Nefòs - Alessandro Mazzi

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1 NEFÒS Il giardino senza noci

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Il romanzo narra di una nuova guerra, una nuova rinascita per l'umanità. Nefòs è l'anagramma di En Sof, che, nello Zohar, è il soffio della creazione. Nefòs è il Golem del mondo. E, come ogni Golem, ha solo una lettera che separa la sua vita dalla sua morte. Una storia di amore, di politica, di un Niente per Sempre.

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 NEFÒS  

Il giardino senza noci 

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PARTE PRIMA 

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Capitolo 1

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Mancano quindici giorni. Per la prima volta ci sarà una resa dei conti. Dopo molti progetti falliti, Nefòs, il computer, è pronto per dare i dati.

Ogni abitante del mondo è stato analizzato. Ogni singola azione è stata giudicata. Ogni persona avrà il saldo della propria vita. Si è stabilito che l’unico mezzo per valutarla è darle un prezzo. Torti subiti o recati, colpe, ragioni, tutto sarà sintetizzato con un numero. Si è studiata la possibilità che taluni, in caso di saldo negativo, potrebbero non avere i mezzi economici per azzerare le colpe. La prima ipotesi formulata da Nefòs ha suscitato scalpore. L’uomo senza patrimonio e con colpe gravi pagherebbe con la propria vita. Ma questo è frutto di una idea senza interpretazione del governo, il quale ha dichiarato, tramite il suo portavoce: “non avverrà mai”. Il massimo che si può concedere a Nefòs è un sistema di indebitamento. La reclusione è stata messa al bando. Il giudizio sarà una possibilità per tutti.

La decisione del governo è stata accettata dalla popolazione.

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Andrea abita nella sezione 16, insieme ad altri ventiquattro milioni di abitanti. Risiede nella capitale. Ha quarantotto anni. Da due si è separato e vive da solo. Il suo appartamento, ricevuto poco dopo la fine della guerra, è all’ultimo piano, un centinaio di metri e una grande terrazza.

Quando il governo ha annunciato il progetto Nefòs si trova a casa di amici: Clara e Marco, Giovanni, Stella. Stanno cenando, hanno lo schermo acceso. Lo schermo, nel 2066, racchiude tutta la comunicazione virtuale. È televisione, telefono, internet. È uno shock. I cinque amici sono increduli. Da mesi si parla di come si potrà dare un punto di ripartenza per tutti, stabilendo, appunto, torti e ragioni. Ma mai si era arrivati a ipotizzare tanto. Lo Stato, unico e centrale per tutto il mondo, ha organi eletti democraticamente. All’interno di esso vi sono due correnti composte dai filosofi e dai matematici. Ogni camera è formata da diverse sezioni.

In questi mesi giornali e reti televisive non parlano d’altro. La ricapitalizzazione delle vite degli abitanti: trovare un sistema per dare a ogni abitante il giusto valore per quanto fatto nella vita. Le voci sono tante, alcune dai toni modaioli, altre molto più estreme. Si è ipotizzato quasi tutto, e tutti sono convinti che sia necessario.

Dopo la guerra il principale obiettivo del governo è stato quello di trovare un sistema che permetteva una rinascita sociale per l’umanità. I matematici parlano di “azzeramento collettivo”, i filosofi di “possibilità di ricostruzione per una partenza collettiva”.

A reti unificate Blinz, capo del governo, annuncia il progetto Nefòs. Parla per centodieci minuti terminando il monologo con la seguente frase: “Nefòs, quindi, il sedici aprile darà a tutti voi quello che tutti voi avete sempre voluto: un punto di partenza”.

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I cinque amici restano in silenzio per molti secondi, poi Andrea dice: “preferisco andare, scusatemi”. Nessuno risponde, lui si alza e va via.

Raggiunge casa sua a piedi. Poi chiama Ester, la sua ex-moglie.

- Ciao, hai visto cos’hanno fatto?

- Sì. Tu come l’hai presa?

- Mah, ero da Marco, non lo so bene, siamo rimasti tutti in silenzio, non sapevo cosa pensare, ho salutato e sono tornato a casa.

- Io non credo sia poi tanto male come sistema.

- Mah, non so se sia male o bene, ma mi aspettavo qualcosa di diverso.

- Be’, è drastico ma democratico, sai tutti i discorsi che facevamo sull’oggettività? Nefòs li ha sintetizzati con un sistema di crediti e di debiti. E poi in fondo ha detto che, anche in caso di colpe gravi, se non si hanno i soldi si potrà pagare poco alla volta. Insomma, il principio di rispetto per la libertà e per la vita, bisogna ammettere è stato rispettato, no?

- Sì, sì, certo questo sì. Anche se Blinz ha detto che senza mediazione umana il p.c. avrebbe addirittura ucciso. Non so, mi sembra che sia diverso da come speravamo. Cazzo, Ester, ma è tardi, scusa, non me ne sono neanche accorto, non è che ti ho disturbata?

- Ma no, figurati, e poi credo che questa notizia, anche se attesa, abbia spiazzato tutti.

- Non so tutti, me di sicuro. Ma se vuoi ci vediamo domani a pranzo e ne parliamo a freddo, non so, dimmi tu.

- Ma no, Andrea, non disturbi, vuoi che venga da te?

- Ma no, dai, va bene così. È che mi aspettavo altro, non so bene.

- Cosa?

- Quando ascoltavo la notizia mi sono messo a pensare all’esperimento Yotim, lo ricordi? Quello della lucidità.

- Sì, ma fallì miseramente, quel farmaco non funzionava.

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- Sì, sì, non è per il farmaco o sul risultato positivo, che dico. È che dandoci ventiquattro ore di lucidità, in realtà non speravamo in altro che di capire tutto. Pensavamo che quello che nessuno è mai riuscito a darci, avremmo potuto trovarlo da soli. Non lo so, forse io aspettavo questo e non un numero, attivo o passivo che sia.

- Sì, forse. Ma non avevano detto “vi dirò i segreti della vita”, ma solo “vi darò un punto di ripartenza della vostra vita”.

- Sì, però non so. È come se adesso ci dessero la soluzione, ma senza darci la domanda, ci dicono quante pastiglie prendere senza dirci a cosa servono.

- Ma no, non credo, vedrai che poi ci diranno tutto, adesso hanno solo annunciato il progetto.

- Tutto, ma senza dirci i criteri. Non ha parlato di criteri. Ci diranno “hai fatto questo, subito questo, ecco quanto ti spetta”. Se io sarò meno duecento e tu più trecento, cosa vorrà dire?

- Che mi sono comportata meglio di te, credo.

- Ma perché? Io volevo solo sapere il perché, Ester.

- Non capisco.

- Dopo la guerra si erano cambiate le carte, no?

- Continuo a non capirti, davvero.

- Non lo so, scusami, meglio lasciar stare, dai.

- Adesso non te la prendere, Andrea.

- Senti, ti chiamo domattina, ci sei o lavori?

- No, no, ci sono.

- Allora dai, facciamo così, domattina ti chiamo e magari ci vediamo per pranzo.

- Va bene, ma sei sicuro? Se vuoi passo da te e ne parliamo, davvero, non sono stanca.

- Ma no, dai, va bene così. Scusami devo dormirci su, se no dico cazzate.

- Come vuoi, allora buona notte Andrea, a domani.

- Si, buona notte anche a te, ciao.

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Andrea si addormenta pochi minuti dopo, con la sensazione che non sarebbe riuscito a prendere sonno a causa della notizia.

Il giorno dopo fuori è grigio e piove.

Il matrimonio con Ester durò dieci anni, non avevano avuto figli. Si lasciarono d’improvviso. Il motivo non fu un nuovo amore, ma il semplice mutare del loro. L’ultimo anno di convivenza li vide ombrosi, distaccati. Lui è un insegnante di letteratura contemporanea. E sempre più spesso si fermava all’università con gli studenti anche nelle ore in cui poteva farne a meno. Ed Ester, poco alla volta, divenne insensibile a quei ritardi. Un giorno Andrea le disse che il loro era “un amore consumato male”, lei replicò: “no, è un male consumato con amore”. Decisero di lasciarsi e dopo un mese lei tornò in una casa al mare che i genitori le avevano lasciato in eredità molti anni prima.

Una settimana dopo che si lasciarono iniziò la guerra. Fu il conflitto più corto della storia. Iniziò il ventisette novembre 2065 e terminò il ventinove novembre dello stesso anno. Morirono i nove decimi degli abitanti del mondo. Fu una guerra concordata, si sapeva già tutto quello che sarebbe accaduto dopo. L’unica variabile era chi sarebbe stato il vincitore, chi avrebbe deciso, chi sarebbe diventato il capo del governo unico. Trionfò la sesta fazione e con essa Blinz, il capo del partito.

Blinz avrebbe dovuto immediatamente istituire un referendum. Gli abitanti del “nuovo mondo”, così chiamava lui i superstiti, avrebbero dovuto confermarlo oppure delegittimarlo. In caso di sconfitta avrebbe dovuto istituire le prime elezioni per la nomina di un nuovo governatore.

Con il cinquantasei per cento di preferenze il giudizio popolare decretò la sua conferma a capo del governo.

Il referendum aveva avuto esito prevedibile.

Blinz aveva vinto la contesa. La guerra, a differenza di tutte quelle precedenti, fu combattuta da dieci schieramenti. Ognuno di essi con un aspirante capo del governo unico, nove aspiranti morirono e, con essi, tutti i loro elettori.

Difficile, quindi, la non riconferma di Blinz.

La lotta, come concordato, durò due giorni. In quei due giorni non ci furono bombe o attacchi armati, dopo la fine della guerra precedente erano stati banditi; ci furono dieci computer, uno per ogni fazione, che si misurarono.

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Gli abitanti, la seconda notte di ostilità, presero una pastiglia e si addormentarono. Solo i vincitori trovarono risveglio.

Andrea ed Ester si incontrano in un ristorante vicino alla facoltà di letteratura.

- Ciao, come stai?

- Meglio, grazie, ieri sera ero confuso. Tu invece come stai?

- Bene. Hai prenotato?

- Sì, abbiamo il solito tavolo, credo.

- Non avevi lezione?

- No, oggi niente, e ci saranno due giorni di chiusura, dicono, per riflettere sul progetto Nefòs. Ma non ho capito bene, me lo ha detto stamattina Gianpaolo al telefono. Dopo passo in facoltà e vedo.

- E perché due giorni?

- Non lo so, vado in facoltà per capire meglio. Gianpaolo ha letto una circolare ma non si capiva se i due giorni sono per gli studenti, per noi o per entrambi.

- Al telegiornale non hanno detto nulla.

- Cosa prendi, Ester?

- Non so, ordina tu per me, Andrea, ti prego.

- Allora, hai elaborato la notizia?

- Mah, io non riesco a vedere la cosa da fuori, credimi. Quello che tu dicevi ieri io non riesco a pensarlo. Ho passato tutta la notte a cercare di capire che numero mi daranno. Insomma, credo di essermi comportata sempre bene, eppure quasi non riesco a respirare per la paura, Andrea, pensa te.

- Io invece non ho nessun interesse verso quel numero. Non riesco ad avere sensazioni al riguardo. È come se la cosa non mi toccasse. E dire che avrei molti motivi in più di te per preoccuparmi.

- Ma no, cosa dici.

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- Sì, e lo sai benissimo. Hai letto il programma, no? Tiene conto di tutto, da quando sei nato alla guerra, nulla è escluso.

- Tu sei a credito, nonostante tutto, non devi preoccuparti.

- Be’, se lo sono io, tu avrai un numero altissimo, quindi non dovresti agitarti. Invece tu lo fai e io no.

- Non dovremmo farlo nessuno dei due.

- Chi lo sa. Ma te l’ho detto, io non sono agitato. Avrei solo voluto una cosa diversa.

- Tu credevi che ti avrebbero detto tutto o che, per lo meno, te lo avessero fatto capire, dicevi ieri.

- Sì, no, non lo so, l’idea della ripartenza credevo si manifestasse con qualcosa di diverso, ma te l’ho detto, se ieri sragionavo, oggi non so neanche cosa pensare.

- Io credo che quello che vuoi tu non esista. Nefòs può dare giustizia, non di certo verità.

- Dovrebbero coincidere, credo, no?

- No, invece, Andrea, e lo sai benissimo. Prima della guerra si pensava che neanche la giustizia sarebbe mai più esistita.

- Se fosse veramente come dici tu, Ester, se davvero anche la giustizia non esistesse più, forse dovremo davvero morire tutti quanti.

- Non dire così. Era necessario, dirci colpevoli sarebbe colpevolizzare aver scelto Blinz. Ne abbiamo parlato tutti, milioni di volte. Non siamo colpevoli, tutte le dieci fazioni erano d’accordo, siamo solo fortunati. Meglio uno su dieci che nulla, no? Cosa sarebbe adesso il mondo, eh?

- E cosa è adesso, Ester dimmelo tu. Siamo qui ad aspettare un numero per sapere quante cose ci daranno o per conoscere quanto ci decurteranno dallo stipendio. E poi, tra l’altro, i soldi decurtati dove andranno?

- Andranno a chi ha crediti.

- Ester, siamo poco più di seicento milioni in questo mondo. Se è vero che ossigeno e acqua sono poco più che sufficienti, per il resto prima si campava in più di sei miliardi. Che bisogno c’è di pagare?

- Per giustizia. Stavamo parlando di questo no?

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- Per giustizia? Se non è per compensare le ingiustizie altrui allora questa giustizia diventa repressiva, e Blinz e tutti noi non eravamo forse contrari?

- Andrea, dimmi la verità.

- Su cosa?

- Davvero non hai paura di pagare? Davvero non ti stai nascondendo con queste idee solo per non ammettere a te stesso che hai paura di essere giudicato colpevole?

- Non ho nessuna paura, te l’ho detto, Ester. Poi, se vuoi fare un processo dietrologico al mio comportamento, va be’, fai pure, ma lo sai benissimo come la penso al riguardo.

- Va bene, scusa, domandavo solo, adesso non ti arrabbiare.

- E poi, anche volendo, di cosa mai potrei aver paura, scusa? Tra due settimane saremo semplicemente o più ricchi o più poveri, lo vuoi capire, Ester, che in realtà Nefòs non cambierà nulla?

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La corrente di Blinz

Blinz, prima della guerra, fu eletto presidente del suo partito.

Le dieci fazioni avevano presentato lo stesso programma.

Dopo la precedente guerra si era constatato che le differenze avevano sempre e solo portato ai conflitti. Così se ne presentò uno unico e si fece un referendum per vedere se la maggioranza lo avrebbe approvato.

Il novantasei per cento della popolazione fu d’accordo col programma.

Ogni partito presentò una relazione per far vedere come questo programma poteva essere messo in pratica.

Di fatto si passò, come scrisse Warnik, poi caduto in guerra, “da una politica di ideologie basate su una costituzione a una interpretazione sul metodo”. L’ideologia era morta. Alcuni esponenti del partito di Blinz dissero che il nuovo mondo sarebbe stato un organo vivente e mutante e che il cibo di cui si sarebbe dovuto nutrire si chiamava giustizia e che solo così si poteva dare speranza, equità, pace.

Tutto nacque per un problema ecologico. Il mondo non aveva più risorse per gli abitanti. Di questo si parlava da tempo. Entro due anni sarebbe iniziata la fine per tutti. E questo processo avrebbe portato guerre, distruzioni, anarchia. L’unica soluzione possibile fu creare dieci partiti e stabilire che solo un decimo della popolazione avrebbe continuato a vivere.

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Ester torna a casa, avrebbe voluto tornarci con Andrea. È così da quando si sono lasciati, per lei l’abitudine è una forma d’amore, un incontro di vite. Una sua amica le disse “vedrai che passa”. Lei rispose “una volta mia madre è venuta a casa mia e ha tolto un quadro che mi aveva regalato. Era in soggiorno vicino alla litografia di Durer. Mi manca ancora adesso”.

Ester non poteva fare a meno dell’idea dell’amore per Andrea. Non poteva liberarsene, né voleva.

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Metropolis

Mancano tredici giorni al verdetto di Nefòs. Tutti i telegiornali e tutti i quotidiani, dividono i servizi in due parti. Nel primo si parla del “dopo-verdetto”, dell’equità, finalmente raggiunta, per una nuova partenza dell’umanità, nel secondo si ipotizzano reazioni positive o negative.

Tutti i canali di informazione tranne uno.

Una rete televisiva dà un giudizio negativo a Nefòs. Nefòs, come tutto, è giudicabile, anche se quasi nessuno lo fa. È lecito, anche se quasi nessuno si prende questa licenza.

Fregli, nella rete televisiva Rother, nella trasmissione Metropoli, dice:

Buon giorno a tutti voi. La decisione del capo del governo Blinz ci ha sorpresi negativamente. Dopo l’ultima guerra si era deciso di azzerare il passato. Si era deciso di dare un valore alle persone e non alle ideologie. Si era stabilito che mai più un’idea avrebbe avuto un peso maggiore di qualsiasi uomo. Si era bandita la possibilità di un cammino che non fosse comune, anche se nel pieno rispetto di ogni singolo individuo. Noi di Metropolis ci aspettavamo esattamente il contrario del progetto Nefòs. Avremmo voluto un unico numero per tutti, e l’unico numero possibile era lo zero.

Ogni zero avrebbe dovuto avere un perché. Ogni zero avrebbe dovuto avere una motivazione. E invece cosa ci darà Nefòs? Numeri diversi e senza motivazioni. O meglio, senza perché. Solo dati statistici: “ti sei comportato bene quella volta che hai aiutato un amico in difficoltà e male la volta che non sei andato a trovare un parente in ospedale, la differenza è meno diciotto”, noi di Metropolis vogliamo sapere il perché.

Nefòs è il risultato di nove decimi di popolazione morta per mancanza di ossigeno e di acqua, morta per tutte le precedenti ideologie, per tutti i sistemi del passato. Morta per tutti i numeri dati, per i conti economici in attivo o in passivo, per la mancanza di case, per la salvaguardia dell’individuo e del suo diritto di occupazione del mondo. È morta per i compromessi storici, per la tutela dei patrimoni, per i diritti di aziende, per la tutela di quei lavoratori di quelle aziende le cui idee erano in contrasto con altri lavoratori e con altre aziende. È morta per milioni di religioni tutte uguali e tutte con motivazioni oggettive per sentirsi migliori delle altre e dalle altre danneggiate. È morta solo per un semplice motivo: supremazia.

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E adesso noi di Metropolis vogliamo sapere perché tutto questo non succederà più e non un semplice numero.

Vogliamo sapere cosa abbiamo fatto e perché lo abbiamo fatto e non il risultato numerico che ne consegue. Blinz e il progetto Nefòs altro non sono che il tentativo di farci credere che avremo il numero della felicità, senza dirci, invece, che come sembra, lo Stato altro non può che doverci dire il perché.

Non sarà una ripartenza ma solo un sistema di crediti e di debiti. Le stesse che ci hanno portato a restare il dieci per cento di quelli che eravamo.

E allora, noi di Metropolis, chiediamo a Blinz di dimettersi, di rimettere il mandato e di istituire un referendum popolare per capire da che parte stanno le persone. Vogliamo davvero solo un numero? Noi crediamo di no.

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Andrea stampa il discorso di Fregli. Quella sera, dodici giorni prima della sentenza, deve andare a cena da sua fratello e non ne ha alcuna voglia.

- Ciao.

- Ciao, come stai?

- Abbastanza bene, Rosalba non c’è?

- No, è andata a cena da Caterina, avevano organizzato una cena tra amiche.

- Ah, capito.

- Allora, come l’hai presa la cosa del progetto Nefòs?

- Mah, a dire il vero non troppo bene, tu?

- Io bene, o meglio, non credo sia meno di quanto potessimo sperare. Vuoi qualcosa da bere?

- No, grazie. Hai preparato da mangiare tu?

- No, ho ordinato al negozio qui di fronte.

- Ah, benone.

- Comunque, dicevo, credo che noi si abbia sopravvalutato la possibilità di Nefòs. Che cosa altro poteva darci? E poi basta con queste menate. Hai sentito quelli di Metropolis?

- Sì.

- E cosa ne pensi?

- Mah, mica tanto bene, in fondo. Fregli è andato avanti per due ore sul perché senza dire il perché di cosa.

- Appunto. Che perché vuole? Sapere se era giusto disobbedire a sua madre? Se esiste la reincarnazione?

- Non lo so, te l’ho detto, c’ho capito poco.

- A me sembrano stronzate antigovernative e basta.

- Mah, di antigovernativo mi sembra che ci sia ben poco dal dopoguerra in poi, no?

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- E meno male, no?

- Non lo so, sta gran cosa che è il progetto unico sempre più sembra diventare una finta monarchia in cui tutti fingono di sentirsi liberi e felici.

- Ma sei matto? È proprio il contrario. Come cazzo puoi pensare una cosa simile?

- Come faccio non lo so, ti ho solo detto che a volte mi sembra così.

- Da quando non sto più con Ester non sei più lo stesso, mi sembra.

- Da quando non sto più con Ester c’è stata una guerra e cinque miliardi di persone sono morte. Mi sembra.

- E non ti incazzare.

- E chi si incazza? Dico solo che subito dopo che Ester e io ci siamo separati c’è stata la guerra, tutto qui.

- Si va be’, capisco che sia stato un bel matrimonio, ma mi sembra un po’ troppo legare i due eventi, no?

- Ma che dici?

- Dai, scherzavo. Ti piace questo vino?

- Sì, buono. Caro?

- Abbastanza, ma chi se ne frega. E poi tra dodici giorni diventerò ricchissimo.

- Dici?

- Tu dici di no?

- Boh, e che ne so io?

- Beh, mi conosci.

- Sì, va bene, ma mica hanno detto come giudica, Nefòs.

- Eh, ma io mi sono comportato sempre meglio di come gli altri si sono comportati con me, non credi?

- Sì, credo di sì.

- Vedrai che anche a te daranno un sacco di soldi, nonostante tutto.

- Anche Ester ha usato quasi le stesse parole.

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- Quali?

- “Nonostante tutto”

- Be’, dai…

- Sì, non mi va di parlarne, per piacere. E poi, ti dirò, mi importa poco se avrò debiti o crediti, vivrò più che bene anche volessero togliermi un po’ di soldi.

- Ma vuoi mettere la soddisfazione?

- Mah. Viviamo in un’economia con mezzi dieci volte superiori a quelli di cui abbiamo bisogno, sembra osceno preoccuparci dei soldi.

- Infatti, dicevo, vuoi mettere la soddisfazione di un bel punteggio, a prescindere dai soldi?

- Io me ne frego. So come mi sono comportato nella vita, a prescindere da Nefòs.

- Ma tra poco lo sapranno tutti, dai, è diverso.

- Tutti? E cosa faranno? Ci tatueranno il numero sulla fronte?

- No, va be’, ma penso che si saprà,no?

- Blinz non credo abbia detto nulla a riguardo, ma solo che ognuno avrà il suo numero, no?

- Va be’, mi sembra evidente, no?

- Mah.

- E scusa, se no a cosa serve ‘sto progetto Nefòs?

- Va be’, parliamo d’altro, tanto non serve a nulla.

- Come preferisci. Con Ester come va?

- Come va cosa?

- Non so, vi vedete?

- Come al solito, perché?

- Perché? Ti sembra normale che due si lasciano, non si mettono con nessun altro, e continuino a frequentarsi?

- Sì. Cosa avremmo dovuto fare, scusa?

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- Non lo so, ne abbiamo già parlato mille volte e mille volte non ho capito perché vi siete lasciati.

- Ah, e questo è così sconvolgente? È grave che tu non riesca a capirlo?

- Ma perché ti devi sempre incazzare?

- E chi si incazza, è che non capisco questo discorso sul perché e per come io ed Ester ci siamo lasciati.

- Va bene, lasciamo perdere. Domani c’è il seguito su Metropolis, chissà che dicono.

- Già, e a proposito – così sei contento – ho detto ad Ester che lo guardiamo insieme.

- Secondo te cosa diranno?

- Boh, forse cosa intendono con il “perché” strausato l’altro ieri.

- Va be’, speriamo, almeno ci capiamo qualcosa.

- Marco mi ha chiamato stamattina. Dice che Clara sta male.

- Come male?

- Non lo so. Dice che non dorme.

- Sarà agitata per il verdetto.

- Già, lo ha detto anche Marco, e così si è agitato lui perché non riesce a capirne il motivo.

- Bel quadretto, niente da dire.

- Già. Tu Clara la conosci. Cosa potrebbe essere?

- Non ne ho davvero idea, che io sappia si è sempre comportata bene, almeno quando stavamo insieme.

- Già. Tutti a dire “quando stavamo insieme”, come se le schifezze uno le avesse fatte sempre quando stava da solo.

- Ma che c’entra.

- Ma sì, dico per dire.

- Tu hai paura.

- E di cosa, di un po’ di debiti? No, per nulla.

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- Domani hai lezione?

- Sì, ed è meglio che vada, è tardi.

- Sì, mi sveglio presto anche io.

- Ok, dai, grazie per la cena, salutami Rosalba, ci sentiamo domani, magari dopo Metropolis.

- Va bene dai, ti accompagno.

- Ma no, vado, stai, a domani.

- Ok, buona notte.

- Anche a te.

Andrea arriva a casa, vede la stampa del discorso di Fregli, sul tavolo, ma è troppo stanco per leggerlo. Va subito a letto, con la solita sensazione che tanto non riuscirà ad addormentarsi subito.

Il giorno dopo si sveglia presto e di buon umore. Ha lezione all’università alle dieci: un’ora per farsi una doccia e per restare un po’ tranquillo.

Sotto l’acqua si sente bene, riesce a non pensare a nulla, a lasciarsi andare, a non essere più nel duemilasessantasei, dopo una guerra e senza più Ester al suo fianco. Controlla i messaggi sullo schermo, non ce n’è nessuno.

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- È iniziato?

- Non ancora, dai vieni, entra. Com’è andata ieri da tuo fratello?

- Al solito, non abbiamo litigato e non siamo andati d’accordo.

- E cosa dice di Nefòs?

- Mah, che è tutto bello e che non ci si poteva aspettare di più.

- Capito. Va be’, è quello che dicono quasi tutti.

- Ah, e poi dice che non sa perché ci siamo lasciati.

- Lui non lo sa?

- Già, lui non lo sa.

- Be’, la prossima volta che ci lasciamo gli mando una lettera di spiegazioni.

- La prossima volta che ci lasciamo cosa vuol dire?

- Ma no, è per dire.

- Mica ti capisco, sai.

- Ma era solo una battuta, adesso non metterci pensieri sopra.

- E va be’, nessun pensiero né sopra ne sotto, come al solito.

- E che noioso, accendi lo schermo che tra poco inizia, dai. E magari togliti il cappotto.

- Sì.

- E senti.

- Cosa?

- Lo sai che sei l’unico al mondo a portare il cappotto con questo caldo, vero?

- Sono freddoloso, lo sai, no?

- No, tu sei scemo, è diverso.

- E va be’, sono scemo, grazie.

- Com’è andata la lezione questa mattina?

- Bene, grazie.

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- Caratteraccio.

- E meno che male che sono io il noioso. Forse avresti bisogno di un uomo.

- E chi ti ha detto che no ce l’abbia?

- Va be’, inizia, stai un po’ zitta, dai.

- Ben gentile.

Buon giorno a tutti voi. Siamo stati gli unici a criticare aspramente Nefòs. Abbiamo chiesto un perché. Il giorno dopo i giornalisti hanno detto: “Metropolis chiede un perché senza dire quale sia il perché”. Come se ce ne fossero di diversi tipi. Come se tutti noi non sapessimo che perché vogliamo. L’unico grande perché di tutti i tempi.

Adesso siete lì, davanti al monitor aspettando che io ve lo dica. Che vi dica “ma come, era evidente, il perché che vogliamo è bla-bla-bla”.

Voi il perché lo conoscete benissimo e non sarò certo io a dirvelo. Lo so io, lo sapete voi, lo sa Blinz.

Mancano undici giorni al grande “verdetto”. Cosa cambierà? Cosa, invece, vorreste che cambiasse?

Il perché è tra quelle due domande, e voi lo sapete benissimo. Ma preferite far finta di nulla. Metropolis tornerà a cinque giorni da Nefòs, per ora vi auguriamo felici pensieri e, soprattutto, un buon perché a tutti.

- Criptico o furbo?

- Tipo “vero o falso”?

- No, dai, hai capito?

- Non lo so, non mi sembra, tu?

- Nulla, e poi ‘sto Fregli chi è? Metropolis non la conduceva Mailene?

- Sì, mi sembra sia uno che prima della guerra si occupava di positivismo.

- Ah, ecco, andiamo bene.

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- Be’, non è che il positivismo abbia fatto del gran male, mi sembra, e poi lui cambiò strada e uscì dallo schermo.

- Ah. Tant’è che non c’ho capito nulla.

- Sembra uno di quelli illusionisti che ti fanno credere quello che vuoi credere a prescindere da loro.

- Sì, forse, potrebbe essere.

- E dai, questa storia di lasciare intendere una cosa senza dirne veramente il significato è stupida. Così ognuno trova un perché e sembra che lui abbia ragione, no?

- Se ognuno trova un perché, lui ha ragione, Ester. E poi pensaci, tra una decina di giorni anche lui avrà il suo verdetto, perché mai dovrebbe fare il furbo? Sai cosa mi è venuto in mente proprio adesso?

- Cosa?

- Blinz.

- Blinz cosa?

- Quale sarà il suo punteggio? Se fosse negativo come reagirebbe la popolazione?

- Già. Non ci avevo pensato davvero. E poi domani dirà altro per il governo. Magari se questo benedetto numero sarà pubblico o privato.

- Già. Tutto sommato incomincia ad essere interessante questo progetto Nefòs.

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Capitolo due

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La prima reazione della popolazione alla notizia del progetto Nefòs incomincia a mutare.

Nel quartiere in cui Andrea ha casa alcuni abitanti hanno indetto delle riunioni di circoscrizione per discutere la decisione di Blinz.

Tutto questo è tollerato, da sempre si è fatto così, anche se la discussione non avrebbe dovuto, per nessun motivo, diventare ideologizzante per non contrastare le leggi. Discussione, ma sul metodo, non sul contenuto.

Andrea decide di non parteciparvi per non farsi influenzare, anche perché pure in facoltà incominciano i dibattiti.

Un suo collega, Victor, avanza l’ipotesi del dubbio. “Oltre a un meno o a un più per ogni abitante, il progetto Nefòs porta vantaggi a qualcuno?”

Un mondo con risorse per sei miliardi di persone e con seicento milioni di abitanti sembra far credere il contrario. Le ricchezze sono state ripartite. Appartamenti belli per tutti, per tutti automobili, vestiti, lusso. Cosa mai potrebbe portare una persona a volere di più? Il potere è di Blinz, eletto prima e confermato poi, democraticamente. Quindi nessuna lotta tra partiti è possibile. Come è possibile, allora, pensare ad un motivo occulto?

Victor chiede il permesso al rettore per poter dire le sue ragioni pubblicamente, il rettore acconsente. Accorda due ore in aula sei per il giorno seguente, dalle diciassette alle diciannove, ma con ingresso vietato agli studenti, per non mostrare eventuali disaccordi tra gli insegnanti. Il giorno seguente, invece, un’ora per esporre, a porte aperte.

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- Ci vediamo stasera?

- Ma non dovevi andare dai tuoi per il fine settimana?

- Andrea, te l’ho detto sedici volte, è per il prossimo week-end.

- Ah, va bene. Ma stasera c’è la cena da Rosalinda.

- Potresti passare da me dopo.

- Sì, va bene. Verso le undici, ok?

- Perfetto.

- A più tardi allora.

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- Allora, com’è andata la cena?

- Male, me ne sono andato a metà.

- E perché?

- Hanno incominciato a rompere i coglioni.

- Ma cosa dici?

- Per il mio passato, lo sai.

- Ma in che senso?

- Dicevano che l’unico che rischia sono io.

- Cazzate, non rischi nulla. È passato un sacco di tempo e hai già pagato abbastanza, mi sembra, no?

- Non è questo il punto, è che sono cazzi miei, credo, no? E poi, chi se ne frega, che palle.

- Sì, certo. Magari però lo dicevano con affetto.

- Lo sai cosa penso della mia vita, no?

- Sì, certo che lo so. Vieni qua, Andrea, fatti abbracciare.

- Ma no, dai. Tu cosa pensi che succederà?

- Con Nefòs?

- Sì.

- Nulla. Ci ho pensato e hai ragione tu. Ci sono troppe risorse, siamo tutti ricchi, anche se ingiustamente.

- Non so se sia ingiusto. Continuiamo a pensare alla guerra come se fosse motivo di ricchezza ingiusta. È colpa nostra se abbiamo scelto Blinz e se Blinz ha vinto? Tutto questo senso di colpa sta diventando un freno. Era la guerra necessaria, no? Non dicevamo forse che in fondo sarebbe stata l’unica guerra davvero giusta? E allora come cazzo può una guerra giusta produrre un risultato ingiusto? Avevamo tutti le stesse possibilità e tutti eravamo d’accordo, no?

- Quasi tutti.

- Sì, va bene, quasi tutti. Ma quelli non d’accordo erano pochissimi. E poi non avevano un partito. Non stavano con gli uni o con gli altri.

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- E che ne sai che poi no abbiano votato anche loro, o magari anche solo una parte di loro? Magari qualcuno ha votato Blinz e adesso è tra di noi.

- Sì, possibile.

- E se fosse così, Nefòs come lo giudicherà?

- Non lo so, non ne ho proprio idea. Ma parli in generale o conosco qualcuno che…

- No, no, dico in generale, non so nulla di nulla.

- Ah, capito.

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Andrea se ne va un attimo prima che la voglia di non andarsene prenda il sopravvento. Andrea non avrebbe voglia di pensare a Nefòs, vorrebbe, anzi, non pensare proprio a nulla.

I giorni passano e al posto di trovar chiarezza per la decisione di Nefòs, i dubbi aumentano, si aggiunge quello sui dissidenti. Davvero qualcuno contrario alla guerra può essersi schierato con una fazione per poter sopravvivere?

E se davvero fosse così, questo progetto Nefòs non diventerebbe lo strumento per giudicare la decisione più importante degli ultimi secoli? E se il verdetto fosse pro-dissidenti, cosa ne sarebbe del mondo dei colpevoli? E Blinz, davvero può permettere e permettersi una simile eventualità?

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Il discorso di Victor, in facoltà.

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Andrea si addormenta e sogna.

È solo in mezzo al bianco, davanti a sé una membrana opaca, trasparente. Incomincia a tirare fuori dalle tasche alcuni oggetti. Un sasso. Lo getta al di là della membrana e il sasso diviene un seme. Lo vede germogliare, per terra, divenire bocciolo, poi fiore. Restare così, senza appassire.

Poi lancia una foto, di cui non riesce a vedere il soggetto. Si trasforma in un uomo, diventa un albero fiorito con un uccello tra i rami. Poi, ancora, lancia una medaglia. Diviene un elefante di bronzo che, camminando, scompare.

Infine tira fuori una lettera. Diviene Ester. Ester si avvicina alla membrana e cosi fa lui. Tanto quasi da arrivare a baciarla, ma quando la sfiora Ester scompare, scompare la membrana, e lui rimane solo nel bianco. Per terra c’è un piccolo pezzo di carta beige, di quelli che un tempo i panettieri usavano per fare i pacchi.

Si sveglia.

Manca solo un giorno ai numeri di Nefòs. Ognuno ha detto la sua. Alle tre e mezzo Metropolis si collega per l’ultima volta. Nella trasmissione precedente Fregli non ha detto nulla, ha guardato la telecamera per sedici minuti e poi è andato via. Andrea pensa che sia una buffonata, alcuni giornali scrivono che forse è un messaggio, occulto ai più.

Ester aspetta la telefonata di Andrea. È in cucina, mangia noci, cammina, arriva in salotto, si siede sul divano, mette musica, si risiede, torna in cucina, schiaccia altre noci. Le mastica. E Andrea non telefona. Dovrebbero mettersi d’accordo per ricevere il file dei numeri, insieme. E lui non telefona. Si spoglia, è una bella donna. Biondo-scura, alta più di un metro e settanta, formosa. Ha una bocca carnosa, seni pronunciati. È una donna accogliente. E Andrea non telefona. E lei, una volta tanto, resiste alla tentazione di farlo per prima. Sta leggendo un vecchio libro di Roth, “Complotto contro l’America”, e pensa a come sarebbe facile che tutto andasse in modo diverso da come realmente va. Ama stare nuda, in casa. È un’abitudine nata per gioco, con Andrea. Tempo addietro, all’inizio della loro convivenza, lui la chiamava prima di arrivare a casa, diceva “spogliati che arrivo” e riattaccava. Dopo un po’ non c’era bisogno che lui chiamasse, lei restava a casa tutto il giorno, nuda, ad aspettare che lui rientrasse, eccitato di lei.

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E adesso non chiama, e lei, nuda, schiaccia noci e pensa al numero. Non al suo, a quello di Andrea, quello che, anche se tutti negano, sarà sicuramente un gran brutto numero.

E poi alla fine lui la chiama.

- Ciao, disturbo?

- Ma va, dovevi chiamare due ore fa, no?

- Sì, scusa.

- Hai letto l’annuncio?

- Sì, oltre al file personale ci sarà una specie di elenco pubblico, no?

- Già, Blinz compreso e in diretta, da Nefòs a tutti, senza filtri.

- Mi sembra un bel rischio, per lui.

- Si vede che è convinto di essersi sempre comportato bene.

- Sì, ma è un rischio per tutti, come la prenderanno, tutti, se si prende un numero negativo?

- Non ne ho idea. E tu? Sei teso?

- No, affatto, tu?

- Un po’, ma sotto controllo. Lo guardi Metropolis oggi?

- No, mi ha stufato con l’ultima pagliacciata di Fregli, tu?

- Mah, mi sa di sì, non ho nulla da fare.

- Ti ho sognata, mi sembra.

-

- Ti sembra?

- Sì, non ricordo bene, mi avvicinavo a te e tu scomparivi. Era un po’ strano. Ero nel nulla, in mezzo al bianco.

- E io scomparivo?

- Sì, te l’ho detto. Ci avvicinavamo l’un l’altra, e poi sparivi.

- Che brutto.

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- Eh, sì, brutto, scomparivi, che cazzo.

- Avrò avuto i miei buoni motivi. E tu non facevi niente, non mi inseguivi?

- Ma no, non è che andavi via, proprio non c’eri più, non c’era più nulla. Anzi no, per terra c’era un piccolo pezzo di carta, marroncino.

- E tu che facevi?

- Lo prendevo in mano e lo guardavo, poi mi sono svegliato.

- Simbolico.

- Mah, io non ci ho capito un cazzo.

- E prima di me c’era altro?

- Non so, non ricordo bene. Prendevo dalla tasca alcuni oggetti e questi si trasformavano.

- Be’, simbolico davvero, allora.

- Sì, forse, ma non ci ho capito nulla.

- Magari è premonitore, capiterà qualcosa.

- Ma va, magari era solo cattiva digestione.

- Perché? Cos’hai mangiato ieri sera?

- Ma no, scema, era per dire.

- Capito. Domani da me o da te per il grande evento?

- Io da te, ti va?

- Ok, mangiamo insieme?

- Sì, certo.

- Allora da me a mezzogiorno, ok?

- Perfetto.

- Allora a domani.

- Sì, ciao.

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Ester non riesce a dormire. È notte, è ancora nuda, continua a schiacciare noci, ma non le mangia più.

Continua ad avere paura per Andrea. Lei lo sa che lui ha pagato a sufficienza, e sa che Nefòs non può saperlo. Nessuno lo sa. Solo lei. E anche lei, razionalmente, non potrebbe affermarlo.

Cosa può dire di Andrea? Lo conosce da quando si sono incontrati, anni fa, e sa cosa dicono di lui e cosa dicevano anni prima.

Ma davvero se avesse un numero molto negativo si stupirebbe?

E se sarà davvero così, Andrea come reagirà? Ester da una parte pensa che il suo mostrarsi così sincero non ha alcun senso ma conoscendo le sue reazioni non lo trova così illogico.

In fondo se n’era andato così senza dire nulla, senza litigare, quasi senza si parlassero.

Ester cosa sapeva, in fondo, di Andrea?

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L’ultima apparizione di Fregli, il -/-/-, alle quindici è trenta.

Buon giorno a tutti voi. Avete pensato “quello è un buffone, sono quindici minuti che fissa la telecamera senza dire nulla”. Avete scritto “forse era un messaggio occulto ai più.

Non credo di essere un pagliaccio e, sicuramente, la mia storia lo può dimostrare e, nel mio silenzio, non vi era alcun messaggio misterioso per chissà quale destinatario.

Non voglio più parlare del perché. A ognuno la sua risposta. Mi tengo il buffone in cambio di un dubbio.

Vorrei parlarvi delle conseguenze. Delle conseguenze che tutti avranno per il numero di pochi. Blinz ha dichiarato che la lettura del suo numero avverrà in diretta, senza filtri. Cosa comporterà un eventuale numero negativo?

Ci ho pensato per giorni e non ho trovato risposte. Davvero saremo così saggi o così stupidi da affidarci ad una persona che crede in un progetto per valutare le persone e il cui progetto lo dichiara colpevole?

E Blinz cosa farà con il suo numero, se preceduto da un meno?

Stessa cosa per i componenti del governo unico. Di sicuro non tutti avranno un più. E allora cosa si farà? Si rimuoveranno dall’incarico? E questo non sarebbe ammissione che siamo condizionati dal periodo e che quindi non siamo tutti uguali – come dice la costituzione – e tutti con eguali diritti?

Credo che Blinz non potrà far nulla: dimettersi o “licenziare” esponenti del governo sarebbe anticostituzionale. Facendolo contraddirebbe i principi sanciti prima della guerra.

Paradossalmente il suo numero negativo dimostrerebbe che è tutto vero. Che è giusto che noi continuiamo a vivere, che non dobbiamo sentirci in colpa.

Siamo degli alcolizzati in crisi di astinenza. Abbiamo smesso di bere da anni e continuiamo a sognare l’alcool come unica possibilità per essere felici, finalmente felici.

E adesso ci danno l’etichetta di una bella bottiglia senza neanche farci annusare il contenuto.

Spacchiamo la bottiglia, spacchiamo tutto.

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Non c’è tempo per commentare Fregli, mancano poche ore al giudizio. Solo qualche notizia in rete. “Fregli enigmatico”, “Fregli rivoluzionario”, “Fregli: vuole l’anarchia?”, “Fregli, con i suoi due minuti di monologo ha forse voluto esortare la popolazione alla guerra?”, “Fregli, un uomo da dimenticare, una rete da spegnere”.

Andrea non riesce a dormire. Pensa a una volta con Ester: erano in albergo, l’aveva accompagnata nella città in cui viveva il contro-relatore per la sua tesi. Dovevano discuterla. Si erano conosciuti da poco. Passavano gran parte della giornata a fare l’amore, ogni tanto Ester usciva, per poche ore, parlava con il suo professore e poi tornava, si spogliava, lo raggiungeva a letto.

Andrea continua a vederla così, così bella, con i seni di quindici anni prima e con il corpo sempre pronto ad accoglierlo. Continua a immaginare una conversazione, una di quelle che quando avvengono sembrano poca cosa e poi senza saperlo non riesci a dimenticarle.

- Ho le mestruazioni, non possiamo fare nulla

- Va be’, nulla, perché?

- Ho le mestruazioni, scemo, sei pure ebreo, dai.

- Che mi frega delle mestruazioni.

- Ma no.

- Ma sì, vieni qua, dai.

- Vuoi vederlo?

- Il mestruo?

- Sì.

- Ma non è, insomma, boh, dai, va be’, fammi vedere.

Lei si mise una mano tra le cosce, sbottonandosi i jeans. Lui vide qualcosa di rosso, denso, bellissimo, sulle sue dita.

Il pensiero passa a qualche mese dopo: pioveva, avevano litigato, erano in un bar. Lei gli urlò qualcosa in faccia e scappò via. Lui incominciò a correrle dietro, con la pioggia addosso, la vide inforcare la bici e poco

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alla volta non la vide più, nascosta dietro le auto. Si fermò e continuò a visualizzare il polpaccio e mezza coscia far forza sul pedale, non riusciva a vedere il resto del corpo o il viso o gli occhi, o la bocca, solo polpaccio e mezza coscia coi muscoli tesi e ciao-ciao non ci sei più, resta la pioggia sui vestiti, poca aria nei polmoni e il legame che li univa, teso come un elastico, quasi lacerato nel petto.

L’ultimo pensiero, prima di dormire, è che se non era cambiato mai nulla prima, non cambierà nulla con il numero. Era stato sempre così, tutto quello che gli era capitato, tutte le persone che aveva incontrato, erano sempre stati solo oggetti animati a cui applicare le proprie sensazioni. Come nei sogni. Non si sente amore, odio, disperazione, a volte nulla, per persone che in realtà non esistono?

Poi si addormenta.

Ester, invece, è ancora sveglia, sempre nuda, sempre con le noci in mano.

Ha buttato via la vita – pensa – e nulla potrà cambiarla, ormai.

L’uomo che ama non dorme più con lei da anni. Il lavoro è poca cosa. Gli amici, amici di inerzia, di “meglio che restare da soli”, di nulla. È stanca pure di preoccuparsi per Andrea, per illudersi, per un uomo che non c’è quando dovrebbe esserci; che non c’è mai, anche quando suona al suo campanello.

È sola e domani sarà sola con un numero attivo e bello. Genitori che non vede quasi mai.

Vive in un mondo costruito sull’inesistenza di quello precedente e in più non avrà figli.

Non c’è neanche più la religione, si è deciso che fu solo causa di contrasti, così ognuno è libero – certamente libero – di pensare e credere a chi o a cosa vuole, ma nessuna rappresentazione, nessun clero, chiesa, sinagoga, moschea, dio comune.

Non che lei fosse religiosa. Non aveva mai frequentato assiduamente la sinagoga, ma adesso non è più una libera scelta il non essere un’ebrea praticante.

Si rompe il guscio di una noce e si taglia un dito. Cola sangue e lei lo guarda colare. Rosso, denso, bellissimo, sulle dita.

Si mette a piangere, disinfetta il taglio e va a letto.

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- Ciao.

- Ciao.

- Sei riuscita a dormire?

- Poco e male, tu, Andrea?

- Poco e male. In giro non c’è nessuno, tutti a casa ad aspettare il verdetto.

- Che poi mancano ancora diverse ore, che fanno, non vanno neanche a mangiare, Andrea?

- Boh.

- Hai sentito qualcuno?

- Mi ha chiamato Victor, il mio collega, quello che ha fatto la riunione su Nefòs, all’università, ricordi? Te ne avevo parlato.

- Sì, e che dice?

- Mah, lui è sospettoso, si chiede come faccia Blinz a far vedere il suo numero in diretta.

- Sì…

- Dice che in ogni caso è da irresponsabile, Ester, e mi sembra logico.

- Per le reazioni?

- Sì, ma secondo me è ben sicuro di avere un bel numero, altrimenti avrebbe potuto dire altro, poteva dare a ognuno il suo, col benedetto file che il governo invia, senza esporsi, no?

- Sì, credo anche io, però è difficile essere sicuri al cento per cento, no, Andrea?

- Sì, va be’, ma i criteri?

- No, dai, non ricominciamo, Andrea.

- Ok. È solo che non capisco bene, ma lasciamo stare, come vuoi, Ester.

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Blinz sta facendo colazione. Sono le otto del mattino. Ha fatto la doccia, venti minuta di ginnastica, si è vestito. Blinz è un uomo solo. Sua moglie è morta da dieci anni . Non si è risposato, non ha avuto nessuna relazione. Ha iniziato a fare politica da giovane, subito dopo l’università. Prima della guerra fu eletto segretario del suo partito con il settantadue per cento dei voti, percentuale mai raggiunta in precedenza.

Poco prima dell’inizio delle ostilità Blinz dubitò.

Il suo computer era pronto, con tutti i suoi milioni di dati, per confrontarsi con quelle degli altri, per vedere chi dava le maggiori speranze al genere umano. Ogni contendente poteva studiare i programmi degli avversari. Due giorni prima della guerra Blinz pensò che forse il suo non era il migliore. Taylor aveva indicato, nel suo progetto, un elemento diverso da quello di Blinz.

Blinz scrisse “pace per noi, sopravvissuti”. Taylor: ”pace per tutti”. Sembrava una formalità, in fondo il concetto era lo stesso, ma non il suo principio. Blinz aveva discriminato, non aveva messo sullo stesso piano “i suoi” con “ gli altri”. Aveva indicato una differenza. E, quindi, aveva giustificato la guerra. Non era più lotta tra uguali, ma tra diversi, e lui, ai suoi, solo ai suoi, prometteva pace.

Due giorni prima dell’ostilità voleva ritirarsi, ma ormai era troppo tardi, ormai non era più possibile. Rimase, per quei due giorni, chiuso in casa, da solo, senza nutrirsi, senza bere, senza dormire. Poi prese la sua pastiglia, convinto di avere condannato a morte più di seicento milioni di persone con quattro parole.

Quando si svegliò la prima cosa che sentì fu calore fortissimo, allo stomaco. Cercò di mettersi seduto sul letto ma non riusciva ad alzarsi, fece forza con le due mani sul materasso, ma nulla, i muscoli non rispondevano. Dopo il calore allo stomaco, battito cardiaco accelerato. Cercò di stare lucido, di ragionare, si disse: “stai calmo, sei vivo, hai vinto, abbiamo vinto”. E poi, ancora: “forse è solo un sogno, forse sei morto”.

Il battito del cuore poco alla volta decelerò, il calore allo stomaco andò via. Si accese lo schermo, comparve una persona che disse: “Blinz, ha vinto la guerra, l’effetto del sonnifero passerà in pochi minuti e lei potrà alzarsi. Complimenti sig. Blinz”.

Qualcosa non quadrava, Nefòs aveva avuto tutti i dati, aveva avuto la costituzione e il programma di Blinz e nonostante ciò il risultato non

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fu conforme a tutti i principi del nuovo mondo. Blinz non riusciva a spiegarselo, c’era qualcosa che non era andata bene.

Nefòs, in prima battuta, presentò un progetto per una società formata da schiavi e da padroni, a seconda di come si erano comportati, e nei casi più gravi, pena di morte.

La pena di morte non era bandita, costituzionalmente, poiché non era praticata da decenni. La schiavitù, invece, non esisteva più da secoli.

La costituzione dava a tutti gli uomini eguali diritti. Perché Nefòs non ne aveva tenuto conto? Come aveva potuto elaborare un simile scenario?

Questo progetto, il primo di Nefòs, era stato letto nella sua interezza solo da Blinz e da pochi esponenti del governo. Pubblicamente Blinz disse solo la parte relativa alla condanna a morte, disse che “escluso quello” andava tutto bene, ma, invece dovette far rielaborare il tutto, aggiungendo, ai dati già immessi, l’impossibilità di limitare la libertà degli abitanti.

Aveva mentito alla popolazione, dicendo solo parte della verità. Perché ammise che Nefòs decretò la possibilità di pena di morte e non, invece, la decisione sulla schiavitù?

La pena di morte era vista come una pratica non conforme ad una democrazia, ma in fondo, nel passato recente alcune società l’avevano instaurata. Invece, “schiavi e padroni”, da quanto non accadeva? Era un altro sistema, era socialmente deprecato. Era il “regno delle bestie”, non quello degli uomini. Perciò non l’aveva detto. Per non ammettere che il suo progetto aveva portato quell’idea.

Adesso Blinz è a casa sua e, come nei giorni prima della guerra, non riesce a pensare a nulla di buono. Ha mentito, la menzogna ha sostituito un sistema di schiavi e di padroni diventando essa schiava e padrona in un sistema democratico.

E adesso quella schiavitù gli schiaccia il petto.

Nefòs sa della sua menzogna, sa che è stato modificato e che Blinz ha fatto questo senza dirlo, come lo giudicherà?

E il popolo come reagirà a quel giudizio?

Blinz da sempre lavorava per un’umanità che odia.

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Odia le azioni quotidiane dell’uomo, odia i locali, quando va a mangiare, i ristoranti con interni in legno e dalla cucina alternativa, ma in ugual misura tutti gli altri; odia i bar “sport” fatti di bancone e bestemmie e quelli belli e tradizionali. Odia gli abiti firmati e nella stessa misura gli abiti imitazione e quelli dozzinali. Odia gli sguardi acuti; i discorsi intelligenti, così strutturati, così eruditi e colti, così privi di originalità. Odia le religioni e fu felice di distruggerle per il bene di un’umanità che odia. Odia il sesso, i corpi sudati, la saliva, ogni genere di liquido che il corpo produce; odia i letti con quell’odore pregno di coiti. Odia la solitudine piena di quei ricordi che odia. Odia le università in cui aveva studiato, prima, insegnato poi, tronfia ed egocentrica. Odia i discorsi sulla pace, che spesso fa, pieni di parole-di-pace e vuoti di volontà-di-pace. Odia le donne che si truccano e quelle che non si truccano, così belle e “nature”. Odia i film intellettuali, così faziosi, stupidi, ego-consolanti. E quelli di cassetta, visioni stordimento per masse dalla vita da riempire di intelligenti stereotipi.

Odia tutto e tutti, e adesso, chiuso nella sua stanza, a poche ore dal verdetto, medita il suicidio.

“Cosa succederebbe?” si domanda: nuove elezioni o caos? Detesta il mondo e si sente prigioniero per esso.

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Capitolo tre

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Ester e Andrea si siedono, uno vicino all’altra. Ognuno davanti a uno schermo, entrambi con l’indice appoggiato al monitor per far capire a Nefòs chi sono, per avere in cambio il proprio numero.

Poi tutti i verdetti saranno pubblici, poi ognuno saprà tutto quello che vorrà sapere, di chiunque. Ma adesso, per qualche secondo, tutto il mondo è seduto, ognuno davanti al proprio schermo.

Ester: più centoventi.

Andrea: meno centoventi.

La verità è un numero, adesso, Ester si gira e vede quella di Andrea.

Andrea, invece, li ha già letti entrambi ed è già seduto sul divano.

Lei aspetta qualche secondo per vedere Blinz che, in diretta, dice il suo: zero, poi sente che si dimette, poi vede che va via, sempre più piccolo davanti a una telecamera.

Ancora qualche secondo e poi spegne lo schermo, poi va da Andrea.

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Blinz si è dimesso. Il suo portavoce dice che nel giro di dieci giorni saranno indette nuove elezioni. Sia i matematici, sia i filosofi, indicheranno dieci candidati. Il popolo deciderà chi sarà il nuovo governatore. Tutto senza alcuna enfasi, senza alcuna retorica, senza alcuna possibilità di ripensamento.

Per un attimo Ester cambia canale, vede Fregli che promette agli spettatori che domani alle 15 dirà “tutto sul perché”.

- Te la sei presa?

- Per cosa?

- Dai, Andrea.

- Ma no, tutto sommato mi aspettavo di peggio, Ester, davvero.

- Davvero?

- Davvero. Strani i nostri numeri, vero?

- Sì, strani.

- Si potrebbe dire che insieme siamo uno zero, o un Blinz, volendo.

- Sì, si potrebbe dire anche altro.

- Tipo?

- Che Nefòs è un p.c., che elabora – perfettamente – dati.

- E?

- E il metro di giudizio è indotto.

- E?

- Ed è soggettivo. Tutta l’oggettività di Nefòs è costruita su un dato soggettivo, Andrea.

- E?

- E allora non dovresti prendertela, no?

- Io ho firmato per Blinz, Ester.

- Sì, ma che c’entra?

- Ho accettato che decidesse lui per me, no? Le elezioni non dovevano servire forse a questo?

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- Sì, ma non su tutto, se Blinz impazzisse e dicesse: “suicidatevi” cosa faresti, Andrea?

- Lo ha già fatto, Ester, ricordi?

- Ma cosa dici?

- La guerra è stata: “suicidatevi, ma non tutti”.

- Va bene, forse hai ragione, ma il voto non vuol dire accettare tutto, Andrea.

- Ah, quindi accetti solo se ti danno un bel numero?

- Non ho detto questo, dico solo...

- Sì, che Blinz non è Dio, d’altra parte abbiamo votato lui, sennò saremmo morti tutti, no? Blinz si è comportato molto meglio di questo Dio, ci hai mai pensato? Hai mai pensato al popolo eletto, Ester?

- No.

- Bene. A ognuno la propria cicuta, quindi. Io mi tengo il – 120.

- Blinz si è dimesso dopo che ha detto di aver preso zero, Andrea.

- Ah.

- E Fregli ha detto che domani dirà tutto sul “perché”.

- Ah.

- Posso sapere cosa pensi, Andrea, o continui solo a dire “ah”?

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Blinz è in auto, va verso casa.

“Nulla si è risolto, con questo numero, non ha cambiato nulla. Debiti – crediti. Numeri” tutto continua a essere come prima, ha fallito, Nefòs è stato un disastro. Per un attimo Blinz pensa davvero che avrebbe dovuto lasciare tutto com’era, pena di morte e schiavitù comprese.

Forse le ripartenze nascono dal caos, è la prima, l’unica, vera decisione di Nefòs, lo avrebbe provocato. Come si può ridare speranza a un mondo decimato? Non si può, quindi è inutile tentare con leggi buone e razionali, con principi e senza ideologie.

Zero, Blinz non ha crediti non deve nulla a nessuno. Stranamente, tra seicento milioni di numeri, lui solo ha preso lo zero. Adesso è l’unico uomo libero e per un attimo si sente felice.

Il mondo è in apnea, ogni abitante con il suo numero, ognuno a pensare al perché di quel numero, ognuno a giustificarselo e a giustificarlo a chi gli è accanto.

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- Dai, Andrea...

- Cosa, Ester, cosa?

- Cosa pensi?

- Nulla. Non so a cosa pensare. Qual è il numero più basso che hanno dato?

- Meno seicento e qualcosa, credo.

- E quello più alto?

- C’erano dei mille, mi sembra.

- Ah, siamo mediocremente negativi e mediocremente positivi, Ester, noi due, allora.

- Come quasi tutti, credo, no?

- Sì, sì, per carità, mai ambito a non essere uno qualsiasi, lo sai bene.

- Non sei uno qualsiasi, e lo sai. È solo un numero, un sistema meno peggiore di altri, Andrea, per piacere non fare così.

- Non sto facendo proprio niente.

- Non dici nulla, ti sembra normale?

- Senti, posso farti una domanda, Ester?

- Certo.

- Ricordi, dopo che ci siamo lasciati, no?

- Cosa?

- Tu volevi figli e famiglia, e tutte quelle cose lì, no?

- Sì.

- E c’era Mario, no?

- In che senso?

- Lo sai. Mario ti amava e tu ci sei uscita per un po’, no, Ester?

- Sì, lo sai, Andrea.

- E una sera mi hai telefonato, ricordi, no?

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- Sì, mi ricordo.

- E mi hai detto: “sposo Mario”.

- Sì.

- Poi non ci siamo sentiti per mesi.

- Sì.

- Perché non lo hai sposato?

- E questo cosa c’entra, adesso?

- Ti ho fatto una domanda, mi rispondi, Ester, per piacere?

- Non capisco cosa c’entra.

- Mi rispondi, Ester, per piacere?

- Non lo so.

- Non lo sai se mi rispondi o non sai perché non lo hai sposato?

- Senti, non mi sembra il caso, adesso, Andrea, davvero.

- Perché?

- Hai meno centoventi motivi per farmi queste domande, adesso.

- Sì, e tu hai centoventi motivi per rispondermi.

- Dai, Andrea, smettiamola.

- Di?

- Cosa siamo noi, Andrea?

- Cosa, cosa siamo?

- Davvero, Andrea, cosa sono io per te?

- Ma che discorso è questo? Non sono io ad averti domandato perché non lo hai sposato?

- Ci sentiamo quasi tutti i giorni, Andrea, e ci vediamo spessissimo.

- Sì, e allora?

- E allora cosa sono io per te? La tua ex moglie? Il tuo fallimento? Un’amica? Dimmi, dai, chi cazzo sono io per te Andrea?

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- Non mi piace questa conversazione.

- Piace a me. Dobbiamo sempre parlare solo di quello che vuoi tu?

- Perché, quando parliamo lo fai solo per assecondarmi?

- Mi vuoi rispondere?

- No.

- Bene, allora vattene.

- Cosa hai detto?

- Vattene, hai sentito benissimo. Portati dietro il tuo meno centoventi e vai a fare culo, capito? Vai a fare in culo, Andrea.

- Tu sei isterica, Ester, mi dici cosa ti è preso?

- No, ti dico solo di andartene, chiaro?

- Come credi.

- Perfetto, sai dov’è la porta.

- Bella frase.

- Ciao.

- Ciao, ma cerca di riprenderti, eh, mi sa che ne hai bisogno.

Andrea esce, incredulo. Ester piange e si spoglia, senza pensare.

Mario era un suo ex amante. Si erano conosciuti diversi mesi prima che il rapporto con Andrea finisse, a una festa, presentato da un’amica. Per molto tempo Mario la corteggiò.

Il giorno dopo che si separò, Ester andò a casa sua, Mario le disse di spogliarsi, lei si spogliò, Mario la bendò, lei non disse nulla, Mario le legò le caviglie e i polsi dietro la schiena. La insultò per averlo fatto aspettare tanto. Lei aveva paura ed era eccitata, si sentiva impotente. Lui cominciò a sculacciarla, senza dire nulla. Ester sentiva dolore, avrebbe voluto scappare, ma era legata. Passarono secondi, minuti, il suo corpo era teso, i muscoli rigidi e le mancava il respiro. Incominciò a supplicare Mario di smetterla. Mario disse: “smetto quando voglio, puttana, e poi guardati, sei bagnata come una cagna in calore”. Era vero, il sesso di Ester stava colando. Lui la prese da dietro e lei smise di sentire dolore, ma solo il corpo di Mario dentro al suo corpo.

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Avrebbe voluto restare così, per sempre legata, priva di ogni volontà. Solo carne con dentro carne, carne che godeva, adesso, voce che urlava “ancora, sono la tua cagna, non ti fermare, ti supplico”.

Poi Mario la slegò, lei non disse nulla, aveva le lacrime agli occhi. Si rivestì e uscì da quella casa, esausta. Si sentiva appagata.

Frequentò Mario per sei mesi, andava da lui quasi tutti i giorni. E ogni volta veniva legata per più tempo, sculacciata con maggior forza, frustata in modo più sanguinolento. Mario le infilava degli aghi nei capezzoli, nella vagina, le stringeva il collo, la faceva respirare solo quando lui voleva che respirasse. Usava il suo viso come pisciatoio, le impartiva ogni genere di ordine, la umiliava.

Ester non riusciva più a farne a meno. Non aveva più Andrea, voleva quell’impotenza, quella che Mario riusciva a farle sentire così a pieno. Divenne una marionetta, la marionetta di Mario. E Mario il suo dio, così tanto dio da non dover più neanche essere credente, così poco dio da non voler più pregare.

Lui la chiamava, le diceva come vestirsi e a che ora consegnarsi a lui. Lei obbediva.

Non avendo più bisogno di pensare a nulla Ester riusciva a dimenticarsi della sua vita, di Andrea, dei figli che non avrebbe avuto. Più la sua pelle diveniva emaciata, più la sua mente si liberava dal dolore causato dalla fine del rapporto con Andrea.

Per quasi sei mesi Ester riuscì a smettere di pensare di esistere. Era solo corpo da riempire, nervi da tirare, ego da annullare.

Poi passò la paura per il dolore, e la voglia dell’orgasmo.

Era quasi felice perché non sentiva più alcuna tristezza, nessuna mancanza, non aveva più bisogno di alcun amore.

Ma adesso, dopo la scenata con Andrea, ogni colpo inferto da Mario prende cicatrice. Ogni umiliazione subìta trova il varco per giungere fino al centro del corpo, ogni orgasmo giunge all’ultima destinazione, diviene lutto, funerale in un corpo senza gravidanze. E in ogni ricordo il dio Mario svanisce, la frusta adesso è nella mano di Andrea.

Ester piange, si veste, poi esce, corre, cerca il telefonino nella borsa, lo prende, guarda il numero di Mario, vede le sue mani a pugno tremare, aprirsi, lasciarlo cadere per terra; lo fissa mentre si rompe all’impatto col marciapiede.

Torna a casa, telefona ad Andrea: “ti prego, torna da me”.

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Capitolo quattro

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Andrea cammina verso casa, è contento. Il meno centoventi, le dimissioni di Blinz, il litigio con Ester. Pensa che forse quel punteggio porterà anche lui a dimettersi, forse un nuovo capo del governo darà inizio all’anarchia, o a chissà cosa, forse Ester ha un lato che non conosce. E lui, dopo tanti anni, si sente nuovamente vivo. Cammina con lo sguardo basso, ma leggermente meno basso del solito.

Nel petto sente pressione, respira sovraeccitato.

Meno centoventi, sperava meno. Le dimissioni di Blinz, avrebbe preferito un suicidio in diretta. Ester avrebbe potuto scaraventarsi contro di lui, picchiarlo, scoppiare a piangere, cercare di pugnalarlo, cercare una pistola e sparargli addosso e mancarlo, con il primo proiettile, con il secondo centrarlo in piena coscia, con il terzo vicino al cuore. Lasciarlo in fin di vita. Immagina l’ambulanza, la polizia che gli chiede chi è stato e lui che risponde: “era solo un gioco, scherzavamo, è colpa mia, lei è innocente, c’erano i ladri, ladri che non esistono più, i terroristi, c’era la mafia, sono un infiltrato della C.I.A., guardate la mia tessera, lei mi ha salvato, ferendomi, facendomi credere morto”. Andrea l’eroe. Andrea l’assassino che ha avuto meno seicento, il punteggio peggiore del mondo, Nefòs ha scoperto quello che nessuno sapeva, Andrea che aveva sparato all’ultimo Papa, Andrea che sovvenzionava il terrorismo islamico, che commerciava illecitamente con gli ebrei di New York. Andrea meno seicento che aveva ammazzato ventotto persone. Andrea meno seimila, il mostro. Andrea più mille. Ha sventato l’attentato a Blinz immobilizzando il terrorista, ha salvato Ester dagli anarchici, quelli contro il governo unico, le ha donato un rene, ha preso la sua mano mentre stava per cadere da un precipizio, l’ha analizzata, le ha fatto capire tutti i suoi problemi, l’ha salvata. Ha salvato il mondo, Andrea. Andrea su tutti i giornali, Andrea l’eroe, Andrea non c’è un punteggio abbastanza alto per lui, Andrea gli studenti di tutte le università scendono in piazza per gridare “Andrea Presidente”.

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L’autista è alla guida.

È fermo al semaforo. Il piede destro sul freno, il sinistro quasi molle, rilassato. Lo sguardo sulla strada. È in attesa del verde, non pensa a nulla, è tranquillo, sicuro. Ha cinquantanove anni. Come sempre veste con un completo grigio, una camicia bianca, una cravatta rossa, scarpe nere, classiche. È una giornata particolare, anche per lui. Si è dimesso Blinz, di conseguenza sarà il suo ultimo giorno di servizio, anche se non lo sa ancora. La notte prima ha dormito male, si è svegliato, svegliando sua moglie, e lei è andata a prendergli un bicchiere d’acqua, lo ha rassicurato, gli ha detto che Nefòs gli avrebbe dato un bel punteggio, che è un uomo onesto, che lo ama, che lo avrebbe amato comunque, che va tutto bene. Poi lo ha abbracciato, ha aspettato che prendesse sonno e poco dopo si è addormentata anche lei, stringendolo, quasi perdendo i sensi, come in un’inerzia di serenità. Ed è andato davvero tutto bene, Nefòs ha dato “più centotredici” a lui e “più centodiciannove” a sua moglie. Lo ha saputo nella stanza adiacente a quella del governatore, avrebbe voluto condividere quel momento con la sua compagna. Con lei solo qualche secondo al telefono, per rassicurarsi, commossi per quei due riconoscimenti alle loro vite, e per scambiarsi poche parole: “questa sera festeggiamo”.

Adesso è fermo al semaforo, col suo presidente seduto dietro e col suo numero negli occhi.

La sua felicità è interrotta da un suono violento seguito da una luce bianca. Riesce solo a pensare: “va tutto bene”.

Poi l’automobile esplode.

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- Va bene, arrivo.

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Andrea ci mette sedici minuti per tornare a casa di Ester. Mentre cammina sente il clacson delle automobili. Non capisce il motivo, pensa a una sorta di festeggiamento collettivo per i numeri di Nefòs, quando sente una persona urlare: “hanno ammazzato Blinz”.

- Ciao, cosa è successo?

- Non lo so, entra, non si capisce nulla, prima dicevano che c’è stato un attentato e che Blinz è morto, un attimo fa hanno smentito, sembra che la macchina abbia preso fuoco accidentalmente e lui sia stato ricoverato d’urgenza, non so, non si capisce.

- E come fa un’auto a scoppiare da sola?

- E che ne so io, ma anche un attentato, non è possibile, e poi si era pure dimesso, non capisco, e adesso che succede, Andrea?

- Non ne ho idea, se non è un attentato credo nulla, salvo nuove elezioni, Ester non lo so.

- Ma come nulla, Andrea, e poi senti che casino stanno facendo fuori. Pazzesco, proprio oggi, i numeri, e tutto quanto.

- Stai calma, Ester, vedrai che andrà tutto bene.

- Ma no, che bene, qui è come prima della guerra, senti che casino.

- Ma si è salvato o è morto?

- Non si capisce, te l’ho detto Andrea, prima dicevano che l’avevano ucciso, poi che è stato ricoverato dopo che l’auto è esplosa.

- Io penso che sia un attentato. Non può esplodere un’auto.

- Sì, ma anche un attentato, dai, a chi gioverebbe? Si era dimesso, povero Blinz.

- Va be’, magari si salva. Quando danno notizie?

- Continuano a darle in diretta, tra poco ci dovrebbe essere un collegamento dall’ospedale.

- Speriamo bene, cazzo, se mai fosse davvero un attentato, secondo me, scoppia il casino generale, che cazzo, dopo tutte le cose sulla pace e mai più guerre, Ester, pensa tu che roba.

- Ma che dici? E poi la guerra contro chi, scusa, siamo solo una popolazione, che dici, Andrea, non dirlo neanche per scherzo.

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- Va be’, non lo so, restiamo calmi, magari è solo ferito e davvero è un incidente.

- Senti, scusa per prima, davvero, Andrea, scusami.

- Ma no, scusami tu.

- No, è che non so come spiegarmi, ma credo che dovremmo palarne.

- Di cosa? Guarda che io non ci ho capito niente: stavamo parlando pacatamente, mi sembra. Io ho esagerato, forse, chiedendoti cosa volevi fare dopo che ci siamo lasciati, ma non ho capito la tua reazione.

- Sì, hai ragione, ma davvero, era per cose che non sai, non so come dirti, è una cosa lunga.

- Come non so? Che c’è che non so?

- Dopo di te, insomma, non so neanche da dove iniziare, Andrea.

- Ma hai fatto delle cazzate, Ester?

- Ma no.

- E allora cosa? Mi hai mentito?

- Non ti ho mentito, non ti ho detto come stavano le cose forse, ma non ti ho mentito. E poi forse non l’ho detto neanche a me, non so, quando hai incominciato a domandarmi di Mario è come se tutto mi fosse scoppiato in faccia.

- Ma tutto cosa?

- Tutto, noi che ci lasciamo senza neanche litigare, io che me ne vado da casa nostra, e poi la guerra e io che comincio a vedere Mario e poi tu che sparisci.

- Ma io non sono sparito, sei tu che non c’eri più, Ester.

- Ma no, e poi di colpo tutti i dubbi su di te.

- Come su di me?

- Lo sai, per il tuo passato, Andrea.

- Ancora? Ma sono passati quindici anni, che cazzo, ancora con queste storie?

- Non ti arrabbiare, Andrea, ti prego, non arrabbiamoci più, vorrei solo parlare di tutto, una volta per sempre.

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- Ma io non ho più nulla da dire su di me, che cazzo, abbiamo già analizzato tutto milioni di volte. Vuoi davvero sapere tutto? Bene, tutto è “meno centoventi”.

- Smettila, ti prego.

- Va bene, ma stai tranquilla, non incominciare a piangere, per l’amor di Dio, Ester.

- Aspetta c’è il collegamento dall’ospedale.

- Ecco, speriamo solo che non sia morto. Ma cosa vuol dire che non mi hai detto come stavano le cose?

- Ne parliamo dopo, adesso vediamo cosa dicono.

- Non dicono ancora nulla. Cosa vuol dire? Che cose? Non ho capito, e poi ero sicuro che tu mi avessi detto sempre tutto, Ester, che cosa non mi hai detto?

- Ecco, c’è il collegamento, aspetta.

Il portavoce del governo si presenta davanti alle telecamere:

“Blinz è ricoverato, le sue condizioni sono gravi ma non sembrano disperate. Ha riportato parecchie ferite e un’ustione di quarto grado estesa al trentacinque per cento del corpo. Il suo autista, purtroppo, è morto nell’incidente. Incidente di cui, per adesso, non si conoscono ancora le cause. I medici hanno detto che domani potremo sapere il quadro clinico con miglior precisione, ma in questo momento la prognosi è riservata. Per adesso non abbiamo nient’altro da dire, domani alle undici di mattina ci sarà un nuovo collegamento in cui forse riusciremo a darvi informazioni sul motivo dell’incidente. Per il momento non mi resta che darvi una buona notte e sperare che il nostro governatore possa rimettersi presto in buone condizioni. Arrivederci a tutti.”

- Insomma, non si sa nulla.

- Si sa che è vivo, almeno, e forse non è gravissimo, Ester, mi sembra già qualcosa.

- Non lo so, le ustioni sono preoccupanti e poi ferite vuol dire poco o nulla.

- Sì. E non si sanno le cause dell’incidente.

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- Già.

- Fosse stato un incidente lo avrebbero detto subito, Ester, secondo me.

- Magari non lo sanno davvero.

- Mah.

- E poi è vero il contrario, scusa, fosse stato davvero un attentato e lo sapessero che senso avrebbe non dirlo subito?

- E chi ti dice che se è un attentato lo diranno mai, Ester?

- Come chi me lo dice, scusa?

- Sì, Ester,chi te lo dice?

- Ma scusa, il nuovo governo, tutti i principi di onestà che ci siamo imposti dopo la guerra e subito prima.

- Io non ci credo, Ester.

- Ma cosa dici, adesso?

- Quello che ho sempre detto. Non è scrivendo che i cattivi non esistono più che i cattivi smettono di esistere, Ester, o no?

- La solita storia, insomma.

- Non siamo il popolo eletto, Ester siamo dei sopravissuti, lo vuoi capire?

- E allora?

- Allora nulla, siamo quelli di prima della guerra, con tutto il marcio addosso.

- Va bene, non ho voglia di discorsi filosofici, se viene fuori che hanno attentato alla vita di Blinz scoppia il caos, Andrea, il resto sono chiacchiere.

- Io non credo.

- E cosa credi? Che dicano: sapete, nonostante tutto quello che abbiamo detto, nonostante la costituzione, nonostante siamo rimasti solo in seicento milioni, ci sono i terroristi, non sappiamo perché, non sappiamo cosa cazzo vogliono, ma non preoccupatevi, va tutto bene, adesso indiciamo nuove elezioni e da bravi voi andate a votare pensando che sia tutto perfetto?

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- Non ho detto questo, mi sembra.

- E cosa hai detto? Nulla, come sempre, hai solo negato senza fare affermazioni.

- Va bene, Ester, come credi.

- Ecco, e adesso dici la tua solita frase: “va bene, come credi”.

- Senti, Ester, cosa vuoi?

- Cosa vuol dire cosa vuoi?

- Allora, ero rimasto a prima di Blinz in ospedale, sono uscito da questa casa con te che mi mandavi al diavolo. Poi tornando nella mia, di casa, mi hai chiamato, sono tornato, mi hai chiesto scusa. Poi mi hai insultato un po’ mi hai detto che avevi omesso di dirmi delle cose, poi che sono io il misterioso...

- Aspetta...

- No, aspetta tu, Ester. Dicevo: mi hai detto che avevi omesso delle cose, che tu avevi omesso delle cose, per poi tornare a dire che il misterioso sono io. Poi vediamo Blinz che forse crepa e forse che ci sono terroristi, allora tu ti incazzi di nuovo perché io dicendo che il male è in noi faccio filosofia. Adesso cosa fai, mi sbatti di nuovo fuori casa?

- No.

- E cosa?

- Con Mario ho fatto sado-maso.

- Eh?

- Con Mario ho fatto sado-maso per sei mesi, Andrea.

- Hai fatto sado-maso? E che vuol dire? Vi picchiavate urlando insulti?

- No, lui picchiava me, lui insultava me.

- Stai scherzando, Ester, vero?

- No, è questo quello che non ti ho detto, per questo sono sparita.

- Hai fatto sado-maso? Con Mario?

- Sì.

- Lui ti picchiava e ti insultava?

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- Sì.

- Per sei mesi?

- Sì.

- E questo quando è iniziato?

- Subito dopo di te.

- E non subito prima, Ester, sei sicura?

- No, subito dopo.

- Sado-maso?

- Sì.

- Con Mario?

- Sì.

- Quello che hai detto che sposavi?

- Sì.

- Non so cosa dire, Ester. Meglio che vada via, adesso.

- No, ti prego, non te ne andare.

- Sado-maso, dopo di me. Tu sei pazza, Ester.

- Forse, non lo so, può darsi, ma non te ne andare, ti prego.

- Vado in bagno, adesso lasciami stare.

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Daniele, il fratello di Andrea, è a casa con la moglie Rosalba. Hanno avuto punteggi molto alti: duecentosedici lui, centonovantasei lei. Sono davanti allo schermo, scossi per due motivi. Il primo è l’incidente di Blinz, hanno paura di perdere i benefici del progetto Nefòs. Il secondo motivo è che Clara, la compagna di Marco, è scomparsa.

Marco ha chiamato, ha detto: “ho preso più quaranta, Clara non so dove sia, avete notizie?”.

- Ci mancava questa cosa di Clara. Era tutto così bello, poi Blinz, adesso la telefonata di Marco, Rosy.

- Senza contare che Andrea non risponde al telefono da stamattina, e credimi Daniele, considerando il suo passato è la cosa che mi preoccupa di più.

- Senti, non esagerare con ‘sta cosa del passato di Andrea, sarà a casa di Ester e lei non risponde mai al telefono, vedrai che tra un po’ mi chiama lui, e poi magari ha pure preso un bel punteggio, e poi lui è superiore a questa cosa, a modo suo se ne frega, anche avesse preso meno cinquecento starà benone.

- Mah, se lo dici tu, Daniele, speriamo solo che Blinz si riprenda presto. Dici che influirà? Dovremo rifare tutto, morisse?

- In che senso?

- Nel senso che se mai morisse, dico, tutto sommato Nefòs è un suo progetto, chi ti dice che il suo successore non deciderà di usare un altro sistema, Daniele?

- Ma va, scema, la costituzione non lo prevede. Comunque vada noi i nostri punteggi ce li teniamo.

- E Clara?

- Mah, magari ha un amante e festeggia con lui, che ne sappiamo, noi? È mica sparita, Rosy, non sono sposati, Marco non la trova, tutto qui.

- Tu la fai semplice, amore, come sempre.

- No, cerco solo di essere ottimista, abbiamo preso due numeri altissimi, cerchiamo di godercela adesso, invece che disperare.

- Sì, hai ragione, solo che ho paura, metti caso che quello di Blinz sia stato un attentato.

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- Ma no, non ti ci mettere pure tu con queste cazzate, per piacere, piuttosto, fammi provare a chiamare Andrea.

- Ciao Daniele, mi spiace, Andrea è andato via.

- Che punteggio ha preso, Ester?

- Meno centoventi, scusami, adesso non mi va di parlare, scusa ancora, Daniele, ciao.

- Ma Ester, cosa è successo? Tu, tutto bene?

- Sì, non ti preoccupare, scusami, ancora ciao, Daniele.

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Andrea è tornato a casa e si collega per le notizie. Non si sanno ancora le condizioni di Blinz, ci sono i numeri di tutti gli abitanti del mondo. Va a vedere i più bassi per cercare qualche conoscente, ma nulla, non trova nessuno. Tra i più alti solo uno è un nome noto: Fregli ha avuto novecentotrenta.

Marco lo chiama per dirgli di Clara e per sapere se ha sue notizie e lui non ne ha.

Pensa a Ester. Non riesce a capire bene il rapporto con Mario. Aveva creduto che fosse l’uomo giusto per la sua ex-moglie, magari ironicamente, un signor perfettino, affidabile e noioso, di quelli che aspettano la compagna in auto, mentre lei fa la spesa o si acconcia i capelli dal parrucchiere. E invece sado-maso, lui che la picchia, lei che si fa picchiare. Per sei mesi lei che non dà più notizie, che sparisce col suo carnefice.

Pensa a Ester a letto. A come facevano sesso loro, per cercare qualche indizio. Pensa se davvero sia una cosa che ha a che fare col sesso o sia da trovare da qualche altra parte. Ovunque sia quella cosa, Andrea non la vede. Non nel letto, dove facevano l’amore al più in maniera passionale, non altrove: Ester proprio non aveva mai dato segni di masochismo. Non capisce, ma non prova fastidio, non si sente tradito. Pensa che forse aveva represso quella componente per lui, per non ferirlo.

Cerca il punteggio di Clara: seicentoventi. Ed è scomparsa, dice Marco. Cerca il punteggio di tutte le persone che conosce. Il più alto, Clara a parte, è del suo collega Victor. Cinquecentottanta. Poi quasi tutti nella norma, tra il cinquanta e il centocinquanta, e un meno settanta di una sua studentessa.

Pensa al più centoventi di Ester e si domanda se il rapporto con Mario abbia influito e se fosse così quale sarebbe stata la differenza. Ma anche dando per buona qualche penalità per il sado-maso, non riesce a capacitarsi di come sia possibile prendere cinquecento o più. Clara la conosce, superficialmente: una brava ragazza come tante. Come aveva fatto ad avere un numero simile?

In fondo i criteri di valutazione di Nefòs non sembrano così complicati, almeno in linea generale. Un buon padre di famiglia dovrebbe prendere un bel voto, così come tutti i non-violenti.

Fregli ha criticato Nefòs e ha preso un voto straordinariamente alto, pensa Andrea, perché?

Il telefono suona, vede il numero di Ester e non risponde. Non sa cosa dirle e non ha voglia di parlarle. Pensa di nuovo a quella volta in albergo, con il mestruo nelle sue dita. Pensa a quel sangue misto umori, misto corpo e non prova più nulla. Vede solo liquido su carne, nessuna

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gioia, nessun fastidio. Pensa a quando si sono conosciuti. Pensa che in fondo Ester è la seconda persona ad aver influenzato la sua vita. Si veste in modo diverso, da quando la conosce, è più educato a tavola, ha un linguaggio più forbito. Ha una visione del mondo più snobistica.

Ester è così, da una parte ha sempre professato poca considerazione per se stessa e dall’altra per il mondo ne ha ancora meno. Lei è quella con tanti difetti, ma mai fastidiosi, quasi vezzi al confronto di un’umanità brutta e dozzinale. Andrea ha sempre amato questo suo fare. Lo trova delizioso.

Adesso pensa a una sua lezione, all’università.

Il critico, spesso, giudicando negativamente un’opera, esalta se stesso. Diventa un gioco di forza tra lui e l’artista, e così facendo, si pone in una posizione di superiorità. Spesso questo gioco avviene anche tra scrittori e scritti. Quando le parole non sono più in funzione dell’opera ma costruiscono solo “belle e narcisistiche frasi” il lavoro stagna. Essi dichiarano guerra alla propria opera e vincono, ignari che in realtà, la loro vittoria si chiama egolatria.

Perché l’ebraismo vieta qualunque raffigurazione di Dio e nello stesso tempo sostiene che la Torà sia organo vivente? Non vuole forse indicarci una via terrena per giungere a noi stessi? Il Dio che diventa frammento cessa di esistere. A questo bisognerebbe pensare quando si critica un libro. Soffermarsi su una frase, su un pensiero, dimenticare il disegno finale, è opera eretica. Sostare sull’ego senza affondare la carne con un coltello, e dilaniarla, foss’anche morendo, toglie la possibilità all’uomo di lasciarsi divenire.

E adesso Andrea crede che Ester forse somigli a quell’artista innamorato delle sue bellissime parole, a quel critico duro ed eretico, a quel Dio raffigurato in un disegno. Forse per questo aveva cercato Mario, pensa Andrea, per perdere quei piccoli pezzi di sé che rendevano la sua vita così amabile e così inutile.

E lui che cosa aveva visto di Ester, a cosa si era legato? Alla costruzione narcisistica o a quello che avrebbe potuto essere? Era stato così bravo da vedere dentro o era rimasto ammaliato dalla sovrastruttura?

È stanco, non ha fame, va a dormire.

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Capitolo cinque

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Ester è nuovamente nuda, a casa. È sera tarda e lei non riesce a dormire. Ha troppi pensieri, tutti molto forti: il punteggio, Blinz, la reazione di Andrea. Si mette a piangere, nervosamente, quando squilla il telefono.

- Ciao, sono Clara.

- Clara! Dove sei finita? Ti cercano tutti.

- Sono fuori città.

- Sì, ma dove? Hai telefonato a Marco? È preoccupatissimo.

- Senti, avrei bisogno di vederti, Ester.

- Adesso?

- Sì, o al più tardi domattina, se non ti spiace.

- No, cioè, preferirei domattina, Clara, ma non capisco, scusa, non sarebbe meglio se tornassi a casa di Marco?

- Per telefono è un problema parlarne, Ester.

- Ma è successo qualcosa?

- No, non ti preoccupare, va tutto bene, ho solo bisogno di parlarti.

- Va bene, Clara, come vuoi.

- E fammi un piacere, non dire nulla a Marco e agli altri, giuro, domattina ti spiego tutto e capirai il motivo di tutta questa segretezza, Ester, credimi.

- Sì, cioè, non ci capisco nulla, ma va bene, come vuoi.

- Grazie.

- Domattina ti va bene verso le dieci?

- Sì, Ester, perfetto.

- Dove vuoi che ci vediamo?

- Puoi venire al quindicesimo?

- Cipicchia, fino lì? Non puoi venire in città?

- No, Ester, davvero, credimi.

- Va bene, non ti preoccupare, vengo io.

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- Grazie.

- Ma dove?

- È un po’ complicato se non lo conosci, facciamo che quando arrivi al quindicesimo mi chiami e ti indico la strada?

- Sì, Clara, ma sei sicura che vada tutto bene?

- Sì, davvero, non stare a preoccuparti, e poi domattina ti dico tutto, ok?

- Va bene.

- Ci sentiamo verso le dieci?

- Sì.

- Allora buona notte, Ester, e scusami ancora.

- Ma figurati, dormi bene anche tu, a domattina.

- Ok, ciao.

- Ciao.

Ci mancava solo questa, pensa Ester, così decide di prendere un tranquillante e va a dormire, ma proprio mentre sta per prendere sonno la chiama Andrea.

- Ciao.

- Mi sono svegliato, tu stavi dormendo?

- No, ho anche preso un sonnifero, ma niente, non riesco a prendere sonno. Sei arrabbiato, Andrea, deluso? Perché te ne sei andato così?

- Non sapevo che dirti, Ester, davvero.

- E adesso lo sai?

- Per la verità no. Come stai?

- Stordita.

- Anche io. Tu per cosa?

- Blinz, il tuo punteggio.

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- Il mio punteggio? E adesso cosa c’entra il mio punteggio, Ester?

- No, va be’, la tua reazione al tuo punteggio.

- Ma no, io pensavo peggio, figurati. Mi sono collegato prima per avere notizie di Blinz, pare che stia meglio.

- Meno male...

- Sì, per lui e per tutti.

- Senti, Andrea...

- Sì, dimmi.

- Ti dico una cosa, ma tienitela per te, ok?

- Eh?

- Ti dico una cosa, Andrea, ma non dovrei dirtela, solo che sono nervosa e devo sfogarmi e poi a te posso dirla, in fondo...

- Ah, sì, certo, a me hai sempre detto tutto, eh, Ester.

- Dai, non adesso, ti prego...

- Va bene, dai, dimmi.

- Mi ha telefonato Clara.

- Ah, e che ti ha detto?

- Che vuole vedermi, domattina, e che al telefono non poteva dirmi nulla.

- Strano, ma è da Marco?

- No, non lo ha neanche chiamato e, appunto, mi ha detto di non dire nulla a lui e a nessuno.

- Ah, strano davvero, e cosa lei hai detto?

- Be’, che vado.

- Ma dove vi dovete vedere?

- Al quindicesimo.

- Al quindicesimo? Che cazzo, Ester, lontanuccio...

- Sì, lo so, ma cosa dovevo dirle? È una mia amica...

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- Non so, tipo: vieni tu da me?

- Gliel’ho detto, era agitata, diceva che non poteva.

- Mah, strano davvero.

- Sì, Andrea, e poi hai visto che numero ha preso?

- Sì, mostruosamente alto.

- Già, pure questo è strano, non credi, Andrea?

- Sì, ha il voto più alto tra la gente che conosco, insieme a Victor, il mio collega.

- Quello che parlava male di Nefòs?

- Già, proprio lui.

- Strano, però. Hai visto il punteggio di Fregli?

- Già. Più ne parli male più è contento, ‘sto Nefòs...

- No, dai, non scherzare, Andrea. Senti, non mi avevi detto che Clara era nervosa?

- Sì, così diceva Marco. A me lo disse Daniele, ricordi?

- Sì.

- In effetti è proprio strano, Ester.

- Cosa pensi?

- Non so. Ma non vorrei ci fosse un filo logico, Ester.

- Ma dai, Andrea. Dici che è possibile?

- Be’, tre persone: due che parlano male di Nefòs, una agitata. Tre voti altissimi. E adesso Clara, prima sparisce, poi ti chiama e fa la misteriosa.

- Dici che non dovrei andare, Andrea?

- Ma no, anzi. Magari potrei venire anche io.

- No, dai, le ho detto che non lo dicevo a nessuno, Andrea.

- Sì, ma è strana anche questa cosa: perché lo dice a te e a nessun altro?

- E che ne so io, forse perché siamo amiche.

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- Mah, in fondo è più amica mia che tua, Ester.

- Sì, vero anche questo.

- Mah, alla fine magari vuol solo dirti che si è innamorata di un altro e non ha il coraggio di dirlo a Marco.

- Sì, potrebbe anche essere, mi stupisce solo il tutto unito al suo voto a dir poco anomalo.

- Va be’, non c’è nulla da pensare, domattina vedi. A che ora vai?

- Verso le dieci arrivo al quindicesimo e la chiamo.

- Ah, manco il posto ti ha detto?

- No, Andrea, neanche quello.

- Peggio che una spia...

- Eh, già, ma magari è come dici tu, mi si presenta col nuovo amore.

- Ma no, dai, povero Marco...

- Va be’, Andrea, io provo a dormire, sono stanca morta.

- Sì, anche io...

- Senti, non è che mi odi, adesso?

- No, non ti odio, non ci capisco nulla, ma non ti odio di certo, Ester, come fai solo a pensare una cosa simile.

- Quando torno dal quindicesimo ci vediamo?

- Sì.

- Allora ti chiamo appena rientro, Andrea, ok?

- Sì.

- Cerca di dormire.

- Anche tu.

- Va bene, buona notte.

- Anche a te, ciao.

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Entrambi, adesso, si addormentano.

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La mattina dopo Andrea si sveglia presto. Come al solito si collega per vedere se ci sono notizie. Blinz sta meglio, ha superato la notte e questo fa ben sperare, dicono i medici. Sulle cause dell’incidente ancora nulla. Il discorso di Fregli che avrebbe dovuto esserci all’indomani del verdetto è stato annullato. La rete televisiva stessa ha chiuso, un comunicato dice: A causa dell’incidente che ha avuto il governatore Blinz abbiamo deciso di sospendere ogni programma, in questo momento crediamo che sia più importante seguire la sua degenza, in silenzio, che occuparci attivamente di cronaca politica. Augurando al governatore una rapida e totale ripresa diamo ai nostri spettatori appuntamento al più presto.

Sono le Nove e venti, Ester sarà già in viaggio per il quindicesimo, pensa Andrea. Poi la immagina a letto con Mario. Di colpo gli viene un dubbio: non è che Clara ha chiamato Ester e non altri perché le vuole dire qualcosa di me? Cosa diavolo potrebbe sapere? Perché non ha chiamato me, se così non fosse, o un altro, ma proprio Ester? Vediamo... Cosa sa di me? Con chi può aver parlato? Ma no, non ha senso, lo avrebbe fatto al telefono, e poi a che pro scomparire? È solo una stupida paranoia, manco Ester e io fossimo ancora sposati, tra l’altro. E poi quanto tempo è passato? Che pensieri imbecilli.

Riprende a immaginarla a letto, ma adesso lui prende il posto di Mario.

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Ester si è svegliata. Per qualche secondo non ha alcuna coscienza della realtà, non sa né dove si trova, né, tanto meno, chi è. Una volta le capitava spesso, quando viveva con Andrea. A ogni risveglio dovevano passare diversi secondi prima che lei capisse chi era quell’uomo accanto a lei. Non le viene paura e non ha alcun tipo di angoscia, le sembra, al più, di essere in uno stato di pre-nascita, che qualcosa debba ancora accadere prima di potersi sentire viva.

Ha un’auto presa dopo la guerra, non ama guidare; quando arriva al quindicesimo inizia a piovere, il cielo è nuvoloso. Lei, per qualche attimo, non sa cosa fa in quella macchina, e perché, invece, non è a casa con Andrea, a letto, a ridere, a cercare di metterlo in piedi, a fare l’amore, a stuzzicarlo, a baciarlo. Immagina le sue mani su di lei e si mette a piangere. Chiama Clara, arriva dove le dice di andare, tutto senza convinzione, come un automa programmato a fare quello che deve fare. Vorrebbe tornare a casa.

- Ciao, Clara.

- Ciao, vieni, ho prenotato un tavolo.

- Sì.

- È quello là.

- Sì.

- Siediti, Ester. Sei arrabbiata?

- No, non credo, dipende da quello che hai da dirmi, Clara. Non lo so, non ci ho capito nulla.

- Hai detto a qualcuno che saresti venuta da me?

- No.

- Adesso ti spiego tutto, dai. Cosa mangi?

- Lo stesso che prendi tu.

- Va bene.

- Non è facile iniziare.

- Se non lo sai tu, Clara.

- Marco come sta?

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- Non l’ho sentito, credo sia preoccupato, tu che dici? Sei sparita, Clara.

- Abbiamo litigato, l’altro giorno.

- Ah.

- Cioè, per la verità, Ester, litighiamo da un pezzo.

- Ah, tutto qui? Scusami, ma pensavo peggio...

- No, aspetta. Litighiamo per un motivo preciso.

- Ah, senti, Clara, ho visto il tuo numero, è pazzesco.

- Sì, ho visto, ma è irrilevante.

- Come irrilevante, è una cosa buona, dai.

- No, ti assicuro, è irrilevante.

- Non capisco, conterà poco da un punto di vista pratico, lo so che è poca cosa avere più soldi in questo periodo, ma moralmente è una cosa bella, che diamine, Clara, hai preso uno dei primi mille voti al mondo.

- Sì, e ti sei chiesta come mai? Cosa ho fatto più di te? Anche tu ti sei comportata sempre molto bene, no? Non ti sei domandata cosa diavolo posso aver fatto di così miracoloso per avere un simile punteggio?

- A prescindere dal fatto che non so come ti sei comportata nella tua vita, Clara, e che quindi non ho molte possibilità per...

- Ester, ti prego, smettila. Non lo sai? Ho fatto sempre tutto per bene, come te, come quasi tutti, non è quello il punto.

- Ah, e quale sarebbe il punto, Clara?

- Il punto è il motivo per cui ho litigato con Marco, anzi è la causa del motivo...

- Va be’, me lo dici?

- Sì, te lo dico, tu lo terrai per te, Ester?

- Sì.

- Giuri?

- Giuro, ma cos’è, un segreto di stato?

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- Davvero non hai detto a nessuno che venivi qui? Neanche ad Andrea?

- Davvero.

- Lo giuri, Ester?

- Senti, Clara, smettila, che diamine, sono venuta qui perché mi hai chiamata tu, se ti va di parlare, parla, se no fa niente, grazie per avermi fatto sprecare la giornata e ciao.

- Non ti arrabbiare.

- Mi fai il terzo grado, mi fai giurare. Fino a prova contraria sono io che sto facendo un piacere a te, Clara, o sbaglio?

- Non lo so, magari il piacere sarò io a farlo a te, Ester.

- Va bene, come credi. Allora, resto o vado?

- Lo hai detto ad Andrea?

- No, ti ho detto di no, Clara.

- E lo giuri così come hai giurato che non dirai quello che ti dirò?

- Sì.

- Sono una dissidente.

- Una dissidente?

- Ero contraria alla guerra.

- Cavoli...

- Tutti i numeri alti sono numeri di dissidenti, Ester.

- Ah...

- Fregli è un dissidente.

- Ah. E come lo sai?

- Perché lo sappiamo tutti. Tutti noi dissidenti siamo in contatto.

- Ah... E, come mai?

- Te lo chiedo ancora una volta, Clara.

- Cosa?

- Hai detto che venivi qui ad Andrea?

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Ester guarda Clara, prima di rispondere, la guarda per qualche secondo, negli occhi, e ha la certezza che lei lo sappia. Lei sa che lo ha detto, non riesce a capire come, ma adesso se ne rende conto.

- Va bene, gliel’ho detto, Clara.

- E perché non me lo hai detto subito?

- Avevo giurato di non dirlo a nessuno.

- Allora perché glielo hai detto?

- È Andrea, Clara, lo sai...

- Sì, ma avevi giurato e adesso negavi, come posso fidarmi, come posso avere la certezza che non dirai ad Andrea o a altri che sono una dissidente?

- Credimi, Clara, davvero, puoi credermi.

- Facciamo così...

- Come?

- Torniamo insieme al sedicesimo stasera e lo dico io ad Andrea, glielo diciamo insieme, dopo che ti ho parlato. Così togliamo ogni possibilità che ci sia qualcuno che sa senza che io lo sappia.

- Va bene, Clara, come vuoi tu.

- Mi fido di te, Ester.

- Fai bene, ti assicuro, ad Andrea è come non dirlo, lo conosci, e sai il legame che abbiamo.

- Sì.

- Senti, altre persone che conosco sono dissidenti?

- No, non credo proprio.

- Ah.

- E poi lo vedi anche tu, se qualcuno ha più di trecento...

- Ah. Victor, un collega di Andrea.

- Sì, lui sì.

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- Capito.

- Vuoi del vino?

- No, grazie. Senti, dicevamo, perché siete in contatto? In fondo non c’è nulla di male, essere stati contro la guerra è normale, voglio dire, volevate vivere e avete deciso di stare con Blinz e siete ancora vivi. O altri si sono schierati con altre fazioni?

- No, tutti con Blinz. Questo è già più difficile da spiegare.

- Perché?

- Ascolta, la premessa a tutto quello che ti sto per dire è che Blinz è onesto, lui non sapeva nulla e ancora adesso credo che non sappia nulla.

- Nulla di cosa?

- Ester, la guerra, non è andata propriamente come sembra. Non è andata come hanno detto, insomma, qualcuno sapeva già che Blinz, insomma. Non è una cosa facile da dire. Qualcuno sapeva che Blinz avrebbe vinto, lo sapeva per certo.

- Come si sapeva? Si intuiva, aveva il programma migliore, lo so, siamo stati abili nel capirlo, per questo siamo vivi, adesso. Clara, ti prego. Ti prego, Clara, dimmi che si intuiva già, ti prego...

- No, Ester, alcuni sapevano per certo chi avrebbe vinto la guerra, il programma non c’entra nulla.

- Ma cosa diavolo dici?

- È così, Ester.

- Non ci credo. Non può essere vero.

- È così, Ester, credimi, che motivo avrei di dirti una cosa simile?

- Non lo so, ma non ci credo. Non è possibile una cosa del genere. Non puoi stare lì, col tuo bicchiere di vino, seduta e tranquilla e dirmi una cosa del genere, Clara, non puoi, non è possibile, cazzo, mi chiami al telefono, Marco ti sta cercando, sono tutti agitati, mi dici che hai prenotato un tavolo e poi te ne viene fuori che è tutto falso? Non ci credo, sono cazzate, come diavolo potresti dirmelo così, in quel modo, con la tua bella faccia sorridente, eh?

- Stai calma, Ester, siamo in un ristorante, ti stai agitando e si vede...

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- Sì, va bene, scusami.

- Va tutto bene, bevi un po’ d’acqua.

- Sì...

- Bene, adesso ti spiego tutto, vedrai, capirai.

- Ma perché me lo stai dicendo, Clara, perché lo dici a me, se è vero?

- È tutto vero, e dopo ti dirò perché te lo sto dicendo. Adesso è importante che tu stia bene attenta alle mie parole.

- Va bene.

- Cerca di calmarti.

- Come faccio a calmarmi, eh? Me lo spieghi come diavolo posso calmarmi?

- Siamo in un ristorante, Clara, per piacere, provaci.

- Sì, ci provo, davvero, ma sono scioccata, non mi sembra tanto difficile da capire, che diavolo. Ma adesso mi calmo, bevo e mi calmo, va tutto bene, mi calmo, ma tu dimmi tutto, ti prego, così non capisco nulla, prima una sei dissidente, poi la guerra era una, non so più neanche come definirla, era una buffonata, una copertura, cosa diavolo era? Dimmi tutto, adesso, Clara.

- Ok, dopo, meglio andare da un’altra parte, vuoi?

- Sì, prima finiamo di mangiare, ok?

- Sì, sì, finiamo di mangiare.

- Bene, adesso mi calmo, non ti preoccupare.

- Come va con Andrea?

- Oh, adesso proprio non me lo domandare, Clara, non ci capisco già nulla normalmente, figuriamoci adesso.

- Va be’, è per alleggerire...

- C’è poco da alleggerire. E poi lo sai, l’altro giorno, al telefono, te l’ho detto, no? Be’, non è cambiato nulla da mesi e mesi, figurati in qualche giorno...

- Sì certo, hai ragione, ma non so, non vi capisco voi due.

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- Non ci capisce nessuno, stentiamo a capirci pure noi. E poi ieri gli ho detto di Mario.

- Cazzo, Ester, ma gli ha detto tutto?

- Be’, non sono stata a spiegargli i particolari, ma sì, tutto.

- Anche il sado-maso?

- Sì, Clara, anche quello, anche perché cos’altro avrei detto, se no?

- E che ha detto?

- Poco, e poi in contemporanea c’era l’attentato a Blinz, insomma, era stordito, credo.

- Sì, ma cosa ti ha detto, Ester?

- Non ci credeva, mi ha fatto qualche domanda e poi è andato via.

- Arrabbiato? Come arrabbiato, non è mica successo quando stavate insieme, in fondo.

- Ma che c’entra, dai, sono sparita dicendogli che forse sposavo uno...

- Sì, ma si è arrabbiato?

- Mah, è andato via dicendo poco.

- E ci credo...

- Poi mi ha chiamato, ieri.

- E tu gli hai detto che mi avresti vista.

- Sì, infatti.

- E cosa ti ha detto d’altro?

- Che ne avremmo parlato, non lo so bene, adesso mi sembra di non ricordare nulla.

- Quanto ha preso?

- Meno centoventi.

- Cazzo, se l’è presa?

- Dice di no, dice che pensava peggio.

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- Be’, a dire il vero pensavo peggio anche io, per lui, Ester. Non te la prendere, però.

- Ma no, hai ragione, io temevo davvero che gli dessero un numero bassissimo.

- Sì, dai, non gli è andata così male.

- Ma non dicevi che non conta nulla?

- Be’, dipende, e poi dicevo per me.

- E da cosa dipende?

- Dipende da che parte stai.

- Eh?

- Ne parliamo dopo, va bene?

- Sì. E con Marco?

- Amo Marco, Ester, lo sai.

- Sì, certo che lo so, mi hai fatto una testa tanto, quando lo hai conosciuto...

- Eh, sì, bel periodo, ero così eccitata, ricordi? Non stavo nella pelle, era tutto così bello, adesso sembra tutto così lontano.

- E adesso?

- E adesso non lo so, Ester.

- Ma lo ami, hai detto, no?

- Sì, Clara, ma ci sono mille problemi.

- Sempre per, insomma, per quella cosa?

- Sì, sempre per questa cosa.

- Ma non puoi chiamarlo, almeno per tranquillizzarlo?

- Lo tranquillizzerai tu, Ester.

- Come io? E poi non hai detto che non dovevo dire nulla a nessuno?

- Be’, a meno che non ti chieda io di dirlo. Sempre se ti vada, intendiamoci.

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- Sì, ma figurati, se vuoi lo chiamo subito, Clara, almeno si rilassa, dai.

- No. Aspetta, ne parliamo dopo e vediamo come farlo, ok?

- Sì, come credi.

- Comunque lo amo, lo sai, è solo che è tutto così difficile, Ester.

- Ci credo, o meglio, posso immaginarlo, anche se ne so poco nulla, davvero non riesco neanche più a essere stupita per tutto quello che mi hai detto. Mi sembra tutto così irreale.

- Sì, ti capisco, ma vedrai che poi molte cose che prima, ti sembrava che non tornassero, ti diventeranno chiare.

- Lo spero, anche se ti giuro, con tutto che ti credo, alla cosa di per sé stento a crederla. Non so come spiegarti, cavoli, è tutto quello in cui crediamo, stiamo parlando delle certezze dei nostri ultimi anni, e non dico per me o per pochi, ma per tutti, Clara, è pazzesco.

- Sì, lo so, ma davvero pensavi fosse possibile che tutti i dissidenti fossero morti in guerra? Sempre che vogliamo chiamarla guerra.

- Ti giuro, Clara, ne parlavamo qualche giorno fa con Andrea, di questa cosa dei dissidenti. Non ci crederai, giuro, l’altro giorno dicevamo proprio: ma se ci fossero dei dissidenti? Lo so che sembra facile dirlo adesso, ma è vero.

- Sì che ti credo. E credi che questa domanda non se la siano fatta in tanti? Solo che queste domande ce le dimentichiamo in un secondo, creano solo disagio e ti portano a chiederti perché.

- Perché? Allora era quello il perché di Fregli, Clara?

- Sì.

- Ecco, vedi, qualcosa comincio a capire pure io.

- Sì, prendiamo il caffè e andiamo?

- Sì, certo.

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Andrea è a casa, danno la notizia che Blinz è fuori pericolo e che la causa dell’incidente è naturale. Marco chiama per sapere se sa qualcosa di Clara e lui dice di no, che non sa nulla. Telefona a Ester, ma non riesce a prendere la linea, cerca di convincersi che il problema sia “di coppia”. Poi pensa ai punteggi, a Blinz, a Victor, alla telefonata con tanti misteri, “se fosse solo di coppia che bisogno c’era? E questa insistenza di Marco, e l’appuntamento al quindicesimo”.

Cause naturali, hanno detto. Perché hanno sentito il bisogno di dirlo?, pensa. Sta succedendo qualcosa, ne è convinto, ma non riesce a capire cosa.

Intanto Ester e Clara raggiungono un locale vicino al ristorante. Ester si sorprende del suo non essere più agitata, anzi, è quasi contenta, serena, le sembra di vedere uno spiraglio dal quale poter scorgere un po’ di verità.

- Ti ho sconvolta, Ester, vero?

- No, cioè in teoria sì, però non so, adesso sono calma, non so come mai.

- Ester, tu non sei come gli altri, per questo ti dico tutto, per questo sei calma, adesso.

- Sono normalissima, come tutti.

- Ma no, e lo sai, solo che sei troppo snob per ammetterlo, Ester, sei sempre stata così.

- Ma va, va.

- Senti, adesso non mi interrompere, ok? Alla fine domandami quello che vuoi, ma prima lasciami dire tutto.

- Sì, va bene.

- Cerco di dirla in maniera semplice. In teoria il mondo constata che sta collassando, che non ci sono energie per tutti, che al massimo un decimo della popolazione ha speranza di sopravvivenza. Quindi dieci schieramenti, dieci governatori, dieci progetti. Ogni abitante decide con chi stare, delegando le sue speranze di sopravvivenza, ok?

- Sì.

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- Il decimo di mondo che sceglie Blinz vince, gli altri muoiono.

- Sì.

- Una piccolissima fazione si chiama fuori e dice: proviamo a non fare nulla, o moriamo tutti o tutti ce la facciamo.

- E siete voi, fin qui è tutto chiaro.

- Sì. Noi inizialmente siamo in pochi, facciamo quadrato, poi altri si uniscono. Tutto clandestinamente. Decidiamo di stare con Blinz.

- Sì.

- Fregli ha amicizie, le amicizie diventano spie, veniamo a sapere che sotto questo gioco a dieci c’è il trucco. I governatori scelgono le persone che sopravviveranno, vogliono creare una sorta di patto, riusciamo a sapere quali perdono e ci iscriviamo tutti nel partito che vincerà. Paradossalmente, col voto segreto un aspirante governatore può votarne un altro, giusto?

- Sì.

- Blinz lo conoscono tutti e sanno che se mai si cercasse di coinvolgerlo direbbe di no manderebbe tutto all’aria.

- Sì, capisco.

- Quindi l’unico onesto diventa il rifugio per tutti i disonesti.

- Pazzesco.

- Coniugano pure uno slogan: per bestemmiare devi amare Dio. Loro vogliono sopravvivere, far sopravvivere le famiglie, gli amici, tutti i loro legami. L’unico dei potenti che non sa nulla è Blinz, lo eleggono a loro Dio, lo tradiscono, lo votano.

- Pazzesco...

- Già, pazzesco. Una parte di noi voleva portare tutto a galla.

- Sì, e invece?

- E invece ha prevalso il no, giustificato con “scoppierebbe il caos”.

- E tu con chi stavi?

- Io volevo dire tutto a tutti. E non solo, secondo me era una scusa quella del caos, molti di noi hanno cambiato idea, hanno usato le informazioni per avere la certezza di vivere.

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- Be’, da una parte è comprensibile, no?

- No, lo è se forse, da un punto di vista umano se non sei contro la guerra. Se ti schieri per salvarti la pelle ci può stare, ma se dici: “o tutti o nessuno”, non hai il diritto di essere allo stesso tempo opportunista. È il doppio salto mortale, così. Così sei uno che bestemmia in chiesa, per usare un termine caro ai nostri nemici.

- Nemici?

- Sì, i Nove governatori sanno che sappiamo.

- Ah, e cosa vogliono fare, Clara?

- Alcuni di noi, tra cui Fregli, vogliono dire tutto, adesso.

- Capito.

- Vogliono spiegare tutto, pubblicamente.

- Sì.

- E qui siamo a Blinz. Fregli voleva parlargli, Fregli è impossibile da trovare, o per lo meno, molto difficile. Le trasmissioni le faceva da luoghi sempre diversi, insomma, è uno preparato agli attacchi.

- Sì, capisco.

- Blinz no, lui non sa nulla, per questo hanno cercato di uccidere lui.

- E questo non lo capisco.

- Ester, così facendo riuscirebbero a mettere uno di loro al posto di Blinz, capisci? Riuscirebbero a neutralizzare Fregli.

- Sì, capito. Adesso devo bere, però.

- Sì, scusa, non dovevo dirti tutto di fila.

- No, hai fatto bene, ma prima sei riuscita a calmarmi, adesso ho bisogno di prendere fiato...

- Sì, dai, facciamo pausa, Ester.

- Insomma, Clara, è tutto falso. Quelli che credevano in altri sono morti così, per decisione proprio di quelli che avevamo scelto.

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- Sì, Ester, e tutto questo solo, se si può dire solo, per salvarsi. Ma sono in tanti, considera che ognuno poteva far votare Blinz a chi voleva, anche perché i decimi non erano veritieri. Ricordi la possibilità che i partiti avessero seguiti diversi?

- Sì, ma Blinz ne ha avuti meno di un decimo, mi sembra.

- Sì, ma sono grandi numeri, considera uno che ti dice: “se mi dai tutto quello che hai ti dico come fare a vivere”. Dici che qualcuno direbbe di no?

- Certo, ovvio, accetterebbe di sicuro.

- Quindi, i Nove adesso sono potentissimi e hanno gente che farebbe tutto per loro e, soprattutto, sono ovunque come potere.

- Sì, ho capito.

- Quindi la decisione di Fregli di dire tutto, con tutti i rischi che comporta. Ma o si fa così, o mai ci sarà giustizia.

- Sì, capisco. Ma perché non dire subito tutto a Blinz?

- Perché all’inizio non sapevamo tutto, pensavamo che i Nove si fossero salvati, non che si fossero uniti dopo la guerra. Se ci pensi, non dico moralmente, ma pragmaticamente, sarebbe stato meno grave. Volevano salvarsi, sapevano chi avrebbe vinto, si sono salvati. Ma non si sono fermati a quello, Ester.

- Sì, ma non capisco una cosa.

- Sì, dimmi.

- Si sapeva prima della guerra qual era il programma migliore perché erano riusciti a scoprirlo con i computer o hanno taroccato i dati?

- Bella domanda, purtroppo non si sa ancora, almeno non con certezza, Ester.

- Secondo me sta quasi tutto lì. Se si sapeva prima, se erano riusciti a saperlo prima, allora forse per gli altri sarebbe cambiato poco. Insomma, quelli che hanno votato Blinz sono legittimati, se così si può dire, e quelli che hanno scelto gli altri per lo meno non sono morti con colpa altrui, ma sarebbero morti comunque, no?

- Sì, certo, infatti è una delle cose che stiamo cercando di capire, ma è difficilissimo e più passa il tempo più loro riescono ad aver potere. Fregli ha una teoria molto precisa, ma te la dirò nei prossimi giorni.

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- Va bene, e poi un’altra cosa.

- Sì, dimmi.

- Prima della guerra avere potere aveva senso, c’erano disuguaglianze, c’erano pochi soldi, poche possibilità. Adesso stiamo bene tutti, che cosa vogliono?

- Due cose. La prima è fare in modo che non si sappia com’è andata veramente la guerra. La seconda è semplicemente il potere, vogliono decidere, e se adesso sembra poca cosa in futuro potrebbe essere diverso..

- Ah, capito. Ma mi sembra mostruoso. Non dico il salvarsi dalla verità, il non farsi giudicare, ma comandare adesso, mi sembra senza senso.

- Già, anche a me, eppure è così, Ester.

- Sì, certo, ti credo, cioè, mi sembra di essere in un incubo, ma ti credo. Solo una cosa, ancora.

- Sì, Ester, chiedi tutto quello che vuoi.

- Perché mi hai detto tutto, Clara?

- Avevamo fatto un patto, tutti quanti, non avremmo detto nulla, a nessuno, per non far scoppiare il caos. Se incominci a dirlo a una persona non sai a quante lo dirà e così via, insomma, era troppo rischioso.

- Sì, questo è chiaro, ma poi cos’è successo?

- Adesso tutto cambia, con l’attentato a Blinz e Fregli vuole uscire allo scoperto.

- Come?

- Vuole cercare di fare una trasmissione che arrivi a tutti.

- Ma la sua rete è d’accordo con lui? Sono dissidenti?

- Alcuni sì, altri no.

- Ah, e come fa, Clara?

- Una trasmissione a tutto schermo, abbiamo molti hacker tra di noi. Ma è solo un’ipotesi. Adesso ognuno di noi ha iniziato a dirlo ad amici fidati, cerchiamo di allargare la conoscenza dei fatti, sia per giustizia, sia per farci forti.

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- Sì.

- Anche perché potrebbe succedere di tutto.

- Be’, sì, lo immagino.

- Forse tutti dovranno schierarsi, capisci?

- Sì.

- E il programma, Fregli quando vuole farlo?

- Tra pochi giorni, lo sta organizzando, ma insieme vaglia altre ipotesi.

- Capito.

- Sei con me, Ester?

- Certo che sono con te, Clara.

- E te la senti di dire tutto, con me, ad Andrea?

- Certo, voglio assolutamente che lui sappia tutto.

- Bene.

- Cos’altro vuoi che faccia, Clara?

- Io non posso più stare da Marco.

- Perché?

- Lui sa tutto.

- E allora?

- Ha deciso di non dire nulla. Ha paura, dice che in caso di conflitto si schiererà col governo.

- Cosa c’entra il governo, scusa? Blinz non sa nulla, se Fregli riesce a rendere pubblico tutto, il governo si schiererà con lui, no?

- Non lo so, non è così semplice, prima di tutto credo che molte persone non crederanno a Fregli.

- Ma ci sono prove?

- Qualcosa c’è. Abbiamo delle registrazioni dei Nove che lo confermano.

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- Bene.

- Sì, ma considera che loro sono in mezzo al potere, molti loro uomini sono vicini al governo.

- Sì.

- Quindi bisogna vedere se Blinz si riprende, se crederà a Fregli. In caso contrario penso che loro saranno col potere e riusciranno a mettere noi in posizione di fuorilegge, insomma, se riescono a manipolare le informazioni riusciranno a far credere a tutti che siamo noi i disonesti.

- Sì, ma scusa, voi che vantaggi avreste?

- In teoria nessuno, ma lo sai bene, se hai il potere sull’informazione riesci a far credere quello che vuoi, pensa al passato, prima della guerra.

- Sì, certo. Quindi, non si sa ancora nulla, dico come cose da fare, dipende da Blinz se si riprende e da Fregli, no?

- Sì, la prima cosa è cercare di fare in modo che a Blinz non succeda nulla. L’hanno ricoverato in una clinica che sorvegliamo noi.

- Bene...

- Tu mi puoi ospitare, Ester?

- Sì. È pericoloso? Voglio dire, tu rischi qualcosa? Loro sanno chi siete?

- In teoria no, ma considera una cosa adesso.

- Cosa?

- Adesso diventerà rischioso, pensa; io l’ho detto a te, tu lo dici ad Andrea, Andrea a sua volta a qualcuno di cui si fida.

- Sì, certo.

- Prima o poi qualcuno lo dirà a uno di loro. Insomma, uscire allo scoperto va bene da una parte, ma ci mette tutti a rischio.

- Sì, è chiaro.

- Quindi pensaci bene, ospitarmi per adesso non è rischioso, a meno che Marco non faccia cazzate, ma per il futuro potrebbe diventarlo.

- Sì, ma Marco cosa potrebbe fare, scusa?

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- Non lo so, ma se lo dice a casaccio è un rischio. E poi non so, non capisco tutto questo suo essere contrario.

- Va be’, ha paura, è normale.

- Non lo so, potrebbe non essere solo paura.

- E cos’altro, Clara?

- Potrebbe conoscere uno di loro.

- Cosa dici?

- Senti, quasi tutti quelli che conosciamo si sono salvati, tutti con Blinz.

- Sì, ma se ci pensi ci sono molti motivi buoni. Politicamente siamo sempre stati più o meno tutti delle stesse idee, e poi, Clara, anche come religione, va be’, ex religione, siamo quasi tutti di quella di Blinz.

- Però non è detto che sia solo quello, Ester, qualcuno potrebbe avere avuto le informazioni, prima.

- Sì, in effetti, hai ragione, però Marco te l’avrebbe detto, no?

- Marco sapeva che avrei votato per Blinz, se mai avesse saputo che senso avrebbe avuto dirmelo? Al limite se avessi voluto votare un altro.

- Vero, hai ragione, e quindi sospetti di Marco.

- Non è che sospetto proprio, però qualche dubbio ce l’ho.

- Sì, ti capisco, va bene, vieni da me. Ma a Marco lo dici? Se non lo dici come si fa, mica puoi restare sempre a casa senza uscire mai, no?

- E invece per un po’, almeno fino a che Fregli non riuscirà a dirlo in rete, sarà meglio che io non esca, sempre che ti vada bene.

- Sì, certo, va benissimo, non ti preoccupare.

- Bene, allora dai, torniamo al sedicesimo?

- Sì, telefono ad Andrea, va bene?

- Sì, ma non dire nulla, solo che torni e che va tutto bene, ok?

- Va bene.

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Andrea ha sentito Ester al telefono, si collega allo schermo; danno la notizia che Blinz ha parlato, è fuori pericolo, in serata ci sanno le sue prime parole in diretta.

Ester dice a Clara di voler spiegare lei per prima l’accaduto ad Andrea.

Nel pomeriggio Andrea è rimasto in casa, ha dormito, ha sognato. Nel sogno c’è di nuovo la membrana ma questa volta riesce ad andare oltre: vede Ester con Mario, le parla, le dice: allora è questo che volevi, eh? E io che ho cercato di diventare migliore per te, io che ho cancellato quel mio passato, per te, tu potevi dirmelo subito che volevi questo. Sei una schifosa, mi hai sempre tradito, vai via con Mario, non farti vedere mai più, scappa con le tue menzogne, le tue voglie, puttana. Mi hai fatto credere di essere mia, con tutte quelle tue parole, che siamo solo attori che recitano una parte, vita dopo vita, che l’amore che ci lega è a prescindere dalla sceneggiatura che ci hanno assegnato. Schifosa, vattene con Mario, il tuo nuovo attore, spero solo di non ritrovarti mai più e che la tua bella reincarnazione non esista, schifosa, sei solo una schifosa. Poi lei non c’è più, Andrea rimane solo con quel pezzetto di carta marrone del sogno precedente, e la membrana si chiude di nuovo .

Si sveglia sudato, eccitato immagina Ester legata e lui mentre la picchia, la frusta, le grida “troia”. La immagina col corpo nudo, le natiche arrossate, mentre lo implora di farla sua, di farla sentire viva, mentre le dice “sono la tua schiava”. La immagina con immagini che vorrebbe non esistessero.

Poi lei arriva, gli spiega quello che Clara le ha raccontato.

- E chi ti dice che sia vero?

- E perché non dovrebbe esserlo, scusa?

- Come perché, Ester? È tutto incredibile.

- Io credo a Clara.

- Sì, ma che prove ci sono?

- Be’, ci saranno presto, Andrea.

- Se è vero quello che hai detto.

- Come se è vero quello che ho detto? Adesso dubiti pure di me Andrea?

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- Ma no, se è vero, nel senso se è vero quello che lei ti ha raccontato, dico. E adesso lei è pure a casa tua.

- Sì, mi sembra giusto, se è vero, e io non dubito affatto che lo sia.

- Non lo so, davvero, dovrei rifletterci un po’, che diamine, Ester, sono cose pazzesche. Ti rendi conto, almeno?

- Anche io pensavo così, subito, poco alla volta mi sembrano tutte assai prevedibili, invece. Persone che vogliono salvarsi la vita, e poi non dimenticarti che dei dissidenti ne avevamo parlato diverse volte, dicevamo che potevano esserci, no?

- Sì, ma Clara...

- Be’, scusa, se ci sono è ovvio che non sappiamo chi siano, ed è altrettanto ovvio che ognuno potenzialmente possa conoscerli.

- Sì, va be’, tutto facile e logico, per te, Ester.

- No, non dico questo, dico che è tutto possibile e che credo a Clara, tutto qui.

- Capito, e cosa vuoi fare adesso?

- Nulla, aspettare, vedere cosa succede e, se me lo chiede, aiutarla.

- Capito...

- E poi se vuoi prove, Andrea, perché non chiedi a Victor? Te l’ho detto, Clara dice che è uno di loro.

- Uno di loro, uno degli altri, sembra un film.

- Sì, ma potresti chiedere conferma a lui.

- Certo, Ester, vado da Victor, e gli dico: “ciao, mi hanno detto che sei un dissidente, che la guerra era una bufala, che hanno cercato di ammazzare Blinz e che magari tra un po’ ci sarà una guerra civile”.

- Potrei chiedere a Clara di farti chiamare da Victor, se vuoi.

- Non lo so, adesso ho bisogno di pensare.

- Sì, va bene, come vuoi.

- E poi noi dovevamo parlare anche di altro, Ester? Anche se in fondo, adesso sembra una cosa senza senso, mi sa, lasciamo stare.

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- Ma no, perché?

- Come perché? Ti rendi conto di quello che mi hai detto, Ester?

- Sì, ma una cosa non esclude l’altra, possiamo parlare di tutto quello che vuoi, Andrea.

- Va be’, mi è passata la voglia, lasciamo stare.

- Come credi.

- Adesso che fai? Devi andare da Clara? Cioè, torni a casa tua?

- Sì, ma mica subito, posso restare ancora un po’ qui, se vuoi.

- Oh, che gentile.

- Mah, davvero non capisco la tua ironia, mi ha parlato di cose pazzesche, ed io le credo. E sono corsa da te per dirti tutto.

- Sì, dopo che lei ti ha autorizzato a farlo, dimmi la verità, lo avresti fatto lo stesso in caso contrario?

- Non lo so, sì, credo di sì, anche prima mi aveva detto di non dire nulla a nessuno, e mi sembra di averti detto tutto subito, no?

- Prima pensavamo che tradisse Marco, non che il mondo fosse a rischio, che ci sono sovversivi, che nessuno sa un cazzo, che magari ci sarà la guerra e che tutto quello in cui crediamo è una cazzata.

- Stai esagerando, Andrea.

- Non mi sembra, comunque, come vuoi.

- Allora vuoi che resti con te?

- No, vai dalla tua amichetta.

- Sei un cretino a fare così e lo sai.

- Va bene, mi fai pensare un po’, Ester, per piacere?

- Come credi, ma io volevo parlare anche delle nostre cose, Andrea.

- Nostre cose? Tue cose.

- Fai quello che vuoi, se vuoi ci sentiamo più tardi.

- Ciao.

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PARTE SECONDA

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Il giorno passa, passa la notte, il tempo di Andrea è un susseguirsi rapido di sogno e veglia, confonde Mario con Blinz, lo vede nel letto di Ester, poi il mondo è in rivolta e lui è il leader maximo, ma solo per qualche secondo, subito dopo è a fianco degli oppositori, in giacca e cravatta, con un microfono per esortare la popolazione alla calma, andrà tutto bene, ma poi arriva Mario, prende la sua donna e scappano insieme, su una Rolls-Royce decappottabile, lui li vede andar via, mentre l’auto diventa aereo, e sta male, soffre tutte le pene del mondo, si taglia le vene, si spara come un werter, dilaniato dalla gelosia, distrutto chiude gli occhi per sempre, ma poi vede Agnese, l’abbraccia, la riconosce, fine, lieto fine, fine felice, ma no, Ester ritorna, torna da lui mentre sta sparando alle guardie del governatore, Andrea assassino e pazzo, pronto a morire per un’idea sbagliata. Andrea bandito, vestito di ricordi ormai desueti, a caccia del vero imbroglio.

Andrea stanco che si addormenta e sogna il mondo prima della guerra, nessuna membrana ed Ester ancora moglie, Andrea vent’anni e cosa importa di quello che sarà, Andrea cemento da respirare per polmoni ormai collassati, Andrea ti amo sei casa mia, Andrea cinque anni e non c’è più nulla con cui giocare.

Andrea si sveglia e chiama Victor, gli chiede un appuntamento, ma il suo collega dice che non può, che lo richiamerà lui.

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È passata una settimana e Victor ancora non si è fatto sentire. Clara ha parlato con Marco, senza, però, dirgli dove vive. Ester e Andrea non si sono ancora parlati.

Oggi è il gran giorno, Blinz sta per rilasciare una dichiarazione.

Buon giorno a tutti. Per prima cosa voglio rassicurarvi personalmente sulle mie condizioni. Sto molto meglio, come potete vedere, i medici hanno confermato le diagnosi che avevano fatto e sono certi che entro un mese dovrei essere perfettamente guarito. Le ustioni sono sotto controllo e le piccole fratture cominciano a calcificarsi.

A seguito del mio punteggio, come tutti voi avete visto, ho dato le dimissioni. Ciò è avvenuto a caldo, lo zero mi aveva sconvolto, ma non tanto per me come persona, quanto per me come capo del governo unico. Ho pensato a voi, ho pensato se fosse giusto che foste guidati da una persona con un simile numero.

Questi giorni, in ospedale, sono stati molto lunghi e mi hanno fatto molto pensare. Ho analizzato i numeri di molte persone. In tutta onestà, devo dirvi, ci ho capito poco. Anche il fatto che il mio sia l’unico zero tra centinaia di milioni di numeri mi sembra molto strano. Ho ristudiato tutti i metri di valutazione di Nefòs, li ho comparati tra di loro. Non sto cercando di giustificare il mio numero, nella maniera più assoluta non voglio farlo. Dico solo che voglio far ricontrollare il programma. Le dimissioni restano valide, sono solo posticipate. Entro dieci giorni riceverò gli esiti del funzionamento di Nefòs, dopodiché rimetterò mandato e proclamerò un nuovo referendum popolare per avere una mia riconferma o una bocciatura. In caso di bocciatura si istituiranno nuove elezioni.

Auguro a tutti voi una buona settimana.

La dichiarazione si conclude così, nessuna domanda da nessun giornalista.

Andrea l’ha seguita da casa, sul divano, quasi distratto. Si aspettava qualcosa di più forte, il reiterare le dimissioni o un attacco a qualcuno, a Fregli, magari, o ai Nove.

Non ha voglia di sentire Ester, non sa cosa dirle. Ha pensato spesso al suo periodo con Mario, ma se all’inizio si domandava perché, ora riesce solo a immedesimarsi nel loro rapporto, la immagina con lui, ma solo sessualmente.

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Ester, invece, ha avuto una settimana entusiasmante. La convivenza con Clara l’ha elettrizzata. Ormai, per lei, non è solo più “giusto” o “sbagliato”, una lotta non solo dei dissidenti contro il pericolo dei Nove, ma è diventata una storia a cui partecipare, si sente come se fosse eroina di un secolo passato e il sapersi dalla parte dei buoni è solo un di più, in fondo. Quello che conta per lei è il dover fare qualcosa, l’essere parte di un movimento. Ogni giorno quando si sveglia sente adrenalina, insicurezza, confusione, ma anche forza, desiderio, amicizia. Le sembra di essere tornata ai tempi di Mario e al rapporto con Andrea, insieme. Non le serve altro per vivere, almeno non adesso, non dopo le scenate con Andrea.

Clara ha un appuntamento con Victor; e ha deciso di portare con sé Ester, la quale, ovviamente, è molto contenta. Sembra che Fregli sia pronto per fare il “monologo al mondo” e i dissidenti devono organizzarsi per le reazioni che ci saranno. Il primo problema da risolvere è Marco. Dalla conversazione che ha avuto con Clara è venuto fuori una cosa ben precisa: lui vuole vivere come se nulla fosse accaduto. Ha detto: se non sai una cosa quella cosa non esiste. A cosa serve tutto quello che stai dicendo, cosa cambierebbe? Siamo in un’epoca in cui l’idea ha preso il posto della realtà, anzi, l’idea è la realtà, adesso. E se io penso che il mondo va bene, il mondo va bene. Non voglio dissidenti, non voglio i Nove, voglio sapere che la guerra è servita a dare la pace. Quindi non parlarmi più, non dirò nulla a nessuno, ma credo davvero che non sia più il caso di vederci, Clara.

Clara si è detta delusa, contrariata e diffidente. È delusa come donna innamorata, mai avrebbe pensato di poter essere liquidata con tanta leggerezza, è contrariata perché pensa che siano parole stolte e non si dà pace per essere stata per tanto tempo con Marco e, infine, non è tanto sicura che siano parole oneste. In fondo Marco è intelligente, deve esserci qualcosa sotto. Ester ha cercato di rassicurarla, forse ha solo paura, la sua, in fondo, è una reazione normale, dopo tutto quello che il mondo ha passato, adesso tutti vogliono credere che quel periodo sia finito. È più facile credere che tutto vada bene, è rassicurante. Ma Clara continua a non esserne convinta e ha deciso di indagare su di Marco.

In compenso le parole di Blinz le hanno confortate. Sta bene, quindi c’è speranza che Fregli posso parlargli e convincerlo. Fosse morto sarebbe stata una tragedia. L’importante, adesso, è che non si dimetta, nuove elezioni potrebbero essere manovrate dai Nove e questo sarebbe quasi sicuramente l’inizio della fine. Per questo motivo Fregli sta cercando di accelerare il momento della sua dichiarazione pubblica.

- Insomma, Clara, non va poi così male in fondo, no?

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- Certo, almeno c’è una speranza.

- Oggi vuoi andare da Marco?

- No, mi sa che è meglio essere prudenti, e poi non vuole vedermi, invece possiamo cercare di anticipare l’incontro con Victor, Ester, se ti va.

- Sì, certo.

- Sei sempre dell’idea di venire anche tu?

- Sì, te l’ho detto, voglio vederlo.

- Hai bisogno di prove, eh?

- Ma no, figurati, lo sai che ti credo, solo voglio capire Victor, Clara.

- In che senso?

- Vorrei che parlasse ad Andrea.

- Perché?

- Perché, ti giuro non lo dico per me, credo che Andrea potrebbe fare molto, se si convincesse.

- Sì, forse, Ester.

- Non solo perché è intelligente, lui conosce molte persone, è influente, a modo suo, gli studenti lo adorano, e poi lo vorrei proteggere, io credo davvero che noi si abbia ragione, lui deve stare dalla nostra parte.

- Sì, certo, ma dipende da lui, Ester, lo sai.

- Certo, ma se parlasse a Victor sarebbe più facile.

- Bene, vediamo cosa riusciamo a fare.

Clara chiama Victor, Ester va in bagno a cambiarsi.

- Buone notizie, Ester.

- Cosa?

- Sei pronta?

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- Abbiamo appuntamento?

- Tra due ore, in centro.

- Perfetto, Clara, davvero, perfetto.

- Dice che può venire anche Andrea...

- Ok, lo chiamo.

Andrea vede il numero di Ester e non risponde. Da qualche giorno si è isolato e non va neanche più all’università.

- Non risponde, peggio per lui. Tanto lo so che è a casa, Clara, ma non vuole parlarmi.

- Pazienza, dai, sarà per la prossima volta.

- Sì, dai, non è certo questa la cosa più importante. Dici che ci sono novità?

- Be’, vediamo, al telefono non è certo il caso di parlare, lo sai.

- Certo.

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L’appuntamento con Victor è in un locale vicino al centro della sedicesima. L’insegnante illustra a Ester e a Clara quel che Fregli vuol fare. Andrà in rete domani, dovrebbe riuscire a farsi vedere su tutti i canali, alle quindici. Victor dice che Fregli è riuscito a trovare delle carte che dimostrano la sua teoria, i Nove non riuscirono a capire nulla dei programmi, semplicemente ognuno sabotò il proprio. Era la cosa più ovvia, più facile da fare. Ognuno divenne perdente, sacrificando i propri elettori a quelli di Blinz. Fregli è riuscito anche a sapere che uno dei Nove, Vornt, è il miglior amico del possibile successore di Blinz. In rete spiegherà tutto questo, dall’imbroglio della guerra alle nuove amicizie dei Nove. Fregli ha detto a Victor e a tutti quelli che hanno partecipato all’ultima riunione di diffondere e far diffondere il più possibile tutta la verità, che oramai è questione di ore e poi tutti sapranno. Di unirsi, di parlarsi, di fare in modo che le persone che crederanno a lui troveranno sostegno, diventeranno parte di gruppo, perché solo così sarà possibile affrontare i Nove sperando di avere la meglio.

Ester si è ricordata di una cosa che le capitava quando era bambina. Prima di fare un gioco rischioso, rischioso come può esserlo nell’immaginazione di un bambino, rischioso perché puoi arrivare ultimo e tutti gli amici si mettono a ridere, rischioso perché ti sta vedendo tua madre, seduta sulla panchina, e tu non puoi cadere per terra, Ester pensava: al massimo poi scappo di casa, non vedo neanche più gli amici e vado a vivere dall’altra parte del mondo. Poi non arrivava ultima e se cadeva sua madre faceva finta di non vedere.

- Al massimo se va male andiamo a vivere dall’altra parte del mondo.

- Ma cosa dici, Ester?

- No, dico per dire, insomma cosa può capitare di tanto brutto? Non ci sono neanche le armi. I Nove cosa possono fare oltre che prendere il potere? Noi ragioniamo con la testa di prima della guerra.

- E ti pare poco che possano prendere il potere?

- Ci pensavo stanotte, Clara.

- A cosa, Ester?

- Al fatto che il migliore dei casi e il peggiore dei casi sono diversi sono teoricamente, solo come idea.

- Ma non è affatto vero, cosa dici?

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- Pensaci. Se si arriva all’estremo, se alla fine sarà: “o vinciamo noi o vincono i nove”.

- Sì, allora?

- Considerando che siamo senza armi e che siamo in seicentomilioni in un mondo gigantesco.

- Sì, ma che c’entra?

- C’entra che cambierebbe solo il fatto di sapere che abbiamo perso o che abbiamo vinto. Che il mondo è giusto o è sbagliato, che Fregli è riuscito ad andare al potere o che invece è andato uno di loro, ma nella vita di tutti i giorni in fondo cosa cambierebbe, Clara, dimmelo tu perché io non l’ho mica capito.

- Ma cosa diavolo dici? Innanzitutto non possiamo affatto sapere come si comporterebbero i Nove. Potrebbero anche mettere alcune leggi non democratiche, potrebbero instaurare un nuovo modello di civiltà. Insomma, cosa ne sappiamo noi? E poi cosa ancora più grave, vincerebbero loro, quelli che ci hanno fregati tutti, con la guerra finta. Tutto questo ti pare poco, Ester?

- No, ma da un punto di vista pratico non so cosa cambierebbe. Guarda che non ho cambiato idea, la penso come prima, lo sai, dalla prima volta che mi hai parlato ho capito che era giusto stare con te.

- E allora, cosa dici?

- Allora niente, Clara, lasciamo stare.

- E no, cazzo, non puoi dire lasciamo stare, adesso, dopo che hai detto che sì, va bene, sottigliezze come giustizia e democrazia, ma in fondo cosa cambierebbe.

- Dicevo per la vita di tutti i giorni, Clara, solo quello dicevo. E poi hai ragione tu, anche da un punto di vista pratico, io pensavo che senza armi possono fare poco, ma non è così, mi sono sbagliata.

- Mi sembra che adesso la stai minimizzando questa cosa.

- Ma no, senti, torniamo a casa? Vorrei passare da Andrea, sono sicura che c’è e che non risponde al telefono e davvero vorrei riuscire a parlargli di tutte queste cose, e poi lo ha detto anche Victor di diffondere le notizie, e in fondo sono colleghi, no?

- Sì, certo, Ester, andiamo.

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Piove, è mattino presto, Ester esce di casa mentre Clara sta ancora dormendo, prende l’auto e va da Andrea. Le sembra tutto così strano, non che le sia passato l’entusiasmo a adesso le sembra di essere stordita, di non sapere bene cosa fare.

Si chiede se davvero sia appena uscita di casa o se a casa ci stia andando, le sembra di essere un personaggio di un videogioco “Fregli contro i Nove”, e qualcuno l’ha messa con Fregli: “Non devo guardare fuori dal gioco, se no il gioco finisce” pensa Ester, mentre scende dall’automobile, mentre si bagna completamente nei tre metri che la separano dal citofono, mentre schiaccia il pulsante vicino al nome di Andrea, e mentre, finalmente, sente la sua voce che dice “apro”.

- Ho guardato fuori dal gioco, Andrea.

- Cosa dici, Ester? Sono le sei di mattino, suoni e dici che hai guardato fuori dal gioco? Ma di che gioco, parli?

- Di tanti giochi, ma no, da te, dico con Mario, ho voluto vedere cosa c’era al di là di noi due.

- E cosa c’era?

- Non c’era niente, mi sa, Andrea, mi sa che non c’era proprio niente.

- Be’, da quel che hai detto non si direbbe. Adesso devo farmi un caffè, sto ancora dormendo, ne vuoi?

- Sì, ti prego.

- E poi sei tutta bagnata, vai in bagno, asciugati, da qualche parte ci devono essere dei tuoi vestiti, vai, li cerco e te li porto.

- Sì, grazie, Andrea.

- Va meglio?

- Sì, grazie.

- Allora Ester, cosa è successo?

- Niente, cioè, niente di rilevante, Andrea, non ti preoccupare.

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- Be’, sono le sei, sei qui, dici che hai guardato fuori dal nostro gioco, qualcosa deve pur essere successo, no?

- Ieri Clara e io siamo andate da Victor.

- ‘Sto stronzo, io l’avevo pure chiamato e mi ha detto che non aveva tempo, evidentemente non ne aveva per me.

- Dai, non ha importanza, e poi ci aveva detto che se volevi potevi venire pure tu, ti ho chiamato e non rispondevi. Comunque,mi ha detto di Fregli.

- Ah, che succede?

- Ha scoperto il trucco. I Nove hanno imbrogliato, ognuno ha messo nel proprio programma delle cose stupide, senza senso e così facendo la vittoria di Blinz era sicura.

- Be’, semplice e infallibile, in effetti, almeno a saperlo dopo.

- Infatti, sembra la scoperta dell’acqua calda, cosa c’era di più semplice per avere la certezza di salvarsi la vita? E poi, comunque, Fregli domani apparirà nello schermo su tutti i canali, non so bene come fa, e dirà tutte queste cose.

- Ah, pazzesco.

- Sì, i Nove sembra stiano organizzandosi e vogliono eliminare, in una maniera o nell’altra, la possibilità che Fregli si metta in contatto con Blinz. Insomma, vogliono tenere tutto all’oscuro di tutti.

- Sì, mi sembra logico. E meno male che non è successo nulla di rilevante, Ester...

- Ma no, dicevo tra di noi, cioè, per farmi dire quelle cose del gioco.

- Ah, ecco.

- Cioè, a dire il vero prima le avevo pensate su Fregli e sui Nove.

- Cosa? Mica ti capisco, Ester.

- Ma la cosa del gioco, Andrea, mi segui o no?

- A dire il vero mica tanto, mi sa che ho bisogno di altro caffè.

- Va bene e danne anche a me.

- Sì, certo.

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- Quando ero bambina...

- Eh?

- Ascoltami, ok?

- Sì, sì, va bene.

- Quando ero bambina vedevo il gioco come se fosse una cosa in un’altra parte del mondo.

- Continuo a non capirci nulla, Ester.

- Non è proprio così, o non proprio dall’altra parte del mondo, ma come un trucco, in questo mondo. Come se gli altri, quelli non “del gioco” non potessero vederlo.

- In un’altra dimensione?

- Sì, insomma, se ci credevi, al gioco, il gioco esisteva e tu lo giocavi con tutti gli altri credenti, se però guardavi fuori dal gioco, allora il gioco scompariva.

- Sì, adesso penso di aver capito. E perché lo hai applicato a Fregli e a noi?

- Perché io ragiono ancora così, Andrea, ho sempre ragionato così.

- In che senso?

- Nel senso che le cose sono così, diventano reali quando sono tue e smettono di esserlo, scompaiono, se non lo sono più.

- E quindi io sono scomparso?

- No, affatto. Ma Mario serviva per farmi smettere di giocare, a qualsiasi cosa, capisci?

- No, mica tanto, anzi, mi sa che anche lui era un gioco, no?

- Smettila di pensare al gioco come a una cosa stupida da bambino, Andrea.

- Mica la sto pensando così.

- Sì, invece. Quel che voglio dirti è che siamo stati due imbecilli, Andrea, abbiamo guardato fuori e ciao-ciao gioco, capisci?

- Parla per te, Ester, davvero..

- Parlo per tutti e due.

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- Io perlomeno non ho mai pensato di risposarmi.

- E cosa c’entra, Andrea, cosa c’entra questo? Io ti ho mai fatto colpa per il tuo passato? Credi forse che la cosa con Mario abbia qualcosa a che fare con te?

- Boh, non lo so, forse no. Ma anche tu, sai bene come ragiono di prima mattina, ho la pressione bassa, io, lo sai, no?

- Sì, a dimmi la verità.

- Su cosa?

- Mi hai immaginata con Mario?

- Che cazzo di domanda.

- Mi hai immaginata o no?

- Sì, certo, ti ho immaginata, mi sembra normale.

- Non ho detto che non sia normale. E come mi hai immaginata?

- Ester, ti prego, smettila adesso.

- Dai, come mi hai immaginata?

- Così mi sembra di essere il solito depravato, comunque dai, è normale, mi hai detto delle cose, insomma, tu lo sai, no?

- Certo, ma mi immaginavi con lui o eravamo noi due a fare quelle cose?

- Mah, in entrambi i modi, mi sa.

- Hai voglia di me, adesso?

Ha voglia di Ester. Da quando è entrata in casa, sconvolta e bagnata dalla pioggia. L’ha intravista dal vetro della porta del bagno, nuda, asciugarsi e poi rivestirsi. Ha pensato alla sua pelle per tutti i primi minuti di conversazione. Ha immaginato di spogliarla, di affondare le sue dita dentro di lei, di baciarle i seni, di succhiarle i capezzoli. Continua a vedere il suo sesso, come anni prima, quando rientrava a casa e la trovava nuda e disponibile. La immagina con le gambe aperte, sotto di lui, immagina il suo sesso nel suo, la sua bocca, la sua lingua. Riesce a sentirne il sapore, della sua lingua. Poi la vede come se lui fosse Mario. E allora lei è inginocchiata, lo supplica di farla sua. E ancora, a letto, davanti a lui, il corpo arrossato per la sua violenza. E poi di nuovo come un tempo, posizione fetale, lui dietro a lei mentre

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dorme, lui che invece non riesce a prendere sonno, con la mano sui suoi seni, con la voglia di svegliarla e senza più forze per farlo.

- Sì, ti voglio. È grave?

- Vieni qui.

Ad addormentarsi per primo questa volta è lui, nel suo letto, con Ester accanto, che lo guarda.

Poi lei si alza, si veste, gli da un bacio e se ne va.

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Arriva a casa, c’è Clara.

- Allora, com’è andata, Ester?

- Bene, Clara, è andata bene.

- Gli hai detto di Fregli?

- Sì, gli ho detto tutto.

- E cosa dice?

- Dice poco, Clara, credo sia la persona con meno spirito sociale che io conosca.

- Non si tratta solo di politica, adesso, no?

- Certo che no, ma lui è fatto così.

- Ma ci crede?

- Sì, sì, ci crede, ma credo che vedere Fregli nello schermo lo convincerà del tutto.

- Bene, e per il resto?

- Niente, le solite cose.

- Ma sei arrabbiata, Ester?

- No, affatto, perché?

- Boh, mi sembri strana.

- Ma no, sono solo stanca.

- Mi ha chiamata Victor.

- Cosa dice?

- Fregli si collega alle sette, stasera.

- Bene, bene, bene, mi fa piacere davvero, Clara, almeno oggi tutti sapranno e da adesso sarà tutto chiaro, chi starà con Fregli, chi con i Nove, tutto insomma.

- Sì, sembra che alle cinque Fregli abbia una specie di videoconferenza con Blinz.

- Ah, perfetto, no?

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- Sì, speriamo solo che riesca a collegarsi.

- Sì, speriamo.

- Comunque non ci resta che aspettare stasera, poi Victor ci chiamerà e vedremo il da farsi.

- Va bene, io adesso vado a letto, ho bisogno di riposarmi un po’.

- Sì, anche io, anche se sono così nervosa, non so se riesco.

- Prendi un calmante, ce ne sono in bagno.

- Forse è meglio, sì, dai, prendo il calmante, se no non riesco proprio a riposarmi.

- Va bene, per sicurezza metto la sveglia alle sei, ok?

- Sì, ma io sarà di sicuro sveglia, allora buon riposo, Ester, a dopo.

- Ok, anche a te, a dopo.

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Andrea dorme e sogna. Cammina sotto la pioggia, il cielo è denso e grigio, non ha l’ombrello, sente i vestiti bagnarsi su di lui. Ogni passo diventa più pesante, il piede sempre più sembra unirsi al cemento. Il suo corpo diventa più basso fino a divenire parte dell’asfalto. Da asfalto vede Ester che gli cammina sopra, riconosce i piedi e tutto il corpo su di lui e questo lo rende felice. Non ha più bisogno di andare da nessuna parte, non ha la necessità di muoversi, di disincagliarsi da quel marciapiede. L’importante è che Ester resti sempre così, su di lui, senza neanche sapere che gli sta camminando addosso. La vede muoversi e ritornare indietro e prendere il telefono e parlare, e non gli importa se Mario le sta dicendo di correre da lui, che vuole farla sua. È sopra di sé, lo sarà per sempre, e se anche non sarà per sempre, se tornerà solo di tanto in tanto, poco importa, lui resterà lì, marciapiede, ad aspettarla. E se anche non passerà mai più, poco importa anche questo, i suoi pensieri, come lui, sono cemento, e lei, comunque resterà lì per sempre.

Gli sembra tutto così ben definito, poi si sveglia e non la vede, vede, invece, un biglietto:

Devo andare a casa, Clara mi ha chiamato, dice che ci sono novità. Ti chiamo più tardi. Finalmente il tempo ha ripreso a camminare, dacché ci siamo lasciati. Questa volta non nascondiamo nulla. Ester.

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Buon giorno a tutti voi. Mi vedete in diretta su tutti i canali senza alcun preavviso. Il motivo è molto importante. Sono qui per dire a tutti come sono andate veramente le cose.

Come tutti ben sapete la guerra vide dieci contendenti, dieci aspiranti governatori, ognuno dei quali con i propri elettori. Votammo, per Blinz, e restammo noi, unici superstiti. Il nostro programma, Nefòs, risultò migliore degli altri. Per il bene del mondo, vi ricordate, si diceva così. Per il bene del mondo un cittadino su dieci si salverà, per il bene del mondo, per non morire tutti. E altri slogan più o meno discutibili. Poi c’erano quelli contrari alla guerra, quelli che dicevano “o tutti o nessuno”, e tra quelli c’ero anche io. Ma questo, per adesso, non conta.

Il problema vero è che, mostruoso o meno che fosse questo progetto, la base di esso era il principio di uguale possibilità per tutti. Ogni abitante si affidava, affidava le sue speranze di sopravvivenza a un governatore, a un programma.

Sono qui per dirvi come sono andate le cose.

Dei dieci aspiranti governatori solo uno si comportò in maniera onesta, Blinz. Gli altri Nove pensarono, invece, a come aver certezza di sopravvivenza. E qual era il metodo più sicuro, più semplice da utilizzare. Avere la certezza di perdere. Molto più semplice sapere chi perde di chi vince. Ognuno dei Nove sabotò il proprio programma, condannando a morte i propri elettori. Ovviamente tutti e Nove votarono per Blinz. Non solo loro, anche le loro famiglie, i loro amici, e tutti quelli che, in cambio, avevano qualcosa da offrire. Blinz non fu neanche contattato, la sua onestà era troppo pericolosa, rischiavano di mandare a monte tutto.

Adesso i Nove sono tra di noi, vogliono il potere. Sapevano che avrei contattato Blinz per dire tutto, hanno cercato di ammazzarlo. Io sono uno dei dissidenti. Insieme a me molti altri. Prima della guerra scoprimmo il piano dei Nove, troppo tardi per intervenire. E così votammo tutti per Blinz, per sopravvivere, certo, ma anche per seguire i Nove, per non dar loro la possibilità di restare impuniti.

Adesso siamo un gruppo. Anche i Nove lo sono. Voi dovete sapere da che parte stare.

Poche ore fa sono riuscito finalmente a parlare con Blinz e gli ho fornito le prove di quanto è successo.

Questa sera ci sarà un suo comunicato a schermi unificati, io tornerò dopodomani alla stessa ora, purtroppo, come oggi, solo per un minuto, per non essere localizzato da loro.

Fate attenzione, i Nove hanno amici ovunque.

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Tutti gli abitanti lo hanno ascoltato. Il mondo è di nuovo in crisi, non sa più cosa pensare. Prima della guerra la situazione era molto chiara, avrebbero dovuto sì decidere con chi stare, ma perlomeno le regole sembravano uguali per tutti. Si doveva scegliere, uguali tra uguali. Il male era il mondo che rischiava di scomparire, non chi prendeva le decisioni.

Andrea chiama Daniele.

- Hai visto?

- Sì, siamo sconvolti.

- Cosa ne pensi?

- Non ci crediamo.

- Come non ci credete?

- Ma dai, Fregli prima del verdetto sragionava, adesso dice queste cose? Ma chi diavolo è per dirle? Cosa ne sa? Dammi retta, quello è un mitomane. E poi tutti i Nove che si mettono insieme, dai, non è affatto credibile.

- Ma come non è credibile, ha le prove.

- Sì, sai cosa ci va a falsificare delle registrazioni.

- Ma cosa dici, è tutto digitalizzato, è impossibile e lo sai.

- No, dammi retta, col digitale nulla è più impossibile, e poi anche la storia che ha già parlato con Blinz, e perché non era con lui quando si è collegato?

- Ha detto che non deve essere localizzato e questo francamente mi sembra più che plausibile.

- Sì va be’, vedrai che Blinz farà un comunicato in cui nega tutto, Andrea, vedrai se non ho ragione io.

- Ma no dai, è tutto vero, sei tu che non vuoi vedere.

- Ma che ne sai tu?

- Mi sembra vero, dico, insomma, non vedo perché inventarsi quelle cose, se non ha le prove verrebbe scoperto e farebbe una figura pazzesca.

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- Ma è un mitomane, come te lo devo dire? Ha buttato il mondo nel terrore e dio solo sa il perché, è un malato, deve farsi curare.

- Senti, fosse tutto falso non credi che Blinz lo avrebbe già detto? Subito dopo, dico. Invece lo schermo è fuori servizio, nessuno dice nulla.

- Infatti, quello ha manomesso tutto per farci credere alle sue stronzate, Andrea, svegliati.

- Mi sembra difficile bloccare tutto un sistema, Daniele, e poi se fosse come dici tu, allora saprebbe di aver detto stronzate, quindi non sarebbe neanche un mitomane e dovrebbe avere un motivo razionale per averlo fatto, no?

- Ma che ne sai, Andrea, quello è un malato, te lo dico io. Io sono sicuro, guarda, c’erano mille misure di sicurezza prima della guerra, per i programmi, non si poteva certo manometterli.

- Sì, per tentativi esterni. Ma ogni governatore poteva fare quello che voleva col proprio. Si pensava che gli attacchi potevano essere possibili, ma non certo da parte del governatore stesso, no?

- Stronzate, Andrea, sei intelligente, come fai a credere a queste cazzate?

- Come fai tu a credere che tutto il mondo è perfetto, dico io.

- Guarda che non è che se uno nella vita ha fatto stronzate tutto il mondo deve farle.

- Ah, ecco, colpa mia.

- No, Andrea, scusami, non volevo...

- Sì, certo.

- Davvero, Andrea, cazzo, questa notizia mi ha sconvolto.

- Ma se dici che è tutto falso.

- Sì, va be’, ma intanto il mondo è nel panico, che ne sai che non ci siano sommosse, eh, Andrea, che ne sai tu?

- Sì, e se fosse così Blinz non smentirebbe subito tutto?

- Va be’, smentirà appena lo schermo riprende a funzionare.

- Certo, nessuna stronzata, a parte le mie, ovviamente.

- Dai...

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- Va be’, ciao, eh.

- Non te la prendere, ti ho chiesto scusa, lo sai che non lo penso affatto, ti ho sempre difeso, io.

- Sì, come no, quanti anni sono passati, Daniele? Per quanto ancora devo essere additato?

- Andrea, ti prego, basta, dai.

- Ciao Daniele, ci sentiamo.

- Non fare così, non con me, che cazzo.

- Va bene, adesso devo proprio andare, ci sentiamo domani, magari.

- Come vuoi, ciao.

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Capitolo sei

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Clara ha saputo che Blinz ha creduto a Fregli, glielo ha detto Victor. Il più dovrebbe essere fatto, pensa, se Blinz sta con i dissidenti saranno i Nove a essere dichiaratamente fuorilegge.

- Ma cos’hai lì, Ester?

- Nulla, Clara, ho solo sbattuto contro lo specchio del bagno, ma non è niente.

- Però, devi guardarti meno da vicino, eh, tanto sei bella.

- Sì, come no. Senti, secondo te a che ora si collega Blinz?

- Non lo so, è tutto bloccato e la cosa è strana. Victor dice che Fregli non c’entra, lui non ha manomesso nulla.

- Saranno mica i nove?

- Ma no, difficile, magari è Blinz che non vuole nessun commento fino a quando non parla lui. Per motivi di sicurezza. Pensa se iniziano le trasmissioni a favore o contro; la popolazione va davvero nel panico.

- Mi sa che anche adesso nel panico c’è, Clara. Dovrei anche chiamare i miei, ma poi mi fanno domande e preferisco si facciano un’idea da soli, tu che dici?

- Sì, è meglio così, Ester, hai ragione, tanto vedrai che dopo che Blinz confermerà le parole di Fregli sarà tutto molto semplice, Ester.

- Speriamo, Clara, speriamo davvero.

- Ma sì, sta andando tutto bene, meglio del previsto.

- Sì, gran cosa che Fregli abbia convinto Blinz, davvero non ci speravo, Clara.

- Io sì, non che ne fossi convinta, ma con le prove non era possibile non crederci, e poi col fatto che Blinz è vivo i Nove hanno fallito, adesso sarà tutto semplice, bisognerà solo che Blinz li faccia prelevare e interrogare, poi vedrai che quelli che adesso li seguono in un attimo li tradiranno.

- Sai che bello...

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- No, chi se ne frega, anche se non sapremo mai chi sono. Una volta che il governo fa vedere che ha vinto, i nemici scompaiono.

- Sì, questo lo credo anche io.

- Hai sentito Andrea?

- No, perché?

- Non lo so, per sapere come ha preso la dichiarazione di Fregli, non dicevi che aveva bisogno di prove?

- Sì.

- Adesso vedrai che ti crederà, Ester.

- Speriamo.

- Oggi esco, posso andare allo scoperto, ormai.

- Ma vuoi tornare da te?

- No, voglio andare a trovare Marco.

- Ma lo hai chiamato?

- Sì, ma non risponde, passo direttamente a casa sua e vediamo se non mi fa entrare.

- Sì, fai bene, però magari aspetta che Blinz parli, a quel punto non potrà che crederti, no?

- No, voglio che mi creda prima, dopo sarà facile farlo, e sarà facile, molto facile, far finta che era in buona fede se prima sapeva dei Nove, non credi?

- Sì, mi sa che hai ragione, Clara.

- Sì, e io devo sapere se sapeva o no.

- Certo.

- Tu che fai?

- Niente, vado un po’ a letto e aspetto il discorso di Blinz.

- Va bene, ci vediamo dopo allora, io voglio vederlo con Marco.

- Ok, a dopo allora.

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Andrea esce di casa, c’è il sole, cammina, vuole vedere la reazione della gente. I negozi sono quasi tutti chiusi e di persone ce ne sono poche in giro, forse sono a casa ad aspettare che capiti qualcosa, che Blinz dica: quello è pazzo, ragazzi, va tutto bene, non dovete preoccuparvi, siamo il nuovo mondo, tutti onesti, nessuno escluso, i Nove sono morti con i loro elettori, in guerra. Abbiamo vinto perché avevamo il programma migliore, nessuno può confutarlo. Oppure: Abbiamo preso i Nove, non potranno nuocerci in nessuna maniera. Quanto accaduto in guerra, seppur tragico, conferma che avevate visto bene, purtroppo non potremo mai sapere con certezza se il mio progetto fosse il migliore, ma con certezza possiamo dire una cosa: avete scelto l’unico uomo onesto tra i dieci. Adesso non preoccupatevi, andrà tutto bene, per sempre.

La cosa strana è che le persone, in giro come Andrea, sono tutte da sole. Nessuna coppia, la solitudine impedisce loro di attendere tranquillamente a casa. Meglio uscire, cercare sconosciuti e dividere con loro l’ansia, come se si potesse dividerla davvero, frammentarla, renderla sempre più piccola fino a vederla scomparire.

Cammina e pensa a Blinz, a Daniele, a Ester, cammina e cerca di pensare a tutto questo per non pensare a null’altro, per non farsi venire in mente quando lo avevano accusato, giustamente. Glielo ha ricordato suo fratello con le sue parole, ancor più Ester dandosi completamente a lui, senza voler nascondere nulla. Se non nascondi nulla vedi tutto, e tutto Andrea non vorrebbe vederlo mai, tutto accoglie tutto, anche le parti che non vedi perché non le vuoi vedere e perché non vuoi che ci siano. Tutto è necessariamente illegale, altrimenti non ci sarebbe bisogno di leggi, tutto è amorale, altrimenti non ci sarebbe bisogno di etica. Tutto è su-e-giù e Andrea giù non vuole più tornare, anche se ne ha voglia, sempre.

Incomincia a piovere e Andrea se ne accorge dopo diversi minuti, quando ormai per strada non c’è più nessuno, quando i suoi abiti sono ormai fradici. Torna a casa.

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Ester invece è rimasta a casa da sola. Si spoglia, gioca con le noci. Vorrebbe chiamare i genitori, avvisarli, proteggerli dalla possibilità che le notizie vengano distorte, ma non vuole interferire, vorrebbe chiamare Andrea e sapere come sta facendo, sapere che intenzioni ha, sapere se sono di nuovo una coppia, se è stato bene, se davvero questa volta saranno felici, senza nessun segreto e nessuna restrizione, vorrebbe chiamare Clara e sapere cosa dice Marco, se davvero è implicato coi Nove se invece è solo una persona impaurita che vuol pensare che tutto va bene. Invece non chiama nessuno, abbassa di molto la temperatura di casa col termostato e si sdraia sul letto. Vuole sentire freddo, vedere la pelle del suo corpo inturgidirsi, riuscire a immedesimarsi con quella sensazione, paralizzare i dubbi. Ha lasciato lo schermo acceso, ma non si vede ancora nessuna immagine, si chiede il perché. “E se fosse davvero tutto falso? Se i Nove fossero davvero morti, se Fregli fosse un mitomane e i suoi dei deboli facilmente suggestionabili? Le prove in fondo non le ha viste, ha visto però i punteggi, e quelli sono sintomatici, sono la vendetta di Nefòs per non aver potuto gareggiare ad armi pari.”

Il telefono suona.

- Ciao Ester, volevo solo sapere come stai.

- Andrea, ciao, ti stavo pensando, sto bene, tu?

- Bene, bene.

- Cosa pensi?

- Cosa penso?

- Di quello che abbiamo fatto.

- Eh, non è semplice.

- Ma ti è piaciuto?

- Mi è piaciuto moltissimo, che domanda, ma non è questo il punto.

- E qual è il punto?

- Il punto è che è pericoloso, per tanti motivi, ma guarda che non ti sto dicendo che non voglio continuare, dico solo che bisogna pensarci su.

- Pericoloso?

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- Sì, e non lo dico solo per noi, come coppia, per i nostri sentimenti, dico...

- Per cos’altro, scusa?

- Cosa voleva dire il biglietto che mi hai lasciato?

- Che dovevo tornare a casa e che...

- Ester, dico l’ultima frase...

- Sì, ho capito, dicevo che dovremmo cercare di non frenare nessuna nostra componente.

- Infatti, è questo che è pericoloso, e poi non ho capito del tutto.

- Ma perché? Il pericolo, per una coppia, è sempre e solo quello di non riuscire a dare tutto. Quello di non manifestare tutto il nostro sentire, non quello di manifestarlo. Per questo abbiamo fallito, per questo ci siamo separati.

- Per questo hai cercato Mario?

- No, che c’entra.

- Senti, domani ci vediamo e ne parliamo, Ester, va bene?

- Sì, aspetta, guarda lo schermo, sembra che funzioni di nuovo, no?

- Sì, dai, ci sentiamo dopo, vediamo se va in onda Blinz.

- Ok. Andrea, io ti amo, lo sai, vero?

- Sì, Ester, ti amo anche io, sempre. Ci sentiamo dopo o domani.

- Ciao.

- Ciao.

In video compare Cohen, il vice di Blinz.

Buon giorno. È con infinito dolore che devo dirvi che nella giornata di oggi, alle ore diciassette e quindici, il governatore Blinz è stato trovato senza vita nel suo letto di degenza ospedaliera. Il motivo del

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decesso è ancora da stabilirsi, ma i medici sono quasi sicuri che si sia trattato di arresto cardiaco. Nei giorni scorsi il governatore sembrava si stesse riprendendo, ma forse il cuore – questo dicono i medici – ha subito in modo irreversibile uno stress troppo grande per le condizioni fisiche in cui si trovava. Domani i medici della clinica avranno abbastanza elementi per confermare questa ipotesi e comunque per dire con assoluta certezza i motivi del decesso.

Saranno indette nuove elezioni entro dieci giorni, per il momento io prendo la carica temporanea di governatore.

Non posso far altro che salutarvi e darvi appuntamento a domani per erudirvi sulle analisi dei medici.

Per pochi minuti non si vede più nessuna immagine, poi ricompare Fregli.

Buon giorno a tutti voi, ho pochi secondi di collegamento, non credete ai motivi che vi dicono per giustificare la morte di Blinz. È stato assassinato da un sicario dei Nove. Come potete credere che una persona abbia un arresto cardiaco in una clinica senza che questo venga subito seguito dai medici? Se così fosse si sarebbe salvato. Ve lo ripeto , Blinz è stato assassinato, aveva le prove di quanto vi ho detto. Cohen non...

La trasmissione si interrompe e nello schermo, di nuovo, non si vede più nulla.

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Ester prova a telefonare a Clara, ma è sempre occupato. Chiama Andrea, Andrea non risponde. Lo schermo non funziona. La chiama sua madre, le dice che è confusa, che non sa cosa credere, Ester non dice nulla di quanto sa, cerca solo di rassicurarla, la saluta, le dice che andrà tutto bene, che Cohen senz’altro saprà cosa fare e che Blinz sicuramente come vice aveva scelto una persona onesta, quindi non c’è da temere, se anche Fregli avesse ragione tutto si risolverà.

Non riesce a stare a casa, si veste, esce, prende la macchina, va da Andrea. Andrea non risponde neanche al citofono. Non sa cosa fare, torna in auto, si mette a piangere. Decide di andare da Marco, prova a chiamare Clara, ma niente, ancora assenza di linea. Arriva a casa di Marco, citofona, non risponde nessuno, lo chiama, ha il telefono spento. Continua a piangere, ha paura, prova ancora a chiamare Andrea che continua a non rispondere, torna a casa. Appena arrivata sente il telefono che squilla, è Daniele. Daniele le dice che Rosalba si è sentita male guardando lo schermo, che l’ha dovuta portare al pronto soccorso, che ha cercato Andrea ma che non lo ha trovato, le chiede se sa dove sia. Lei gli dice di no, lui le dice che andrà tutto bene. Si salutano, poi lei si spoglia, gira per la casa, gioca con le noci. Guarda lo schermo senza immagini, non sa a cosa credere. Per un attimo pensa di chiamare Mario, ma poi non lo fa. Prende due pastiglie di calmante. Non fanno alcun effetto, continua a camminare avanti e indietro per l’appartamento, sente freddo, si era dimenticata di regolare il condizionatore, lo fa adesso. Beve del vino rosso, si prepara la vasca da bagno, sperando così di calmarsi. Si immerge nell’acqua, chiude gli occhi, cerca di ricordarsi una vecchia preghiera che le facevano dire da bambina, ma non le viene in mente. Pensa a degli esercizi di respirazione che aveva imparato, ma non riesce neanche a respirare normalmente. Esce dalla vasca, cerca un bronco-dilatatore, non lo trova. Si agita ancora di più e respira sempre peggio. Lo cerca ancora, ormai disperata, piangendo. Lo trova in un cassetto, lo usa, si siede sul divano, posizione fetale, l’ossigeno incomincia a entrare correttamente nei polmoni. Continua a piangere. Prova di nuovo a chiamare Andrea, ma nulla, non risponde, poi Clara e Marco, hanno il cellulare spento. Le sembra di impazzire, le viene in mente una cosa che le aveva raccontato Andrea, di quando era bambino e stava male e sua nonna per calmarlo gli faceva ripetere le parole adesso passa, adesso passa, fino a che lui trovava sonno. Ci prova. Continua a ripeterselo, ma non passa affatto, è terrorizzata, pensa che i Nove prenderanno il potere, che Cohen è corrotto, che come hanno ammazzato Blinz ammazzeranno anche Fregli, che hanno i nominativi di tutti i dissidenti, che arriveranno a Clara e così a lei, che la metteranno in prigione, che non rivedrà mai più Andrea, che lui si dimenticherà di lei. Cerca di pensare alla loro notte, prova a eccitarsi, ma solo per pensare ad altro. Si tocca per qualche secondo, poi le sembra la cosa più stupida che ci sia da fare e smette. Chiama di nuovo tutti, freneticamente, ma ancora non riesce a parlare con nessuno. Prende altri due calmanti. Va a

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letto. Riprende a pensare adesso passa, adesso passa, e poco dopo, finalmente si addormenta.

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Andrea non sa della morte di Blinz, è uscito prima che dessero la notizia. Ha lasciato il telefono a casa, ha preso l’automobile, senza pensare a dove andare. È buio, guida veloce sull’autostrada a1 che collega il sedicesimo al resto del mondo. Non pensa a niente, vede macchie di colore verde scuro che la campagna crea, scivolare via. Piove, le gocce si infrangono sui vetri dilatando quei pezzi di gradazione, creando un arcobaleno oscuro. Il lettore per la musica non funziona. C’è silenzio. Riesce a sentire solo una leggera sensazione di stordimento che gli fa credere che tutto vada bene. Tutto va bene, lui non riconosce nulla, è fuori dal mondo nel suo veicolo ricoperto di macchie di verde che continuano a scorrere veloci. Non è Andrea, non è l’amore di Ester, non è un professore, non è mai nato, non è nel duemilasessantasei, non è un uomo e se mai è esistito adesso non c’è traccia di lui. È solo un qualcosa senza sostanza all’interno di un altro qualcosa che corre veloce. Tutto va bene. Esce dall’autostrada, entra in una frazione del sedicesimo, ferma l’automobile in un parcheggio vicino a una piazza. Da dov’è la vede, buia e deserta. Chiude gli occhi. La membrana ovattata davanti a lui si lacera. Arriva il suo corpo e lo riveste, arriva Ester, arrivano i ricordi a definirlo. A poco a poco tutta la sua vita gli è di nuovo appiccicata. Esce dall’auto, fa freddo, si toglie la giacca e adesso la sensazione di torpore lascia il posto all’angoscia. Adesso è una soglia tra il niente che era prima e i vestiti che si sente addosso.

Torna in auto, va da Ester.

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Clara è ancora a casa di Marco. Hanno sentito la notizia di Blinz insieme. Marco ha detto che sicuramente Cohen farà chiarezza su tutto e che Fregli è un mitomane. Clara ha detto che Cohen è certamente un uomo dei Nove e che Fregli è l’unica speranza che ha il mondo per fare chiarezza e per avere finalmente giustizia. Poi si sono insultati, poi spogliati, poi hanno fatto sesso. Poi entrambi hanno detto che sarà meglio che non si rivedano più e che andare a letto è stato l’ennesimo sbaglio. Poi Clara se n’è andata senza salutare.

Alle due di notte Andrea e Clara parcheggiano le loro automobili sotto casa di Ester.

- Ciao

- Ciao, come stai, Andrea?

- Non male, tu?

- Be’, insomma, considerando le notizie di oggi...

- Va be’, non mi sembrano così tremende, in fondo. Blinz metterà tutto a posto.

- Ma dove sei stato, oggi, Andrea?

- Perché?

- Non hai sentito niente?

- Cosa?

- Blinz è morto.

- Cazzo.

- C’è stato un comunicato di Cohen, ha detto che ha avuto un arresto cardiaco. Poi si è ricollegato Fregli e ha detto che è stato assassinato, stava per dire altro ma si è interrotta la trasmissione.

- Porca troia...

- Ma che ci fai qui a quest’ora?

- Ho lasciato il telefono a casa, volevo parlare a Ester.

- Capito...

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- Va be’, adesso saliamo, ok?

- Ok.

- Vuoi svegliarla?

- No, meglio lasciarla dormire, mi fermo qui anche io, sono stanco morto.

- Ok, io vado a letto, è stata una giornata pazzesca.

- Va bene, buona notte allora.

- Anche a te, Andrea, ciao.

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Ester si sveglia e vede Andrea dormire al suo fianco. Si alza di scatto, va in cucina, accende la macchina per il caffè, guarda lo schermo che non trasmette alcuna immagine. Arriva Clara.

- Buon giorno...

- Ciao Clara, oh, scusa, vado a vestirmi, aspetta...

- Sì, Ester, non ti preoccupare.

- C’è Andrea nel mio letto.

- Sì, siamo arrivati insieme, alle due, tu dormivi, lui era stanco e si è fermato a dormire.

- Come insieme?

- No, non insieme, intendevo alla stessa ora, ci siamo incontrati sotto casa, lui ha detto che ha lasciato il telefono a casa e che voleva parlarti.

- Capito, e com’è andata con Marco, cosa dice della morte di Blinz?

- Le cose che sapevo che avrebbe detto, Ester, che è tutto uno sbaglio, che Fregli è un mitomane, che Cohen metterà tutto a posto.

- E certo, insieme a babbo natale. Hai qualche notizia, hai sentito Victor?

- No, niente, ho provato a chiamarlo ma ha il telefono spento.

- Pensi che possa essere successo qualcosa, Clara?

- Non lo so, ho provato a contattare anche altri, oggi pomeriggio dovremmo fare una riunione, il problema è che non si sa nulla, Fregli è introvabile e non si capisce se davvero Cohen sia uno di loro. Hai sentito, Fregli lo stava per dire quando è andato fuori onda.

- Già, però Cohen lo scelse Blinz, no?

- Sì, ma non è detto che sia sufficiente per dire che è onesto.

- Certo, anche perché Blinz non sospettava di nulla.

- Non so cosa fare, Clara.

- Bisogna solo aspettare che Fregli riesca a dirci qualcosa, Ester, non possiamo fare altro.

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- E se gli fosse capitato qualcosa?

- No, lo escludo, è al sicuro, ha dei sistemi di difesa efficacissimi.

- E allora perché non dice nulla?

- Proprio per quello, forse adesso non può, per sicurezza, Ester, non ti preoccupare.

- Comunque, se Cohen è coi Nove è un vero disastro.

- Sì. Credo anche io.

- Clara...

- Cosa?

- Non so più cosa pensare, ieri ho avuto una giornata pazzesca, dopo la notizia di Blinz ho provato per ore a chiamare te, Marco, Andrea, mi sembrava di essere in un mondo che non è il mio mondo, capisci? Riesci a capirmi, Clara?

- Credo di sì.

- È difficile da spiegare, era come se mi trovassi in un film e pensassi, “questa non è la mia vita, questo è un film”, ma che non riuscissi a vedere dove realmente fosse, questa mia vita. Come quando fai un sogno orrendo, ti accorgi di star dormendo ma ciò nonostante non riesci a svegliarti, non sai dove sei, al di là di quello che stai vedendo.

- Sai, penso che sia una sensazione che abbiamo un po’ tutti, Ester.

- Non so, ma è orrendo.

- Senti Ester, io adesso devo uscire, voglio passare a casa di Victor per capirci qualcosa in più.

- Va bene, ma lascia il telefono acceso, per piacere, o chiamami appena sai qualcosa, se no divento matta.

- Sì, va bene. Salutami Andrea.

- Ok, ciao Clara, stai attenta.

- Sì, non ti preoccupare, ciao.

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Alle Nove e un quarto, pochi minuti dopo che Clara è uscita di casa, lo schermo riprende a trasmettere immagini. Compare Cohen. Ester va a svegliare Andrea affinché lo veda anche lui.

Buon giorno. A seguito delle dichiarazioni del dott. Fregli abbiamo ritenuto di sospendere il regolare funzionamento dello schermo. È assolutamente ingiustificabile il comportamento di una persona che impone la sua presenza in una trasmissione non programmata. Riguardo le cose che ha detto il governo smentisce nella maniera più categorica le sue affermazioni. I Nove aspiranti a capo del governo unico sono deceduti in guerra. Non siamo a conoscenza dei motivi che hanno spinto il dott. Fregli a dire simili cose, lo abbiamo cercato per capirle ma è introvabile.

Come detto ieri, oggi i medici hanno confermato che la tragica scomparsa del governatore Blinz è da attribuirsi a un arresto cardiaco.

A partire dalle dieci lo schermo riprenderà il normale iter delle trasmissioni.

Domani alle ore tredici diremo i nomi dei dieci candidati al ruolo di governatore unico e indiremo il referendum per l’elezione.

I funerali pubblici del governatore Blinz avverranno domani, alle ore undici.

Auguro a tutti voi una buona giornata.

- Cosa ne pensi, Andrea?

- Ester, cosa ne penso? Penso che siamo davvero nella merda, ormai è ovvio che Fregli ha ragione, troppe coincidenze.

- Già, senti, ieri ti ho cercato tutto il giorno, dove sei andato?

- In giro, avevo bisogno di rilassarmi e in casa non ci riuscivo, ma poi sono venuto da te.

- Ho preso quattro pastiglie di sonnifero, ieri, mi sembrava di impazzire.

- Mi spiace.

- Almeno adesso sei qui.

- Sì.

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- Hai pensato a cosa fare?

- Con te?

- Sì, con chi altri?

- Credo ci sia poco da pensare, Ester, no?

- In che senso?

- Che non so cos’è cambiato, in fondo, a parte cercare un nome nuovo da dare al nostro rapporto. Cosa sentivi prima è cambiato? Non credo, no?

- No, ma abbiamo fatto l’amore, qualcosa vorrà pur dire, no, Andrea?

- Certo che vuol dire qualcosa.

- Hai avuto paura di quello che abbiamo fatto, dimmi la verità.

- Ma no, Ester, che dici.

- Invece sì, Andrea.

- Oddio, adesso non iniziare, Ester, e poi guarda cosa sta succedendo, ti sembra questo il momento?

- E certo, non è mai il momento per affrontare le cose, no, Andrea?

- Non ho detto questo, dai vieni qui.

- Sai qual è il più brutto pensiero che ho avuto ieri, Andrea?

- No, Ester, non lo so proprio.

- Che non cambia nulla, in fondo. Metti che Fregli abbia ragione in tutto e che in una maniera o nell’altra gli impediscano di dire il vero, di provare quel che dice e di fare giustizia.

- Sì, dovrebbe succedere, in effetti.

- Cosa cambierà? Avremo un governatore corrotto dai Nove. Cosa cambierà da un punto di vista pratico?

- Be’, dipende da quello che deciderà.

- Come prima dipendeva dalle decisioni di Blinz, è questa la mostruosità. Metti che prenda delle buone decisioni, che cosa cambierà? Nulla. E questo cosa vuol dire? Che tutti i nostri discorsi su “mai più ideologia” erano cazzate. L’unica differenza diventa etica, in questo mondo, non pratica. Paradossalmente un

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governatore corrotto, figlio di una guerra imbroglio potrebbe farci stare meglio di Blinz, onesto e ucciso.

- Sì, hai ragione, Ester.

- Quindi l’unica differenza è etica. Prima non era così, ma in un mondo che dà lavoro e possibilità a tutti, in un mondo di seicentomilioni di persone in cui non abbiamo nessun rischio, le uniche valutazioni che possiamo fare sono morali.

- Credo che tu abbia ragione, anche se non ho ancora preso il caffè e sto dormendo seduto...

- Dai, te lo preparo.

- Ma Clara che dice? Ci sono notizie di Victor?

- Non so ancora, andava da lui nella speranza di capirci qualcosa in più.

- Ah, capito.

- Sai cosa dovremmo fare, Andrea?

- Cosa?

- Un viaggio, andare via da tutto e restare da soli, da qualche parte, magari al mare, e cercare di capire cosa vogliamo fare davvero.

- Eh, mi sa che non è il momento giusto per andare via. Metti che succeda qualcosa di grave e che si debba decidere.

- Sì, infatti dicevo in teoria.

- Senti, Ester.

- Dimmi.

- Adesso spogliati.

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Capitolo sette

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Clara è a casa di Victor.

- Allora, cosa è successo?

- Niente di buono, la morte di Blinz ha complicato tutto, Clara.

- Sì, questo è evidente, ma Cohen?

- Sta coi Nove, non ci sono dubbi.

- Allora siamo fottuti, non c’è nulla da fare, prenderanno il potere.

- Non è ancora detto.

- Fregli cosa fa?

- Si è nascosto nel dodicesimo.

- E che diavolo possiamo fare noi, adesso; Victor?

- Oggi Fregli cercherà di chiamarmi, credo che ci dirà di andare da lui. Il problema è che siamo in pochi, molti si sono stancati, preferiscono stare bene che stare nel giusto.

- Sì, ci credo.

- Io no, mi sembra impossibile, fino a pochi mesi fa sembrava preferissero morire che votare per la guerra, e adesso mollano così.

- Già.

- Adesso stiamo tutti bene, Clara, e sembra che fosse più facile lottare per i principi quando c’è miseria.

- Me lo diceva anche Ester, diceva: da un punto di vista pratico cosa cambia se vincono i Nove o se vinciamo noi?

- Io credo che al di là del giusto e dell’ingiusto, Clara, se i Nove vanno al potere sarà pericoloso per tutti.

- Cosa potranno fare?

- Non lo so, ma niente di buono.

- Senti, Victor, potresti parlare ad Andrea?

- Certo.

- Di lui cosa pensi, onestamente?

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- Non è facile risponderti, Clara. Io non giudico una persona per il suo passato, lo sai, però non ho mai capito se lui si sia pentito, se è andato oltre o no. Certo che sia una mente brillante, su questo non ci sono dubbi, all’università ha fatto molto.

- Sì.

- Ma tu, Clara, cosa sai del suo passato?

- Be’, tutto quello che hanno saputo tutti.

- Nefòs, per quel che conta, gli ha dato meno centoventi.

- Conta. È un metro di valutazione che ha senso, il problema è che non considera tutto.

- Certo.

- Andrea e Ester credo che si siano rimessi insieme.

- Bene, mi fa piacere. E tu, col tuo bel Marco?

- Lasciamo stare, è meglio.

- Non vuole capire?

- Non è questo, Victor.

- Va be’, se il motivo è sentimentale, meglio così.

- No guarda, non è proprio così, l’amore è l’unica cosa certa, tra di noi, almeno per me, dico.

- E allora cosa?

- Non lo so, è tutto così complicato.

- Spiegati, Clara.

- Non so neanche se sia giusto dirtelo.

- Cosa?

- Non lo so, sono solo sensazioni per quel che mi dice. A volte ho persino pensato che fosse immischiato coi Nove, in una maniera o nell’altra.

- E me lo dici così? Cazzo, Clara, queste cose io le devo sapere, lo sai, no?

- Ma sono solo sensazioni, Victor, nient’altro.

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- Adesso dimmi perché, cosa te lo ha fatto pensare?

- Non lo so neanche io, a volte reagisce in maniera strana, non come se non credesse, al contrario, come se non volesse credere, come se sapesse, insomma.

- Avresti dovuto dirmelo subito, Clara.

- Lo so, avevo paura, scusami.

- Devo pensarci.

- In che senso? Non l’ho fatto apposta, te l’ho detto, sono solo impressioni.

- Non dico in questo senso, Clara, non voglio prendere provvedimenti contro di te.

- E in che senso, allora?

- Se mai fosse dei Nove, potrebbe esserci utile, Clara.

- Ma no.

- Ma sì, invece.

- Ma sono solo impressioni, credimi, nulla di più, Victor, ti giuro.

- Ho detto se fosse coi Nove, infatti.

- Va bene, come credi.

- No, non va bene, devi pensare così anche tu. Abbiamo sempre detto che tutto, anche i nostri sentimenti, anche la nostra vita, viene dopo il nostro scopo, se no non ha senso nulla.

- Sì, lo so, hai ragione, scusami, Victor.

- E allora, Clara?

- E allora farò quel che mi dirai di fare, come sempre ho fatto, Victor.

- Bene, Clara, bene, è la cosa giusta e lo sai.

- Sì.

- Adesso torna da Ester, io ti chiamo se so qualcosa, se dovessimo andare da Fregli, ok?

- Sì, va bene.

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- Al telefono ti dirò solo di passare da me o che ci sentiamo nei prossimi giorni.

- Sì.

- Tu non dire altro, Clara, mi raccomando.

- Ok, Victor.

- Adesso vai e informa Ester e, se vuoi, anche Andrea.

- Va bene, allora vado. E senti, per Marco?

- Te l’ho detto, ci penso e poi ne parliamo.

- Ok, allora vado, ciao.

- Ciao.

Mentre Clara torna a casa di Ester lo schermo trasmette un comunicato di Cohen: i parlamentari hanno votato ed eletto i due candidati governatori: Ricchetti e Galder. Le elezioni avverranno tra tre settimane. Ricchetti prima della guerra si occupava di sistemi ecologici. Fu uno dei primi a ravvisare e a denunciare il futuro collasso del mondo a causa dell’inquinamento. Galder, invece, era uno dei consiglieri di Blinz.

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Per una settimana Fregli non fa alcuna dichiarazione pubblica. Sa che Ricchetti è un uomo dei Nove, ha paura che dirlo apertamente potrebbe portare le persone che non credono al complotto a votarlo. Ma, al tempo stesso, decide di intervenire, è certo che Cohen non sappia, essendo lui l’ex vice di Blinz, che i sovversivi sospettino di lui. Così decide di contattarlo. Riesce a fargli pervenire un messaggio in cui scrive che vuole portargli le prove dell’esistenza dei Nove, ma che non si fida di farlo in luogo privato. Cohen accetta. Fregli gli dice di andare in un quartiere del dodicesimo, e che, una volta che sarà arrivato, sarà contattato da una donna che lo accompagnerà da lui. La donna è Clara, a dirglielo è Victor.

Clara è molto tesa, non ha mai condotto nessuna azione pratica per i sovversivi. La notte prima dell’appuntamento con Victor non riesce a dormire.

- Ho paura, Ester.

- Ma dai, cosa vuoi che succeda, Clara, devi solo prelevarlo e portarlo da Fregli.

- Metti che non sia solo, che ci sia qualcuno del governo o dei Nove.

- Ma no, ne abbiamo parlato mille volte, Cohen sa benissimo che Fregli è per la lotta pacifica. Sa che non corre nessun rischio, quindi farà quel che gli è stato detto di fare.

- Non è detto, metti che non sia così e che mi prendono.

- Ma no, come te lo devo dire, Clara, andrà tutto bene.

- Ma metti che abbia ragione io, che ci sia qualcuno con Cohen e che mi blocchino.

- Sì. Se ti prendono cosa succede? Non mi sembra ci sia nessun mandato contro Fregli, sei solo una persona che sta accompagnando un’altra persona a un appuntamento.

- E se a prendermi sono i Nove?

- Senti, se mai ci fossero i Nove, non vorrebbero certo fermarti, al limite guarderebbero dove porti Cohen per prendere Fregli.

- Ecco, e così consegno Fregli ai Nove.

- Clara, andrà tutto bene.

- No, io non ce la faccio.

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- Devi farcela, Clara, è tutto quello in cui credi.

- Ma non ce la faccio

- Adesso cerca di dormire, domattina ci svegliamo presto, parliamo un po’ e poi vai.

- Non ci riesco, Ester, ho troppa paura, io queste cose non le ho mai fatte.

- Non le ha fatte nessuno, mi sa, dai adesso cerca di calmarti, andrà tutto bene.

- No, mi prenderanno, lo sento.

- Clara, basta, adesso ti do un calmante.

- Sì, va bene.

Clara non riesce a dormire, quando Ester si sveglia le dice che non vuole andare. Ester si arrabbia, cerca di convincerla, le spiega, che si è impegnata, che è troppo tardi per tirarsi indietro. Ma Clara ha troppa paura e dice di no, le chiede di prendere il suo posto: lei sa tutto, sa il percorso, sa cosa deve fare. Ester, infine, accetta.

- Andrea, ciao, Clara non se la sente, vado io al suo posto.

- Come non se la sente?

- Dice che i Nove potrebbero seguirla, ma è meglio non parlarne al telefono.

- Sì, certo. Senti, passo da te.

- No, tra poco mi preparo e vado.

- Ma Victor cosa dice?

- Non possiamo avvertirlo, c’è il silenzio telefonico fino a quando sarò al dodicesimo.

- Secondo me si arrabbia.

- Può darsi, ma non posso fare altrimenti, Clara comunque non va.

- Sì, ma fai attenzione, Ester, mi raccomando.

- Certo, non ti preoccupare.

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- Chiamami appena puoi.

- Sì, Andrea.

- Buona fortuna, a più tardi.

- Sì, non ti preoccupare, andrà tutto bene, ti chiamo quando torno, ciao.

Ester prende l’auto, non sente alcuna paura. Le sembra, come quando ha saputo dei Nove, di interpretare qualcosa che non è la sua vita. Guida per tre ore, sempre con questa sensazione. Cerca di concentrarsi sul percorso, sulle vie, su quello che dirà a Cohen. Arriva a destinazione, chiama Fregli, gli spiega l’accaduto, lui la rassicura, le dice gli ultimi dettagli. Adesso lei chiama Cohen, lo fa andare in una piazza. Lo vede, lo chiama di nuovo, gli indica una via da raggiungere, gli dice che una volta giunto deve lasciare l’auto e camminare lungo un marciapiede.

Vede Cohen fare tutto quello che lei gli ha ordinato. Si mette a ridere, pensa all’uomo più potente del mondo, lì, muoversi come una marionetta. Accosta il marciapiede con l’auto, frena, gli dice di salire, lui sale. Gli dice di non dir nulla. Cohen non parla, ha l’espressione di chi non vuol far vedere che ha paura. Ester pensa che dal vivo sembra molto più vecchio e molto più esile che nello schermo.

Arrivati davanti a una vecchia fabbrica, gli dice di entrare in un portone. Lo vede mentre va, poi riparte e torna a casa, soddisfatta.

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- Com’è andata?

- Bene, Andrea, nessun pericolo.

- Sicura?

- Sì, l’ho preso e l’ho portato da Fregli.

- Non è che ti hanno seguita?

- Ma no, davvero, è andato tutto bene, credimi Andrea.

- Hai avuto paura?

- No, per niente, anzi, non mi sembrava neanche che fossi io a fare quelle cose, era come vedere un film con me protagonista, insomma, io guidavo, ma era come se mi vedessi guidare, da un’altra parte.

- Ah, sì, è una sensazione che conosco.

- Senti, devo dirti ancora una cosa.

- Cosa?

- Non sapevo se dirtelo o meno, poi ho deciso di sì. L’altro giorno Clara mi ha mostrato un documento dei dissidenti, c’era la firma di Agnese.

- Di Agnese?

- Sì, Agnese.

- Ah, è una dissidente?

- Sì.

- Ma sei sicura?

- Sì.

- Va be’, capito.

- Passi da me?

- Ma Clara?

- È andata via, non so dove, mi sa che ha paura che Fregli prenda provvedimenti contro di lei.

- Come provvedimenti?

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- Eh, insomma, se non andavo io cosa succedeva? Lei non poteva comunicare, Cohen non avrebbe trovato nessuno.

- Sì, capisco, ma mica è una setta, al limite non le faranno fare più nulla.

- Ma non è solo questo, Andrea, lì hanno tutti paura, Clara era stata raccomandata a Fregli da Victor, e poi c’è la storia di Marco. Insomma, secondo me potrebbero pensare male.

- Ma no, che c’entra Marco, anche se la pensa diversamente, mica vuol dire nulla.

- Va be’, speriamo, Andrea. Allora, passi da me?

- Va bene, dai, mangio un boccone e ci vediamo dopo.

- Ok, ti aspetto, ciao.

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Andrea va da Ester, passano la notte insieme. Clara non torna a casa, Marco chiama per avere notizie ma non si sa dove sia.

Fregli non ha parlato male di Ricchetti a Cohen, al contrario ha elogiato moltissimo Galder. Spera che facendo così si possa pensare che sia tutta una finta per screditarlo. Intanto la campagna elettorale è monotematica, si parla quasi esclusivamente di Ricchetti.

Passano due giorni e ancora nessuna notizia di Clara. Ester incomincia ad aver paura che le sia successo qualcosa, chiama Victor il quale le dice che, anche lui, non ha notizie. Si sono sentiti la sera dell’incontro con Cohen, lui l’ha rassicurata, le ha detto che l’importante è che qualcuno sia andato per accompagnare Cohen, che si sarebbero dovuti sentire all’indomani e che lei non ha chiamato.

Ester va a casa di Clara ma non la trova. Chiama tutti i suoi amici, nessuno ha sue notizie.

- Non so più cosa fare, Andrea.

- La cosa strana è che ha chiamato pure Marco.

- Perché?

- Be’, ci sono due fazioni, no? Da una parte noi e Victor e i suoi amici, e nessuno sa nulla. Se dovessimo pensare che le sia successo qualcosa di male o che se ne sia andata da qualche parte, penseremmo a Marco, ma Marco ci ha chiamati per avere sue notizie.

- E quindi, Andrea?

- Quindi considerando che dubito che sia andata sotto a una macchina, o Marco ha mentito per non far pensare a lui o lei si è stufata di tutti ed è partita per chissà dove.

- Fosse partita me l’avrebbe detto, non ti pare?

- Va be’, dopo che non è andata all’appuntamento con Cohen magari si vergognava o era arrabbiata con se stessa, chi lo sa.

- Non è un’irresponsabile e poi sa quanto sia importante in questo momento avere sempre notizie l’uno degli altri.

- Allora Marco mente.

- Certo che così non mi rassicuri tanto, Andrea.

- Be’, sto solo cercando di ragionare, Ester, cosa può esserle successo, scusa? Se avesse avuto un incidente l’avremmo saputo, e

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tu dici che non sarebbe mai andata via senza avvertire. Rimane solo Marco, credo.

- Andiamo da lui.

- Aspetta, non così. Pensiamo bene come fare. Magari parliamone anche a Victor, prima.

- Sì, hai ragione.

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Victor dice che ha chiesto informazioni su di Marco e che non risulta nessun collegamento coi Nove, l’ipotesi che Clara sia con lui potrebbe non essere legata a loro, magari è solo una fuga per amore. Quando hanno parlato di lui lei gli ha detto che sì, aveva dei sospetti, ma che l’unica certezza era che è innamorata. Amore di cui in parte si vergogna perché non si sente creduta e in parte neanche ricambiata. E poi a che pro i Nove avrebbero dovuto prendere Clara? Lei sa poco, non ha nessun indirizzo, non conosce i piani, se non superficialmente. Inoltre ormai i Nove sanno quasi tutto, sanno di Fregli e i loro intenti sono di diffamarli più che di fermarli. Cercano di farli sembrare dei pazzi, credono che siano inoffensivi, non avrebbero alcun motivo per rapire uno di loro. È ormai una guerra a viso aperto e i mezzi utilizzati sono quelli delle parole, non della violenza.

Ester la pensa diversamente. Andrea cerca di convincerla, le dice che le parole di Victor sono più che logiche, che i Nove non hanno nessun motivo per far del male a Clara, che se avessero voluto prendersela con qualcuno sarebbe stata lei il bersaglio, lei poteva essere tranquillamente seguita mentre accompagnava Cohen da Fregli e così non è stato ma questo invece di tranquillizzare Ester le fa ancor più pensare che siamo tutti in pericolo.

- E poi, Andrea, tu parli perché non hai nessun legame con Fregli.

- Cosa vuol dire?

- Che tu non ci sei in mezzo, sono io che rischio.

- E cosa c’entra, scusa? Sono io che ti ho detto di andare all’appuntamento con Cohen? Sono io che ti ho detto di ospitare Clara?

- Vedi che dici anche tu che sono in pericolo, Andrea?

- Non ho detto affatto questo, dico solo che se ti sei messa con Fregli non è certo a causa mia.

- Sì, e come al solito tu ti sei ben guardato dallo schierarti.

- Eh? E cosa avrei dovuto fare io?

- Niente, per carità, tu non devi mai fare nulla.

- Senti, adesso perché te la prendi con me? Giusto per sapere, eh.

- Certo, tu sei sempre innocente vero?

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- Non ho detto questo, dico solo che questa volta non ho fatto proprio nulla, o è colpa mia se Clara è sparita?

- È inutile parlare con te, tanto giri sempre il discorso come vuoi tu.

- Io? Ma scusa, siamo partiti chiedendoci dove fosse finita Clara; Victor ha detto che dubita fortemente che i Nove c’entrino qualcosa, poi di colpo siamo finiti col dire che io non prendo mai posizioni su nulla, mi spieghi cosa c’entra?

- C’entra. Tu sei sempre ai lati delle cose.

- Non ti capisco proprio, Ester, davvero.

- Ecco, questa è la classica fine di ogni nostra discussione “io non ti capisco proprio, sai”.

- Be’, evidentemente non ti capisco mai.

- Evidentemente non ti sforzi mai di capirmi.

- Ester, dimmi tu, allora, cosa devo capire adesso? Che sto sempre ai margini delle cose? Che non sono un eroe, che non ho detto che morirei per i dissidenti? È così, infatti, e ti dirò di più se proprio vuoi saperlo, a me, dei dissidenti, di Fregli, di Victor, di Blinz che è morto, di Cohen, di vattelapesca, non me ne frega proprio un cazzo. Adesso ti è chiaro?

- Certo, grazie, chiarissimo, ma guarda che lo sapevo già come sei fatto, sai?

- Sì, vero, ma stai con me perché ti ho obbligata con una pistola, vero?

- No, me non mi hai mai obbligata a fare nulla.

- Vai a fan culo, Ester, di cuore.

- Scusa.

- Fai una cosa, per te e per me, vuoi? Sparisci dalla mia vita e non cercarmi mai più, ok?

- Ti ho chiesto scusa, Andrea.

- Anzi, fai una cosa, se è ancora vivo, cerca Mario, ok? Magari con lui ti va bene di essere obbligata a fare qualcosa, ok?

- Senti, ti ho chiesto scusa, smettila, adesso però non esagerare.

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- Ok, grazie per le scuse, adesso esci da casa mia, dico sul serio Ester, e non cercarmi mai più. Sei come tutti, non capisci un cazzo.

- Smettila, Andrea, lo sai che non è così.

- Vai a fare in culo, Ester, vattene, mi hai rotto i coglioni, sei solo tu quella brava, quella che ha coraggio e fa l’eroina per i Nove, quella che affronta i problemi di coppia. “Problemi di coppia”, già la frase mi fa schifo. Ester, fammi un piacere, vattene.

- Ma dai, adesso calmati, Andrea non fare così.

- Vattene, come te lo devo dire, mi fai schifo, mi fanno schifo quelli come te, mi fate schifo tutti, tu, Victor, Fregli, Clara, tutti, capito? Andate a fare in culo e restateci.

- Vado, non ti preoccupare, non ti cerco più, resta solo, visto che odi tutti, che sei l’unico grande genio del mondo, che nessuno ti merita, ciao, e se ti passa cercati uno psichiatra ma non tornare da me, imbecille che non sei altro.

- Ok, ciao.

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Ester esce, prende l’auto, torna a casa. Andrea accende lo schermo, prende del liquore, si siede sul divano e beve.

Quella non sa un cazzo di me. Sempre il solito discorso, quando non ci sono problemi sono la persona migliore del mondo, e quanto amore riesco a darle, poi, appena si agita per qualche stronzata ecco che divento il mostro menefreghista che se ne fotte dei mali del mondo. E poi a me che cazzo me ne frega di Fregli, di Victor, dei dissidenti e dei Nove? Che cazzo me ne frega a me di quelli? Che cosa contano, quelli? Che cosa cambia? Sono uguali, ognuno con le proprie ideologie, ognuno a caccia di potere, ognuno che si sente nel giusto, in questo cazzo di mondo. Come se cambiasse qualcosa, come se Fregli fosse diverso da uno dei Nove. È forse morto in guerra? No, contro le sue idee è andato con Blinz, sapendo che avrebbe vinto, esattamente come hanno fatto i Nove. E Ester che si sente tanto brava e buona a fare un’azione tanto rischiosa come andare a prendere un coglione e portarlo da un altro coglione. Senza sapere, la cretina, che lo fa solo per sentirsi tanto buona e utile alla causa, che poi neanche a lei gliene frega un cazzo dei Nove e dei dissidenti. Da Mario, con Mario, ecco cos’è veramente Ester, altro che balle. Per poi dire a me di essere completamente me stesso a letto. Certo, così almeno può sentirsi la troia che è, ipocrita che non è altro. Stronza e ipocrita che non è altro. E vaffanculo a lei, chi cazzo l’ha cercata? Chi ha detto di ricominciare, io forse? E non lo sapeva che sono menefreghista, che non me ne frega un cazzo del mondo? Povera stronza ipocrita borghese. Quanti cazzo di anni siamo stati insieme, sempre a fingere per il bene comune, no, non per il bene comune, per il benessere comune, per il non andare a fondo mai, per divertirci e scambiarci amore, solo amore, che palle, come glielo devo dire che l’amore è la cosa più sopravvalutata che ci sia? E no, bisogna dirci che ci diamo amore, e poi magari a letto lasciasi andare a quello che realmente siamo, dei cazzo di primate in giacca e cravatta, ecco quello che siamo. Ma no, io sono il mostro perché non dico quello che bisognerebbe dire, non faccio quello che bisognerebbe fare, per non parlare di Agnese. E poi lei che cazzo ne sa di Agnese, eh, che cazzo ne sai, tu, Ester, eh? Mi hai mai chiesto realmente nulla? Volevi solo che ti dicessi le cose che volevi sentire, per potermi perdonare, per capirmi, per pensare che non sono un mostro ma solo uno che ha sbagliato. Che cazzo ne sai, Ester dei miei coglioni, di quello che c’è stato tra me e Agnese, eh? Meglio non sapere, meglio separare, tanto separiamo tutto da quando siamo nati, ebrei che non siamo altro, no? E anche le persone, separiamole bene, separiamo quello che hanno di male da quello che hanno di bene, poi a seconda di quello che proviamo per quella persona, dimentichiamoci di una delle due parti. E se mi ami sono buono, se hai dei problemi, se Clara scompare per farsi scopare da uno dei Nove, allora sono una bestia. Ma vai a fare in culo una volta per tutte, cazzo di ipocrita che non sei altro, Ester, e restaci, questa volta, non aspettare di cambiare stato d’animo per dimenticare quello che sono, per non ricordarti di Agnese e del marcio del mondo, cretina. Come

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se non fosse la direzione, quella che conta. E vai a studiare la Torà meglio di come hai fatto da bambina, magari ti accorgi delle stronzate che mi hai detto e della tua vita da ipocrita che conduci, idiota. Ma vaffanculo davvero tu e la tua incapacità di ammettere che con Mario ci sei andata per capire chi realmente sei, al posto che tante balle, ma poi no, devi avere un rapporto nella media, un uomo nella norma, magari che la pensi diversamente dagli altri, certo, che sia splendidamente alternativo, che sia contro, ma sempre nei limiti del buon gusto, sempre nei limiti imposti dalla morale di altre persone, che cazzo, se no sei indecente, se no sei un mostro, no? E tu chi cazzo credi di essere, Ester, coi tuoi pianti e le tue azioni a favore dei dissidenti, eh? E poi dici che ti sembrava di essere in un film, tu sei sempre in un film, idiota che non sei altro, e appena ci esci non capisci più nulla, e certo, perché se la trama è scritta da altri allora farà anche schifo, ma che rischio c’è nel viverla, eh? Vai, torna a casa, è meglio, qui non ci sono film, qui non c’è un cazzo di niente, stronza.

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Il giorno dopo Clara telefona a Ester, le dice che aveva bisogno di stare da sola, che le dispiace non aver detto nulla ma che proprio non ce la faceva, si sentiva una stupida per non essere andata all’appuntamento con Fregli, che va tutto male, che Marco non la vuole e non perché è coi Nove, ma semplicemente perché non gliene frega nulla di lei, che è sempre la solita, che si fa illusioni, che crede che Victor abbia bisogno di lei, ma che poi va benissimo, e giustamente, se a compiere le azioni sono altri, che è una codarda, che non riusciva a dormire al pensiero di essere seguita dai Nove, che ha anteposto la sua persona alla causa, che Marco ha ragione a disprezzare una come lei, che non vale nulla. Ester le ha detto: “torna a casa mia, ti aspetto, non dire stupidaggini”.

- Clara, mi sono preoccupata da morire, ho chiamato mezzo mondo, non sapevamo più a cosa pensare.

- Sono passata da Marco, prima di venire qui.

- E com’è andata?

- Vado a vivere da lui.

- Cosa? Ma è splendido, avete fatto pace?

- Sì.

- E cosa dice dei Nove e di tutto il resto?

- Niente, ho detto tutto io.

- Non capisco.

- Non ne voglio sapere più nulla di nulla.

- Ma cosa dici, Clara?

- Dico che mi sono stufata, avevi ragione tu quando dicevi che in fondo non cambierebbe nulla, non cambierà nulla comunque vadano le cose e allora perché diavolo dovrei rimetterci Marco, io?

- Ma dai, io mica dicevo, ma insomma, sei impazzita? Lo sai benissimo cosa dicevo, Clara, dicevo da un punto di vista pratico...

- Appunto, Ester.

- Appunto un corno, dicevo che da un punto di vista meramente pratico potrebbe, e non ne sono più tanto sicura, cambiare poco, ma quello che è giusto è giusto, e poi tu sei una dissidente, tu ci credi, che diamine, sei tu che mi hai aperto gli occhi, Clara.

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- Bene, questi occhi aperti a me hanno causato solo delusioni, mi sono stufata, Ester, basta Victor, basta Fregli, basta lotta ai Nove, basta tutto, voglio stare con Marco, io.

- E va be’, stai con Marco, ma mica devi rinnegare tutto, scusa.

- Be’, sì, lui dice che sono tutte cazzate, lo sai.

- Ma che c’entra? Mica devi pensare come lui, no? Mi sembri inebetita, Clara, ti rendi conto di quello che stai dicendo?

- Senti, sono solo passata per salutarti, mi dispiace che tu ti sia preoccupata per me, davvero.

- Ma no, aspetta, parliamo, Clara.

- Devo andare, scusami, Ester, davvero, adesso sto molto meglio, l’hai visto anche tu, quella vita non fa per me, non sono neanche riuscita ad andare all’appuntamento con Cohen.

- Appunto, Clara, aspetta dai, parli così perché sei delusa, che diamine, non puoi mollare tutto e scappare da Marco e rinnegare...

- Non rinnego nulla, dico solo che con Marco sono felice e senza faccio solo disastri.

- Ma cosa dici, Clara, smettila.

- Adesso vado, dai, magari ci sentiamo nei prossimi giorni.

- Come vuoi, ma davvero non mi sembra il caso di...

- Per piacere, Ester, lasciami andare, adesso.

- Come vuoi, ma ti chiamo nei prossimi giorni, va bene?

- Sì, va bene, ciao.

Clara esce, Ester d’istinto prende il telefono per chiamare Andrea, poi si ferma, va in cucina, fuori piove, si siede, guarda le gocce cadere sulla finestra, si mette a piangere, si alza, va in salotto, chiama i genitori, non rispondono, accende lo schermo, c’è Ricchetti che parla di quando aveva messo il mondo in guardia dalle possibili e imminenti catastrofi ambientali, spegne, cerca il numero di Mario, lo trova, lo chiama.

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Capitolo otto

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I sondaggi danno Ricchetti favorito. Le persone vedono in lui quello che aveva cercato di salvare il mondo dalla crisi ecologica. In più Ricchetti è un ottimo oratore, va nelle piazze, parla con la gente, dispensa sorrisi rassicuranti. Porterà avanti il progetto Nefòs, apportando solo piccole modifiche per migliorare il tenore di vita di tutti. E poi un occhio di riguardo alle condizioni del mondo, affinché mai più sia necessaria una guerra. Insomma, benessere per tutti, per tutti diritti, per tutti felicità. Galder ha i toni più pacati, vuole riformare il progetto di Blinz, crede che i numeri vogliono dire poco, pensa che ci sia bisogno di una nuova riforma. Inizialmente aveva pensato di riportare a galla il perché delle prime uscite di Fregli, ma i suoi collaboratori glielo hanno sconsigliato, inutile far pensare a collegamenti coi dissidenti. Meglio tenersene fuori, inutile rischiare di perdere i voti dei filo-governativi.

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Il giorno dopo Daniele chiama Andrea per invitarlo a cena. Alle nove di sera c’è un discorso di Cohen in diretta e così possono vederlo insieme. Andrea è ben felice di non restare solo a casa, dopo il litigio con Ester non ne ha davvero voglia.

- Allora, come va con Ester?

- Mah, più o meno, e Rosalba?

- È andata alla solita cena con le solite amiche.

- Ah, capisco.

- Ti sei mica fatto prendere dai discorsi di Fregli, eh, Andrea?

- Tu immagino di no, eh, Daniele.

- Ecco, ci hai creduto. Sei sempre il solito, a tredici anni in cosa credevi? Ah, sì, nel ritorno del maoismo.

- Ma no, quello era a dodici, a tredici pensavo di avere un fratello intelligente, ma poi per fortuna è passato in fretta.

- Molto spiritoso. Ho saputo di Marco e Clara, per questo chiedevo.

- Ah, e cosa hai saputo?

- Che Clara credeva nei sovversivi e in quelle menate lì, poi per fortuna Marco l’ha fatta ravvedere.

- Clara credeva nei sovversivi?

- Sì, così mi ha detto Marco.

- Ah, io la sapevo diversamente.

- E come.

- Bah, adesso fa nulla, Daniele, tanto come dici tu, Marco l’ha ravveduta, no?

- Sì, l’importante è quello.

- E voterai per Ricchetti, immagino.

- Be’, certo, l’altro vuole stravolgere tutto l’operato di Blinz, l’hai sentito? Dice che non è tanto sicuro dell’efficacia del progetto Nefòs.

- Tu sì, invece, e hai anche preso un bel voto.

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- Ah, vorrai mica votare Galder perché hai preso meno centoventi?

- Non so ancora per chi votare, Daniele, e poi credo sia ininfluente, i sondaggi danno Ricchetti sicuramente vincitore, no?

- Sì, mi sembra logico, Nefòs è piaciuto a tutti, Ricchetti ha fatto intendere che non cambierà quasi nulla.

- Sì, quasi. Bisogna vedere cosa vuol dire quel quasi.

- Ma no, di che ti preoccupi, ha detto che porterà piccole modifiche per il bene di tutti, mica solo di pochi.

- Va be’, Daniele, vedremo.

- Inizia il discorso.

- Ok, sentiamo le illuminanti verità.

Buon giorno, abbiamo deciso, in comune accordo con il signor Ricchetti e il signor Galder, di dichiararvi quanto segue.

Dopo i discorsi che il signor Fregli ha fatto, seppur non avendo alcuna autorizzazione, la popolazione, o meglio, una piccola parte di essa, ha avuto una reazione negativa perdendo fiducia nelle istituzioni. A seguito di questo, oltre a ricercare Ricchetti per interrogarlo, ricerche fino a questo momento vane poiché è irreperibile, abbiamo deciso di pubblicare il nome dei deceduti in guerra. Questi nomi provengono da Nefòs stesso e sono, quindi, impossibili da modificare o alterare. Tra questi nomi, come potrete vedere, ci sono anche quelli dei nove aspiranti capo del governo. Questo per dimostrare l’infondatezza delle parole del signor Fregli e per ridare la giusta tranquillità alle poche persone che hanno avuto dubbi sulla nostra gestione governativa e addirittura sulla perfetta legalità della guerra. Questo è un periodo importante per noi tutti, le elezioni dovranno avvenire in un clima di sicurezza per tutti e, con questo elenco, vogliamo rassicurare e dare certezza che questo avverrà.

Domani ci saranno i due discorsi conclusivi di Ricchetti e di Galder che concluderanno la campagna elettorale e lunedì prossimo, un’ora dopo il voto saremo in grado di dirvi il nome del nostro nuovo governatore. Raccomando tutti voi di votare e vi auguro un fine settimana che possa portarvi la necessaria tranquillità per votare la persona che meglio credete che possa rappresentarci. Un saluto a tutti voi.

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- Allora Andrea, cosa dicevi su Fregli?

- Io per la verità non ho detto nulla mi sembra, e comunque sai che belle parole quelle di Cohen.

- Be’, ha dato le prove che sono tutte cazzate e che Fregli è minimo un mitomane, se non peggio.

- Bah, sarà come dici tu, ma non capisco che bisogno c’era di queste prove, no?

- Lo ha detto, è stato molto chiaro, per quella piccola parte di popolazione che si è fatta influenzare da Fregli, no?

- Sarà come dici tu, Daniele.

Ester chiama Andrea al telefono, gli dice che sta male, che è andata a casa sua e che non lo ha trovato, se può passare da lei, Andrea dice di no, che è da suo fratello, che tanto non hanno più nulla da dirsi, ma Ester insiste e lui decide di andare.

- Ma sta male?

- Ma no, Daniele, è solo un po’ stressata, in questo periodo.

- Sicuro?

- Sì, certo, non ti preoccupare.

- Avete di nuovo litigato, eh.

- Ma no, le solite cose, senti, scusami per la cena, ti chiamo domani e magari combiniamo per un altro giorno, va bene?

- Sì, non ti preoccupare, Andrea, ci sentiamo domani, salutami Ester, va bene?

- Certo, scusami ancora, ciao.

Si sente stupido, in auto, mentre va da Ester. “Appena ha bisogno ecco che accorro, mica scema la ragazza, e poi sta male, voglio proprio vedere come sta male”, pensa. Ma quando arriva la vede con il viso pieno di contusioni.

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- Ma cosa ti è successo?

- Sono andata da Mario.

- Da Mario? Ma quando?

- Ieri.

- E perché?

- Non lo so, Andrea, Clara è impazzita, è passata a trovarmi e mi ha detto che sta con Marco, che rinnega i dissidenti.

- E quindi hai preso e sei andata da Mario?

- Ma no, non è così. Io volevo anche chiamarti. Solo che non aveva senso, il fatto è che non c’è nulla che ha un senso. Dopo la guerra è successo qualcosa, non so cosa, ma tutto quello che prima sembrava avere una logica adesso non ne ha più. È tutto così semplice, in teoria, e in pratica tutto diventa impossibile, anche stare con te, Andrea.

- Ma ‘ste cose in faccia te le ha fatte con il tuo consenso?

- Più o meno.

- Che vuol dire?

- Che no, le ha fatte senza il mio consenso, ma adesso non ti arrabbiare, Andrea, per piacere, è solo una stupidaggine.

- Non ci capisco più niente, Ester.

- Neanche io. Davvero, proprio nulla. Anche Clara, e poi hai sentito la dichiarazione di Cohen? Se fosse tutto davvero falso? Se Fregli fosse davvero uno squilibrato o uno con chissà quali motivi per mentire, che ne sappiamo in fondo?

- Ma no, non credo. Cohen ha detto che sono dati impossibili da modificare, e così si è dichiarato complice. Sono dati facilmente modificabili e lui lo sa benissimo.

- Ah. Be’, questo mi fa piacere, almeno Fregli non è una cosa falsa.

- Fatti guardare il viso, vieni qua. Ma com’è successo?

- Lasciamo stare, dai, non mi va di parlarne.

- Avete fatto sesso?

- No.

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- Sicura?

- Sì.

- Io non so, sai, perché sei finita con Mario, non so neanche come mai ci sei finita dopo di me.

- Perché?

- Senti, non sono scemo, dovresti saperlo, quindi smettiamola con ‘ste storie che volevi annullarti e basta, non dico che non ci fosse anche quello, per carità, ma non sono stupido, Ester.

- Tu non mi hai mai voluto dire nulla di Agnese, Andrea.

- Non è che non ti ho mai voluto dire nulla, è che non ho mai detto nulla a nessuno. Sai, a volte ho pure pensato a come potevi stare con uno come me, no, non come me, a uno di cui dicono le cose che dicono di me.

- A me non importa nulla di quello che dicono o di quello che hanno detto, Andrea, e lo sai bene.

- Sì, però è diverso, mai avuto nessuna paura, mai davvero?

- Paura no, a dire il vero all’inizio avevo dei pensieri, ma non era paura, semplicemente avrei voluto conoscere ogni tuo aspetto, anche quello che celavi.

- Non lo so. E poi il nostro modo di fare sesso ultimamente, a volte sembrava che fosse una prova.

- In che senso?

- Nel senso che mi è sembrato, talvolta, che lo facessi per me, per dirmi “guarda, puoi darmi tutto”.

- Sì, e cosa c’è di male?

- Che è un mito quello di dare tutto, Ester. Tutto non esiste, siamo esseri dinamici, non statici, e il caos da cui nasciamo non è il caos in cui siamo adesso. Non esiste il tutto, esiste solo la direzione che gli diamo.

- Può darsi, ma allora quello che eri non sei più, così si giustifica tutto, non trovi?

- Si comprende tutto, è diverso dal giustificarlo, credo. E comunque continuiamo a fare discorsi inutili.

- E perché, scusa?

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- Perché alla base mettiamo l’amore, non il legame. L’amore credo sia la cosa più sopravvalutata del mondo, te l’ho detto mille volte, diventa una cosa in cui metterci tutto quello che realmente conta.

- Mica ti capisco, Andrea.

- Diamo il nome amore a cose che non sono amore, per elevarle. Io credo sia molto più importante il legame, di qualunque natura sia. Se uno si sente legato a un’altra persona allora tende a dire che l’ama, ma mica è detto, e soprattutto, conta poco.

- Mah, tu devi fare sempre e a tutti i costi l’originale.

- Ah, sì, con quella faccia contusa mi sa che l’originale sei tu.

- Smettila, per piacere.

- Tu litighi con me, prendi e vai da Mario, Ester.

- Non è andata propriamente così.

- Ah, no, e come è andata, scusa?

- Va be’, tu riduci tutto a una reazione, invece non è così.

- E com’è?

- È che non ci capisco nulla e ti avevo chiamato per stare meglio, non per farmi insultare, Andrea, ma al solito non ne sei capace, grazie tante.

- E chi t’insulta? Dico solo che dopo che ci siamo lasciati la prima volta ti sei messa con Mario, adesso litighiamo, vai da Mario, poi mi chiami e ti ritrovo con la faccia contusa. Questo ho detto, sei tu che ti metti sulla difensiva.

- Va bene, non dovevo chiamarti, scusa tanto, meglio se vai, adesso.

- Come credi, però fammi un piacere, la prossima volta che il tuo amichetto ti mena, fai a meno ti chiamarmi, ok?

- Ah, vero, scusa, proprio tu che le donne non le tocchi neanche con un dito, non volevo urtare la tua sensibilità con il mio viso, scusa.

- E va be’, ciao.

- Dai, aspetta.

- Ciao.

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L’affluenza per le votazioni è stata del novantadue per cento, il risultato, come previsto, è che Ricchetti è il nuovo governatore unico.

Fregli non è più apparso in video, Ester non ha più sentito Clara e decide di chiamare Victor per avere notizie. Fregli, saputo il risultato dell’elezione, ha deciso di costituire un partito para statale contro il governo. Per fare questo ha convocato tutti i collaboratori più stretti, ognuno dei quali dovrà organizzare dei gruppi di sostegno contro Ricchetti per riuscire a prendere il potere. Victor non è più riuscito a mettersi in contatto con Clara e chiede a Ester se vuole accompagnarlo alla riunione. Ester gli dice che ha bisogno di un giorno per pensarci.

La preoccupazione di Ester è che se prima i dissidenti volevano semplicemente far sapere la verità alla popolazione. Adesso, non avendo avuto riscontro e vedendo che il governatore di fatto è uno dei Nove, vogliono passare alle maniere forti. Le parole “prendere il potere” le fanno pensare che presto ci sarà una vera e propria guerra. E se davvero sarà così un conto è essere a favore dei dissidenti, altro è diventare una militante. Fino a che si trattava di accompagnare Cohen da Fregli la cosa non l’aveva allarmata, ma adesso la situazione sta diventando molto più complessa e rischiosa.

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Per la prima volta alcuni conduttori dichiarano i propri dubbi nei confronti del governo. Fregli è riuscito, almeno in parte, a far credere alla possibilità che non tutto è come sembra. La rete ventuno fa un vero e proprio sondaggio, vuole sapere il livello di credibilità che Ricchetti ha con la popolazione, domanda se qualcosa è cambiato con la morte di Blinz, se tutti sono sicuri dell’operato del governo, se davvero esiste la possibilità che la teoria di Fregli abbia fondamento, e soprattutto, chiede che motivo avrebbe per diffondere le sue notizie, se fossero false.

È l’inizio di un nuovo periodo, Ricchetti, seppur vincendo, dà vita all’inizio delle due fazioni. Chi crede in lui e chi crede in Fregli. Galder, dopo l’esito del referendum, si è dimesso da ogni carica parlamentare. I suoi elettori hanno interpretato le sue dimissioni come una chiara ammissione della veridicità della tesi di Fregli.

Nel frattempo Victor ha un numero crescente di persone che lo seguono. Ester, prima di decidere se sostituirsi a Clara, vuole parlarne ad Andrea, il quale, però, non si fa trovare, non risponde al telefono, e quando lei passa a casa sua, finge di non esserci.

Andrea non vuole sapere nulla del governo e nulla di Fregli, nulla di Ester, di suo fratello, di Victor. Vorrebbe solo restare a casa se non per andare al lavoro. Accende lo schermo, contatti bloccati. Cerca un film, si siede sul divano, lo guarda per qualche minuto, poi chiude gli occhi e si addormenta.

Si sveglia che è notte, si alza e vorrebbe avere ancora sonno. Decide di prendere l’auto, di andare dove capita, magari a bere in un locale, o solo a zonzo, senza nessuna meta.

Incomincia a piovere, Andrea guida distratto, inforca la statale e si dirige verso il suo vecchio quartiere, ha male alla testa, vorrebbe restare in auto così, senza arrivare da nessuna parte. Pochi minuti dopo, però, vede un locale e decide di fermarsi.

Entra, la musica è forte, si guarda in giro, l’età media è decisamente inferiore alla sua. Va a ordinare un alcolico, prende il bicchiere, si gira; Agnese è a due metri da lui. La vede e se ne va, velocemente, riprende l’auto e poco dopo, senza aver pensato più a nulla, si ritrova davanti a casa di Ester.

- Ciao, sono io, fammi entrare.

- Ei, cosa ti è successo, sono giorni che ti cerco.

- Avevo bisogno di stare da solo, Ester, a te capita mai?

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- Sì, ma non ti arrabbiare, adesso, sono le tre di notte, sei tu che sei venuto a casa mia, eh.

- Sì, scusami, hai ragione, meglio che vada via, dai.

- Ma no, dai, ma cosa ti è successo, Andrea.

- Ma niente, lascia stare.

- Ma come niente, Andrea, sono le tre di notte, arrivi così, a casa mia, con quella faccia stravolta.

- Non riuscivo a dormire.

- E poi?

- Niente, sono uscito, volevo fare un giro e mi sono ritrovato nel mio vecchio quartiere, c’era un locale e mi sono fermato per andare a bere qualcosa.

- Tutto qui?

- C’era Agnese, dentro.

- Ah. Le hai parlato?

- No, sono uscito ed eccomi qui.

- Capito, e adesso come stai?

- Non lo so, bene, credo.

- Senti, vuoi bere qualcosa?

- Magari un po’ d’acqua mi farebbe piacere.

- Ok, dai, aspetta, te la porto subito.

- Grazie, Ester. Scusami, mi sono comportato come un cretino l’altro giorno.

- Ma no, la scema sono stata io ad andare da Mario.

- Ma perché ci sei andata, cosa diavolo ci trovi in Mario, Ester, davvero non riesco a capirti.

- Facciamo un patto, vuoi?

- Cosa?

- Tu mi dici davvero, una volta per tutte, com’è andata con Agnese, io ti dico tutto di Mario, vuoi?

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- Mi sembra una cazzata.

- Dai, Andrea, sono passati anni, e poi cos’hai da perdere?

- Ok.

- Perfetto, poi io ti dico tutto di Mario.

- Me lo dirai un’altra volta, non stanotte, ok?

- Va bene Andrea, come preferisci.

- Allora inizio, tu cerca di non interrompere, e guarda, ringrazia che stasera l’ho vista.

- Sì, va bene, dai, inizia.

- Sì, ma tu ascolta in silenzio. La prima volta che ho visto Agnese ero nel viale dei tigli, quello vicino al centro, lei camminava con un ragazzo al suo fianco, al di là della strada; un altro, nel controviale, li vide insieme e scaraventò una bicicletta da corsa per terra. Lei gli andò incontro, mentre quello al suo fianco cambiò direzione e scomparve dietro a un palazzo. Era grigio, una brutta giornata di settembre, sembrava inverno, c’era un vento forte che le scompigliava i capelli. Il ragazzo con la bici da corsa per terra l’abbracciò, energicamente. Tra i due la differenza era evidente. Lui era plateale, lei si muoveva appena, sembrava il personaggio principale di un film, quando non è ancora noto e tu sai che lo diventerà perché ha qualcosa di diverso da tutti gli altri, forse non è neanche più bravo, è solo diverso, mentre tutti gli altri recitano, lui si limita a farsi vedere. Io stavo andando al giornale, nel controviale c’era un chiosco di un giornalaio, mi ero fermato per comperare delle riviste. Ero vestito con un completo di lino grigio estivo e avevo freddo. Io avevo trentasei anni, lei sembrava averne poco più di venti. In quei pochi secondi in cui la vidi dimenticai tutte le donne che conoscevo in quel periodo. Era bastato un attimo e il giornale, i colleghi, la colazione che avevo fatto quella mattina, le riviste appena comprate, tutto scomparve. Ricordo solo il vento nei tigli tra i suoi capelli, la sua espressione mentre camminava verso quel ragazzo con la bicicletta a terra, il modo in cui lei si faceva abbracciare. Era bellissima. Andai al giornale, non mi accorsi subito dell’importanza che quelle immagini avevano avuto per me, della gravità che si portavano appresso. Capita, talvolta, che quando compi un’azione ti sembra una delle tante, non sai che mille volte e mille ancora la ripeterai, nella tua mente, con sempre nuovi dettagli, dettagli senza alcuna importanza nel presente, dettagli che diventeranno i

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tuoi unici compagni per così tanto tempo. Comunque, andai al giornale e la giornata passò normalmente, avevo un articolo da finire sull’editing in Carver, ricordi l’infinita querelle sull’importanza dell’editing in Carver? Un insignificante “tre cartelle” da rivedere e correggere. Ricordo una battuta – anche questo è interessante, quando avviene qualcosa in grado di sconvolgerti la vita, oltre a quell’attimo ti ricordi per sempre anche della moltitudine di attimi insignificanti che lo circondano – di un mio collega: “l’editing per l’articolo sull’editing di Carver è più importante dell’articolo stesso?” Ricordo che sorrisi, gli chiesi come stava sua moglie, tornai alla mia scrivania e terminai l’articolo, lo consegnai, salutai i colleghi, uscii dal giornale, faceva freddo, avevo l’automobile parcheggiata a pochi metri, ricordo il sollievo che provai quando il condizionatore incominciò a darmi calore, ricordo che iniziò a piovere e che a pochi isolati da casa vidi per la seconda volta Agnese, sempre col ragazzo con la bici per terra, solo che questa volta camminavano rapidamente, lui con la bicicletta in una mano e con Agnese nell’altra. Sembravano felici, sotto le luci gialle del controviale coi tigli. Poi arrivai a casa, stanco, vivevo solo, mi tolsi la giacca, presi una birra fredda di frigo, mi sedetti sul divano. Pensai ad Agnese, alle due volte che la incontrai. Dovevo uscire quella sera, a casa di Daniele c’era una festa e ci andava Sabrina, una ragazza che avevo visto qualche volta, con cui avevo fatto sesso in modo piacevole, soddisfacente, senza troppo retrogusto. Ero stanco e decisi di non andare, la chiamai, lei mi disse se volevo che passasse da me, dopo, le dissi di no, che l’avrei chiamata il giorno dopo. Andai a letto e mi addormentai. Passarono diversi giorni prima di pensare nuovamente ad Agnese. Fu di nuovo per caso. Un collaboratore del giornale portò un articolo di moda, il suo redattore non c’era, era sera e doveva andare in stampa, dovevo, quindi, correggerlo io. Erano due cartelle, scritte senza infamia e senza lode, come andava di moda allora, con piglio asettico. Allegate c’erano due foto, una delle quali era di un capo di abbigliamento pubblicizzato nell’articolo e Agnese lo indossava. Feci chiamare il pubblicista, elogiai il suo articolo e gli chiesi da quanto tempo lavorava per noi. Mi rispose che era quasi un anno e che confidava di passare interno entro pochi mesi, che c’era un concorso, che aveva buone possibilità anche se continuavano a fargli scrivere sempre e solo di moda, argomento che non amava particolarmente. Lui avrebbe voluto scrivere di letteratura, come me. Cercai di fare il simpatico, gli dissi va be’, almeno scrivendo di moda puoi conoscere un sacco di modelle, e lo dissi indicando la foto. Lui si mise a ridere e mi rispose: “altro che modelle, qui non si batte un chiodo, cercano tutti quelli coi soldi quelle, e poi questa non è una modella, è mia sorella, è studentessa di

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lettere, si sta laureando e per fare qualche soldo si fa fotografare, sa, dopo un anno conosco un po’ tutti, non che guadagni molto e poi non le interessa certo, come carriera, anche se credo avrebbe tutte le possibilità, se volesse, non crede anche lei?” Sì, certo, assentii io. Non sapevo bene come fare per conoscerla, quello era il momento giusto, non volevo farmi scappare quell’opportunità. Senti – continuai – domani sera c’è una festa di redazione, sei stato invitato? No, rispose, sa, noi della moda non siamo molto ben visti. Lo disse ridacchiando, con fare di superiorità. In effetti quelli della moda erano visti malissimo, e a ragion veduta, in genere erano ragazzotti o signorine bene portati molto più al pettegolezzo che alla scrittura. Va be’, continuai, tu vuoi occuparti di letteratura, è bene che inizi a conoscere questa redazione, ti va di venirci? Rispose con un sì tra l’intimidito e l’entusiastico. Ti do un invito per due, hai una fidanzata da portare? Sai, saremo meno superficiali di quelli della moda, ma qui, purtroppo, anche l’apparenza ha la sua importanza, farsi vedere con una bella ragazza è un bel biglietto da visita. No, disse, sono single, da poco. Sì, capisco, dissi, allora potresti portare tua sorella, se si sta laureando in lettere magari le interessa, e così tu fai la figura del “tombeur de femmes”. Sorrise di un sorriso da maschio complice e accettò di buon grado. Gli diedi gli inviti e gli dissi il nome del locale dove si sarebbe svolta la festa. Poco dopo andai a casa, ero eccitatissimo all’idea che l’avrei vista. E poi in che circostanza. Lei sarebbe arrivata a una festa in cui non conosceva nessuno, di persone più vecchie di lei e che forse fanno un lavoro a cui lei ambiva, sola con un fratello che sicuramente mi avrebbe lodato, sarebbe arrivato a casa tutto felice e avrebbe detto: “oggi è andata benissimo, uno di letteratura ha visto il mio articolo, Agnese, e sai cosa, mi ha invitato a una festa che c’è tra due giorni, in cui ci sono tutti quelli della sua redazione, un tipo proprio simpatico, pensa che culo, mi ha dato due inviti, ha visto la tua foto e ha detto di portare anche te”. Lei avrebbe ribattuto: “sì, certo, mi ha vista in foto e ti ha invitato”, ma lui avrebbe negato “ma no, scema, mi ha detto di portare la mia fidanzata, gli ho detto che sono single, allora mi ha detto di portare te, figurati che gli frega a uno come lui di una come te, che cazzo, potrebbe essere tuo padre, e poi è uno di successo, sai quante può averne di ragazzine?”. Sarebbe andata così, ne ero sicuro. Lui me l’avrebbe portata, tronfio di ego e carico di aspettative.

- Bello stronzo, che sei, Andrea.

- Sì, va be’, vuoi che ti dica la verità, no?

- Certo.

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- E allora non commentare, grazie.

- Va bene, come non detto, continua, dai.

- Senti, davvero, non mi interrompere più, però.

- Scusa, va bene.

- Allora. Arrivò la sera della festa. Io pensai ad Agnese, al poco che sapevo di lei: si stava per laureare in letteratura, fratello pubblicista di cui avevo visto l’indirizzo al giornale, abitava in una traversa del viale dei tigli, quindi era sicuramente benestante. E poi era bella e austera e, come dicevo prima, sapeva di attore protagonista. Quindi avevo pensato al tipo. Non era certo la ragazza fighetta. Era il finto alternativo che c’era allora. Insomma, abiti costosi con la pretesa di apparire, appunto, alternativi a quelli dei ricchi senza gusto. Quindi il mio abbigliamento da giornalista era perfetto, pensavo. Giacca di velluto, camicia bella e discreta, jeans, scarpe inglesi. Non potevo non piacerle così, pensavo. Arrivai accompagnato da un collega verso le undici, volevo arrivare dopo di lei, lasciarla in un ambiente maldisposto, col fratello, volevo arrivare e salvarla dall’estraneità. Arrivai al locale e lei non c’era. Cercai ovunque ma nulla, non c’era traccia né sua né di suo fratello. Pensai a un contrattempo, di sicuro entrambi non si sarebbero persi la festa e altrettanto sicuramente non avrebbero potuto chiamarmi in caso di problemi, non avendo il mio numero, per avvisarmi. Niente, non c’era, non l’avrei vista mai più, pensavo, e lei arrivò. Era sorridente, parlava col fratello, era raggiante. Io cercai una collega per parlare e per farmi vedere in buona compagnia. Il fratello, Riccardo, arrivò e mi salutò, lei rimase indietro. Io mi avvicinai a lui, ricambiai il saluto e gli chiesi se voleva bere qualcosa. Annuì e finalmente mi presentò Agnese. La musica era troppo forte per fare conversazione, li accompagnai al bar, prendemmo da bere, e li invitai a sedersi su di un divanetto che mi avevano riservato. Parlammo di giornalismo, lui lasciava poco spazio ad Agnese, e lei non faceva nulla per procurarsene, anzi, sembrava ben lieta di non dover parlare molto. Le uniche parole che disse fu quando parlammo del liceo che avevamo frequentato, tutti e tre lo stesso, qualche professore in comune, nonostante i quasi quindici anni che ci separavano. Agnese aveva un linguaggio esattamente come l’avevo immaginato, parole forbite, frasi corrette, ogni tanto espressioni pretenziose e desuete. Riccardo parlò dei suoi progetti, del suo modo di vedere il giornalismo, delle sue aspettative: sarebbe certamente diventato un “interno“ del giornale, ma il suo obiettivo era lavorare nella mia redazione, come primo passo, e continuare

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quello che adesso faceva per passione, scrivere romanzi. Gli dissi che per me era diverso, che io trovavo molto più interessante il leggere che lo scrivere, che fare il giornalista per me era il male minore, che forse avrei preferito l’insegnamento, che, insomma, mi ero trovato a fare quel lavoro quasi per caso. Gli presentai qualche collega e gli dissi che se avesse voluto, poteva portarmi, settimana prossima, qualche suo piccolo saggio su alcuni romanzi. Mi dissi che era ben felice di farlo e mi ringraziò tantissimo, ai limiti della commozione. Insomma, avevo fatto colpo su di lui e per nulla su di lei. Avevo provato a incrociare con finto distacco lo sguardo di Agnese numerose volte e non avevo trovato alcuna risposta. L’unica mia possibilità, quindi, era di insistere su di lui, cercare di creare una sorta di legame lavorativo per avere qualche possibilità di rivedere lei. Questo mi portava a creargli delle aspettative, pensai, ma in fin dei conti lui di stoffa ne aveva veramente, quindi ero quasi a posto con la coscienza. Lo avrei realmente aiutato, continuavo a dirmi, e se questo per me voleva dire arrivare a lei, be’, l’altruismo è l’incontro di due egoismi, dopo tutto.

- Sì, questo lo hai detto anche a me un milione di volte, e non sono affatto d’accordo, lo sai bene.

- Sì, ma adesso conta poco, no?

- Sì, scusa, dai, vai avanti.

- E poi escludi i giudizi morali, per piacere, se no lasciamo perdere tutto, che cazzo. Sai bene dove voglio arrivare, come diavolo fai a fermarmi per queste cose che sono solo inezie, Ester?

- Sì, dai, te l’ho detto, hai ragione, sto zitta, aspetta solo un attimo che prendo un bicchiere d’acqua, ne vuoi ancora?

- Sì, grazie.

- I giorni dopo furono un inferno. Pensavo sempre e solamente ad Agnese. Me la immaginavo nel viale dei tigli, mentre sorrideva ai suoi amici, poi nel locale, con suo fratello. Fantasticavo di me e di lei. La vedevo ridere con me, parlare, ci vedevo mentre andavamo in vacanza, a cena con colleghi, al mare, in spiaggia, io l’aspettavo annoiato, lei arrivava, e poi a casa mia. Per un po’ ho voluto non pensarla nuda, poi non ce l’ho fatta e l’ho spogliata. Agnese era veramente bella, descriverla fisicamente non rende l’idea, bruna, capelli lisci, alta uno e settanta, un bel corpo, gli occhi scuri. Insomma, così sembra una ragazza come tante, mediterranea, ma a vederla si vedeva che non è così, almeno non solo così. Sembrava non appartenere a una categoria di donna, non

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so come dirti. Quando l’immaginavo, se pensavo al suo corpo veniva fuori qualcosa di simile a lei, ma che le somigliava poco; e se invece non pensavo alle sue sembianze, magari cercando di ricordare solo lo sguardo o neanche quello, allora non vedevo più viso o seno o occhi, non vedevo nulla di fisico, ma quel che appariva era assolutamente lei. Difficile da spiegare, ma era ed è ancora così.

- Come è ancora così? Pensi ancora ad Agnese?

- Sì. Hai detto che non mi avresti più interrotto, no?

- Ok.

- La settimana seguente Riccardo venne in redazione con gli scritti che gli avevo chiesto. Lo accolsi calorosamente, gli dissi che mi faceva piacere che me li avesse portati, che li avrei letti di lì a due giorni, che se voleva, poteva ripassare e li avremmo commentati insieme. Gli chiesi se si era iscritto al concorso per interni che si sarebbe tenuto il mese seguente, rispose di sì, ma che non sapeva se si sentiva pronto e che forse sarebbe stato meglio partecipare a quello seguente. Gli dissi di no, che questo era quello buono perché, oltre tutto, c’erano poche persone che si presentavano. Mi venne un’idea: aggiunsi, “guarda, secondo me hai davvero talento e di persone con talento ce ne sono davvero poche e vanno aiutate, facciamo così, adesso analizzo bene i tuoi scritti, tra due giorni passi e ti dico in tutta onestà – e mi raccomando in caso di esito negativo non te la prendere, lo sai, nulla di personale – se ce la puoi fare. Ma se penserò che sia davvero così, che tu abbia veramente delle possibilità per superare il concorso, allora sarò ben lieto di darti una mano, magari potremmo vederci qualche volta per approfondire lo studio sulle materie d’esame”. Lui balbettò qualcosa tipo: “certo, grazie, grazie davvero, davvero, troppo gentile, non so neanche cosa dire.”. Reiterai, per darmi un tono: “ma non ti fare illusioni, mi raccomando, coi tuoi scritti sarò assolutamente onesto, te l’ho detto, se vedo che non sei ancora pronto...”. Lui mi ringraziò ancora, andò via dall’ufficio dicendomi ancora grazie, che sarebbe passato dopo due giorni per sapere cosa pensavo. La sera stessa mi misi a leggere gli articoli di Riccardo, speravo, con tutte le mie forze, che fossero validi, che mi dessero l’appiglio per poterlo davvero aiutare, per continuare quel tramite che mi legava ad Agnese. Il primo era sul rapporto del surrealismo di inizio novecento con il partito comunista. Argomento molto vasto, analizzato da Riccardo in maniera poco convincente. Non era per nulla originale, riportava tesi già lette e non era riuscito a sintetizzarle nelle sei cartelle che aveva scritto. Il secondo, invece, riportava l’incipit di un romanzo minore di Malamud, dal quale prendeva spunto per parlare della letteratura ebraica di quel

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secolo. Era scritto molto bene, c’era una considerazione assai originale che mi colpì parecchio. La sua tesi era che Malamud scrivesse tra le righe. Gli scrittori tra le righe, quelli che la critica ha definito tali, sono altri, di altre correnti letterarie. Riccardo, invece, sosteneva che l’ebraismo, nel novecento, ha trovato diffusione quasi esclusivamente attraverso i suoi romanzieri. E che questi fossero nettamente in contrasto col sionismo di quegli anni. Ero contento, Riccardo si era dimostrato intelligente, con buone qualità critiche e una discreta disinvoltura nello scrivere. Quando tornò in ufficio, due giorni dopo, fui lieto di riferirgli le mie impressioni, lui mi diede ragione sullo studio della relazione tra surrealisti e comunismo, era una materia di cui si era invaghito anni addietro ma che col passare del tempo non gli diede alcuno spunto di riflessione. Malamud, invece, era uno dei suoi autori preferiti.

E questo, unito agli studi sull’ebraismo che aveva compiuto, lo portò a scriverne diverse tesi. Mi disse che aveva scritto, tra l’altro, un saggio di centoventicinque pagine sul legame tra Proust e Kafka, sul loro diverso modo di affrontare il tema della “soglia”; aveva studiato Benjamin restando affascinato dall’Angelus Novus di Klee, e il suo studio metteva in relazione quel dipinto con i due scrittori. Le sue parole, oltre ad allietare il mio senso di colpa per il fatto che stavo usando la sua voglia di carriera per arrivare ad Agnese, oltre a legittimare i miei intenti nel volerlo aiutare, mi fecero una notevole impressione. Quello che avevo visto in Agnese, in quello che Agnese faceva vedere senza bisogno di far nulla, lo si vedeva in lui, certo in altra maniera, mentre parlava dei suoi studi. Gli dissi che adesso avevo del lavoro da compiere, ma che sicuramente l’aver letto i suoi scritti aveva confermato la mia prima impressione e che, quindi, l’avrei aiutato volentieri. Restava solo da decidere quando e dove trovarsi, gli dissi. A casa mia c’è molta calma e un grande studio – rispose - quando va bene per lei per me andrà benissimo. Tra due giorni ho il pomeriggio libero, ribattei. Mi diede l’indirizzo, stabilii l’ora e lui se ne andò, raggiante.

- Non sapevo che avesse un fratello.

- Eh, sì, invece, ed è anche diventato famoso.

- Ma dai?

- Sì, anni dopo ha vinto un premio per un saggio proprio su Malamud.

- Ah, però.

- Già. Va be’, fammi andare avanti.

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Arrivai a casa sua perfettamente puntuale, dopo aver passato ore a sperare di trovare, oltre a Riccardo, anche Agnese. L’appartamento era immenso, saranno stati cinquecento metri quadrati, una casa di inizio novecento, sobria ed elegante. Mi accolse al limiti della festa, mi fece entrare in un corridoio lungo e stretto intervallato da stanze, quasi fosse un labirinto. Infine arrivammo nello studio del padre. Mi disse che faceva il fisico e che era dall’altra parte del paese per una conferenza. E tua sorella? Sta bene? Gli chiesi. Sì, rispose, è andata a pranzo col fidanzato, dovrebbe arrivare tra poco, mi ha detto che vorrebbe chiederti un favore. Le farebbe piacere andare nella biblioteca del giornale, io come esterno non posso farla entrare. Sì, certo, nessun problema, annuii io. Quindi aveva un fidanzato, sicuramente era il ragazzo che scaraventò la bici interra, pensai, ma almeno ha bisogno di un mio favore. Parlammo di giornalismo e di letteratura per almeno due ore, mi mostrò alcuni suoi studi su altri autori ebrei e io gli diedi qualche consiglio sulla scrittura giornalistica, le frasi le avrebbe dovute accorciare, avrebbe dovuto alternare la punteggiatura, talvolta sincopando. Sembrava molto contento. Arrivò Agnese, salutò, e subito le dissi della biblioteca del giornale. Le chiesi il motivo per cui avesse bisogno di accedervi. Le avevo detto che mi sto laureando in semiologia, alcuni testi della vostra biblioteca sono molto interessanti, disse. Perfetto allora, dissi io, ma sentite, fatemi un piacere, smettete di farmi sentire vecchio e diamoci tutti del tu, va bene? Riccardo assentii, e così fece lei.

- Ma sai che non ho mica capito dov’è quella casa.

- Era vicino a Corso Vinzaglio, una traversa, sai quella parte di quartiere che è stato abbattuto prima della guerra, quella prima della vecchia stazione?

- Ah, sì, bella zona.

- Mah, sì, ma non c’era nulla, né negozi, né servizi, era un po’ un mortorio.

- Sì, vero.

- Dai, vado avanti. Allora: le chiesi quando sarebbe voluta venire al giornale, lei disse che non voleva disturbare, quando potevo io sarebbe andato bene comunque. Settimana prossima sono impegnatissimo, purtroppo, per te andrebbe bene dopodomani, chiesi. Disse di sì, andava benissimo, aveva tutta la giornata libera. Allora facciamo verso le tre, continuai io, ok? Perfetto, concluse lei, salutò dicendoci che si scusava per averci disturbato e andò via. Riccardo ed io parlammo ancora per una mezz’ora e ci

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accordammo per vederci a fine settimana, nel frattempo lui avrebbe dovuto rendere giornalistico un suo studio, sia nella forma, limando le frasi, sia nella struttura. Mancava il cappello e la conclusione era troppo frammentata. In quei giorni pensavo solo ad Agnese, Agnese che aveva un fidanzato che per la rabbia di vederla con un altro scaraventava platealmente la bicicletta per terra, Agnese che si stava per laureare, Agnese sotto la pioggia mentre cammina con un idiota che non la merita, Agnese coi suoi capelli neri a spaghetto e i suoi seni nascosti sotto a maglie a V, Agnese ventidue anni, troppo pochi per avere un fidanzato per sempre, Agnese che sarebbe arrivata, quel pomeriggio, da me. C’era il sole. Al giornale, durante tutta la mattina, non avevo fatto assolutamente nulla. Mi limitavo a stare seduto davanti alla scrivania e a cercare notizie senza importanza, in rete. Risposi a qualche mail e andai a mangiare nel solito bar, ci siamo anche andati insieme, Ester, è quello in Corso Turati, ricordi?

- Sì, certo.

- Comunque: alle tre in punto l’usciere mi chiamò per dirmi che c’era una signorina che chiedeva di me. Le dissi di farla accomodare. Aveva una gonna blu marine sopra al ginocchio e una camicetta bianca, stava molto bene. Mi sorrise e mi disse che il giornale era una specie di labirinto. L’accompagnai in biblioteca, le chiesi se avesse bisogno di qualcosa. Per un attimo pensai di farle dare un pass definitivo, solo che così facendo lei sarebbe potuta passare quando voleva, senza chiedere di me, quindi lasciai perdere. Non aveva bisogno di nulla e non voleva disturbare. Si sentiva a suo agio, mi disse che aveva fatto un corso per bibliotecaria. Le diedi il numero del mio interno, per qualunque cosa le servisse e la salutai. Il telefono squillò dopo due ore e mezzo ed era lei, ma solo per dirmi che mi ringraziava, che aveva trovato dei testi molto interessanti e che andava via. Le chiesi se le sarebbe servito ritornare, che avevo già terminato un servizio e che quindi la settimana seguente in realtà ero relativamente libero. Disse che sì, le sarebbe stato molto utile e che magari ne avremmo parlato quando sarei andato da Riccardo. Per un paio di settimane continuai a vedere Riccardo, i suoi scritti miglioravano vistosamente, mentre Agnese compariva di rado e solo per salutare e per qualche battuta, fino a quando una sera, mentre ero a casa loro mi chiamò un collega per informami di una festa. Girai l’invito a tutti e due ed entrambi si dichiararono molto contenti di poterci venire. Dissi anche che se volevano avrebbero potuto portare amici o fidanzati. Riccardo sorrise, al solito, per dire che non aveva alcuna donna da portare, mentre

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Agnese disse: “no, meglio di no, in questo periodo proprio non è il caso”. Per la prima volta mi aveva detto qualcosa di sé, certo, solo una frase e abbastanza vaga, ma era già qualcosa, una piccola apertura c’era stata. I giorni seguenti fui davvero ossessionato da Agnese, fui anche tentato di chiamare casa loro, qualche volta, ma poi rinunciai, per mancanza di argomenti. Di sera non uscivo più, non vedevo nessuno. Passavo il tempo a fantasticare di lei e di me. Cercavo soluzioni per un nostro rapporto e motivi fantomatici per cui sarebbe stato destino che le nostre vite si fossero unite. Ero convinto, ormai, che nulla avrebbe potuto impedire lei e me di legarci, che eravamo predestinati, delle specie di eletti nella Qabbalah dei sentimenti. Insomma, non ragionavo più.

- Sì, mi sembra evidente, non ti ci vedo tanto, non riesco a immaginarti nei panni del fuori di testa per amore.

- Eh, invece era così, cosa ti devo dire?

- Niente, per carità, vai avanti.

- Arrivai alla festa subito dopo cena, insieme a una collega, Maria. L’ambiente era quello da giornalisti fighetti e stupidi, con mille arie, vestiti firmati e nessun motivo reale per darsi un tono. Agnese e Riccardo arrivarono subito dopo, e, a differenza della festa precedente, questa volta erano molto eleganti. Lui in completo, lei in abito da sera, nero. Era fin troppo bella, pensai, finisce che qualcuno me la soffia. Mi affrettai ad andare a riceverli, li presentai a tutti. C’era musica e la gente ballava. Riccardo incominciò a parlare con una collaboratrice esterna del giornale, e quella fu l’occasione perfetta per abbordare Agnese. La invitai a bere e incominciai a parlare. Le dissi che mi sembrava giù di tono, cosa assolutamente falsa, e se questo dipendeva dalle parole che aveva detto sul suo fidanzato. Mi affrettai a dirle che non volevo essere indiscreto, ma lei non parve affatto infastidita, e, anzi, incominciò a parlarmi a ruota libera del ragazzo che vidi mentre scaraventava la bicicletta per terra. Si erano conosciuti al mare, mi disse, prima stava con un altro, e subito mi venne in mente quello con cui camminava la prima volta che la vidi, e subito era stato bellissimo. Tutto coincideva, tra di loro, stessi studi, lui qualche anno più vecchio, stessa città. Era rimasta affascinata dalle parole di quel ragazzo che, le aveva detto, era poeta e scrittore. Poeta e scrittore mi sembra cosa abbastanza stupida, pensai, ma non le dissi nulla. Insomma, avevano passato una splendida estate al mare. Poi erano tornati in città, lei era smaniosa di andare a casa sua, di conoscere il posto in cui viveva e, perché no, di trasferirsi da lui. Di qui i problemi, a casa sua non si poteva mai andare, non le presentava nessun amico,

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i genitori erano sempre all’estero. Tutto ciò di cui le aveva parlato, insomma, non si materializzava. Così cominciò ad avere paura che fossero bugie. Ma solo quando erano lontani l’un l’altra, diceva, quando era con lui tutto sembrava ricomporsi, la verità spezzata ritrovava forma e lei era nuovamente sicura di lui e del suo amore. Il problema era pratico. Anche se la sua vita fosse diversa da quello che le aveva detto, anche facesse il manovale, le sarebbe andato benissimo lo stesso, ma, si domandava e mi diceva, perché non avermelo detto subito? Magari è tutto vero e ci sono solo dei problemi, dissi io. Sì, certo, ribatté lei, ma perché non dirmeli? Non sapevo che cosa fare, mi sembrava un amore adolescenziale, in quel momento la vedevo come una bambina romantica ammaliata dal lupo mannaro. Solo che non avevo, stranamente, alcuna voglia di salvarla, e anzi, tifavo quasi per il lupo. Insomma, lei era Agnese, prima donna, lei era al di là di queste cosucce da femmina dedita a fare shampoo alle teste altrui e a leggere pettegolezzi sugli attori famosi, come poteva fare e pensare quelle cose? Le dissi che dovevo andare a salutare alcuni ospiti appena arrivati e la lasciai col suo bicchiere di coca-cola in mano.

- Ben gentile...

- E sta un po’ zitta, Ester.

- Ok, ok, scusa tanto...

- Il mio trascurarla, anche se non lo feci certo apposta, ebbe un effetto, a breve, molto buono. Da bella ragazza qual era non era abituata a essere trattata così. Il giorno dopo mi chiamò al giornale per ringraziarmi per la festa e per sapere se poteva venire in biblioteca. Le dissi, ovviamente, di sì.

- Sicuro che non l’hai fatto apposta? No, perché adesso comincio a rivederti, eh...

- Simpatica. No, davvero, mi avevano deluso quei discorsi pseudo romantici. Comunque, arrivò al giornale e io l’accompagnai in biblioteca. Parlammo delle persone che c’erano la sera prima e le dissi che in fondo quello non era certo il mio ambiente, che ci andavo così, per distrarmi, non certo perché apprezzassi quel modo di stare insieme a persone estranee. Disse che anche lei non amava la mondanità. Colsi l’occasione: “preferisci una cena a due?”, lei rispose di sì, che per parlare e per conoscere una persona era molto meglio un ristorante. Per un attimo la detestai, pensai: “adesso aggiunge che l’ideale è un ristorante non troppo appariscente, dove si mangia bene e basta”, pensai: “oddio, ecco che mi viene in aiuto per farsi dimenticare, diventa prevedibile,

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stereotipo della alternativa ricca e intelligente. E invece no, disse l’opposto: “ma se paghi tu devi portarmi in un ristorante di stralusso e devi spendere un sacco di soldi, che in pizzeria ci vado già coi miei amici”. “Domani sera va bene?” Perfetto, rispose. Come sempre accade, nel momento di minor interesse verso una persona ottieni quello che quando ti interessa molto non raggiungi mai. Andai a prenderla dopo un aperitivo prolungato con colleghi, quasi sbronzo. Lei fu infastidita dal mio parlare fuori dalle righe. Le dissi frasi stupide tipo “ma che bella che sei, stasera, il tuo fidanzato, invece cosa fa? Sta scrivendo un romanzo?” Cose così, insomma, un po’ per l’alcol, un po’ per vedere se avrebbe reagito in maniera originale o come chiunque altro al suo posto. Andammo in un ristorante carissimo, e poco alla volta mi ripresi, le dissi che avevo bevuto, che, insomma, solitamente mi comportavo meglio. “Allora eri nervoso al pensiero di vedermi”, disse Agnese. E lo disse in modo meraviglioso, senza civetteria, il suo viso era privo di qualsiasi sovrastruttura, era di nuovo una prima donna senza il bisogno di esserlo. Le dissi: “lo sai che sei splendida, vero?”. Non rispose, continuammo a mangiare senza aggiungere altro. Poi l’accompagnai a casa, spensi il motore e le chiesi: “dimmi solo una cosa, sempre fidanzata innamorata?”. Brutta domanda, rispose, e qualsiasi risposta avrebbe con sé una parte di falsità, comunque credo davvero di amarlo e sono sicura che sarà una storia senza inizio e senza fine. E se ne andò, lasciandomi a pensare a cosa volessero dire quelle parole. Senza fine nel senso che non finirà mai? Senza inizio perché non era da considerarsi una storia? Insomma, tutta la mia posizione di superiorità raggiunta alla festa si era sbriciolata nello spazio di una cena.

- Durata molto la fase da figo, eh?

- Eh, mica tanto.

- Ma ne eri innamorato?

- Non lo so, Ester, mai capito.

- Da come dici adesso non riesco davvero a capire come è possibile che sia finita come...

- Aspetta, lasciami andare avanti, come è finita è chiaro solo al giudice che mi ha condannato, non a me, tanto meno ad Agnese, credo.

- Va bene, scusa.

- Passai tre giorni a pensare se chiamarla o meno. Riccardo era andato in vacanza e quindi non avevo quell’appiglio per vederla.

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Infine mi decisi e la chiamai, le chiesi come stava, le dissi che avevo voglia di vederla. Disse che stava così così, aveva litigato col fidanzato e che sì, aveva piacere di vedermi. Un’altra cena, magari in un posto meno pretenzioso, le chiesi? Perfetto, rispose lei, e ci accordammo per il giorno seguente. Fu una serata molto bella. Ci trovammo direttamente al ristorante, lei terminava un seminario tardi e non aveva tempo per andare a casa. Arrivò vestita con jeans e maglietta e scarpe basse ed era bellissima coi cappelli raccolti e l’espressione stanca. Per la prima volta ci demmo due baci, per salutarci, e la sua pelle aveva un odore incredibile, sapeva di miele e di mandarino, insieme. Era fresca senza essere acre, intensa senza essere dolce. Va be’, lo so che sembra una cosa stupida a dirsi. Parlammo di letteratura e di quello che avrebbe voluto fare dopo la laurea, l’insegnante, e del mio modo di vedere la scrittura e gli autori che amo. Poi mi disse del suo fidanzato, che stava esagerando, che avrebbero dovuto finalmente andare a casa sua ma che sempre c’erano nuove scuse per non andare. E poi lui era andata a prenderla due giorni prima al suo seminario ed era in condizioni disastrose, sporco, vestito con abiti consunti, aveva stentato a riconoscerlo. Lui disse che aveva perso le chiavi di casa e che aveva dormito fuori e quindi non aveva potuto cambiarsi. La cosa che più l’addolorava era il non capire i motivi di tante stranezze, per usare un eufemismo. Non avendo alcun potere contro un rapporto così particolare cercai di cambiare argomento, e così parlammo della sua famiglia. Oltre a Riccardo aveva due sorelle, una frequentava medicina, l’altra ingegneria. Ne parlava quasi con devozione, facendo capire che lei era quella con meno qualità della famiglia. Aveva una sorta di modestia per lei e di immodestia per i suoi cari, a sentirla sembravano tutti geni affascinanti e fuori da ogni convenzione. Gli argomenti in fondo mi interessavano poco, avrebbe potuto anche raccontarmi della sua tesi sulle lingue semitiche o dell’evoluzione del salto carpiato dei canguri, era lo stesso. Io guardavo i movimenti della sua bocca mentre parlava, annusavo il lieve odore di mandarino e di miele che mi arrivava a folate. Passai tutta la serata con la voglia di baciarla, di spogliarla, di guardare il corpo, di mangiare quell’odore, trasformandolo in sapore. La sua bocca era rosso fuoco, senza alcun rossetto, gli occhi marroni scuro, ogni parte del suo corpo sembrava avere vita propria, lei era un mosaico, un’opera piena, e mi venne in mente la torà, strano abbinamento, lo so, ma in lei la vita sembrava prendere forma come le parole lo fanno nel testo sacro. Ero incantato. A fine cena le chiesi se voleva andare a bere qualcosa, disse di sì e la serata continuò in un locale poco distante. Poi l’accompagnai a casa. Da diversi minuti pensavo se baciarla o no, arrestai l’auto e mi avvicinai a lei. Lei non si ritrasse e mi guardò negli occhi. La baciai e lei, senza nulla dire, mi guardò ancora per qualche

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secondo e poi scese dalla macchina, lasciandomi solo con quel gusto di miele e di mandarino sulle labbra.

- Accipicchia.

- Cosa?

- Romantico.

- Ma no, che romantico e romantico.

- Be’, insomma...

- Va be’, ti sto dicendo come ho visto io quel legame, se vuoi smetto, non c’è problema, Ester, sei tu che vuoi sapere tutto, no?

- Ma sì, chi ti dice nulla, continua.

- Va be’, nei giorni seguenti non sapevo cosa fare. Non volevo darle l’impressione di quello che dava importanza al bacio, ma, al tempo stesso, avevo voglia di sentirla, sicché aspettai il fine settimana per chiamarla. La invitai a una festa ma lei disse che quella sera non poteva, doveva vedere il fidanzato, che magari avremmo potuto vederci il giorno dopo. Ero infastidito, come il fidanzato? Pensavo, ancora quello? Ma non ha capito proprio nulla, allora, che cazzo, che ci esce a fare con quello? Comunque le dissi che andava benissimo. Ci vedemmo davanti a casa sua, la serata iniziò con me che l’aspettai per trenta minuti. E così litigammo subito, “potevi chiamare, scusa facevo la doccia” e cose così. Poi ebbi l’infelice idea di chiederle com’era andata col fidanzato, se aveva risolto qualcosa. Di lì iniziò uno dei monologhi più patetici che abbia mai sentito. In sintesi lui le aveva detto un bel po’ di bugie, non era propriamente né uno scrittore né tanto meno un poeta, era studente fuori corso in scienze-politiche, i genitori erano stufi delle sue storie per non dare esami e lo avevano cacciato di casa. Di lì il suo vagare da amico ad amico, per trovare un letto in cui dormire e il suo abbigliamento non troppo ordinato. In più mi disse altre cose poco chiare sulla sua vita. Era insopportabile quel racconto, in specie fatto da una donna che consideravo fuori della norma. Anche perché, dopo quella confessione, lei, al posto che lasciarlo, decise che l’amore è a prescindere dalle azioni di una persona. “E quindi?”, dissi io, “lo hai perdonato?”. “Non è perdonare o non perdonare, rispose, in fondo cosa ho da perdonargli? Il fatto che non è un artista e che voleva farsi passare per tale? O che mi ha detto un sacco di balle su dove viveva e con chi? Dovrei perdonargli il fatto di essere un trentenne mediamente stupido e incapace di affrontare la realtà? Non posso perdonarlo, non c’è nulla da perdonare, o lo accetto o non lo accetto, credo c’entri

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poco anche l’amore”. “In che senso, scusa”, dissi io. “Nel senso che ho un legame con lui, non so perché, so solo che quel legame esiste”. Non sapevo come controbattere, pensai solo: “ecco quello che ho con te, un legame”. “E con me, Agnese?” Lei non rispose, io mi arrabbiai e la serata si concluse accompagnandola a casa, senza parlarci. Non la chiamai per diversi giorni, nel frattempo Riccardo tornò dalla villeggiatura. Non sapevo come comportarmi, avrei dovuto dirgli che ero uscito con sua sorella? E Agnese? Cosa gli avrebbe detto? Magari si sarebbe preso gioco di me: “il tuo capo, il vecchietto, ci ha provato in tutti i modi, sai?” o “Sai una cosa, Riccardo? Appena te ne sei andato Andrea ha incominciato a farmi una corte disperata, siamo pure usciti qualche volta insieme e, poverino, ho passato il tempo a parlargli dei miei problemi col moroso, pensa te, meno male che dicevi che uno come lui non sa che farsene di una come me”. Insomma, mi sentivo un idiota, e, per giunta, Agnese mi mancava.

- Bella situazione, in effetti.

- Sì, non male, niente da dire.

- Dai, faccio il caffè...

- Ok.

- Sei stanco?

- No, affatto. Tu? Se vuoi il resto te lo dico domani.

- No, non ci pensare proprio, hai detto che avresti detto tutto e adesso dici tutto, Andrea.

- Va bene. Riccardo mi chiamò al giornale per dire che era tornato e se avevo un paio d’ore per vedere il suo ultimo saggio. Gli diedi appuntamento per il giorno dopo al giornale, ma disse che proprio non ce la faceva a passare, in mattinata tornava suo padre e doveva attenderlo e mi chiese se sarei potuto andare io e che così, sarebbe stata un’occasione per presentarmi i suoi genitori. Gli risposi che mi avrebbe fatto piacere e che sarei senz’altro passato. Era stato molto gentile e non avevo notato alcuna differenza di comportamento, decisi, quindi, di chiamare Agnese, magari per alleggerire la situazione, per mostrarmi distaccato. Subito dopo averla salutata al telefono, Agnese si mise a piangere e mi disse che assolutamente avrebbe dovuto vedermi. Aveva da dirmi cose importanti, non poteva aspettare, stava per chiamarmi; ovviamente le dissi di sì, di passare al bar vicino al giornale. “sarebbe meglio da te, se non ti spiace, non ho voglia di stare in un luogo pubblico”, disse Agnese.

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Arrivò da me e iniziò a parlarmi del suo fidanzato, di nuovo. Lo aveva invitato per cena, doveva presentargli i genitori e lui non si era presentato. Aveva chiamato a casa e sua sorella le disse che non c’era da fidarsi di lui, che non combinava nulla di buono, anzi, sapeva fare solo guai. Lei dovette giustificarsi coi suoi, cosa che riteneva terribile da affrontare. Poi passò la serata a pensarsi con lui, non riusciva a vedersi da sola e il legame di cui mi aveva parlato la volta scorsa, a cena, era diventato un inferno. Aveva deciso di liberarsi, ma da sola non ce la faceva, così, di punto in bianco, mi disse: “ti piaccio al punto da dovermi tenere con te anche se amo lui? Poi mi passerà, ne sono sicura, ma adesso, come ti ho detto, da sola non ce la faccio, ho bisogno del tuo aiuto”. Non sapevo cosa rispondere, era la più strampalata richiesta di pseudo fidanzamento che avessi mai sentito. Le dissi che mi sembrava quanto meno originale mettersi con una persona solo per lasciarne un’altra che in realtà ami. E poi, insomma, io le piacevo? Perché diavolo scegliere me, perché diavolo, a questo punto, ammettere il vero motivo? Disse che le piacevo, che ero interessante, che sembravo maturo, insomma mi descriveva come l’antidoto al suo fidanzato. Mi indispettii e le chiesi: “ma hai voglia di scopare, con me? Sai, solitamente sto con ragazze che come unico motivo, non come rimpiazzo, vogliono passare la notte con me”. Lei, per tutta risposta, si levò i vestiti. Non ascoltai più le sue parole, non pensai più che ero solo un triste e patetico rimpiazzo; c’era solo quel maledetto odore di miele e di mandarino che aveva invaso la stanza e il suo corpo che andava incontro al mio. Insomma, andammo a letto e scopammo.

- Ah. Scopaste.

- E sì.

- Non lo sapevo, cioè, non credevo che prima aveste avuto un rapporto.

- Va be’, te l’ho detto, prima di giudicare bisognerebbe almeno sapere la mia versione, non credi?

- Io te l’ho sempre chiesta la tua versione, Andrea, sei tu che non mi hai mai voluto dire nulla.

- Sì, hai ragione, ma lo sai, non è affatto facile, e queste cose non le ho mai dette a nessuno. Adesso lasciami continuare.

- Sì, dai.

- Rimase a dormire a casa mia. Fu una delle notti più intense che ho passato, non che facemmo nulla di speciale, anzi, come amante era assai imbranata, ma il legame, quello che lei diceva di avere col

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suo fidanzato, adesso lo sentivo io. Mi sembrava di non poterne fare a meno, che era la mia unica condizione, quella di stare con lei e con quel cazzo di odore di miele e di mandarino. I giorni seguenti furono di totale stordimento. Agnese alternava la volontà di stare con me alla voglia di tornare con lui. Io non ci capivo più nulla, e di nulla mi importava al di fuori di lei. Non riuscivo a ragionare, vedevo Giulio, così si chiamava il suo fidanzato, come la possibile causa di ogni mia sofferenza. Cercavo traccia di lui negli occhi di lei, e se non c’era nel presente lo inseguivo come ricordo. Lei, d’altro canto, non celava nulla. Ed era questo che mi faceva impedire di liberarmi da quel legame che ormai era diventato un’ossessione. Non aveva alcun senso stare con una donna che ti usava per smettere d’amare un altro. E questo, nella mia mente, era la prova dell’unicità del mio sentimento. Continuavo a ripetermi che proprio perché non c’era nessun motivo per restare con lei quell’amore trovava un senso e una motivazione. Era il mio legame, lei, quanto Giulio era il suo.

- Mi sembra tutto strano quello che mi racconti, come se a dirlo fosse un’altra persona.

- Sai quando tu hai detto che mentre andavi a prendere Cohen ti sentivi come se stessi vedendo un film e che tu, in realtà, eri altrove?

- Sì, era così con lei?

- No, era così quando pensavo a lei, quando pensavo a me con lei e a tutte quelle paranoie. Era così quando mi dicevo di essere rimasto immischiato in sentimentalismi da donnetta dell’ottocento. Era così sempre, tranne quando scopavo con Agnese. Una sera all’uscita dal giornale trovai Giulio che mi stava aspettando. Lo riconobbi subito, venne vicino a me e mi disse che io Agnese dovevo lasciarla stare, che non dovevo mettermi tra di loro, che stavo rovinando tutto, che lei lo amava. Cercai di mantenere la ragione e replicai le classiche parole che chiunque avrebbe detto: “guarda che è Agnese che deve decidere, se lei vuol stare con me dovresti rispettare la sua decisione” e cose così, insomma erano, appunto, le classiche frasi fatte. In realtà l’unica sensazione che sentivo era la voglia di ammazzarlo, di prendere la sua testa e di fargli fare la fine della sua bicicletta. Riuscivo pure a immaginare la scena, mentre continuavo a farmi vedere calmo e risoluto. Lo vedevo mentre cadeva per terra, i miei calci sul suo viso mentre gli urlavo: “che cazzo vuoi, stronzo, adesso vediamo di chi è Agnese”. Se ne andò, liberandomi da quelle visioni. Subito dopo la chiamai e le dissi che ero stufo, che non ero un ragazzetto, da tenermi fuori dai suoi ex, se ne era capace, se non era una ragazzetta anche lei, che doveva decidere una volta per

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tutte, o gli diceva che non c’era più storia, con lui, o poteva anche stare lontana da me. Mi pentii subito dopo le sue parole: “va bene, come non detto, non sentiamoci più”. Insomma, Agnese vinceva sempre sulla mia voglia di liberarmi di lei, ma neanche di lei, del mio legame per lei. Le dissi che andava bene così, che era meglio per tutti e due, di sicuro per me, e di venirsi a riprendere le sue cose a casa mia perché non ne potevo davvero più di una sciocca ragazzina viziata con tante arie da donna. In tutta risposta disse solo qualcosa tipo:“ok, passo da te domani sera, ciao”. Da una parte mi sentivo un imbecille preso in giro, dall’altra non riuscivo a liberarmi dall’idea di voler stare con lei. Il giorno seguente non andati a lavorare, rimasi tutto il giorno in casa ad aspettare che lei venisse a riprendersi le sue cose. Pensavo di far pace, in una maniera o nell’altra, credevo fosse impossibile che una ragazzina di ventidue anni potesse trattarmi in quella maniera e, per di più, potesse preferire, a me, un ragazzetto stupido e bugiardo.

- Be’, credo che la ragione conti poco in queste cose.

- Bella scoperta, Ester, brava.

- Fai dei discorsi da invasato, scusa.

- Non sono da invasato, al limite faccio dei discorsi senza ragione, mentre tu, da fuori, dici cose normali. È assolutamente logico dire che sembravo un invasato, stupido e geloso, ma non è questo il punto. Il punto è che dipende sempre dall’angolazione in cui vedi le cose. Io ci ero completamente dentro, non vedevo null’altro che quella cosa tra me e lei, tutto il resto era offuscato. Certo che non era amore, facile dirlo quando non ci sei dentro.

- Ah, quindi non era amore?

- Mah, è falso anche questo. Non lo so cosa fosse, ci ho pensato per anni, dopo quello che è successo, alla fine davvero credo che fosse esattamente come quello che Agnese diceva di avere con Giulio, un legame, né più né meno che quello.

- Solo che il legame lo avevi solo tu e non lei.

- Io non credo che esistano legami unilaterali, la differenza sta nel modo di interpretarli, ma la corda è la stessa.

- Non ne sono tanto sicura.

- Be’, proprio tu, con tutti i tuoi discorsi sulla reincarnazione, cos’è, valgono solo per noi due?

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- Touchée.

- Comunque, davvero, Ester, non è questo quello che conta, alla fine.

- Ah, e cos’è, allora, che conta?

- Quello che ci fai, con ‘sti stramaledetti legami.

- Sì, Andrea, può essere.

- Io ne sono convinto.

- Va be’, finisci la storia?

- Sì, certo, la finisco.

- Bene.

- Sei arrabbiata?

- No, non credo, ma tu finisci la storia, per piacere.

- Mah, a me sembri davvero arrabbiata, era meglio non raccontarti nulla.

- Non è affatto vero, è da quando ci conosciamo che voglio sapere questa benedetta storia.

- Questo non vuol dire che non ti faccia arrabbiare, mi sa.

- Senti, per prima cosa non mi sembra molto logico arrabbiarsi per una cosa che è successa anni prima che noi due ci conoscessimo, e poi, scusa, come diavolo fai a dire che sono arrabbiata?

- Va bene, mi starò sbagliando, scusa tanto.

- E, comunque, se davvero ci tieni a saperlo, Andrea, non è proprio la sensazione giusta quella dell’arrabbiatura.

- Ah, e cos’è?

- Non lo so neanche io, forse invidia per la tua Agnese, o meglio, per quello che provavi per lei.

- Adesso non iniziare con queste stupidaggini, Ester, per piacere.

- Ma sì, e poi te l’ho detto, non so neanche io se è invidia o cos’altro. Comunque dai, finisci di raccontare.

- Ok, e tu cerca di non interrompere ogni due minuti, va bene?

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- Non mi sembra di averlo fatto, comunque come vuoi tu, sto zitta fino alla fine.

- Perfetto. Allora, rimasi tutto il giorno ad aspettare che venisse a prendere le sue cose. Non mi aveva neanche detto a che ora sarebbe passata. Mi sembravano ore interminabili, ero esasperato da quell’attesa e per di più non sapevo come dirle che in realtà volevo che restasse. Arrivò verso le undici. Subito non dissi nulla, avevo messo, come da copione, le sue cose in un borsone e cercai di essere gentile. “Mi accompagni?” , mi chiese. Il resto è una successione molto rapida, almeno per me. Ricordo il suo viso di lato, mentre guidavo verso casa sua. Mi diceva: “è finita, sei uno stronzo, hai rovinato tutto con la tua gelosia”, le dicevo: “non hai capito un cazzo, non sono certo geloso, sei tu che ti devi decidere”. E poi lei che dice “basta” e scende di corsa, dall’auto. Io che la inseguo, nel viale dei tigli. Lei mi grida “vai via”. Io la raggiungo e la stringo, lei si dibatte, io le tiro uno schiaffo, lei mi spinge, mi graffia, mi grida “vattene”, io le strappo la maglietta. Strappandole la maglietta vedo un lembo di carne, vedo il suo respiro nel suo petto. Agnese corre via, io non so più nulla, non so se fa freddo o caldo, se è notte o giorno, non so se è giusto o sbagliato, vedo solo un filo tra me e lei che si fa sottile e lo rincorro. Le strappo la maglietta, vedo i jeans, lei rimane immobile. Il filo che ci unisce si fa grosso, cerco di sfilale quei jeans blu chiaro. Lei resta immobile e continua a guardarmi, non dice nulla, sento i suoi occhi su di me, alzo lo sguardo e lei è lì, il filo è diventato liquido e io voglio entrarci, voglio arrivare dall’altro capo mentre mi spoglio, nel viale dei tigli, per terra, su Agnese, e l’afferro, sposto le mutandine, le allargo le gambe, le metto il cazzo dentro. Lei continua a non parlare, io comincio a scoparla, con forza, lei è lì, sotto di me, non dice nulla e io vorrei ammazzarla per farla parlare, ma continuo e continuo a darle colpi col cazzo, nella figa, tutto il resto è sfocato, sento solo la mia carne dentro di lei e lei che mi avvolge ovunque. Poi, dallo sfocato, di colpo compaiono, nitidissimi, due piedi, poi Giulio che mi afferra e incomincia a picchiarmi in faccia, e io sento Agnese che urla, poi vedo il viso di Giulio nelle mie mani sporche di sangue, poi sono per terra. Poi arriva la polizia.

- E poi?

- E poi il resto si sa, prima Agnese mi denuncia, poi ritira la denuncia, alla fine mi danno due anni per aggressione a Giulio.

- E lui?

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- Lui è quello che ha impedito che la violentassi, così hanno detto.

- E poi?

- E poi mi hanno licenziato dal giornale, in galera non ci sono andato, solo che non sapevo cosa fare. Nessuno di quelli che conoscevo mi voleva aiutare. Ho finito i soldi, la casa era in affitto, e ho incominciato a vagare, a piedi. In somma, facevo il barbone.

- È tremendo.

- Dici? Non lo so, il ricordo non lo è, hai mai notato che le cose forti, quelle che ti cambiano la vita, sono sempre diverse, nei ricordi, rispetto a quando le hai vissute?

- No, sì, non so, forse.

- Comunque sono andato avanti così per due anni, poi hanno depenalizzato la mia causa, mi hanno assunto all’università, poi ho trovato te.

- Per due anni?

- Sì, tantini, eh.

- Ma cosa facevi, Andrea? Come hai fatto, per due anni?

- Non lo sai che sono due anni, diventano due anni dopo, quando cambi vita, prima sono solo tanti giorni, uno attaccato all’altro. E vivi così, centri di accoglienza, panchine, freddo, fame. Ma non sei mai realmente disperato.

- E perché?

- Perché c’è di peggio, o almeno così ti sembra. E poi pensavo ad Agnese, insomma, a volte credevo che fosse meglio così: stare in strada.

- Non capisco, Andrea.

- Non è facile capire manco per me, Ester. Aspettavo che qualcosa accadesse, non volevo essere io a salvarmi, capisci? Pensavo: “se dev’essere destino che mi salvi, questo destino deve portarmelo qualcun altro, non io”.

- E Agnese?

- Non lo so, mai più vista dopo il processo. L’ultima volta eravamo in aula, le dissi: “grazie”, e lei scomparve.

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- Grazie per avermi detto queste cose.

- Prego. Senti, preferisco tornare a casa, adesso. Ti chiamo domani o dopodomani, ok?

- Come vuoi, Andrea, ma se resti mi fa piacere, e poi sarai stanco, dai, rimani qui.

- Ma no, ho voglia di restare un po’ da solo, davvero. Vado, ti chiamo domani.

- Va bene, allora dormi bene, buona notte. Ma non volevi sapere di Mario?

- Sì, ma te l’ho detto, me lo dirai un’altra volta.

- Va bene, allora buona notte Andrea.

- Anche a te, ciao.

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PARTE TERZA

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Capitolo nove

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Ester continua a ripetersi che non ha alcun senso voler conoscere Agnese, però vuole farlo. Ha cercato l’indirizzo sia negli elenchi del telefono di mezzo mondo, sia in rete, e non lo ha trovato. Decide di andare a trovare Victor, e, con la scusa di parlare della sua decisione sulla collaborazione coi dissidenti, cercare gli scritti in cui aveva visto il suo nome per prendere l’indirizzo.

In realtà non sa bene cosa dirle, non sa neanche perché sente tutta questa necessità di conoscerla, ma ormai ha decido di fare così. In fondo – pensa – è una cosa normale voler conoscere quella parte del passato di Andrea che per tanto le è rimasta oscura, e poi è una dissidente e lei si appresta a diventare parte del loro gruppo, quindi niente di male volerla incontrare, dopo tutto.

Il problema è che ancora non ha veramente deciso cosa fare, con Victor. Vorrebbe aiutarlo e ha paura. Non riesce neanche a concentrarsi, il racconto di Andrea continua a ricordarlo e a rimaneggiarlo in continuazione. Si chiede se sia tutto vero: quello che aveva sentito lei non era esattamente come quello che le ha detto Andrea, anche se, in fondo, non avrebbe avuto alcun motivo per mentirle. Vorrebbe solo essere sicura, si dice, ecco, sicura che sia tutto così e che sia tutto passato. La cosa che più l’ha sconcertata, le sembra strano, non è la violenza, ma le parole che Andrea usava per descriverla. C’era qualcosa che non quadrava, in quella descrizione, che stonava, e non riesce a capire cosa. Inizialmente ha pensato che Agnese, esteticamente e come modo di fare, le somigliasse parecchio e che quindi Andrea, forse, in lei aveva cercato quella ragazza, ma poi ha capito che non è quello, o almeno, solo quello. Vuole vedere Agnese per capire cosa manca nel discorso di Andrea, cosa c’è di non detto o di detto male o solo di dimenticato.

Prende appuntamento con Victor per il giorno seguente. Poi chiama Andrea, solo per dirgli che gli vuole bene. Si sente a suo agio in questa nuova situazione, dopo anni passati a voler sapere adesso ne ha la possibilità, Andrea le ha solo fatto capire la direzione da prendere, adesso sta a lei, pensa, arrivare alla verità.

Nel frattempo Andrea ha ripreso le sue lezioni all’università interrotte dalla morte di Blinz prima e dalle elezioni poi. Ha deciso di fare uno stage sulla scrittura.

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Lo stage di Andrea

 

Si articolerà in quattro lezioni:  Lezione prima: Ma’aseh – racconto  ‐ osservazione dei fatti (il primo vide e morì) 

Lezione seconda: Midrash  ‐  il risultato del metodo ermeneutico con cui gli studiosi del Talmud trovano  le disposizioni  rituali  nel  testo  biblico  –  la  ricerca  delle  disposizioni  legalistiche  (il  secondo  vide  e  perse  il senno) 

Lezione  terza: Haggadah –  il prodotto della  forma  allegorica o metaforica del  testo –  interpretazione  (il terzo isterilì le giovani piantagioni) 

Lezione quarta: Sod – il mistero (il quarto entrò sano e uscì sano)  

 

 

Lezione prima: Ma’aseh – racconto  ‐ osservazione dei fatti (il primo vide e morì)  

- In queste prime quattro ore dovrete analizzare un testo. Dovrete comprenderne solo ed esclusivamente la forma. Nessuna allegoria, nessuna metafora, nessun significato al di là della pura e semplice trascrizione. Dovrete riscriverlo cambiando il percorso che porta alla fine. Cambiate il tempo, se volete, cambiate l’ambientazione. Ma senza cambiare inizio e fine. Il racconto in questione è di una settantina di anni fa e ha per titolo: “L’assassino”.

 

 

Sono nato nel millenovecentocinquantanove a Roma. 

A sei anni mi sono trasferito a Torino, con mia madre. Mio padre non venne con noi, e da allora non l’ho mai più visto. non ho sue foto, non ho sue notizie da ormai sei anni, non ricordo più il suo viso ed il suo aspetto. 

Mia madre è morta poco tempo fa. 

L’ultima cosa che ho saputo di lui, e come dicevo è accaduto sei anni fa, è che è stato condannato per omicidio. 

 

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È successa in me una cosa strana. Per anni ho pensato a mio padre, a cosa stesse facendo, se si fosse risposato e se avesse avuto altri figli, alla sua nuova moglie, sempre che ne avesse avuta un’altra. Sempre, tutti i giorni, fino al momento della notizia sui giornali. Da allora fino alla settimana scorsa, non ci ho più pensato. Neanche per un minuto, in nessun giorno, per sei anni. Quando ne venni a conoscenza mi stavo preparando per il mio matrimonio. Ricordo che mi svegliai in casa di Carla – non ne avevamo ancora una nostra ‐ ero a letto e stavamo scherzando, ipotizzavamo il nostro rito nuziale pensando a come sarebbe stato se nessuno dei settantaquattro invitai si fosse presentato in chiesa. Lei rideva. Poi uscì a portare fuori il cane – era il suo turno – e per comprare giornali e croissants. Era inverno e io mi godevo l’attesa a letto, al caldo, ridendo ancora per tutte le ipotesi di rito nuziale fallato che mi venivano in mente. 

Poi sentii Carla che rientrava, l’incedere veloce, il suo viso sbiancato e le parole “hanno preso l’assassino del treno, è tuo padre”. 

Subito non capii molto, stavo immaginando il matrimonio. Lei mi fece vedere il giornale ed in effetti vi lessi il nome di mio padre. 

Non sapevo che dirle, lei sembrava in attesa di qualche mia parola, e io riuscii solo a bofonchiare “porca troia”. 

E poi: “Cazzo, ne ha fatta di strada” e cose simili. 

Lei tornò a letto e restammo in silenzio. Fuori pioveva, ricordo le gocce le finestre e l’odore di noi e quello di Carla. Ricordo tutto tranne quello che pensai. 

Dopo ‐ non so quanto tempo fosse passato – le dissi: “Non parliamone mai più, non ricordo nulla di lui, tra qualche settimana ci sposiamo e – sembrerò egoista – non voglio rovinarmi la vita per un padre che mi ha abbandonato trent’anni fa”. 

Gli invitati tutti furono puntuali e la cerimonia fu molto bella. 

 

Non so esattamente perché ho deciso di andarlo a trovare. Settimana scorsa Carla era in trasferta, per lavoro, io sono tornato a casa verso le sette di sera, come tutti i giorni, come tutti i giorni mi sono sfilato la cravatta, ho aperto il frigo, mi sono preso una lattina di birra e sono andato a sedermi sul divano. Come tutti i giorni mi sono rilassato, lattina in mano: bevanda fresca che scorre, respiro lungo. E poi ho pensato di nuovo a mio padre, dopo sei anni. Il giorno seguente è tornata Carla e le ho detto: “Ho decido di andare a trovarlo in galera”. Lei è stata al solito molto comprensiva, mi ha chiesto se avessi voluto che mi accompagnasse e se me la sentivo. Insomma, voleva sincerarsi che non mi facesse troppo male questa idea. 

Io non penso che mi possa fare bene o male e credo, tutto sommato, che non lascerà strascichi, vorrei solo vederlo per una volta e poi basta, tornare a ignorarlo per il resto della mia vita. E comunque domani parto, ho deciso. Carla mi accompagna alla stazione alle otto, prima di andare in ufficio e dopodomani sarò di nuovo da lei. 

 

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Come ci si veste per andare a trovare un padre omicida? Giacca e cravatta? Sportivo? Solo giacca penso che possa andare bene. Formale ma non ostentato. Rispetto per il carcere, noncuranza per l’omicida.  

Ed eccomi qua, in auto, Carla alla guida. Ci amiamo da otto anni e mezzo. Vorrei che venisse con me ma non sono riuscito a dirglielo. O meglio, le parole hanno preso un’altra direzione, lei me lo ha chiesto e io ho risposto: è una cosa che devo fare da solo, ma grazie, amore. La classica frase che, credo chiunque, avrebbe detto. Era il suo momento ed è uscita dalla mia bocca. L’unica replica possibile: “certo, amore, ti capisco”. E adesso lei guida, un po’ più tesa del solito, con un sorriso forzato e rassicurante. Io la guardo e a mia volta sorrido. Stiamo interpretando la parte in modo classico, senza alcuna sbavatura. 

Arriviamo, Carla si ferma, si gira, mi bacia, io le accarezzo il viso, lei mi guarda. Le dico: “Non ti preoccupare, amore” e scendo. Quasi eroe vado a prendere il biglietto. 

 

La stazione è ancora illuminata artificialmente, vado a prendere un caffè e con qualche minuto di anticipo salgo sul treno. 

 

Scompartimento vuoto. Mi sono portato del lavoro da sbrigare e un libro da leggere. Mi piace l’odore dei treni, quando hanno poche persone a bordo. Mi siedo vicino al finestrino, nella direzione opposta a quella di marcia. Guardo le cose che non ci sono più. Carla starà entrando in ufficio. Starà per salutare l’usciere e poi qualche passo e l’ascensore e poi i suoi colleghi e poi la scrivania e poi via il cappotto e poi qualche battuta e poi, e poi. E io sono qua, senza i miei colleghi e senza Carla, in questo treno che sa di treno con poche persone a bordo, con fuori che è ancora buio ma sta schiarendo, con un carico di sonno e senza nessuna eccitazione al pensiero che stasera incontrerò  

dopo trentasette anni  

quel mio padre che è diventato  

un assassino. E continuo a non ricordare che faccia avesse e continuo a non immaginare che espressione avrà. È tutto così meccanico vederlo. E  chiamare le carceri per sapere se fosse possibile e prendere un appuntamento e arrivare alla stazione. Come se dovessi andare in trasferta per una visita a un cliente della società per cui lavoro. Come se in realtà non stessi andando da nessuna parte in particolare, come se esistesse. 

Chissà se lo vedrò attraverso un vetro, come nei film: da una parte una serie di detenuti, dall’altra i visitatori. A coppie, con cornetta in mano per sentirsi e luci gialle per vedersi. 

Potrebbe essere imbarazzante non riconoscerlo e sedermi di fronte ad un altro, potrebbe offendersi, forse. O forse no, magari non gliene importa nulla e mi guarderà con un’espressione come a dirmi: “va be’, sei venuto a trovarmi, grazie, ma adesso cosa ci diciamo?”. Già, caro il mio padre assassino, cosa ci diciamo? “Come va?” mi sembra fuori luogo, e anche “Ciao papà, mi riconosci? Da quanto tempo non ci vediamo, vero?”. Difficile trovare un inizio di conversazione.  

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E intanto fuori è cominciato a piovere, meglio leggere il libro e pensare ad altro, qualcosa mi verrà pure in mente, quando lo vedrò, almeno spero. 

Lavoro. Schede da aggiornare, mi sono portato gli appunti. Appunti sugli ultimi contratti dei clienti, sulle loro richieste, sui cambiamenti del loro reddito o del loro nucleo familiare. Un bambino in più, un po’ di soldi in meno. Un divorzio, una barca a vela acquistata, un trasloco, un marito che se ne è andato in America con la segretaria, una moglie che ha preso armi bagagli e prole ed è andata via. 

Già, come mia madre. Chissà se qualche altro funzionario avrà inserito quella novità in un dossier. E poi? Ex marito arrestato per omicidio? No, non ha nessuna rilevanza economica, in fondo. 

Stazione, si scende. Adesso la pioggia si è fatta fitta. Non scende nessuno, salgono diverse persone, l’odore di treno quasi vuoto sta per svanire, spero almeno che nessuno decida di entrare nel mio scompartimento. Non sono loquace, non so mai cosa dire alla gente che si incontra per caso, per circostanze estranee alla volontà di conoscenza. Ascensori, aerei, code, sale d’aspetto. Io taccio quasi sempre, ma non in maniera distaccata e serena. Provo fastidio nell’essere in una situazione in cui un’altra persona, al posto mio, forse si comporterebbe meglio, forse userebbe quella sincronicità di due destini estranei per una possibilità che cambi qualcosa, anche solo cinque minuti di vita, ma pur sempre qualcosa al posto che niente. 

Nessuno mi sceglie. Nel corridoio passano alcuni ragazzi, poi una signora anziana, poi, infine, una giovane coppia. Tutti buttano un occhio e poi spariscono. 

E così torno alle mie persone‐clienti‐schede da aggiornare. Mancano ancora cinque ore al mio arrivo a Roma. Il cellulare non suona, la giacca regge bene il viaggio senza stropicciarsi, fuori continua a piovere e io non so più a cosa pensare. 

Le gocce sul finestrino mi distraggono, scivolano, poi tornano su, si uniscono ad altre gocce. È tutto un po’ sfocato, anche se resta visibile. E Carla adesso starà lavorando, come i miei colleghi ed i suoi, come quasi tutti, o almeno molti, ma non mio padre. Lui cosa farà? Cosa fa un omicida, in galera, alle dieci del mattino, con ancora una ventina d’anni di mattine da scontare? Lo hanno avvisato del mio arrivo. Forse mi pensa. Che effetto gli avrà fatto? Nessun effetto? Sbadigli e una conversazione coi compagni di cella tipo: “Quello stronzo di mio figlio stasera viene a trovarmi”. “Hai un figlio? Non lo sapevo.” “Sì, ma non lo vedo da più di dieci anni; non so neanche chi sia quel fottuto stronzo, lui e quella grandissima troia di sua madre, era però una bella figa, ai tempi.” “Ahahahahah, magari lo è ancora, sarebbe stato meglio che venisse lei a trovarti, ahahah.”  

Eccomi a Roma. È una città che non conosco affatto, non ci sono mai più tornato da allora. Piove anche qui, ma fa un po’ meno freddo. 

Ho tre ore di tempo, prima dell’appuntamento. Posso cercare un internet‐point per inviare l’aggiornamento delle schede in ufficio. E per non pensare. 

La strada è in discesa. Via del Tritone. Arrivo in una piazza, poi in un’altra, poi in via del Corso. Affollata di ragazzini molli e di adulti in giacca e cravatta dal nodo abnorme. C’è una bella luce. Molti telefonini che suonano, automobili nere con autista che sfrecciano. Città di politici e di attori televisivi. Un bar, mi siedo fuori. Prezzi contenuti, per essere in una capitale. 

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E mi viene in mente mio padre, io ero piccolo, ma ancora non riesco a dargli un corpo. Eravamo andati in gita, non ricordo dove. Ricordo che ero in macchina, seduto dietro. Lui alla guida, mia madre accanto. Sedili di plastica rossi. Forse era una Fiat, ne ricordo il marchio, da qualche parte. Ma cosa si dicevano? Parlavano di collegio, forse ci sarei dovuto andare io, mi sembra che mio padre si opponesse. Io non volevo andarci. E poi, ancora, una volta a casa. A cena, mani troppo sporche per mangiare, e così in bagno – di corsa – ecco, mio padre diceva sempre “di corsa” – per lavarle e rendermi presentabile. “Di corsa.” Chissà se l’omicidio l’avrà compiuto “di corsa”. 

Il giornale diceva “disegno omicida”.  

 

Non capisco se Carla abbia sempre evitato l’argomento “padre assassino” solo per non violare il mio silenzio o anche perché in fondo non le interessa. Potrebbe anche avere avuto paura, in fondo. Padre assassino, avrebbe potuto pensare che qualche cellula omicida fosse finita nella mia testa. Brutta cosa. Paura di me. Io che non sono mai stato aggressivo. Ma che ne so, magari mio padre è stato un omicida pacato. Quasi morbido, senza sentire quasi nulla. Certo è che il suo piano non andò certo come lo aveva studiato. Non voleva essere scoperto. Aveva fatto in modo di non lasciare tracce o collegamenti che riconducessero a lui, diceva il giornale. Nessuna impronta, nessun apparente movente. Ma lo presero lo stesso. Mio padre, assassino poco intelligente. Forse avrei dovuto mettermi la cravatta. 

È quasi l’ora. Pago e vado a prendere un taxi. 

 

Venti minuti di automobile per arrivare da mio padre. Uno per ogni anno e mezzo di assenza. Uno per ogni anno di carcere che gli resta da scontare. Ed eccomi arrivato. 

Un portone, delle guardie, scalini. Il cielo è ancora chiaro. 

Non sto provando nulla. Non c’è eccitazione, forse non ancora,  mentre cammino per questo lungo e largo corridoio dalla fattezza di marmo beige e marrone. Un secondino mi accompagna. Qualche decina di metri. Mi sembra di essere in un uovo. Cerco qualche figura che mi faccia capire che il tempo procede. Una grande finestra si sposta e diventa via via meno visibile, fino a scomparire, ed eccone un’altra e poi un’altra ancora. Tre. Adesso solo più alcune sedie, quante sono? Una‐due‐tre‐quattro‐cinque‐sei. In metallo, con lo schienale in plastica, sembrano quelle dell’asilo, quando ero a Roma, con un padre ancora non assassino. Il secondino è alto uno e sessanta e baffetti su viso gonfio e butterato, passo gonfio e tronfio al tempo stesso, mi indica una porta di metallo che metterebbe tristezza ad un fuggiasco. 

C’è solo un uomo, dev’essere per forza mio padre. 

 

‐ Ciao. 

‐ Ciao, grazie per essermi venuto a trovare. 

‐ No, figurati. 

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‐ Allora, cosa mi dici? 

‐ Non lo so, veramente non so bene perché sono venuto dopo tutto questo tempo. 

‐ Non fa niente. Non abbiamo molto tempo. Parlami di te. 

‐ Di me? Cosa vuoi sapere? 

‐ Come vivi, che lavoro fai, se sei sposato, se hai figli, se sei felice. 

‐ Sono sposato e non ho figli. 

‐ Da molto? Com’è tua moglie? Vi amate? 

‐ Mi sono sposato circa sei anni fa, la conoscevo da molto tempo e siamo stati fidanzati per circa due anni. L’ho conosciuta all’università, si chiama Carla. Ci eravamo un po’ persi, dopo la mia laurea, poi ci siamo incontrati di nuovo, per caso, a una festa di amici. 

‐ È bella. 

‐ Sì, è molto bella. È bionda, alta poco meno di me, ha occhi nocciola, un corpo perfettamente proporzionato. Piace a tutti, è simpatica, discreta. Nel suo lavoro è molto precisa, fa la biologa in una clinica privata. Mi è stata molto vicina quando la mamma è morta. 

‐ Quando è morta? 

‐ Ah, non l’hai saputo? 

‐ No, dimmi. 

‐ Le è venuto un tumore al cervello. Se n’è andata nel giro di una settimana, due anni fa. 

‐ Si era messa con un altro uomo? 

‐ No, non ha avuto uomini, che io sappia, dopo di te. 

‐ Ma era felice? 

‐ Felice? Non lo so. Credo di sì, era tranquilla. Aveva tanti amici. E poi aveva fatto carriera. Nella sua azienda era molto stimata. 

‐ E ha sofferto? 

‐ I medici dicono di no. È stato tutto così veloce. 

‐ Quindi sei sposato e ami tua moglie. 

‐ Sì. Quando ci siamo ritrovati, a quella festa, abbiamo iniziato a frequentarci, e un mese dopo già decidevamo di andare a vivere insieme. 

‐ E volete avere dei figli? In fondo siete ancora giovani. Lei ha la tua stessa età? 

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‐ No, qualche anno in meno. Frequentavamo la stessa facoltà, ma io c’ero arrivato dopo. Prima avevo lavorato in giro per il mondo, dopo il diploma. Vorremmo avere dei figli, ma abbiamo qualche problema. 

‐ Che problema? 

‐ Il medico ci ha detto che non ci sono molte possibilità. 

‐ Potreste adottarli. 

‐ Ci abbiamo pensato, solo che per adesso speriamo ancora di poterne avere di nostri. 

‐ Capisco. E dove vivete? 

‐ A Torino. 

‐ Come mai Torino e non Roma? Per motivi di lavoro? 

‐ No, ma dai, non ricordi? Andammo a Torino, io e la mamma, quando vi separaste. 

‐ Ah, sì, scusa, non ricordavo bene. E che lavoro fai? 

‐ Lavoro in un’azienda che si occupa di finanza. Compra‐vendita di fondi. Io mi occupo dell’analisi. 

‐ Cioè? 

‐ Studio il rapporto patrimoniale dei clienti e una volta stabilito quanto possono investire consiglio loro dei fondi appropriati. Conta anche la propensione al rischio. Alcuni preferiscono guadagnare poco ma con meno possibilità di rimetterci, altri invece sono disposti a rischiare per la speranza di un grosso guadagno. 

‐ E ti piace? 

‐ Sì, mi dà parecchie soddisfazioni; quando un cliente è soddisfatto vuol dire che a qualcosa il mio lavoro è servito, no?. 

‐ E guadagni bene? 

‐ Abbastanza. Lo stipendio di Carla serve quasi del tutto per pagare il muto della casa e con il mio riusciamo ad essere abbastanza tranquilli. Spendiamo soprattutto per i viaggi. 

‐ Ne avete fatti molti? 

‐ Cerchiamo di farne uno bello all’anno, da quando ci siamo sposati ci siamo riusciti. E poi qualche gita e i fine settimana caldi al mare. 

‐ Hai anche una casa al mare? 

‐ Sì, era dei nonni di Carla, è in Liguria, ce l’hanno lasciata in eredità. 

‐ Bello. Be’, non dico per i nonni. 

‐ Certo, ho capito, per la casa, certo. 

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‐ Sì. Insomma, puoi considerarti un uomo felice? 

‐ Non lo so, credo di sì, con Carla stiamo molto bene, certo, se arrivasse anche un figlio sarebbe ancora meglio. 

‐ Già, il figlio, ma a parte quello... 

‐ Sì, a parte il figlio che non arriva, credo proprio di essere un uomo felice, anche forse perché non ho grandi pretese. 

‐ In che senso? 

‐ Non so, per esempio molti miei amici, dopo la laurea hanno avuto più ambizioni. Io ho praticamente accettato il primo lavoro che mi hanno offerto. 

‐ Capisco. Felice e con poche pretese. 

‐ Be’, detto così sembro una specie di cretino. 

‐ Invece sei intelligente? 

‐ Che domanda... Non so, non spetta certo a me dirlo... 

‐ Va be’, a me non lo può dire nessun altro... 

‐ Sì. Credo di essere abbastanza intelligente. E poi sono metodico, preciso, ho una volontà molto forte. Vado per tappe e di solito raggiungo quello che mi prefiggo. 

‐ Capisco. Hai avuto malattie o incidenti particolari? 

‐ No, niente di grave, le solite cose. Da ragazzino mi sono rotto un braccio e poi più niente. Le solite malattie della crescita, nulla di più. 

‐ Meno male, mi fa piacere. Ti manca qualcosa, a parte il figlio? C’è qualche progetto in cantiere? 

‐ No, niente di che, Carla ed io siamo contenti della nostra vita. Organizziamo solo i nostri viaggi. 

‐ E avete passatempi in comune? 

‐ Mah, andiamo abbastanza frequentemente al cinema e poi lei è una grande lettrice, specie di gialli, io invece no, non leggo molto, guardo la tv, ogni tanto, qualche film. 

‐ E avete molti amici? 

‐ No, non troppi, Frequentiamo una coppia con la quale, appunto, andiamo al cinema. E poi lei ha l’amica d’infanzia, Elia, e insieme fanno un sacco di cose. 

‐ Tipo? 

‐ Il sabato pomeriggio fanno shopping, vanno a mostre d’arte, si scambiano titoli di romanzi. 

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‐ Bello. 

‐ Sì, credo che non abbiano mai litigato, sono davvero molto amiche. 

‐ E tu, invece? Non hai amici che frequenti da solo? 

‐ No, non più. Ne avevo uno, Mario, a cui ero molto legato, ma poi si è trasferito in America per lavoro. 

‐ Ho capito. E sei fedele? 

‐ Fedele? Sì, sì. Non so proprio il tipo da adulterio, io, e poi amo troppo Carla per pensare di tradirla, no, davvero, non potrei mai. 

‐ E lei? 

‐ E be’, spero proprio lo sia anche lei? No, scherzo, ci metterei una mano sul fuoco, a parte che non so dove potrebbe trovarne il tempo, ma poi no, anche lei non è proprio il tipo, e poi ci amiamo, due che si amano perché dovrebbero tradirsi? 

‐ Non lo so proprio. E a parte l’amore, il sesso come va? 

‐ Ma che domanda... be’, insomma... Sì, va bene. Certo, non sempre c’è l’entusiasmo che avevamo all’inizio, insomma, ma a volte sì, insomma, è ancora molto bello. 

‐ Ho capito. Va bene, credo che il tempo a nostra disposizione sia proprio scaduto, Andrea, ti devo salutare, è ora che tu vada. 

 

Tra una settimana uscirò dal carcere. Forse riuscirò a smettere di pensare a come sarebbe stata la vita di mio figlio, se non lo avessi ammazzato. 

 

 

 

 

 

 

 

   

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Ester è da Victor. Gli dice che sì, farà parte del nucleo attivo dei dissidenti, che ha deciso; vuole collaborare con loro, che è giusto soprattutto adesso che Ricchetti sta prendendo sempre maggior potere, prima che il nuovo progetto Nefòs sia presentato al referendum popolare. Nel frattempo, mentre Victor le dice che è felice per questa sua decisione e che presto le assegnerà il suo secondo compito – il primo fu quello di accompagnare Cohen da Fregli – Ester riesce a leggere, tra le carte, l’indirizzo di Agnese.

Arriva a casa e, ironia della sorte, vede che Agnese abita poco distante da lei. Adesso deve decidere come contattarla. Non avendo detto nulla a Victor non può utilizzare la prima idea che le era venuta in mente: chiederle consiglio per aiutare i dissidenti. Ha scartato questa ipotesi perché non era sicura che Victor accettasse e le desse l’indirizzo, ma, sicuramente, così facendo adesso sarà più difficile trovare un motivo valido per Agnese.

Decide che forse la cosa più semplice è proprio quella di dirle la verità. In fondo cosa c’è di male? Vuole sapere come sono andate le cose, perché nasconderglielo con una bugia? Tanto prima o poi glielo dovrà chiedere, quindi tanto vale farlo dall’inizio.

La chiama, e, al contrario di quello che si aspettava, la trova e Agnese le dice che è ben lieta di conoscerla. Si danno appuntamento per l’indomani, in un bar del centro.

Ester, guardandola mentre entra al locale, cerca di trovare la descrizione di Andrea, ma proprio non le riesce. Agnese è sicuramente una bella donna, ma per nulla alternativa. È la classica trentenne sicura di sé, quasi altezzosa, nei suoi abiti firmati e dietro a ordinari occhiali da sole alla moda. “Quella sembra una sciampista tirata a lucido” è la prima cosa che pensa Ester.

- Ciao, sono Ester, grazie per essere venuta all’appuntamento.

- Figurati, mi ha stupito la tua telefonata, e io sono una tipa curiosa.

- Sì, bene, mi fa piacere.

- Allora, dimmi tutto, cosa vuoi sapere di Andrea?

- Be’, non si può certo dire che tu non sia diretta.

- Certo, perché girarci intorno, mi hai detto che volevi sapere qualcosa di Andrea, sono qui apposta, dimmi cosa.

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- Sì, ecco, come ti dicevo al telefono, io e Andrea siamo stati sposati per molti anni e da poco ci siamo rimessi insieme. La cosa che c’era stata con te è stata sempre oscura, per ovvi motivi, insomma, almeno credo, non se l’è mai sentita di parlarne a fondo. Ultimamente, invece, ha deciso di farlo. Ovviamente gli ho creduto, ma qualcosa, secondo me, è rimasto omesso, magari inconsciamente, e io vorrei sapere tutto, insomma, non certo per giudicare, quanto per meglio comprendere.

- Sì, certo, ti capisco, anche se è una cosa molto vecchia, passata da anni e anni, e non so bene quanto possa essere influente quello che penso io.

- Lo è, e non ti offendere, non certo per te, non so bene come dire, diciamo che la rilevanza che hai tu, secondo me, e ripeto, non ti offendere, non è in quanto donna o legame con Andrea, ma come problema da superare.

- Ah, be’, non si può dire che anche tu non sia diretta, eh.

- Te l’ho detto, niente di personale, ci mancherebbe, ma come dici tu è una cosa vecchia.

- E tu dici che non è passata? Va bene, cosa vuoi sapere?

- Vorrei sapere che tipo di rapporto avevate e come hai vissuto tu l’epilogo, sempre che ti vada di parlarne, non voglio certo forzarti.

- Ma certo, nessun problema, ti dico quello che ricordo. Innanzitutto quando conobbi Andrea. Lui era giornalista e mio fratello collaborava col giornale per cui lui scriveva. Io avevo un fidanzato con cui ero in crisi. Andrea mi piaceva molto, non posso certo dire il contrario, e cominciammo a vederci. Per me era, non so bene come dire, rappresentava l’uomo adulto, affascinante, l’opposto del mio fidanzato. Andrea parlava di argomenti che allora mi interessavano molto, era colto, sicuro di sé, insomma, anche se così sembra banale, in lui, io ragazzina, vedevo l’uomo. Il problema era che anche lui, come il mio fidanzato, era molto geloso. Insomma, io forse non mi comportai benissimo, perché sì lasciai il mio fidanzato, ma in fondo restandogli legata, e questo Andrea lo capì e proprio non riusciva a sopportarlo. D’altra parte, come dargli torto, no?

- Certo, questo mi sembra normalissimo, ma scusa, una cosa non ho ben capito, ti eri innamorata di Andrea o amavi ancora il tuo ex fidanzato?

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- Ah, guarda, io con l’amore ho sempre avuto un problema di comprensione, sarà per questo che sono single, adesso. Comunque non so bene, di certo sentivo una forte attrazione per Andrea, e non solo fisica e, d’altra parte, sentivo un legame con il mio ex fidanzato. Insomma, ci capivo poco, non sapevo bene come fare.

- Sì, capisco. E poi?

- E poi c’erano mille problemi, tra cui anche mio fratello. Lui si arrabbiò moltissimo quando seppe di me e di Andrea, mi disse che non dovevo intromettermi, che avrei mandato a monte tutto.

- A monte tutto, cosa?

- Andrea aiutò molto mio fratello all’inizio della sua carriera, e lui pensava che il nostro rapporto potesse in qualche modo metterlo in cattiva luce.

- Ah, capito.

- Guarda che non si era certo approfittato di lui, andavano molto d’accordo, aveva solo paura che Andrea si potesse arrabbiare con me e che ci rimettesse lui.

- Sì, sì, ho capito.

- E poi mio fratello e il mio ex erano molto amici. Comunque, a parte questo, io all’inizio ero convinta, volevo restare con Andrea e lasciare definitivamente il mio ex fidanzato. I dubbi vennero poi, ed erano causati in parte dalla sua gelosia, in parte dall’insistenza del mio ex. O meglio, l’insistenza del mio ex mi faceva capire quanto ci tenesse; sai allora io ero fissata con l’importanza dei legami. Credevo che fossero karmici o una cosa simile, e pensavo che se una persona voleva fortemente stare con me forse era perché inconsciamente sapeva che il destino ci voleva uniti. Insomma, io credevo che quello con quel ragazzo potesse essere, mio malgrado, il rapporto per tutta la vita.

- E allora perché lo lasciasti?

- Mah, era un ragazzino, con mille idee ma senza alcun aspetto pratico, passava il tempo a dire quel che avrebbe fatto, ma senza farlo mai. Era quasi un visionario, se così si può dire. E poi fisicamente Andrea mi piaceva molto di più, a dire il vero.

- Ah, capisco.

- Comunque non c’è molto altro da dire, Ester. Litigammo e io gli dissi che sarei andata a prendere le mie cose da lui. Quando andai a casa sua lui si offrì di accompagnarmi. Prese l’auto e una volta

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arrivati trovammo il mio ex fidanzato. Fecero a pugni e Andrea ebbe la meglio, solo che il mio ex lo denunciò per lesioni e cose varie.

- Come per lesioni?

- Sì, Andrea fu addirittura processato, non te lo ha detto?

- Sì, sì, me lo ha detto. Ma null’altro? Non accadde nient’altro?

- No, nient’altro.

- Ah, capito. Va bene. Ecco, insomma, non fu propriamente una storia d’amore, no?

- No, però poteva diventarla, se solo mi avesse lasciato il tempo. Andrea adesso come sta?

- Bene, direi bene. E tu? Che fai nella vita, Agnese?

- Mah, niente di speciale, da ragazzina avrei voluto occuparmi di lettere o similari, poi ho abbandonato l’idea. Adesso sono responsabile marketing di una grossa azienda.

- Ah, sembra interessante.

- Sì, mi dà molte soddisfazioni. E poi il letterato è mio fratello, lui lavora molto, ha scritto anche dei saggi.

- Sì, ho saputo. E partecipi anche all’attività politica?

- No, per niente, perché?

- Boh, non so, dai racconti di Andrea mi era sembrato di capire che fossi una ragazza attenta ai problemi sociali.

- Ah, no, mica tanto, guarda, io la politica proprio non la seguo, non mi interessa proprio.

- Capito. E vivi sola?

- Cos’è, un terzo grado? Dai scherzo, sì, vivo sola, te l’ho detto, con l’amore sono un disastro. E tu, invece, ti sei rimessa con Andrea da poco hai detto, va tutto bene, adesso?

- Sì, dai, cerchiamo di farla andare.

- Bene bene. Senti, non è per farti fretta, ma devo proprio tornare al lavoro.

- Ma figurati Agnese, anzi, non so come ringraziarti.

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- Ma no, figurati, spero solo di esserti stata d’aiuto. E mi raccomando, salutami Andrea, ok?

- Sì, certo.

- E qualche volta sentiamoci, ok?

- Certo, con piacere.

- Allora scappo, ciao Ester.

- Ciao.

Ester torna a casa, basita. Di tutto quello che si era aspettato, sia di Agnese sia della sua versione, non c’è nulla che torna. È davvero quella la donna di cui Andrea si era così pazzamente invaghito? Non corrisponde affatto. E poi perché non ha parlato della violenza sessuale? Era Andrea ad averla inventata, e se sì, perché mai? O forse Agnese l’aveva rimossa? Insomma, tutti i dubbi che Ester pensava di risolvere, si sono, invece, ingigantiti.

Non sa cosa fare, e non può certo parlarne ad Andrea. L’unica soluzione, pensa, e quella di aspettare qualche giorno e poi richiamare Agnese e chiederle un altro appuntamento, magari, questa volta, usando una scusa. È un’arrivista - pensa Ester - e si occupa di marketing, non sarà certo difficile escogitare qualcosa.

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Daniele chiama Andrea per invitarlo a cena. Durante la telefonata Ricchetti dice, in rete, che il giorno dopo esporrà i punti del nuovo progetto Nefòs.

- Hai visto che roba?

- Cosa?

- In rete, Ricchetti, domani ci sono i nuovi punti, speriamo bene, Andrea.

- Già, sempre che Fregli, insomma, non succeda qualcos’altro, dico.

- Ma basta con ‘sto cazzo di Fregli, sai cosa ho sentito in giro?

- No, evidentemente.

- Alcuni dicono che si sia inventato tutto.

- Sì, questo lo so anche io.

- Ma non sai il motivo.

- Già, ma adesso tu me lo dici, immagino.

- Dicono che sia perché i superstiti sono quasi tutti ebrei.

- Adesso siamo diventati superstiti?

- Va be’, “quelli che hanno vinto la guerra” va meglio?

- Uguale, e siamo tutti o quasi ebrei, visto che Blinz era ebreo, e allora?

- E allora chi cazzo ci può perseguitare, adesso, scusa?

- È una barzelletta?

- Ma no, Fregli è andato di testa, qualcuno che ci perseguita deve pur esserci, e lui si è inventato i nove.

- Ah, quindi l’invenzione è che i nove erano tutti nazisti, che hanno ammazzato tutti gli altri, dico, a parte negri, asiatici e comunisti, i restanti ariani. Che tutti gli ariani che sono morti a causa dell’aver votato i nazisti sono vittime sacrificali per poter continuare a perseguitare gli ebrei.

- Be’, più o meno. Infatti è una balla.

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- Va bene. Ci vediamo a cena, così magari mi dici di quando Hitler si è reincarnato in Blinz, ok?

- Va be’, ciao.

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Il giorno seguente, mentre Ester schiaccia noci senza pensare a nulla, squilla il telefono ed è Giulio, il fratello di Agnese; la vuole vedere, ha qualcosa di molto importante da dirle. Si danno appuntamento per la sera stessa, in un locale vicino al centro.

Ester chiude gli occhi, vede tutti - i seguaci di Fregli e quelli di Ricchetti - come dei piccoli inconsapevoli Kapò che si immaginano duce. Tutti soldatini, radiosi e contenti, storditi dall’idea di essere nel giusto. Li vede marciare con delle spade in mano lungo un sentiero, avanti, fermi, avanti, fermi, avanti, sguardo fiero, avanti, fermi, avanti, col petto ampolla colma di verità che strabocca e diventa urlo di vittoria. Poi vede Andrea, in mezzo a tutti quei soldatini, cerca di raggiungerlo per dirgli che non è vero niente, che sono tutti kapò di nessuno, di venir via con lei, ma più accelera più lui si allontana, si allontana fino a perderlo di vista. Fino a confonderlo con gli altri soldatini. E allora si ferma, apre gli occhi e schiaccia una noce.

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Lo stage di Andrea

Lezione seconda: Midrash  ‐  il risultato del metodo ermeneutico con cui gli studiosi del Talmud trovano  le disposizioni  rituali  nel  testo  biblico  –  la  ricerca  delle  disposizioni  legalistiche  (il  secondo  vide  e  perse  il senno)  

- In queste quattro ore dovrete analizzare un altro testo, ma, a differenza della prima volta, dovrete coglierne il senso e scrivere, a vostra volta, un racconto con lo stesso scopo, ma dai contenuti formali completamente diversi. Inventate una storia e datele lo stesso indirizzo di quella che io vi propongo. Il titolo è “Il mio matto”.

 

L’appuntamento era stato fissato la settimana prima, dalla mia segretaria. Lo scopo era la conoscenza del diverso, diverso inteso, molto banalmente, come matto. Non matto da poco, uno molto matto. Dovevo fare una relazione sulle condizioni dei malati di mente per una rivista poco famosa. Per farlo avevo deciso che, oltre a vedere le strutture, volevo guardare un matto. In realtà era tutto un pretesto, io i matti li sogno da quando sono bambino, sono incantato dai matti, ho paura dei matti, amo i matti e li odio. 

Arrivai alle dieci e un quarto, l’edificio era grigio, otto piani, portone marrone, anni trenta. 

Androne, marmi, scale o ascensore, portineria. 

Quarto piano, prima scala a destra, sezione ventidue. 

Scale, sedici gradini, non molto alti, circa dieci centimetri. Due rampe per piano, trentadue gradini che diventano centoventotto in tutto. 

Corridoio lungo una quindicina di metri, largo circa tre, porte ad ambo i lati, il mio matto stava dietro l’ultima a destra. 

Infermiera, cinquant’anni, cordiale, accondiscendente, sapeva cosa devo fare, ne era stata informata da un medico, mi sorrise e mi accompagnò dal mio matto. 

Ero abbastanza tranquillo, dico abbastanza perché la mia tranquillità era ricercata, non naturale, da troppi anni aspettavo questo apparentemente poco importante momento. Mi ero preparato, da una settimana pensavo a questa scena, pensavo alla clinica, all’androne, ai gradini, all’infermiera, allo spazio da percorrere per arrivare al mio matto. A come guardare il mio matto, a cosa chiedere al mio matto, a come comportarmi col mio matto. Avevo pensato a tutto, ma non al mio matto.  

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I metri andavano piano, i passi erano veloci. Le pareti ai miei fianchi, marrone slavato, a destra un dipinto che non ero riuscito a vedere bene, alla sinistra solo muro, piano, tutto scorreva piano. Alla mia sinistra, in fondo, una finestra, alla mia destra, il matto sul letto.  

Ho cinque anni, ho un incubo. Non vedo niente, sono cieco, sono sotto a casa, sul marciapiede che mi porta normalmente al giardino, con la mamma. Ma sono solo e sono cieco e grido e nessuno arriva. Perché nessuno arriva? perché non c’è la mamma? Voglio tornare a casa, torno a casa non so come ma torno a casa, quarto piano, scala destra. Ascensore con le grate. Arrivo al pulsante con su scritto 4, lo premo, passa piano, passa, passa, arrivo, scossone, sono arrivato, apro in fretta, corro al campanello e con tutta la forza che ho suono, urlo e suono, urlo e aspetto. 

Non arriva nessuno, quella non è casa mia, casa mia non esiste, io urlo, urlo e piango. 

 

Mi sveglio. Non voglio diventare matto, non voglio diventare matto. Mia madre arriva e mi calma.  

Va tutto bene, io sono qui, va tutto bene, bambino mio. 

  

Il mio matto era davanti a me, seduto sul bordo destro del letto, si era girato e mi guardava. Alle mie spalle la finestra. 

Non diceva niente e io non sapevo cosa dire. Non volevo guardarlo negli occhi, non dentro gli occhi, per lo meno. Volevo vedere il viso, il corpo. Mi sembrava grassottello, non molto alto. Aveva un pigiama marrone con dei piccolissimi pois neri. Di quelli senza collo, da bambino, di tessuto quasi spugnoso, da pochi soldi. Cercavo, mentre gli guardavo il pigiama, di capire se mi stesse guardando, dove mi stesse guardando. Sentivo lo sguardo, non alzavo ancora gli occhi. Mi soffermavo sulle pieghe del pigiama marrone, arrivavo alle lenzuola bianche, alle coperte, anch’esse marroni, ma di qualche tonalità più scure. Per un po’ credo di non avere pensato assolutamente a niente. 

 

Io non voglio diventare matto. 

  

Non potevo guardarlo, ma ero andato per questo.  

Il viso  ben rasato,  i capelli corti e neri, leggermente grassi, tagliati senza basette,  portati all’indietro. 

Le orecchie con i lobi grassi e corti, il padiglione auricolare  assai largo, le curve mollicce di carne molle. Le guance leggermente cadenti, il mento  corto, larga  la mandibola. Il collo rugoso. 

 

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Ho dodici anni. Vado in bicicletta e cado. Cado ma non vado a terra, il cavalletto si incastra nel terreno, rimango in bilico. C’è caduta e non c’è il terreno. Sono al giardino, sto aspettando gli amici, sono in anticipo e stavo facendo una corsa. Mentre cado, prima che il cavalletto trovi resistenza col terreno, non penso assolutamente a nulla. Non penso e so perfettamente che da lì a poco sarò per terra con le ginocchia sbucciate. Il cuore va veloce, ho una paura incredibile e non faccio nulla. Poi mi fermo e il cuore lo sento davvero battere. Non è successo nulla. io non sono caduto.  

 

La bocca senza contorni ben definiti, di un rosso molto scuro, brutta e flaccida. Le narici larghe, spigolose, il naso  piatto, piccolo, morbido. Le sopracciglia folte, delimitate, molto belle. 

Arrivai agli occhi e lui arrivò ai miei. Neri, poco meno neri della pupilla, in mezzo a un bianco non tanto bianco.  

Per un attimo le mie pupille e le sue furono una cosa sola e questa cosa fu ovunque: non esistevano distanze, pareti, matti, letti, bianchi, lampade, luci, giardini, biciclette, ascensori, madri, padri, famiglia, lavoro, amici, bambini, futuro, passato, presente, scuole, maestre vecchie, nonne vecchie, colazioni a letto la domenica mattina tarda, cani, gatti, risvegli, insonnie, paure, gioie, incubi, incubi, incubi. 

 Per un attimo non esistette nulla, solo una cosa non precisata che non ero io e non era il mio matto. 

Dopo questo nulla, un corpo, il mio, afferrava un corpo, quello del mio matto. E di nuovo tutto si fece lento, lo afferravo e si divincolava e urlava e sentivo che anche l’infermiera cordiale stava urlando e io stringevo sempre più forte, il viso del mio matto toccava il mio viso mentre lo tiravo verso di me, lo mettevo in piedi, lo abbracciavo, sentivo le sue urla forti e sembrava un bambino, il mio matto, e tiravo e poi lo giravo. La finestra era aperta, sentivo solo urla e lo spingevo e vedevo il pigiama marrone, e poi più niente. 

Mi hanno processato, giudicato, condannato: matto. 

Sono in clinica, quarto piano, scala destra.  

   

 

  

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Ester arriva al locale e nota subito Giulio: assomiglia parecchio alla sorella, ma ha lineamenti meno marcati, dei due è più femminile lui.

- Ester?

- Sì, sono io, ciao Giulio.

- Ho prenotato un tavolo.

- Bene.

- Scusami, mi avrai preso per matto, non ci siamo mai conosciuti e ti chiamo così.

- Ma no, figurati, e poi ho visto tua sorella pochi giorni fa, abbiamo parlato anche di te, in fondo è abbastanza normale che tu voglia dirmi la tua.

- Sì, cioè no, insomma, non volevo parlare di me, Agnese mi ha detto che vi eravate visti, che l’avevi cercata, e volevo vederti.

- Va bene,non ti preoccupare. Prendiamo qualcosa da bere?

- Sì, certo, io una vodka, tu cosa prendi?

- Va bene vodka anche per me.

- Ok, aspetta, vado a ordinare e torno subito.

- Ok.

- Eccomi. Allora l’argomento è un po’ delicato e normalmente non dovrei parlarne. Ti interessi di politica?

- Mah, sì, come tutti, credo. Alludi a Fregli?

- Sì, certo, anche a Fregli.

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- Sì, certo, ho seguito tutto, come tutti gli abitanti, no?

- Certo, ma c’è chi segue e chi è passivo. Tu che posizione hai?

- Mah, io sono più o meno passiva.

- Che vuol dire passiva.

- Sì, che vuol dire passiva.

- E non vorresti prendere parte alla storia?

- In che senso, scusa?

- In questo periodo, come sicuramente saprai, si decide tutto. Da una parte Ricchetti, dall’altra Fregli. La popolazione ha bisogno di certezze, deve sapere a cosa andiamo incontro.

- Certo, è ovvio.

- Io sono in politica, lo sapevi?

- No, proprio no, non ne sapevo nulla, fino a pochi giorni fa sapevo a mala pena della tua esistenza a dire il vero.

- Certo, è normale.

- Tu conosci moltissima gente, a proposito, Andrea come sta?

- Bene, grazie, molto bene.

- Mi fa piacere. Agnese mi ha detto di voi, siete al centro di un bel gruppo di persone, no?

- In che senso?

- Nel senso che siete intellettuali, conoscete molta gente.

- Be’, intellettuali, non credo, siamo persone come tante altre.

- Ma dai, non ti sminuire.

- Ma no, è proprio così, ti assicuro.

- Io non credo, comunque, penso, anzi sono convinto che sia il tempo di agire, di prendere coscienza del momento in cui viviamo e di dare la propria intelligenza al servizio della popolazione.

- E in che senso fai politica?

- Ma davvero non hai mai sentito parlare di me?

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- Davvero, dovrei? Scusami, come vedi non sono così attenta a quello che capita. Comunque Agnese mi ha detto che sei diventato un giornalista prestigioso, che hai vinto dei premi.

- Sì, e questo, in fondo, anche grazie ad Andrea. Ma non è direttamente di questa attività che parlo.

- Ah, allora proprio non so.

- Ok, sarò diretto, mi occupo dei discorsi governativi, sto formando un gruppo per la “diffusione della verità” e ho bisogno di persone motivate che possano contrastare i pensieri che Fregli sta cercando di diffondere nel nostro paese.

- Ah, insomma, lavori per il governo.

- Be’, certo, mi avevi mica preso per un terrorista?

- No, certo che no, ci mancherebbe, ma credevo che tu facessi il giornalista.

- Certo che faccio il giornalista, ma ho prestato la mia penna al governo, vedi, ci stiamo giocando tutto in questo momento, tu non puoi certo immaginare quanto Ricchetti influenzi le masse, anche se non lo si vede in video, anche se dice solo bugie, il popolo subisce il suo fascino. Passa per l’eroe, una specie di comunista contro Nefòs, capisci?

- Sì, certo, ma io cosa c’entro con tutto questo?

- C’entriamo tutti, Ester, non capisci? Se perdiamo il futuro sarà mostruoso, ci sarà l’anarchia. Dopo la guerra questo è il periodo peggiore, siamo ancora fragili come potere, abbiamo bisogno di dar radice alle nostre convinzioni di mondo libero, e per far questo dobbiamo sconfiggere, una volta per tutte, Fregli e i suoi seguaci.

- Sì, capisco.

- Allora, sei con noi?

- Be’, fammici pensare per qualche giorno, e poi veramente non ho ancora capito cosa potrei fare io.

- Potresti divulgare la verità, formare un gruppo, con i troppi amici, Ester, pensa all’intelligenza di Andrea, pensa allo spreco di non poterla utilizzare per la nostra causa.

- Sì, certo. Senti, il tuo numero ce l’ho, dammi solo qualche giorno e ti chiamo, d’accordo?

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- Certo, ma solo una cosa: stai molto attenta alle persone a cui vuoi dire di questo progetto. Quelli di Fregli sono ovunque, ti assicuro. Molto più annidati di quanto si possa pensare. Io ne ho parlato a te perché Agnese mi ha detto che sei una a posto, ma tu fai attenzione, ok?

- Sì, certo, stai tranquillo.

- Adesso devo andare, Ester, mi ha fatto davvero piacere conoscerti e aspetto la tua telefonata. Ci conto, Ester, ok?

- Certo, te l’ho detto, tra qualche giorno ti chiamo.

- Va bene, allora adesso vado, ciao e grazie di tutto.

- Grazie a te, ciao Giulio.

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Lo stage di Andrea

Lezione  terza: Haggadah –  il prodotto della  forma  allegorica o metaforica del  testo –  interpretazione  (il terzo isterilì le giovani piantagioni) 

- In queste quattro ore dovrete analizzare il testo che vi propongo e descrivere le allegorie e i simboli che trovate. Il racconto ha per titolo: “Particolari”.

Ognuno aveva una particolarità. Marta, quando dormiva, aveva le palpebre che diventavano nere. Ma non sempre, solo quando la giornata era stata brutta. La mattina tornava quasi normale. Non proprio, ma quasi. Giovanni a seconda dell’umore poteva diventare trasparente. Un giorno ebbe una lite furibonda con la fidanzata e scomparve per una settimana, nessuno riusciva a vederlo. Non parlava, per giunta. Michele diventava più alto a seconda dei profumi. Se sentiva odore di rosa era capace di crescere di un metro e mezzo. Con i tulipani, invece, non succedeva nulla. Cresceva molto anche con l’odore delle rotaie dei tram, ma solo se i tram ci erano passati da poco e avevano lasciato l’odore della frenata. Poi c’erano i più strani. Rosalinda dimagriva o ingrassava a seconda di chi incontrava, la mattina, appena uscita da casa. Se incontrava un uomo poteva prendere fino a cinquanta chili, se incontrava una donna ne perdeva fino a cinque. Una volta incontrò, simultaneamente, una coppia di sposi. Il suo corpo impazzì, per due ore mutò tremendamente. Chi la vide non riusciva a capire se fosse una fotomodella o un ippopotamo, difatti dimagriva di cinque e ingrassava di cinquanta a ripetizione. Nel giro di un’ora arrivò a pesare ottocentosettanta chili. Poi c’era Marco. Marco faceva il regista. Il suo mutare non dipendeva da lui ma dal comportamento della sua fidanzata. Più lei lo tradiva, più lui diventava un mafioso. Lei un giorno fece un’orgia, poco dopo lui chiese il pizzo in un ristorante cinese. Lo trovarono qualche giorno dopo, in una discarica, stranamente i suoi occhi sembravano lietissimi. Il cane Ugo aveva una particolare particolarità. Se vedeva un gatto si trasformava in un topo. Se vedeva un topo si trasformava in un gatto. Tutto ciò non gli procurò nulla di disdicevole. A parte una volta, quando incontrò Panza, una gatta che si trasformava in topa quando incontrava un cane. Ebbero un figlio, Mario. Mario non aveva nessuna particolarità, era un uomo normale. 

Il figlio del cane Ugo e della gatta Panza non sapeva cosa fare. Avere per genitori due animali dalla razza diversa lo aveva destabilizzato. Aveva fatto le elementari dai figli dei gatti e le superiori da quelli dei cani. Era andato in una università per figli di topi. Adesso aveva un lavoro, era impiegato presso una società di ricerca scientifica. Biologo. Aveva una compagna, una casa in affitto, insomma, era un uomo normale. Ma il conoscere la natura della sua procreazione lo rendeva cupo e triste. I genitori non andava quasi mai a trovarli, e le poche volte sempre con imbarazzo. Erano il cane e la gatta 

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più longevi del mondo. Molto spesso si era domandato se non sarebbe stato meglio che fossero morti. Con il lutto avrebbe finalmente potuto dimenticare la sua vera natura. Invece nulla, avevano ormai 28 anni l’uno e stavano benissimo. Un veterinario di fama internazionale li aveva visitati e aveva detto: “hanno il fisico di due animali di cinque anni”. Un altro aveva sentenziato: “forse in loro c’è il mistero dell’immortalità”. L’ultimo era come impazzito, avevano dovuto staccarlo a forza da Panza mentre cercava di strangolarla. Subito dopo dichiarò: “in loro vive satana, bisogna ucciderli”. Fu ricoverato a forza. Fatte le dovute proporzioni, secondo i calcoli del primo dottore,  i cinque anni dei genitori corrispondevano ai ventotto di un uomo. Tutto tornava; avendo generato un umano ne avevano preso la longevità. Sarebbero vissuti, salvo ignari e benedetti automobilisti ubriachi, ancora per molti e molti anni. E lui si intristiva, al pensiero, poi si arrabbiava per quella sensazione, poi, ancora, si intristiva ulteriormente per quella rabbia. Era in un vicolo cieco. Una notte arrivò a pensare di ammazzarli. In fondo cosa rischiava? La legge come lo avrebbe punito? Assassino di genitori o di due povere bestiole? Ergastolo o multa di qualche euro? Non lo sapeva, avrebbe voluto chiederlo a un avvocato ma si vergognava. Cercò di cancellare quel pensiero dalla sua mente quando un giorno ricevette una telefonata. Era un venditore di regole. Gli disse: “le posso vendere quattro piccole e semplici regole a buon prezzo, siamo in periodo di saldi, le interessa?”. Accettò di buon grado. 

Le quattro regole erano: Dimentica di chi sei figlio. Dimentica il nome tuo. Dimentica il nome dell’amata, quando ci sarà. Quando avrai dimenticato tutto, fai un figlio e chiamalo Meticcio. 

Mario si dimenticò di chi era figlio. Si dimenticò di chiamarsi Mario. Si innamorò e si dimenticò il nome dell’amata. Fece un figlio e lo chiamò Meticcio. Meticcio era il più particolare uomo degli uomini particolari. Aveva le sembianze di un uomo, ma ogni volta che incontrava un essere diveniva anche quell’essere. Era un meticcio vivente. La parte esteriore era la sua, mentre quella interiore assumeva la forma di chi incontrava. Era uno schizofrenico delle altrui personalità. Fino ai vent’anni studiò e divenne professore, studente, bidello. Uomo, donna. Divenne padre, madre. Topo, gatto, cane. Poi si innamorò. Divenne un po’ uomo, un po’ donna. Un po’ amato, un po’ amata. Poi lei lo tradì. Lui divenne tradito e traditore. Le conseguenze del suo essere meticcio continuavano a mutare. Tradito, traditore, geloso, fedifrago. Fumò dell’hashish e divenne spacciatore. Da spacciatore, tossico. Andò in cura e divenne curatore, uno dei suoi pazienti scappò dalla casa di cura. Lui smise di curare e non si drogò più. Quando faceva parte di un gruppo diveniva incrocio di tutte le vite altrui.  Non più solo fuori e dentro, come estremità, ma vero e proprio mosaico vivente. Le persone, in lui, vedevano la somma delle loro personalità, ma senza saperlo. Un giorno incontrò il venditore di regole, ormai vecchio. Ho un ultima regola da vendere, la vuoi comprare? Divenne venditore di regole. L’ultima era: vattene.  

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Se ne andò di mattina, c’era la nebbia.  

 

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- Ciao Andrea, come va?

- Insomma, abbastanza bene, oggi ho fatto lo stage, tu?

- Senti, ti dovrei parlare.

- Di cosa?

- Preferirei dal vivo.

- Va bene, ma dimmi almeno di cosa si tratta.

- Mi sa che ho fatto un pasticcio.

- Va be’, ma dimmi.

- Ho visto Agnese.

- Agnese?

- Sì.

- E perché diavolo l’hai vista.

- Poi ti spiego, ma non è questo il problema.

- Ah, c’è ancora dell’altro?

- Sì, ho visto pure suo fratello.

- Madonna, una riunione.

- Sì, ed è filo-governativo.

- Va be’, problemi suoi, no? Che ti frega?

- Mi ha chiesto di entrare nel governo.

- Be’, basta dirgli di no, ma perché diavolo li hai visti?

- Poi ti spiego, il fatto è che ho visto degli incartamenti in cui Agnese sembra sia con Fregli.

- Agnese con Fregli e il fratello con Ricchetti?

- Non lo so, non ci capisco più nulla, per questo devo parlarti.

- Va bene, ci vediamo stasera da te, ok?

- Ok.

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- A parte che continuo a non capire perché diavolo hai cercato Agnese e perché vi siete viste. Ma se è vero quello che ti ha detto Giulio, allora dovresti parlarne a Victor. Potrebbe essere una trappola, forse. Ma tu sei sicura che Agnese stia con Fregli?

- Ma sì, ti ho detto che il suo nome era negli incartamenti.

- Non lo so, mi sembra strano. E poi mi vuoi dire perché vi siete viste?

- Te l’ho detto, ho visto il suo nome e volevo saperne di più.

- E null’altro? Davvero non era un pretesto per chiederle di me?

- Ti ho detto di no.

- E di me che ha detto?

- In pratica nulla, che vi eravate voluti bene e di salutarti.

- Sicura?

- Sicura.

- E che tipo è? È cambiata da come te l’ho descritta?

- Be’, a dire il vero, sì. Non corrisponde affatto. Anzi, sai una cosa? La tua descrizione su di lei somiglia molto di più a me

- Dici?

- Sì, pensaci. Le tue parole su di lei sono applicabili perfettamente a me.

- Boh, a me non sembra. Ti fermi a dormire qui?

- Sì, ma domattina devo svegliarmi presto, voglio chiamare Victor e prendere un appuntamento, prima di vedere Giulio. Hai ragione tu, è tutto molto strano, non vorrei aver combinato un guaio.

- No, ma certo fai bene a parlargliene.

- E il tuo stage come va?

- Bene, ho preso spunto da Mosé de Léon, te lo ricordi?

- Il qabbalista?

- Sì.

- E che c’entra con la letteratura?

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- C’entra eccome. Le sue visioni della noce le ricordi?

- Non tanto, sai che io e l’ebraismo non siamo mai andati troppo d’accordo.

- Va be’, i quattro strati come conoscenza. Io l’applico alla letteratura, come studio dell’inconosciuto.

- Se è in conosciuto come lo studi?

- Per renderlo conosciuto, appunto.

- Va be’, non ci capisco nulla. Andiamo a letto?

- Andiamo a letto.

- Non riesco a dormire, sei sveglio?

- Sì.

- A cosa stai pensando?

- Penso a tutto, a Nefòs, a Ricchetti e a Fregli.

- Riguardo a cosa?

- A volte mi sembra che tutto questo sia un gigantesco Golem. Che la creatura non sia una persona, ma il mondo intero. Che siano riusciti a ricostruirlo e che questo mondo, ormai, appartenga all’uomo e basta, che sia una sua creazione. Mi domando solo chi sarà a togliere la prima lettera.

- Forse nessuno.

- Ma no, lo sai anche tu, i Golem sono una sfida persa.

Ester abbraccia Andrea e fanno l’amore.

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PARTE QUARTA

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Capitolo dieci

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Ester chiama Victor, accenna l’accaduto. Lui sembra molto preoccupato, le dice di aspettare di vedere Giulio, e le dà appuntamento per il giorno dopo.

L’agitazione di Victor si trasforma in panico per Ester.

- Lo sapevo, ho sbagliato tutto.

- Be’, aspetta di parlare con Victor, magari è meno grave di quello che pensi.

- Ma no, è un disastro. Senti, ti prego, accompagnami all’appuntamento.

- Io? Ma no, dai, sai che vorrei stare lontano da queste cose.

- Ti prego.

- Quando devi vederlo?

- Dopodomani mattina, ha detto che è urgente.

- Avrei l’ultima lezione del mio stage.

- E non puoi rimandarla? Ti prego.

- Va bene, chiamo in facoltà e dico che ho problemi.

- Grazie, grazie, grazie.

- Eh, tu vedi la mia ex, fai i casini e io ti devo pure accompagnare.

- Sei un tesoro, sei molto migliorato, come mai?

- Bah, meglio non chiederselo.

- Spiritoso. Oggi oziamo tutto il giorno, ti va?

- Bel programma, mi piace, ma tu spogliati e rimani sempre nuda.

- È un ordine?

- Sì, lo è.

È una giornata di pioggia, felice per entrambi.

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Il discorso di Ricchetti.

Dopo settimane di lavoro siamo riusciti a capire che modifiche apportare al progetto Nefòs. Per prima cosa devo ricordare Blinz, senza il cui lavoro adesso saremmo niente, senza la cui persona avremmo perso la guerra, non ci saremmo mai risvegliati, dopo la grande notte. Quindi va merito a lui di tutto, e se Nefòs avrà, adesso, dei piccoli cambiamenti, nulla sarà tolto allo spirito che ha animato la nascita del nostro nuovo mondo. Per questo motivo, insieme al Governo, ho deciso che per sempre il nome di Blinz sarà legato a Nefòs e a noi tutti e per questo abbiamo decretato che il giorno della sua nascita da oggi e per sempre sarà festa nazionale.

Le modifiche che apportiamo al progetto Nefòs non sono nel criterio di valutazione di noi tutti, ma nelle effettive concretizzazioni. Troppo poco ha pesato la vita di ciascuno di noi nel progetto. Troppo poco e questo in considerazione della possibilità che il nostro mondo dà a tutti noi di stare bene. Abbiamo pensato che i criteri etici sono stati sconfitti, col primo progetto, dalle possibilità naturali. E l’etica sarà il fattore dominante del nuovo progetto. Anche se tutti possono stare bene, non è giusto che tutti lo stiano. Quindi abbiamo dato una maggior differenza alle possibilità che hanno le persone con punteggio positivo da quelle con punteggio negativo.

Non ci sarà nessun riconteggio, quindi. Ma il limite imposto da Nefòs, sull’impossibilità di ledere alla libertà dei singoli sarà vagliato da un’apposita commissione governativa, chiamata, appunto, commissione etica. Con questo non vogliamo certo dire che ci saranno persone che vedranno privarsi della propria libertà. Ma ogni anno ci sarà un esame delle azione singole, e, in futuro, questo potrà accadere. Anche i redditi saranno ridistribuiti in maniera più etica. I migliori avranno di più, chi si è comportato male, avrà di meno.

Altro punto del nuovo progetto è Fregli. Abbiamo fatto valutare il suo comportamento da Nefòs. Egli sta cercando, attraverso la menzogna e la calunnia, di far cadere le regole del nostro mondo, le motivazioni, i principi, per cui noi tutti votammo Blinz. Fregli è nemico di Nefòs, nemico di Blinz, nemico di ognuno di noi. Per questo Nefòs ha deciso e io ho personalmente avvallato, che Fregli deve essere catturato e processato. E così le persone che lo aiutano in quello che possiamo tranquillamente chiamare: “complotto di stato”.

Domani diffonderemo le nuove regole del progetto, dettagliatamente. Per oggi è tutto, vi auguro una felice giornata.

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Andrea rinvia la sua ultima lezione dello stage e con Ester va da Victor. Lei decide di farlo aspettare fuori, ha paura di aver causato già troppi danni con Agnese per presentarsi all’appuntamento non da sola.

- Sei sicura? A me sembra una cretinata, te lo aveva detto anche lui di dire tutto a me, no?

- Sì, ma avrei dovuto dirglielo prima, e poi sarà già infuriato per Agnese, mi sa, non credo sia il caso di peggiorare le cose.

- Va be’, allora sarei anche potuto andare all’università.

- Ma no, lo sai, ho una paura blu, da sola non ce la faccio.

- Va be’.

- E poi spero di fare in fretta.

- Eh, speriamo.

- Secondo te si arrabbia?

- Ancora? E che ne so, Ester, in fondo tu non hai detto nulla di nessuno, hai solo ascoltato, non puoi aver causato nessun danno.

- Speriamo.

- Non ti preoccupare, vedrai che va tutto bene.

- Ciao Victor.

- Ester, ciao, fatto buon viaggio?

- Mi ha accompagnato Andrea.

- Avresti potuto farlo salire.

- Preferisco parlarti da sola.

- Come vuoi. Allora, cosa è successo?

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- Sono stata una stupida, scusami. Negli incartamenti che mi avevi dato lessi il nome di quella Agnese di cui ti ho detto al telefono. È un’ex di Andrea, insomma, una ex di cui mi aveva parlato per molto, e volevo parlarle.

- Hai usato gli incartamenti che, tra l’altro, non ti ho mai dato, al limite devi averli visti qui, per motivi personali?

- Sì.

- E come ti sei permessa di fare una cazzata simile? Ma tu hai capito cosa sta succedendo in questo periodo? L’hai sentito Ricchetti? Vuoi farci prendere tutti?

- Victor, avevo capito che Agnese fosse una di noi.

- Hai capito davvero bene. Agnese, insieme a suo fratello, sono due fidati di Ricchetti, collaborano attivamente.

- Sì, l’ho capito, per questo ti ho chiamato subito, Giulio ha cercato di assoldarmi, mi ha chiesto di collaborare.

- Bel casino, Ester, i miei complimenti.

- Ma io non ho detto nulla.

- E ci mancherebbe altro.

- Ma scusami…

- Adesso stai zitta e fammi pensare. Ti ha dato un altro appuntamento, mi hai detto.

- Sì.

- E ha specificato che genere di collaborazione?

- Non più di tanto, ha detto che è un periodo complicato, che bisogna diffondere la verità, che io conosco molta gente influente.

- Quindi propaganda.

- Sì, almeno credo.

- Ci sono due possibilità. O sanno qualcosa ed è una trappola. O non sanno nulla. Nel primo caso l’appuntamento è un rischio, nel secondo è una possibilità.

- Come potrebbero sapere qualcosa?

- Sappiamo noi di loro, vuoi che nessuno sappia di noi?

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- Ma sono io che l’ho cercata.

- Sì, questo è vero.

- Se sono all’oscuro potrebbe essere cosa buona andare all’appuntamento, chissà che non si riesca a scoprire qualcosa di interessante. Ma hai sentito il discorso di Ricchetti, no? Adesso rischiamo molto.

- Sì, certo, l’ho sentito. Dimmi tu cosa devo fare e io lo farò.

- Fammici pensare, domani devo vedere Fregli, ne parlerò anche a lui e ti faccio sapere.

- Va bene. Scusami, Victor, davvero.

- Non usare mai più noi per scopi personali.

- Sì, certo.

- Ti faccio sapere qualcosa entro dopodomani, se Giulio ti chiama, prendi tempo, digli che sei impegnatissima, che ci devi pensare e che ti richiami all’inizio della settimana prossima, va bene?

- Sì, certo.

- Andrea non l’hai fatto venire perché non gli hai detto il vero motivo del tuo incontro con Agnese?

- Sì, è così.

- Dovresti dirglielo.

- Sì, lo so.

- Anche perché vorrei parlargli io, te lo dissi, lui potrebbe essere molto utile.

- Va bene, cercherò di parlargli.

- No, non cercare, parlagli e basta, entro la mia prossima telefonata, intesi?

- Va bene, farò come dici tu.

- Ok, allora adesso vai, mi faccio vivo io entro tre giorni.

- Va bene, ciao.

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Il ritorno a casa passa silenzioso, solo poche parole per dire che Victor non si è arrabbiato troppo e che forse dovrà infiltrarsi per capire la trama di Ricchetti, e per non dire ancora il motivo per cui è andata a conoscere Agnese.

- Quindi tutto bene.

- In teoria sì, ma che faccio adesso? Mica volevo fare la spia, nella vita, io.

- E sì, la mia piccola Mata Hari.

- E c’è un’altra cosa.

- Cosa?

- Dovresti accompagnarmi all’appuntamento con Giulio.

- Ah, ecco. Di sicuro collimerà con il mio stage.

- Mica detto.

- Scommettiamo?

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Victor chiama Ester per informarla che può andare all’appuntamento con Giulio. Che è bene che ci vada da sola e non con Andrea. Che potrebbe, così, capire, i piani di Ricchetti, sapere cosa hanno intenzione di fare contro Fregli e cosa sanno sulla struttura di Metropolis. Ester accetta, ma ha sempre più paura.

Nel frattempo la popolazione ha preso le nuove disposizioni in modo contrastato, com’è logico che sia, le persone con punteggio negativo sono molto preoccupate e questo porta una netta divisione. Molti incominciano a vedere Fregli come una possibilità, forse l’unica, per salvarsi.

Le persone, quindi, nella maggioranza dei casi non si dividono più ideologicamente, ma per convenienza. Chi è valutato male da Nefòs diventa dissidente, chi non lo fa è perché vede in Ricchetti la certezza di una vita fatta di sicurezze e di agi. Entrambe le fazioni, però, trovano parole meno dirette per argomentare la propria decisione. I “ricchettiani” si dichiarano convinti della giustezza del provvedimento, sono consapevoli di aver agito bene,e di meritare la vita che si prospetta loro. Affermano a gran voce che Fregli è un impostore, che vuole portare il mondo all’anarchia e alla più assoluta distruzione. Che sono come i vecchi comunisti, trovano un’ideologia per negare il proprio fallimento individuale.

Gli altri sono increduli, dicono che il progetto Nefòs è stato violato, che i principi di uguaglianza sono finiti con la morte di Blinz. Che Ricchetti è un impostore, che ha ragione Fregli, che lo avevano sospettato fin dall’inizio ma che volevano vedere fin dove si sarebbe spinto il primo ministro.

Se prima quasi tutti dicevano il proprio numero tranquillamente, adesso si cerca di nasconderlo. I “negativi” si cercano e guardano male i “positivi” e così fanno i ricchettiani. Tutto sembra cambiato, in poco più di un giorno. Lo schermo sembra diverso. Se prima i giornalisti si rivolgevano a “tutti”, adesso sembra che si rivolgano a “quasi” tutti. Se prima si parlava di “rinascita”, adesso si dice “la nostra rinascita”. Prima non c’era nessun problema, il futuro era un’occasione, per tutti, di essere felici. Adesso quella felicità non può più essere condivisa col vicino, se non si è sicuri che anche lui è uno degli eletti, uno che si è comportato sempre bene, uno che non ha nulla da nascondere. E se non è così, allora lui è un nemico, uno che vorrebbe rubare i privilegi che ci si è conquistati, uno che se potesse manometterebbe Nefòs, uno che sicuramente cospira con Fregli. Il vicino è un nemico che se potesse arriverebbe a uccidere per poter rubare la felicità meritata.

Andrea pensa al suo punteggio ed è sicuro che Fregli perderà, che forse perderà, con lui, ogni diritto, che lo cacceranno dall’università, che Ester non saprà cosa fare, che suo fratello sarà molto dispiaciuto e sempre più assente, che i pochi amici che ha, in fondo, hanno punteggio

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positivo e sapranno cosa fare. Pensa a cosa farebbe lui se gli avessero dato un punteggio positivo e si dice che probabilmente avrebbe agito come tutti, magari con qualche scrupolo, avrebbe deciso che Ricchetti, forse, ha ragione. Che in fondo l’unica differenza che conta è quella data dal gruppo in cui vivi. E non sei quasi mai tu a decidere dove stare, ma è sempre frutto di inconsapevoli decisioni che credi di aver preso. Pensa che tutto stia per finire, la sua vita è nelle mani di un perdente, Nefòs conosce il suo vero valore e sta per distruggerlo. E poco importa se dietro a quel computer c’è un uomo disonesto, perché, in fondo, gli sta per capitare quello che sempre si è meritato. Pensa che poco importa se Fregli ha ragione o meno, perché è Ricchetti a rappresentare perfettamente l’umanità. Poi pensa al contrario, che Fregli ce la farà, che lui è un uomo di valore, che andrà tutto bene, proprio adesso che le cose con Ester sembrano essersi messe per il meglio. Ma lo pensa con meno convinzione. Quasi con il residuo di inerzia che è rimasto alla sua speranza.

- Allora, amore, mi accompagni da Giulio?

- E devo aspettare fuori come con Fregli?

- Sì, ma lo sai che ho paura. Voglio andare con te, se no finisce che ci ripenso.

- Certo, ho già detto all’università che per qualche giorno non posso andare.

- E cos’hanno detto?

- Che va bene.

- E lo stage?

- Be’, settimana prossima spero di riuscire a finirlo, mi manca solo una lezione.

- Hai paura per il discorso di Ricchetti?

- E cosa importa, noi stiamo con Fregli, no?

- Certo, vedrai che Fregli riuscirà a convincere la popolazione, ormai sono in tanti a crederci.

- Sì, andrà tutto bene. Ma c’è una cosa che non capisco.

- Cosa?

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- Ricchetti non è uno stupido. Inasprendo le differenze tra i positivi e i negativi ha dato maggior forza a Fregli. Perché lo ha fatto? Sappiamo che mente e che vuole solo il potere, no? E allora perché non lasciare le cose come stanno? Perché non lasciare il popolo felice e contento? Perché, se è vera la storia del sabotaggio, della guerra falsata, dei Nove che votano Blinz per essere sicuri di sopravvivere, perché mettere a rischio tutto, Ester?

- Non lo so.

- Ci deve pur essere un motivo, non credi?

- Forse ci crede, o forse, così facendo, riesce ad accumulare maggior ricchezza.

- Ma c’è ricchezza per tutti, siamo in quattro gatti, in questo mondo.

- E quindi cosa pensi?

- Che vuole la guerra, è l’unica possibilità. Se ci pensi Fregli non ha fatto nulla, è tutta opera di Ricchetti, è lui che ha fatto le squadre, buoni e cattivi.

- E lui chi pensa di essere?

- Se pensasse di essere il cattivo, avrebbe lasciato tutto come prima, quindi deve per forza credere di essere il buono. La vittoria sarebbe stata scontata, quanti avrebbero seguito Fregli se tutti avessero avuto una ripartenza agiata?

- Pochi, credo.

- È come se Fregli l’avesse creato Ricchetti.

- Ma no, gli ha solo dato maggiori possibilità.

- Ma non capisci? Prima era un mezzo pazzo, non un vero rivale. Adesso è diventata l’unica speranza per mezzo mondo. Ricchetti lo ha fatto diventare un semidio.

- Sì, mi sa che hai ragione, e tutto questo quando lo hai pensato?

- Adesso.

- Potrebbe esserci un’altra spiegazione.

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- Ce ne sono tre. O è così, o Ricchetti e un idiota, o c’è un motivo per tutto questo e noi non lo sappiamo, ma di certo non è come sembra.

- E se ci fosse questo motivo cosa comporterebbe?

- Forse che Fregli e Ricchetti sono d’accordo.

- Mi sembra assurdo.

- Già, forse lo è.

- Dev’esserci un’altra spiegazione, per forza.

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Andrea accompagna Ester da Giulio, il rettore della facoltà gli ha detto che lo stage potrà ultimarlo la settimana prossima.

- Andrà tutto bene, devi solo ascoltare quello che ti dice, mostrarti interessata e dirgli che gli farai sapere la tua decisione.

- Ascolto, mi mostro interessata, gli dico che gli farò sapere.

- Perfetto.

- E se è tutto vero quello che dicevi, se sono tutti d’accordo, se tanto non cambia nulla?

- Ecco, è tutto quello a cui non devi pensare. Concentrati solo su Giulio. Ascolta, mostrati interessata, digli che gli farai sapere. Poi andiamo da Victor e gli diciamo tutto. Anzi, tu vai da Victor, io ti accompagno e ti aspetto in auto.

- Va bene, va bene, va bene. Ascolto, mi mostro interessata, gli dico che gli farò sapere.

- Perfetto, semplice e perfetto.

- Ok, ce la posso fare.

- Certo, adesso rilassati, fai un bel respiro e vai. Io ti aspetto qua.

- Ok. Bel respiro. Vado.

- A dopo.

- Ciao Giulio, ti ho fatto aspettare?

- No, figurati, sono arrivato da cinque minuti.

- E Agnese? Tutto bene?

- Sì, perfetto, sta benissimo.

- Bene, mi fa piacere.

- Allora, hai visto le ultime disposizioni di Ricchetti?

- Certo.

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- E cosa ne pensi, hai un punteggio buono, tu?

- Positivo, non ottimo, ma non mi posso lamentare.

- Molto bene.

- A questo proposito volevo chiederti una cosa, Giulio. Secondo te tutti quelli con punteggio negativo seguiranno Fregli?

- Ma no, certo che no. Ma ti interessa in generale o perché Andrea ha un punteggio negativo?

- Ah, lo sai.

- Certo, ho controllato, mi sembra ovvio, ti dissi che Andrea è una persona interessante, no?

- E lo pensi anche adesso che sai che ha un punteggio negativo?

- Ester, pensi davvero che non lo sapessi già?

- Va bene, lo sapevi già.

- C’è una possibilità, Ester.

- Per cosa?

- Quelli che collaborano, attivamente, insomma, è ovvio che si comportano bene, quindi il nuovo progetto di Ricchetti prevede la possibilità di, come dire, aumentare il proprio numero.

- Quindi, se Andrea collaborasse, potrebbe diventare positivo?

- Sì, potrebbe.

- Ottima cosa, direi.

- Sì, grandiosa. Gliene hai parlato? Della possibile collaborazione, dico.

- Sì.

- E cosa ha detto?

- Che è molto interessato.

- Ottimo, ottimo, faremo grandi cose insieme, Ester.

- Lo spero davvero, Giulio.

- Settimana prossima c’è una riunione, ho invitato alcuni elementi che ritengo possano essere all’altezza del nostro progetto. Vorrei

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che venissi anche tu e che portassi con te Andrea. Vuoi venire, Ester?

- Sì, certo, con piacere. Cosa si discuterà in questa riunione?

- Poco, ci saranno le presentazioni, spiegherò bene gli eventuali ruoli.

- Capisco. Ma a che punto stanno quelli di Fregli? Sono davvero così pericolosi o sono solo quattro gatti che fanno rumore?

- Non bisogna sottovalutarli, Ester, mai. Come ti ho detto prima, certamente la maggior parte dei negativi non si unirà a loro, ma non è detto che qualcuno lo faccia, e allora bisogna stanarli subito, prima che si organizzino, che cerchino altre persone che la vedono come loro, capisci?

- Sì, certo. Ma sapete dove sta Fregli?

- Credo di sì. Ma vuoi sapere già tutto adesso?

- Ma no, sono solo preoccupata, come dici tu, non vorrei si espandessero.

- Non ti preoccupare, non ci riusciranno, è sicuro.

- Meno male.

- Senti, ti anticipo ancora una cosa, ma mi raccomando, mi fido di te.

- Certo, Giulio, dimmi.

- Se la riunione andrà come credo, anzi, come sono certo che andrà, tra due settimane alcuni di voi, insieme a me, potranno andare in parlamento, e incontrare Ricchetti in persona. E la cosa potrebbe essere molto interessante soprattutto per Andrea, per la cosa del punteggio.

- Sarebbe splendido, Giulio, non so che dire, la fine di un incubo.

- Ti chiamo la settimana prossima, lunedì, e ti dico luogo e orario della prima riunione, va bene?

- Perfetto, Giulio, davvero, non so come ringraziarti per la possibilità che ci dai.

- Ma non scherzare, gente come voi è giusto che stia, come dire, vicino alla stanza dei bottoni.

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- No, davvero, non sai cosa voglia dire, per noi, poter cambiare il punteggio di Andrea.

- Voi fate le cose giuste e vedrete che di problemi non ce ne saranno mai.

- Va bene.

- Adesso vado, devo vedere altre due persone, sempre in vista della riunione.

- Va benissimo, ancora grazie.

- Ti chiamo lunedì.

- Perfetto, Giulio, aspetto la tua telefonata.

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Andrea pensa alle parole che Ester gli ha riferito: “quelli che si comportano bene avranno la possibilità di veder crescere il proprio numero” e gli viene da vomitare.

Cerca di concentrarsi sull’ultima lezione del suo stage, “Sod”, il mistero, la parte più interna della noce, della scrittura, della Torah, ma non gli viene in mente nulla, cerca gli appunti, tanto per tenersi lontano da Nefòs, quando la rete trasmette la notizia che ci sono stati tumulti popolari. “Un ristretto numero di persone”, dicono, “ha agito al di fuori della legge, ha protestato in maniera violenta contro la decisione di Ricchetti” e “verranno presi provvedimenti per sedare i rivoltosi sul nascere”. Gli viene in mente Mario, l’amante-padrone di Ester. “è questo che fa una schiava? Si affida totalmente e smette di pensare? E allora siamo tutti schiave e Ricchetti è il nostro grande, adorato, Dio”. Poi va in bagno e vomita. Vomita copiosamente, con rabbia, fino a ché nulla ha più da uscire e Andrea può finalmente sentirsi completamente vuoto. Esattamente come Ester, dopo che Mario le aveva preso tutto.

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- Mi ha chiamato, l’appuntamento è per dopodomani.

- Giulio?

- No, Victor, mi ha detto che devo andare di nuovo da lui.

- Dopodomani ho lo stage, Ester, lo sai.

- Devi rimandare di nuovo, è troppo importante.

- Ma se poi non posso neanche entrare, Ester.

- Devi venire con me, da sola non ce la faccio.

- E va bene, rimando. Sta diventando una barzelletta questo stage, farei prima a dire in facoltà che ho cambiato mestiere, sono diventato il tuo autista.

- Non scherzare, ti prego, lo sai che è pericoloso.

- Sì, va bene. Ma non capisco perché devi di nuovo andare da Victor, ormai siete d’accordo, capirei dopo l’incontro con Giulio, ma adesso?

- Mi ha detto così, e io devo andare, lo sai, cosa faccio, gli dico di no?

- Ma no, va bene, per carità, ti accompagno.

Suona il telefono, è Agnese, dice a Ester che vuole incontrare Andrea.

- Perché le hai detto che sarei andato, scusa?

- Potrebbe essere importante.

- Sì, ma chiedermelo, prima?

- Avresti detto di no?

- Avrei detto di sì, credo, ma che cazzo, potrò decidere io, no?

- Hai ragione, scusami. E senti, ti devo dire una cosa. E guarda che potrei non dirla, non verrebbe certo fuori nel tuo incontro con Agnese, anche se adesso sembrerà il contrario.

- Cosa?

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- Il motivo per cui l’ho cercata. In parte era davvero per la cosa dell’incartamento, volevo sapere che ruolo aveva con Fregli.

- Ah, e dall’altra volevi avere la sua versione sul nostro rapporto.

- Be’, sì, più o meno.

- E perché cazzo non me lo hai detto subito, scusa?

- Perché sapevo che era una mia debolezza, che non avresti capito e che l’avresti presa come una specie di tradimento, insomma, ero certa che ti saresti infuriato.

- Capito.

- E non è così, scusa?

- Non lo so, davvero. Cosa ti ha detto?

- Per la verità non molto.

- Ma tu cosa le hai chiesto? Cioè, sei andata da lei e le hai detto: “ciao, sono la donna di Andrea, potresti dirmi che rapporto avete avuto una vita fa, sai, lui me ne ha parlato ma davvero non ci credo”?.

- Ma no, certo.

- E allora come è andata?

- In ogni caso avrei dovuto domandare di voi, era il mio aggancio, anche per sapere cosa aveva a che fare con Fregli.

- Sì, va bene, cosa ti ha detto?

- Che vi amavate, che avete avuto una storia, mi ha detto di come vi siete conosciuti e di Giulio, del giornale.

- Come ti avevo detto io, quindi.

- Sì, cioè, in parte. O meglio, insomma, mi ha detto tutto quello che hai detto tu tranne una cosa.

- E cioè?

- Nella sua versione finisce tutto con una scazzottata tra te e Giulio, e per questo tu sei stato accusato di aggressione.

- Ah, quello sarebbe il motivo del mio arresto?

- Sì, quello.

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- E dell’altra cosa non ha detto nulla?

- No, assolutamente nulla, e davvero sembrava sincera, non era affatto intimidita, anzi, sembrava spavalda.

- Ah. Boh. Ben strana questa cosa.

- Sì.

- E perché non me lo hai detto?

- Te l’ho spiegato, mi vergognavo e poi pensavo che ti saresti infuriato.

- E le hai creduto?

- No.

- Credi alla mia versione?

- Non credo proprio che quello che tu mi hai raccontato sia un argomento che uno possa inventarsi.

- Solo per questo, quindi.

- Ma no, è ovvio che credo a te.

- Sì, talmente ovvio che sei andata a cercarla per sapere da lei che cazzo era successo con me.

- Ma no, non è così.

- E come cazzo è allora?

- Come ti ho detto, io credo a te.

- Sì, e perché sei andata da lei?

- Non lo so, davvero, non lo so, Andrea.

- Adesso vado a casa.

- Non così, parliamone, ti prego.

- Cos’altro c’è da dire, scusa, hai detto che crei a me e che sei andata da lei perché eri confusa.

- Sì, è così, te lo giuro.

- Va bene, però adesso vado a casa, sono stravolto e voglio dormire un po’.

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- Resta a dormire qui.

- No, davvero, e poi se dopodomani ti devo accompagnare è davvero meglio che vada a casa, almeno domani posso svegliarmi presto, devo ancora rivedere la mia ultima lezione per lo stage, a forza di rimandare non ricordo più niente.

- Sei sicuro che non sei arrabbiato?

- Sì, te l’ho detto, voglio solo andare a casa mia e riposarmi un po’. Sono successe troppe cose e se non bastasse tra tre giorni devo vedere una che nega che io l’abbia violentata.

- Dai, non dire così, ti prego.

- Devo andare, dai, ti chiamo domani così ci mettiamo d’accordo.

Andrea se ne va, Ester inizia a piangere e a giocare con le noci.

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238 

- Ciao Victor.

- Ester, ciao. Sei venuta con Andrea?

- Sì, mi aspetta fuori.

- Potevi farlo entrare.

- Magari la prossima volta, sai come è fatto.

- Va bene. Allora, dimmi tutto, com’è andata con Giulio?

- Direi bene, non credo proprio sospetti di nulla. C’è una riunione martedì, ha detto che è una specie di spiegazione per possibili reclutamenti.

- Perfetto, cos’altro ha detto?

- Vuole anche Andrea, dice che lui è influente.

- Bello, da una parte dicono che i negativi avranno vita dura, dall’altra cercano di reclutarli, e Andrea cosa ne pensa? Mica si sarà fatto tentare?

- Ha detto altro, dice che i negativi che collaboreranno avranno il punteggio aumentato.

- Davvero? E’ pazzesca questa cosa. Quindi certo che Andrea si farà tentare.

- Come puoi pensare una cosa simile, Victor? E dici di conoscerlo. Tu proprio non sai un bel niente di come è fatto Andrea.

- Scusami, è che mi sembra una bella tentazione e poi Andrea sembra non schierarsi.

- Il fatto che lui non si schieri non vuol dire che non abbia idee ben chiare e che senta un profondo schifo verso Nefòs e Ricchetti. E paradossalmente questa cosa del punteggio lo ha ancor più disgustato.

- Quindi passa con noi?

- Non so, non credo, penso voglia starne fuori.

- Ho capito. Ma alla riunione con Giulio va anche lui?

- No, non credo, non ha ancora deciso, ma credo proprio che non verrà.

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- Va bene, diamogli tempo, alla fine capirà che l’unica possibilità è stare con noi.

- L’unica possibilità per cosa, Victor?

- Ma ce l’hai con me, Ester? Perché quest’atteggiamento nei miei confronti? Non mi sembra di aver fatto nulla di male, o sbaglio? O ce l’hai con Fregli, per caso?

- Certo che no, niente di tutto questo, solo non capisco perché se uno non si schiera viene giudicato male.

- Ma no, non hai capito, dico solo che la nostra è la causa giusta, l’unica possibilità per cambiare le cose, e visto che stimo Andrea penso che alla fine verrà con noi, tutto qui, non volevo certo essere offensivo.

- Va bene, dai, pensiamo alla riunione, cosa devo fare?

- Niente, devi cercare solo di avere più notizie possibili, anche se non credo che diranno molto la prima volta, soprattutto se ci saranno molti partecipanti. Sai in quanti sarete?

- No, non me lo ha detto.

- Spero in pochi, comunque cerca di ricordarti tutti i nomi dei partecipanti. Fai domande, senza mostrarti insistente.

- Va bene, cercherò di farlo.

- Mi raccomando, l’unica cosa essenziale è non farti scoprire. Dalla prossima volta cambieremo anche luogo per vederci e non comunicheremo più col telefono o col computer. Anzi, fissiamo già l’appuntamento, va bene?

- Sì, come vuoi, mi sembra più sicuro così, in effetti.

- Allora, li vedi martedì, facciamo giovedì al quinto, nel locale dove ci incontrammo la prima volta, verso le tre, ok?

- Perfetto. E se avessi bisogno di comunicare come faccio? Sei succede qualche imprevisto all’incontro con Victor o altro?

- Facciamo così, segnati questo numero, se dovesse capitare qualcosa veramente di grave, devi solo farmi uno squillo e ci vediamo dopo quattro ore qui, va bene?

- Perfetto, così mi sento più tranquilla.

- Va bene, allora adesso vai, o hai altre domande?

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- No, tutto chiaro, mi sembra semplice, per adesso, devo solo prendere tutte le informazioni possibili.

- E ricordarti i nomi dei partecipanti.

- Sì, certo.

- Va bene, in bocca al lupo, Ester, ci vediamo giovedì, nel locale al quinto, verso le tre.

- Perfetto, allora vado.

- Ciao, e salutami Andrea.

- Ok, ciao.

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Capitolo undici

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Questa volta è Ester ad accompagnare Andrea. Entrambi sono entrati perfettamente nel loro ruolo. Ester fa la fidanzata che mostra una leggera preoccupazione perché il suo uomo, dopo molti anni, rivede una sua amante, lo rassicura dicendogli che andrà tutto bene, che in fondo le ha voluto bene e sicuramente non c’è da preoccuparsi, anche se crede in Ricchetti sarà certamente inoffensiva. Andrea, dal canto suo, si mostra quasi annoiato, infastidito, si domanda quale mai potrebbe essere il motivo per cui Agnese lo vuole vedere, dice che per lui è un legame sciolto da anni, che non ne ha voglia di andare a trovarla a casa sua e poi dopo che ha mentito sul loro rapporto, proprio no, non vuole vederla.

In realtà Ester odia Agnese ed è sicura che cercherà di sedurlo, perché ancora innamorata, con quella sua falsa faccetta da arrivista arricchita e Andrea si domanda solo: sarà ancora bella come un tempo?

- Ciao.

- Andrea, quanto tempo è passato, accomodati, dai, entra.

- Allora, come stai?

- Io super bene, tu?

- Bene, grazie. Bella casa, ma questo salotto on è lo stesso?

- Sì, bravo, che memoria, è proprio lui, mi piaceva troppo e l’ho portato a casa mia.

- E i tuoi?

- Loro non hanno votato per Blinz.

- Ah, capito, mi spiace.

- E sì, dai siediti, vuoi qualcosa da bere? Un Pernod come ai vecchi tempi?

- E vada per il Pernod.

- Allora? Sono cambiata molto? Tu sei sempre uguale, davvero, non sei proprio invecchiato.

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- Grazie, non è vero ma ti ingrazio per la bugia. Tu sembri la stessa, vestiti a parte.

- Vestiti a parte?

- Sì, una volta eri più alternativa, adesso sei vestita di tutto punto.

- Eh, per lavoro, ormai è una divisa che mi sono appiccicata addosso, vesto sempre così. Davvero non sono invecchiata?

- Davvero, sembri la stessa.

- Grazie, sei gentile.

- Allora, a cosa devo questo invito?

- Mi sembra normale, no? Non ci vediamo da secoli, non sapevo manco se tu fossi vivo o meno, vengo a sapere che non solo ci sei, ma abiti pure a due passi da casa mia, insomma, avevo voglia di rivederti e di fare due chiacchiere. Ti ha dato fastidio il mio invito?

- Ma figurati, mi fa piacere, mi avesse dato fastidio mica sarei venuto, no? E poi hai ragione, dopo tutto questo tempo fa piacere anche a me avere tue notizie.

- Hai visto i nuovi punti di Ricchetti?

- Sì, certo.

- E cosa ne pensi?

- Mah, ti dirò, mi hanno lasciato indifferente, in questo periodo sono completamente assente dai discorsi sulla politica.

- Anche una volta, no? Non eri tutto letteratura e donne?

- Simpatica, non sono mai stato tutto donne, al limite solo letteratura.

- Ester mi ha detto che insegni, hai abbandonato il giornalismo.

- Sì, invece ho saputo che Giulio ha ottenuto parecchi successi.

- Sì, e anche per merito tuo, direi, non fosse stato per te magari non avrebbe neanche iniziato la carriera.

- Ma figurati, è molto dotato e lo si capiva già allora.

- Ma quello cos’è?

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- Ah, il pacco, che scemo, scusa, ti ho portato una torta.

- Ah, bene, dai, la apro e ne mangiamo un po’, cos’è?

- Una -----, ti piace?

- E sì che mi piace, forse è la mia preferita.

- Bene, ci ho preso.

- E ti piace insegnare?

- Mah, piacere forse no, a volte è interessante, quando si trova un allievo con voglia di apprendere sul serio. E tu? Ester mi ha detto che ti occupi di marketing, ma in verità ci ho capito poco.

- Non certo per colpa del passaparola di Ester, mi è sembrata molto intelligente oltreché bella.

- Sì, lo è.

- State insieme da molto?

- Sì, da parecchio, eravamo sposati, poi ci siamo separati e da poco siamo tornati insieme.

- Che stranezza, non capita quasi mai che due si rimettano insieme dopo un divorzio.

- Sì, strano, almeno credo, in realtà non conosco le statistiche, e tu, invece?

- Io niente, qualche uomo, ma mai nessuno di veramente importante.

- Che donna in carriera.

- Ma no, davvero, non so, mai avuta molta predisposizione per le storie d’amore, evidentemente, tu che dici?

- Io? E io che ne so.

- Una volta mi conoscevi bene, no?

- Mah, bene non so, ti conoscevo, ma sono passati tanti anni.

- Sei uno di quelli che pensano che le persone cambiano, quindi.

- Ci ritroviamo di fronte al dubbio amletico tra due luoghi comuni, “la gente non cambia mai” e “il tempo cambia tutti”?

- Ma no, chiedevo.

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- Penso che c’è chi cambia e chi non cambia, credo comunque che “si possa cambiare”, se si vuole, magari mostrando un’altra parte di sé, tutto qui.

- E tu sei cambiato?

- Sì, credo di sì, almeno un po’. Tu?

- No, io credo di essere sempre la stessa di un tempo.

- Capito. Quindi da ragazzina volevi occuparti di marketing e vestire firmata e darti il tono della gran donna? Cazzo, non me ne ero accorto.

- Ecco il mio Andrea che spunta, allora non sei cambiato neanche tu, vedo.

- Ma dai, era solo una provocazione, è che mi sembri molto diversa da quella che eri.

- Magari mi vedevi come volevi vedermi.

- Può darsi.

- Giulio mi ha detto che hai un punteggio bruttissimo e che forse ti può dare una mano.

- Sì, Ester me lo ha detto.

- Pensi di accettare?

- Adesso ho capito. Ti senti responsabile per il mio punteggio e vuoi rimediare, con l’aiuto di tuo fratello.

- Che simpatico, ho ragione, non sei proprio cambiato.

- Comunque, al mio punteggio mi sono affezionato, credo che me lo terrò.

- Come credi.

- E’ Ester quella interessata ai progetti di Ricchetti, non te lo ha detto Giulio?

- Sì, sì, me lo ha detto. La ami?

- Sì, la amo.

- Bella cosa amare una donna e costruire qualcosa con lei.

- Sì, giochiamo al lego.

- Cosa?

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- Niente, era una battuta, la tua non lo era? Non era ironia sulle cose banali, no, eh?

- No, era la verità.

- Capito.

- Ma com’è che sei così acido?

- Mica sono acido, anzi, mi sembra di essere gentile, a dire il vero.

- Comunque, per la cronaca, a me di Ricchetti non me ne frega nulla, voglio solo vivere in pace, e senza Fregli credo che starebbero meglio tutti, anche se molti non lo pensano. Li sta manipolando.

- Sì, forse, e poi la politica è sempre manipolazione, in una maniera o nell’altra.

- Bene, vuol dire che preferisco essere manipolata da uno che mi fa stare bene invece che da uno che mi dice che sto male.

- Non fa una grinza.

- Lo dico per te, Andrea, vai alla riunione con Ester, non farne una questione di principio, sii realista, loro possono farti tornare positivo.

- Al limite diventare, positivo non lo sono mai stato.

- Mettila come vuoi, ma vai alla riunione, appoggia Ricchetti, tanto è scontato che alla fine Fregli non sarà che un ricordo, per tutti.

- Ma a te cosa importa, Agnese? Non ci vediamo da anni, come mai tutto d’un tratto tutto questo interessamento? Davvero, lo chiedo senza ironia, proprio non riesco a capire.

- Guarda che è Ester ad avermi cercata, mica il contrario. Una volta saputo che stai bene ho voluto incontrarti e secondo me faresti bene a seguire mio fratello, tutto qui, poi fai un po’ come ti pare.

- Va bene, ci penserò. Senti, adesso è meglio che vada.

- Ma no, dai, non abbiamo neanche mangiato la tua torta, aspetta, facciamo ancora due chiacchiere.

- No, ti ringrazio, devo andare, sarà per un’altra volta, tu vai alla riunione? Magari ci vediamo lì.

- Ok, allora ci conto, Andrea.

- Vado, mi ha fatto piacere sapere che stai bene, dico sul serio.

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- Anche a me.

- Ciao.

Andrea esce, vede Ester, le dice che è andato tutto bene, che il motivo dell’invito era farlo andare alla riunione, che l’ha trovata assai cambiata e pure molto meno bella, che ha voglia di star da solo, che tutta questa storia gli dà alla nausea. Ester lo accompagna a casa.

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Andrea si sveglia col suono del telefono. Un collega gli dice che l’università ha chiuso a tempo indeterminato, ci sono state troppe contestazioni da parte degli studenti, in favore di Fregli. Il rettore ha optato per la chiusura; ha bisogno di tempo per decidere che linea di condotta tenere, a riguardo. Andrea – pensa – “il rettore aspetta che qualcuno del governo gli risolva il problema”, e, ancora; “finisce che la mia cazzo di ultima lezione sul Sod non la farò mai, vaffanculo a Fregli e a Ricchetti”.

Giulio chiama Ester. E’ successo qualcosa di importante. Il vice di Ricchetti sarà in città, domani. Tutti i capogruppo del partito sono invitati, e ognuno di loro può portare due ospiti. L’improvvisa ascesa popolare di Fregli ha indotto Ricchetti a formare delle sezioni per la salvaguardia della democrazia. Giulio invita Ester e le dice di portare Andrea. Anche Agnese vi parteciperà.

Ester gli dice che è ben felice di parteciparvi e che sicuramente anche Andrea ne farà parte. Poi fa squillare il numero di telefono che Victor le ha dato per le emergenze. Poi prende la macchina e va a informarlo dell’accaduto. Victor le dice che deve assolutamente andare, è un’occasione unica per avere informazioni. Ester decide di andare. Ne parla con Andrea e lui acconsente ad accompagnarla, seppur controvoglia. Ester gli dice che è meglio che si trovino direttamente all’appuntamento, prima ha una commissione da fare per Victor e deve andare da sola. Non può dirgli altro che il luogo e l’orario in cui si incontreranno. Andrea accetta.

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Agnese, prima dell’appuntamento

Sarà la solita scocciatura, lo so. Che ci vado a fare, dunque? Non fosse che devo portare Umberto e Alfredo certo ne farei a meno. E poi è poi lontanissimo e in quel piazzala abbandonato e misero. Meno male che oggi non ho appuntamenti di lavoro; almeno questo. E poi c’è Andrea con Ester, maledetta lei con tutte le sue domandine da stupida e impaurita fidanzatina che ha paura di perdere il suo tanto sofferto amore. Che vada al diavolo e che ci porti pure lui che si accontenta di un simile passaggio. Io me ne frego, la possibilità gliel’ho data tanti anni fa e se non l’ha colta rimanga pure con quella mediocre della sua ex moglie e attuale cagnolina da traino. Lui ama me, lo so io, lo sa lui, lo sa anche Ester. Che si fottano. Devo ricordarmi di dire a Giulio di inserire Chiara nella lista per diventare positivi, se no quella chi la sente, mannaggia a lei e ai suoi peccati. Che poi lo so che Andrea pensa che sia colpa mia se è negativo. Che cazzo di egoista, come se glielo avessi chiesto io di fingere. L’idea era sua, mica mia. E viene a trovarmi con quella torta di noci, ma chi gliel’ha chiesta la sua gentilezza. Ma sì, si merita Ester e il suo ridicolo punteggio. E’ un fallito, è nato per fallire, con tutte quelle sue arie da intellettuale schifato dal mondo. E poi vorrei proprio sapere cosa diavolo ha detto di me alla puttanella, di sicuro non tutta la verità visto che lei è venuta a cercarmi, poveraccia. E poi che faccia tosta, ha davvero ragione Giulio, quella si merita solo di essere usata. Che ore sono? Cazzo, sono in ritardo, meglio che vada, dove ho messo le chiavi dell’auto? E poi chi se ne frega di Ricchetti, che palle, tanto ‘sta cosa è inutile, Fregli scomparirà senza alcun bisogno di aiuto da parte nostra. Tutte queste riunioni e appuntamenti e reclutamenti e chissà cos’altro si inventano questa volta. Quanto traffico, dove andrà tutta questa gente. In questo schifo di giornata in questo schifo di mondo e io sono in ritardo, mannaggia a voi, sapeste almeno guidare. Che ci sarà poi tanto da lottare, Ricchetti proprio non lo capisco, che gliene frega, ci sono soldi e risorse per tutti, Fregli è completamente inutile. Mi sono messa troppo rossetto, sembro una pazza , chissà se viene anche Mario. Voglio proprio vedere la faccia di Ester quando lo vede, se viene, il suo padrone, che puttana. E poi Andrea, quello è capace di non venire, è talmente stupido che manco gliene frega di essere negativo. Tanto Giulio ha detto che basta Ester. Lui alla fine rientrerà nel sistema, è troppo poco eroico per fare la vittima. Starà con Ester tutta la vita, si lamenterà del mondo, farà le sue belle lezioni all’università e la notte al posto che riposare si guarderà allo specchio criticando tutti, certo anche se stesso, ma un po’ meno degli altri. Un po’ meno di tutti, sempre. Con quella sua aria di sufficienza che ha imparato così bene a mostrare agli altri, poveri esseri inferiori. Ma chi si crede di essere. Non mi vede da anni, manco sa che per anni ho abitato dietro l’angolo e se ne arriva con la tortina, che idiota. Devo togliermi un po’ di rossetto, sto malissimo. Ecco, ci

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mancava pure che iniziasse a piovere, non ce la faccio proprio, arrivo di sicuro in ritardo. Meglio chiamare Giulio e avvisarlo, se no sai come si arrabbia. Mi fa male la pancia, quand’è che mi devono arrivare? Quel cretino di Andrea avrebbe dovuto comportarsi in altro modo, che schifo, che delusione, avrei dovuto dirgli che conosco Mario e che so tutto quello che faceva con la sua vecchia Ester. Speriamo davvero che non capiti nessun casino con Fregli, avrebbero dovuto gestire le cose diversamente, che cazzo. Ecco, il mal di pancia aumenta e non ho portato le pastiglie, chissà quanto dura ‘sta cosa, magari nel pomeriggio, magari prima, che se poi bisogna anche andare a pranzo che si fa? Se parlo con Giulio finisce che mi ritrovo a tavola con Andrea ed Ester, meglio di no. Anzi, sì, che mi frega, problemi loro, voglio proprio vederli insieme, chissà come se lo tiene stretto quella cretina. Anzi, ecco, speriamo che sia Mario, così va bene, tutti nella stessa tavolata e poi vediamo chi ride, deficienti. Meglio fermarsi un attimo, mi metto a posto il rossetto, ma che palle questa pioggia, proprio non ci voleva. E sono in ritardo, sì, chiamo Giulio e lo avverto. Ma che palle, non capisco perché non poteva portarseli dietro Giulio, Umberto e Alfredo, almeno io me ne stavo a casa tranquilla, per una volta che avrei potuto dormire. Ecco così il rossetto è perfetto, Giulio è tranquillo, peccato solo che piove sempre di più, maledetta giornata, e tutto questo traffico, ma dove cavolo vanno. Quando ero bambina era bello andare in macchina, maledetta guerra, si è portata via tutti i cani, quasi non ricordo il nome del nostro, quando Giulio ed io giocavamo al re e alla regina in macchina, con lui che ci camminava addosso. Anche quello di Andrea era bello, povero cane, guerra maledetta, e tutti a dire che Blinz è un eroe, cosa cazzo costava salvare gli animali, almeno quelli domestici. E questo mondo senza animali e con tutto questo traffico, dovremmo essere in pochi, perché ci sono tutte queste macchine. Che pensieri stupidi, mi devo concentrare sul discorso, devo fare bella figura con Alfredo e con Umberto, sono così snob quei due. Va be’, mica vorranno seguire Fregli, ci mancherebbe altro, con i genitori che avevano, sono democratici, mica anarchici. Maledetto mal di pancia, perché diavolo dovevi arrivare proprio stamattina. E mi sta venendo pure fame, chissà perché ho sempre fame quando stanno per arrivare le mie cose, magari c’è un motivo fisiologico, o medico, o come cazzo si dice. Speriamo solo che si faccia in fretta, sarebbe bello il pranzo con la coppietta felice insieme a Mario, però potrebbe anche finire male. Che ne so che Mario non abbia detto niente a Ester? E già, cazzo, continuo a pensare che so tutto di lei, ma se quel cretino ha detto tutto anche a lei? Quello è uno stronzo, capacissimo di averglielo detto davvero. Porca troia che paranoia che mi viene, adesso. No, non ci voglio pensare, se no davvero mi deprimo. Già dovrò mantenere un’aria sprezzante, ci manca pensare che quelli ridono di me. Ecco, adesso questo pensiero non riesco a togliermelo dalla testa, ne sono sicura. Ma no, devo pensare che andrà tutto bene, Mario ha troppo da perdere per avermi sputtanato, non è possibile, sarà stronzo ma è anche viscido e calcolatore, sa che ci rimetterebbe troppo, non ha parlato di

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sicuro. Anzi, quasi quasi lo chiamo per sapere se davvero viene e lo avverto che ci sono anche loro, ‘sti stronzi. Chissà com’è Andrea con i suoi studenti, chissà com’è come insegnante, chissà se è ancora fissato con quelle cose che mi piacevano tanto. Ma quanti anni sono passati, e perché diavolo devo continuare a pensarci, io, e poi fingere di essere così distaccata quando lo rivedo, brutto stronzo, dopo tutti questi anni te ne vieni con una cazzo di torta ebraica schifosa alle noci e io che mi aspettavo chissà cosa dopo aver visto quella mentecatta che me lo ha portato via e ha pure il coraggio di chiedermi e tu come va hai un uomo? Ho un uomo ed è il tuo, puttanella che non sei altro, era me che doveva sposare e non sparire come un bastardo, e impazzire e andare chissà dove, brutto stronzo che non sei altro. E io, imbecille che non sei altro, non gliel’ho neanche detto cosa mi hai fatto, non ti avrebbe mica capito, quella stronza che poi si è fatta scopare da Mario. Che stupida che sono. E sono in ritardo e piove e lo sapevo che non dovevo pensare a queste cose, adesso comincio pure a piangere e mi fa male la pancia e tutto questo traffico, devo rilassarmi, adesso passa, penso a qualcosa di bello, adesso passa, maledetto Blinz era meglio votare un altro, vaffanculo a te Giulio che mi hai detto vota lui, vedrai che andrà tutto bene, vota lui un cazzo, dormivo e basta, nessun risveglio, maledetta pioggia, maledetto Andrea, maledetti tutti quanti, un mondo senza cani a fare marketing e a mettermi questo cazzo di rossetto che mi fa schifo, basta devo pensare ad altro, adesso respiro e penso ad altro, sono quasi arrivata va tutto bene, speriamo solo finisca presto così torno a casa, ecco, adesso giro, mancano pochi chilometri e arrivo, devo pensare a qualcosa di bello, chissà com’è Andrea coi suoi studenti e chissà se mi ha pensato un po’ in questi anni, maledetto Andrea, perché diavolo mi hai lasciata quella sera, non ti è bastato picchiarmi, no, dovevi pure scappare, mi hai lasciata in questa vita, e ‘sta pioggia che è sempre più forte, ecco dev’essere la seconda a destra, sono arrivata e non piango, adesso giro, è questa pioggia, e cosa diavolo succede, perché quelli stanno correndo, cosa succede? Cosa faccio, adesso?

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Ester, prima dell’appuntamento

Ho appena il tempo per una doccia, ma non potevano farlo un po’ più tardi? Che stupida a dire quella cazzata ad Andrea, e poi perché? Sono proprio scema, ma sembrava così arrabbiato dopo aver visto Agnese, chissà cosa diavolo gli ha detto, quella. Peggio per me, così vado da sola e piena di paura, che poi mi sembra una cosa tranquillissima, chissà in quanti saremo, io vado, sto con Andrea, sento quello che dicono, cerco di ricordare i nomi e poi riferirò tutto a Victor, speriamo bene. Ma sì, è una cosa tranquilla, devo solo stare calma, adesso faccio la doccia e poi vado. E basta con queste noci, non riesco proprio a smettere di tenerle in mano. Fredda, è sempre fredda quest’acqua, è bella, mi paralizza i pensieri, ondeggio la testa, a occhi chiusi, verso l’alto. Devo andare, adesso mi vesto e vado, magari chiamo Andrea, no, meglio di no, per queste cose Victor ha detto che non devo usare il telefono, tanto ci vediamo lì, sa tutto, va bene che è imbranato, ma non può perdersi. Inizia a piovere, speriamo almeno che non ci sia traffico. Bella questa pioggia, mi è sempre piaciuto vederla dall’auto. E questo freddo addosso, non metto il condizionatore, mi fa sentire viva, il caldo invece mi ovatta le sensazioni. Chissà cosa diavolo ha detto ad Andrea, quella cretina. Se penso alla descrizione che ne aveva fatta impazzisco. Ma come diavolo è possibile che la veda così? Non coincide affatto con quello che è. Altro che alternativa intelligente e distinta, quella è una fighetta rifatta, ambiziosa come una starlette e mediocre come una valletta. Se penso a tutte le volte che ho odiato quella donna pensandola bella e straordinaria, che delusione. Adesso la delusione ce l’ho se penso che Andrea la vedeva così, chissà come vede me, allora, ‘sto scemo. Non mi sono neanche messa il rossetto, che stupida. Che poi figurati se quella non si è truccata alla perfezione, ci deve passare le

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ore, e poi lo so che è innamorata di Andrea, lo so, c’è poco da fare, non so perché dopo tutti questi anni, ma è così, ci sarà qualcosa che non mi hanno detto, no, basta con questi pensieri che se no mi vien su la rabbia, e poi mica mi posso lamentare in questo periodo, anzi, toccando ferro va proprio bene. Però il rossetto potevo metterlo, che roba. Niente, l’ho dimenticato, borsetta vuota, maledizione, quasi quasi mi fermo da qualche parte per comprarlo, ma no, è troppo tardi, lasciamo stare, va bene così, chi se ne frega del rossetto. Spero che Andrea si sbagli, credo alla cospirazione dei Nove contro Blinz, contro tutti a dire la verità, ma non avrebbe senso che Fregli fosse d’accordo, anche se è vero, non capisco perché diavolo Ricchetti debba cambiare le regole facendo infuriare mezzo mondo, è ovvio che dà maggior seguito al suo nemico, perché lo fa? Ma che ne so. E la cosa più schifosa da pensare è che se non avessero cospirato contro Blinz chissà se avrebbe vinto. Quindi saremmo tutti morti non ci fossero quelli che adesso odiamo. Pensieri inutili, non cambia nulla. E come ultimo pensiero inutile, che tanto non cambia nulla neanche questo. E’ solo che se avessimo meno princìpi Andrea diventerebbe positivo e non avremmo problemi. Ma no, vincerà Fregli, non la si può dar vinta a Ricchetti. Devo smetterla con queste inutili ipotesi, sto facendo la cosa giusta, capiti quel che capiti, e basta. Se solo Andrea mi dicesse davvero tutto, lo so che non ha senso che sia la sua versione e non quella di Agnese, quella falsa. Che motivo ci sarebbe a inventarsi uno stupro? Non ha alcun senso, invece perché Agnese l’ha omesso? Magari si vergogna, potrebbe essere verosimile. Ma perché poi volerlo vedere. Forse Giulio vuole sdebitarsi, in fondo è Andrea che lo ha fatto iniziare, come giornalista. Potrebbe quadrare, lei si vergogna dello stupro e non me lo dice, lui vuole sdebitarsi e vuole aiutarlo. Sì, sdebitarsi con uno che ha violentato tua sorella? Più ci penso e meno ci capisco, di sicuro qualcosa non torna. Dovrei riuscire a metterci una pietra sopra, a tutta questa faccenda, sono passati tanti anni. Però, che diamine, io a lui ho detto tutto, parlargli di Mario è mica stato facile, perché diavolo non può fare altrettanto. Che poi, insomma, le due cose sembrano speculari. Non dico per giustificarlo, ma quello che cercavo con Mario è quello che lui ha fatto alla deficiente. Senza consenso, appunto, non lo giustifico. Ma se ben vediamo cos’è il sado-maso, dovrebbe essere l’inizio

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di una storia d’amore. Si parte dagli istinti puri, ancestrali, e si cammina verso l’amore platonico. Il problema è quando ti fermi, e se ti fermi. Appunto, dovrebbe essere l’inizio, e per tutti e due è stato con un’altra persona. Ma poi l’amava davvero? Che lei l’ami mi sembra ancora evidente, ma lui? Non dico adesso, adesso ama me, ma davvero l’ha amata? A me sembra di no, non fosse per quella sua descrizione idealizzata. Se uno riesce a dire quelle parole su di una così, bene, un po’ d’amore deve pur averlo provato. E poi è bella, questo sì, di una bellezza da commessa che crede d’essere una starlette, ma bella lo è, ‘sta deficiente. Devo concentrarmi sulle cose che devo fare. Vedo Andrea e andiamo da Giulio, ci sarà qualche momento per loro, si vedono dopo tanti anni, poi arriverà Ester e quelli che accompagna lei, che presumibilmente saranno due. Devo memorizzare i loro nomi e cercare di fare conversazione. Poi secondo me ci sarà il percorso, a piedi, per arrivare nel luogo del comizio. In questo percorso di sicuro incontreremo qualcuno, Giulio lo saluterà, probabilmente ce lo presenterà, e io devo ricordarmi i nomi, magari abbozzando una conversazione, per avere qualche notizia. Poi ci sono due fasi. In una devo prendere informazioni da Giulio, mi mostro quasi decisa a passare con loro, ma non ancora del tutto, così qualcosa deve dirmi, per comprarmi. Non sono già con loro, mi deve dare qualcosa in cambio e io devo raccogliere tutto e portarlo da Victor. E poi c’è la fase pubblica, il vice di Ricchetti qualcosa ce lo dirà, spero, non sarà solo propaganda, qualche informazione la dirà senz’altro e io devo ricordarla. Non posso far conto su Andrea, quello è capace di pensare al suo stage. E poi finito il comizio si andrà a pranzo tutti insieme? In ogni caso devo seguire Giulio fino alla fine, spero solo che Andrea non trovi una scusa per defilarsi. Mi sembra tutto chiaro, non dovrei aver problemi. Magari faccio in tempo a comprare il rossetto. No, mi sa di no, meglio lasciare stare, se arrivo tardi Andrea non riconosce di sicuro Giulio. E poi c’è Ester, niente rossetto. Piove sempre più forte, quanto è bello vedere le gocce sui vetri dell’auto. Certo fossi stata meno stupida adesso me ne starei tranquillamente nel lato passeggero e farei guidare Andrea. Pazienza, e poi che stupida, pensavo fosse più avanti, invece sono praticamente arrivata. Dovrebbe essere quella la strada. Automobili parcheggiate ce ne sono poche, chissà se

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Andrea c’è già, non credo, sono in anticipo di una ventina di minuti, lui è già tanto se arriva puntuale. Il fatto è che qui proprio non c’è nulla, nessun locale, quasi quasi torno indietro e vado in quel bar che ho visto prima, tanto ho tempo, e faccio una bella colazione. Sì, va bene così, arrivare prima di Ester mi dà fastidio, meglio fare l’ingresso dopo.

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Andrea, prima dell’appuntamento

Perché diavolo le ho detto di sì? Che ci vado a fare io da quelli? La spia di Victor? Noia mortale, e devo pure sbrigarmi che è tardi. Stamattina sarebbe stato perfetto per rivedere la mia lezione, sempre che l’università si decida a riaprire. Che senso ha senza l’ultima? A questo punto non avrei dovuto fare neanche le prime tre. E poi ci sarà anche Agnese di sicuro e Ester sarà nervosissima e Giulio passerà metà del tempo a dirmi che sono stato tanto gentile agli inizi della sua carriera, non fosse che ho violentato la sorella, ovvio. Va be’, almeno che passi in fretta. Che noia assoluta. E mi sta venendo pure male alla testa. Ed Ester poteva anche fare a meno di mandarmici da solo, lei e le sue commissioni da servetta di Victor. Come se cambiasse qualcosa, poi. Ma dove diavolo sono le medicine per il mal di testa? Al diavolo anche quelle, sono troppo in ritardo, mi vesto e vado. Ci vorrà mica la cravatta per spiare i politici? Maledetta doccia, sempre fredda quest’acqua, e meno male che ci sono risorse per tutti, cornuto di un Blinz. E poi chissà quanto diavolo ci metto ad arrivare. Bene, vado, sono pronto, mediamente a posto e col mal di testa che avanza a palla. Riscaldamento a manetta, caldo, ho bisogno di caldo se no muoio. E non ho neanche fatto colazione, maledetti politici. La quarta lezione devo rivederla. Mosé de Léon non lo capiranno mai, ma va bene così, in fondo cosa c’è da capire? Il senso è nel Sod, mica nel comprenderlo, dopo tutto, maledetti anche gli studenti, dovrei prenderli a colpi di noce, chissà che non serva. Quattro strati, ma chi la studia più la Torah, altro che Sod. Dovrei fare una lezione sul perché non ha senso vivere dopo che hanno ammazzato tutti gli animali, e meno male che Jack non c’era già più, maledetto Blinz. Chissà cosa diavolo si inventa Agnese, questa volta, a sentire lei sembrava che il tempo non fosse passato, tutti questi anni in un attimo, ciao come stai, tutto bene, ho conosciuto Ester, buona la tua torta, ah, no, la torta manco l’ha mangiata, doveva fare la scena dell’arrabbiata, non è proprio cambiata, e poi che diavolo vuole da me, perché mi ha cercato? In effetti è Ester che ha cercato lei, forse non avrei dovuto raccontarle nulla, tanto tutto è impossibile da spiegare, ogni volta che ne parli qualcosa sfugge o si deforma o semplicemente cambia senso, ma di sicuro non è più quello che era. Che fame, ci vorrebbe un cappuccino e un croissant, se solo mi fossi svegliato prima, e poi cos’è tutto questo traffico, ma dove diavolo devono andare tutti quanti stamattina? Che palle, finisce che mi addormento mentre il vice del vice del vice di Ricchetti ci fa l’elogio alla democrazia e sempre sia lodato Nefòs e chi l’ha creato, amen. E vaffanculo, almeno un caffè avrei dovuto prenderlo, ma poi Ester chi la sente se arrivo in ritardo. Il massimo sarebbe trovare mio fratello, pensa che figura di merda se non capisce che sono lì solo per spiare il

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nemico. Sì, va be’, nemico, per esserci un nemico in effetti uno dovrebbe avere almeno un amico, non foss’altro che se stesso. Ma che traffico maledetto, finisce che arrivo con un’ora di ritardo. Sod, devo finire lo stage, chissà quando riapre la facoltà, sempre che Ricchetti non decida che gli studenti debbano smettere di studiare e gli insegnanti di insegnare, per volere di Nefòs. Magari quelli con punteggio negativo. Che cazzo, mi sa che ci sono solo io, negativo, in facoltà. Sarò epurato, pazienza, tanto risorse ce ne sono a sufficienza da farmi diventare un alcolizzato a vita, amen, così sia, e al diavolo l’università tutta. Chissà cosa ha pensato Ester quando le ho detto che Giulio potrebbe farmi diventare positivo, io non sono troppo convinto che non si è fatta solleticare dall’idea, ma i princìpi, certo, quelli sono più importanti. In realtà a me non me ne frega nulla, né dei princìpi né di infrangerli. Tanto è tutto falso, qui. Il golem prima o poi qualcuno deve farlo tornare argilla, non c’è un cazzo da fare, bisogna solo capire chi e quando, ma dev’essere così. Seguiremo i nostri cani dove li abbiamo mandati, all’inferno. Se solo facesse un po’ più di caldo, ma cos’ha questo condizionatore? Perché continua a fare così freddo? Prima o poi passa anche lui. Dev’esserci qualche pastiglia per il mal di testa, in auto, da qualche parte, ne sono certo, il punto è: dove? Va be’, al diavolo anche questo mal di testa, ormai ci sono abituato, prima o poi passa, come il freddo, come tutto, Ricchetti e Fregli e Golem compresi. Bisognerebbe solo passare questa soglia fatta di niente in cui ci troviamo tutti, ma dubito che riusciremo a farlo senza morire. Bisognerebbe ricordare l’ultima cosa che si pensa, prima di schiattare, e ricominciare da subito dopo. Io nella prossima vita vorrei essere un vegetale, esistere nella più assoluta assenza di cambiamenti; se ci pensi la visione del vegetale è assai simile a quella dell’ultima vita. E comunque devo sempre ripensare alla mia fottutissima quarta lezione sul Sod. Potrei parlare di un vegetale, sarebbe quantomeno originale. Il vegetale come ultima soglia. Assolutamente idiota, in effetti. Meglio pensare a Mosè de Léon, mi sa. E va be’, darò un racconto di Kafka e farò loro trovare il Sod. Vince una noce chi capisce che non c’è nulla da trovare. Ecco, sono arrivato, la strada credo proprio che sia quella, e poi tutte quelle macchine parcheggiate vorranno pur dire qualcosa.

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Ester è scesa dall’auto, impaurita. Per un attimo vede in lontananza Agnese andare incontro ad Andrea, insieme a Giulio. Poi uno scoppio e molte persone che scappano. Poi lei corre, Agnese grida, Giulio sembra muoversi pianissimo. Corre e arriva davanti al corpo senza vita di Andrea.

Quel giorno stesso un comunicato di Ricchetti farà sapere alla popolazione che ci sono stati dei disordini, che alcuni onesti cittadini hanno perso la vita, che Fregli è stato catturato e che il progetto Nefòs andrà avanti.