo e del gruppo.

Interviene in un certo numero di casi:

- Se un Israelita ha dovuto vendersi come schiavo per pagare un debito, sarà riscattato da uno dei suoi parenti prossimi, Lev 25,47-49. - Se un Israelita deve vendere il suo patrimonio, il go’ēl esercita un diritto di precedenza nella compera; importa infatti evitare l’alienazione dei beni di famiglia.

La legge è codificata in Lev 25, 25:

Se il tuo fratello, divenuto povero, vende una parte della sua proprietà, colui che ha il diritto di riscatto, cioè il suo parente più stretto, verrà e riscatterà ciò che il fratello ha venduto.

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La discendenzaGiuseppe Flavio (+100) descrive la sua ascendenza con un certo orgoglio:

La mia famiglia non è priva di gloria, in quanto è di stirpe sacerdotale. Ogni popolo ha il proprio criterio per fondare la nobiltà; presso di noi, è l’appartenenza all’ordine sacerdotale che da lustro a una famiglia. Ora, nel mio caso, non solo la mia famiglia è di stirpe sacerdotale, ma appartiene alla prima delle ventiquattro classi - il che è notevole - e per di più della più illustre delle sue tribù. Inoltre, da parte di madre, sono di stirpe regale, poiché i discendenti di Asmoneo [maccabei], suoi antenati, furono per lungo tempo sommi sacerdoti e re del nostro popolo [...]. Io nacqui da Mattia, l’anno primo del regno di Gaio Cesare [Caligola 37-41 a.C.]. Ho tre figli: il maggiore, nato nel quarto anno del regno dell’Imperatore Vespasiano; Giusto, nato nel settimo e Agrippa nel nono Autobiografia, 1-2,4-5.

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Nel mondo giudaico la genealogia assume un significato particolare. Ogni persona riceve dal proprio “clan” parte della sua identità.

Paolo parla delle sue origini:

i veri circoncisi siamo noi, che offriamo il nostro culto per mezzo dello Spirito di Dio, che ci vantiamo in Cristo Gesù, e non mettiamo la nostra fiducia nella carne; benché io avessi motivo di confidarmi anche nella carne. Se qualcun altro pensa di aver motivo di confidarsi nella carne, io posso farlo molto di più; io, circonciso l'ottavo giorno, della razza d'Israele, della tribù di Beniamino, ebreo figlio d'Ebrei; quanto alla legge, fariseo; quanto allo zelo, persecutore della chiesa; quanto alla giustizia che è nella legge, irreprensibile. Ma ciò che per me era un guadagno, l'ho considerato come un danno, a causa di Cristo (Fil 3,3-7).

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b. mostrano i legami che i vari clan hanno fra loro.

Nella Bibbia, le genealogie, che sono frequenti:

a. Esprimono l’unità di un gruppo.

Gli eroi dei racconti patriarcali prendono moglie all’interno delle loro famiglie e i grandi personaggi della Bibbia sono collegati a una tribù o a un clan menzionati con meticolosa precisione.

Così Abramo ordinò al suo servo

Isacco chiamò Giacobbe, lo benedisse e gli diede quest'ordine: «Non prendere moglie tra le donne di Canaan. Parti, va' a Paddan-Aram, alla casa di Betuel, padre di tua madre, e prendi moglie là, tra le figlie di Labano, fratello di tua madre (Gn 28,1-2)

tu non prenderai per mio figlio una moglie tra le figlie dei Cananei in mezzo ai quali abito, ma andrai al mio paese, dai miei parenti, e vi prenderai una moglie per mio figlio, per Isacco (Gn 24,3-4).

E poi

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L’integrità familiare

È essenziale per chi vuole esercitare una responsabilità, soprattutto per i sacerdoti e i responsabili della nazione.

Vi fu il caso del re e sommo sacerdote Giovanni Ircano (134-104 a.C.) che fu accusato di essere discendente di una schiava.Per lui fu necessario dimostrare la sua discendenza con una genealogia.

una genealogia senza macchia garantiva alla famiglia la presenza di Dio. Dio era presente in quelle famiglie che avevano messo in pratica la legge

con tutte le sue diverse regole.

Rabbì Cha nina’ ar Chama’ insegnava che:

Il Santo, sia egli benedetto, accorda la sua Presenza solo alle famiglie d’Israele, la cui genealogia è senza macchia, poiché “in quel tempo, dice il Signore, io sarò il Dio di tutte le famiglie d’Israele” (Ger 31, 1). Non è detto “di tutto Israele”, ma “di tutte le famiglie”.

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Evoluzione delle usanze familiari

apportarono delle trasformazioni sociali anche nei riguardi delle usanze familiari.

Il passaggio dalla vita nomade dei

pastori a quella sedentaria

Dalla vita nelle tende allo

sviluppo della vita urbana

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Il clan-tribù non è più la struttura portante del popolo semita che

comincia a formare villaggi e città. La società si evolve con i suoi

mestieri.

Come in Egitto, i mestieri si trasmettessero di padre in figlio.

Si trovano villaggi abitati da operai del legno e del ferro (1Cron 4,14; Neem n, 35); altri da produttori di bisso (1Cron 4,21); altri da vasai (1Cron 4,23).

Queste corporazioni di artigiani sono dirette da un «padre», i loro membri sono uniti dalla parentela o, almeno, si raggruppano alla maniera delle famiglie.

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● Non ci sono più, o ci sono in minor numero, quelle grandi famiglie patriarcali che riunivano più generazioni attorno a un antenato.

● Le condizioni di habitat nelle città restringono il numero dei membri della famiglia viventi sotto il medesimo tetto: le case rivelate dagli scavi sono piccole.

● Non si vedono più attorno al padre che i suoi figli non sposati.

Il prologo del libro di Giobbe, anche se imita un racconto patriarcale, tradisce la sua epoca rappresentando i figli di Giobbe che vanno a far festa successivamente nella casa di ognuno dei loro fratelli (Giob 1, 4. 13. 18).

Amnon e Assalonne hanno case proprie, distinte dal palazzo dove risiedono il padre David e la sorella non sposata Tamar (2 Sam 13, 7. 8. 20).

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Antico Israele

Ambiente nomade pastorale

famiglia patriacaleVivono insieme:padre – madre – figli – nuore – nipoti –

servi – orfani – stranieri

con la monarchia

Vita sedentaria – città e villaggi

piccoli nuclei familiariVivono insieme:

padre – madre – figli non sposati

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● Con l’evolversi della società, un padre non può più mettere a morte suo figlio ma il giudizio è riservato agli anziani della città (Dt 21,18-21).

● Già dal tempo di Davide si poteva far ricorso al re contro una condanna inflitta dal clan a uno dei suoi membri (2Sam 14,4-11).

● Il sentimento della solidarietà diminuisce e la persona, a poco a poco, si stacca dal gruppo familiare.

● Il principio della responsabilità individuale è posto in Dt 24,16, applicato in 2 Re 14, 6, affermato in Ger 31, 29-30, sviluppato in Ez 14,12-20; 18,10-20.

● Comincia ad essere trascurato il dovere dell’assistenza tra parenti, così che i Profeti devono difendere la causa della vedova e dell’orfano (Is 1, 17; Ger 7, 6; 22, 3).

Al tempo di Gesù il Padre-capo famiglia non aveva più l’autorità assoluta del tempo dei patriarchi.

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L’unità familiare

L’intimità familiare era sempre stata importante sin dai tempi antichi: un giovane che si sposava era esente dal servire militare per un anno dopo il matrimonio (Dt 4, 5).

La riuscita di una famiglia era un dono di Dio, perciò il Salmo 128 illustra con chiarezza lo spirito della vera famiglia giudaica: La tua sposa come vite feconda nell’intimità

della tua casa; i tuoi figli come virgulti d’ulivo intorno alla tua mensa. Così sarà benedetto l’uomo che teme il Signore.

Si nota sempre una connotazione maschilista:

Una donna perfetta chi potrà trovarla? Ben superiore alle perle è il suo valore (Pr 31, 10).

Nonostante ciò, la donna ha una tale importanza che il Talmud e la Mishnah ricorrono spesso all’espressione “la sua casa” per designare la moglie.

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Tra i membri della famiglia si stringono dei forti legami:

è in seno ad essa che si forma l’identità giudaica, soprattutto dopo la distruzione del Tempio. Da quel momento i rabbini considerano la famiglia un “piccolo santuario”.

In ogni casa, ● la donna accende i lumi in preparazione dello shabbat; ● l’armonia tra marito e moglie, è segno della presenza della Shekhinah, cioè la presenza divina.

L’unità della famiglia è suggellata dai riti religiosi celebrati in comune e si esprime nella vita quotidiana con la cura che il capofamiglia dimostra per i suoi cari:

L’uomo deve spendere al di sotto dei suoi mezzi per il cibo, nella misura in cui essi glielo consentono per gli indumenti, ma al di sopra dei suoi mezzi per onorare moglie e figli, poiché essi dipendono da lui (Talmut babilonese)

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L’obbligo di formare una famiglia

La tradizione raccomanda all’uomo di sposarsi a 18 anni.

Costituire una famiglia è anzitutto un obbligo,derivante dall’atto corrisponde al comandamento iniziale:

Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra, soggiogatela ...” (Gen 1, 28).

In Israele si studiano e si richiamano molti testi biblici per affermare questa necessità: che la terra è stata plasmata perché fosse abitata (Is 45, 18).

È in questo contesto culturale e religioso che si trova difficoltà a concepire una “scelta di non sposarsi”

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In rispetto della Parola divina: «Non è bene che l’uomo rimanga solo» (Gen 2, 18), il Talmut

«proibisce all’uomo di restare senza moglie, anche se ha numerosi figli»

Anche se un uomo si è sposato molto giovane, deve risposarsi in età avanzata. Anche se ha già avuto dei figli nella sua giovinezza, deve averne ancora nella vecchiaia: “La mattina semina il tuo seme e la sera non dar riposo alle tue mani, perché non sai qual lavoro riuscirà, se questo o quello o se saranno buoni tutt’e due” (Qo 11, 6).

Un giudeo che non ha moglie vive senza gioia, senza benedizione, senza felicità. Senza gioia poiché sta scritto: “Gioirai tu e la tua famiglia” (Dt 14, 26).

Un giudeo senza sposa non è un uomo, poiché è detto: “Maschio e femmina li creò, li benedisse e li chiamò uomini” (Gen 5, 2).

Rabbì El’azar ha detto: Che significa “Gli voglio fare un aiuto che gli sia simile?” (Gen 2, 18). Se l’uomo lo merita, la donna lo aiuterà, se non lo merita, essa lo contristerà.

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Se dopo dieci anni di matrimonio non si hanno figli, l’uomo deve prendere provvedimenti che gli consentano di adempiere il comandamento iniziale.

● Gli viene anzitutto raccomandato di cercare una seconda donna;

● poi i rabbini lo invitano a ripudiare la prima moglie e a risposarsi.

● Si sostiene che persino il cielo respingerà il giudeo che non ripudia la moglie dalla quale non ha avuto figli.

Sette tipi di persone sono rifiutate dal Cielo: il giudeo che non ha moglie; quello che ha moglie ma non ha figli e non divorzia; quello che ha figli, ma non li educa nello studio della Torah, quello che non porta i filatteri legati alla fronte e al braccio; quello che non porta le frange rituali sotto l’abito; quello che non ha affisso la mezuzah allo stipite della sua porta, quello che non porta scarpe. Si dice anche: quello che non partecipa a una festa religiosa.

TB Pesachim, 117 a

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Se il sommo sacerdote non è sposato, non può compiere i riti dello Yom Kippur. Secondo la Mishnah

per il sommo sacerdote [in quel giorno] bisogna persino prevedere un’altra moglie nel caso che la sua venisse a mancare

Solo la presenza di una posterità assicura la Shekhinah. Infatti, il Talmud babilonese insegna:

Per provare che il celibe provoca il ritiro della Shekhinah, taluni citano: “Sarò il vostro Dio”, tuo e della tua discendenza (Gen 17, 7); quando hai una discendenza, la Shekhinah veglia su di te. Se non hai una discendenza, su chi potrebbe vegliare? Sui boschi e le pietre?

Nella Bibbia vi è un solo celibe famoso: Geremia.

La tradizione rabbinica è totalmente contraria al celibato, tuttavia ammette il celibato di Ben ‘Azzay, discepolo di ‘Aqiva’, che restò celibe per amore della Torah.

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La scelta della moglie

La Bibbia non fornisce nessuna informazione circa l’età in cui le ragazze si sposavano.

Sembra certo che si davano le figlie a marito in età molto giovane, come è accaduto per lungo tempo e come accade ancora spesso in Oriente, e lo stesso doveva avvenire per i maschi.

I Rabbini avevano fissato l’età minima per il matrimonio a 12 anni compiuti per le ragazze e a 13 per i maschi.

In queste condizioni l’intervento dei genitori era decisivo per la conclusione del matrimonio. Spesso non vengono consultati né la ragazza né il ragazzo

Poiché la richiesta di matrimonio veniva fatta ai genitori della ragazza, con loro si discutevano le condizioni, specialmente l’importo del mohar [pagamento] (Gen 29, 15 s.; 34,12).

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Nell’era antica l’autorità dei genitori non era tale da non lasciare nessun posto ai sentimenti dei giovani. In Israele vi erano matrimoni d’amore:

● il giovane poteva far conoscere le sue preferenze (Gn 34, 4; Giud 14, 2).

● Poteva decidere da se, senza consultare i genitori e anche contro il loro volere (Gen 26, 34-35).

● Accade più raramente che a prendere l’iniziativa sia la ragazza, come la figlia di Saul, Mikal, che si innamora di David (1Sam 18, 20).

● Questi sentimenti avevano di fatto molte occasioni di nascere e di manifestarsi, perché le ragazze avevano una certa libertà.

● È vero che 2Mac 3,19 parla delle ragazze di Gerusalemme confinate nelle case, ma questa informazione riguarda l’epoca greca ed è una circostanza straordinaria.

● L’uso del velo per le donne è più tardivo ancora. Nei tempi antichi le ragazze non erano recluse e uscivano senza velo.

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Le ragazze

● custodivano i greggi (Gen 29, 6),

● discendevano ad attingere acqua (Gen 24,13; 1Sam 9, 11),

● andavano a spigolare nei campi dietro ai mietitori (Rut 2, 2s.),

● facevano visite (Gen 34, 1),

● potevano parlare con gli uomini senza imbarazzo (Gen 24,15-21; 29,11-12; 1Sam ,9,11-13).

Questa libertà esponeva talvolta le ragazze agli atti di violenza dei giovani (Gen 34, 1-2), ma il seduttore era obbligato a sposare la sua vittima, pagando un elevato mohar e senza avere il diritto di ripudiarla in seguito (Es 22,15; Deut 22, 28-29).

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Verso il matrimonio

Per Dt 22,13 è l’uomo che sposa la donna, perciò si dice:

«Quando un uomo prenderà una moglie», e non “Quando una donna prenderà un marito”, poiché «è proprio dell’uomo cercare una donna, e non il contrario» TB Qiddushin, 2b.I padri di famiglia sono responsabili del matrimonio dei

loro figli (cf. Gen 24, 35-53).

L’iniziativa spetta al padre del giovane; ma si richiede che i fidanzati siano in condizione di stipulare un contratto e di esprimere con chiarezza la loro volontà.

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Il padre della fidanzata e il fidanzato si accordano sull’ammontare della “dote” (Mohar) che quest’ultimo gli deve versare.

La dote non rappresenta, come sembrerebbe, il prezzo versato per comprare la ragazza, quasi si trattasse di una schiava o di una merce, ma piuttosto un compenso dato alla famiglia.

Il padre della fidanzata dispone della dote senza dover renderne conto a nessuno.

 La verginità della fidanzata è importante

e la dote di una non-vergine è meno alta.

Quando venne istituita l’usanza del contratto di matrimonio e la dote fu destinata alla sposa, si

operò un notevole cambiamento. Da quel momento fu riconosciuta la dignità della donna.

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Dal V secolo a.C., nel contratto di matrimonio consegnato alla fidanzata figurava l’ammontare della dote promessa, ma siccome erano tempi economicamente difficili, la dote non veniva versata e la sposa riceveva un oggetto simbolico come pegno di un futuro versamento.

Questo però faceva sì che lo sposo poteva ripudiare la moglie: le lasciava il pegno, senza però consegnarle la somma promessa; l’uomo se la cavava con poca spesa, e ciò facilitava il ripudio.

Per questo motivo, all’inizio del I secolo a.C., Simon ben Shetach decise che la dote scritta nel contratto doveva essere garantita con un pegno sull’insieme dei beni che il marito possedeva al momento del matrimonio o che avrebbe acquisito successivamente.

Così, nel caso di ripudio o alla morte del marito, la dote doveva essere versata; la donna aveva anzi la priorità su qualsiasi altro creditore. Queste nuove disposizioni rendevano piena giustizia alla donna, e il ripudio diventava più difficile.

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Il matrimonio ideale era quello che si effettua all’interno della tribù.

Rabbi Yose aveva imposto delle ammende a chi non prendeva moglie nella tribù.

Così, la figlia del sacerdote che sposa un membro di un’altra tribù o la figlia dell’Israelita che sposa un sacerdote:

paga una sopraddote a titolo di ammenda, imposta al marito in segno di biasimo per non essere rimasto vincolato alla sua tribù e alla sua famiglia. Talmud di Gerusalemme

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Dal fidanzamento al matrimonio (qiddushin)

I rabbini chiamano qiddushin l’itinerario che porta all’unione matrimoniale.

Con tale nome che deriva dalla radice Qadosh, “Santo”, sottolineano il carattere sacro di questa unione che si realizza in due tempi:

il fidanzamento

il matrimonio vero e proprio

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Il fidanzamento (‘erusin) Una volta organizzato il matrimonio e fissati i termini del contratto da parte dei due padri, viene celebrato il matrimonio con il fidanzamento. La fidanzata ha spesso tra i 12 e i 13 anni.

Il fidanzamento costituisce un vero impegno: solo un ripudio lo può interrompere:

Quando un uomo ha preso una donna e ha vissuto con lei da marito, se poi avviene che essa non trovi grazia ai suoi occhi, perché egli ha trovato in lei qualche cosa di vergognoso, scriva per lei un libello di ripudio e glielo consegni in mano e la mandi via dalla casa (Dt 24,1).

Se uno commette adulterio con la moglie del suo prossimo, l'adultero e l'adùltera dovranno esser messi a morte (Lev 20,10).

L’adulterio durante il fidanzamento è punito come quello commesso da una donna sposata:

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Fino a quando il matrimonio non è celebrato, la fidanzata abita nella casa paterna

durante questo periodo sono proibiti i rapporti sessuali tra i due fidanzati

Il fidanzamento inizia con un pasto consumato nella casa della sposa e con il pagamento della dote

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Il matrimonio (nissoum)

Come in Mesopotamia anche in Israele, il matrimonio è un affare puramente civile e non è sanzionato da nessun atto religioso. Non ha nulla di sacramentale.

Malachia chiama la sposa «la donna della tua alleanza», berît (Mal 2,14), e berît si dice spesso di un patto religioso, questo patto è il contratto di matrimonio.

In Prov 2,17, il matrimonio è chiamato «l’alleanza di Dio» e, nell’allegoria di Ez 16, 8, l’alleanza del Sinai diventa il contratto di matrimonio di Yahve e Israele.

All’infuori di queste probabili allusioni, l’Antico Testamento non menziona un contratto scritto di matrimonio che nella storia di Tobia (Tob 7, 13).

Possediamo molti contratti di matrimonio provenienti dalla colonia giudaica di Elefantina, datati del V secolo a.C., e l’usanza era assodata presso i Giudei nell’epoca greco-romana.

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Essa è mia moglie e io sono suo marito da oggi per sempre.

La donna non fa nessuna dichiarazione.

Ancora oggi la celebrazione religiosa ebraica del matrimonio non può considerarsi un atto sacramentale, ma è la benedizione di un contratto.

Nella visione strettamente religiosa, è la forma pubblica con la quale una donna viene consacrata ad un uomo e alla famiglia che si formerà.

La formula del matrimonio si trova nei contratti di Elefantina (V sec. A.C.), che sono redatti in nome del marito:

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La cerimonia principale era l’entrata della ragazza nella casa dello sposo.

IL CORTEO NUZIALE

Il fidanzato, con la testa ornata di un diadema (Cant 3,11; Is 61, 10) accompagnato dai suoi amici con tamburelli e musiche (1Mac 9, 39), si recava alla casa della fidanzata.

La fidanzata era riccamente vestita e ornata di gioielli (Sal 45,14-15; Is 61, 10), ma era velata (Cant 4, 1. 3; 6, 7) e si toglieva il velo soltanto nella camera nuziale

La ragazza, accompagnata dalle amiche (Sal 45, 15) è condotta in casa dello sposo (Sal 45,16; cfr. Gen 24, 67).

Si cantano canti d’amore (Ger 16,9) in cui si celebrano le qualità dei due sposi, e di cui abbiamo esempi nel Sal 45 e nel Cantico dei Cantici, qualunque sia l’interpretazione che si da loro, allegorica o letterale.

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Il rabbino leggeva il testo della ketubàh alla presenza di due testimoni.

La ketubàh è un documento che riassume gli obblighi di tipo economico assunti dal marito nei confronti della moglie.

Il documento della ketubàh viene firmato dallo sposo e consegnato alla sposa prima che vengano recitate le benedizioni matrimoniali.

IL RITO SOTTO LA HUPPÀH

Gli sposi vanno sotto la huppàh, un baldacchino che rappresenta la loro futura abitazione.

il Rabbino prende un calice di vino e recita la benedizione. Gli sposi bevono dal calice e lo sposo mette l’anello al dito della sposa pronunciando la formula:

Tu mi sei consacrata per mezzo di questo anello secondo la legge di Mosé e di Israele.

Non vi è scambio di anelli. Il consenso della donna è espresso solo con la presenza sotto la huppàh e una silenziosa accettazione. Lo sposo consegna alla sposa la ketubàh e il rabbino invoca le 7 benedizioni.

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Normalmente il banchetto si faceva presso lo sposo (Mt 22, 2).

La festa durava normalmente 7 giorni (Gen 29, 27; Giud 14, 12) e poteva prolungarsi 2 settimane (Tob 8, 20; 10, 7).

Ma il matrimonio era consumato fin dalla prima notte (Gen 29,23; Tob 8, 1).

Il banchetto nuziale

Si concludeva con un grande banchetto

(Gn 29, 22; Giud 14, 10; Tob 7, 14)

organizzato dal padre dello sposo

(Mt 22,2; 25,1-13; Lc 14,8-11).