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Numero 3-4, marzo/aprile 2006 1 Editoriale L’orgoglio/scuola emiliana: la prima in Europa Franco Frabboni .......................................................................... 4 La parola a ... Josè Antonio Bravo ..................................................................... 5 a cura di Isa Tolomelli Lucio Guasti ................................................................................ 8 a cura di Gian Carlo Sacchi Il dibattito I Centri Risorse e il “sistema delle autonomie” Gian Carlo Sacchi ....................................................................... 10 Un modello di istituzione scolastica per l’autonomia e la persona Marina Seganti ............................................................................ 19 Focus su... Il bullismo in classe Franco Frabboni .......................................................................... 29 Speciale Filosofia A che cosa serve la filosofia? Annamaria Contini ...................................................................... 31 Parliamo di filosofia Mauro Cervellati ......................................................................... 36 Dal Festival di Filosofia: il pomodoro è un frutto o una verdura? Giovanna Alcaro ......................................................................... 41 Ricordando... Carlo Buzzi a cura di Albertina Soliani .......................................................... 46 La ricerca Il linguaggio della musica Carla Cuomo ............................................................................... 49 Alma Mater Intervista a… Walter Tega a cura di Gian Carlo Sacchi ........................................................ 60 Sommario INNOVAZIONE EDUCATIVA Mensile di discussione e progetta- zione di nuovi itinerari formativi Numero 3-4 Marzo/Aprile 2006 Direttore Franco Frabboni Redattore Gian Carlo Sacchi Segretaria di redazione Maria Cristina Gubellini In redazione Gian Luigi Betti Laura Cerrocchi Direttore Responsabile Antonio Crusco Autorizzazione del Tribunale di Napoli n. 28 del 16 marzo 2004 Edizioni Tecnodid Piazza Carlo III, 42 80137 Napoli P. IVA 00659430631 Tel. 081.441922 Fax 081.210893 Abbonamento annuo euro 45, 00 Costo fascicolo euro 10, 00 IRRE E. R. ISTITUTO REGIONALE DI RICERCA EDUCATIVA PER L’EMILIA ROMAGNA Via Ugo Bassi, 7 - 40121 Bologna Tel. 051/227669 - Fax 051/269221 e-mail: [email protected] e

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Numero 3-4, marzo/aprile 2006 1

EditorialeL’orgoglio/scuola emiliana: la prima in EuropaFranco Frabboni .......................................................................... 4La parola a ...Josè Antonio Bravo ..................................................................... 5a cura di Isa TolomelliLucio Guasti ................................................................................ 8a cura di Gian Carlo SacchiIl dibattitoI Centri Risorse e il “sistema delle autonomie”Gian Carlo Sacchi ....................................................................... 10Un modello di istituzione scolastica per l’autonomia e la personaMarina Seganti ............................................................................ 19Focus su...Il bullismo in classeFranco Frabboni .......................................................................... 29Speciale FilosofiaA che cosa serve la filosofia?Annamaria Contini ...................................................................... 31Parliamo di filosofiaMauro Cervellati ......................................................................... 36Dal Festival di Filosofia: il pomodoro è un fruttoo una verdura?Giovanna Alcaro ......................................................................... 41Ricordando...Carlo Buzzia cura di Albertina Soliani .......................................................... 46La ricercaIl linguaggio della musicaCarla Cuomo ............................................................................... 49Alma MaterIntervista a…Walter Tegaa cura di Gian Carlo Sacchi ........................................................ 60

Sommario

INNOVAZIONE EDUCATIVAMensile di discussione e progetta-zione di nuovi itinerari formativi

Numero 3-4Marzo/Aprile 2006

DirettoreFranco Frabboni

RedattoreGian Carlo Sacchi

Segretaria di redazioneMaria Cristina Gubellini

In redazioneGian Luigi BettiLaura Cerrocchi

Direttore ResponsabileAntonio Crusco

Autorizzazionedel Tribunale di Napolin. 28 del 16 marzo 2004Edizioni TecnodidPiazza Carlo III, 4280137 NapoliP. IVA 00659430631Tel. 081.441922Fax 081.210893

Abbonamento annuo euro 45, 00Costo fascicolo euro 10, 00

IRRE E. R.ISTITUTO REGIONALE DI RICERCA

EDUCATIVA PER L’EMILIA ROMAGNA

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2 INNOVAZIONE EDUCATIVA

Professionalità docenteLa flessibilità della giornata educativa nella scuoladell'infanziaAntonio Gariboldi ....................................................................... 63Il tempo, la cura e la capacità di giocareGiuseppe Malpeli ........................................................................ 68Saperi e formazione universitaria degli insegnantiGiuliana Santarelli ...................................................................... 72Teatro, scuola, cinemaFragilità e grandezza del teatro nella scuolaGerardo Guccini .......................................................................... 79La scuola nel cinemaGiacomo Manzoli ....................................................................... 83LaboratoriScuole aperte per l’integrazioneDora Mattia ................................................................................. 87Le emozioni del teatroFabrizio Bonora .......................................................................... 91Fantasmaghirò: fiabe, emozioni e affettivitàPiergiuseppe Ellerani .................................................................. 93Il laboratorio multimedialeOttavia Muccioli ......................................................................... 99Percorsi di formazione integrataIl Centro Servizi e Consulenza per l’innovazione e l’integrazionetra scuola e formazione in Emilia RomagnaMauro Levratti ............................................................................ 101L’integrazione possibilePierantonio Zavatti ...................................................................... 104Anagrafe degli studentiL’anagrafe degli studenti della regione Emilia RomagnaStefano Cremonini ...................................................................... 108Voci dall’IRREPercorsi di pace e per la valorizzazione della diversitàClaudio Dellucca ......................................................................... 114

Sommario

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Valorizzare le differenze per imparare a “gestire il conflitto”Adriana Di Rienzo ...................................................................... 116Identità e differenze: alcune riflessioni educativeIlde Castellari .............................................................................. 121Osservatorio europeoUno stage di ricerca scientifica presso l’X-LABTeresa Andena ............................................................................. 122EuropassLaura Longhi ............................................................................... 124ReportageDalla continuità di ricerca a un’esperienza di viaggioDonatella Abelli .......................................................................... 125

Sommario

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4 INNOVAZIONE EDUCATIVA

L’orgoglio/scuola emiliana: la prima in Europa

Franco Frabboni

Editoriale

Tra le molteplici iniziative dell’appuntamento primaverile - a Bologna - della Fiera del libro per iragazzi campeggia, da qualche anno, Docet. Spazio specializzato rivolto a studenti, docenti e genitori siaper redigere la cartella clinica sullo “stato-di-salute” della scuola del nostro Paese, sia per decidere unaterapia condivisa ed efficace in grado di guarirla dai suoi mali antichi e farle recuperare posizioni di testanelle classifiche continentali.

Docet non è solo questo. È anche l’occasione per fare scattare la moviola sulla scuola dell’Emilia-Romagna. Per mettere in gigantografia i suoi bei “voti”: la sua scheda di valutazione, che fa mostra di sénelle dense pagine del Rapporto regionale/2006.

Questa sorta di “mini-Censis” fotografa, con accurati dati analitici e convincenti interpretazioni, ilpianeta/scuola regionale. È un dossier corposo, redatto - con lodevole vocazione interistituzionale -dall’Assessorato Scuola e Formazione professionale della Regione, dall’Ufficio Scolastico Regionale edall’Istituto regionale di ricerca educativa (Irre).

Su il sipario, dunque. Siamo nella stagione delle “pagelle” appese - con insistente frequenza - sulpetto del mondo della politica, dell’economia, della sanità, della giustizia. E della scuola. Su quest’ulti-mo palcoscenico, il Report/2006 ha il pregio di raccontare - con dovizia di descrittori quantitativi equalitativi - che tempo fa nel cielo delle scuole emiliano-romagnole, il cui “meteo” annuncia indubbia-mente un complessivo tempo sereno e un probabile cielo azzurro anche per i prossimi anni.

Perché affermiamo che la scuola della nostra Regione gode di buona salute? Ci sembra di poter ri-spondere che i suoi eccellenti voti sono dovuti alla sua capacità di essere in cammino lungo i sentieri diquesto Ventunesimo secolo intitolati ad alcune rivoluzioni epocali (globalizzazione culturale, societàdella conoscenza, formazione per tutto l’arco della vita) che chiedono una profonda rimodulazione deisistemi di istruzione di massa. A partire dalla loro capacità di respirare a bocca aperta il profumo delleodierne trasformazioni sociali (la scuola non può più permettersi la malattia della “dispersione” perchéindebolirebbe la competitività del suo sistema produttivo e il benessere della sua collettività nazionale) eculturali (in questo secolo della conoscenza, la scuola non può permettersi la patologia del “neo-analfabetismo” che provoca la perdita precoce delle conoscenze dopo pochi anni dall’uscita dalla scuolasecondaria superiore).

Domanda. La scuola emiliano-romagnola come ha potuto non essere travolta dai cambi di scenario diquesto inizio millennio, mantenendo alti i suoi traguardi sociali e culturali sia del diritto di tutti allostudio, sia della qualità delle conoscenze?

Questo interrogativo trova risposta nel cielo pieno di luci del Report/2006 dove si possono vedere aocchio nudo due stelle comete che illuminano altrettante mission della scuola regionale.

Prima cometa. - La sua coda vaporosa porta visibile questo bel voto: è una scuola che si intitola allecompetenze. Il merito sta tutto nelle sue antiche e solide architravi pedagogiche. Nel senso che la Regioneemiliana è stata la culla dove hanno preso vita illustri modelli scolastici: sono i gioielli di famiglia dinome nuovo-indirizzo (per la scuola dell’infanzia), tempo-pieno (per la scuola elementare), scuola-com-

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Editoriale

prensiva (nel segno della “continuità” materna-elementare-media) e della scuola- integrata (per il primobiennio della secondaria). Nel suo medagliere brillano questi inconfondibili stemmi didattici: l’aperturaall’ambiente socioculturale e naturale, la partecipazione-gestione della comunità sociale, la ricerca e illavoro di gruppo e l’interazione classe-interclasse, intesa come strategia per introdurre la pratica deilaboratori: angoli didattici, centri di interesse, atelier e altro.

Seconda cometa. - La sua coda vaporosa porta visibile questo bel voto: è una scuola che si intitola nonuno-di-meno. Questo significa che sta qualificando ed estendendo la propria offerta formativa al fine diridurre (se possibile azzerare) la malattia mortale di nome dispersione: materiale (generata dagli elevatie inaccettabili tassi di ripetenza e di abbandono) e culturale (generata dalla formattazione delle intelli-genze e dal precoce analfabetismo di ritorno).

Particolare attenzione va rivolta alla dispersione intellettuale. Questa, si alimenta quando i suoi pro-dotti di conoscenza (gli apprendimenti) soffrono di una scarsa conservazione, di una breve durata, di unarapida evaporazione cognitiva. L’insistita lotta all’abbandono scolastico ha portato l’Emilia-Romagna adessere la prima scuola in Europa sotto il 10% alla voce dispersione nei percorsi della scuola secondaria(mentre la scuola italiana si trova nelle posizioni continentali di coda, assieme alla Grecia e al Portogallo,con oltre il 30% di drop-out).

Dunque, Emilia-Romagna terra sazia e felice sul fronte della scuola? Certamente no. Le sue ben solidearchitravi sono state sottoposte in questi anni a violenti colpi di piccone. Come dire, malgrado il duroinverno di inizio secolo le nove province regionali sono state in grado di assicurare una complessivaqualità dell’offerta formativa anche al cospetto di una politica dei “tagli” alla scuola, con il conseguentedisinvestimento sulla sua innovazione e sul suo ammodernamento. Il “veliero” Emilia-Romagna ha tenu-to la rotta malgrado i furiosi venti neoliberisti che l’hanno investito nell’ultimo quinquennio. Malgrado laprogressiva riduzione delle risorse, il sistema formativo regionale garantisce tuttora una scuola dell’in-clusione. E non dell’esclusione: degli allievi disabili, degli extracomunitari e di chi soffre difficili condi-zioni sociali e disavanzi cognitivi. Malgrado i “tagli”, la scuola emiliana ha avuto il merito, nel 2005:

• di non fare appassire il fiore all’occhiello del sistema prescolastico regionale (0-6: asilo nido e scuoladell’infanzia). Di più. Ha accresciuto la sua qualità educativa, l’ampiezza e la pluralità della sua offerta;

• di difendere con i denti il tempo-pieno sia nella scuola primaria (più 2%), sia nella scuola media (più 3%);• di dare ospitalità nelle quattro filiere della scuola secondaria (liceale, tecnica, professionale, artisti-

ca) ad un numero crescente di studenti. Anche se non è stata in grado di frenare il decremento di iscrizioninegli istituti tecnico-professionali: di importanza nevralgica per il sistema produttivo regionale. Questapertanto appare la più vistosa sofferenza della scuola emiliana.

Per concludere, riflettori accesi sull’orgoglio-scuola della nostra Regione. Chi sono i moschettieriavvolti nel mantello di questa fierezza? Chi sono i nocchieri che hanno evitato la deriva al veliero-scuoladell’Emilia-Romagna? Tanti. Un piccolo esercito. Uno stuolo di angeli custodi. Portano il nome di stu-denti, insegnanti, genitori, enti locali, privato sociale, sindacati, chiesa e mondo del lavoro.

Certo, al di là dei tanti suoi angeli custodi la scuola della nostra Regione è un po’ allo stremo.Per questo, chiede al più presto di potere godere di una nuova primavera per non farsi travolgere dai

gelidi venti di questo interminabile inverno d’inizio secolo.

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6 INNOVAZIONE EDUCATIVA

La parola a ...

Josè Antonio Bravo

Quale ruolo può avere la creatività nella scuola?

La creatività nella scuola, secondo me, è fonda-mentale per “accendere” le persone e motivarle.Spinge gli alunni ad un apprendimento intenziona-le, ad una maggiore consapevolezza e motivazionead apprendere, favorendo l’esplosione di tutto ilpotenziale cognitivo, pratico e relazionale di cuisono dotati.

Ma ha un ruolo fondamentale anche per i docen-ti, poiché favorisce il superamento della dicotomiatra teoria e pratica, sfruttando la forza del gruppo perveicolare relazioni e dinamiche interpersonali, incre-mentando così il coinvolgimento, la responsabiliz-zazione ed il “protagonismo” delle persone.

Per poter praticare la creatività nella scuola èfondamentale, secondo me, a prescindere dalle cor-renti di pensiero, che sia gli uni che gli altri perse-guano i seguenti obiettivi

• sapere bene;• voler sapere;• sentirsi bene sapendo;• applicare in modo corretto ciò che si sa.

Secondo Lei serve “formare” i bambini alla cre-atività e perché?

È sicuramente fondamentale permettere l’elabo-razione delle esperienze che il bambino va facendoperché così si ha una co-costruzione del sapere.

Giocare è una parola meravigliosa che sta per-dendo naturalezza; è creare campi con possibilitàdi azione, ma non è creatività.

La creatività è un atto del pensiero che deve es-sere stimolato.

Anche Eulero ci ha insegnato che la creativitàva preparata e sviluppata.

L’osare è fondamentale per lo sviluppo della crea-tività; timidezza e bassa autostima ne sono nemiche.

L’intuizione, la creatività, l’emozione in parti-colare permettono lo sviluppo del pensiero; è lo “starbene” che mette in rete tutte le parole-chiave delprocesso: comprendere, enunciare, memorizzare,applicare.

Quali ambiti disciplinari privilegiare per edu-care alla creatività?

In quanto docente nel Dipartimento di scienze ematematica, la mia esperienza si fonda maggior-mente in questo ambito; tuttavia ritengo che qual-siasi altra scienza, area di insegnamento o sapereabbia molto in comune con la scienza matematica,per cui non ritengo ci siano ambiti privilegiati.

A mio avviso è fondamentale, ad esempio, pertutti gli ambiti che l’insegnante conosca molto benela materia che sta insegnando, stimoli la curiosità ela scoperta dei concetti, padroneggi l’arte e la ma-gia della comunicazione, incoraggi l’applicazione,l’astrazione e il trasferimento delle conoscenze, siserva di modelli didattici che incoraggiano la speri-mentazione, ma soprattutto che ascolti, motivi esostenga la partecipazione dell’alunno nella ricer-ca della conoscenza.

Quali sono a suo avviso le strategie, le modalità,gli atteggiamenti da attivare per “rendere crea-tivo” l’insegnamento?

Il bambino è creativo “naturalmente”; dobbia-mo imparare ad ascoltarlo, domandandoci “Perchémi ha detto questo?” Ascoltare significa anche ca-pire perché un bambino ci ha dato quella determi-

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nata risposta. È fondamentale inoltre che i docentiriflettano sul fatto che quando non si “ascoltano” ibambini si ha discrepanza tra insegnamento ed ap-prendimento.

È facendo ipotesi, discutendo, parlando, contra-stando le idee che si ha creatività. L’insegnamentodeve essere creativo; ma se un docente ha “paura” diun pensiero divergente, espresso dal bambino, nonpuò incoraggiare né sviluppare il pensiero creativo.

Un insegnamento teso a stimolare la riflessionedovrebbe non puntare esclusivamente alla trasmis-sione di un contenuto, ma ispirarsi anche ai seguenticriteri operativi:

• far sorgere delle idee nella mente del bambino,perché possa comprendere;

• fornire enunciati solo dopo la comprensione;• stimolare la memorizzare di concetti corretti;• esercitare l’applicazione;• promuovere l’appropriazione;• stimolare l’estendere ad altri campi perché solo

chi estende sa.

Secondo me per stimolare la creatività, l’inse-gnante dovrebbe:

• permettere al bambino di “vedere” in base allapropria modalità di osservazione e non in base ainostri presupposti;

• proporre esperienze sempre collegate all’evi-denza, alla realtà;

• motivare il bambino, permettendogli di farequello che sa fare;

• tenere sempre presente che la maggior partedei bambini non si stanca di ragionare;

• utilizzare vari tipi di domande che “sfidino” enon dare noi delle risposte;

• non correggere, non dire mai “male” e “bene”

durante l’apprendimento del concetto, perché si ri-schia di annullare qualsiasi conquista concettuale;

• far sì che il bambino si senta libero di volersapere, di provare;

• favorire la scoperta ed il riconoscimento, attra-verso domande e risposte;

• giocare in vari modi, anche con la negazione,perché nella conquista si ha creatività; nel risultatoc’è logica e scienza;

• permettere che gli alunni, ad esempio nella solu-zione di un problema matematico, partano dalle pro-prie classificazioni /interpretazioni, per poi passare alladiscussione in gruppo delle varie soluzioni, facendodomande perché tutti le capiscano, raccontandosi l’unl’altro le diverse soluzioni per poi rappresentarle.

Crede che gli insegnanti abbiano bisogno di es-sere “formati” alla creatività e in che modo?

A mio avviso è necessario farlo perché gli inse-gnanti spesso si preoccupano più di quello che deb-bono insegnare, mentre dovrebbero concentrare lapropria azione educativa in funzione dei risultatida perseguire.

Molti pensano che avanzare sia aggiungere cosesu cose; necessita riflettere sul fatto che molte vol-te invece si avanza quando si lascia, che noi dob-biamo seguire il bambino, non il programma. Il pro-gramma è importante, ma bisogna distinguere e sce-gliere tra i programmi che seguono il bambino equelli che chiedono ai bambini di essere seguiti.

Proprio pensando al ruolo dei docenti ed alla for-mazione è nata l’idea del Progetto “CreativeLearning Method” (CLM) nell’ambito del Program-ma Leonardo da Vinci dell’Unione Europea, ideatodall’équipe di CREAtiv1 di cui abbiamo diffusamenteparlato nei precedenti numeri della Rivista.

L’intervista è stata raccolta da Isa Tolomelli

1 CREAtiv è una cooperativa, nata nel 1994; si avvale del lavoro di professionisti, operatori , volontari e rivolge la propria attenzione adogni contesto in cui le persone sono in relazione, interagiscono, parlano, discutono, comunicano.

Le energie formative sono spese per trasmettere non solo le conoscenze, ma anche le competenze, le strategie e le metodologie.

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La parola a ...

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8 INNOVAZIONE EDUCATIVA

La parola a ...

Quale ruolo può avere la creatività nella scuola?

Il tema della creatività è stato posto dall’esternoe non dall’interno della scuola. Il termine che vieneusato è quello di creatività per la scuola, è un ter-mine che va interpretato, come avvenne negli annisettanta quando si scrissero diverse cose sulla crea-tività. Poi ci fu un periodo di silenzio e adesso iltermine è riemerso anche per ragioni legate alla pro-duzione e dall’esigenza di superare la crisi in quelsettore attivando processi creativi: anche per rea-lizzare attività lavorative è necessario che vi sia unimpianto creativo.

La creatività dunque non può essere un dato spe-cialistico ma va incardinato nei sistemi e nelle fasidell’apprendimento.

Serve secondo Lei “formare” i bambini alla crea-tività e perchè?

La creatività deve diventare una base formativaper tutte le persone. Per il bambino ogni conoscen-za è una conquista nuova, ma non bisogna confon-dere il processo di apprendimento con la creatività.

All’interno del processo di assimilazione dellecose occorre porre le basi perchè questo avvenga inmodo creativo, cioè avviando anche modalità diproduzione.

I singoli soggetti sono legati ad espressioni dicreatività strettamente personali; essa si manifestain tutti gli ambiti di apprendimento, ma è più unelemento iniziale, propulsivo, che un elemento fi-nale, specialistico.

Lucio Guasti

Quali ambiti disciplinari privilegiare per edu-care alla creatività?

Tradizionalmente nei nostri Paesi la creatività èlegata all’espressività artistica, anche se la scuolanel suo complesso non l’ha mai utilizzata e quindi èrimasta più che altro una dichiarazione di principio.

Il problema della creatività nella scuola va po-sto come forma di collaborazione tra le discipline,noi* abbiamo scelto di trattare il rapporto tra crea-tività e matematica, materia tradizionalmente distan-te dalla creatività, per evidenziare che c’è all’inter-no della matematica un modo creativo per analiz-zare la realtà.

Quali sono a suo avviso le strategie, le modalità,gli atteggiamenti da attivare per “rendere crea-tivo” l’insegnamento?

Tutta la letteratura sulla creatività dimostra cheesiste un complesso di fattori che ne favorisce losviluppo; una scelta strategica potrebbe essere quel-la di coltivare il pensiero divergente, favorire la di-versità e le risposte differenziate. Non fermarsi maiad un’unica soluzione nel campo matematico; nel-la lettura di un testo cercare più interpretazioni.Curare di qualsiasi oggetto una pluralità dei puntivista: matematico, scientifico, tecnologico. Impa-rare a differenziare i punti di vista, ma a non spe-cializzarli troppo dall’inizio, soprattutto nella scuoladi base.

Mantenere una pluralità di punti di vista sulle coseche si fanno, mantenere anche un’organizzazione

* L’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza - di cui il Prof. Guasti è docente - ha partecipato in qualità di responsabilescientifico del progetto CLM.

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La parola a ...

basata sulle discipline diminuendo però la distanzafra di esse rispetto agli oggetti della conoscenza.

Crede che gli insegnanti abbiano bisogno di es-sere educati alla creatività? E in che modo?

L’insegnante come intellettuale ha davanti a séun’ipotesi di sviluppo creativo. Io non aggiungereiun aspetto quantitativo nella formazione degli in-

segnanti rispetto alla creatività, ma rendere piùcreative le cose che stanno facendo. Ripartire dallaproduzione reale degli insegnanti in questo momen-to, da un’autoanalisi, per cercare soluzioni diversi-ficate nei processi che attualmente mettono in atto.

Spero che non vi sia un investimento tradizio-nale di aggiornamento degli insegnanti, quanto fa-vorire un lavoro individuale e di gruppo al fine diricercare e realizzare metodologie alternative all’in-terno dell’azione didattica.

L’intervista è stata raccolta da Gian Carlo Sacchi

Gli obiettivi del progetto:• ideare e validare una nuova metodologia formativa rivolta agli insegnanti della scuola primaria,

per facilitare ed incrementare il loro apprendimento di nuove strategie didattiche;• favorire la costruzione di percorsi formativi che non fossero solo schemi da riempire ma processi

da creare;• verificare la sua applicazione su ampia scala e in contesti altri, a livello formativo ed educativo.La nuova metodologia, che si basa sulla creatività intesa come stile e metodo di apprendimento-

insegnamento, si fonda sull’utilizzo di strategie attive e coinvolgenti, in grado di “accendere” lepersone e motivarle ad un apprendimento intenzionale: ciò apporta ai fruitori una maggiore consape-volezza e motivazione ad apprendere, favorendo l’esplosione di tutto il potenziale cognitivo, praticoe relazionale di cui sono dotati. Il CLM supera la dicotomia classica tra teoria e pratica, sfrutta laforza del gruppo per veicolare relazioni e dinamiche interpersonali. In ciò favorisce ulteriormente ilcoinvolgimento, la responsabilizzazione ed il “protagonismo” delle persone.

L’originalità del metodo CLM consiste nel sistematizzare nella prassi l’utilizzo di alcune discipli-ne come Pedagogia Sperimentale, Didattica, Psicologia, ecc, che vengono apprese in genere in modosettoriale e poco interdisciplinare, tentando di non scindere la cultura intellettuale da quella emotiva.

Progetto Creative Learning Method (CLM)

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10 INNOVAZIONE EDUCATIVA

Il dibattito

I Centri Risorse e il “sistema delle autonomie”

Gian Carlo Sacchi

Si potrebbe andare molto indietro nel tempo per rinvenire nell’esperienza dei Centri Didattici Nazio-nali il primo tentativo, dall’ultimo dopoguerra, di inserire il pensiero della scuola nei processi di cambia-mento sia didattico che ordinamentale. Detti centri, nelle vicende di democratizzazione e partecipazionealla gestione della scuola, avviate negli anni settanta, hanno lasciato l’eredità agli Istituti Regionali diRicerca, Sperimentazione e Aggiornamento Educativi (IRRSAE), per avere una presenza più capillaresul territorio ed una visione altrettanto più democratica e partecipativa degli attributi qualitativi del siste-ma scolastico. Più scuola e più territorio dunque, in un periodo che ha visto l’istituzione delle regioni astatuto ordinario, e gli istituti regionali comunque collegati a livello nazionale attraverso la conferenzadei loro presidenti ed altri opportuni strumenti di raccordo, nonché un rapporto stretto con due enti nazio-nali: il Centro Europeo per l’Educazione, la cui denominazione è già tutto un programma, e la Bibliotecadi Documentazione Pedagogica, oggi Istituto Nazionale per la Documentazione e la Ricerca Educativa,che ebbe il grande merito di introdurre, con supporti via via sempre più avanzati sul piano tecnologico, ladocumentazione didattica nel nostro Paese, ispirando altrettante strutture all’interno degli IRRSAE, chevolevano andare oltre la visione biblioteconomica e di gestione della letteratura professionale.

Come sarebbe stato bello, si potrebbe commentare con nostalgia, se una tale intuizione, allora diassoluta avanguardia a livello europeo, si fosse consolidata: oggi sarebbe il più valido supporto all’eser-cizio qualitativo dell’autonomia scolastica. Invece questo vaso di coccio venne stritolato tra i vasi di ferrodel sistema nazionale, centralistico e burocratico, e quello degli enti locali, altrettanto dominante sulterritorio e spesso teso a costituire l’alter ego della politica nazionale in tale settore.

Una svolta nell’amministrazione scolastica ci fu a metà degli anni settanta, ai tempi del ministroFranca Falcucci, la quale appoggiò da un lato la nascente rete nazionale/regionale, ma introdusse nell’am-ministrazione scolastica, centrale e periferica, uffici denominati “studi e programmazione”, dei quali vi èancora traccia ai giorni nostri, affidati a personale “comandato” proveniente dalla scuola, con il compitonon soltanto di curare gli adempimenti, ma di sostenere anche i processi, in un settore dove l’espletamentodell’atto amministrativo comportava quasi sempre anche scelte di carattere formativo e didattico.

Un po’ maliziosamente si potrebbe ritenere che una tale operazione di penetrazione nel granitico appa-rato burocratico era stata fatta anche per contrapporsi soprattutto sul piano politico a tanti enti locali chesi stavano organizzando in tal senso cercando, nell’ottica appunto della democratizzazione, di far passarele scuole sotto l’influenza degli stessi.

Nella nostra regione quel periodo fu veramente fecondo di iniziative e realizzazioni, a volte incontrapposizione, ma non si può dire che non abbiano messo il sistema sotto pressione e non lo abbianochiamato ad un grande sforzo innovativo.

Nacquero esperienze un po’ in tutte le province ed in numerosi comuni, vennero avviati rapporti con leuniversità, ma fu anche un periodo di grande sviluppo dell’associazionismo; a livello regionale, primadell’IRRSAE, venne istituito per iniziativa della Regione, l’Istituto di psicopedagogia dell’apprendimen-to (IRPA), abolito poi per lasciare posto al nuovo istituto regionale, che coinvolgeva tutte le componentiscolastiche.

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Il dibattito

In quegli anni furono realizzate ricerche ed attivate strutture che cercavano di trasferire gli insegna-menti dell’attivismo pedagogico: l’attenzione all’apprendimento, i laboratori, l’integrazione tra scuola eterritorio, ed altro ancora, sensibilizzando notevolmente gli enti locali medesimi alle problematicheeducative e scolastiche ed ai relativi investimenti: oggi a parità di risorse statali, peraltro più scarse, inproporzione ad altre regioni, la differenza viene proprio effettuata dagli interventi degli enti territorialiche vantano il primato in sede nazionale. La qualità dei servizi è sotto gli occhi di tutti ed anche fortemen-te reclamizzata dalla letteratura internazionale.

Il decennio settanta – ottanta fu abbastanza difficoltoso per la politica scolastica nazionale, se si eccet-tua la legge n. 517 del 1977, che cercò di introdurre elementi di flessibilità all’interno della scuola, masoprattutto inserì i soggetti portatori di handicap nelle classi comuni delle scuola dell’obbligo e, succes-sivamente, anche nelle secondarie superiori. Questo grande avvenimento di carattere sociale, studiatoancora oggi da sistemi scolastici di altri Paesi anche più ricchi e meglio organizzati del nostro, difettavaperò di supporti didattici ed anche la ricerca accademica in tale settore era piuttosto limitata. Fu allora chenacquero centri di documentazione, per recuperare appunto materiale, ma soprattutto per far circolareesperienze, ed ancora oggi esiste una rete efficiente e qualificata di tali centri che ha notevolmente svilup-pato il suo know how, anche con percorsi formativi di alto valore scientifico.

Allo stesso modo, per effetto di politiche di riassetto del territorio, tese a far sorgere parchi e riservenaturali, furono creati centri per l’educazione ambientale ancora oggi efficacemente presenti ed operantianche per effetto di una legge regionale ad hoc (L.R. n. 15/1996). Questi sono stati i due ambiti un po’pionieri nell’organizzazione dei centri di risorse.

Detti interventi furono portati a sistema sul nostro territorio attraverso la prima legge regionale relati-va al “diritto allo studio”, che ebbe una gestazione molto lunga e travagliata e che prevedeva oltre alleprovvidenze per l’accesso al sistema scolastico anche interventi per la così detta “qualificazione” dellostesso, cioè progetti di innovazione e di miglioramento dei rapporti con l’extrascuola, tra i quali vi eraanche l’istituzione di centri di documentazione e di supporto alla qualità dell’offerta formativa.

Una tale legge contribuì ad abbassare anche i toni della polemica politica; sulla scorta dei DistrettiScolastici questa idea della documentazione, anche su base multimediale, venne rinforzata, e questestrutture, riconosciute da tutti, almeno in linea di principio, come improntate alla democrazia ed alla parte-cipazione, costituirono l’ambito di condivisione dei processi, anche se non avevano poteri decisionali.

Tali progetti di qualificazione furono fatti passare attraverso percorsi organizzati dai distretti, nei qualisi riconoscevano la scuola e l’amministrazione, gli enti locali, ma anche le associazioni ed i così dettimondi vitali presenti sul territorio.

Questa esperienza fu utilizzata anche dall’IRRSAE che cercò, allora senza successo, di ottenere dalministero l’autorizzazione ad istituire poli decentrati nelle varie realtà territoriali, al fine di valorizzare lasua specificità istituzionale nel campo della ricerca, della documentazione e della formazione, in piùdiretto rapporto con i soggetti locali, in primis appunto con i distretti scolastici. Una seconda importantesvolta per la questione che ci interessa fu la prima intesa tra l’IRRSAE e la Regione proprio per lacollaborazione sul fronte della qualificazione del sistema scolastico. Nel corso degli anni l’intesa traquesti due enti venne rinnovata per tre volte ed oggi l’IRRE, erede dell’IRRSAE, è definito, su questematerie, interlocutore e collaboratore della Regione dalla legge regionale n.12/03.

Tale iniziativa bilaterale, la prima in Italia, venne celebrata con un convegno, sotto l’egida dell’allorapresidente dell’IRRSAE, il prof. Lucio Guasti, che con lungimiranza, anche se la proposta venne accoltacon diffidenza, soprattutto da parte degli organi dell’amministrazione scolastica, pose il problema delle

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Il dibattito

scuole autonome, del ruolo, anche sul piano pedagogico e culturale, delle regioni, del lavoro dello stessoistituto regionale come interfaccia tra i due colossi: ministero/provveditorati agli studi e regione/entilocali, nel supporto all’autonomia professionale ed alla qualificazione del sistema.

Gli atti di quel convegno avevano ispirato l’allora ministro Galloni nel primo progetto di legge sul-l’autonomia scolastica e sui rapporti tra scuola e territorio, andato però perduto, ed hanno avvicinatotuttavia ancora di più i vari soggetti a livello regionale, i quali, sul nostro fronte, dopo aver realizzato unaricognizione delle esperienze esistenti, proposero, negli indirizzi regionali applicativi della predetta leg-ge, l’istituzione di centri di documentazione didattica, tematici e polivalenti.

In precedenza con una circolare la Falcucci tentò di istituire analoghi centri presso i distretti scolastici,per decentrare ulteriormente anche i servizi amministrativi, ma senza risultato.

L’attuale quadro normativoIl quadro normativo si è andato via via completando, sul versante della riforma dell’amministrazione

scolastica, su quello dell’autonomia delle scuole e della riorganizzaazione dei poteri e delle responsabili-tà degli enti locali e delle regioni.

La qualità del sistema scolastico e formativo, che oggi nella nostra regione comprende anche la forma-zione professionale e le scuola paritarie, oltre ad iniziative del settore del così detto “informale”, è promossae supportata da tutti i punti di vista, ma nei modi ciascun soggetto ha ancora un percorso particolare.

Il dibattito sul federalismo di stampo regionalista ha preso il posto dell’evoluzione del quadropartecipativo che risale agli anni settanta. È indubbio che gli organi collegiali avviati in quel periodoandassero rivisitati, ma essi avevano introdotto l’idea, rimasta peraltro allo stato embrionale, della terzietàdel sistema scolastico rispetto alla visione totalizzante di quello politico – amministrativo; oggi taleconcezione va ripresa se non si vuole che la scuola passi dal centralismo statale a quello regionale,rilanciando la qualità e la specificità dell’autonomia scolastica.

Il primo vagito di autonomia, era l’anno 1994, riguardava il progressivo decentramento delle compe-tenze statali, fino ad arrivare all’istituto scolastico, che le avrebbe inserite in quelle pedagogico – didatti-che, in modo da avvicinare il servizio nel suo complesso al cittadino. Un tale impianto era presente nellefunzioni “sperimentali” di avvio dell’autonomia, di cui alla legge n. 440/97, che elargiva fondi al riguar-do, sperimentazione peraltro monitorata attraverso un progetto congiunto tra il ministero e gli IRRSAE.Tale legge privilegiava i progetti conseguenti ad accordi nei quali gli enti locali avessero dato la loroconcreta disponibilità, ovvero quelli deliberati da reti di scuole.

Con la legge n. 59 del 1997 lo Stato ha continuato a trasferire competenze alle scuole, ma ha introdottoun terzo interlocutore, la regione e gli enti locali, ai quali sono stati attribuiti nuovi poteri.

I regolamenti applicativi della predetta legge hanno risentito di un certo braccio di ferro tra i diversisoggetti, privilegiando quelle competenze di tipo programmatorio e gestionale e mantenendo ancora unacerta sudditanza per le realtà che dialogano con i destinatari degli interventi e si interessano dei processiformativi, cioè le scuole.

A livello provinciale l’amministrazione scolastica avrebbe dovuto attivare due tipi di strutture: unacarattere più specificamente amministrativo (Centro Servizi Amministrativi) ed una più tecnica (CentroIntegrato di Supporto); in definitiva, di regolamento in regolamento, oggi i CIS sono stati sospesi ed aiCSA sono stati attribuiti i compiti di supporto all’autonomia, tra i quali grande parte ha l’aspetto didatti-co, che può essere assolto di fatto quasi esclusivamente con personale della scuola, mantenuto sulla sciadei predetti provvedimenti Falcucci.

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Sempre all’interno di questo contesto legislativo sono stati rivisitati gli IRRSAE, che sono stati sosti-tuiti con gli IRRE (Istituto Regionali di Ricerca Educativa). La legge madre li vedeva come enti, dotati aloro volta di autonomia sul piano giuridico ed amministrativo, di supporto all’autonomia scolastica. Ilregolamento li ha invece definiti “entri strumentali all’amministrazione della pubblica istruzione”, diret-tamente collegati quindi con le Direzioni Scolastiche Regionali: questa volta però possono articolarsi sulterritorio. E i rapporti con i CSA?

Mentre, come si è detto, la legge del 1994 prevedeva un confronto diretto tra diminuzione di compe-tenze dell’amministrazione statale e loro progressivo decentramento ed un aumento corrispettivo di quel-le delle unità scolastiche autonome, nel 1997 in tale processo entrò prepotentemente il ruolo di regioni edenti locali, con due precisi obiettivi: uno relativo alla programmazione del servizio formativo territoriale(cfr DPR n. 233/98) e l’altro che allargava le competenze di questi ultimi su questioni importanti delservizio scolastico (integrazione alunni disabili, orientamento, educazione degli adulti, ecc.), oltre aldiritto allo studio, ma soprattutto tesi ad individuare spazi e modalità di collaborazione tra istituzioniscolastiche, formazione professionale, già prerogativa delle regioni, e più strette relazioni con il mondodel lavoro Si ricordano in quegli anni significativi interventi sul fronte dell’ economia, come i protocollidi intesa stilati tra ministero e un po’ tutte le associazioni di categoria, confindustria in testa, fino alladefinizione del “masterplan” tra formazione e lavoro del 2000; il decreto Treu sui tirocini aziendali, iltentativo di riforma della formazione professionale, non riuscito per evidenti discordanze tra una visionepiù scolasticistica, con la creazione di un’agenzia nazionale per la formazione professionale, l’avvio daparte del ministero dell’istruzione dei percorsi formativi/professionali superiori non accademici, e delministero del lavoro, che voleva, d’altro canto, introdurre un punto di vista più vicino alla dimensioneprofessionalizzante.

Una buona mediazione su questo fronte fu introdotta in Emilia Romagna per effetto di un’intesa tra idue suddetti ministeri e la regione stessa (1998), accordo poi rinnovato nel 2001 di cui c’è traccia ancoraoggi, tra l’altro, nella legislazione regionale.

Tale impianto pattizio, improntato all’integrazione tra istruzione e formazione professionale, ha ispi-rato, assieme ad esperienze europee in tal senso, la politica regionale e fu recepito nella prima legge dellaRegione che riorganizzava le competenze dopo le nuove attribuzioni del 1997, la n. 3 del 1999, e lasuccessiva ed attuale legge n. 12 del 2003, a seguito di quanto accaduto con la riforma del titolo quintodella Costituzione.

Questo processo, iniziato, come si è detto, nel 1990, dopo la Conferenza Nazionale sulla Scuola, haavuto due interruzioni ad opera della stessa maggioranza politica, ma per motivi opposti. Nel 1994,infatti, l’allora ministro D’Onofrio lasciò scadere la delega per il varo dell’autonomia delle scuole, man-tenendo di fatto il potere accentrato a livello nazionale, nel 2004 il ministro Moratti, sotto la spinta di unprogetto di legge sulla “devoluzione”, intende trasferire alle regioni gli istituti professionali di stato, main prospettiva forse anche la gestione e l’organizzazione del servizio, nonché una percentuale di curricoloscolastico.

La questione regionalista si pone anche in relazione alle strutture di supporto al sistema scolastico eformativo e viene a collegare le iniziative nei settori prima citati adottate sull’onda della qualificazionesoprattutto dagli enti locali e all’interno delle intese Regione e IRRE. D’altro canto quest’ultimo, inossequio al decreto che lo istituisce, come ente strumentale, ma con autonomia amministrativa, ha sotto-scritto con il direttore regionale del ministero dell’istruzione un atto in ordine alle indicazioni program-matiche ed ai settori di intervento.

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In Emilia Romagna, con la citata legge n. 12, vengono costituiti Centri di Supporto e Consulenza (art.22), in vista anche di una politica del personale scolastico e formativo sempre più regionalizzata: unasentenza della Corte Costituzionale (2004) invita la Regione a legiferare in tale settore e ciò porrà inevi-tabilmente anche la necessità di prevedere adeguati interventi sul fronte della formazione, documentazio-ne, ricerca, ecc.

Come si vede l’aspetto top down appare ben delineato; tutti e tre i soggetti costituiti a livello regionalehanno o possono avere le loro articolazioni sul territorio, seppure con formule giuridiche e organizzativediverse, tendenti, pare, al regionalismo.

Questo di per sé non garantisce ancora la tutela dell’autonomia scolastica, oggi assurta a dignità costi-tuzionale dopo la modifica del titolo quinto della nostra carta fondamentale. L’iter di questo riconosci-mento (e non concessione) è, come si è detto, tuttora travagliato, sia sul piano delle competenze e delleregole, ma sia soprattutto per una perdurante incertezza sul piano dei rapporti tra vincoli e risorse.

Un primo, ma imperfetto tentativo di fare chiarezza, è stata l’emanazione di un regolamento (cfr DPRn. 275/99) relativo all’autonomia organizzativa e didattica delle scuole, ma anche quella di ricerca,sperimentazione e sviluppo.

Con questo si attribuisce capacità negoziale alle scuole stesse in merito all’offerta formativa, ma anco-ra non è chiara la responsabilità sull’elaborazione e la gestione del curricolo; si parla di rapporti con ilterritorio e della possibilità di partecipare a forme associative, ma mancano decisioni intorno ad organi-smi di rappresentanza delle scuole autonome; si può lavorare sull’innovazione, ma non si sa su quante esu come si possono utilizzare le risorse professionali; si parla di autonomia finanziaria, ma non si cono-scono la modalità di reperimento delle risorse e la capacità impositiva; è previsto che le scuole medesimepossano intervenire in processi di innovazione strutturale aventi rilevanza nazionale, ma la legittimazioneè sempre legata ad un decreto del ministro.

Abbastanza sicuro invece risulta l’approccio bottom up alla qualificazione professionale ed al miglio-ramento del servizio. Questa è una competenza degli operatori dei singoli istituti o di più scuole in rete.Esse possono infatti dar vita a “laboratori territoriali” con compiti di ricerca, formazione, documentazio-ne e orientamento (art. 7).

Si tratta dunque, anche per una gestione ottimale delle risorse, di collegare i due versanti, con un’av-vertenza, che il primato su queste azioni venga riservato alla comunità professionale, cioè alle scuole edai suoi operatori, come previsto dalla nuova Costituzione. Ed è proprio qui che troviamo però le maggioridifficoltà, in quanto i diversi soggetti sembrano più interessati a riversare sulle scuole le proprie intenzio-ni ed i propri progetti piuttosto che aiutarle veramente a progredire sul piano di una loro capacità diqualificare il servizio.

Se diamo uno sguardo ai finanziamenti per la formazione dei docenti notiamo un’assegnazione sullabase del numero di addetti è avvenuta solo di recente per effetto della contrattazione sindacale, la quale,per altro verso, si dimostra molto poco disponibile nell’accettare una normativa più flessibile e più auto-noma sul versante della ricaduta professionale, ad esempio nella carriera e nella retribuzione. L’ammini-strazione costituisce la cinghia di trasmissione della politica e quindi forma alla riforma, con scarsasensibilità rispetto alla condivisione culturale da parte degli operatori, che si sa essere un elemento impre-scindibile di ogni innovazione, in relazione anche ai loro spazi di autonomia. Ma gli enti locali non sonoda meno, in quanto anche di fronte a giuste istanze sociali sono poco attenti alle necessarie mediazioni dicarattere formativo ed alle integrazioni sul piano della progettazione e della gestione delle iniziative.

Una riflessione sul ruolo di centri di supporto – laboratori professionali è l’occasione non per fare

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l’ennesimo censimento delle esperienze, che, in Emilia Romagna si sa è già molto ricco, ma per assumereuna decisione sul piano politico – istituzionale per le quali esistono già, come si è visto, tutti i presupposti.

Oggi nella nostra regione il processo legislativo si è concluso, con la citata l.r. n. 12/03, e la ricognizio-ne delle condizioni locali ci danno le necessarie sicurezze. I Centri di Supporto e Consulenza, previstidalla suddetta legge sono lo strumento adatto a contenere, in una prospettiva autonomistico – regionalistica,tali iniziative.

Le competenze dei CSA in questo campo sono solo di sostegno all’autonomia e non di presidio peda-gogico, la Regione ha ribadito solennemente, con legge, il principio della valorizzazione della predettaautonomia scolastica, e questo dovrà avere una ricaduta sul comportamento degli enti locali.

Insomma la struttura c’è ed è efficiente, ora necessita, come si dice, la volontà politica, la quale vacostruita su un presupposto fondamentale: il riconoscimento da parte di tutti di questa autonomia, che lascuola e la formazione sono non solo un valore per il territorio, ma anche un sistema terzo che va aiutatoe non tirato da diverse parti per interessi di varia natura, nemmeno corporativi. Dopo di che sarà necessa-rio studiare e realizzare insieme le procedure necessarie per attivare su tutto il territorio regionale una retedi servizi da interconnettere, a livello locale, con le unità scolastiche o le reti di scuole, ma anche con altrisoggetti, pubblici, privati e associativi, che operano su questo fronte, ed a livello regionale con un atto digoverno tra regione, ufficio scolastico regionale e IRRE, come espressione, seppure così com’è nonadeguata, della suddetta terzietà del sistema.

La legge regionale contiene già tutti questi dispositivi, che potranno essere potenziati qualora si accen-tui la direzione regionalista della politica scolastica nazionale, a cominciare dalla Conferenza Regionaleper il sistema scolastico e formativo ed alle Conferenze Provinciali di programmazione, nonché per lacollaborazione con le università e altre agenzie specialistiche.

Nel settore della formazione del personale scolastico, iniziale e permanente, non va dimenticato quan-to previsto dall’art. del DL 17/10/05 circa la creazione di un “centro di ateneo” per gli stages e tirocininella formazione iniziale, i laboratori professionali, la formazione dei docenti interessati ad assumerefunzioni di supporto, di tutorato e di coordinamento dell’attività educativa, didattica e gestionale delleistituzioni di istruzione e formazione, formazione e- learning e di contenuti multimediali. In tale direzio-ne va l’attuale intesa tra USR – IRRE e Università di Bologna.

Aspetti culturali e professionaliUn impianto quale quello in precedenza evidenziato non serve certo a far calare dall’alto l’innovazio-

ne, anche se ancora molti dovranno resistere a questa tentazione, ma trova la sua legittimazione nel farcrescere, dal basso, una comunità di pratiche che cerca di migliorare il sistema a partire dall’esperienza,riflettendo su di essa, confrontandola con altre, fruendo di collegamenti con strutture scientifiche e conuna più vasta informazione.

Sono i concetti di autonomia e di ricerca che intendono la qualificazione come una prerogativa ed uncontributo peculiare della dimensione professionale: è noto che la tradizione dell’insegnamento nel no-stro Paese è ancorata al centralismo burocratico e di tipo trasmissivo.

L’attenzione ai problemi dell’apprendimento ed ai contesti sociali e formativi ha permesso che sifacessero strada i bisogni concreti degli alunni e le caratteristiche dei territori, sia sul piano dell’offertache della compensazione, fino ad arrivare ad una progressiva integrazione tra dimensione scolastica insenso più tradizionale, cioè quella dell’alfabetizzazione culturale, e quella formativa, più legata agli stimoliofferti dal cambiamento tecnologico e ambientale ed alle esigenze del mondo del lavoro.

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Oggi parlare solo di istruzione sembra un po’ stretto, ma usare il termine formazione non può volerdire accettare di essere “formati” dall’esterno. Attenzione ai soggetti e ai contesti, senza perdere di vistala tradizione culturale, significa dunque cambiare “registro” metodologico e didattico, dare più autono-mia alla dimensione professionale, come categoria non dipendente dal solo carattere accademico del-l’elaborazione culturale, ma nemmeno dal sistema economico.

Se quindi diventa sempre più responsabilità dell’unità scolastica il raggiungimento degli obiettivi delsuccesso formativo, al punto da influenzare gli stessi comportamenti sociali, non solo nel campo dellosviluppo economico, in una società della conoscenza, ma anche ambientale, interculturale, ecc., in rela-zione ai punti di partenza ed al contesto in cui opera, facendosi carico dell’inclusione sociale edell’emarginazione, nonché dei sempre più complicati problemi relazionali, allora non si può pensare adun solo percorso prestabilito da applicare, sia che sia dato dal programma o dallo statuto della disciplina,ma occorre disporre di un repertorio di pratiche professionali adeguato, flessibile, sempre migliorabile.

Se ciò che verrà chiesto alla scuola, magari anche dalla valutazione nazionale, sarà di aver raggiunto gliobiettivi, allora una volta garantite le opportunità di tutti alla fruizione del diritto alla formazione, occorreràaffidare al valore aggiunto della risorsa professionale la responsabilità di trovare la strada giusta, salva-guardando, come si è detto, il patrimonio culturale della nostra tradizione, senza che questo diventi unostrumento di selezione sociale. La professionalità in campo formativo è un integratore delle politicheterritoriali, come in tutti i servizi alla persona, contribuisce direttamente alla crescita della comunità.

Com’è noto ci sono tante strategie didattiche per raggiungere i medesimi traguardi formativi, che sidiversificano a seconda degli alunni e della risposta ai e dei diversi contesti, ed allora, nell’ottica dellavalorizzazione di una “pluralità delle intelligenze”, bisogna far leva sull’adeguatezza dei repertori didat-tici, che devono sapersi adeguare al cambiamento ed utilizzare la capacità elaborativa diretta di coloroche operano sul campo.

Fare formazione del personale allora non vuol dire trasferire altrettanti contenuti da applicare emetodologie da riprodurre, ma sostenere la ricerca di chi deve trovare soluzioni ai problemi formativi edell’apprendimento. Una ricerca che può appoggiarsi ad università e/o enti specialistici, ma che ha comeobiettivo il successo formativo, e non nuova conoscenza in senso astratto, l’innovazione di quello che sifa a scuola.

L’università può aiutare la scuola, anche facendo ricerca sulla ricerca della scuola, per tenerne monitoratala qualità, ma, in realtà, la ricerca scolastica è diversa da quella accademica ed ha quindi una sua autono-mia che deve essere sostenuta e rafforzata.

È qui che servono i centri di risorse; le scuole infatti non possono fare solo ricerca, devono in primoluogo erogare il servizio: reti di scuole possono fare o far fare ricerca, attraverso la costituzione deipredetti laboratori territoriali, i quali a loro volta possono dar vita a reti più ampie e complesse con gli entilocali, un associazionismo particolarmente rilevante e qualificato, l’apparato tecnico dell’amministrazio-ne scolastica, il decentramento dell’IRRE, ecc.

Come sostenere tutto questo? Sicuramente attraverso l’informazione, in presenza e a distanza, l’e-learning,ecc., ma soprattutto la documentazione sui metodi e strumenti di organizzazione e di comunicazionedell’esperienza didattica.

Com’e noto documentare la didattica non vuol dire avere per le mani una letteratura, pur pregevole,ma dal carattere più sistematico, nemmeno andare alla ricerca o voler esportare ricette: si sa la riproducibilitàsic et simpliciter delle pratiche didattiche non è molto efficace, perché spesso decontestualizzata. Ladocumentazione non tratta i documenti, ma direttamente l’esperienza e deve assicurare il massimo di

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rigore della ricerca ed il massimo di efficacia della comunicazione. In questo modo il documentare diven-ta ricerca, in quanto tenta di definire le metodologie, i linguaggi, pedagogici e tecnologici, per interrogarel’esperienza stessa, formalizzarla e renderla comunicabile.

Redazione, catalogazione, archiviazione, diffusione, sono tecniche che favoriscono la trasmissione,soprattutto quella porta a porta, la più utile, per essere scambiata, la più vicina all’operatore, la prima adavere ricaduta rapida sul sistema.

Per incidere sulla struttura scolastica e sulle strategie formative non si può attendere la letteratura,occorrono altre metodologie di ricerca che chiamano in causa l’azione ed i suoi protagonisti, sia nellaraccolta delle informazioni su quanto si fa, sulla problematizzazione dell’esperienza, sulla opportunità dicorredarla di esemplificazioni di successo, sulla formulazione di proposte (learning object) utilizzabili daaltri in altri contesti.

Non si tratta qui di parteggiare per una visione teoretica o empirica della ricerca, quanto di riconoscerel’esistenza di un ambito autonomo di ricerca della scuola e aiutarla ad incontrarsi, a confrontarsi, a inno-vare, in un centro che crei le condizioni per tutto questo e sia in grado di offrire strumenti non puramenteinformativi o di scambio, ma improntati appunto all’analisi e all’innovazione.

È questo della comunicazione, che può avvenire anche a distanza, strumento che a sua volta puòessere utilizzato per la stessa documentazione, la prima e più motivante strategia formativa. Formazione“in servizio”, non come manutenzione ordinaria della formazione iniziale, ma come capacità di catturarele istanze del cambiamento, intanto che la macchina va, richiede di essere in grado di fare ricerca, ma dipoterla e doverla fare sull’azione. Essere professionisti significa possedere i canoni della professione, masaperli usare non in dipendenza delle comunità scientifica o burocratica, ma in autonomia, in relazionediretta con i fruitori del servizio, anche se si tratta di attività svolte con regole di carattere istituzionale.Adeguare la propria professionalità vuol dire stare dentro al mutamento del contesto, saperlo interpretaree dirigere: la scuola parte dalla propria comunità, ma deve collocare nel mondo !

Il centro non è di per sé un centro di ricerca, ma un centro di servizi per la ricerca e l’innovazione; inaltri Paesi essi sono luoghi di incontro (Inghilterra), che servono a catalizzare esperienze frutto di attivitàdislocate in ambiti territoriali anche molto lontani, sono nodi di rete professionali, soprattutto telematici(Spagna), oppure il documentalista francese ha il compito di tenere informati i colleghi dell’istituto so-prattutto per quanto riguarda le decisioni che il collegio dei docenti deve adottare. Nel nostro caso sivorrebbe fare qualcosa di più della semplice documentazione/scambio, i centri di servizi territoriali do-vrebbero poter corrispondere alle richieste delle diverse scuole, le quali a loro volta devono essere aiutatee motivate alla costituzione di un centro di documentazione, che storicizzi il sapere professionale del-l’istituto e lo renda visibile, non solo alla formazione dei docenti, ma anche per l’elaborazione dell’offer-ta formativa; le strutture territoriali devono fare da interfaccia laboratoriale alle loro reti, sia offrendoopportunità di incontro e di guida al reperimento ed alla gestione delle informazioni, ma soprattuttoassistere alle modalità di documentazione ed ai percorsi di ricerca e di sperimentazione che da questaderivano.

Centri/laboratori così concepiti non hanno solo compiti organizzativi, ma entrano nel merito dellaqualità della ricerca e ne possono essere espressione a livello locale e oltre. Custodire, istituzionalmente,il sapere professionale, rappresentare su un territorio via via sempre crescente il sapere esperto in campoformativo, può arrivare a dare una notevole robustezza e qualità al sistema, pensato a livello regionale,anche in riferimento alla mission dell’ IRRE. Ma tale ricchezza può non fermarsi lì, come dimostrano lapresenza di un Istituto Nazionale per la Documentazione ed una rete europea, ma non solo. Quello che

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però manca da noi non è tanto aspirare ad avere grandi banche dati a cui riferirsi, quanto saperle imple-mentare a nostra volta con strategie di documentazione e di ricerca particolare. L’autonomia e la respon-sabilità che le scuole hanno fin qui assunto nei confronti del curricolo deve spingere loro per prime versola qualità del sistema, attraverso la massima, si ritiene, espressione della valorizzazione professionale,quella appunto della ricerca e dell’innovazione.

Strategie organizzativeNel corso del presente contributo si sono argomentate diverse modalità di intervento; resta solo di rias-

sumerle e chiarirne meglio i risvolti operativi, per stimolare l’iniziativa sul piano politico – istituzionale.I livelli di governo di un tale sistema di supporti potrebbero essere tre:- regionale: occorre un’intesa, di governo appunto, tra quegli organismi che hanno responsabilità isti-

tuzionale su questo argomento, proprio per garantire che si deve trattare di un servizio pubblico, anche sevi possono prendere parte soggetti privati o associativi. L’intesa potrebbe essere sottoscritta da Regione,Ufficio Scolastico Regionale e IRRE. Essa potrebbe evidenziare anche le modalità di collaborazione conle università o altre agenzie scientifiche di rilevanza regionale. A questo livello vanno chiariti gli obiettividell’attività e gli indicatori di qualità dei centri, fino ad arrivare alla costituzione di un apposito albo. Unatale intesa andrà validata dalla Conferenza Regionale di cui alla l.r. n. 12/03;

- provinciale: questo livello nella nostra regione è funzionale alla programmazione territoriale ed al-l’uso delle risorse. Qui, con l’avvallo delle Conferenze Provinciali di cui alla legge suddetta, viene stabi-lito il piano territoriale dei centri ed esercitata un’azione di coordinamento delle diverse realtà, e comun-que costituire il livello minimo necessario per ogni territorio. I centri provinciali dovranno necessaria-mente avere carattere polivalente;

- territoriale: comunale, intercomunale, reti di scuole, reti miste, laboratori di istituto, strutture asso-ciative di particolare rilevanza…. Questi centri possono essere monotematici o polivalenti, rappresenta-tivi di particolari tradizioni o soggetti culturali e formativi, di servizio diretto agli operatori, anche all’in-terno della scuola stessa . Essi devono sviluppare una progettualità legata alla propria utenza, rispettaregli standard indicati dalla regione, essere iscritti in un albo regionale, stare in un coordinamento di carat-tere provinciale.

A livello provinciale e territoriale la struttura giuridica può variare, a seconda delle intese locali.Sulla questione degli standard una cosa però preme sottolineare a conclusione, che un conto sono

quelli di tipo organizzativo e gestionale, che possono essere identificati sulla scorta di una valutazionecomparativa, rispetto ad altre più o meno analoghe strutture, ma altro è la qualità culturale, che pur cideve essere, ed in maniera sempre maggiore. A questo proposito l’applicazione di parametri di tipoquantitativo rischiano un’indebita standardizzazione, quasi ideologica. Il miglioramento dei nostri centriè un processo, una continua ricerca, che si ottiene ancora una volta rispettando l’autonomia culturale efavorendo percorsi di qualificazione continua.

L’IRRE è quindi un partner tecnico nell’intesa istituzionale ed un punto di riferimento culturale eorganizzativo delle stesse strutture territoriali.

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Nella società del tempo presente ognuno è chiamato ad essere persona attiva nella comunità attraversol’esercizio della solidarietà, della cooperazione, della progettazione partecipata volte a realizzare opere eguardare il futuro in modo rinnovato.

Le istituzioni sono fragili, esistono perché richieste, dipendono dai soggetti che le abitano di volta in volta.Un’istituzione ben curata offre elementi di stabilità, punti di riferimento, prospettive ed opere per

l’intera comunità.

La scuola che vive la complessità e la mondializzazione, è chiamata ad abitare alcuni ambiti di impe-gno per essere parte attiva ed autonoma nella relazione.

La centralità del soggetto nel gruppo fa della scuola un’istituzione che insegna a vivere.La scuola è chiamata a mostrare la propria identità attraverso il pensiero complesso, i processi e le

risultanze della riflessione culturale e pedagogica, dell’esperienza, della ricerca, delle relazioni.

La crescita di un’istituzione scolastica di qualità- tende allo sviluppo, alla costruzione, al potenziamento e all’ estensione di legami significativi;- richiede il coinvolgimento di una molteplicità di soggetti: il bambino/il ragazzo/il giovane, gli opera-

tori scolastici, la famiglia, i cittadini;Un modello di orientamento rappresenta per un’istituzione scolastica una garanzia di scientificità e di

trasparenza, rigore e agilità, originalità ed autonomia; pone in atto una processualità sistemica di qualità.

L’istituzione scolastica può essere, lasciar essere e divenire quando:- dichiara ed estende principi, possibilità che la raccontano quale luogo in cui è centrale il soggetto

nella relazione, l’intenzionalità delle esperienze e la cultura per abitare il mondo;- elabora progetti partecipati e processuali quali spazi di realizzazione della comunità scolastica nel

territorio;- realizza opere culturali e le condivide con il mondo.

Il modello di un’istituzione scolastica richiede necessariamente l’attraversamento di specifici ambitidi sviluppo aperti ed in interazione: le fondazioni, il conoscere, le relazioni, le esperienze (didattica,attività funzionali alla didattica).

Le fondazioniLe fondazioni sono:- indirizzi, forze culturali e pedagogiche che orientano ciascun soggetto nel processo formativo e

professionale;- intenzionalità regolatrici delle relazioni, della ricerca e delle esperienze;- sorgenti generatrici dell’essere della scuola e dell’essere nella scuola.

Un modello di istituzione scolastica per l’autonomia e per la persona

Marina Seganti

Il dibattito

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20 INNOVAZIONE EDUCATIVA

La forza della scuola è rappresentata:- dalla cultura che la sostiene;- dalle fondazioni che le indicano il futuro;- dall’essere seguiti dagli alunni che la vestono di significato;- dal consenso dei genitori e delle istituzioni del territorio che la rendono vicina alla vita e l’aiutano ad

abitare il mondo;- dalle opere che realizza.Si tratta di esplicitare i pilastri portanti del senso dell’educare e dell’istruire attenti ai mutamenti socia-

li e culturali in atto in una prospettiva pedagogica in grado di affermare la bellezza e la forza dell’esserepersona in formazione;

- di costruire una pedagogia tesa alla valorizzazione di identità originali in un contesto comunitario;- di offrire alcuni fondamentali criteri di conoscenza della complessità attuale, facendo una reale

sensibilizzazione e comprensione delle principali problematiche che investono oggi l’educazione allacultura e nella cultura.

La scuola è un luogo di cultura. Costruisce in proprio idee, argomentazioni pedagogiche, intenzionalitàdi fondo che generano e accompagnano buone pratiche didattiche.

La pedagogia della parola, dell’ascolto, della cura e della ricerca sono alcuni spazi di riflessione e dicostruzione dell’essere nella scuola.

La parola crea, permette di essere persona, fa ricordare, conoscere, sentire, immaginare, inventareavvicinare. Costruisce la mappa, l’orientamento, la freccia direzionale della vita e della cultura.

L’ascolto permette, sollecita la reciproca e mutua affermazione di essere preziosi l’uno per l’altro.Realizza l’esserci.

La cura è il modo in cui si esprime l’essere. È pazienza, senso di prospettiva, equilibrio, gioia divivere, pace interiore, lotta, debolezza, fedeltà a pensieri e sentimenti.

La ricerca aiuta a conoscere ed inventare il mondo, a muoversi con i venti del tempo, a camminare conpassi propri orientati da prospettive condivise.

Il progetto culturale pedagogicoNella scuola le fondazioni trovano la loro principale collocazione nel progetto culturale e pedagogico.Il progetto pedagogico è il disegno condiviso ed aperto delle scelte di fondo volte ad orientare le

relazioni, le esperienze ed il conoscere.Orienta la collegialità impegnata nel processo di insegnamento-apprendimento.È espressione del collegio dei docenti, in un continuo dialogo interno al Circolo e con l’esterno.

Linee guida– Il contesto storico, sociale, culturale del territorio e del servizio scuola– il conoscere - la ricerca e l’ innovazione - le teorie di orientamento - le relazioni– le categorie di qualità e le finalità– la didattica - le orme di conoscenza - la metodologia e l’organizzazione– le attività funzionali alla didattica - la collegialità - la formazione– la valutazione e autovalutazione– la documentazione– le estensioni: sintesi attività di ricerca, formazione, buone prassi…

Il dibattito

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Numero 3-4, marzo/aprile 2006 21

Le relazioniLe relazioni sono forme di dialogo fra soggetti ed istituzioni per condividere pensieri, realizzare opere,

dare forma alla corresponsabilità educativa verso il bambino, il ragazzo, il giovane della comunità.Le relazioni pongono in atto pensieri e comportamenti di educazione che costruiscono, valorizzano,

affiancano, aiutano. Accompagnano la formazione ed il potenziamento dell’identità personale, istituzio-nale e sociale.

Saper relazionare significa saper cercare tracce, unire frammenti, realizzare collegamenti, costruire erispettare identità, realizzare opere, rischiare.

Le relazioni danno forza e significato al progetto di vita.Il progetto esistenziale rappresenta lo spazio che la scuola cerca di condividere con la comunità locale:

genitori, associazioni, enti, istituzioni e cittadini.È volto ad attivare le relazioni per:pensare la vita e la cultura,promuovere la dignità dell’uomo in rapporto al sociale ed alla natura,guardare il futuro,potenziare la responsabilità individuale e collettiva,estendere l’impegno personale e comunitario di crescere.La scuola partecipa al dialogo culturale nel territorio per arricchire il pensiero condiviso quale base

fondamentale di una comunità che guarda il futuro.

Il progetto culturale della scuola cammina insieme al progetto di vita come indica la pedagogia dellabellezza, della debolezza, della convivenza, della gioia.

La bellezza orienta l’entusiasmo, il senso di giustizia e di equilibrio, l’intensità di uno sguardo , ilfascino delle piccole cose e l’interesse per le grandi domande dell’esistenza.

La debolezza aiuta ad abitare una terra dove uomini e donne cercano di passare dal potere dividentealla forza unificante, dal potere distruttivo alla forza sanante, dal potere paralizzante alla forza attivante.

La convivenza invita a confrontarsi sui valori che regolano la vita sociale per aiutare a formare giovaniricchi di senso civico, del piacere di vivere insieme, del rispetto degli altri, del valore del confronto, dellaresponsabilità-libertà degli spazi anche di pensiero, della cittadinanza agita.

La gioia aiuta l’espansione di sé nella relazione, la forza di impegnarsi, la crescita di fervore e dipassione, lo stupore della quotidianità, il gusto del normalmente interessante. Invita a vivere con tutti isensi e buttarsi nella vita.

Promuovere un contesto di relazioni significa:- orientare il progetto di vita;- permettere di cogliere e accogliere la preziosità della visione e del significato delle piccole cose e dei

grandi interrogativi sull’esistenza del singolo e della comunità;- realizzare una reale operosità che sprona ad offrire il proprio contributo a coloro che hanno a cuore la

sorte dell’uomo;- aiutare ad abitare la casa paterna ed entrare nella casa del mondo. I legami che pongono in relazione

non appartengono solo alla propria storia familiare ma anche alla storia universale;- trasformare il conflitto in possibilitàI conflitti fra scuola e genitori vanno accolti quali contesti da cui trarre possibilità in divenire.

Il dibattito

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22 INNOVAZIONE EDUCATIVA

La relazione è caratterizzata da punti fermi volti a rasserenare gli animi, valorizzare le identità, per-mettere a ciascuno di occupare spazi propri nel rispetto degli spazi altrui ed abitare spazi comuni.

I genitori hanno il diritto di essere ascoltati, informati e rassicurati.La scuola ha il dovere di informare, ascoltare, rassicurare ed anche il diritto/dovere di attivare forme

autonome di riflessione e di scelta, in un contesto unitario, fatto di intrecci, connessioni fra i principi e leesperienze.

L’ascolto dei genitori, la promozione di relazione/dialogo interni alla scuola, l’attivazione di forme diriflessione critica, permettono la messa in atto di nuove strategie di impegno e pertanto attivano il miglio-ramento degli eventuali punti deboli (organizzazione, relazione, progettazione), e la valorizzazione delriconoscimento dei punti di forza da consolidare nella/della scuola.

La direzione della corresponsabilità educativa nella scuola e nelle relazioni con il territorio va basatasul dialogo, sull’incontro, sulla costruzione dei legami, su un lavoro di creazione di pensieri e di rappre-sentazioni che favoriscono l’emergere di valori, orizzonti, scenari progettuali partecipati e la realizzazio-ne di opere.

Diventa fondamentale costruire insieme un documento dove si esplicitano i principi che regolano lerelazioni e le specifiche responsabilità ed impegni. Il fine è di prospettare strategie per la formazione coninterventi plurimi in relazione alle risorse, ai talenti ed alle vocazioni del territorio, fare investimenticulturali per promuovere la disponibilità relazionale, il conoscere, le esperienze.

L’istituzione è servizio per ciascuno e per tutti. La qualità di un’istituzione richiede la riscoperta di unacittadinanza solida, un atteggiamento di cura nella reciprocità e nel bene comune, una solidarietà agitaper potenziare il senso della civitas, dell’essere politico di ognuno.

Nel Circolo di Savignano è stato istituito un gruppo di lavoro Dialogo scuola famiglia territorio concompiti di regia per progetti e opere da realizzare in collaborazione con le famiglie ed il territorio, nella scuolae nel territorio (manifestazioni cittadine, ricorrenze storiche e culturali, momenti, cittadini tematici …).

Il gruppo ha elaborato una Magna Charta delle relazioni e delle responsabilità della scuola, dellafamiglia e del territorio verso i bambini, i ragazzi, i giovani. Il documento contiene principi che regolanoed orientano le relazioni ed i compiti di ciascuno al fine di praticare la corresponsabilità educativa.

Il Piano dell’Offerta Formativa (POF)Lo spazio condiviso in cui le relazioni trovano senso, sostegno e orientamento è rappresentato dal

Piano dell’Offerta Formativa.Il POF è atto di trasparenza, consapevolezza, responsabilità e impegno verso il bambino nella scuola

e nella comunità sociale.È il disegno formativo che la scuola, la famiglia ed il territorio prospettano per la comunità.Si realizza in tal modo il POF territoriale.

Linee guida per l’elaborazione del POF- contesto: i luoghi, la comunità, la sua storia- fondazioni culturali e pedagogicheInnovazioniCategorie di qualitàFinalità- relazioni

Il dibattito

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Numero 3-4, marzo/aprile 2006 23

Magna Charta delle relazioni e delle responsabilità scuola famiglia territorio- esperienze: didattica, formazione,valutazione, documentazione, pubblicizzazione- estensioniCarta dei serviziRapporto annuale sulla scuola.

Il conoscereIl conoscere richiede spazi di ricerca per pensare avventurosamente, studiare, criticare ed estendere il

sapere stabilito, riflettere, argomentare tesi del conoscere di adulti e bambini.La ricerca è un processo continuo fatto di approfondimenti, estensioni del mondo della vita e della

cultura, costruisce un con-te-sto di fondo per potenziare l’identità soggettuale ed istituzionale e per co-struire principi, teorizzazioni, pensieri che accompagnano, sostengono, indicano azioni e comportamentiricchi di futuro e quindi di speranza.

La persona e la comunità vanno ancorate a valori e principi che aiutano a costruire legami verso glialtri, il luogo da vivere, le cose da utilizzare, il futuro da attendere.

La ricerca rappresenta uno spazio libero ed autonomo in cui i soggetti si impegnano ad accogliere, esplorareil nuovo, l’altro da sé per rispondere al bisogno di conoscere nuove possibilità di pensare l’uomo nel mondo.

Cammina in territori inesplorati in cui cerca di tracciare nuovi sentieri per andare/avanzare e quandoincontra piccole o grandi preziosità si ferma per contemplarle, ascoltarle, curarle, farle germogliare.

I frutti del processo di esplorazione vengono raccontati e condivisi con gli “amici” e compagni di viaggioper raccogliere ulteriori possibilità ed arricchire gli orientamenti che fanno della scuola un sistema in divenire.

Gli esploratori raccontano le loro imprese, ascoltano in modo attivo i dubbi, i bisogni ed i pensieri dicoloro che hanno intrapreso altri viaggi ed esplorato altri mondi.

È attraverso la ricerca e l’innovazione che la scuola realizza sviluppi culturali e pedagogici per cercareciò che ancora non conosce e vivere in modo rinnovato il quotidiano.

Linee guida per un progetto di ricercaTitolo, referente, soggetti coinvoltiMotivazioni, scopi, tesi da sviluppareImpostazione della ricerca, scenario epistemologico, fonti di documentazione, modalità di analisiFocalizzazione delle tesi da investigareEspertiDocumentazione e pubblicizzazione.

Le esperienzeLe esperienze sono eventi vissuti da soggetti in relazione con sé, gli altri e la cultura.L’esperienza realizza l’educare: il vivere l’infanzia pienamente per andare forti verso la vita adulta.Il processo verso la maturità richiede adulti che:- si ispirano ai propri allievi;- vivono in prima persona il valore dell’essere e del divenire;- si impegnano ad individuare le regole/responsabilità che consentono di tenere insieme, in un conte-

sto dinamico e creativo, la vita e la cultura;- sono cultori dell’uomo e del mondo.

Il dibattito

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24 INNOVAZIONE EDUCATIVA

Le esperienze accompagnate da intenzionalità educative abitano e generano:- il pensiero per aprirsi al possibile;- la pausa per ascoltare e riflettere;- il racconto per abitare eventi passati, presenti e futuri;- la domanda per conoscere il mondo;- le accoglienze per essere felici.

In un’istituzione scolastica le esperienze si sviluppano in attività didattica e attività funzionali alladidattica.

La didatticaIl processo di insegnamento-apprendimento si avvale di un contesto di relazioni ed impegni volti a

renderlo esperienza didattica attiva e scientifica, rigorosa e agile, coinvolgente ed affascinante.La didattica è volta a curare l’animo, la mente e la mano del bambino affinchè venga lasciato libera-

mente e creativamente interagire con la cultura attraverso la mediazione dell’adulto, del libro, della paro-la e degli strumenti.

La didattica fondata su un discorso teorico (capace di capire la nostra epoca) e pedagogico (saperrispondere alle richieste formative dei giovani) è volta ad ascoltare, sostenere, aver cura, attenzione,ascolto delle nuove generazioni sollecitandole verso la vita nella promessa del futuro pur nell’ incertezzadel presente.

È uno spazio in cui il pensiero, la parola, il gioco, la creatività, la narrazione, la storia, la ricerca, lamanualità aiutano a vivere in modo autonomo, consapevole e responsabile la cultura ed il mondo della vita.

Aiuta a conoscere il mondo, aprirsi al possibile attraverso le forme dell’ordine, del rigore, della lievitàe leggerezza; apre ed invita alla cura educativa del soggetto.

È costantemente accompagnata da intenzionalità quale orientamento verso una conoscenza capace diaffrontare la complessità e la mondializzazione, impegnata a porre in atto significativi progetti educativi,formativi e culturali.

È resa unitaria da una progettualità quale opera aperta che gli OOCC della scuola elaborano e trasfor-mano in processi di insegnamento-apprendimento.

Il progetto didattico è lo scenario di riferimento, il disegno intenzionalmente educativo teso in avanti,aperto al possibile. Conferisce significato e senso alla didattica in quanto aiuta a concretizzare gli idealiin opere.

La progettualità viene sviluppata a livello di istituto/circolo, scuola, classe/sezione;assume caratteri processuali quando prende forma con l’evolversi degli eventi. Intenzionalità, ipotesi

di lavoro, organizzazione, documentazione e valutazione danno origine a tracce di senso per orientare,orientarsi, operare in modo unitario, autonomo e originale.

Diversi sono i progetti nel circolo/istituto in quanto diversi sono i soggetti coinvolti: (Circolo/Istituto,Collegio dei docenti, Commissioni di lavoro, Gruppi di ricerca, Èquipes pedagogiche di classi/sezioni).

Ogni ambito di impegno richiede uno scenario progettuale capace di orientare, ordinare, prospettare,operare, documentare, valutare, validare. Per queste motivazioni si realizzano progetti di indirizzo (POF,Progetto pedagogico) e progetti di sviluppo (di scuola, di classe/sezione). Il fine è creare delle connessio-ni affinchè gli uni possano dialogare con gli altri arricchendosi reciprocamente.

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Progetto didattico di circolo/istituto/scuolaLinee guidaTitoloInsegnante referenteScuole, classi e insegnanti coinvoltiMotivazioni pedagogicheConnessioni con POF e progetto pedagogicoCategorie di qualitàMagna ChartaFinalità-obiettiviIpotesi di sviluppoOrganizzazione (Spazi Risorse umane e strumentali - Costi(Risorse finanziarie statati disponibili di plesso, altre risorse – esperti interni ed esterni, materiale

didattico/consumo)Valutazione (Valutazione qualitativa e quantitativa degli alunni)Autovalutazione degli alunniValutazione gruppo classe: quadrimestrale, utilizzo di un modulo di circolo per la raccolta dei princi-

pali significati)Documentazione (Portfolio)Sintesi dei processi e delle risultanze realizzate (di scuola e/o di classe)Opere e monumenti.

Progetto didattico di classe/sezione(Piano di studi personalizzato - PSP, Unità di apprendimento - UA)Il piano di studi personalizzato è un progetto di classe/sezione quale articolazione/concretizzazione

delle progettualità di Circolo o di plesso (POF, Progetto pedagogico, progetto didattico) è dialogato conalunni e famiglie (patto formativo/portfolio), accompagna il gruppo classe e i singoli bambini. Contienele scelte di fondo che orientano i processi di insegnamento-apprendimento della classe, è il contenitoreche rende unitarie le diverse esperienze/unità di apprendimento. Si articola in unità di apprendimento.

Linee guida:titolo, insegnante referente, scuola, soggetti coinvolticaratteristiche della classe, bisogni e motivazioniscelte pedagogiche – scelte delle categorie di qualità dei principi della Magna Charta delle responsabilità

scuola famiglia territorio e relative articolazioni in finalità e obiettivi formativi (principali intenti e scopi)forme di conoscenza-saperi essenzialimetodologia e organizzazionefasi di sviluppo – unità di apprendimento - attività facoltative/ opzionali. Il percorso è di tipo processuale,

articolato e complesso con riprogettazioni /estensioni in itinerevalutazione singoli alunni (criteri), autovalutazione degli alunni, valutazione del gruppo classe/sezionedocumentazione – sintesi di senso dell’esperienza (argomentazione e scelte nel succedersi delle fasi di

lavoro), riflessioni pedagogiche, unità di apprendimento realizzate.

Il dibattito

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26 INNOVAZIONE EDUCATIVA

Unità di ApprendimentoLe UA realizzano operativamente i Piani di studio personalizzati. Sono articolate in: tematica, destinatari,

bisogni e motivazioni, categorie di qualità, Magna Charta delle responsabilità scuola-famiglia-territoriofinalità, obiettivi formativi e di apprendimento scelti, forme di conoscenza, fasi di sviluppo, risorse uma-ne, strumentali e finanziarie, valutazione e documentazione (descrizione del percorso e delle risultanzeattese e raggiunte, nodi critici che hanno favorito o limitato i processi, strumenti e modalità utilizzate).

Progetto Educativo IndividualizzatoIl Progetto educativo individualizzato orienta le attività didattiche prospettate e realizzate con bambini

con deficit o che presentano situazioni particolarmente complesse.

Linee guida– Dati alunno, famiglia, scuola. Tipologia deficit. Componenti del GLH individuale. Collaborazioni, intese.– Situazione scolastica precedente (documentazione, informazioni, osservazioni)– Caratteristiche della classe/sezione di appartenenza.– Connessioni con il PSP e le UA della classe/sezione (in che modo l’èquipes pedagogica tiene conto

della progettazione di classe/ sezione).– Finalità e obiettivi– Organizzazione e metodologie– Categorie di qualità (impegno - sviluppo - insegnamento/apprendimento): autonomia, relazione,

competenze...Per ogni categoria specificare: situazione di partenza, finalità/obiettivi, strategie di lavoro, contenuti

(idee, temi, argomenti quali mezzi per potenziare il conoscere e l’interesse), processi e risultanze.Risorse umane, finanziarie e strumentali (didattici e sanitari).Valutazione e documentazione: argomentare il succedersi delle fasi (attività connesse alla classe e

individualizzate relative alle categorie individuate), le scelte che le hanno determinate, le opere ed imonumenti realizzati, i risultati attesi e raggiunti, le complessità che hanno favorito o limitato il processodi insegnamento/apprendimento.

Altro.Allegati: verbali incontri informativi-formativi (GLH individuale, con esperti, con la famiglia, le scuole,

il territorio).

Attività funzionali alla didatticaLa scuola costruisce forza nella collegialità quale spazio di confronto, condivisione, costruzione e

possibilità.La collegialità è una categoria di alta qualità dell’essere della scuola e nella scuola. Lo sforzo,

l’impegno e la sfida sono rappresentate dal mettere fra parentesi la propria soggettività per incontrarealtre soggettività ed insieme costruire spazi nuovi di lavoro, solidarietà agita.

Ogni identità mantiene ed estende la propria professionalità attraverso la ricerca di spazi di condivisionee di democrazia.

La didattica va affiancata da attività che l’aiutano a realizzarsi in termini innovativi, progettuali, orga-nizzativi e di valutazione, aspetti propri dell’essere comunità in divenire in un contesto di alta flessibilità.

Il dibattito

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Organi Collegiali ed articolazioni

Collegio dei docentiSoggetti coinvolti:Insegnanti di Scuola dell’Infanzia,Insegnanti di Scuola Primaria,Dirigente Scolastico,DSGACompiti:tracciare le fondazioni pedagogichequale orientamento per le relazioni, il conoscere, le espe-rienze (didattica e le attività funzionali alla didattica).Il collegio dei docenti si articola in gruppi di lavoro persviluppare specifici compiti in termini di proposteprogettuali, organizzative e di coordinamento.

Interclasse/intersezione/classeSoggetti coinvolti:insegnanti, Dirigente Scolasticorappresentanti dei genitori (seduta aperta)Compiti:formula proposte agli OOCC,accompagna l’attività della classe/sezione

Assemblea di CircoloSoggetti coinvolti: tutti gli operatori scolastici.L’assemblea, in particolari occasioni, può aprirsi ai ge-nitori e cittadinanza (serate cittadine)

Assemblea dei rappresentanti dei genitoriSoggetti coinvolti: tutti i rappresentanti dei genitori,il Dirigente ScolasticoIncontri informativi, formativi e di sviluppoDialogo con i comitati/associazioni dei genitori

Consiglio di CircoloSoggetti coinvolti:rappresentanza di insegnanti,genitori,personale ATA,DSGA,Dirigente ScolasticoCompiti:tracciare il disegno di politica scolastica, le scelte ine-renti all’organizzazione, gestione ed amministrazione

Assemblea ATA (C.S. e/o Op. amministrativi)Soggetti coinvolti:Operatori Amministrativi oCollaboratori Scolastici,DSGA eDirigente ScolasticoCompiti:organizzazione e potenziamento servizi

Assemblea di classeSoggetti coinvolti: genitori della classe, èquipe pedagogicaIncontri informativi e di dialogo

Gruppo DialogoScuola-famiglia-territorioSoggetti coinvolti:rappresentanti della scuola,delle famiglie,del territorioIncontri per pensare, progettare, sollecitare, accompa-gnare le relazioni e le opere in collaborazione scuola-famiglia-territorio.

La formazione è una delle dimensioni fondamentali della qualità della scuola.È forma-in-azione, processo in divenire che accompagna costantemente la vita personale e professio-

Il dibattito

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28 INNOVAZIONE EDUCATIVA

nale. Va intesa come volontà di accrescere la conoscenza attraverso lo studio, il confronto, la dimensionedella problematicità e dell’innovazione.

Chi è educatore è persona che realizza un viaggio in compagnia, si concede pause per osservare,domandare e ascoltare per percorrere sentieri noti e tracciane altri inesplorati.

Linee guida per la progettazione, la documentazione e la valutazione- Premessa pedagogica – bisogni, motivazioni- Connessioni con il progetto pedagogico ed il POF- Sviluppi operativi (percorsi ed attività, metodologia di lavoro, tempi e luoghi di realizzazione)- Valutazione (interpretazione dei processi e delle risultanze attese e raggiunte)- Documentazione-sintesi interpretativa dei concetti pedagogici e culturali emersi; orientamenti per i

documenti ed i progetti di indirizzo e di sviluppo, bibliografia di riferimento; proposte per ulteriori ap-profondimenti.

Il dibattito

I progetti, partecipati e processuali, sono opere aperte ed in relazione. Indicano il possibile per le comunità scolastica nel territorio.

LLEE RREELLAAZZIIOONNII IILL CCOONNOOSSCCEERREE Dialogo fra soggetti ed istituzioni per condividere pensieri, realizzare opere, dare forma alla corresponsabilità educativa verso il bambino, il ragazzo, il giovane della comunità.

POF Dialogo scuola,famiglia, territorio

Spazi di ricerca per pensare, studiare, riflettere, argomentare tesi ed attivare forme rinnovate del conoscere di adulti e bambini

Ricerca e

Innovazione

LLEE FFOONNDDAAZZIIOONNII Indirizzi, forze culturali e pedagogiche che orientano ciascun soggetto nel processo formativo e professionale. Intenzionalità regolatrici/generatrici delle relazioni, della ricerca e delle esperienze

Progetto Pedagogico

LLEE EESSPPEERRIIEENNZZEE Eventi orientati da intenzionalità, accompagnati dal possibile,

vissuti da ciascun soggetto nella relazione con sé, gli altri e la cultura. DIDATTICA ATTIVITÀ FUNZIONALI ALLA DIDATTICA

Progetti di Circolo/scuola/classe-sezione Organi collegiali e sue articolazioni Formazione

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Numero 3-4, marzo/aprile 2006 29

Le ricerche pedagogiche più accreditate hanno insistentemente allarmato l’opinone pubblica, a partiredai genitori e dagli insegnanti, sull’insidiosa malattia scolastica del bullismo. I più autorevoli studiosi diquesta diffusa patologia relazionale hanno ampiamente documentato l’andamento del suo “meteo”, lecui previsioni annunciano un cielo pieno di nuvole sui paesaggi scuola. Il bullismo si può definire unaforma di “relazione-malata” tra due allievi: nella quale l’uno è il carnefice (prepotente, torturatore, ricatta-tore) e l’altro la vittima (introversa, mansueta, dipendente, che soffre in silenzio per la bassa stima che ha disé). È un virus che si manifesta attraverso dinamiche ripetute di aggressività diretta (fisica e/o verbale) eindiretta (mediante la pratica del discredito, del prendere in giro un compagno per delegittimarlo, emarginarloe poi assoggettarlo). Nella vita della classe, sta “strappando”i fili nobili della collaborazione-amicizia-coo-perazione-solidarietà. Anche perché le sue frecce segnaletiche (quantitative, generazionali, sessuali, socialie culturali) stanno fornendo notizie di segno opposto rispetto a quelle di qualche anno fa, tanto che dovràessere riscritta la sua tradizionale cartella clinica. Seguiamo la parabola di quattro sue frecce.

(a) Prima freccia segnaletica: il bullismo sta espandendosi a velocità siderale in tutto il mondo. - Nonsolo nei sistemi scolastici più evoluti e qualitativi, ma anche in quelli neofiti e dalla precaria tenutaformativa. I dati ci dicono che un alunno-su-cinque recita a scuola il copione del bullo o della vittima.

(b) Seconda freccia segnaletica: il bullismo sta precocizzandosi. - Già nella scuola dell’infanzia siregistrano cifre allarmanti di bullismo, che si moltiplicano a macchia d’olio nella successiva scuola ele-mentare.

(c) Terza freccia segnaletica: il bullismo sta cambiando genere, diventando sempre più femmina. - Lesue prevalenti forme di violenza indiretta (la messa al bando di un compagno più debole attraverso calun-nie e sottili minacce, allo scopo di escluderlo e renderlo dipendente) stanno proliferando tra le piccoleamazzoni soprattutto all’inizio dell’obbligo scolastico. Il bullismo in gonna si configura come una sortadi guerra stellare contro i “maschietti” per strappare loro, per tempo, l’esercizio del potere nelle dinami-che sotterranee della vita di classe.

(d) Quarta freccia segnaletica: stanno cambiando i mondi di appartenenza dei bulli. - Le tradizionali“variabili” della condizione sociale, dei vissuti metropolitani, della residenzialità in quartieri-dormitorio,della scolarizzazione in sedi dall’utenza a rischio e dall’edilizia fatiscente contano sempre di meno qualifrecce segnaletiche della genesi-natalità del bullismo. Questo invece prolifica e si diffonde - con crescen-te virulenza - tra i ragazzi di ceto borghese, che vivono in piccoli centri, in zone “parioline”. E chefrequentano scuole dalle capienti e moderne architetture edilizie.

Dunque, le vere-cause del bullismo di questo inizio secolo vanno cercate altrove. Tra queste, suggeria-mo di non perdere di vista le seguenti quattro piste interpretative.

Pista numero uno.– Il bullismo è da addebitare al rispecchiamento dei figli sulle figure parentali bulle. I modelli di

comportamento e di identificazione dei genitori sembrano fungere sempre di più da potente “calamita” diattrazione e di riproduzione di stili di vita (a partire, da quelli cosparsi di violenza).

Focus su...

Il bullismo in classe

Franco Frabboni

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Pista numero due.– Il bullismo è da ascrivere al sempre più diffuso abbandono della propria età evolutiva, della propria

“domenica”: giornata-simbolo del proprio mondo generazionale, dei bisogni-interessi-sogni della pro-pria stagione evolutiva: infanzia, adolescenza, giovinezza. Tra gli allievi proliferano vuoi le personalitàdel “sabato” (giornata-simbolo delle vittime, che restano prigioniere – perché immature - della loro prece-dente stagione temporale), vuoi le personalità del “lunedi” (giornata-simbolo dei bulli-carnefici, che an-ticipano l’uscita dalla loro “domenica” per popolare l’età successiva: in questa credono inconsciamente dipotere assumere - con l’arroganza e la prevaricazione - un ruolo riconosciuto di potere).

Pista numero tre.– Il bullismo è da imputare alla scuola per il suo abituale clima di competitività-cognitiva. Questa

atmosfera di cruenta rivalità tra gli allievi non solo dissemina nella classe i disvalori dell’individualismo-privatismo-indifferenza nei confronti dell’altro, ma produce soprattutto una sorta di “terra-bruciata” nellaquale non diventa più possibile fare crescere la pianta pedagogica della cooperazione e della solidarietà.

Pista numero quattro.– Il bullismo, infine, è da mettere in conto a questa società complessa e di transizione inginocchiata al

totem dell’economia, al tandem produzione-consumo. Questo “dio-maggiore” mette nel motore dell’in-fanzia e dell’adolescenza la “voglia” di accelerare-velocizzare i tempi delle stagioni della vita, allo scopo- tutto economicista - di farle sbarcare al più presto sul pianeta dell’adultità : simbolo e garante dell’uomoche lavora, che è utile, che dà impulso alla produttività e ai mercati. Questa corsa senza respiro versol’adultità crea nei ragazzi sradicamento esistenziale, squilibri, emozioni negative, conflitti nei proprivissuti quotidiani.

Focus su...

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Alcune considerazioni sul ruolo della teoria filosofica nella società contemporaneaNel 1981 si tenne a Cattolica un fortunato ciclo di conferenze il cui titolo suonava (e suona tuttora)

provocatorio: “Che cosa fanno oggi i filosofi?”1 . Mentre altre scienze umane sembrano infatti esibireun’utilità pratica, una funzione sociale o comunque socialmente riconosciuta (tanto che a nessuno ver-rebbe in mente, credo, d’interrogarsi su “cosa fanno oggi” i sociologi, gli psicologi, i pedagogisti, ecc.),nel caso della filosofia si profila sempre una sorta di ambivalenza, per cui da un lato le viene assegnato lostatuto di un iper o di un meta-sapere, di un serbatoio d’idee a cui attingere per orientarsi nel mondo,dall’altro le si muove il rimprovero di rimanere astratta, autoreferenziale, chiusa in un recinto speculativosostanzialmente estraneo alle concrete emergenze della vita, ai veri problemi della società. Certamente, allafilosofia viene oggi riconosciuto uno spazio istituzionale: viene insegnata in molte scuole superiori (doverappresenta una “materia” di studio) e all’Università (dove esistono addirittura appositi Corsi di Laurea); èoggetto d’indagine da parte di Dipartimenti universitari, Istituti o Centri di ricerca, che ricevono a tal finefinanziamenti pubblici; è presente nei cataloghi e negli scaffali delle biblioteche, delle librerie, e anche suInternet vi sono ormai molti siti dedicati all’approfondimento di tematiche filosofiche; i filosofi intervengo-no persino in programmi radiofonici e televisi che trattano argomenti d’attualità o comunque d’interessegenerale (dalla guerra al dialogo interculturale, dalla bioetica alla crisi della famiglia, ecc.). Non solo: comeaccade, esemplarmente, in occasione del “Festival della filosofia” che si tiene annualmente a Modena,Carpi e Sassuolo, la filosofia attrae, anche nel nostro paese, un pubblico numeroso ed eterogeneo (giova-ni, studenti, insegnanti, persone genericamente interessate...). Tuttavia, a dispetto di ciò, il ruolo dellafilosofia nella società resta qualcosa d’incerto, qualcosa che va cioè giustificato, di volta in volta, inrapporto alle questioni di cui si occupa, alle pratiche sociali di cui parla o che essa stessa istituisce.

Anziché liquidare come assurdo o infondato questo pregiudizio, ci chiederemo se esso non possiedauna base reale: se siano tuttora sostenibili quelle posizioni che hanno enfatizzato il nesso filosofia-socie-tà, oppure se la funzione sociale della filosofia non vada ricercata proprio nella sua apparente lontanzadalle cose della vita, nel “passo indietro” che essa – in quanto teoria – inevitabilmente compie quandodeve occuparsi della prassi.

Sapere e potereTeoria deriva dal verbo greco theorein, che significa sia guardare, osservare con gli occhi, sia contem-

plare con la mente (e già in Platone, infatti, troviamo il sostantivo theoría col significato di speculazione).Probabilmente, è quest’ultimo significato ad aver originato lo stereotipo del teoreta distratto, talmenteimmerso nelle sue speculazioni da perdere di vista la realtà concreta. Parlando delle incomprensioni chehanno costellato, da sempre, i rapporti tra mondo della vita e teoria, Hans Blumenberg2 ha sottolineatocome Platone individui il loro antefatto nelle risa di cui fu vittima il primo filosofo della storia, Talete: «...

Speciale filosofia

A che cosa serve la filosofia?

Annamaria Contini

1 Cfr. AA.VV., Che cosa fanno oggi i filosofi?, a cura della Biblioteca comunale di Cattolica, Bompiani, Milano 1982.2 H. Blumenberg, Il riso della donna di Tracia. Una preistoria della teoria, Il Mulino, Bologna 1988.

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si racconta anche di Talete, il quale mentre stava mirando le stelle e aveva gli occhi rivolti in alto, caddein un pozzo; e allora una servetta di Tracia, spiritosa e graziosa, lo motteggiò dicendogli che le cose delcielo si dava gran pena di conoscerle, ma quelle che aveva davanti e tra i piedi, non le vedeva affatto.Questo motto si può ben applicare egualmente a tutti quelli che fanno professione di filosofia» (Teeteto,174 AB). Sappiamo però che l’obiettivo di Platone sarà proprio di riconciliare la teoria e la prassi: nellaRepubblica, egli affida ai filosofi il compito di governare lo Stato ideale, in quanto «... se il potere politicoe la filosofia non coincideranno nelle stesse persone ..., è impossibile che cessino i mali della città e anchequelli del genere umano» (Repubblica, V, 473 d). Solo i filosofi, avendo accesso alla conoscenza supre-ma, a quel mondo ideale che costituisce la ragion d’essere del mondo sensibile, possiedono gli strumentiper reggere correttamente la cosa pubblica, per far sì che le istituzioni e le leggi non affermino il dirittodel più forte, ma contribuiscano a edificare una società felice e giusta. Secondo Platone, la natura teoreticadella filosofia costituisce il presupposto della sua finalità politica: lungi dal distogliere gli uomini dallevere questioni della società, la contemplazione delle idee – dunque, di una realtà diversa da quella legataall’esperienza comune – permette di vedere come stanno veramente le cose e di trovare le soluzioni piùadeguate anche ai problemi più difficili.

L’utopia della “filosofia al potere”, o comunque di una sua forte, immediata partecipazione alla guidae al progresso della società, torna più volte nella storia del pensiero filosofico. Per motivi di spazio,limitiamoci a considerare la proposta formulata dal fondatore del positivismo, Auguste Comte, nel suoCorso di filosofia positiva, pubblicato in sei volumi dal 1830 al 1842. Analizzando la crisi politico-sociale aperta, in Europa, da eventi come la Rivoluzione francese o lo sviluppo industriale, Comte affer-ma che questa crisi è destinata a protrarsi finché non si stabilirà una nuova alleanza tra sapere e potere,cioè fino a quando non verrà utilizzata la scienza per ricostruire un nuovo ordine sociale. A suo parere,occorre in primo luogo elaborare una scienza della società (da lui designata sociologia), basata sull’osser-vazione dei fatti e sulla ricerca di leggi naturali invariabili, dunque in grado di supportare oggettivamentela necessaria riforma delle istituzioni. In secondo luogo, occorre prevedere una nuova forma di poterespirituale, che non eserciti direttamente il potere politico, ma abbia piuttosto il compito d’ispirarne lescelte, assicurando nel contempo una più profonda coesione sociale. Per Comte, tale potere non spettatanto agli scienziati in senso stretto quanto ai filosofi o, per meglio dire, ai filosofi positivi. La filosofiapositiva, infatti, ha una duplice missione: coordinare e sintetizzare i risultati generali di tutte le scienze,affinché la crescente specializzazione del lavoro scientifico non determini l’astratto isolamento di ognisettore disciplinare e la conseguente incomunicabilità tra gli scienziati; sistematizzare l’insieme delleconoscenze umane, facendone un patrimonio d’idee comuni, condivise dalla società nel suo complesso equindi capaci di guidare il comportamenti di tutti i suoi membri.

Il disegno di Comte non doveva rivelarsi meno utopistico di quello prospettato da Platone: nemmenola filosofia positiva avrà un ruolo di punta nella successiva organizzazione della società; lo sviluppo dellescienze sociali non implicherà affatto la loro subordinazione alla filosofia, da cui cercheranno al contra-rio di affrancarsi per conquistare lo statuto di saperi oggettivi e rigorosi; le scienze parleranno linguaggisempre più specialistici, sempre meno comprensibili tanto alla società che dovrebbe fruirne quanto allafilosofia che dovrebbe mediarli. Oggi, del resto, in un’epoca che ha decretato la crisi dei “fondamenti”,delle verità universali e assolute, e ha visto viceversa aumentare l’impatto dei fattori (micro- o macro-)economici sulle scelte politico-sociali, l’idea della filosofia al potere (temporale o spirituale che sia)appare francamente ingenua. Ma allora, in che modo la teoria filosofica può influenzare la prassi? Lafilosofia può suggerire qualcosa di utile solo ai singoli individui che vi facciano ricorso, oppure conserva

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una funzione sociale? Intanto, un’indicazione ci viene da Comte, secondo il quale la teoria risulta effica-ce solo se e nella misura in cui inserisce uno scarto tra l’uomo e la realtà che si tratta di modificare; èquesta presa di distanza, questa momentanea astrazione dagli interessi e dalle finalità concrete a produrreuna conoscenza oggettiva dei fenomeni che si tradurrà, in un secondo momento, nella possibilità d’inter-venire effettivamente su di essi, trasformandoli a proprio vantaggio. Dobbiamo ora vedere com’è stataripresa, nel Novecento, l’idea di un’efficacia della teoria a partire dalla sua capacità di distanziarsi dallaprassi, in un contesto che ha però smentito la convinzione – così cara a Comte – del valore oggettivo diogni autentica conoscenza.

La teoria, fra problema del “senso” e critica della societàNell’ultimo secolo la scienza (con le sue incessanti scoperte, ma forse ancor più con le applicazioni

tecnologiche che è stato possibile ricavarne) ha condizionato fortemente i processi della vita sociale,rendendo quanto mai attuale l’esigenza di chiarirne e condividerne i significati, i caratteri, gli scopi. Suquesta problematica si è soffermata in particolare la fenomenologia, una corrente della filosofia contem-poranea che ha duramente criticato la concezione oggettivistica della scienza inaugurata dalla rivoluzio-ne galileiana e poi affermatasi compiutamente col positivismo. Nella Crisi delle scienze europee (scrittatra il 1935 e il 1937), Husserl osserva che le scienze, come scienze di fatti, non hanno nulla da dire sulproblema del senso o del non-senso dell’esistenza umana. È questa la ragione della crisi che ha investitonon solo la scienza, ma anche la cultura europea nel suo complesso, ormai incapace di afferrare il legamecon l’originario mondo della vita e la funzione costitutiva giocata in esso dalla soggettività. L’unicascienza che può ovviare a tale declino è la filosofia (non a caso, Husserl definisce il filosofo un «funzio-nario dell’umanità»): in quanto attività teoretica, contemplativa, essa non soggiace al fascino di unaconcezione naturalistica del mondo, ma s’interroga precisamente su quelle strutture di senso che aprononuovi spazi all’operare comune degli uomini nelle istituzioni sociali e storiche.

Diverso è invece il ruolo riservato alla teoria filosofica dalla Scuola di Francoforte, un movimento dipensiero che ha offerto i suoi contributi più originali (ad esempio, sui temi legati allo sviluppo dell’indu-stria culturale nella società tecnologica ed opulenta) nei decenni successivi alla Seconda Guerra Mondia-le. Per gli esponenti di questa Scuola (Horkheimer, Adorno, Marcuse, e altri ancora), la filosofia deveelaborare una teoria critica della società finalizzata alla trasformazione della società stessa. A tale compitoè infatti inadatta la sociologia empirica, che, nel suo sforzo di diventare una scienza descrittiva e obiettiva,intende sbarazzarsi di ogni criterio valutativo, senza accorgersi di presupporre comunque una certa visionedell’uomo e della società. Contro la pretesa di poter pensare senza filosofare, occorre invece ricorrere espli-citamente alla filosofia; a una filosofia sociale che non giustifichi la realtà così com’è, ma ne smascheri lecontraddizioni, le ingiustizie, gli orrori, sollecitando gli individui a porre rimedio al negativo, ad organizza-re il loro agire in modo che – come ha scritto Adorno – Auschwitz non si ripeta, non possa mai piùaccadere nulla di simile3. In tale prospettiva, la società andrà studiata non per singoli settori o problemima nella sua globalità, con un metodo di ricerca interdisciplinare che sappia integrare criticamente gliapporti forniti dai vari settori (le scienze sociali, economiche, politiche, il diritto, la psicoanalisi).

Oggi, peraltro, la società appare talmente complessa e “fluida”- soggetta a continui cambiamenti an-che nei suoi elementi strutturali, percorsa da processi non sempre razionalizzabili o prevedibili – damettere in dubbio la possibilità di ricomprenderla in uno sguardo d’insieme, come pure di trasformarla

3 Cfr. Th. W. Adorno, Dialettica negativa, Einaudi, Torino 1970, p. 330.——————

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rendendola conforme alle aspettative razionali degli individui. Dunque, che compito spetta realmentealla filosofia nel tempo della globalizzazione e delle nuove tecnologie? Che cosa può dire della e allasocietà? E la società, a sua volta, ha veramente bisogno della filosofia?

La filosofia nel tempo della complessitàChiunque sia stato al Festival della Filosofia di Modena, Carpi e Sassuolo, conserva l’immagine di

piazze o teatri stracolmi di persone intente a seguire lezioni magistrali o discussioni filosofiche tutt’altroche facili, spesso infarcite di richiami a tradizioni, concetti e autori ignoti ai più, e tuttavia oggetto di unaconcentrata, partecipe attenzione. Si potrebbe obiettare che il Festival ha un successo così strepitoso(nell’ultima edizione ha registrato un pubblico di visitatori superiore alle centoventimila unità) perchécostituisce ormai un “evento”, pubblicizzato dai media e sostenuto da molte iniziative collaterali (mostre,spettacoli, concerti, mercatini, attività gastronomiche, ecc.). Credo però che una simile interpretazione,per quanto non totalmente errata, sarebbe riduttiva, e che la massiccia partecipazione al Festival possainvece aiutarci a chiarire le questioni poste più sopra.

Innanzitutto, ci suggerisce che esiste un bisogno, socialmente diffuso, di filosofia; ovviamente, non dellafilosofia iperspecializzata - protagonista di Seminari o Convegni dedicati a problemi molto specifici,interessanti solo per un pubblico di addetti ai lavori -, ma della filosofia che riflette su grandi problemi(come la felicità, la bellezza, la vita, il mondo, i sensi...) da cui ciascuno può sentirsi interpellato, coinvolto.

Essa ci suggerisce poi che la filosofia non è un esercizio solipsistico, da condursi esclusivamente nelsilenzio di una biblioteca o nel chiuso della propria stanza, ma una forma di comunicazione che puòessere portata persino nelle piazze, che può indurre le persone a confrontarsi, a dialogare e a discutere.Sin dai tempi di Socrate e di Platone, la filosofia ha avuto per teatro l’agorà, la piazza usata sia per scopicivici (dibattiti, processi, ecc.), sia come mercato; sin da allora (e i Dialoghi socratici lo testimonianoampiamente), la filosofia è stata anche una pratica sociale: un modo per selezionare, impostare ed espri-mere certe esigenze della società (o di alcuni gruppi sociali), talora criticando radicalmente, talora tro-vando forme parziali di accordo con la cultura e le opinioni esistenti. Ma, parallelamente, la filosofia èstata anche il sapere dei fondamenti, la scienza che cercava di legittimare le altre pratiche sociali fornen-do loro i “primi principi”, le basi – ontologiche, metodologiche, epistemologiche, etiche – su cui svilup-pare i rispettivi discorsi. Oggi, non pensiamo più che la filosofia possa fondare alcunché, né riteniamopossibile aspettarci da essa risposte certe, universali, assolute. Tuttavia, questo non significa che sianovenute meno le domande a cui la filosofia ha sempre tentato di rispondere, e che quest’ultima non rappre-senti tuttora la pratica sociale più adatta a formularle, a contenerle, a preservarle.

Nella nostra epoca, le domande sono aumentate: le nuove tecnologie (da Internet alla procreazioneassistita) ci offrono possibilità straordinarie, ma pongono nello stesso tempo nuovi interrogativi, sia teo-rici che pratici; i processi migratori ci fanno conoscere da vicino le altre culture, ma alterano i confiniidentitari su cui si orientava la nostra geografia, obbligandoci a fare i conti con problemi come la differen-za culturale, l’accettazione dell’altro, il multiculturalismo. Di fronte a queste emergenze, anche una do-manda filosofica tradizionale come “Qual è la natura e il fine dell’uomo?” risulta attuale, visto che dalmodo con cui si cercherà di rispondervi dipenderà la scelta circa cosa si può o non si può fare conl’embrione umano, come si deve o non si deve integrare il cittadino extracomunitario, ecc. Anzi, propriolo statuto dubitativo, incerto della filosofia – dato dall’acquisita consapevolezza che il sapere definitivo èimprendibile, e che esisteranno sempre verità diverse e contrastanti – la rende il luogo privilegiato di undomandare divenuto oggi più insistente, sotto l’incalzare di profonde e diffuse inquietudini.

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Da un lato, come già sosteneva Husserl, la filosofia può tematizzare quel problema del “senso” che levarie scienze non affrontano, limitandosi a stabilire come e per quale causa avvengono certi fatti, ma chein una società complessa come la nostra corrisponde a un bisogno ancora più pressante: bisogno di dareun senso alla nostra vita, alle nostre azioni, alle cose che ci circondano e alla società in cui viviamo.Diversamente da alcuni manuali, che insegnano in poche regole “come essere felici”, la filosofia non puòsnocciolare facili ricette; il suo compito è piuttosto di aprire orizzonti di senso che poi ciascuno dovràriempire, in una ricerca - sia individuale che collettiva - forse infinita, ma già di per sé ricca di significato.Dall’altro lato, la filosofia può svolgere una funzione critica contro i pregiudizi di ogni sorta, contro irisorgenti dogmatismi e fondamentalismi, contro le presunte certezze di chi preferisce rimuovere – anzi-ché comprendere - la complessità del presente. Benché questa critica non si traduca, ipso facto, in unapositiva trasformazione della società, essa può migliorare la convivenza tra i suoi membri, cioè tra indi-vidui sempre meno omogenei, sempre più portatori di culture, usi, costumi differenti.

Evidentemente, per poter fare tutte queste cose, la filosofia dev’essere in grado di parlare alla società.Senza rinunciare alla sua vocazione teorica, alla sua storia e ai suoi concetti, essa deve potenziare la suecapacità dialogiche, intrattenere proficue relazioni interdisciplinari, accettare di misurarsi con le nuovesfide di cui è intessuta la postmodernità: perché il suo “passo indietro” rispetto alla prassi non si traducain un sapere astratto, ma in una forma di comunicazione socialmente accessibile e condivisibile.

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Allora possiamo davvero cominciare a parlare dell’eclissi “dell’eclissi della filosofia”? Cioè delriaccendersi dell’interesse da parte del mondo della cultura, nel villaggio globale, verso i temi dell’este-tica, verso l’etica, la politica e verso l’intera costellazione di saperi connessi, in qualche modo, con lagalassia della filosofia? Possiamo riprendere il ragionamento via via appannato dall’incedere impetuosodel tecnicismo tardomoderno, dalle teorie del produttivismo, dell’economicismo, della contingenza? Certo“riprendere il discorso” è un modo riduttivo di definire il fenomeno in atto nel nostro paese. Perché, seguardiamo la dimensione pubblica (festival, incontri, convegni…) che direttamente o indirettamente chiamain causa la filosofia, ci accorgiamo che essa, da fenomeno elitario e specialistico sta aprendosi a moltitu-dini variegate e diversificate.

Un interesse sempre crescente verso la filosofia si registra anche nell’attenzione dei media, dove ifilosofi sono chiamati, con una certa frequenza, a esprimere le loro opinioni. Aumentano i consumi difilosofia e l’attrazione verso le affascinanti analisi e le interrogazioni radicali sul senso e l’inesauribilitàdei problemi del nostro vivere speculativo. Il contributo alla contemporaneità va di pari passo con l’offer-ta di interpretazioni, di modelli di comprensione delle idee, per la costruzione e la continua ricostruzionedelle concezioni della realtà nella quale viviamo.

L’attuale fase di sviluppo della riflessione sulla qualità dell’educare, in corso in molte realtà scolastichenel nostro paese segna una innegabile tendenza. Che cosa contraddistingue il grande lavoro, estremamentesofisticato e analitico, sottile e “di scavo” che viene portato avanti da molte scuola del nostro paese?

Stiamo assistendo ad uno spostamento dei piani della ricerca. L’elaborazione teorica dell’ultimodecennio ha insistito molto su questioni organizzative fondamentali per la scuola e i servizi per l’infan-zia: gli spazi, i tempi, i gruppi, i laboratori, l’incastro con i vincoli istituzionali…ecc…Temi forti chesono stati osservati, pensati, progettati, valutati, documentati e approfonditi in tutte le loro valenzeinterconnettive, dunque nelle relazioni con i bambini e gli adulti.

Registro da qualche tempo uno spostamento dell’asse nella domanda di formazione delle scuole. Daricerca organizzativistico-relazionale a ricerca delle significanze.

Si sta entrando nella prospettiva di una scuola concepita come un grande mosaico ermeneutico dina-mico di costruzione sociale. E l’idea di scuola che si viene costruendo, rappresenta un processo internoanche quando si avvale dell’esterno (famiglie, agenzie del territorio, enti locali, ecc).

Si costruisce l’identità dinamica della scuola attraverso il confronto. Si attivano processi di avvicina-mento verso una identità istituzionale attraverso la ricerca-azione che aiuta a costruire orientamento edequilibri non definitivi.

Saper essere educatori nell’ottica del miglioramento vuol dire sforzarsi di vivere in una prospettiva diautonomia praticata, utilizzata, concretamente spesa, evitando nel contempo di chiudersinell’autoreferenzialità. Mantenendosi aperti al mondo, agli altri, a quanto avviene fuori, di là da noi.

La ricerca dei significati da condividere è allora uno scenario incredibilmente arricchente. Molto diquello che viene usato nella ricerca educativa implica una oggettivazione dei fenomeni impedendo unaadeguata comprensione di essi.

Parliamo di filosofia

Mauro Cervellati

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Alla luce degli studi fenomenologico-ermeneutici possiamo sostenere che la ricerca educativa piutto-sto che cercare leggi esplicative di valore generale o stabilire correlazioni causali tra eventi, dovrebbeimpegnarsi per la comprensione dei processi di elaborazione dei significati.

J.D Clarkson parla di “language of action”, un linguaggio d’azione che permetta di analizzare, scopri-re, forse, in parte, condividere significati.

Il Festival della filosofia di Modena“Nei Sonetti di Shakespeare compare una suggestiva similitudine che ha come protagonista l’olfatto,

ma che maschera due altri personaggi: il tempo e l’eternità.I fiori estivi perdono ben presto la fragranza e la bellezza. Eppure, se li sottoponiamo a un processo di

distillazione, il profumo che si ottiene, una volta racchiuso e sigillato in un flacone, ne conserva persempre l’odore.

Se non restasse l’essenza dell’estateliquida prigioniera chiusa in muri di vetro,l’effetto della bellezza sarebbe tolto con la bellezza,sparita quella, e insieme il suo ricordo.

Ma i fiori distillati, anche se incontrano l’inverno,non perdono che l’apparenza; la sostanza ne vive ancora dolce.

(Sonetto 5, traduzione di Alessandro Serpieri)

E nel sonetto successivo:Non lasciare dunque alla ruvida mano dell’invernodeturpare in te la tua estate, prima che ti sia distillata:profuma un’ampolla, intesora un qualche luogocol tesoro della bellezza prima che essa si uccida.

Anche il tempo, come la fragranza dei fiori, è destinato ad autodistruggersi e a morire. Permane soltan-to l’eternità, che, estraendone l’essenza, arresta il tempo della vita umana nella fiala delle idee, intensifi-cando e rendendo immortali le fugaci sensazioni.”

Così Remo Bodei ha inaugurato il Festival della filosofia di Modena. Richiamandosi ai magnificisonetti shakespiriani sopra riportati ha mirabilmente introdotto la tematica dell’iniziativa di quest’annodedicata ai cinque sensi. Sul vedere, sul sentire. Sul gustare, sull’annusare. Ma anche sul percepire ildolore, il piacere…interrogandosi sul “gusto degli atomi”alla luce delle più recenti acquisizioni delleneuroscienze. E poi riflettere sugli stati della percezione e sulle loro trasformazioni, sul rapporto tramondo sensibile e soprasensibile, sulla gerarchia e sull’educazione dei sensi nella cultura europea, maanche nelle culture altre. Ed è proprio sul tatto che si è incentrato il contributo di Silvia Veggetti Finzi.L’intervento, mirabile per aver proposto una lettura del senso in termini di grande complessità e trasversalitàculturale, ci interessa in modo particolare per la innegabile valenza psico-pedagogica.

La studiosa pone il senso del tatto tra i meno esplorati. È un senso che non si perfeziona con lo

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sviluppo della cultura del soggetto, nel corso degli anni. Nella nostra realtà tecnologica se chiediamo adun bambino di dirci a che cosa servono i polpastrelli, lui ci risponderà che servono per accendere ospegnere pulsanti. Non dirà mai che servono per avere delle sensazioni. Gli studi di Maria Montessoririsultano essere un richiamo inevitabile. Ma se la scienziata si rivolgeva ai bambini deprivati della peri-feria romana, oggi tutti i nostri bambini sono poveri, poveri sul piano percettivo-senso-motorio, perchévivono solo esperienze virtuali. Aumentano le patologie del tatto. Eppure con il tatto si crea il primocontatto immunitario con il mondo. La nostra viceversa è una cultura del guanto, in cui il tatto s’è eclissato.E i veri “intoccabili” siamo noi!! Perfettamente sigillati negli scafandri del vivere. C’accorgiamo dellesensazioni solamente in presenza di oggetti esterni che vengono in contatto con noi. Un sassolino nellascarpa; una scarpa troppo stretta: ecco che avvertiamo sensazioni di disagio. E quando accarezziamo oveniamo accarezzati, allora, e solo allora, prendiamo coscienza dei piaceri tattili. Altrimenti morbidezza oruvidezza non si traducono in sensazioni emotive. Inoltre la percezione tattile non crea legami sociali. Iltatto è un senso poco idoneo alla trasmissione; bisogna essere in prossimità di…, nell’immediatezza …persentire, avvertire, percepire, e questa vicinanza può rendere l’esperienza tattile infima oppure sublime.

Il tatto non ha surrogati; funziona solo qui e ora, nell’immediato. È un senso privo di contesto: quandotocco ho una informazione chiusa, scollegata con un quadro di riferimento preciso.

Nella società dei simulacri, delle virtualità, delle parvenze, delle ombre, delle immagini non corri-spondenti alla realtà viviamo costantemente immersi in mondi popolati da fantasmi visivi e sonori che cirincorrono. Le sensazioni tattili invece non ci perseguitano, non c’inseguono perché siamo noi che andia-mo verso di loro. Il tatto è il più discreto dei sensi. Non partecipa al balletto delle mercificazioni. È unsenso in via di estinzione, riservato sempre più esclusivamente a pochi soggetti competenti: professioni-sti dell’alimentazione, dell’abbigliamento, dell’arte, della medicina, …(si toccano gli alimenti, i tessuti,i materiali dell’arte, i corpi dei malati attraverso la palpazione). Il tatto non ha mai goduto di grande famafin dall’antichità, quando i sensi erano quattro e il tatto veniva incluso nel gusto. Nonostante ciò Aristoteledefiniva i sensi uno strumento privilegiato per conoscere la verità. E San Tommaso non crede allo sguar-do di Cristo e vuole toccare la ferita…

L’incapacità umana di crescere e vivere da soli ci porta ad adottare forme di comunicazione varie tra lequali il con-tatto con l’altro rappresenta un evento sempre molto carico di significato.

Il contatto con la pelle dell’altro comunica sensazioni; in maniera assolutamente concreta. Nei nostrimodi dire più comuni emergono molti significati legati al tatto in contesti di spazio e di tempo: averetatto, patire sulla propria pelle, toccare con mano, ecc.

Il rapporto con il tatto comincia da subito. Già prima della nascita, al terzo mese di gestazione madree bambino dormono e sognano insieme al ritmo dei loro coordinati battiti cardiaci. Nel tempo dell’attesa,ogni madre si costruisce un’ immagine inconscia del bambino. È il bambino della notte, che vaga nelfondo dell’anima, nell’immaginario della madre. Al mattino il bambino acquista uno spessore di realtà ela madre lo eleva a rango di soggetto. Da bambino fantasticato, attraverso la comunicazione fatta soprat-tutto di carezze, nasce il bambino del giorno, in carne e ossa. È la pelle che contiene il bambino, nonviceversa! Tra pelle e psiche si crea da subito una relazione biunivoca interattiva e di reciprocità checontinuerà per tutta la vita. Basti pensare a ciò che avviene quando un soggetto impallidisce, arrossisce,o viene colpito da orticaria o eczemi. La pelle è un linguaggio. Parla di noi, racconta di ciò che ci succede,di ciò a cui noi siamo più o meno sensibili.

Il neonato si relaziona concretamente con il corpo della madre attraverso le carezze sulla pelle. Duran-te il primo anno di vita si avvia il dialogo tattile e il bambino viene toccato e accarezzato soprattutto nei

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momenti della cura. La pelle diventa pelle psichica. Per calmare il bambino si compiono gesti di manipo-lazione e lo si abbraccia: la pelle della mamma diventa un valido contenitore delle paure e delle inquietu-dini. Toccare comporta sempre un essere toccato. L’identità è prima di tutto un Io corpo (Freud). Moltepersone sono incapaci di contenere con la pelle il dolore psichico, che a quel punto si trasforma in dolorefisico. Noi tutti abbaiamo bisogno di sentirci contenuti nella pelle e di poter contenere gli altri con ilcontatto. La stretta di mano, l’abbraccio sono patti di concordia, di alleanza, sono patti di pelle. Il contattotra la pelle della mamma e quella del bambino finisce. I vestitini sono un’ulteriore intercapedine che sifrappone tra il sé e l’altro.

Ciò non accade per gli altri animali. Se manca un prolungato strofinamento, il vitellino muore. Espetta alla pelle segnare l’inizio della fine: le macchie della vecchiaia. Nella nostra cultura la vista e laparola sostituiscono sempre di più il contatto. Chat line e Internet sostituiscono il rapporto di pelle crean-do comunicazioni a distanza. Ci si illude di potersi conoscere. Ma spesso, quando l’incontro dei corpiavviene, essi non corrispondono ai loro simulacri. Non si riconoscono. Si rifiutano. È mancata la verificadel tatto. Questione di pelle.

Scientia RerumRicostruire la felicità del modello classico nella difficoltà della comunicazione con l’albero delle

scienze... Superare le separazioni nell’idea di totalità dell’essere, perché il mondo chiede esasperatamente un

principio di unità...Sostenere la passione per l’inutilità, per l’ozio creativo, per le scienze e le arti inutili sul piano della

produzione, della finalizzazione economica, come la poesia, la musica, la matematica pura...(sarebbe assolutamente impossibile pensare un mondo senza musica o senza poesia!).Sono solo alcuni dei concetti profondi emersi nel corso della tre giorni bolognese intitolati a Scientia

Rerum, la scienza di fronte ai classici. Un evento importante che ha visto alla ribalta da un lato matema-tici, biologi, astronomi, chimici, economisti, architetti e dall’altro scrittori, linguisti, latinisti, filologi,storici, letterati. E naturalmente filosofi: filosofi della scienza, storici della filosofia, ecc.

Mario Veggetti insigne Professore Ordinario di Storia della Filosofia Antica all’Università di Paviaha affascinato il folto pubblico con una colta disamina sul rapporto tra corpo e anima. Chiedendosi se

s’è separazione tra le due entità, se c’è opposizione netta, oppure c’è integrazione o assorbimento, in unmomento storico che si sta domandando se l’embrione ha un’anima e si cercano ragioni per sostenereovverosia negare questa tesi. Citando le riflessioni di Umberto Galimberti

(Gli equivoci dell’anima) e richiamandosi soprattutto al Platone del Fedone, ad Agostino e a Galieno,il filosofo c’è domandato se il corpo impedisce la vera conoscenza permessa solamente dall’anima (Pla-tone nel Fedone, Sant’Agostino) e ha indicato un passaggio fondamentale nel richiamo al Platone dellaRepubblica, dove si delinea un’anima di triplice segno, sede dell’ira, dei piaceri e della ragione, partispesso in conflitto tra di loro. Solo con Freud vi sarà una ripresa della tematica anche per quanto riguardale reciproche influenze tra anima e corpo.

Philosophy for childrenIl professore iniziò la sua lezione presentando ai suoi studenti un vaso di vetro. Vuoto.Lentamente, con aria tranquilla, nel silenzio pieno d’attesa che si era intanto creato nell’aula, riempì il

vaso di pietre di media dimensione. Solo allora chiese agli studenti se il vaso fosse pieno ed essi annuirono.

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Dopo alcuni secondi il professore prese un sacchetto di sassolini e li versò nel vaso in modo che questirotolassero tra gli interstizi vuoti delle pietre più grandi.

Di nuovo il professore domandò se il vaso fosse pieno ottenendo una convinta risposta affermativa.Quando, di lì a poco, il professore prese una scatola di sabbia gli studenti non trattennero le risate.

Egli riempì il vaso in ogni suo spazio. Poi rivolgendosi ai ragazzi disse:- Questa è la vostra vita: le pietre sono le cose importanti: l’amore, l’amicizia, la salute, l’ascolto e le

parole. Anche se ogni altra cosa dovesse mancare, e solo queste rimanere, la vostra vita sarebbe comun-que piena. I sassolini sono altre cose che contano come la casa, l’auto, ecc… La sabbia rappresenta tuttele altre piccole cose della vita.

Se riempite il vaso prima con la sabbia, non ci sarà più spazio per le pietre e i sassolini.

Anche nella scuola il rischio di disperderci in cose non fondamentali è sempre più presente.Il rischio di perdere di vista i nuclei essenziali dell’essere lì in quel luogo a fare cose importanti, è

dietro l’angolo. La scuola è l’agenzia culturale primaria per definizione. Ha un compito alto. Un compitodi carattere essenzialmente formativo e culturale. Occorre mettere prima di tutto bene a fuoco ciò che ciinteressa veicolare, esprimere, sostenere. Valori, messaggi, strumenti, concezioni, idee.

La Philosophy for children rappresenta una interessante esperienza pedagogica contemporaneaIniziata negli anni ’70 da Matthew Lipman, filosofo di formazione deweyana, ha conosciuto una certa

diffusione anche in Italia. Si tratta di un percorso educativo che utilizza in gran parte l’educazione al-l’ascolto, al dialogo, affrontando problematiche filosofiche. La vita, la morte, il pensiero, il rapporto tra lamente e il corpo, la giustizia, la legge, la relazione tra le persone e il mondo…E ancora la ricerca fondatasulla discussione, sull’incontro delle soggettività e sulla riflessione intersoggettiva. Il contesto di riferi-mento sta nella “comunità di ricerca”, nella fiducia nel gruppo che fonda l’esperienza sulla riflessione.Un’equipe di insegnamento-apprendimento che si attiva come project-team, gruppo di co-progettisti e, at-traverso il confronto dialogico e l’articolazione di procedure euristico-riflessive ricerca strategie, approfon-disce e definisce spazi di chiarificazione, stimola analisi, orienta e sii orienta verso obiettivi condivisi.

La Philosophy for children si pone come progetto utile a migliorare la cultura in particolare rispettoalle specifiche abilità della comprensione, dell’analisi e della definizione di ipotesi a problemi. Essafornisce mezzi e strumenti cognitivi e culturali per affrontare la valutazione critica delle situazioni. Ildocente ha il ruolo di facilitatore dei processi di ricerca stimolando i suoi alunni attraverso l’uso didomande aperte, interventi di chiarificazione ed approfondimento.

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Speciale filosofia

Spunti e modelli per didattiche della discriminazione concettuale e disciplinareDal 16 al 18 settembre ha aperto la sua quinta edizione a Modena, Carpi e Sassuolo il festival della

filosofia che ha proposto lezioni magistrali, mostre, ma anche film, laboratori teatrali, cene, letture, gio-chi e dialoghi in treno sul tema dei sensi e della percezione.

L’edizione, che ha visto tra i protagonisti autori come Emanuele Severino, Umberto Galimberti, maanche Roberta de Monticelli, Stefano Rodotà, Silvia Vegetti Finzi, Georges Didi-Huberman, ha mostratonon solo come sia possibile accostarsi ad un tema teorico come quello della filosofia della sensazioneattraverso iniziative pratiche che coinvolgano scuola primaria ed allievi diversamente abili, ma anchesuggerito, attraverso percorsi diversi e differenziati sullo stesso tema dei sensi, modelli coordinati dicostruzione del curricolo.

Spettacoli sono stati rivolti a bambini e ragazzi, iniziative per non vedenti quali cene al buio e registrazio-ni di testi filosofici hanno stimolato l’interazione con i diversamente abili; lezioni magistrali, portandoavanti un’idea della collaborazione e sinergia disciplinare, si sono accostate attraverso un sistema pros-pettico al tema dei sensi, offrendo spunti significativi sul piano della programmazione. Se, a partire dallatrattazione di un unico tema svolto da prospettive diverse è possibile pervenire all’intuizione dell’identitàdisciplinare, vale la pena successivamente di proporne percorsi volti ad identificarne la struttura.

Laboratori, spettacoli, installazioniTra i laboratori, spettacoli, installazioni rivolti ai più giovani, la biblioteca civica Delfini, ad esempio,

ha proposto una rappresentazione per bambini da 5 ad 8 anni portata in scena dalla compagnia degliEccentrici Dadarò. Tecniche teatrali diverse dalla clownerie al teatro d’attore, magia e pupazzi, giochi dicoinvolgimento e musica dal vivo sono stati utilizzati da Rossella Rapisarda e Davide Visconi persensibilizzare sul tema dei sensi come strumento fondamentale di accesso alla conoscenza, scoperta erisoluzioni di problemi del mondo e della vita.

Dopo l’interessante apertura della performance, in cui il presentatore si è rivolto ai bambini dicendo“ci sono dei momenti in cui sarete chiamati a partecipare, dei momenti in cui dovete stare bene attenti”,differenziando tra le due fondamentali “anime” dell’interazione formativa, lo show ha trattato in modogiocoso dei cinque sensi e di due mani un po’ pasticcione che hanno un problema da risolvere.Una tortaè scomparsa ed occorre assolutamente ritrovarla, ma per far ciò occorre recarsi nel magico mondo diRebelot.Le mani che possono toccare, conoscere, sapere se qualcosa è morbida o appiccica sono stru-mento fondamentale per la risoluzione del problema.

La proposta suggerisce un modello di quanto potrebbe farsi a livello scolastico nella costruzione dicurricoli coordinati, che innalzino i livelli di apprendimento. Se, come sostiene Bruner, tutto può essereinsegnato a qualsiasi età risulta possibile, riflettendo sui fondamentali concetti di una disciplina promuover-ne sin dalle fasi iniziali del percorso scolastico un’acquisizione che ne limiti fraintendimenti e misconcetti.

Prendiamo il caso del termine energia basilare nell’educazione tecnologica, tanto da farlo ritenere unnucleo fondante di questa disciplina. La sua acquisizione da parte di bambini dell’infanzia risulta, così

Dal Festival della Filosofia: il pomodoro è un frutto o una verdura?…

Giovanna Alcaro

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come emerge da una ricerca Irre, compromessa da misconcetti secondo cui la capacità di trasformazionenon apparterrebbe all’energia né questa sarebbe illimitata.

Occorrerebbe invece avviarne sin dalla scuola primaria un’ acquisizione corretta che avvenga quiattraverso l’operatività e nella secondaria possa contemplare poi anche momenti di apprendimentoformalizzato.

Per produrre un altro esempio più vicino al tema del festival, occorre osservare quanto il significato ditermini come sensazione e percezione differiscano nell’ambito d’uso del linguaggio comune e dellapsicologia cognitiva. Se nella quotidianità il termine sensazione significa “impressione o presentimento”e ricorre in espressioni quali “quella sera ero turbato da una brutta sensazione”, diversamente, nellapsicologia cognitiva, sta a significare il processo attraverso cui determinate informazioni sul mondoesterno giungono attraverso i recettori sensoriali; mentre si intende per percezione il processo secondocui elaborando dette informazioni sensoriali perveniamo al riconoscimento dell’oggetto.

Detta diversificazione tra linguaggio comune e disciplinare si ritrova anche in molti altri termini dellapsicologia. Si consideri ad esempio il caso del termine atteggiamento utilizzato nella disciplina per signifi-care la posizione di un interlocutore rispetto ad una dottrina, problema o argomento vario e nel linguaggiocomune per riferirsi addirittura al comportamento di un soggetto e ai pensieri e sentimenti che lo motivano.

Avviare già dalle fasi della scuola primaria un’idea dell’uso tecnico di termini fondamentali in alcunediscipline affidandolo a giochi, spettacoli, procedure laboratoriali pare a noi un lavoro ad alto rendimentonell’impianto culturale delle fasi successive.

Iniziative per i non vedentiLe iniziative per i non vedenti quali una cena al buio e la registrazione di testi filosofici sotto forma di

“libri parlati” hanno mostrato come la tecnica della simulazione possa risultare in alcuni casi una forteesperienza di apprendimento non solo per i bambini.

Organizzata nella sala delle monache della chiesa San Paolo a Modena, guidata da non vedenti, la cenaal buio aveva come obiettivo di lasciare che siano udito, tatto, olfatto e gusto a trasmettere le sensazioni.Taleiniziativa che ha proposto un’esperienza già diffusa in altri paesi europei in alcuni ristoranti quali l’UnsichtBar di Berlino e il ristorante “Dans le noir di Parigi, ha inteso avvicinare i clienti al mondo dei nonvedenti, mettendoli in condizione di comprenderne i problemi più pratici.

Alcuni testi filosofici tra cui la Repubblica di Platone sono stati registrati e destinati alle bibliotechegestite dall’Unione italiana ciechi grazie alla disponibilità di filosofi e pubblico.In questa iniziativa si èvoluto arricchire il materiale di prestito a domicilio delle biblioteche per non vedenti ricche di opere diletteratura, ma spesso poco provviste di classici della filosofia.

L’iniziativa proposta dal festival non soltanto potrebbe essere ripresentata in occasione di esperienzedi stage che costituiscono parte integrante del curricolo di scienze sociali e prevedono una compenetrazionetra pratica e teoria, ma anche suggerire la strutturazione di stage che, anche su altri temi, prevedano l’usodi una o più competenze acquisite o da acquisire dagli allievi per la produzione di ausilii, dispositivi,strumenti per categorie sociali speciali o in difficoltà o di utilità generale.

Stage di altre tipologie potrebbero mettere a capo alla produzione di sottotitoli per documentari o filmper i non udenti, alla schedatura, utilizzando procedure di collocazione, di testi della biblioteca dellascuola, alla costruzione di percorsi didattici all’interno di musei cittadini, alla produzione, con elabora-zione dati e commento dei risultati di questionari volti a sondare il grado di soddisfazione dell’utenza diun determinato ente o istituzione.

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Lezioni magistraliLe lezioni magistrali hanno sviluppato temi vari come la percezione di figure ambigue, la trasforma-

zione del controllo sociale, l’importanza del tatto nella formazione del sé, la funzione della notte peresprimere il sentire, i quali tuttavia, a partire dalle diverse prospettive disciplinari convergevano tutte sultema dei sensi.

La relazione di Roberta de Monticelli ad esempio Vedere per credere ha sviluppato il tema delle figureambigue e di come contrastarle. Dopo aver illustrato alcuni esempi di questi studi psicologici inerenti altema della percezione la relatrice si è chiesta “esistono degli oggetti ambigui nel mondo non fatti da manoumana? - La sua risposta è stata che non ne esistono affatto .Tutti gli oggetti appartenenti alla realtàesperienziale si danno per quel che sono, dal momento che li caratterizza una povertà di struttura.

È vero che le cose visibili possono essere percepite attraverso fasi di ambiguità, ma continuando laesplorazione visiva, e procedendo sino a risolvere gli ostacoli tutti gli oggetti sono percepibili in manierapiù o meno univoca.

Proprio come accade quando aspettiamo che il comportamento di una persona si chiarisca la percezio-ne dell’ambiguità quindi, si risolve rafforzando la visione attraverso l’atto del guardare meglio

Sul tema di sorveglianza e sicurezza si è interrogato Stefano Rodotà, in una relazione di taglio sociologicoche ha assunto come punti di riferimento l’orecchio di Dionisio ed il panoptikon di Jeremiah Bentham.Ilpanoptikon di J B è una progettazione circolare dalla quale un ispettore invisibile come il tiranno siracusanopuò controllare tutti i detenuti ma anche i prigionieri a vita, le case per i poveri, le fabbriche o manicomi.

Se nel primo sono controllati solo i prigionieri, strumento del secondo è non solo la società nel com-plesso ma addirittura i corpi di quanti la costituiscono.Dal panoptikon inteso come simbolo del passaggiodal controllo individuale al controllo di massa la relazione di Rodotà è passata ai diversi modi di eserci-tare il controllo nella società contemporanea.

Nello stadio più attuale in cui ascolto e immagini stanno congiungendosi, il controllo sociale ed indi-viduale è affidato ad una strumentazione eclettica; basti pensare all’esempio dei telefonini che si utilizza-no per fotografare e trasmettere immagini.

Improntata sull’importanza del tatto per la nostra vita, la relazione della Vegetti Finzi dal titolo sugge-stivo La prima e l’ultima carezza si è soffermata sul tema della diversità di rapporto madre-figlio almomento della nascita tra uomo ed animali.

Il primo impatto del neonato con la realtà è contrassegnato da una notevole solitudine. Se gli uominilesinano il contatto fisico e più una donna è elevata intellettualmente, più mostra difficoltà in questoaspetto, diversamente le femmine degli animali leccano il cucciolo a lungo.

Confermando le ricerche di Spitz che mostra che i piccoli allevati in condizioni igieniche ineccepibili,ma che non vengono toccati o accarezzati, rischiano di morire di marasma, la Vegetti ha ribadito che ilbambino per sopravvivere e crescere ha la necessità di essere toccato con le mani.

Didi-Huberman in la Solitudine sonora, la notte, i sensi, il pericolo si è interrogato sulla funzionedella notte per esprimere lo spaesamento.

Se l’ opera d’arte tende a provocare uno stravolgimento della visione determina uno spaesamento, lanotte può apparire come il luogo per eccellenza di ciò che il sentire significa. Nella notte qualsiasi cosaestranea può avere luogo e sconvolgere l’ordine della nostra storia.

Ecco perché la danza flamenca ed alcune rappresentazioni della tauromachia sono ambientate nellanotte.

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Applicazioni didatticheCome si può dedurre da questi sommari esempi, il festival della filosofia non solo ha proposto un tipo

di sapere teorico teso a precisare concetti e relazioni tra concetti, ma ha suggerito possibili modelli diorganizzazione di programmazioni coordinate che potrebbero essere volte all’acquisizione della consa-pevolezza metadisciplinare.

Nell’ambito di un progetto educativo-culturale volto alle superiori, non si può, a nostro avviso, pre-scindere dal far comprendere le ragioni per cui le discipline del sapere e forme simboliche si distinguonole une dalle altre o risultano invece affini.

Ciò risulterebbe facilitato se affrontando uno stesso tema a partire da prospettive disciplinari o sot-todisciplinari diverse si proceda successivamente a chiarirne per contrasto oggetto, metodi, prospettive.

Troppo spesso l’apprendimento prende avvio da acquisizioni contenutistiche fini a se stesse e nonstrumentali a far acquisire una visione della struttura disciplinare.

Secondo Bruner occorrerebbe invece, in ogni materia far comprendere, preliminarmente ad ogni inse-gnamento contenutistico, l’identità disciplinare e la specificità per cui questa si distingue dalle altre.

Prendiamo il caso del tema dei sensi proposto dal festival. Come si sarà osservato la relazione diRoberta de Monticelli, docente di filosofia della persona presso l’Università di vita e salute del SanRaffaele di Milano, lo affronta a partire da una prospettiva di psicologia della percezione volta ad indaga-re dinamiche e processi attraverso cui un singolo soggetto riesce a percepire correttamente delle figureed in particolare a risolverne le ambiguità; Stefano Rodotà, indagando questioni sul tappeto dopo l’irru-zione della tecnologia nella vita quotidiana, considera la percezione nella forma di controllo sociale;Vegetti Finzi, professoressa di psicologia dinamica, focalizza l’influenza che forme di contatto con ilsenso del tatto possono avere sulla formazione della personalità e Didi Uberman, storico dell’arte especialista di estetica l’influenza della percezione della notte nello spettatore di danza flamenco o nellerappresentazioni di tauromachia.

Se la trattazione di uno stesso tema a partire da prospettive diverse lascia intuire per insight la specifi-cità disciplinare è, a mio avviso, fondamentale un percorso successivo che faccia acquisire, preliminar-mente a qualsiasi elemento contenutistico, la struttura disciplinare delle materie insegnate.

Visualizzando ad esempio le prospettive di analisi in uno schema è possibile identificare l’oggetto distudio della disciplina che va a costituirne i nuclei fondanti appartenenti alla struttura epistemologica. Sipotrà osservare che la psicologia della percezione è atta ad analizzare i processi del singolo soggettonella percezione; la sociologia le caratteristiche della società; la psicologia dinamica l’influenza dideterminati elementi nella formazione della personalità; l’estetica è la funzione degli elementi del-l’opera d’arte.

ConclusioneIn definitiva piuttosto che far acquisire la prospettiva di indagine delle discipline al termine o durante

il curriculum di studi vale la pena proporla all’attenzione sin dall’inizio sfruttando indagini poliedriche eprospettiche quale quella che il festival della filosofia dei sensi ha posto all’attenzione.

Il pomodoro è un frutto o una verdura? Sostiene Norman Salomon che per un botanico è un frutto, perun cuoco una verdura, ma cosa ne dovrebbe dire un pomodoro? Se mai gli accadesse di pensarci soffri-rebbe probabilmente di una crisi di identità. Presi in quanto tali i pomodori, pur non rientrando appieno incategorie semplici come frutta e verdura, non risultano particolarmente misteriosi o complessi.

Quanto riferito da Salomon ai pomodori risulta, a nostro avviso riferibile anche ai temi indagati da

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diverse prospettive disciplinari sulle quali fornire un’idea chiara è un’operazione che non può esseredisattesa.

Questo approccio, se generalizzato, potrebbe consentire agli allievi di tutti gli ordini scolastici dellasuperiore di ottenere i punti di riferimento di fondo, meridiani e paralleli per riuscire a navigare, utiliz-zando un’ espressione di Bruner nel mare magnum del sapere contemporaneo.

Il festival della filosofia a cui abbiamo assistito non è soltanto un’iniziativa che ha fatto registrarenell’edizione del 2004 oltre 100.000 presenze. Esso contiene all’interno di sé, al di là dei pochi esempicitati una serie di modelli didattici e pedagogici di quanto potrebbe farsi a livello scolastico per innalzarelivelli di apprendimento.

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Ricordando ...

Albertina Soliani

“Il parlamentare, l’uomo di governo, il militante”Un anno dopo siamo qui insieme nel ricordo intenso e struggente di Carlo Buzzi.Sono anch’io con voi, con l’animo e con queste parole, mentre mi trovo nell’aula del Senato per

dichiarare la mia opposizione a nome di molti cittadini al disegno di legge che scardinerà la nostra Costi-tuzione.

Quella Costituzione che Carlo Buzzi attese con trepidazione negli anni giovanili attraverso la forma-zione spirituale, lo studio, la vita associativa; che interpretò e difese poi sviluppandone tutta la potenzialitàe rendendone esplicito il valore; che vide con grande preoccupazione minacciata negli ultimi anni dellasua vita.

Un uomo della Repubblica, della Costituzione, della democrazia. Un uomo pubblico ancorato allasemplicità dell’essenziale. Una vita tutta spesa per gli altri senza risparmio né di tempo né di energie,attraverso quella grande espressione della carità che è la politica. Il modo per sentirsi insieme, aperti elegati gli uni agli altri per un destino comune. E in Carlo l’apertura agli altri si leggeva nello sguardo, nelsorriso, nel gesto cordialissimo.

Era al servizio del popolo, di cui Carlo si sentiva parte da sempre.Scrive nei suoi ricordi: “In occasione della mia elezione a deputato, i ragazzi dell’Oratorio Salesiano

avevano con i manifesti composto sul muro prospiciente la mia abitazione “Votate Buzzi, deputato diBorgo Colonne”. Nella mia lunga “storia” di deputato e di senatore mi sono impegnato a restare fedele,almeno nella intenzione e nelle scelte politiche, al significato ideale di quella scritta”.

Quel ragazzo di borg Bërtàn, oggi borgo Bernabei, dove era nato il 31 luglio 1922, la vigilia dellebarricate in Oltretorrente, che era cresciuto all’ombra della Cattedrale dove fu cresimato dal VescovoGuido Maria Conforti, oggi beato, che era diventato maestro elementare, che Parma vide crescere nellaChiesa e nella società civile fino ad averlo nel 1946 in Consiglio Comunale, non solo portò nelle più alteistituzioni repubblicane, nel Parlamento e nel Governo, la sua umanità, la sua intelligenza, la sua sensibilitàsociale ed educativa, ma lì fu uno degli artefici della costruzione della Repubblica attraverso la scuola.

Era la grande stagione della ricostruzione materiale e morale del Paese, e l’Italia investì sulla scuola, conun grande dibattito animato da cattolici e laici, dalle culture democratiche del Paese fin dalla Costituente.

Tra i grandi protagonisti l’Associazione Italiana Maestri Cattolici, con Maria Badaloni e accanto a leiBuzzi, futuro Presidente Nazionale.

Nacque e si sviluppò con loro la grande alfabetizzazione dell’Italia dal secondo dopoguerra alla finedel ‘900. Cominciò, si può dire, con il primo congresso dell’AIMC del ‘46 sul tema “Salviamo il fanciul-lo”, a cui partecipò il giovane Oscar Luigi Scalfaro, e continuò con la lotta all’analfabetismo, la scuolamedia unica del ‘62, l’istituzione della scuola materna con la L. 444 del 1968 e la sua generalizzazione, laL. 820 del 1971 sul tempo pieno e prolungato che fu il suo primo atto legislativo da Presidente Nazionaledell’AIMC, le classi aperte della L. 517 del 1977, i decreti delegati per la partecipazione scolastica del1974, i nuovi programmi della scuola elementare del 1985 e la L. 148 di riforma del 1990. Valorizzò lalibertà della scuola, e in particolare la FISM di cui fu Presidente provinciale.

Carlo Buzzi: la testimonianza cristiana e l’impegno pubblico

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Un unico grande disegno che Buzzi visse e costruì passo dopo passo con una visione solida e chiara: ilvalore della persona nella sua crescita e nel suo apprendere, un’idea dell’Italia da promuovere, l’ugua-glianza delle opportunità secondo l’articolo 3 della Costituzione. Una visione personalistica e comunita-ria, la stessa della Carta Costituzionale.

Le politiche scolastiche non erano tecnicismo, erano lo svolgimento del discorso costituzionale, finoad una visione di sintesi e di sistema per una formazione unitaria e per un Piano di sviluppo per tutto ilsistema scolastico italiano.

Centrale era l’attenzione al fanciullo e prioritario l’investimento sulla professione docente. Carlo sa-peva che la scuola è soprattutto lì.

Il tempo politico di Carlo Buzzi è stato una grande stagione, quella della ricostruzione democraticadell’Italia. Una stagione di grandi idealità, di grandi organizzazioni, di molte persone coinvolte, di pro-getti condivisi, di grandi maestri nella Chiesa e nella politica, in Italia e fuori dai confini, penso allaFrancia di Maritain e Mounier.

Non si capirebbe il contributo di Carlo alla scuola italiana e al suo rinnovamento se non lo leggessimodentro l’intero processo culturale, sociale e politico di quegli anni.

Una stagione politica che con la crescita economica e sociale maturava nuovi equilibri democraticicon l’allargamento delle corresponsabilità di Governo per meglio interpretare la società italiana: da DeGasperi al centrosinistra. Buzzi ha vissuto con passione tutto questo: nell’AIMC, nella CISL, nella De-mocrazia Cristiana. Le politiche per l’istruzione come parte delle politiche sociali, del welfare, e comefondamento della crescita civile e democratica del Paese. Mai la missione della scuola fu disgiunta daquesto orizzonte.

L’educazione come scelta della vita, la politica che fa di questa scelta una strategia democratica perl’intera scuola italiana. Questo è stato Carlo Buzzi.

Eletto alla Camera dei Deputati nel 1953 all’inizio della seconda legislatura, fu sempre rieletto peraltre cinque legislature fino al 1979, quando passò al Senato e vi rimase fino al 1983.

Partecipò ai lavori della Commissione Istruzione e al Senato ne fu Presidente.Ad un primo sguardo delle cronache parlamentari, emerge con chiarezza la grande mole di lavoro da

lui realizzato, sia nelle scelte strategiche di politica scolastica sia nell’attenzione per tutti gli aspetti delsistema scolastico: dai problemi per il personale ai dirigenti, dallo stato giuridico all’edilizia scolastica,dalle scuole per studenti lavoratori agli incentivi per la produzione di pellicole cinematografiche per igiovani. Grande fu il suo impegno per l’ENAM, di cui fu presidente nazionale.

Si occupò anche di università, in particolare della revoca dei provvedimenti per la chiusura delleuniversità italiane agli studenti stranieri. È stato Sottosegretario alla P. I. dal dicembre del ’68 all’agostodel ’69 nel primo Governo Rumor, poi ancora fino al marzo 1970 e infine dal luglio ’76 al marzo ’78.

Un impegno enorme, dietro il quale stavano una grande capacità di ascolto, la vasta rete dei rapporti,i viaggi su e giù per l’Italia, e la tenacia per non perdere lungo la strada nulla e nessuno.

Un impegno politico per la scuola che vide all’opera allora, in Parlamento, una squadra affiatata:Maria Badaloni, Carlo Buzzi, Luigi Rampa, Martino Bardotti, Vittoria Titomanlio, e poi Angela Gotelli,Umberto Zanotti Bianco e altri.

Conosceva il suo territorio e le sue necessità. Quante interrogazioni! Da Mormorola di Valmozzola aBusseto, dai provvedimenti nel Parmense per il maltempo alla ventilata soppressione della linea Fidenza– Salsomaggiore, dal formaggio “grana” alla ricostruzione del Comune di Vigatto, dall’assestamentodell’Asolana (1964) al cancro del castagno dell’Appennino tosco-emiliano.

Ricordando ...

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Le carte di Carlo Buzzi che oggi Antonietta, la sua sposa, consegna alla Biblioteca Palatina di Parma,relative alla vita politica nel territorio, e all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano per la partesulla scuola, riveleranno a chi le consulterà l’azione e la personalità di Carlo ma anche molta parte dellanostra storia democratica.

Sono due parti distinte ma non separate, e sarà utile favorirne l’integrazione. Non solo perché la vitapolitica di Carlo Buzzi non è separabile, ma anche perché Carlo è stato essenzialmente un uomo politiconazionale.

Carlo Buzzi è stato un uomo politico che ha vissuto con coerenza la sua fede nella laicità. Con ilConcilio Vaticano II, un carisma.

In un certo senso la sua biografia coincide con la biografia della nazione, dell’Italia democratica edella Chiesa italiana prima, durante e dopo il Concilio, nella storia del cattolicesimo democratico di cuiCarlo è stato insieme espressione e testimone. La fede e la storia, non separate. La fedeltà al Signore e lafedeltà all’uomo, alla polis, vissute e risolte nella laicità. È stata forte in Carlo questa dimensione, comeera forte nella stagione del ‘900 che egli ha vissuto.

Oggi anche la laicità, questa dimensione fondamentale per la Chiesa e per lo Stato, si è fatta piùincerta.

Allora cresceva sul terreno solido alimentato dalla formazione, dallo studio, dal dibattito culturale epolitico, anche dal confronto con culture politiche diverse. In questo Carlo è sempre stato esemplare.

Oggi, nel tempo dei grandi cambiamenti e delle insicurezze, così povero di alimenti spirituali robusti,siamo ancora inchiodati lì, a quel valore della laicità dove si realizza il servizio all’uomo nella società delpluralismo culturale, etico, religioso e insieme si esprime la testimonianza profetica della Chiesa. È iltempo nostro, percorso anche dalla tentazione dell’uso politico dei valori religiosi.

Carlo ci ha insegnato, insieme con Maria Badaloni e tanti altri, che il nostro posto è lì, nell’autonomia dellaicato, che lì è la sua maturità presiedendo la frontiera dove Chiesa e mondo incessantemente si incontrano.

Anche oggi, come allora, si tratta di ricostruire parti fondamentali del Paese, di rifondare le istituzionie lo spirito etico dell’Italia.

Anche per la Scuola vi è bisogno di un grande pensiero, di strategia, di fiducia, di partecipazione. Vi èbisogno di una nuova stagione di alfabetizzazione dell’Italia. Vi è bisogno di dare valore alla scuola, agliinsegnanti, alla politica come progetto di un destino comune.

Comprendere, amare il nostro tempo, avere coraggio, alimentare la speranza nel futuro. La vita diCarlo ci aiuta a comprendere meglio la nostra vita e le responsabilità che oggi appartengono a noi. CarloBuzzi è un grande tesoro per l’AIMC di oggi.

Le sue carte saranno ordinate ed è bene che la sua vita e la stagione politica che lo ha visto protagonistasiano conosciute ed indagate. Vi sono già gli strumenti per farlo.

Raccogliamo insieme il suo testimone e ancora con lui, insieme, continuiamo il cammino.

Parma, 16 novembre 2005, primo anniversario della morte.

Ricordando ...

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Didattica dell’ascolto su un Minuetto di J. S. BachQuesto articolo presenta un progetto didattico destinato agli alunni del secondo biennio della scuola

primaria.1 Esso si propone quale laboratorio d’ascolto, incentrato su percorsi interdisciplinari.2

Il progetto consta di tre parti corrispondenti a tre percorsi didattici che collegano la Musica rispettiva-mente all’Italiano (I), alla Matematica (II), all’Educazione alla convivenza civile (III), in quest’ultimocaso attraverso il particolare raccordo della Musica con l’Educazione alla cittadinanza e l’Educazionedell’affettività. Il progetto richiede di essere coordinato da tutti gli insegnanti delle discipline e delleeducazioni qui considerate: in tal caso, si suggerisce di seguire l’ordine dei tre percorsi come proposto. Alcontempo, esso è strutturato in modo tale che il singolo insegnante possa svilupparne una parte: uno deitre percorsi, oppure una sua metà. Ciascun percorso è infatti autonomo e distinto in due ipotesi di lavoro;queste, nell’ordine in cui si presentano, sono da ritenersi fasi successive di un unico itinerario di ‘andatae ritorno’.3 In tal caso, sarà opportuna la compresenza dei due insegnanti delle discipline o educazioni sucui si incentra quel percorso. Le ipotesi possono attuarsi anche distintamente, in modo che il singoloinsegnante realizzi la parte di itinerario più confacente alle proprie competenze, poiché il progetto è statopensato sia per l’insegnante specialista di Musica sia per l’insegnante delle discipline o educazioni allequali ci si raccorda. Ad esempio, si potrà andare dalla Musica all’Italiano (I parte, Ipotesi n. 1) o dall’Ita-liano alla Musica (I parte, Ipotesi n. 2).

É auspicabile che l’insegnante di Musica sappia suonare, in modo anche elementare, il pianoforte:l’esecuzione dal vivo è più attrattiva per gli studenti, e permette pure di evidenziare un determinatopassaggio piuttosto di un altro. Nondimeno, l’impianto hi-fi consentirà all’insegnante non specialista diMusica di replicare una traccia, e così di richiamare l’attenzione sulle parti del brano prescelte.

Il brano considerato è il Minuetto in sol maggiore BWV Anhang 114, dal Klavierbüchlein für AnnaMagdalena (1725) di Johann Sebastian Bach.4 Due sono le caratteristiche, riscontrabili già ad un primo

Il linguaggio della musica

Carla Cuomo

1 La I parte di questo articolo (Musica-Italiano) era messa a punto in uno scritto già pubblicato in «I diritti della scuola», II, 2005, n. 8,pp. 56-58. Tale parte viene riproposta in questa sede con approfondimenti e integrazioni che la inseriscono nel progetto didattico completoqui presentato. Una sintesi di tale progetto è pure contenuta in CARLA CUOMO, Didattica dell’ascolto e didattica della produzione musicale:ipotesi di continuità, in Musikalische Bildung. Erfahrungen und Reflexionen, a cura di Franz Comploi, Brixen, Weger, 2005, pp. 61-74. Sirinvia a GIUSEPPINA LA FACE BIANCONI, Le Pedate di Pierrot. Comprensione musicale e didattica dell’ascolto, nello stesso volume citato, pp.40-60, quale riferimento teorico e metodologico per la didattica dell’ascolto.

2 ‘Ascoltare’ è compiere un’attività. Ascoltare veramente, cioè dare significato a ciò che si ascolta, è operare in maniera selezionatrice,critica. Ascoltare è, perciò, esercizio d’intelligenza. Proprio perché ascoltare è ‘attività’, è possibile parlare di laboratori di ascolto, laddoveil concetto di laboratorio coniuga il fare con il sapere (rinvio a FRANCO FRABBONI, Il laboratorio, Bari, Laterza, 2004, p. 92). Nella scuola,i laboratori di ascolto dovrebbero trovare più spazio di quanto oggigiorno non si riscontri, soprattutto per contrastare con l’educazioneall’ascolto l’inquinamento musicale che ci circonda (sull’inquinamento musicale e il problema dell’ascolto cfr. GIUSEPPINA LA FACE BIANCONI,Storia di una casa, di un seminario e di alcuni tacchini, in Musica Urbana. Il problema dell’inquinamento musicale, a cura di Carla Cuomo,Bologna, CLUEB, 2004, pp. 11-17, e, nello stesso volume, CARLA CUOMO, Inquinamento musicale: una questione di civiltà, pp. 19-26).

3 Per esigenza di chiarezza, nell’articolo si è proceduto con una rigorosa schematizzazione; nella realtà, gli insegnanti potranno seguirele ipotesi individuando varie possibilità di intersezione tra esse.

4 Si consiglia l’edizione Urtext, a cura di Ernst-Günter Heinemann, Monaco, Henle Verlag, 1983, perché aderente alBach-Werke-Verzeichnis, (BWV), il catalogo delle opere di Bach curato da Wolfgang Schmieder, nella sua ultima edizione del 1990, e

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ascolto, che lo rendono adatto ad un secondo biennio della scuola primaria: la cantabilità e la brevedurata.5 Pre-requisito è che il gruppo-classe abbia già maturato una minima capacità d’attenzione al-l’ascolto.

Il brano corrisponde alla possibilità di far comprendere alcune regole fondamentali del ‘linguaggiotonale’ su cui si basano il medesimo e le composizioni della musica cólta occidentale dal Sei-Settecentoai primi del Novecento, come pure tanta musica di consumo di oggi. Questo minuetto consente infatti diinsegnare alcuni princìpi fondamentali del funzionamento della ‘musica classica’, sintagma col quale inquesta sede intendo in modo estensivo la musica d’arte occidentale d’impianto tonale, senza alcun riferi-mento allo ‘stile classico’ di Haydn, Mozart e Beethoven. Il brano, collocato nel progetto così comequest’ultimo è articolato, permette all’insegnante di perseguire almeno quattro principali obiettivi forma-tivi. Il primo può essere definito all’interno dello sviluppo delle facoltà cognitive dei bambini, tramite lostimolo e il potenziamento delle capacità logiche, grazie a una didattica dell’ascolto che insegni a indivi-duare sinteticamente al solo ascolto l’organizzazione della struttura e della forma di semplici e brevibrani musicali (I e II parte). Questa operazione è basilare per comprendere la musica, almeno a livellostrutturale, formale e architettonico. Il secondo può essere definito all’interno della maturazione di capa-cità metacognitive, favorite dai percorsi trasversali proposti o realizzabili a partire dalle ipotesi qui for-mulate, in virtù della prospettiva interdisciplinare su cui il progetto si basa. Il terzo può essere definitoall’interno dell’acquisizione di capacità critiche, stimolate dall’adozione di una metodologia di studiobasata sulla ricerca a cui verrà avviato l’intero gruppo-classe (III parte).6 Il quarto, conseguente la fase distudio improntata alla ricerca, può essere definito all’interno dell’imparare a relazionarsi con coetanei eadulti, soprattutto nei termini dell’ascolto del parere altrui, del dialogo e della collaborazione.

In linea generale, rispetto alla Musica il progetto si propone di far capire che le strutture e le formemusicali veicolano il gusto, i valori di una determinata società, e che la comprensione musicale si costrui-sce nella rete di connessione tra i fatti musicali e la storia della musica, per poi inscrivere la prospettivache ne deriva nella storia della cultura.7 È solo in tal modo che la musica si rivela per l’appunto cultura,testimonianza di civiltà, importante elemento di identità e di appartenenza e, sul piano pedagogico, altret-tanto importante mediatore nell’educazione alla cittadinanza.8 Rispetto alla formazione delsoggetto-persona, il progetto si prefigge di educare a intelligenti abitudini d’ascolto (non solo musicale),proponendosi quale esempio di didattica dell’ascolto praticata con una modalità laboratoriale, perchéquesta favorisce l’apprendere ad apprendere.9 Tutto ciò è in sintonia con gli obiettivi formativi esposti

coerente con la Neue Ausgabe Sämtlicher Werke a cura del «J.-S.-B.-Institut» di Göttingen e del «Bach-Archiv» di Lipsia (Bärenreiter,Kassel-Basilea-Parigi-Londra-New York, 1954-). Di più facile reperibilità, poiché assai diffusa nella letteratura didattica pianistica, è l’edi-zione italiana a cura di Alessandro Longo: Le più facili composizioni. 12 Piccoli pezzi, scelti, riveduti e diteggiati da Alessandro Longo (da“Il Quaderno di Anna Magdalena” e altri), Milano, Curci, 2003. La versione qui pubblicata è una mia trascrizione.

5 Il progetto potrebbe attuarsi anche nel primo biennio della scuola secondaria di primo grado.6 Per le metodologie del lavoro di gruppo si rinvia a: LILIANA DOZZA, Il lavoro di gruppo tra relazione e conoscenza, Firenze, La Nuova

Italia, 1993, e LAURA CERROCCHI, Relazione e apprendimento nel gruppo-classe, Bari, Adda, 2002.7 Ci si riferisce al modello di comprensione musicale esposto da Maurizio Della Casa in ID., Educazione musicale e curricolo, Bologna,

Zanichelli, 1985, e in ID., La formazione musicale nella scuola delle competenze e della continuità, in «Il Saggiatore musicale», X, 2003,pp. 123-133 (in questo articolo, con particolare riguardo ai tre assi fondamentali per un approccio corretto all’insegnamento della musica:critico-comprensivo, pratico-produttivo, storico-contestuale).

8 Il tema dell’educazione alla cittadinanza rientra nella riflessione di differenti correnti e scuole pedagogiche quali quelle di AurelianaAlberici (Imparare sempre nella società conoscitiva: dall’educazione degli adulti all’apprendimento durante il corso di vita, Torino, Paravia,1999), Franco Cambi (Saperi e competenze, Roma-Bari, Laterza, 2004), Franco Frabboni (ID. e FRANCA PINTO MINERVA, Manuale di Pedagogiagenerale, Bari, Laterza, 2001; ID., Emergenza educazione: la scuola in una società globalizzata, Torino, UTET, 2003). Cambi sottolinea comel’educazione alla cittadinanza debba rientrare tra gli obiettivi fondamentali di una scuola ad alta valenza formativa (op. cit., pp. 60-62).

9 Cfr. FRANCO CAMBI, op.cit., pp. 31-33.

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nelle Indicazioni Nazionali, tra i quali per esempio: portare gli allievi a «scoprire riflessivamente […] lafunzionalità interpretativa, sistematicamente ordinatoria e, soprattutto, critica della semantica e dellasintassi disciplinari», e a «coniugare senso globale dell’esperienza personale e rigore del singolo punto divista disciplinare». Tra gli obiettivi formativi espressi dal PECUP si consideri: «comprendere, per il lorovalore, la complessità dei sistemi simbolici e culturali» e «maturare il senso del bello».

I. Musica-ItalianoDalle Indicazioni Nazionali, si potranno considerare gli obiettivi specifici d’apprendimento che se-

guono. Per la Musica: (a) elementi di base del codice musicale (formali e architettonici); (b) princìpicostruttivi dei brani musicali; (c) riconoscere alcune strutture fondamentali del linguaggio musicale me-diante l’ascolto. Per l’Italiano: (a) le parti del discorso e le categorie grammaticali; (b) modalità e proce-dure per riconoscere gli elementi di una frase minima; (c) riconoscere in un testo la frase semplice eindividuare i rapporti logici tra le parole che la compongono e veicolano il senso. Si potranno eleggere aobiettivi generali, comuni alle due discipline di questo percorso, i seguenti: (a) comprendere che la co-noscenza di un linguaggio dipende da quella del codice e delle regole su cui si basa; (b) comprendere checodice e regole del linguaggio sono organizzati secondo un ordine o sintassi; (c) comprendere che lamusica è un linguaggio che ha una sintassi. Nel percorso I, si potrà infine individuare il seguente obiettivocognitivo specifico: (a) comprendere che la ‘musica classica’ a cui il minuetto appartiene si configuracome “discorso musicale”, che segue regole analoghe a quelle della lingua parlata. Gli spazi di cui dispor-re sono: il laboratorio musicale e un’aula. Il materiale didattico consiste in: un pianoforte meccanico, unhi-fi, una lavagna, fogli bianchi e fogli pentagrammati.

Ipotesi n. 1: dalla Musica all’ItalianoUna sfida, in questa parte del percorso, sarà insegnare ai bambini a “leggere con le orecchie” lo spar-

tito: punto di partenza sarà infatti l’operazione di segmentazione del brano al semplice ascolto,10 senzaleggere spartito. L’insegnante di Musica lo eseguirà al pianoforte (o lo farà ascoltare tramite CD) per unprimo ascolto completo; lo riproporrà una seconda volta per intero, guidando ora l’ascolto attraversoprecise domande. La metodologia seguita prevede domande che hanno lo scopo di stimolare l’attenzionesu alcuni particolari utili alla segmentazione del brano in unità più o meno ampie ma ricche di senso. Lapsicologia della Gestalt, applicata al campo musicale, giustifica sul piano teorico questo tipo di procedi-mento.11 La replica dell’esecuzione completa del brano viene così guidata attraverso la domanda: «Seriascoltiamo il brano, di quante parti esso è composto?». Tale domanda ha lo scopo di far rintracciarenella totalità del brano la sua suddivisione in due parti, individuabile grazie al senso di riposo che siavverte a metà e alla fine (battute 15-16 e 31-32).12 Ci si richiama in tal caso alla «legge della buonaforma», secondo cui è il tutto che dà senso alle singole parti. Questo senso di riposo, di “fine di qualcosa”,che si percepisce anche al termine della seconda parte laddove per l’appunto il brano si conclude, indefinitiva questo “senso di conclusione” è ciò che in termini tecnici musicali si chiama cadenza. Siprocede con il dare la definizione precisa di ‘cadenza’ in musica: formula melodico-armonica che con-

10 Ci si richiama agli studi di Irène Deliège, dei quali una sintesi è in IRÈNE DELIÈGE e MARC MÉLEN, Cue Abstraction in the Representationof Musical Form, in «Perception and Cognition of Music», a cura di I. Deliège e J. Sloboda, Hove, Psychology Press, 1997, pp. 387 - 412.

11 Per l’applicazione dei princìpi gestaltici alla comprensione dell’opera musicale si veda GIUSEPPINA LA FACE BIANCONI, La casa delmugnaio. Ascolto e interpretazione della “Schöne Müllerin”, Firenze, Leo S. Olschki, 2003.

12 La battuta è, sullo spartito, lo spazio di pentagramma delimitato da due stanghette verticali.

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clude un brano musicale o una sua parte.13 Il concetto di cadenza è comune anche alla lingua, ove essa èla «clausola ritmica in fine di frase nel discorso, in fine di verso o di strofe nel canto e in poesia».14 Graziealla cadenza, è possibile comprendere che il minuetto è una forma musicale bipartita.15 In particolare, èla cadenza posta a metà del brano (bb. 15-16) che permette di separarlo nettamente in due. Vi è natural-mente una cadenza anche alla fine (bb. 31-32). Si procederà dunque con lo spiegare ai bambini che questedue parti sono due periodi musicali, cioè due unità musicali di senso compiuto, come nella lingua. Ilsenso di compiutezza, altrimenti detto “senso di conclusione”, è marcato appunto dalla cadenza, che nona caso è l’elemento strutturale grazie al quale è possibile cogliere in questa musica - e, in genere, nella‘musica classica’ - i punti primi di articolazione formale al solo ascolto.

Di seguito, si potrà lavorare solo sul primo periodo per procedere a segmentazioni interne, che quisono comunque molto ridotte (il secondo periodo funziona allo stesso modo).

Si eseguirà - o si farà ascoltare - il primo periodo e si chiederà di distinguerlo in altre parti più piccole,ponendo la domanda: «In quante altre parti posso suddividere questo periodo musicale?». Si orienteràl’ascolto invitando i bambini a cogliere sempre il “senso di conclusione”, anche se questa volta li siguiderà ad avvertire la differenza tra la “conclusione definitiva” già individuata alla fine del periodo (bb.15-16) e una conclusione meno marcata, una “conclusione così e così”, che potranno riconoscere interna-mente al periodo (bb. 7-8). Questa differenza potrà essere còlta più facilmente isolando la melodia. Siavvertirà che le due parti sono simili grazie al fatto che la melodia principale ad un certo punto si ripete,sebbene la ripetizione differisca per la conclusione e per l’accompagnamento. In questo periodo, infatti,si ritrovano due princìpi della composizione musicale classica: la ripetizione e la variazione. È dunqueproprio la ripetizione del tema, e la sua variazione nella conclusione, che permettono d’individuare unabipartizione interna al periodo.

Con un atto più analitico guidato da un’opportuna domanda, si farà notare la differente conclusionedelle due parti: la prima meno definitiva, e perciò “sospesa”, la seconda più conclusiva, e perciò “perfet-ta”. Questi termini non vengono utilizzati in modo casuale, giacché rinviano direttamente al lessico dellamusica secondo cui la cadenza sospesa è quella che va dalla tonica alla dominante (nel nostro caso,dall’accordo di SOL, a fine b. 7, a quello di RE, a b. 8) e la cadenza perfetta è quella che porta dalladominante alla tonica, e perciò ha un carattere maggiormente conclusivo (dall’accordo di RE, a fine b.15, a quello di SOL, a b. 16). L’uso dei due aggettivi, “sospesa ” e “perfetta”, esprime il legame tra lasensazione uditiva e le parole della musica. Prima di fornire la definizione dei due tipi di cadenza tramitei suddetti aggettivi, l’insegnante di Italiano potrebbe far lavorare i bambini sulla sensazione uditiva diconclusione - più o meno definitiva a seconda che si tratti dell’uno o dell’altro tipo - e sull’uso dei terminipiù pertinenti a descrivere quella sensazione. Dopo questo approdo, si potrà spiegare infine che in questamusica le parti più piccole all’interno del periodo musicale aventi un carattere conchiuso si chiamanofrasi (bb. 1-8, prima frase; bb. 9-16, seconda frase).

L’insegnante di Musica concluderà evidenziando che nella musica come nella lingua esistono frasi eperiodi. Sarà tuttavia necessario specificare che il parallelismo avviene tra la lingua che noi parliamoancora oggi e questa musica, cioè la musica dell’epoca storica considerata. La musica del Settecento, ecomunque la ‘musica classica’, si configura come discorso musicale, articolato in frasi e periodi come il

13 In musica esiste anche un’altra accezione di ‘cadenza’ (episodio solistico, vocale o strumentale, inserito di solito nella parte conclu-siva di un’area operistica o di un concerto solistico), ma non è quella che qui ci riguarda.

14 SALVATORE BATTAGLIA, Grande Dizionario della Lingua italiana, Torino, UTET, 1995.15 Nel caso del minuetto semplice, senza Trio.

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discorso verbale, laddove le frasi stanno dentro ai periodi, e quest’ordine costituisce uno degli aspettifondamentali della sua sintassi.

Ipotesi n. 2: dall’Italiano alla MusicaL’insegnante di Italiano propone un pensiero verbale in cui i bambini possano riconoscere prima i

periodi, poi le frasi semplici. È chiaro che questa competenza va considerata quale pre-requisito. Il pen-siero verbale viene formulato sulla stessa struttura morfologica del minuetto di Bach, cioè diviso in dueparti. Esso viene scritto alla lavagna, ma senza punteggiatura:

Oggi Letizia è venuta a lezione di pianoforte, per imparare a suonare lo strumento. Se studierà giornoper giorno, diventerà assai brava.

I bambini vengono invitati a riconoscere sul piano logico del discorso la forte cesura ove collocare ilpunto, che separa i periodi. Analogamente, s’individua la cesura intermedia ove collocare la virgola, chesepara le frasi. Stabilita la punteggiatura, l’insegnante di Musica propone al pianoforte (o fa ascoltaretramite CD) il minuetto di Bach, e procede come esemplificato nell’Ipotesi n. 1. Egli chiede ai bambinidove in questa musica si crei un “senso di forte conclusione”, ossia una cesura simile a quella del puntonella lingua parlata. Individuato il luogo (sempre alle bb. 15-16 e 31-32, cioè a metà e alla fine), ma senzaleggere lo spartito, stabilisce il parallelismo tra il punto e la cadenza perfetta, così come poi tra la virgolae la cadenza sospesa. Anche in questo percorso, si potrà lavorare sugli aggettivi come suggerito nell’ipo-tesi precedente. Si può di seguito riprendere l’esempio verbale e far notare che nel primo periodo ci sonodue frasi, cioè due piccole unità. Si rieseguono così le due frasi musicali del minuetto per evidenziare ilparallelismo tra musica e lingua rispetto ai concetti di periodo e di frase, dunque di discorso e di ordinedelle parti del discorso.

In entrambe le ipotesi qui avanzate, le conclusioni comuni sono: affinché un ‘discorso’ sia possibile, ènecessario conoscerne il codice e le sue regole. Essi stabiliscono e definiscono l’ordine delle parti deldiscorso. La lingua italiana e la ‘musica classica’ possiedono entrambe una sintassi; ciò per ragioni stori-che che sarebbe utile spiegare, magari in percorsi didattici appositi. Quanto appreso sinora di questasintassi è che alcune regole sono analoghe, perché in entrambi i codici, linguistico e musicale classico, lefrasi stanno dentro ai periodi, le prime costituiscono unità più piccole dei secondi, e entrambi hanno uncarattere in sé conchiuso. La punteggiatura nella lingua, le cadenze nella musica, costituiscono alcuni fragli elementi di base dell’articolazione discorsiva.

In conclusione, il sistema musicale su cui si basa il minuetto di Bach qui indagato permette di parlaredi questa musica come di un linguaggio, dotato di una sua sintassi, in tal caso non dissimile da quelladella lingua parlata, almeno nei suoi princìpi generali.

VerificaAll’insegnante di Italiano nell’Ipotesi n. 1 e a quello di Musica nell’Ipotesi n. 2, si suggerisce di

costruire le prove di verifica nella propria disciplina, soprattutto rispetto a quegli obiettivi elencati nelleIndicazioni nazionali che riguardino le conoscenze a livello morfosintattico, nel primo caso, e strutturale,formale e architettonico, nel secondo caso.

In generale, si suggerisce di condurre la verifica sia sull’ascolto sia sulla produzione.Per l’ascolto, si può replicare il percorso su un brano musicale di forma e struttura analoga al minuetto

qui indagato: dalla raccolta dello stesso Bach sopra citata si possono trarre altri esempi.

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Per la produzione, sarebbe necessario che i bambini fossero già stati esercitati nella scrittura musicale.Anche utilizzando programmi informatici, si potrebbe suggerire di comporre un brano musicale sul mo-dello del minuetto di Bach, e cioè un brano bipartito e in tempo ternario. Il minuetto, in fondo, eraall’epoca il primo terreno di sperimentazione dei provetti compositori. Su questo terreno, opportunamen-te fecondato, sono nati molti capolavori della nostra cultura musicale.

II. Musica-MatematicaDalle Indicazioni Nazionali, si potranno considerare gli obiettivi specifici d’apprendimento che se-

guono. Per la Musica: gli obiettivi (a), (b), (c) già elencati nell’itinerario I (Musica-Italiano); vi si aggiun-ga l’obiettivo (d): cogliere le funzioni della musica in brani di musica per danza. Per la Matematica: (a)riconoscimento di simmetrie, nell’àmbito della geometria; (b) identificare vari e diversi attributi misurabili,rispetto alla conoscenza della misura; (c) individuare, descrivere e costruire relazioni; lessico ed espres-sioni matematiche relative a relazioni in merito all’introduzione al pensiero razionale, obiettivo generaledi questo percorso potrà essere: comprendere che l’organizzazione del discorso musicale si basa su unastruttura logica. Si potranno anche qui individuare i seguenti obiettivi cognitivi specifici: (a) comprendereil concetto di simmetria in musica; (b) comprendere che la musica ha una sua spazialità e temporalità. Glispazi e il materiale didattico sono i medesimi descritti nell’itinerario I.

Ipotesi n. 1: dalla Musica alla MatematicaIndividuati frasi e periodi musicali attraverso l’indice di articolazione strutturale che è la cadenza, e

compreso l’ordine di tali parti, adesso i bambini potranno capire il modo in cui tali parti sono ordinate:punto focale sarà il concetto di relazione. Già nella I parte è stato attivato un ragionamento di tipo logicoquando, nel cogliere la somiglianza tra le due frasi del primo periodo, i bambini hanno messo in relazionele due frasi tra loro. Ora si proseguirà rintracciando accanto alla struttura linguistica, già individuata, unastruttura logica. Come si vedrà a seguire, si condurranno i bambini ad acquisire via via concetti e lessicodi tipo logico-matematico.

Si procederà con il cogliere la qualità della somiglianza già rilevata tra le due frasi musicali del primoperiodo (I parte). L’insegnante eseguirà, o farà ascoltare, le due frasi e chiederà di soffermare l’attenzionesulla loro conclusione, allo scopo di osservare in quel punto la direzione, ascendente o discendente, dellamelodia. Si potrà così notare che la prima conclude in senso ascendente e la seconda in senso discenden-te. Questo tipo di conclusione attribuisce alla prima frase una fisionomia “aperta”, cioè disponibile aulteriore sviluppo, e perciò la configura come proposta, alla seconda una fisionomia “chiusa”, perchésuggella il più marcato senso di conclusione alla fine del periodo, e perciò la configura come risposta. Sifarà rilevare che i due diversi tipi di conclusione melodica coincidono a livello armonico rispettivamentecon la cadenza sospesa e la cadenza perfetta, già individuate nella I parte (“conclusione così e così” e“conclusione definitiva”): si parlerà perciò di simmetria. La simmetria è da intendersi come proprietà“geometrica” di questa musica, con riferimento alla distribuzione del materiale musicale nello spazio.Essa si realizza nei termini di corrispondenza coordinata (frase aperta/chiusa: proposta/risposta). Si mi-sureranno le battute e si parlerà anche di simmetria come proprietà “aritmetica”, nell’osservare la distri-buzione del materiale musicale in senso quantitativo: a 4 battute ne corrispondono altre 4. Si effettueràuna prova di verifica di comprensione di questa proprietà matematica quando si eseguiranno le due frasimusicali nell’ordine inverso. Si scoprirà che il periodo musicale non ha più il carattere di unità musicaledi senso compiuto. Questa prova evidenzierà il concetto di simmetria nei termini di complementarità

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delle due frasi che rispondono perciò alla legge del “prima” e del “poi” (nel linguaggio tonale: logicadella tensione-distensione). La complementarità si precisa meglio come consequenzialità. Il linguaggiomusicale del minuetto, che è quello tonale proprio della ‘musica classica’, articola dunque il pensieromusicale in frasi e periodi in modo tale che a una frase musicale ‘aperta’ corrisponda una frase musicale‘chiusa’, ad una frase di ‘proposta’ una di ‘risposta’, ad una ‘cadenza sospesa’ una ‘cadenza perfetta’: c’èuna vera e propria logica.

Ipotesi n. 2: dalla Matematica alla MusicaIl carattere di linguaggio, proprio della ‘musica classica’, appartiene anche alla matematica, essa stes-

sa codice, linguaggio. Attraverso la prova di verifica condotta nell’Ipotesi n. 1 abbiamo scoperto nelminuetto una logica rispondente al principio matematico della coerenza e della non contraddizione.Riscontrare tale principio in questa musica significa cogliere in essa una sintassi di tipo matematico, cioèuna strutturazione logica nei termini di relazioni simmetriche coordinate e relazioni di complementaritàconsequenziale tra le parti. Queste sono le “regole del gioco” del minuetto, ovvero della ‘musica classi-ca’. Il minuetto sottende un ragionamento di tipo logico perché, a partire da certi presupposti, lo sviluppodel ragionamento e le sue conclusioni sono coerenti rispetto alle “regole del gioco”. In altri termini: sitratta di un ragionamento controllato da regole. La regola fondamentale è quella della tensione-distensio-ne, per cui a una tensione deve seguire la risoluzione nella distensione. Questo principio appartiene ad unordine temporale. Si può cominciare a riflettere sulla temporalità e sulla spazialità proprie della musica:la musica è durata che struttura lo spazio acustico. La qualità della distribuzione del tempo musicalenello spazio acustico permette di comprendere che nel caso del minuetto la temporalità è teleologica,orientata a un fine (la distensione), ed è propria della ‘musica classica’ come del pensiero occidentale ingenere.16 La spazialità si può a sua volta cogliere nel constatare che questa “architettura sonora” ha unastruttura geometrica, perché organizzata secondo linee e forma precise, ordinate, regolari, simmetriche,rigorosamente proporzionate.

VerificaSi suggerisce di costruire la prova di verifica degli apprendimenti sul piano della produzione: far

comporre piccoli periodi musicali di 8 battute, distinti in due frasi di 4 battute ciascuna. Le due frasidovranno rispondere alla logica del prima e del poi.

III. Musica-Educazione alla convivenza civileDalle Indicazioni Nazionali, si potranno considerare gli obiettivi specifici di apprendimento che se-

guono. Per la Musica: (a) componenti antropologiche della musica: contesti, pratiche sociali, funzioni;(b) cogliere le funzioni della musica in brani di musica per danza. Per l’Educazione alla convivenzacivile, in riferimento all’Educazione alla cittadinanza: (a) il concetto di cittadinanza e vari tipi di cittadi-nanza; (b) i concetti di diritto/dovere, identità. Per l’Educazione alla convivenza civile, in riferimentoall’Educazione dell’affettività: (a) esempi di diverse situazioni dei rapporti tra uomini e donne nellastoria. Obiettivo generale di questo percorso potrà essere: comprendere il significato della musica comeespressione di ambienti, epoche storiche, in stretto rapporto con la storia sociale e politica e con il conte-sto geografico, e perciò testimonianza di civiltà. Quale obiettivo cognitivo specifico si potrà considerare:

16 Di tempo di decorso orientato verso una mèta, teleologico, che ha una parte dominante nella musica occidentale parla il grandemusicologo HANS HEINRICH EGGEBRECHT in Tre pezzi brevi. Musica come tempo, Il Saggiatore musicale, VII, 2000, p. 390.

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La ricerca

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56 INNOVAZIONE EDUCATIVA

comprendere che il minuetto è un simbolo del Settecento galante, espressione dell’identità della classearistocratica e dei suoi valori, in una società divisa tra aristocrazia e popolo. In quest’ultima fase, per glispazi ci si avvarrà del laboratorio di attività espressive, oltre al consueto laboratorio musicale e all’aulagià utilizzati per la I e la II parte. Infine, in merito al materiale didattico, si arricchirà quello già a dispo-sizione per le precedenti parti con audiovisivi sul tema del Settecento, ma anche stoffe et alia per lamessa in scena della danza in costume.17

Ipotesi n. 1: dalla Musica all’Educazione alla convivenza civileIl punto di partenza potrebbe essere quello d’arrivo della II parte: capire perché il minuetto presenta

una struttura così logica, ordinata e simmetrica. La risposta potrà scaturire da un’attività laboratoriale cheutilizzi la strategia della ricerca per la contestualizzazione e l’approfondimento storico, e pervenga allarealizzazione collettiva di una messa in scena in costume di questa danza. Ad esempio, l’itinerario po-trebbe avviarsi mediante la fruizione da parte di tutta la classe di audiovisivi sul tema, e proseguire conattività di ricerca svolte in gruppo sugli usi e costumi, nonché sull’organizzazione sociale e politica,dell’epoca.

Dalla visione di film in costume in cui sia rappresentata la danza, si potrà far discendere la riflessionesul termine ‘minuetto’. Si ricaverà così che ‘minuetto’ viene da pas menu, ‘piccolo passo’, perché piccolie aggraziati dovevano essere i passi da compiere nella danza. Essa non si danzava in coppia, ma in gruppidi uomini e donne rigidamente divisi tra loro. Il ritmo è ternario e l’andamento è moderato.

Il fatto che il minuetto sia stato la danza di società per eccellenza nel Settecento, nata alla corte diLuigi XIV e diffusasi in tutta Europa, esprime un’identificazione della società aristocratica con essa.Perché?

Perché la simmetria della forma, intesa come l’abbiamo spiegata (cfr. II parte), cioè come forma rego-lare in cui le parti si corrispondono, hanno la stessa durata, dunque sono ben proporzionate, esprime unordine sociale, o meglio un bisogno di ordine. Dal punto di vista dell’ordine sociale, vi era una nettademarcazione tra le classi: da un lato l’aristocrazia, dall’altro il popolo. Diritti e doveri erano differenti aseconda dei ceti: il concetto di cittadinanza in senso moderno, che si richiama a quello di democrazia, erainesistente. Nel comportamento sociale il bisogno di ordine si traduceva in un bisogno di autocontrollo:la danza in gruppo, non in coppia, ove i danzatori mantenevano una certa distanza tra loro, è espressionedi questo desiderio di autocontrollo e delle rigide divisioni sociali. Nella mentalità, il bisogno di ordine sitraduceva in un’idea di serena perfezione, di precisione di ogni cosa, di razionalità: siamo nell’età deiLumi. Convinzione nell’Illuminismo è che il pensiero razionale debba dominare nell’uomo la sua parteistintiva: ecco il bisogno di autocontrollo. Il minuetto, e il linguaggio musicale ‘classico’, rispecchianoquesta mentalità: scaturiscono da un pensiero razionale. La stessa temporalità del minuetto e della ‘mu-sica classica’, “teleologica” come l’abbiamo definita (cfr. II parte), esprime il bisogno di orientare ildivenire delle cose verso una mèta. Così gli aggregati sonori sono in costante movimento verso punti diriferimento: ogni aggregato mira al successivo (H. H. Eggebrecht).18

17 In virtù del fatto che la musica è sapere interdisciplinare, si possono recuperare quei contenuti che non sono contemplati nelleIndicazioni Nazionali per la Scuola primaria nell’àmbito della Storia e della Geografia: il Settecento e l’Europa.

18 Citato nella nota 16.

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La ricerca

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Numero 3-4, marzo/aprile 2006 57

Ipotesi n. 2: dall’Educazione alla convivenza civile alla MusicaSi potrebbe partire con una riflessione sul termine ‘cittadinanza’. Esso contiene in sé i concetti di

appartenenza di un individuo ad uno Stato o a una città, comunque ad un’organizzazione politico-sociale,e di identità, ovvero di riconoscimento negli usi, costumi, valori che scaturiscono da tale vincolo. Da quisi potrebbe muovere per una comprensione dei vari tipi di cittadinanza, a partire da situazioni quotidianeper arrivare alla conoscenza delle regole del diritto alla cittadinanza. Il confronto storico, poi, con larealtà del Settecento permetterebbe di comprendere come tale concetto all’epoca fosse opposto alla mo-derna visione affermatasi con la Rivoluzione francese: il civis era in qualche modo un nobilis; i popolanierano esclusi in origine dalla cittadinanza. La Rivoluzione francese afferma la cittadinanza nel senso dioptimo iure, l’esercizio dei diritti politici e l’obbligo dell’osservanza di tutti i doveri, codificata dalla“Dichiarazione dei diritti e dei doveri del cittadino”. L’itinerario che da qui procede verso la Musicapotrebbe evidenziare che, come nel Settecento era differente il rapporto diritto/dovere tra aristocrazia epopolo, così anche le musiche erano diverse a seconda delle classi: il minuetto era una danza di corte, unadelle danze più eleganti e più praticate nell’alta società. L’eleganza era così un attributo esclusivo del-l’aristocrazia. La visione di film in costume permetterebbe poi di far osservare che le modalità di questadanza rivelano il distacco fisico che pubblicamente doveva essere mantenuto tra uomo e donna, diversa-mente da quanto avverrà dopo la Rivoluzione francese. Il minuetto verrà infatti soppiantato dal valzer chenella sua maggiore velocità e nel fatto che veniva ballato non più da gruppi di uomini e donne bensì dallacoppia uomo-donna, nella ravvicinata distanza tra i danzatori, nell’andamento più veloce, nel ritmovorticoso, esprimeva il nuovo ordine sociale, i mutamenti di costume nelle relazioni sociali della nuovaclasse borghese.

VerificaAnche in questo caso si suggerisce di costruire la prova di verifica degli apprendimenti sul piano della

produzione, magari allestendo con l’ausilio di un docente esperto di danza, la messa in scena in costumedel minuetto all’interno di una corte francese del XVIII secolo e, se si vuole, anche del valzer in un saloneborghese del XIX secolo.

La ricerca

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58 INNOVAZIONE EDUCATIVA

JOHANN SEBASTIAN BACH, Minuetto in sol maggiore BWV Anhang 114, Klavierbüchlein für Anna Magdalena (1725).

La ricerca

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Numero 3-4, marzo/aprile 2006 59

La ricerca

JOHANN SEBASTIAN BACH, estratto dal Minuetto in sol maggiore BWV Anhang 114, Klavierbüchlein für Anna Magdalena (1725).

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60 INNOVAZIONE EDUCATIVA

Alma Mater come opera

Alma Mater è una fondazione che ha venti soci,che aiuta l’università a mantenere i rapporti con ilterritorio. Essa svolge attività legate all’alta forma-zione, dopo la laurea, alla consulenza e ricerca fi-nalizzata, al reperimento di risorse finanziarie perl’università.

L’università restituisce a questi soci contenuti perl’innovazione, per la ricerca di base, per la consu-lenza di alto profilo.

Alma Mater costruisce rapporti bilaterali tra uni-versità e mondo del lavoro, delle professioni, delleistituzioni; il progetto più importante che si sta va-rando è la costituzione di una rete dell’alta forma-zione e della formazione continua, che ricomprendatutti i luoghi dell’università in questo campo, che sicolleghi con tutti i filoni formativi che il mondoproduttivo e gli ordini professionali hanno già inessere, per entrare in rapporto con le istituzioni, inmodo da mettere in circolazione il patrimonio diconoscenze e competenze.

Alma Mater si pone come garanzia sia sul pianodella qualità delle competenze stesse, sia sul quellodell’accreditamento dei corsi, sia in merito alla va-lutazione degli stessi ed all’attribuzione di creditiuniversitari alle attività formative. La presenza del-l’università in questi settori, della valutazione,dell’accreditamento e della certificazione vuole di-fendere la qualità della formazione che in un’otticadi puro mercato spesso tende ad abbassarsi.

Nel momento in cui escono i cataloghi dell’altaformazione e della formazione continua l’utente do-vrebbe venire rassicurato sulla qualità da parte ap-punto di una struttura come l’università che assicu-ra standard metodologici e organizzativi anche inrelazione ad un utilizzo efficace delle nuove tecno-

Alma Mater

Walter Tega

Intervista a…

logie, nonché una formazione dei formatori delleattività di formazione professionale.

I corsi vengono organizzati insieme ai profes-sionisti che ne fruiscono.

Alma Mater e la formazione degli insegnanti

L’Università di Bologna ha stipulato con l’UfficioScolastico Regionale e con l’IRRE una convenzioneall’interno della quale è prevista la formazione conti-nua degli insegnanti. L’Università ha formulato delleproposte, sono state esaminate congiuntamente congli altri partner ed approvate dall’università stessa.La realizzazione viene affidata ad Alma Mater.

Sono state individuate le risorse, c’è un tavolocongiunto che deve cercare le modalità operative ela strategia per entrare in contatto con gli insegnanti.

A maggio si potrà diffondere un calendario del-le attività che inizieranno in autunno.

Il corso di alta formazione, di iniziativa dell’uni-versità, non è frequente nel panorama profes-sionale per il personale scolastico in servizio.Cosa dire agli insegnanti anche rispetto al lorocurriculum?

Sono corsi di alta formazione universitari inun’ottica permanente, che si ripetono. Questi corsinon saranno solo lezioni frontali, ma l’università siimpegna a lavorare con gli insegnanti con una moda-lità interattiva, che li coinvolge; saranno laboratoriall’interno dei quali si costruirà un rapporto che con-sentirà di esplorare non solo contenuti avanzati maanche metodologie più dirette per l’insegnamento.

Lavorare insieme con gli insegnanti della scuola

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Numero 3-4, marzo/aprile 2006 61

secondaria superiore vuole dire elaborare un pa-trimonio di competenze da spendere proficuamenteda parte dei giovani anche nella stessa università.

Dal punto di vista giuridico la carriera del do-cente non è legata ai percorsi formativi.Queste iniziative possono dare un contributo ein che senso?

L’università può mettere a disposizione dei cre-diti spendibili certamente all’interno dei percorsiaccademici, resta aperto tutto il problema dello svi-luppo della carriera a questo riguardo.

Anche l’università però nel caso degli insegnantipuò avere qualche problema, in quanto si voglionofare corsi un po’ svincolati dalla discipline, ma sipensa di riuscire comunque ad attribuire i crediti.

C’è solo da augurarsi che l’acquisizione di cre-diti universitari possano essere valutati sia sul pia-no della carriera che su quello della retribuzionedegli insegnanti.

I bisogni formativi degli insegnanti sono perlopiùlegati al divenire dell’esperienza, mentre l’uni-versità si attesta sul fronte della trasmissionedella conoscenza.Si può davvero trovare un punto di contatto inquesti corsi?

L’università vuole entrare in contatto con gli in-segnanti, ma lo stile è quello di una preparazione alargo spettro, polivalente, fondata sulla ricerca, conaperture su diversi fronti, non immediatamente fina-lizzata ad una specifica competenza professionale.

L’università vuole discutere con gli insegnantidell’acquisizione di saperi destinati ad incrementa-re una preparazione di base, di carattere generale. Ilrapporto della scuola con l’università deve essereposto nell’ottica della formazione di un giovane checresce come persona e quanto a preparazione cul-turale, lavorando su un determinato orientamento

Alma Mater

ma senza pensare ad una ricaduta di quanto appre-so nel breve periodo.

I docenti della scuola costituiscono un analogodel docente universitario, uno che va a trattare coni ragazzi su contenuti generali e particolari destina-ti a durare nel tempo.

I rapporti con l’Europa su questo tema

In Italia dal punto di vista del possesso dei saperisiamo avanti rispetto ad altri Paesi, non siamo avanticome acquisizione di modalità didattiche nuove e nellaconnessione tra i diversi livelli della formazione.

Bologna proces ci chiede di collegare in ambitoeuropeo gli indirizzi universitari, soprattutto sulpiano degli standard formativi da raggiungere: comemantenere quel vantaggio di cui si è parlato primasugli aspetti culturali e formativi dei giovani. Lanostra scuola è dissestata sul piano strutturale manon su quello degli insegnanti, che invece sono dibuona qualità, essa si distingue per la capacità dimantenere una formazione polivalente, che lavorasulla connessione dei saperi.

Una cosa che dovrebbe affermarsi nei nostri corsiper gli insegnanti è l’abitudine all’interdisciplinarità,cioè fare in modo che anche alcuni settori della scuo-la secondaria superiore che sono un po’ più appartatientrino nel gioco dei rapporti, nella costruzione di unsapere, non confuso, ma che sappia mettere una di-sciplina accanto all’altra, consentire il passaggio dauna disciplina all’altra. I saperi non devono perderela loro specificità, ma devono acquisire in coesione.

La riforma Moratti ha affidato all’università nonsolo la formazione iniziale degli insegnanti, maanche una parte importante di quella in servi-zio, fino a costituire a questo fine da parte del-l’università dei “centri di eccellenza”.Alma Master si candida a questo ruolo?

Alma Mater ha un ruolo di realizzazione di pro-getti, sarà sicuramente a disposizione di una strate-

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62 INNOVAZIONE EDUCATIVA

gia che l’università vorrà mettere in campo anche aquesto fine. L’esperienza che si sta accumulandocon i citati interventi per i docenti sarà sicuramenteutile per l’università, non si ritiene tuttavia di appe-santire l’università di un’altra struttura; l’universi-

Alma Mater

tà deve pensare alla programmazione, Alma Materaiuterà nella realizzazione e per la ricaduta sul ter-ritorio. Nel giro di qualche anno Alma Mater stessasi doterà di attrezzature che miglioreranno le pre-stazioni anche in tale direzione.

L’intervista è stata raccolta da Gian Carlo Sacchi

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Numero 3-4, marzo/aprile 2006 63

Quando si ragiona sull’organizzazione della giornata educativa nella scuola dell’infanzia in termini dianalisi dei tempi e dei modi dei contesti quotidiani proposti dall’istituzione, si tende ad esaminarla criti-camente sulla base della rispondenza a due criteri: la ricorsività e la flessibilità.

Il criterio della ricorsività traduce la consapevolezza che la scansione temporale della giornata scola-stica debba essere caratterizzata da una struttura ritmica definita, ovvero sia in grado di comunicare aibambini la presenza di punti di riferimento stabili e costanti tanto da facilitarne la riconoscibilità e laprevedibilità e, in questo modo, offrire garanzie di sicurezza emotiva, favorire il senso di appartenenza edagevolare la possibilità di comprendere il significato di quanto si svolge giornalmente: “si può affermareche l’individuazione di elementi fissi (le regole) rappresenta una indubbia garanzia di stabilità: ritrovareil proprio posto, vivere in un contesto nel quale la sequenza delle scadenze della vita quotidiana èmarcatamente scandita e ripetuta in modo sempre uguale a se stessa, essere soggetti a rituali fortementericonoscibili (l’entrata, il gioco, le attività, il pasto, il sonno, l’uscita) sono la garanzia di una situazionestabile e in quanto tale vissuta come sicura”1 .

L’importanza della presenza di una struttura fissa, ricorsiva e quindi riconoscibile nel programma quoti-diano non deve essere però enfatizzata fino a trasformarsi in rigidità istituzionale. Un’organizzazione rigidadel tempo quotidiano esprime, infatti, modalità schematiche e stereotipate che rispondono unicamente adesigenze istituzionali e adulte, che negano e disconfermano i diversi bisogni dei bambini, ne disincentivanol’iniziativa e possono provocare forme di disagio e un adeguamento passivo all’esperienza scolastica.

Per tale ragione l’attenzione progettuale per una scansione regolare, ricorsiva e prevedibile della gior-nata educativa deve unirsi al riconoscimento dell’opportunità di saper garantire quella flessibilità “che sipropone come strumento in grado di tenere conto della diversità, dei bisogni differenziati dei singolibambini, dei ritmi individuali di crescita, degli stili personali di ognuno”2 . Il criterio della flessibilitàdell’organizzazione del tempo scolastico appare ancor più significativo in un contesto educativo cheaccoglie bambini di una fascia di età in cui i tempi e i ritmi di sviluppo sono connotati da una fortevariabilità e irregolarità. Appare dunque necessario riuscire a dare tempi diversi ai bambini perché possa-no esprimere le loro potenzialità, ovvero saper adattare il programma quotidiano alle necessità, ai ritmi eagli interessi dei bambini, assicurandogli margini di autonomia nella realizzazione dei compiti e neitempi di esecuzione. Ma la flessibilità “deve essere dettata da ragioni consapevoli e deve partire dallacoerenza del modello educativo”3 , cioè deve essere una scelta di metodo esplicitata e negoziata colletti-vamente tra i diversi insegnanti, realizzata in modo continuativo e coerente e riferita al raggiungimento dispecifici obiettivi educativi da verificare periodicamente.

Ricorsività e flessibilità sono però criteri di qualità dell’organizzazione del tempo scolastico realmen-te condivisi? Come vengono interpretati e declinati sul piano operativo? Per rispondere a queste doman-

Professionalità docente

La flessibilità della giornata educativa nella scuola dell’infanzia

Antonio Gariboldi

1 Redazione di Infantiae.Org (a cura di), Il tempo e i tempi, in www.infantiae.org2 Ibidem3 Ibidem

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64 INNOVAZIONE EDUCATIVA

de si possono brevemente esaminare le voci relative all’organizzazione del tempo educativo presenti inalcuni strumenti di valutazione del contesto educativo prescolare; strumenti elaborati in realtà culturalidifferenti (Stati Uniti, Spagna e Italia) ed utilizzati nella scuola dell’infanzia sia con finalità di ricerca chedi valutazione formativa. Sono tutti strumenti prescrittivi strutturati come scale ordinali di valutazione e,in quanto tali, esprimono alcuni criteri di un “dover essere” educativo, ovvero di un’idea di “buonascuola” in riferimento alla quale sono compiute le valutazioni.

La prima scala di valutazione presa in considerazione è la Early Childhood Environment Rating Sca-le4 (Revised Edition), strumento di origine statunitense molto diffuso a livello internazionale che rappre-senta la nuova edizione di una scala di valutazione tradotta anche in italiano5 . Nella voce concernentel’organizzazione della giornata6 si afferma esplicitamente che il programma quotidiano non deve esserené “troppo rigido”, non lasciando tempo agli interessi individuali, né “troppo flessibile”, facendo manca-re una sequenza prevedibile degli eventi quotidiani. Si precisa poi che deve esistere una struttura di basedell’orario quotidiano che “deve essere familiare ai bambini”, e che la giornata scolastica deve prevedereun giusto equilibrio tra strutturazione del tempo e flessibilità; si riporta un esempio relativamente altempo dedicato all’attività all’aperto, che deve essere prestabilito nella definizione dell’orario e che puòessere prolungato in caso di bel tempo. Si aggiunge, infine, che devono essere operate delle variazioni aquanto previsto nel programma della giornata per venire incontro alle necessità individuali. A tal riguardogli esempi che vengono fatti sono i seguenti: si abbrevia il periodo dedicato al racconto di storie ad unbambino che ha tempi brevi di attenzione, si permette al bambino che sta lavorando ad un progetto dicontinuare oltre il tempo programmato dell’attività, al bambino che mangia lentamente si consente diconcludere il pranzo al proprio ritmo.

Nella voce dello strumento vengono quindi evidenziate due accezioni di flessibilità. La prima riguardal’interpretazione del tempo quotidiano programmato in senso strutturale e non in senso normativo, ovve-ro il programma della giornata educativa deve rappresentare una struttura od ossatura temporale di riferi-mento e non una tempistica a cui attenersi scrupolosamente e in ogni caso. La struttura quotidiana preser-va la proposta educativa dall’improvvisazione e dalla confusione, ma può e deve essere variata nei tempie nei modi in riferimento a quanto si osserva nel gruppo dei bambini, al loro coinvolgimento ed interesseed a quanto nella singola giornata può essere valorizzato in senso educativo.

L’altro significato di flessibilità che viene operativamente definito dallo strumento riguarda invece laflessibilità nei confronti del singolo bambino: i tempi sociali delle proposte quotidiane vanno adattati airitmi individuali dei differenti bambini, alle loro specifiche caratteristiche, alle loro diverse motivazionied interessi. Si richiama qui un’idea di flessibilità che può essere intesa anche in termini d’individualiz-zazione o di personalizzazione della giornata educativa, aspetto progettuale che verrà discusso più avanti.

Il secondo strumento di valutazione esaminato è uno strumento elaborato in Spagna e tradotto initaliano: la ASEI – Autovalutazione dei servizi educativi per l’infanzia7 , una scala di autovalutazionedella qualità percepita dagli educatori di nido e dagli insegnanti di scuola dell’infanzia. La voce relativaall’organizzazione del tempo8 esplicita alcuni criteri, quali la necessità di pianificare “la giornata adat-

4 T. Harms, R.M. Clifford, D. Cryer, Early Childhood Environment Rating Scale, Revised Edition, Teachers College Press, New York, 1998.5 T. Harms, R.M. Clifford (adattamento italiano di M. Ferrari e A. Gariboldi), SOVASI. Scala di Osservazione e Valutazione della Scuola

dell’Infanzia, Edizioni Junior, Bergamo, 1994 (1980).6 Item 34. Schedule, in T. Harms, R.M. Clifford, D. Cryer, Early Childhood Environment Rating Scale, Revised Edition, op. cit., p. 42.7 P. Darder, J. Mestres, ASEI. Autovalutazione dei servizi educativi per l’infanzia, Angeli, Milano, 2000 (1994).8 Item 14. L’organizzazione del tempo, in T. Harms, R.M. Clifford, D. Cryer, Early Childhood Environment Rating Scale, Revised

Edition, op. cit., p. 47

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Professionalità docente

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Numero 3-4, marzo/aprile 2006 65

tandosi ai ritmi dei bambini in maniera flessibile e diversificata”, di abbandonare a volte la programma-zione “per adeguarsi alle richieste che i bambini esprimono, in base ai loro interessi” e di partire dalpresupposto che, anche quando si fanno attività di gruppo, “non tutti debbano fare la stessa attività nelmedesimo momento”. Si sostiene, in sintesi, che sia essenziale “valutare la rigidità o la flessibilità dellaprogrammazione, la capacità di adattarsi ai differenti ritmi dei bambini, la diversità degli atteggiamentiindividuali rispetto al piccolo e grande gruppo”. Ma si aggiunge, inoltre, che l’insegnante deve organiz-zare e pianificare “il proprio tempo in modo tale da trovare momenti di disponibilità per ogni bambino”.

Se alcuni dei criteri espressi richiamano quanto in parte già affermato nello strumento statunitense,cioè l’importanza di variare e adattare le attività in funzione degli interessi del bambino e di concederglitempo perché possa esprimere le sue potenzialità, si sottolinea anche un elemento nuovo, ovvero la ne-cessità di trovare tempi e modi per garantire la possibilità di una relazione educativa individualizzata. Inchiave operativa, dato l’alto rapporto numerico insegnanti-bambini delle nostre scuole, si può ragione-volmente sostenere che alcuni momenti di relazione individualizzata possono essere assicurati solo nelcontesto di attività impostate su un ruolo decentrato dell’adulto, e su modalità di gestione indirette chevalorizzino l’iniziativa autonoma dei bambini.

Il criterio di flessibilità della giornata scolastica in relazione ai tempi individuali dei bambini viene riba-dito anche nel terzo strumento di valutazione analizzato: l’AVSI – Autovalutazione della scuola dell’infan-zia9 . Una scala ordinale costruita in Italia nell’ambito del progetto 5 del Servizio Nazionale per la Qualitàdell’Istruzione “Interventi speciali per la valutazione della qualità della scuola dell’infanzia”. Nella voceriguardante le scansioni e ritmi della giornata10 si asserisce che “il succedersi dei vari momenti che costitu-iscono la giornata educativa della scuola dell’infanzia è regolato prevalentemente sulle esigenze della co-munità e costringe il bambino, spesso per la prima volta, ad adeguare i propri ritmi individuali a quellisociali. Perché questo adeguamento non costituisca un limite ma piuttosto una risorsa, è importante chel’esperienza di ritmi sociali prevedibili, perciò rassicuranti e favorevoli al senso di appartenenza, si coordinicol mantenimento di ritmi individuali imprevedibili, perciò stimolanti e favorevoli all’autonomizzazione”.

Si riaffermano quindi, anche nella scala di valutazione italiana, i criteri relativi alla ricorsività e la flessi-bilità del tempo educativo. In particolare, si sostiene la ricerca quotidiana di una mediazione tra temposociale, programmato e prevedibile e tempi individuali imprevedibili. Sul piano operativo ciò significa, adesempio, consentire “ai bambini che ne manifestano l’esigenza di anticipare e prolungare un’attività, lapermanenza in bagno, il momento del riposo, di attardarsi a tavola, pur contenendo tali richieste entro limitiaccettabili per la gestione dei ritmi della vita del gruppo”; oppure, per quanto concerne le attività educative,che “la loro durata viene modulata anche in funzione della durata dell’interesse manifestato dai bambini”.

Se il criterio di un tempo scolastico in una certa misura flessibile rispetto alle specificità dei singolibambini appare dunque genericamente condiviso e generalizzato, perché diventi il criterio di una realeprogettazione pedagogica fondata sul riconoscimento delle diversità, occorre che rientri in una “cornicedi lavoro didattico che recepisca la problematica legata alla multiformità dei tempi d’apprendimento,degli stili conoscitivi, dei prerequisiti cognitivi, dei codici linguistici, delle potenzialità intellettuali, delleformae mentis, delle inclinazioni personali ecc... La cornice di lavoro in questione è ravvisabile nel con-cetto di individualizzazione”11 .

9 A. Bondioli et al., AVSI. Autovalutazione della scuola dell’infanzia, Angeli, Milano, 2001.10 Item 39. Scansioni e ritmi della giornata, in in T. Harms, R.M. Clifford, D. Cryer, Early Childhood Environment Rating Scale,

Revised Edition, op. cit., pp.127-8.11 M. Baldacci, Una scuola a misura di allievo, in La Rivista di Pedagogia e Didattica, anno I, n. 1, 2004, p. 77.

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Professionalità docente

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66 INNOVAZIONE EDUCATIVA

Riconsiderare il concetto di flessibilità nell’ambito della valorizzazione di un processo d’individualiz-zazione, vuol dire non tanto concepire l’organizzazione delle attività e delle routine in termini diadeguamento progressivo dei tempi individuali ad un tempo sociale e collettivo, significa invece inter-pretare l’adattamento dell’istituzione scolastica alle caratteristiche individuali dei bambini in termini di“adattamento dell’insegnamento alle caratteristiche cognitive individuali degli alunni: ai loro codici lingui-stici, ai loro prerequisiti di partenza, ai loro stili cognitivi, ai loro ritmi d’apprendimento”12 . Dove la varia-bile relativa ai diversi tempi concessi ai bambini nelle attività risulta sempre e comunque significativa.

Ma in cosa si differenzia una flessibilità intesa in chiave d’individualizzazione rispetto a quella pro-gettazione personalizzata sostenuta e descritta anche nella “Legge Moratti”? “La personalizzazione sifonda su un principio generale che riconosce e valorizza le peculiari potenzialità, attitudini-intelligenzedel soggetto-persona […]. L’individualizzazione si fonda su un principio generale che riconosce e prestaattenzione alle caratteristiche (stili, strategie, tempi-ritmi di apprendimento) e alle pluralità delle dimen-sioni e delle intelligenze individuali […]. Se nell’individualizzazione la differenziazione dei percorsiconverge verso obiettivi e livelli di padronanza comuni, nella personalizzazione la diversità dei percorsiporta gli allievi verso obiettivi differenti coerentemente con il riconoscimento/valorizzazione delle speci-fiche attitudini e aree di abilità”13 .

Individualizzazione e personalizzazione sono concetti che consentono di problematizzare un criteriodi flessibilità presentato negli strumenti di valutazione analizzati in precedenza: l’idea di modulare ediversificare le proposte educative quotidiane in funzione degli stili personali, delle richieste e degliinteressi espressi dai bambini.

Se assunto in senso stretto tale criterio implica la possibilità che i bambini possano realizzare percorsieducativi fortemente differenziati, dove possano essere privilegiate specifiche attività a discapito di altreattività scelte e coltivate invece dai compagni. Se l’interesse viene interpretato come una manifestazionedi un’attitudine o disposizione del bambino verso una particolare attività, allora la scelta di una tale formadi flessibilità - tutta fondata sull’accoglimento acritico degli “interessi” dei bambini - implica la scelta diprivilegiare una forma di personalizzazione della giornata educativa. Sono consentiti e promossi unapluralità di percorsi che si possono declinare in un curricolo in una certa misura personalizzato. A tal fine“vi deve essere uno spazio fisico e mentale nell’organizzazione scolastica. Vale a dire che è importantecreare angoli (dei linguaggi, logico-matematico) e centri d’interesse (famigliare, dei mestieri, dei negozi,della motricità, ludoteca), atelier (grafico-pittorico, musicale, teatrale) e laboratori multidisciplinari (cul-turale, scientifico, dell’ambiente), zone attrezzate all’aperto (per le costruzioni, ricreativa, sportiva, terradi nessuno) e prevedere tempi in cui è possibile coltivare i propri talenti”14 .

Se l’opzione pedagogica nei confronti di una giornata educativa flessibile, nel senso di una giornatapersonalizzata nei contenuti e nei tempi, può favorire e sostenere il processo d’individuazione di sé daparte del bambino15 , può anche dare luogo “a forme di disuguaglianza degli esiti formativi che si tradur-rebbero fatalmente in una disparità delle chance di vita.”16 La valorizzazione educativa delle attitudini,potenzialità e disposizioni dei bambini, se “pensata all’interno di una concezione naturalista”17 che liinterpreta puramente come “doti naturali”, può tradursi in una forma di rinforzo dei condizionamenti

12 M. Baldacci, L’individualizzazione, in La Rivista di Pedagogia e Didattica, anno I, n. 1, 2004, p. 80.13 L. Dozza, La personalizzazione, in La Rivista di Pedagogia e Didattica, anno I, n. 1, 2004, p. 83.14 Ivi, p. 86.15 Cfr. L. Dozza, op. cit.16 M. Baldacci, Personalizzare la didattica?, in La Rivista di Pedagogia e Didattica, anno I, n. 2/3, 2004, p. 154.

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Professionalità docente

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sociali. Infatti, le attitudini e potenzialità dei bambini sono anche il risultato di un ambiente sociale eculturale. L’intelligenza linguistica, ad esempio, è fortemente condizionata dalle pratiche sociali e lingui-stiche che caratterizzano il contesto familiare ed è fortemente correlata alle possibilità di successo scola-stico nella scuola primaria. Al contrario “le forme d’intelligenza spaziale, come quella grafica, sonoforme rispetto alle quali l’esercizio spontaneo può comunque produrre un certo risultato anche in assenzadi sostegni formativi famigliari. Perciò, se un bambino è vissuto in un ambiente linguisticamente poveroe il suo passatempo preferito è stato il disegno, osservandolo a scuola attraverso la sola lente della “diver-sità delle potenzialità naturali”, si corre il rischio di concludere che egli è “naturalmente” dotato di intel-ligenza grafico-spaziale, mentre ha poca disposizione per l’intelligenza linguistica. E, conseguentemen-te, si riterrà saggio assecondare questa sua inclinazione “naturale” fornendogli più opportunità di poten-ziare il suo “talento” grafico che non le sue carenti abilità linguistiche. In questa maniera, gli obiettivididattici tenderebbero ad essere definiti in funzione dei livelli d’ingresso del bambino, interpretati comesegni delle sue doti naturali, invece che come il prodotto della sua storia sociale. La scuola finirebbe cosìper rafforzare disparità che hanno la loro radice nei condizionamenti sociali patiti dal bambino, invece diessere un’occasione per affrancarlo, almeno in parte, dal peso di questi.”18

La flessibilità interpretata acriticamente in chiave di personalizzazione delle proposte educative quo-tidiane può quindi trasformare alcune differenze di potenzialità e attitudini in diseguaglianze sociali,sostenendo fenomeni di parziale autoesclusione dei bambini da contesti educativi per loro troppo com-plessi da approcciare e decifrare. Si vuole dire, in sostanza, che nell’accoglimento delle scelte e degliinteressi manifestati dai bambini e nella valorizzazione dei loro stili c’è un elemento educativo positivoriconducibile al riconoscimento delle diversità, ma ci può anche essere, soprattutto nel caso di bambinisvantaggiati sul piano socio-culturale o provenienti da culture “altre”, il rischio di trascurare l’interventoeducativo su capacità fondamentali per il loro futuro scolastico e sociale.

Si ritiene quindi che la flessibilità della giornata educativa nella scuola dell’infanzia debba essereintesa, soprattutto, come una forma d’individualizzazione dell’azione educativa in riferimento ad alcunecompetenze essenziali, in primo luogo la competenza linguistica.

L’individualizzazione dell’intervento può essere realizzata anche nelle attività di gruppo solo se l’in-segnante ha chiaramente in mente gli obiettivi da perseguire con i singoli bambini; oppure affiancandolodurante le attività svolte per piccoli gruppi o sotto forma di compito individuale: ad esempio l’insegnantepuò promuovere e sostenere l’espressione linguistica di uno specifico bambino durante un’attività didisegno, il pranzo o il gioco libero. In particolare, può essere più efficace stimolare una capacità carentenell’ambito di un’attività in cui bambino si mostra competente, come nel caso della competenza lingui-stica stimolata promuovendo la verbalizzazione dell’attività grafico-pittorica.

L’azione individualizzata può essere perseguita ai vari livelli con cui si declina operativamente il ruolodi regìa educativa dell’insegnante: la composizione dei gruppi, le modalità di svolgimento sociale diun’attività, la frequenza più o meno continuativa ad un determinato laboratorio, ecc.

Tale forma di flessibilità può però essere effettivamente realizzata solo se è oggetto di una progettazio-ne esplicita e concordata tra gli insegnanti. Una progettazione fondata sull’osservazione sistematica deibambini, che può rendere comunicabile e soggetta a un ripensamento collettivo l’analisi dei comporta-menti che si verificano in situazioni quotidiane, e può sostenere una riflessione comune rispetto al signi-ficato delle scelte e delle “non scelte” spontanee dei bambini.

17 Ibidem18 Ibidem

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Professionalità docente

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68 INNOVAZIONE EDUCATIVA

1 Note sui laboratori nel Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria.

Non vi è dubbio che l’aspettativa più comune di chi frequenta i laboratori di un Corso di Laurea inScienze della Formazione Primaria sia quello di trovare occasioni per “agire” in prima persona, “metterein pratica quanto appreso negli insegnamenti”, cercare sicurezze circa l’eventualità di trovarsi in un pros-simo futuro con un gruppo di bambini senza sapere “cosa fare” e “come fare” per insegnare. La spasmo-dica ricerca di “ricette” didattiche o approcci tecnici mette ancora una volta in evidenza lo scarto tra lariflessione teorica e l’agire educativo, tra la teoria e la prassi.

L’equivoco che si è cercato di evitare è proprio quello che il laboratorio assumesse la caratteristica el’obiettivo esclusivo di diventare un luogo dove “applicare teorie”, uno spazio-tempo dove affinare pro-cedure e metodologie esecutive e centrate sul “fare per il fare”.

Per trasformare i laboratori da momenti di mera attività in setting formativi l’attenzione è stata spostata su dueaspetti: la capacità di “giustificare” e il contesto scolastico come costante riferimento. Il primo aspetto si riferiscealla capacità di trovare ed esplicitare nel proprio agire teorie interpretative, scoprendo che, anche se inconsape-volmente, ciascuno nella relazione con i bambini è sempre guidato più o meno da modelli culturali e teorici diriferimento. L’attività nei laboratori in questo senso è un “frammento” significativo che non ha lo scopo diesaurire il sapere delle discipline, ma di sollecitare domande, coltivare il desiderio della ricerca, trovare connes-sione attraverso processi induttivi, collocare possibili risposte all’interno di un contesto che è quello scolastico.

Riporto a questo proposito espressioni post-laboratorio delle studentesse:“È vero a scuola il corpo esiste solo quando ci portavano in palestra”;“La musica è una disciplina che può essere insegnata da specialisti”;“Io penso che bisogna essere portati per la matematica”;“Per imparare è necessario confrontare e negoziare le idee più che le tecniche”.Le riflessioni riprese da testi composti al termine dell’attività laboratoriale confermano come una

“chiave di volta” sia proprio quella di “far emergere”, “portare a galla”, tutto ciò che nella biografiadello studente ha sedimentato circa il ruolo e la funzione della scuola, dell’insegnante, del modo edelle condizioni che possono facilitare o ostacolare l’apprendimento. In questo senso, nel Corso diLaurea in Scienze della Formazione Primaria, i laboratori, per la prima volta nella storia dell’Univer-sità, non hanno le caratteristiche dei seminari, ma da essi si discostano perché diventano meta-luoghi,hanno lo scopo, attraverso esperienze di coinvolgimento diretto e partecipato, di affinare strutture dipensiero, esplorare il sè professionale, ritagliare procedure di metodo tipiche della ricerca-azione incampo educativo. Non sono l’espansione o la traduzione dei saperi disciplinari in esemplificazioni otraduzioni didattiche, ma cercano di collocarsi nelle strutture interdisciplinari, in una logica pedagogi-ca che colloca l’apprendimento sempre in contesti di gruppo, dove sperimentare significa mettersi ingioco nella relazione con gli altri. In questo senso, i laboratori diventano esemplari perché tendono ariprodurre contesti nei quali:

- non si è soli, ma in una costante negoziazione sociale tipica della scuola;

Il tempo, la cura e la capacità di giocare

Giuseppe Malpeli

Professionalità docente

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- la “spiegazione” è dentro l’azione, nel senso che l’azione stessa è oggetto d’indagine (nei modi e neitempi con i quali ho reso l’esperienza interessante e co-costruita);

- si tende a definire indicatori di qualità dell’esperienza stessa più che di quantità;- la prestazione seppur necessaria è indagata nei processi e nei metodi che l’hanno resa coinvolgente.Progettare i laboratori nella formazione degli insegnanti non è progettare accadimenti (come se vi

fosse un modello di insegnante da trasmettere), ma costruire le condizioni per co-costruire un buon mo-dello insegnante.

Riprendendo le riflessioni delle studentesse riportate prima:- scoprire che anche l’organizzazione materiale di un contesto come quello della classe (in un labora-

torio dove l’attenzione è stata posta sugli spazi educativi) implica una gestione di “corpi” pensati oimmaginati non solo in palestra;

- rivedere i pre-giudizi su alcune discipline (per esempio la musica o la matematica) fondati sull’ideadell’essere “portati” o sulla necessità di “essere specialisti”;

- partecipare, nel laboratorio ad attività di gruppo, apprendendo a lavorare insieme in modo cooperativo.Il “concreto” diventa allora l’agito pensato, giustificato, contestualizzato. Piuttosto ha a che fare con

uno spazio interiore che viene continuamente sollecitato dall’esperienza diretta individuale e di gruppo,intrasoggettiva o intersoggettiva.

2 “Guardare e toccare è una cosa da imparare”

I tratti che definiscono un laboratorio con questi scopi formativi sono essenzialmente tre: coinvolgimentocognitivo-affettivo, partecipazione attiva, lavoro in piccoli gruppi. Alla tipica lezione frontale si sostitu-isce una relazione tra il conduttore e gli studenti, attraverso la quale mettere in gioco i partecipanti.

Vi sono livelli diversi di coinvolgimento.Il primo livello è quello che si riferisce alle motivazioni profonde (sostenute anche da timori, incertez-

ze, competenze), che portano lo studente a entrare nella proposta “sentendola” vicina, appassionante.L’idea che solo alcune discipline possano “diventare” laboratori genera un’attenzione particolare: faremusica o fare arte corrisponde a uno schema “pratico” di possibile attività. Partecipare a laboratori di areapedagogica è molto più indefinito e non identificabile. Nel nostro lavoro è risultato sorprendente riscon-trare come le studentesse vivendo esperienze laboratoriali su tematiche rilevanti per la loro formazioneprofessionale, quali l’osservazione, la gestione pedagogica del gruppo-classe, la relazione con le fami-glie, l’ascolto, l’integrazione, hanno scoperto come questi temi, se contestualizzati, sono “dentro” l’agireprofessionale e attraversano in modo costante la relazione dell’insegnante con l’alunno.

Il secondo livello di coinvolgimento è nel partecipare in prima persona, anche attraverso simulazionio procedure esplorative di natura tecnica, ad esperienze tipiche del contesto scolastico:

- simulare un collegio docenti che deve decidere aspetti di gestione interna della classe giustificando lescelte;

- esercitarsi nella costruzione di manufatti artistici riflettendo sulle implicazioni di natura educativa solle-citate e sulle competenze attivate per corrispondere, in termini di formazione, all’autonomia degli allievi;

- produrre e analizzare testi per bambini, soffermandosi sui livelli di creatività sostenuti e sollecitati;- partecipare ad attività ludiche per riscoprire da un lato il piacere dell’adulto quando gioca e dall’altro

i modelli relazionali e di pensiero sottesi;

Professionalità docente

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- ricostruire protocolli conversazionali tra adulto e bambino attraverso procedure di ascolto attivo;- leggere libri e verificare i processi di comprensione messi in atto dai bambini.L’ultimo livello, ma non meno importante, è riferibile al valore della competenza didattica, intesa in questo

caso come forte capacità di creare le condizioni perché l’esperienza scolastica non si traduca in meccanismoripetitivo e standardizzato. Tale livello si colloca nella possibilità di uscire da schemi consolidati (anche quelliacquisiti nella propria storia scolastica), che tendono al controllo, all’esecutività, alla ripetitività, alla noia.

Le tecniche proposte nei vari laboratori hanno lo scopo di arricchire il patrimonio di base e di ampliarele possibilità di coinvolgimento degli alunni. A una povertà sempre più marcata di “animazione/attivazio-ne” (nell’uso dei vari codici), si cerca di dare strumenti d’intervento di tipo concettuale, procedurale etecnico il più possibile ampi e variegati. In quest’ottica si tende anche a definire una “teoria” della tecni-ca, attraverso l’analisi dei passaggi sottesi alle stesse procedure metodologiche. I manufatti prodotti testi-moniano questi livelli diversi di adesione alla proposta:

- discussioni di gruppo con l’emergere della negoziazione;- percorsi tecnici con la segmentazione-comprensione dei passaggi;- valutazioni-riflessioni sull’esperienza;- analogie scoperte tra l’attività laboratoriale e il contesto scolastico;- progetti di intervento (sugli spazi, sull’organizzazione del contesto, sulle esperienze);- progettazioni simulate del contesto di apprendimento.

3 Il conduttore “come” animatore/attivatore

I conduttori dei laboratori sono stati selezionati secondo un criterio che rendesse visibile nella loropersona il senso stesso dei laboratori. Professionisti di varia formazione che per competenza fossero ingrado di rappresentare una sintesi tra l’essere insegnanti e l’avere documentato azioni riflessive sul pro-prio agire professionale; essere in grado di fare formazione con adulti che diventeranno insegnanti; avereuna competenza e uno sguardo non solo disciplinare in senso stretto, ma di natura pedagogica, trasversa-le, anche restando nei confini epistemologici della specifica disciplina. Conduttori come “animatori/attivatori”. Dare “anima/attivare”, attraverso la gestione del gruppo in formazione, pensieri, suggestioni,ricordi, ipotesi, il corpo nelle sue potenzialità espressive e comunicative, parole, storie ... Un compitodifficile e nuovo. Non basta essere esperti di formazione tout court o docenti preparati nel proprio settoredisciplinare, ma serve saper ricollocare questo sapere e queste competenze in uno sfondo specifico e inuna relazione identificata: l’essere insegnanti nella scuola dell’infanzia o nella scuola primaria. Nellaricca e molteplice esperienza di questi anni il contributo offerto dai molti conduttori coinvolti nell’espe-rienza dei laboratori ha consentito di dare visibilità ad un principio fondamentale, guida dello stessoCorso di Laurea, quello di tenere insieme competenze diverse per poter formare i futuri insegnanti. L’Uni-versità e il mondo della scuola, l’Università e il territorio, l’Università e il mondo della formazione. C’èin fondo un’idea pedagogica, formativa, che si emancipa dal separare/isolare, proponendosi di attraversa-re confini, favorire l’incontro e lo scambio nell’ottica del sistema formativo integrato.

4 Traslocare nella terra di nessuno

I laboratori sono anche spazi vuoti da riempire. Hanno a che fare con l’incertezza, con l’imprevisto.Da binari certi (i codici disciplinari, i sistemi d’ipotesi, le credenze, le fonti istituzionali) ci si avventura

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in un terreno incerto, spesso indefinito: il gruppo non scelto, il conduttore non conosciuto, lo spazio nonusuale, le procedure in parte non rassicuranti. È uno spazio che diventa setting formativo anche per ilfuturo insegnante, perché lo colloca in una dimensione di ascolto costante di sé e dell’altro. È un luogo dimassima apertura e disponibilità. Terra di nessuno in questo senso è anche:

- lavorare in piccoli gruppi quando non si è mai vissuto questa esperienza nella scuola;- uscire per la città e riscoprirla con gli sguardi dei bambini;- andare in un museo e trasformarlo in un luogo di apprendimento;- giocare con il proprio corpo attraverso la propria mente, cioè come se;- esercitare capacità di analisi e di giudizio critico dell’esperienza vissuta.Ma, è anche avere “uno sguardo sul mondo”, formarsi come insegnanti ponendosi in una prospettiva

di apertura, di attenzione ai cambiamenti, di occhio particolare per “le vecchie e le nuove povertà” cultu-rali. È come se vi fosse un laboratorio “del” e un laboratorio “nel”, mentre il primo ha lo scopo diqualificare agire professionale di insegnante nella relazione educativa con gli alunni, il secondo tende adare cornici di senso del “fare scuola”.

Molto interessanti sono stati in questi anni i laboratori con testimoni particolari (siano essi attori,artisti, registi, soggetti impegnati nel mondo della cultura) ma anche le visite in luoghi particolari (musei,scuole con esperienze significative, ecc), perché hanno contribuito a ridefinire questa cornice di riferi-mento.

Il laboratorio nella formazione dell’insegnante si pone come luogo in cui cercare i soggetti e la profes-sionalità, che è sempre cercarsi anche attraverso:

- il racconto- il rispecchiamento- il riconoscimento.

Professionalità docente

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72 INNOVAZIONE EDUCATIVA

Professionalità docente

Saperi e formazione universitaria degli insegnanti

Giuliana Santarelli

Nuovi percorsi formativi dell’istruzione universitariaLa circolare n.130/2000 recita che “con l’avvio presso le università dei Corsi di laurea e delle scuole di

specializzazione, si sono poste le premesse per una nuova realtà istituzionale di grande rilevanza per laformazione degli insegnanti e per l’intero sistema scolastico”1. Si istituisce una formazione iniziale chepersegue una competenza culturale e didattica ritenuta indispensabile per i compiti della scuola di oggi.Al culturale afferiscono le competenze professionali che fondano la loro ragion d’essere sugli obiettiviformativi del curricolo della scuola e sugli elementi significativi del sociale, per la piena realizzazionedei processi di socializzazione e acculturazione. Alla didattica appartengono le competenze del saper fareproprie di una professionalità preparata scientificamente e tecnicamente, che si avvale di modelli pedago-gico-didattici costruiti secondo criteri sperimentali, critici, interattivi, senza escludere i saperi disciplina-ri. Questo modello formativo avvalora un sapere scientifico fondato tanto sulla pratica didattica quantosulla teoria, dove la dimensione tecnica si arricchisce e si integra con una preparazione culturale chelascia spazio alla riflessione sulla didattica. Si pensa a un insegnante che partecipa attivamente alla vitasociale, ha competenza nei settori disciplinari, ha coscienza della storicità della cultura, unitamente acompetenze relazionali, comunicative, tecniche, professionali (programmazione, osservazione, valuta-zione, documentazione) e imposta l’apprendimento secondo un’attività di ricerca.

Le competenze professionali non sono così la semplice giustapposizione delle conoscenze disciplinarie delle scienze dell’educazione, ma nel corso di laurea si acquisiscono attraverso specifiche attivitàformative che attivano competenze trasversali, dove le conoscenze teoriche sono messe in rapporto conla concreta esperienza di insegnamento e utilizzate per risolvere problemi educativi e didattici. Questaformazione integrata prefigura una professionalità fondata su un sapere esperto e professionalizzante: èprofessionalizzante un modello educativo che promuove una didattica generata tanto dalla pratica che daimodelli teorici. Una formazione degli insegnanti attenta al livello culturale e didattico e che si avvale dipratiche professionali specifiche, si presenta come un percorso unitariamente progettato.

Tirocinio e laboratorioI comportamenti professionali vengono sperimentati nel tirocinio e nel laboratorio. Il tirocinio assicu-

ra alti coefficienti di trasversalità tra la didattica disciplinare e generale e la situazione scolastica, escludeuna logica applicativa, a favore di una clinica e di una ermeneutica insieme, dove teoria e prassi si trova-no insieme nei casi individuali, contingenti e situazionali, condizionati dall’azione. Finalità del tirocinioè l’acquisizione di competenze-padronanze strettamente connesse con l’esercizio della professione. Il

1 Con l’applicazione della Legge del 19 novembre 1990 n. 341, riguardante la formazione universitaria degli insegnanti della scuolaelementare e della scuola materna, nonché i corsi di specializzazione per l’insegnamento nelle scuole secondarie, è stata introdotta la novitàdell’utilizzo di personale insegnante di ruolo della scuola presso le Università. La formazione iniziale degli insegnanti in Italia ha cosìcaratterizzato due nuovi percorsi accademici: tra le attività previste nel curricolo formativo dei Corsi e delle Scuole, hanno particolareimportanza, per il costituirsi dell’identità professionale dei docenti, le attività di tirocinio e di laboratorio, che vedono impegnati, in qualitàdi supervisori, i docenti delle dipendenti istituzioni scolastiche.

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Professionalità docente

tirocinio, nelle professioni, prevede più forme di contatto e di coinvolgimento, perché si qualifica come ilpunto di incontro tra il saper-fare, gli specifici ruoli professionali e il contesto. Col tirocinio, a Scienzedella Formazione Primaria, si è avviato un percorso finalizzato all’apprendere in situazione e in riflessio-ne guidata, che coinvolge attivamente i futuri insegnanti in contesti lavorativi reali. Si intende mettere incontatto lo studente con le modalità concrete e operative del contesto scolastico, metterlo in condizionedi rielaborare e di riflettere ai fini di fargli acquisire conoscenze di carattere educativo, operativo, orga-nizzativo, relazionale, tecnico e didattico. La realizzazione di questo segmento formativo ha richiestoadattamenti e rimodulazioni nel tempo e, non ultimo, l’avvio di complesse procedure di collaborazionecon le scuole che ospitano gli studenti per il periodo previsto. A sua volta il laboratorio è un’esperienza diapprendimento simulata e guidata in cui vengono anticipati e messi a fuoco attività e occasioni di appren-dimento indispensabili per l’acquisizione della competenza professionale, sotto la guida di un conduttoreesperto. Il laboratorio è un collegamento tra sapere e saper fare in situazione controllata, dove vengonopromossi e sostenuti processi di pensiero sul fare professionale che integrano la teoria con la prassi, ladimensione individuale con quella del gruppo. Il laboratorio va pensato come luogo di incontro e diprogettualità tra saperi, si caratterizza per il coinvolgimento degli studenti sia sul piano teorico che ope-rativo, così da permettere loro di sperimentare concretamente, individualmente e in gruppo, temi e conte-nuti pedagogici, disciplinari e didattici, secondo metodologie formative appropriate e modelli organizza-tivi (ambienti di apprendimento, relazioni, collegialità, continuità, integrazione, modelli curricolari, pro-grammazione, interclasse, ricerca, disciplinarità, interdisciplinarità, valutazione) del quotidiano fare-scuoladegli insegnanti.2 I due percorsi formativi prevedono l’apprendere in situazione e la riflessione guidata,sono tutti e due professionalizzanti, si diversificano per il contesto, che in un caso è reale e nell’altro èsimulato in aula, e per la funzione di accompagnamanto dello studente, che nel tirocinio viene fatta daltutor della scuola e dai supervisori in università, mentre nel laboratorio, mantenendo le funzioni deisupervisori, è affidata ad un conduttore.

Formazione e profilo professionale degli insegnantiQuesta formazione prefigura un profilo professionale dell’insegnante che comprende competenze te-

oriche (cosa occorre sapere), competenze operative (cosa occorre saper fare), atteggiamenti e valori pro-fessionali (saper essere). Si individuano attitudini, valori, abilità di base, conoscenze disciplinari, cono-scenze relative all’apprendimento e alla didattica delle discipline, conoscenze delle scienze dell’educa-zione e dell’organizzazione scolastica, a partire dalle quali si costruiscono le competenze professionali incontesto richieste agli insegnanti. Queste competenze afferiscono agli ambiti disciplinari, alle scienzedell’educazione, al sapere pedagogico, psicologico, sociologico, antropologico, alla mediazione metodo-logico-didattica. Lo studente ha l’idea che andrà a svolgere un’attività non routinaria nè standardizzabile,

2 Le affermazioni e le definizioni relative a tirocinio e laboratorio provengono dai documenti interni al Corso di laurea che sono statielaborati dai supervisori dal 1999 ad oggi, in occasione della convocazione di Commissioni, Convegni, Consigli di corso di laurea. Inparticolare si citano:

Il corso di laurea in Scienze della Formazione Primaria: quale futuro?Tavola rotonda organizzata dalle associazioni professionali dei docenti CIDI, AIMC, CO.SU.PRI, FNISM Bologna, in collaborazione

con l’Università di Bologna, sabato 17 aprile 2004, Fiera del Libro – Sezione Docet, Bologna;Il futuro degli insegnanti nella scuola riformata.Formazione iniziale e in servizio, carriera e nuove figure professionali, flessibilità e

mobilità del lavoro, seminario di studi organizzato dalle associazioni professionali dei docenti AIMC, CIDI, FNISM Bologna, 30 aprile2004, Bologna;

Centri di interateneo e dintorni: il tirocinio nel nuovo corso di laurea per gli insegnanti della scuola dell’infanzia e primaria, seminarioorganizzato da A.I.M.C, C.I.D.I, CO.SU.PRI, F.N.I.S.M Bologna, in collaborazione con l’Università di Milano e il MIUR, Fiera del Libro-Sezione Docet, 14 - 17 aprile 2005, Bologna.

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74 INNOVAZIONE EDUCATIVA

che gli chiede di utilizzare costantemente discrezionalità nei saperi, nelle metodologie e nelle tecniche.Ciò comporta responsabilità in ordine ai risultati dell’apprendimento e dell’insegnamento, della ricercacome riflessione sulla pratica e concettualizzazione dell’operatività, trasparenza in ordine ai processiattivati, sia in fase progettuale che operativa, e capacità di documentazione. Per oltrepassare il dualismoteoria/pratica si costruisce l’intreccio teoria/pratica: si è avviata una fase che segna una rottura rispettoalla formazione universitaria propria della cultura pedagogica tradizionale. Nella realizzazione del siste-ma di formazione iniziale, occorre rendere attrattiva e interessante la professione, incentivare la motivazioneverso livelli di professionalità elevati, garantire una buona preparazione nelle discipline di insegnamento,lasciare a ogni futuro insegnante un opportuno margine di libertà per costruire un progetto che valorizzile caratteristiche individuali. Gli studenti, pur nella difficoltà di costruire una relazione tra discipline distudio e pratiche professionali proposte dal tirocinio e dai laboratori, possono raggiungere significativitraguardi formativi in ordine a conoscenze teoriche (osservazione, analisi, valutazione di processi diinsegnamento/apprendimento, contenuti disciplinari) e competenze sia professionali (progettualità, orga-nizzazione) che metaprofessionali (consapevolezza di propri modelli di insegnamento, di interazione, discelte didattiche). Questi traguardi trovano una forma di validazione anche nel risultato degli esami dilaurea conclusivi, espressi nelle tesi collegate al tirocinio. La pedagogia assume, in questo quadro formativo,un ruolo fondamentale perché rende possibile ricondurre le situazioni osservate e sperimentate ad unquadro teorico, al fine di non restare impigliati in contesti specifici ed esclusivamente esperienziali. Isaperi pedagogici sono indispensabili per approfondire dimensioni problematiche, quindi sono importan-ti per proporre, progettare, valutare, esercitare capacità critiche e sviluppare l’atteggiamento di ricerca incampo educativo.

La costruzione del sapere praticoNel corso di laurea si prevedono, oltre ad una preparazione generale, specifiche opportunità per svi-

luppare qualità personali e un’adeguata motivazione alla professione. Ogni studente sceglie, anche attra-verso i tirocini e i laboratori, un suo specifico percorso universitario, in un contesto formativo ricco dimomenti di confronto

fra teoria e pratica, dove gli viene consentito di avvalersi di figure (di supervisione all’interno dell’uni-versità e di tutorato nella scuola) che favoriscono percorsi mirati alle esigenze e agli obiettivi ancheindividuali: mentre si danno contenuti generali si promuovono contemporaneamente percorsi individualiattinenti la costruzione del sapere, dell’apprendere, della rielaborazione e atteggiamenti personali versolo studio e la pratica. Dal momento che la teoria pedagogica fa da appoggio alla pratica didattica el’influenzamento reciproco fra le diverse occasioni formative è lasciato alle iniziative dei singoli accom-pagnati da figure esperte, tirocinio-laboratorio sono occasione ed esperienza di lavoro sul sé per la costru-zione di un sapere esperto, in quanto capacità di prendere le informazioni e le abilità della scuola, colle-garle a saperi teorici e trasferirle in situazioni nuove. La conoscenza da astratta e concettuale diventaindividuale e contestualizzata, si fa esperienza professionale assistita, che tiene conto delle conoscenze,delle competenze e delle metacompetenze, così il conoscere è inteso come pensiero e praticacontestualizzata: il sapere pratico realizza, dà concretezza, esplicita, coniuga la conoscenza anche teoricacon la funzione docente attraverso la riflessione. I nuovi segmenti professionalizzanti liberano i saperimetacognitivi, l’interpretazione critica e l’investigazione euristica, l’approccio critico mette insieme saperidiversi, sostiene l’iniziativa, muove la curiosità, alimenta retroazioni, letture e argomentazioni. A suavolta il sapere della scuola appare più problematico e complesso perché si connette alla competenza

Professionalità docente

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progettuale degli insegnanti. La progettazione nasce essenzialmente con l’intento di affrontare processi edi coinvolgere i diversi attori in campo scolastico, non è solo pianificazione o risposta a domanda diistruzione, ma un processo di negoziazione e costruzione tra gli insegnanti, che si presenta come insiemedi temi e contenuti, scelte e condivisioni. I referenti delle scuole, nel ruolo di tutor, mettono a disposizio-ne questo sapere, che testimonia il lungo e complesso processo di reinterpretazione e di trasformazione dicui sono stati oggetto i saperi scolastici, processo che ha radici sia epistemologiche che organizzative.

I compiti del supervisoreLa figura del supervisore è strategica in questo nuovo modo di fare formazione. Per quel che riguarda

il tirocinio, il supervisore svolge attività di progettazione, coordinamento e organizzazione in raccordocon le scuole del territorio, accompagna scientificamente e metodologicamente il percorso degli studenti,contribuisce alla progettualità della scuola ospitante, facilita relazioni e attività di accoglienza fra i singo-li e le diverse strutture, valuta sia il percorso che lo studente, elabora documenti.

Per la realizzazione dei laboratori, il supervisore svolge funzioni di programmazione del progettocomplessivo delle attività laboratoriali dell’anno accademico in corso, di organizzazione e realizzazionedei laboratori previsti, di monitoraggio mediante la predisposizione di strumenti preparati appositamen-te, di documentazione e archiviazione dei materiali dei laboratori, sia relativi al percorso degli studentiche alla realizzazione stessa dell’attività, di conduzione di laboratori in base alle competenze professio-nali certificate nel curriculum. Il supervisore dedica tempo ed energie nella cura dei pensieri degli studen-ti per costruire insieme a loro un’epistemologia della pratica: indaga direttamente immagini mentali eschemi generali per affrontare situazioni di complessità, investiga sulla conoscenza, sull’ambiente scola-stico, sulle discipline di insegnamento, sulla programmazione didattica, sull’interazione in aula, sui modiin cui si organizzano le conoscenze, sulle soluzioni pratiche e sui criteri operativi che sono stati oggettodi esperienza e di osservazione da parte dello studente.

Il supervisore fa uso del colloquio come strumento di rappresentazione della conoscenza professiona-le. Questa scelta metodologica esprime l’interesse per la dimensione dialogica del conoscere, in quanto ilcolloquio, come scambio e confronto sull’esperienza, può rappresentare attività di approfondimento del-la conoscenza. L’orientamento dialogico permette di entrare nei giudizi scontati, negli stereotipi, aiuta lostudente a partire da sé e dalla propria soggettività, lascia spazio ad immagini, rappresenta meglio gliaspetti nascosti del pensiero. Il soggetto dialogico e relazionale predilige forme metodologiche quali lascrittura, l‘osservazione partecipante, lo scambio dei racconti, la stesura dei diari di bordo ed esplora,conferendogli valore e spessore, il sapere ordinario dell’insegnante.

L’incontro dei saperi professionaliIl tirocinio, i laboratori, l’articolazione delle funzioni e dei ruoli professionali e gli insegnamenti uni-

versitari procedono insieme in questo corso di laurea, senza poter contare su una tradizione culturale:sono l’esperienza sul campo, l’osservazione, la riflessione, la narrazione a leggere i saperi e ad unire le varievoci, compresa quella della scuola, ognuna di queste mette in campo saperi diversi che si incontrano:

il corso di laurea riconosce il ruolo della scuola come ambiente formativo attraverso il tirocinio, cherealizza l’incontro tra i saperi di due istituzioni e propone quotidianamente un reciproco riconoscimento;

la scuola non si limita ad essere un contenitore, ma collabora alla costruzione comune di un progettoche unisce la sua progettualità al percorso formativo dello studente;

l’incontro di tre tipi di esperienza (quella dello studente in situazione formativa, quella del tutor della

Professionalità docente

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scuola, quella dell’insegnante supervisore) avvia un confronto di pratiche e di condivisione della rifles-sione sull’esperienza vissuta. Il supervisore possiede i saperi idonei per passare dalla pratica alla rifles-sione, da un contesto scolastico ad uno universitario attraverso conoscenze, esperienze, mediazione. Saperie prassi intenzionale guidano questo processo, lo ispirano e lo strutturano. Da qui la difficoltà ad agirequesta professione, la complessità che la caratterizza, la problematicità immanente, la dimensione rifles-siva che la connota, che non trascura tecniche, saperi operativi, competenze pratiche. Si fatica per costru-ire una professionalità particolare: intenzionale, interpretativa, competente, in cui l’idea del formare gio-ca un ruolo determinante, una professionalità critica e complessa;

la cooperazione fra istituzioni implica il partenariato: soggetti diversi decidono in merito a compiti oresponsabilità da assolvere in una prospettiva di lavoro comune. Nel contesto del partenariato si dannonuove regole fra i soggetti implicati nell’azione, il professionista attiva delle strategie che favorisconol’acquisizione di saperi e del saper fare nel formando, in modo di accrescere le capacità. Le competenzespecifiche secondo il principio della complementarità e della reciprocità nell’apprendimento delle cono-scenze. Questa forma di partenariato richiede ulteriori analisi e studio perché non si danno né modelli nétradizioni in proposito;

se la riflessività si esercita attraverso la pedagogia, nei tirocini e nei laboratori l’abilità proviene daltrasferimento dei saperi teorici in mezzi operativi che si apprendono facendo. Il sapere è sempre in situa-zione e si presenta come studio di casi, comunicazione, dialogo, azione, mediazione fra il generale e ilparticolare, secondo la logica del comprendere e dell’interpretare.

Accompagnare lo studenteNell’accompagnamento dello studente c’è un percorso di carattere generale: dal suo arrivo in univer-

sità fino alla tesi, un transito di cui il supervisore sigla alcuni passaggi, attraverso procedure d’ufficio,prese d’atto, comunicazioni e informazioni, richieste di documentazioni, convalide e riconoscimenti,compilazione di materiali, poi, nello specifico, la funzione di accompagnamento si diversifica, a secondache si tratti di tirocini o di laboratori. Del supervisore è stata sottolineata la funzione di cerniera fra duerealtà istituzionali, scuola e università, dove si realizza3 un sistema di doppio accompagnamento econdivisione di compiti, ruoli chiari, reciproco stimolo e supporto. Si può, in sintesi, affermare che que-sto ruolo si è costruito in quanto guida nei confronti dello studente che 4 “può essere valida solo se vieneofferta in modo consistente e regolare, se riconosce i bisogni individuali e il ritmo di apprendimento dellostudente e se è offerta da persone direttamente esperte nella stessa professione nella quale si prepara lostudente”. Durante il tirocinio il supervisore accompagna lo studente unitamente al tutor della scuola, ledue figure concorrono alla realizzazione dell’esperienza, da un lato sul piano delle pratiche, dall’altro suquello della riflessione. Fra l’esperienza vissuta nella scuola col tutor e la riflessione in università colsupervisore, si collocano la narrazione e l’interpretazione dell’esperienza, che attraverso la riflessioneviene ricondotta al pensiero pedagogico. Questo è il momento più delicato, perché l’esperienza dellostudente, il progetto della scuola, i saperi liberati dalla narrazione e dalla riflessione, per essere efficaci,hanno bisogno di rigore nella messa a punto del progetto, di accordi puntuali e precisi per la realizzazionedell’esperienza del tirocinante, al fine di recuperarne il valore e la ricchezza dei temi pedagogici. Ilproblema che si mostra nella sua inevitabilità è se il supervisore, dalla sede universitaria e con i grandinumeri di studenti che adempiono all’obbligo fomativo del tirocinio, riesca a curare questo processo

3 AA.VV., La supervisione nel lavoro sociale: definizione, competenze, proposte. Documenti del convegno nazionale, Clueb, Bologna, 19944 F. Frabboni, L. Guerra, E. Lodini, Il tirocinio nella formazione dell’operatore socioeducativo, NIS, Roma, 1995

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Professionalità docente

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laborioso e a svolgere compiutamente la sua funzione di accompagnamento verso questa forma di cono-scenza.

La funzione di accompagnamento dello studente nei laboratori è di carattere comunicativo/informati-vo e organizzativo. Il percorso formativo viene supportato da accurate informazioni e da materiale op-portunamente predisposto, che elenca obblighi e scelte possibili allo scopo di ricostruire e non perdere divista l’obiettivo. Questo materiale è di supporto alle informazioni per gli studenti e consente ai supervisoridi non perdere di vista né l’organizzazione né la formazione, tenuto conto del carattere di obbligatorietàdei laboratori, e agli studenti stessi di controllare il loro percorso. Gli strumenti che i supervisori propon-gono e che mettono a disposizione preludono alla condivisione e creano dei momenti dedicati alla comu-nicazione: il materiale diventa punto di incontro e oggetto di scambio comunicativo. Le procedure infor-matiche stesse rientrano in questa relazione che ha per oggetto il singolo e il suo rapporto con l’organiz-zazione accademica, gli adempimenti, l’obbligo formativo e le scelte. I saperi si incontrano dentro allospazio simulato dell’aula ad opera del conduttore che, solo, governa il processo di rielaborazione, rifles-sione e interpretazione dell’esperienza giocata e agita. L’intreccio dei saperi è del conduttore, che ne hacompetenza indiscussa in quel momento, e della validità della sua proposta formativa. Il laboratorio è unesperienza protetta, il tirocinio è un’esperienza più esposta.

La riflessioneLa riflessione rilegge l’azione. Il supervisore è docente che verifica, documenta, discute, si confronta

con lo studente in un contesto dialogico intersoggettivo e pubblico. La scuola cura l’aspetto progettuale,il supervisore interagisce con lo studente nelle pause riflessive, mentre persegue una finalità di metap-prendimento. Fra esperienza e riflessione si situano istanze metacognitive perché la pratica è fonte diproblematicità e di molteplicità. Come nuova figura di insegnante formatore, il supervisore inaugura unmodello di formazione basata sul fare, sul narrare ciò che si fa e sottoporlo a critica e verifica, nellacircolarità virtuosa fare-riflettere-in relazione con pensiero metacognitivo. Questa modus operandi si puòdefinire critico perché promuove consapevolezza dell’azione educativa, non persegue obiettivi fissi estandardizzati, è empatico e dialogante perchè fondato sul contratto relazionale. Il lavoro di documenta-zione, partecipazione, collaborazione, discussione e confronto che si attiva con lo studente si ispira aun’idea di didattica, quindi di insegnamento, non ripetitivi, ma dinamici, e a un mai esaurito lavoro diricerca per adeguarsi a nuovi contesti e scenari. Per connettere teoria e pratica il pensiero riflessivo siproietta oltre, non vive la ripetizione dell’esperienza, ma supera l’invariabilità della riproposizione con-tinua. Per andare col formando verso un elaborato finale, verso un prodotto e una sintesi, il supervisorericerca paradigmi trasversali dei saperi attraverso dispositivi meta, che si manifestano nell’esercizio ri-flessivo sui saperi. Sono modelli, idee, consapevolezze che conferiscono continuum e unitarietà allaframmentazione, nella ricerca della complementarità e dell’intersezione. Concetti, modelli, nozioni indi-viduati come dispositivi comuni, operano a livello trasversale e diventano caratterizzanti, organizzativi einterpretativi anche dei saperi pratici dell’esperienza. Il supervisore legge e interpreta questa trasversalitàe isola ciò che emerge come elemento significativo, coagulante, decifratore dei vari saperi. Si definisce laformazione secondo la logica della complessità e non della linearità: si interviene sulle singole pratiche,si agisce nella parcellizzazione di un sapere scolastico frantumato, espressione di una realtà complicata ecomplessa da cui è laborioso tirar fuori una pedagogia di sfondo. Se narratività e complessità costituisco-no due dispositivi di approccio per la lettura dell’esperienza, il supervisore deve possedere necessaria-mente la competenza per operare una forma di riduzione della molteplicità delle esperienze al fine di

Professionalità docente

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consentirne una lettura ragionata: il pensiero riflessivo costa caro, non è un pensiero economico, nonrisponde alle strategie operative di chi tende a ripetere procedure già elaborate, ma richiede dispendio dienergie.

ConsiderazioniIl ruolo del supervisore non ha precedenti nella nostra tradizione accademica, egli inaugura un model-

lo detto da più voci pionieristico, è comunque un’occasione di riflessione scientifica e culturale persalvaguardare l’identità complicata, l’intenzionalità formativa, lo statuto dinamico e problematico dell’insegnamento. L’esercizio delle funzioni di supervisore induce a porci alcune domande sul come inter-viene questo maestro nella formazione dei futuri docenti, quali siano il suo ruolo e il suo compito speci-fico, quali saperi gli appartengano, quali competenze possieda e come possano essere recuperate e valo-rizzate dalla scuola, di cui egli fa parte, in che modo la sua competenza si inserisca nel contesto universi-tario. Si rende necessaria una riflessione a più livelli sull’introduzione di una figura professionale cheagisce nella complessità dei saperi, nella problematicità della situazione, nella fatica della riflessività. Laproblematicità del tirocinio è data da più contesti e da più figure che intervengono nel percorso formativo.L’interazione studente-supervisore di per sè è insufficiente se rimane su un piano discorsivo ed empiricoe non ha alla base una connotazione progettuale data dalla progettazione dell’intervento, dall’accordo sulprogetto della scuola, dal sapere pedagogico che ne consegue, altrimenti è semplice immersione nelcontesto lavorativo. I primi due anni di tirocinio hanno sicuramente una buona riuscita, l’osservazione diuna situazione scolastica con strumenti regolativi, organizzativi e di analisi è garanzia di un percorsoformativo. Il primo biennio ha uno svolgimento strutturato, si usano strumenti testati dall’università checonsentono di rilevare l’organizzazione della scuola con metodi osservativi. Il terzo e quarto anno sonomaggiormente problematici perché al centro c’è il progetto della scuola che immediatamente pone ilproblema di come valutarne la congruenza con le discipline del curricolo formativo. Non è previstoinoltre il momento indispensabile alla verifica della rielaborazione delle conoscenze maturate in situazio-ne, quale sia il miglioramento conseguito, l’individuazione di indici che segnalino che lo studente rileg-ge, riprogetta e agisce, fino ad ora il tirocinio si presenta come un’immersione nell’ambiente scolastico ela valutazione dell’esito si ferma alla relazione scritta.

BibliografiaF. Cambi, Saperi e competenze, Laterza, Roma 2004F. Cambi, E. Colicchi, M. Muzi, G. Spadafora, Pedagogia generale. Identità, modelli, problemi, La Nuova Italia, 2001 MilanoF.Frabboni, M.L. Giovannini, G. Luzzato, Università e insegnanti, Clueb, Bologna 2000M.C. Michelini, L’apprendista insegnante, QuattroVenti, Urbino 2003

Professionalità docente

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Fragilità e grandezza del teatro nella scuola

Gerardo Guccini

Teatro, scuola, cinema

In Italia, la pratica teatrale non è inserita in modo organico nei programmi ministeriali, ma fa partedelle attività integrative liberamente decise e attuate dalle scuole. Nel caso della Francia o del RegnoUnito è possibile spiegare la dinamica dei rapporti fra teatro e scuola partendo dalla descrizione del ruoloistituzionale che il primo occupa all’interno della seconda, mentre in quello dell’Italia, per cogliere ledirettive di questa stessa dinamica, occorre raccogliere e ordinare i dati sulle esperienze svolte, indivi-duandone le tipologie ricorrenti. È quanto l’I.R.R.S.A.E. (ora I.R.R.E.) dell’Emilia Romagna e il Dipar-timento di Musica e Spettacolo dell’Università di Bologna hanno fatto nel corso dell’Anno scolastico1997-1998, svolgendo, nell’ambito del Progetto Europeo T.E.A.T.R.E., una ricerca avente per oggettol’attività teatrale in tutte le scuole medie e medie superiori della Regione. A partire dai materiali inviati daoltre 156 istituti (72 scuole medie e 84 scuole medie superiori) è stato così possibile evidenziare nel corsod’un ciclo di incontri fra insegnanti ed esperti (Anna Bonora, Gerardo Guccini, Paolo Senni) due modellidel fare teatro a scuola. Li riassumo brevemente, rimandando per una più approfondita conoscenza delprogetto e di questi suoi esiti agli articoli apparsi su “Innovazione educativa” (Settembre - Ottobre 1998,n. 5, pp. 18-24; Novembre - Dicembre 1998, n. 6, pp. 10-21; Luglio - Agosto 1999, n. 4, pp. 25-30; Luglio- Agosto 2000, n. 4, pp. 21-28).

Il teatro nelle scuole medie inferiori non è destinato necessariamente alla rappresentazione, vienesvolto da gruppi formati dall’intera classe, si svolge in orario curriculare e, spesso, all’interno delle disci-pline, è presente come drammatizzazione e animazione, persegue obiettivi formativi oltre che didattici.Solo saltuariamente presenti, gli esperti di teatro svolgono laboratori talora autonomi, talora inquadrati inprogetti formulati di concerto con l’insegnante e, in altri casi ancora, propedeutici allo spettacolo, che,nell’ambito della scuola media inferiore, non si basa quasi mai su opere drammatiche e risulta dal mon-taggio di testi reperiti o composti dagli alunni. Il prevalere delle funzioni formative sulla rappresentazio-ne e la tensione auto-pedagogica, che informa questa tipologia di esperienze, si risolvono in una teatralitàprocessuale o di gruppo caratterizzata da idee di percorso e da schemi progettuali “vuoti”, che vengonopredisposti in funzione di precisi obiettivi pedagogici e formativi. Allorché più classi svolgono attivitàteatrali, gli istituti organizzano momenti di raccordo che possono avere carattere di rassegna interna ointegrare preliminarmente tutte le iniziative. Il teatro, ancor più che come arte o insieme di abilità speci-fiche, viene vissuto in quanto modo per affrontare le problematiche dell’auto-conoscenza e della relazio-ne con gli altri. Spesso, la sua pratica veicola la conoscenza di tecniche non necessariamente ‘teatrali’,che risultano da percorsi pluridisciplinari coivolgenti la musica, il disegno, vari lavori artigianali. Eppu-re, nonostante le attività teatrali rafforzino le finalità didattiche inquadrandosi al loro interno, la scuolamedia inferiore offre all’azione dei teatranti di professione - che afferiscono in genere alle strutture delteatro ragazzi - un contesto fluido che consente programmi di ampio respiro. In un certo senso: la marginalitàche la scuola media inferiore attribuisce allo spettacolo, da un lato, fa sì che l’attività teatrale possafacilmente sfumare nella ricerca didattica o nell’acquisizione di tecniche ‘altre’, mentre, dall’altro, sti-mola i teatranti a risalire all’elemento essenziale della loro pratica, che è arte delle relazioni.

Passiamo ora alla situazione del teatro nella scuola media superiore. Qui l’esperienza teatrale riguarda

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Teatro, scuola, cinema

gruppi di studenti di diverse classi, si svolge al di fuori dell’orario scolastico, si vale sistematicamentedell’apporto di professionisti e, quasi sempre, prevede la rappresentazione, che, a differenza di quantoavviene nella scuola media inferiore, è il perno della teatralità scolastica. Talvolta, la regia dello spettaco-lo viene realizzata dall’insegnante dopo che l’esperto ha condotto laboratori di preparazione. Talvolta,l’esperto viene assunto allo scopo esclusivo di realizzare una rappresentazione spettacolare. Esistono peròanche casi di lavoro in équipe, in cui gli insegnati e gli esperti conducono congiuntamente attività labo-ratoriali generalmente suddivise in tre fasi: training e attività propedeutiche; scelta del lavoro da rappre-sentare (scelta che può riguardare una tematica e non necessariamente un testo); performance finale.

Nelle scuole medie superiori il risultato finale tende ad essere più importante per il percorso. Premi-nenza, questa, che viene sempre di più accentuata dal moltiplicarsi di festival di teatro nelle scuole, e cheimplica, tanto negli insegnanti che negli esperti di teatro, l’acquisizione di inedite capacità di mediazionevolte a integrare etica ed estetica, trascegliendo e valutando, nel quadro delle finalità scolastiche e all’in-terno delle attività teatrali, gli analoghi intrecci fra le ragioni della pedagogia e quelle dell’efficacia sce-nica. Il teatro, infatti, mette in essere ciò che l’insegnamento si propone di trasmettere: apprende adapprendere; legittima le differenze esplorandone la vitalità dialettica; è lui stesso relazione fra corpo emente, fra individuo e individuo, fra gruppi e guide.

In sintesi, possiamo dire che il profilo dei professionisti di teatro, nella scuola, risulta dallo svolgimen-to di due compiti distinti e talora contrapposti: l’uno si modella in funzione dello spettacolo; l’altro, piùdialettico e “di relazione”, tende a rifondare in senso comunitario la collettività dei partecipanti. Il primorisponde, fra l’altro, alle esigenze promozionali dell’istituzione scolastica. Il secondo esprime la vocazio-ne del teatro a incarnarsi in situazioni di comunità creativa.

Queste scarne indicazioni sintetizzano le modalità del “partenariato” fra insegnanti ed esperti di teatroall’interno della scuola italiana. In assenza d’inquadramenti legislativi, tali tipologie – che ho potutoricostruire, riferendomi dagli esiti del Progetto Europeo T.E.A.T.R.E. – appaiono aperte e mutevoli, per-ché costituite da una molteplicità di casi distinti, e, nello stesso tempo, anche straordinariamente coesivee tenaci, perché determinate dall’equilibrio fra due istituzioni culturali – la scuola e il teatro – che siattraggono e integrano, corrispondendo l’una alle esigenze dell’altra.

Sul versante teatrale, la forte impostazione pedagogica della ricerca novecentesca, la sua attenzioneper il sociale e, poi, il progressivo rafforzamento economico e istituzionale delle compagnie di teatroragazzi, hanno consentito la formazione e il rinnovo generazionale di teatranti aperti alle problematichedell’infanzia e dell’adolescenza, e capaci di suscitare contesti di esperienze collettive, mettendo di voltain volta in gioco le proprie competenze.

Sul versante della scuola, le esigenze della socializzazione e della formazione individuale, le strategiedifferenzianti e promozionali, l’attenzione per le pratiche multidisciplinari e la ricerca d’una relazione frasapere e saper fare, hanno continuativamente individuato nelle pratiche teatrali forme particolarmenteidonee di compimento pedagogico.

Storicamente, questo equilibrio, che ora risulta dalla funzionale compenetrazione di scuola e teatro,scaturisce da un processo tumultuoso e complesso, che Cristina Valenti suddivide in quattro fasi.

Fra il 1968 e i primi anni Settanta si compie la straordinaria parabola dell’animazione teatrale, cheintreccia scuola e teatro a partire dalla doppia crisi che coinvolge entrambe le istituzioni. In questo feno-meno s’incontrano due movimenti convergenti: l’uno procede dal teatro verso la scuola, l’altro dallascuola verso il teatro. Entrambi sfociano nella svalutazione del prodotto spettacolare e nella sua sostitu-zione con lo svolgimento delle interazioni fra animatori, partecipanti e pubblico. Esemplificano il movi-

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Teatro, scuola, cinema

mento dal teatro le biografie artistiche di Franco Passatore, Silvio Destefanis, Loredana Perissinotto eGiuliano Scabia; mentre, per quanto riguarda la scuola, vanno ricordate alcune straordinarie figure diinsegnanti sperimentatori come Remo Rostagno, Franco Sanfilippo, Mafra Gagliardi, i maestri del Movi-mento di Cooperazione Educativa e, in particolare, Mario Lodi, Fiorenzo Alfieri e Daria Ridolfi.

Fra il 1971 e il 1977 nascono le compagnie storiche di Teatro Ragazzi: Teatro del Sole, Giocovita,Magopovero, Teatro del Buratto, Teatro delle Briciole, Ruotalibera, La Baracca… Sono anni di espansio-ne e radicamento, ai quale segue nel decennio successivo una fase di maturità. Come osserva Valenti:“agli anni dell’invenzione seguono quelli dei risultati e delle opere”.

Infine, nel corso degli anni Novanta il Teatro Ragazzi è ormai un sistema strutturalmente definito.Eppure la sua solidità imprenditoriale presenta un basamento fragile, che minaccia di rimettere in discus-sione il radicato equilibrio fra l’istituzione teatrale e quella scolastica. Mentre, sul versante teatrale, l’in-venzione d’una teatralità diversa, di relazione e di ricerca, ha determinato la successiva fioritura delTeatro Ragazzi, che, non solo produce spettacoli destinati a pubblici scolastici, ma alimenta coi propriesperti e le proprie capacità progettuali le soluzioni di “partenariato”, sul versante scolastico, questastessa invenzione non ha suscitato strutture né influito sugli atti del legislatore, che, esattamente comealle origini del fenomeno, ha continuato a delegare le attività teatrali alle scelte individuali degli inse-gnanti e dei direttori didattici. Il teatro, in altri termini, viene favorito e previsto, ma non inserito nelquadro delle attività curriculari. Basta una flessione nei bilanci scolastici per dissolvere le attività in“partenariato” e interrompere la dialettica fra gli insegnanti e gli esperti. Basta che la pratica del musicals’imponga alla molteplice dimensione culturale del teatro perché i rapporti fra scuola e spettacolo s’im-postino su basi completamente mutate. Per intenderci, è come se gli insegnanti di italiano potesserosostituire lo studio della letteratura e della lingua con esercizi di rap.

Il diffuso sistema culturale che, nei teatri, produce e rappresenta spettacoli per i ragazzi e, nella scuola,si articola in momenti di teatralità processuale o di gruppo e di teatralità di rappresentazione, è dunqueinternamente minacciato dalla mancata elaborazione istituzionale degli storici rapporti fra teatro e scuo-la, che risultano perciò fragili e suscettibili di rimozione. A ciò vanno inoltre aggiunti altri fattori di crisi,che provengono dalla complessa realtà del Teatro Ragazzi. Mi limito a citare il problema del rinnovogenerazionale, particolarmente avvertito a partire dagli anni del pieno assestamento strutturale, e, soprat-tutto, la caduta dei valori ideali, che è stata lucidamente affrontata da Marco Baliani, uno dei protagonistadell’interazione fra scuola e teatro, nel Cantiere “Per una carta d’intenti del teatro per l’infanzia e per lagioventù” (Parma, Teatro delle Briciole, maggio - giugno 2001). Il teatro per i ragazzi e i giovani, diceBaliani, “era un movimento, poi è diventato un settore, adesso è un mercato”.

D’altra parte, anche in questo caso, come spesso accade, la crisi non consegue a un puro e semplicefenomeno d’esaurimento, ma al prodursi di tensioni e mutamenti, che non vengono più recepiti dai siste-mi operative e culturali che – proprio perciò – entrano in crisi.

Alla doppia dialettica fra tradizione e innovazione che, negli anni Sessanta, aveva connesso gli svilup-pi del teatro a quelli dell’istituzione scolastica, si sostituisce ora un’estesa riformulazione delle professio-ni culturali, che, come ha recentemente rilevato Loredana Perissinotto, s’inquadrano in una ripartizionefra area della mediazione, area dell’azione, area della relazione. Alla prima appartengono gli elementi diconnessione fra chi finanzia, chi produce e chi fruisce; alla seconda gli specialisti dei linguaggi nel settoreartistico, espressivo, culturale e ricreativo in senso lato; alla terza le professioni del sociale (educatori,sociologi, psicologi, medici, pedagogisti) che si fanno portatrici di una visione “funzionale” della culturae delle prassi artistico-espressive-ricreative.

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82 INNOVAZIONE EDUCATIVA

Bisogna inoltre considerare che il teatro, in quanto organismo di relazioni in atto, può prodursi anchein assenza di memorie e tradizioni specifiche, metabolizzando dal vissuto dei suoi partecipanti imprintingculturali apparentemente anti-teatrali. Credo, anzi, che proprio questa sua peculiarità, ne stia rigenerandola presenza all’interno della scuola. Nella civiltà dei sistemi comunicativi di massa e della cultura globa-le, il teatro si pone, infatti, in quanto strumento di comunicazione diretta e fattore di avvicinamento fraprofessioni, competenze, realtà e persone. Per chi ne segue gli svolgimenti nel sociale come insegnante ocome esperto, il problema principale è ora apprendere a intrecciare la dimenticanza e l’approfondimentodei suoi percorsi storici. La prima facilita la rigenerazione dell’atto teatrale a contatto delle giovani gene-razioni, mentre il secondo consente di coltivare tale seminagione, riconoscendone le potenzialità e glielementi caratteristici.

Il teatro, che, preso di per sé, coniuga il passato del racconto al presente della realizzazione scenica,incorre, a contatto dei ragazzi – “spettatori in moviemento biologico”, come li definisce Baliani –, inscioccanti intermittenze mnemoniche che lo spingono a ritrovarsi aldilà di sé stesso. Al proposito, scriveRoberto Frabetti, regista e drammaturgo della Baracca di Bologna: “Se la memoria si perdesse, si rico-mincerebbe da capo. […] Semplicemente abbiamo rielaborato e fatto nostre cose che nel mondo c’eranogià. Tu sei solo un rielaboratore di idee non un produttore”.

I citati interventi di Marco Baliani, Per una carta d’intenti del teatro per l’infanzia e la gioventù, eCristina Valenti, Contemporaneità del teatro ragazzi, sono in “ateatro”, 2001, n. 18 (rivista telematicaconsultabile nel sito www.trax..it/olivieropdp/ateatro2001/ateatro18.htm); Loredana Perissinotto, Ani-mazione teatrale. Le idee, i luoghi, i protagonisti, Roma, Carocci editore, 2004; Piccolo Maria, Poeticheper il teatro ragazzi: i casi de La Barracca. Tesi di laurea in Storia del teatro e dello spettacolo, Corso dilaurea in DAMS teatro, Università di Bologna, A.A. 2004-2005.

Teatro, scuola, cinema

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Teatro, scuola, cinema

La scuola nel cinema

Giacomo Manzoli

La rappresentazione cinematografica dell’universo scolastico: incubi e idealiIn principio, sullo schermo, la scuola era un incubo. Lo era per gli studenti, vessati da una classe di

docenti che riproduceva foucaultianamente tutti i meccanismi del potere applicati alla disciplina delleenergie intrinsecamente rivoluzionarie provenienti dal corpo – prima ancora che dalla psiche – dei giova-ni. La scuola era un luogo concentrazionario, cantato in modo sublime da Jean Vigo in Zero in condottae poi ripreso da François Truffaut ne I 400 colpi.

Le pagine memorabili di Bertrand Russell che dimostrava al suo insegnante di matematica l’errore dimetodo e per questo veniva messo in punizione (punizione corporale, non a caso)1 , sembravano trovareimmediata risonanza in questi film di ispirazione genericamente anarchica, nei quali la classe dei giovanie innocenti alunni era sottoposta a ogni tipo di vessazione da parte di una classe di docenti sadici e ottusi.Non solo il sapere non era negoziabile, ma – peggio – la posta in palio non era il sapere, bensì la capacitàdi stare al proprio posto nel mondo. Di tutto questo, a distanza di una cinquantina d’anni è rimasta unapallida eco, quasi una nostalgia.

Nell’esilarante Top Secret, di Jim Abrahams, Jerry e David Zucker, il protagonista viene torturato daferoci guardie della Germania Est e sviene. Un effetto flou ci introduce al sogno del malcapitato. Ètornato bambino e si immagina di essere nuovamente di fronte al portone della scuola allo scoccare dell’orafatidica in cui suona la campanella. Non ha studiato e teme l’interrogazione programmata. Il suo miglioreamico gli suggerisce di entrare ma lui tergiversa, sudando e disperandosi in preda al più atroce dei dilem-mi. A questo punto il sogno si interrompe. L’uomo si sveglia e copre di essere ancora nella stanza delletorture. Realizzato che quello della scuola era solo un sogno, il suo commento è: “Ah, è bella la realtà!”.

Ancora, nel celebre film di Peter Weir, L’attimo fuggente, il neo-professore interpretato da RobinWilliams cerca di spingere i suoi allievi ad affermare se stessi in quanto individui nonostante quelmicrocosmo di condizionamenti sociali che la scuola rappresenta. Qui la regola della funzione scolasticaviene infranto da un soggetto che non vuole più imporre il modello di “come si deve stare” nel mondobensì, più ambiziosamente, di suggerire un metodo su come si può essere (sottinteso: se stessi), standonel mondo. L’istituzione reagisce e lo emargina, richiudendosi sulle aspirazioni dei ragazzi con effettidevastanti. Niente di strano, allora, se nel commovente Anni ‘40 di John Boorman i ragazzini inglesiesultano festanti quando una bomba sganciata dagli aerei tedeschi riduce l’edificio scolastico in un cumu-lo di macerie. L’immagine concepita fellinianamente dal regista inglese, con quella grandiosità oniricache assumono le immagini dei ricordi infantili, è qualcosa di più di una semplice gag. È la metafora diquanto avvenuto a quel modo di plasmare il mondo di cui la scuola tradizionale era depositaria. Da allorale cose non saranno più come prima.

Coerentemente, l’idea che si è affermata nei decenni successivi per quanto attiene la rappresentazionedell’universo scolastico è ugualmente un incubo, ma a ruoli invertiti. Gli anni che seguono la fine della

——————1 Bertrand Russell, La mia vita in filosofia, Longanesi, Milano, 1966.

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Teatro, scuola, cinema

Seconda Guerra Mondiale sono anni di ricostruzione, ma la scuola londinese di Boorman non verràcertamente rimessa in piedi secondo la pianta originaria.

Sviluppo tecnologico e diffusione del benessere, uniti al completamento dei processi di urbanizzazioneiniziati già nel secolo precedente portano all’affermazione di nuovi fenomeni sociali che investono diret-tamente l’universo scolastico e che vengono registrati dalle antenne del cinema nel momento stesso in cuiavvengono.

Ciò che produce il cambiamento più rilevante sotto il profilo sociologico è quella che lo storico GuidoCrainz definisce “l’invenzione della gioventù”2 , ovvero la nascita di una forte coscienza generazionale,autonoma e antagonista ma autorizzata dal contesto per ragioni economiche e culturali. In Italia questofenomeno si manifesta nel corso del cosiddetto boom economico (fra il 1958 e il 1963), mentre in Ame-rica il processo inizia qualche anno prima. Non sorprende, perciò, lo scalpore suscitato da un film comeIl seme della violenza, firmato nel 1955 da Richard Brooks. Qui l’insegnante è un ex-marine che hadeciso di fare l’insegnante per poter condividere il suo sapere ma soprattutto per potersi dedicare a unavita tranquilla. Si sbaglia di grosso, perché l’incarico al quale è destinato lo porterà a confrontarsi con unavera e propria jungla (Blackboard Jungle, del resto, è il titolo originale). Saltati per aria tutti i vecchivalori e l’impostazione gerarchica della famiglia tradizionale, i ragazzi che popolano questa scuola difrontiera sono abbandonati a se stessi da genitori che faticano a entrare nella logica del ruolo e hannocreato una specie di microcosmo adolescenziale, ovvero una società regressiva, dove i più forti e aggres-sivi dettano legge e i più deboli soccombono. Sulla stessa linea ideologica, ancora Richard Brooks, alcunianni più tardi, girerà Il signore delle mosche, ma qui siamo ancora in una fase aurorale in cui l’ottimismodeve trionfare sui segnali inquietanti che provengono dall’ambiente descritto. Il protagonista del Semedella violenza, Glenn Ford, riuscirà infatti a isolare gli elementi irrecuperabili (il virus) e a condurre sullaretta via gli altri alunni, proponendo un negoziato a metà strada, dopo aver appreso i codici che regolanoi rapporti di questa comunità giovanile e aver conquistato la fiducia degli individui più carismatici. Fraquesti c’è anche un giovanissimo Sidney Poitier il quale, nel 1967, si ritroverà dall’altra parte dellacattedra nell’East End londinese, fra alunni che paiono sintonizzati sulla lunghezza d’onda su cui tra-smette, appena un anno dopo, Se... di Lindsay Anderson, vero e proprio manifesto del Free CinemaInglese, nel quale Malcom McDowell e altri amici si rifugiano su un tetto per sparare a professori ecolleghi (proprio come nel citato Zero in condotta: solo che lì i ragazzini non sparavano ma si limitavanoa gettare goliardicamente oggetti da poco sulle teste ufficiali di presidi e gendarmi). Più realisticamente,Sidney Poitier, in La scuola della violenza, si trova a fronteggiare una serie di provocazioni e di compor-tamenti indecifrabili, la cui violenza latente è in realtà segno di un malessere generazionale che il purgiovane professore non ha i mezzi per affrontare. E questo è anche il tema di buona parte dei film che sisuccederanno nella medesima ottica. La scuola è l’incubo dei professori, gettati a far da mediatori fraquesto sub-universo giovanile di ribelli senza causa (Rebel without a Cause è il titolo originale di Gio-ventù bruciata) e quello degli adulti, due stili di vita e di pensiero ormai apparentemente inconciliabili,portatori di prospettive che non riescono ad entrare in comunicazione. Il docente è il traduttore/traghettatore,ma si trova nella posizione scomodissima di chi possiede una competenza culturalmente limitata alla suadisciplina, senza essere stato avvertito dei problemi e senza la dotazione di strumenti pedagogici all’al-tezza di un compito così delicato e rischioso. Il pericolo di un atteggiamento sbilanciato, di tolleranzaincondizionata che poi si trasforma in aggressività paranoica è altissimo, come dimostra Cane di paglia——————

2 Guido Crainz, Storia del miracolo italiano, Donzelli, Roma, 2003.

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Teatro, scuola, cinema

di Sam Peckimpah, ma per lo più, sia pure con le ingenuità dovute alla politica del “fai da te”, si riesce atrovare un punto di contatto e ad instaurare un rapporto autentico fra docenti e studenti.

Siamo in qualche modo all’invenzione della scuola nel senso avanzato, nobile del termine. Luogo ditrasmissione di un sapere e di formazione alla vita, nel quale il singolo è aiutato a sviluppare una propriapersonalità sulla base delle inclinazioni individuali ma in funzione del ruolo che dovrà svolgere nelcontesto sociale. Ma nella rappresentazione cinematografica, una volta che la ferita generazionale fra idue poli della relazione scolastica è stata suturata, dopo che l’alleanza collaborativa è stata in qualchemodo sancita, ecco affacciarsi un nuovo conflitto, un nuovo nodo problematico su cui il cinema (che persua stessa natura di mezzo narrativo e rappresentativo trae linfa dalle tensioni reali) può proseguire il suolavoro d’indagine. Stabilito che docenti e studenti, più o meno di comune accordo, “fanno scuola”, restada stabilire quali sono i rapporti che questo universo ormai intergenerazionale instaura con il resto delmondo.

E qui si torna all’etimologia del termine scuola, scandagliato nelle diverse facce che la sua ambivalenzapropone. E in questo senso sono esemplari film come Chiedo asilo di Marco Ferreri e Roberto Benigni o,sia pure con una intenzione un po’ forzata, Mery per sempre di Marco Risi. La scuola, da un lato, è iltempo “libero” dedicato allo studio. Un tempo sottratto – per legge – alle regole ferree della produzionedi beni che scandiscono la vita contemporanea dei paesi industrializzati. Fuori c’è un carcere: letteral-mente, nel film di Risi, metaforicamente in quello di Ferreri/Benigni. Allora viene quasi spontaneo cerca-re rifugio (chiedere asilo, appunto) in questo ambiente protetto, nel quale coltivare l’illusione di un cam-biamento. Di una modificazione dei destini (individuali e collettivi) attraverso le pratiche per cui questospazio è progettato e alle quali è dedicato. Ma non c’è protezione che possa prolungare questa sospensio-ne oltre i limiti spaziali e temporali definiti. Prima o poi l’esterno fa irruzione e costringe a fare i conti conquel principio di realtà che spesso e volentieri frustra l’ambizione idealistica appena ricordata. La scuolaallora diventa un luogo dello straniamento. Benigni non può sottrarre i “suoi” bambini alle tensioni dellafamiglia e al condizionamento del Sistema. L’asilo progressista, moderno e colorato nel quale si trova alavorare diventa un ambiente paradossale, quasi una parodia. E dopo le cose non migliorano. MichelePlacido non può strappare i ragazzi del riformatorio palermitano al destino tragico che la persistenza dizone depresse ha previsto per loro. Come avevano già previsto De Sica e Zavattini nel sottovalutato Lochiameremo Andrea, il rischio del docente nel panorama della postmodernità che si andava delineando èquello dell’alienazione. Come gestori di un parcheggio3 , i docenti avvertono la vertigine della distanzasiderale che si crea fra la delicatezza e l’importanza nominale del ruolo che sarebbero chiamati a svolgeree la svalutata considerazione cui tale compito è ridotto.

Così si arriva a quel clima disforico che caratterizza, visto in una luce sinistra, Bianca di Nanni Moretticome (in chiave più leggera) La scuola di Daniele Luchetti e il più recente Caterina va in città di PaoloVirzì e Tre metri sopra il cielo di Fabrizo Lucini.

Molto più pragmatici, gli americani hanno fatto di molti dei loro film più recenti dedicati all’argomen-to una sorta di manuale di istruzioni per reagire al pericolo della sfiducia: il messaggio è chiaro e pocorassicurante. Dopo le atmosfere concilianti degli anni Settanta, culminate nel serial Welcome Back, Kotter(per intenderci, quello con John Travolta nei panni dell’alunno poco raccomandabile ma in fondo bona-rio), film come Pensieri pericolosi di John N. Smith o Un poliziotto alle elementari di Ivan Reitman, con

3 La metafora della scuola come parcheggio è del sociologo americano Paul Goodman, Individuo e comunità, Elèuthera, Milano, 1995.——————

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86 INNOVAZIONE EDUCATIVA

Teatro, scuola, cinema

la loro schiera di imitatori e remake propongono il ritorno ad un modello resistenziale e autoritario,militarizzato, per quanto attiene il rapporto fra adulti e ragazzi nel quadro della scuola in tutti i suoi gradi.Segnale sinistro, si diceva, che può produrre conseguenze devastanti, come dimostrano tanto MichaelMoore (Bowling for Columbine) quanto Gus Van Sant (Elephant), prendendo spunto dall’aumentoesponenziale degli atti violenti compiuti – dentro e contro la scuola – da studenti che hanno varcato lasoglia di una disperazione senza ritorno, perdendosi nel labirinto di uno spazio mentale e fisico angosciante.

Molto altro potrebbe essere detto, molti altri titoli citati e molte altre prospettive chiamate in causa. Loscopo, tuttavia, era solo quello di proporre alcuni spunti per un ulteriore utilizzo didattico del cinema.Sappiamo bene che da molti anni si discute della maniera migliore di far entrare in modo sistematico ilcinema nelle aule. La cronica carenza di risorse e l’altrettanto forte resistenza all’innovazione checontraddistinguono il sistema scolastico italiano hanno fatto sì che i tre possibili utilizzi del mezzo audio-visivo siano stati lasciati alla buona volontà di singoli docenti o di istituzioni che esercitano la loroinfluenza su segmenti parziali della pubblica istruzione. Pur in assenza di un piano sistematico, a livellonazionale, per l’introduzione dell’audiovisivo nella scuola, molto è stato fatto in questa direzione, coniniziative di altissimo profilo, sia di base che a livello regionale4 . Conseguentemente si è sviluppata unaamplia bibliografia sull’argomento5 , utile ad impostare il lavoro sull’audiovisivo lungo le tre direttriciprincipali che hanno ormai una tradizione consolidata: 1) uso strumentale del cinema per introdurre lariflessione su argomenti inerenti alle diverse discipline umanistiche o scientifiche. 2) sviluppo di capacitàcritiche per la decodifica dei messaggi che passano attraverso la comunicazione audiovisiva, sempre piùpervasiva. 3) studio del cinema come disciplina autonoma, nonché della pratica del cinema in quantomezzo espressivo particolarmente congeniale alle peculiare configurazione psicologica di studenti cre-sciuti nell’attuale sistema mediatico.

Il nostro excursus intendeva proporre, molto modestamente, una quarta via, che poi potrebbe essereconsiderata una sorta di sottoinsieme di quanto indicato al punto 1. Poiché il cinema è anche uno deiprincipali siti di negoziazione delle identità individuali e collettive, a partire dalla rappresentazione chestoricamente questo ha fornito dell’universo scolastico in tutte le sue forme, quale influenza ha esercitatosull’identità specifica del contesto scolastico nel quale ci si trova ad operare? Detto in altri termini: aquale delle scuole raccontate dal cinema ci si sente più vicini e in quali dei pregi e dei difetti ci si ricono-sce più aderenti? Quali autorappresentazioni del proprio ruolo all’interno del quadro scolastico sonodebitrici di modelli importati, più o meno inconsciamente, dalla finzione cinematografica? A quali dellescuole mostrate sullo schermo si desidera assomigliare, avendo tarato il racconto sulla realtà effettiva incui si opera?

Il cinema, insomma, come specchio – a volte fedele e a volte deformante – da cui partire per una meta-riflessione sulla scuola, le sue funzioni, le sue contraddizioni, nella prospettiva di una sua riprogettazionefutura che parta dal coinvolgimento diretto dei soggetti che la compongono.

4 Chi scrive ha avuto modo di constatare direttamente l’alto livello scientifico e culturale delle iniziative proposte in ambito scolasticodall’IRRE e dall’Agis dell’Emilia-Romagna e delle Tre Venezie nel corso degli ultimi dieci anni, nonché di iniziative specifiche promosseda singole scuole sul territorio dell’Emilia-Romagna o da gruppi di docenti come quelli che compongono l’associazione Gli anni in tascache opera nella provincia di Bologna.

5 Solo per restare a contributi recenti, segnaliamo F. Cumer, Cinema per la didattica, Istituto Pedagogico, Bolzano, 2000; M. Porcelli,Apriamo il film a pagina..., La Nuova Italia, Firenze, 2000; F. Cicardi, Cinema: uno sguardo sull’esperienza. Proposte curricolari epratiche didattiche, Franco Angeli, Milano, 2001; L. Marini, S. Vannini, Educare al cinema e attraverso il cinema. Strumenti per ladidattica, IRRE Toscana, Firenze, 2001; A. Agosti (a cura di), Il cinema per la formazione. Argomentazioni pedagogiche e indicazionididattiche, Franco Angeli, Milano, 2004.

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Il D.P.R. 8/3/1999 n.275 (di regolamentazione dell’autonomia organizzativa e didattica), all’art.4 com-prende, tra le finalità dell’autonomia, la piena integrazione dei disabili. La differenziazione e la flessibi-lità di spazi, tempi, gruppi e metodologie,che da sempre caratterizzano la vita di una classe che sa “accogliere e integrare”i ragazzi diversamente abili, vengono proposte come opportunità per qualificaretutte le situazioni didattiche.

Resta ancora fondamentale la legge quadro n. 104 del 5/2/1992 che unifica le numerose norme inmateria di tutela dei diritti delle persone con handicap e la più recente legge n.328 del 18/11/2000 per lariorganizzazione dei servizi di carattere assistenziale e sociale, che riconferma il concetto di “territorialitàe di “integrazione” degli interventi.

Nonostante la presenza di documenti ufficiali e norme positive sotto il segno dell’integrazione, nellarealtà scolastica emergono alcune difficoltà che segnalano qualche disagio nella gestione della disabilità:

• Crescita degli alunni certificati in situazione di handicap• Isolamento e solitudine dell’insegnante di sostegno con ripercussione sulla propria identità profes-

sionale, oscillante fra la ricerca di una didattica “speciale” e la percezione di un “ruolo tuttofare”checonsiste nel prendersi cura, da solo, di tutti i bisogni dell’alunno con handicap

• Professionalità non diffusa dell’insegnante di sostegno• Rarefazione degli insegnanti forniti di specializzazione• Difficoltà di gestione della classe da parte dei docenti curriculari, che si traduce in disagio e conse-

guenti comportamenti

Sul versante esterno alla scuola• Presenza di associazioni e servizi non utilizzati pienamente• Sensibilità e disponibilità del territorio da sollecitare, accertare• Domanda costante di integrazione da parte delle famiglie di alunni H a cui si aggiunge la perplessità

delle famiglie sulla gestione delle attività a causa: 1. della percezione dell’integrazione scolastica troppospesso collegata alla sola presenza dell’insegnante di sostegno. 2. conseguente problema di sostituzionedei docenti in caso di assenza 3. necessità di supporto al docente curriculare. 4. interruzione e non garan-zia dei percorsi e processi di orientamento e continuità

È sulla base di queste riflessioni e delle emergenti problematiche che il II circolo didattico diCampobasso, insieme ad altre scuole, si è fatto promotore sin dal 1999, e sta ancora sperimentando conrisultati soddisfacenti, il seguente progetto descritto nei suoi elementi strutturali e operativi.

Descrizione del progetto

Labor Scuole Aperte è un progetto sperimentale consorziato di durata triennale che nasce con l’intento difavorire l’integrazione nella scuola,e più in generale, nella società, dei soggetti in condizioni di handicap.

Scuole aperte per l’integrazione

Dora Mattia

Laboratori

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88 INNOVAZIONE EDUCATIVA

Il progetto, di ispirazione cognitivista, si fonda sulla convinzione che i processi di elaborazione delleinformazioni avvengono attraverso:

• l’attivazione di mappe cognitive preesistenti• l’integrazione di nuove informazioni• la creazione di nuove strutture mediante procedimenti analogici sia per i normodotati che per i porta-

tori di handicapLe condizioni di apprendimento si realizzano attraverso il fare, disegnare, scrivere e parlare, suonare e

cantare, digitare, muoversi utilizzando la modalità della didattica laboratoriale. In questo modo si cerca difavorire, attraverso le capacità di comunicare e di relazionare, l’acquisizione e il potenziamento del proprio “io”.

Il soggetto può apprendere una pluralità di linguaggi con cui esprimersi e con cui appropriarsi deisistemi simbolici-comunicativi propri della sua cultura per raggiungere uno stile di pensiero, oltre alleabilità specifiche.

L’approccio sistemico consente di leggere il bambino n relazione ai vari contesti nei quali è inserito edi immetterlo in altri, così che trovi strumenti sempre più rispondenti al proprio stile cognitivo e affetti-vo-relazionale.

Da un’integrazione a classi aperte si passa a una integrazione a scuole aperte in continuità, coinvol-gendo le scuole materne, elementari e medie del territorio in laboratori attivati dagli enti consorziati.

A tal fine è organizzata una rete in cui le scuole coinvolte (dell’infanzia, primaria e media) interagisconotra di loro secondo Circuiti e collaborano:

- in maniera orizzontale, dal punto di vista metodologico e contenutistico- in maniera verticale, in un’ottica di continuità e reciproco sostegno.• Compongono la rete:• Il Comune: Assessorato delle Politiche Sociali• La Direzione Scolastica Regionale• Le scuole dell’infanzia, primarie, medie e gli istituti comprensivi del Comune• Il centro socio-educativo Peter Pan• La ASL: Centro di riabilitazione motoriaL’intesa è definita in un protocollo sottoscritto dai partecipantiDestinatari: 80 alunni disabili, più di 1700 alunni normodotati organizzati in 5 circuiti comprendenti

4 circoli didattici, 1 scuola media, 4 istituti comprensivi.

Finalità formative generaliFacilitare l’integrazione sociale attraverso il riconoscimento del valore della diversità come ricchezza,

per superare i pregiudizi.

Metodologia• Didattica laboratoriale• Individualizzazione dell’insegnamento• Cooperative learning

AttivitàNel laboratorio psicomotorio: attività finalizzate allo sviluppo della relazione e delle funzioni

percettive e motorie in stretta relazione con quelle mentali.

Laboratori

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Nel laboratorio teatrale: gioco drammatico, espressivoNel laboratorio creativo: esperienze visive e tattili, uso di strumenti, materiali tecniche diverseNel laboratorio musicale: Attività di percezione e distinzione di semplici fenomeni sonoro (suoni,

rumori, silenzio), di comprensione e utilizzo dei diversi linguaggi sonoro e musicali, di riproduzione disemplici sequenze ritmiche, di ascolto e riproduzione di brani corali, di espressione di sensazioni e emo-zioni suscitate da un brano musicale

Nel laboratorio informatico: uso di programmi flessibili per il potenziamento delle capacità criticheNel laboratorio del Centro Peter Pan: attività manipolative costruttive, creative

Organizzazione e modalità di funzionamento• L’organizzazione, progettata e condivisa, confluisce in un organigramma dove sono chiaramente

individuati luoghi, tempi di svolgimento delle attività, funzioni e compiti di ciascuna figura profes-sionale coinvolta.

• Le scuole sono articolate in circuiti. Ciascun circuito comprende le scuole dell’infanzia, primarie emedie che insistono sullo stesso territorio e che hanno potenzialmente un bacino di utenza comune. Si èverificata, nel tempo, la ridefinizione e l’allargamento dei circuiti per esigenza di confronto, rivitalizzazionee moltiplicazione dei laboratori.

• Ciascuna scuola, in rapporto alle proprie risorse e disponibilità, allestisce e mette a disposizione delcircuito uno o più laboratori

• Ai laboratori accedono gli alunni delle classi in ci sono presenti alunni portatori di handicap, organiz-zati per gruppi

• Ciascuna classe è divisa, in genere, in 2 sottogruppi.• Il gruppo di laboratorio è formato in genere da 2 sottogruppi provenienti da classi/scuole contigue in

verticale• Ciascun sottogruppo frequenta,nell’anno scolastico, un solo laboratorio, mentre l’alunno disabile è

aggregato ad entrambi i sottogruppi in cui è stata divisa la classe di appartenenza.Pertanto la frequenza al laboratorio ha una durata raddoppiata consentendo tempi più lunghi per l’in-

tegrazione/apprendimento e sollecitazioni maggiori e/o più frequenti. Inoltre l’alunno disabile , in rap-porto alla gravità e alla specificità dell’handicap di cui è portatore, può frequentare anche laboratori a cuiaccedono classi diverse da quella di appartenenza

• I laboratori sono distinti in interni quando la frequenza non comporta l’allontanamento dalla propriascuola, ed esterni

In conclusione il progetto presenta i seguenti punti di forza e acquista carattere innovativo nel panora-ma delle iniziative scolastiche molisane e può rappresentare un’ipotesi didattico- organizzativa trasferibileanche in altre realtà.

Il progetto presenta carattere innovativo perché:• Richiede e promuove iniziative che coinvolgono altre scuole attraverso la costruzione di reti che si basano

su tipologie differenti e obiettivi comuni, stabilendo uno straordinario intreccio comportamentale e culturale• Risponde all’esigenza di una sempre più ampia flessibilità e modularità di percorsi attenti ai bisogni

e alle offerte del territorio• Soddisfa le richieste dei genitori che, favorevoli a un tempo scolastico ricco di momenti di integra-

zione e socializzazione, faciliti, consolidi e sviluppi competenze culturali e relazionali

Laboratori

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• Stimola la creatività progettuale degli alunni e dei docenti, nonché la loro professionalità• Offre maggiore eterogeneità dei percorsi formativi e personalizzazione dei Pecup per dare a tutti la

possibilità di esprimere le proprie potenzialità secondo i ritmi di ciascuno• Valorizza il gruppo classe , dando spazio alla diversità di abilità personale e incentivando la rete delle

relazioni, attraverso metodologie di gruppo diversificate nei diversi livelli di scuola• Incentiva lo sviluppo di linguaggi comunicativi nell’incontro con metodologie diversificate che va-

lorizzino lo sviluppo personale e sociale dei bambini• Sostiene la relazione tra insegnanti e alunni attraverso nuove esperienze che modificano i punti di

vista ed aprono alla conoscenza reciproca

Punti di forza• Sinergia degli interventi: ciascun nodo della rete, oltre alla gestione dei propri interventi didattici,

si apre a una relazione collaborativi mettendo a disposizione di un’utenza allargata le proprie risorse,ovviando ad una moltiplicazione dispendiosa di spazi attrezzati, difficilmente realizzabile altrimenti

• Continuità tra scuole e tra scuole e territorio, per una crescita culturale e un impegno socialediffusi

• Dimensione collegiale che vede convergere le diverse professionalità presenti nella rete nelloscambio,utilizzo diffusione e programmazione delle migliori pratiche per l’integrazione del disabile nelcontesto scolastico di appartenenza,in quello scolastico allargato e in quello del più vasto territorio deiservizi extrascolastici

• Programmazione di interventi mirati, che individua e definisce le finalità e gli obiettivi formativiche si intendono perseguire, i percorsi formativi, la selezione dei contenuti, delle unità di apprendimento,l’allestimento di un ambiente motivante e coinvolgente, l’osservazione e la puntuale registrazione deidati osservati, le verifiche al termine di ciascun percorso realizzato, la socializzazione dei risultati, laricognizione del materiale e dei sussidi per l’integrazione delle risorse

• Il progetto risulta un intervento interno al curricolo e non aggiuntivo /facoltativo• Le specificità dell’organizzazione che consistono nella flessibilità oraria degli utenti e degli opera-

tori, nella mobilità oraria dei gruppi e degli operatori, negli scambi di ruoli e di funzioni.

Laboratori

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Laboratorio di avvicinamento e conoscenza della pratica teatrale per gli studenti della facoltà discienze della formazione

Nei progetti di intervento sul territorio - si tratti o meno di situazioni di disagio - capita spesso ditrovare inseriti laboratori teatrali di varie forme ed obiettivi: tali inserimenti possono costituire un appor-to assai positivo ma solo se non fatti a casaccio. Durante i colloqui di progettazione non è raro sentirpronunciare dai responsabili della committenza - sia essi funzionari delle pubbliche amministrazionioppure esponenti di associazioni o gruppi - frasi del tipo un po’ di teatro non fa certo male, come se sitrattasse di somministrare una compressa di aspirina, oppure con il teatro si imparano ad esprimere leemozioni, come se tutti gli sventurati che non hanno mai avuto la grazia di calcare un palcoscenicofossero condannati ad un abisso di incomunicabilità.

È un parlare che per un professionista del teatro suona quanto meno irritante, quando non offensivo: ilteatro nei luoghi non teatrali è una terra di nessuno dove - incontrando persone che non hanno scelto equasi certamente mai sceglieranno di diventare attori - si dà cittadinanza tanto al dolore di un’esistenzatravagliata quanto alla pura gioiosa estroversione. Questi due aspetti fanno parte di un amplissimo scibileemotivo e affettivo composto dalle più varie mescolanze, in relazioni di causa ed effetto tutt’altro cheprevedibili o controllabili.

In questo stato di perenne imponderabilità si gioca una partita che non ha certo bisogno di luoghicomuni, o - peggio - di valutazioni superficiali: una presenza teatrale progettata senza considerarne ilcontesto di inserimento, senza non dico pianificare ma almeno essersi posti obiettivi intermedi e pro-grammato momenti di verifica, senza aver definito quale debba essere la funzione dell’attività (formazio-ne di una compagnia teatrale, intrattenimento, sostegno terapeutico, evidenziazione delle dinamiche delgruppo, giornale animato e quant’altro) porta a sicuri insuccessi, che vanno dal classico flop a veri epropri episodi di violenza incontrollata.

Il training di un attore occidentale richiede che egli metta a disposizione le sue emozioni: le emozionisono legate ai suoi ricordi, i suoi ricordi sono collocati nella sua sfera più intima, e lungo è il lavoro cheporta un allievo a mantenere il controllo su questa sfera emotiva quando è in scena, proprio per evitareche le emozioni dilaghino come un fiume fuor dagli argini. Allora la frase un po’ di teatro non fa certomale non è semplicemente superficiale, ma racchiude potenzialità distruttive: è quindi inaccettabile in-trodurre un’attività teatrale ad esempio in situazioni istituzionalizzate (carceri, comunità terapeutiche)senza un minimo di cognizione di causa rispetto alle cariche emotive che possono essere coinvolte.

È lecito obiettare che non è necessario essere attori per avere un’idea di cosa si vada a proporre quandosi vuole inserire in un progetto una qualsiasi attività teatrale, ma è innegabile che in questo caso averesvolto un minimo di pratica può aiutare molto la grammatica.

Allo stesso modo è vero che molti sono i teatri possibili, nel senso che i livelli di profondità, i tipi diapproccio, i linguaggi del lavoro teatrale non conoscono regole e limitazioni e possono essere diversissi-mi fra loro pur trattando lo stesso argomento: per rendersene conto basta domandarsi quante sono le

Le emozioni del teatro

Fabrizio Bonora

Laboratori

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versioni dell’Edipo Re andate in scena negli ultimi vent’anni, e di quante potremmo dire che fosserol’una copia dell’altra. Ma se i teatri possibili sono molti e le loro forme assai diversificate, la funzione delteatro - citando Eugenio Barba - è di raccogliere le persone attorno alle ferite di tutti; da sempre le feritedolgono, con buona pace di qualsiasi teorizzazione, e già solo l’attenzione e l’accoglienza ai feriti piùgravi e dolenti presuppongono, richiedono, esigono rispetto e coscienza del proprio fare, anche quando -e questo è il nostro specifico caso - l’intervento verrà delegato ad altre persone, scelte in base a criteri dicapacità professionale.

Impiegando una quantità di tempo valutabile al massimo in una ventina di ore, una serie di esercitazio-ni - possiamo anche chiamarle sperimentazioni su sé stessi - può portare ad un livello di coscienza suffi-ciente ad evitare valutazioni affrettate dell’impatto che un intervento teatrale può comportare, e program-marne l’impiego senza fare buchi nell’acqua o scatenare dinamiche di gruppo tanto incontrollabili quantodirompenti. Un operatore culturale, un animatore professionale o chiunque intenda occuparsi di interventiche tendano a modificare una situazione di potenziale o effettivo disagio verrebbero assai facilmente atrovarsi - senza aver sviluppato questo tipo di conoscenza - in zone di rischio dalle quali sarebbe poi difficileuscire, a maggior ragione nel momento in cui la presenza sul campo di queste stesse persone - e della lorocapacità di ascolto - costituisce uno dei punti di forza nel percorso attuativo di qualsiasi intervento.

È importante allora sperimentare di persona quali sensazioni ed emozioni entrano in gioco quando lemani di due persone si toccano durante un’improvvisazione, quando un conflitto, costruito e immaginatoindividualmente, viene messo in scena davanti a un pubblico, quando si consente ad un estraneo di guida-re la propria immaginazione in situazioni che evocano di volta in volta dolcezza, paura, ansia, desideriodi dare protezione o ricevere aiuto, quando il contatto fisico viene usato come un insulto, quando il teatronon è imitazione della vita ma parte della vita stessa.

Ancora una volta non si tratta del Teatro con la T maiuscola rinchiuso in qualche torre d’avorio, ma delsuo impiego come strumento di formazione personale e professionale da un lato, e di dinamicissimovettore di quelle istanze che non riescono a trovare verbo che le esprima, dall’altra.

Durante il laboratorio proposto agli studenti della Facoltà di Scienze della Formazione viene svolto ilpercorso che porta alla preparazione di un personaggio attraverso l’evocazione degli stati emotivi e dellemotivazioni che lo muovono, impiegando tecniche ed esercizi mutuati dalle ricerche di Stanislavskij edal Metodo Strasberg. È ovvio che il vero lavoro di costruzione di un personaggio richiede tutt’altritempi, ma i punti salienti di questo itinerario ci sono tutti, e soprattutto non mancano le occasioni perrendersi conto di quanto intima possa essere la ricerca, a quali preziosi tesori senza voce o senza volto siapossibile accedere, e allo stesso tempo rendersi conto di un pericolo, o meglio del pericolo: a quale nuditàdell’anima si possa giungere quando la ricerca viene molto approfondita, nudità che - ogni attore lo samolto bene - va gelosamente custodita se non si vuole essere divorati. Una nudità che - e questo sonomolti meno a rendersene conto - dà a chi guida l’esperienza teatrale la chiave di accesso alla sfera piùvulnerabile dei partecipanti.

Chi decida di essere una persona che si occupa di altre persone deve avere ben presente anche questo,tanto nella progettazione quanto nella scelta dei partner.

Laboratori

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Il progetto didattico qui tracciato desidera stimolare la creatività dei ragazzi e delle ragazze, e favorirela verbalizzazione delle emozioni che spesso rimangono nascoste ed inesplorate. Pervenire ad un loropositivo controllo ed espressione, permette agli studenti di condurre le emozioni che si aprono nel terrenodell’apprendimento verso un fine, costruendo consapevolmente un “contesto” di relazione e di fiducia, disostegno e di rispetto di sé e dell’altro. Sottolineare l’importanza della conoscenza del linguaggio emoti-vo, e delle conseguenze che esso assume nelle relazioni, permette agli studenti di poter ri-utilizzareconsapevolmente alcuni processi appresi nel contesto dell’esperienza scolastica, come per esempio nellaprevenzione a forme di prevaricazione (bullismo), nella soluzione dei conflitti (negoziazione e mediazio-ne), nell’affrontare situazione di ansia (metodo di studio).

Sul terreno più ampio delle finalità della scuola, aiutare il riconoscimento e l’espressione delle emo-zioni, significa fornire quote di opportunità per entrare in contatto con una gamma differenziata di sistemie di segni, acquisendo strumenti che rendono competenti in vari linguaggi (verbali, non verbali) e co-struendo opportunità per crescere individualmente ed in relazione con ogni altro. Rendere gli studenticompetenti in socialità, permette di accettare più facilmente gli altri, di integrare nell’esperienza scolasti-ca e di classe le altre culture, di apprendere per la vita.

Si possono intercettare quindi le “Indicazioni Nazionali”, che presentano l’idea di una Scuola comel’ambiente educativo di apprendimento, nel quale trovare occasioni per maturare progressivamente leproprie capacità di autonomia, di relazioni umane, di azione diretta, di esplorazione. Una specifica carat-terizzazione è data dall’insegnamento-apprendimento dell’alfabeto dell’integrazione affettiva che ponela basi per una immagine realistica ma positiva di sé; in grado di valorizzare come potenzialità personaleanche ciò che, in determinati contesti di vita può apparire - e magari lo è anche - un’oggettiva limitazione.

Prima fase: introduttiva e creativaLe domande introduttive che agganciano l’attività sono: “Le fiabe raccontano di emozioni?” “Nella mia

giornata, quali emozioni incontro?”. In apertura dell’attività le domande vengono indagate utilizzando mo-dalità maggiormente centrate sull’insegnante (il brainstorming o il circle time), oppure modalità maggior-mente centrate sullo studente (coppie informali o strutture cooperative). Il fine di questa prima fase è distimolare nei ragazzi e nelle ragazze, il ricordo di fiabe o di storie raccontate da figure adulte significative.Individualmente gli studenti sono invitati a ricordare una fiaba od una storia a loro piacimento, e a “salvare”il ricordo tenendone memoria, attraverso la forma ritenuta più adeguata per ognuno (p.e.: il racconto scritto,il fumetto o una serie di disegni, la riproduzione attraverso l’audiocassetta, la rappresentazione mimica).

Seconda fase: confronto e sintesiIn piccoli gruppi eterogenei di quattro studenti, i ragazzi a turno si presentano le fiabe o le storie.

Distribuendo dei ruoli (da svolgere a turno) per la gestione del piccolo gruppo (cantastorie: chi raccontae presenta la propria storia, scrivano: chi raccoglie le informazioni su di un foglio di gruppo, scienziato:chi pone domande per approfondire o rendere più chiara l’esposizione, custode del gruppo: chi organizza

Laboratori

Fantasmaghirò: fiabe, emozioni e affettività

Piergiuseppe Ellerani

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il lavoro all’interno del gruppo, ponendo attenzione ai tempi, alla partecipazione di tutti al lavoro, alleconsegne finali, ai toni di voce) i racconti vengono dapprima sintetizzati nel foglio di gruppo (fogli A4).Successivamente i ragazzi, discutendo assieme su quanto ascoltato e sintetizzato, pervengono ad unacategorizzazione delle informazioni, realizzando un poster (che può anche essere arricchito graficamen-te) sul quale vengono riportati alcuni elementi del lavoro precedente, p.e:(questo schema può essere utilizzato da chi svolge il ruolo di “scienziato”, per porre domande che aiutanoad indagare i temi evidenziati)

Titolo fiaba Personaggioscelto

Caratteristichedel personaggio

Emozioniche ho incontrato

Emozioni chevedo nascoste

Parole o gestiche esprimono

l’emozione

A conclusione, viene assegnato un tempo durante il quale i gruppi contemporaneamente viaggiano per laclasse e osservano i lavori dei compagni, annotandosi i vari tipi di emozioni che incontrano negli altri poster.

L’insegnante raccoglie in una sintesi, attraverso una discussione guidata, le emozioni prevalenti equali siano le azioni che spesso seguono all’emozione.

Viene dato spazio ad una riflessione in coppie sulla relazione nella propria vita di quanto ascoltato,riproponendo le domande della fase introduttiva.

Terza fase: esplorazioneA casa ogni ragazzo è invitato a farsi raccontare la fiaba nuovamente (possibilmente dalla persona dalla

quale l’ha ascoltata), e realizza l’intervista (partendo dalle domande redatte precedentemente in piccologruppo). In una forma scelta secondo le proprie disposizioni, potranno poi redigere la sintesi finale.

Quarta fase: elaborazioneLe interviste verranno presentate nei piccoli gruppi, raccogliendo alcuni elementi comuni (poster,

power point o altro) e confrontate, p.e.:

Personaggio intervistato Emozioni che ha raccontato della fiaba Emozioni che incontra nella sua vita

L’insegnante (utilizzando alcune informazioni presenti nelle schede allegate) può completare e/o ap-profondire l’attività.

Predispone poi una scheda con le domande iniziali “Le fiabe raccontano di emozioni?” e “Nella miagiornata, quali emozioni incontro?” aggiungendone una terza: “Quale uso faccio delle mie emozioni?”.

Dopo la riflessione individuale, ognuno potrà raccontare di se, scegliendo la modalità personale, epresentare nei piccoli gruppi i propri elaborati.

È possibile a questo punto cercare alcune figure presenti nel territorio - un artista, un attore teatrale,uno scrittore, uno psicologo – per avere nuove informazioni circa l’utilità e l’uso delle emozioni, anchenelle professioni. All’incontro potrebbero essere invitati i genitori.

Quinta fase: valutazione e documentazione (portfolio)Tutti gli elaborati prodotti individualmente ed in gruppo possono essere valutati attraverso una revi-

sione metacognitiva (tramite rubriche). Alcuni di essi saranno occasione di riflessione per l’inserimentonel portfolio, rispetto per esempio alle personali forme della loro realizzazione. Una presentazione finale

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realizzata dai ragazzi, di tutto il percorso, potrebbe coinvolgere i genitori, presentando loro i significatiappresi e le loro applicazioni nei contesti di relazione.

Scheda teorica: uno sguardo sulle emozioniIn quanto portatrici di nuclei irrisolti e di contraddizioni personali le emozioni rappresentano una sfida

che temiamo e che desideriamo vivere. Le emozioni sono pericolose e necessarie, possono travolgerci opermetterci di dare senso alla nostra esistenza: affrontare il discorso su di esse con i preadolescenti diven-ta motivo di crescita e di consapevolezza per loro e per noi adulti, che con i ragazzi vogliamo fare espe-rienza dei sentimenti e non solo parlarne.

La relazione gioca una funzione cruciale nel contesto scolastico o educativo in senso lato. Molti educatoriritengono di dover controllare le proprie emozioni, nel timore che queste, una volta espresse possanointerferire negativamente sulla relazione educativa. E questo é vero, se si pensa ad una relazione nonautentica. Le emozioni sono un problema se l’argomento di cui si parla, ci imbarazza. Quel che è piùparadossale é che le nostre emozioni trovano comunque modo di esprimersi a livello nonverbale (sguar-di, tono della voce, respiri, sorrisi, distanza fisica).

Forse, allora, non si tratta tanto di controllare le emozioni, quanto di acquisire consapevolezza deipropri vissuti, accettarli, dar loro un nome e cercare di modificarli, se serve, utilizzandoli come segnaliche orientano le proprie scelte.

Cerchiamo innanzitutto di darne una definizione. Verso l’inizio degli anni Ottanta alcuni psicologi cognitivisti(Norman, 1980; Ellis, 1989; Lazarus, 1980) ipotizzarono che le emozioni fossero dei fattori che guidano ilcomportamento, delle peculiari disposizioni all’azione attivate di fronte alle diverse situazioni che ci soddisfa-no o ci frustrano. In base a questa definizione esse assumono il ruolo di regolatori del comportamento ed hannouna valenza significativa per la sopravvivenza. Per esempio una persona prova rabbia perché gli é impedito ilraggiungimento del suo obiettivo o paura quando un avvenimento minaccia la sua autoconservazione.

La tabella che segue (tratta dalla ricerca di Plutchick, 1980) può ben riassumere la dinamica di eventi,pensieri, sentimenti, comportamenti e funzioni che una emozione prevede, avvia e assolve.

La dinamica emozionale

Evento stimoloMinaccia di unnemicoMinaccia di danniOstacolo asoddisfazione dibisogniContatto conl’oggetto desideratoPerdita di unsostegno o di unbeneNutrimentoCureCorteggiamentoAffiliazione sociale

CognizionePericolo

OstacoloViolazioneDannoAcquisizioneSoddisfazioneIsolamentoPerdita

BeneficioUtilità

SentimentoApprensionePauraTerroreIrritazioneRabbiaFuriaGioiaEstasiTristezzaDolore

AccettazioneFiducia

ComportamentoRitirarsiFuggire

AttaccareLottare

AccoppiarsiPossederePiangereChiedere aiuto

AccettareCurareNutrireNutrirsi

FunzioneProtezione

Distruzione

Riproduzione

Reintegrazione

IncorporazioneAffiliazione

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Laboratori

In definitiva da quanto emerge in questo grafico le emozioni non sarebbero un impedimento allarazionalità, ma una guida illuminante per le nostre azioni. Ciò é confermato anche dalle numerose ricer-che avviate in questo campo negli anni Ottanta.

Zajonc (1980) ipotizzò che, a differenza di quanto comunemente pensato, le emozioni precedano lecognizioni, ovverosia la comprensione delle cose.

Lazarus (1980) affermò che le emozioni sono “stati organizzati e complessi che consistono in valuta-zioni cognitive, impulsi d’azione e reazioni somatiche.”

Da queste ricerche si denota comunque come sia semplificatorio disgiungere emozioni da cognizioni, aspettorazionale da aspetto emotivo, “mente” da “pancia”. E’ difficile distinguere se, prima si capisce la presenza diun pericolo e poi si ha paura, o se si sente paura quindi si coglie la presenza di una possibile minaccia.

Per favorire nei ragazzi l’acquisizione di una competenza emozionale è importante che essi giunganoanzitutto a differenziare le emozioni tra loro, dando ad esse un nome e rendendosi conto di quali motivile hanno suscitate. D’altra parte, poiché la gestione delle emozioni ha a che fare con la relazione, ènecessario che i preadolescenti riescano: 1) ad accorgersi delle emozioni degli altri; 2) sappiano comuni-care le proprie; 3) sappiano rispondere a quelle degli altri.

Per cercare di dare un nome alle emozioni sono state fatte diverse classificazioni. Plutchik usa unmodello per rappresentare le emozioni primarie suddivise nei loro diversi gradi di intensità, ricavandoledai giudizi individuali raccolti in varie ricerche.

Intensità delle emozioniLieve intensità Media intensità Forte intensitàContentezza Gioia EstasiPensosità Tristezza DoloreIrritazione Collera FuriaApprensione Paura TerroreVigilanza Aspettativa AttesaPerplessità Sorpresa SbalordimentoNoia Schifo RepulsioneFiducia Accettazione Adorazione

Tra emozioni primarie ed emozioni secondarie intercorre una differenza: le prime sono reazioni natu-rali ed immediate ad una situazione stimolo, possono essere adattive, cioè adatte a risolvere la situazioneo disadattive, cioè in contraddizione con le esigenze della realtà perché nate da situazioni infantili nega-tive o traumatiche; le seconde sono reazioni nate in risposta ad una emozione primaria spesso frutto dellasomma di più emozioni.

FeciCarogne

Stimoli complessi

Stimoli nuovi eimprovvisi

NocivitàInutilità

InteresseCuriositàNovitàInterruzione

DisgustoRepulsione

AttesaAnticipazioneSorpresaSbalordimento

VomitareDefecareSputareEsaminareEsplorareFermarsiCongelarsi

Rifiuto

Esplorazione

Orientamento

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Laboratori

Per fare un esempio se un ragazzo perde un genitore, sente tristezza: questa é una emozione primariaadattiva perché lo condurrà a cercare aiuto per compensare la carenza. Se invece ogni volta che vienechiamato alla lavagna un ragazzo prova terror-panico al punto da non proferir più parola, siamo in pre-senza di una emozione primaria disadattiva poiché il terrore in questo caso non lo porterà a proteggersidal pericolo di ricevere una valutazione negativa, ma accelererà l’eventualità che questo accada.

Se infine un ragazzo si vergogna quando sente rabbia, o prova gelosia quando é in presenza di un altroamico più amato dalle ragazze, siamo in presenza di una emozione secondaria, cioè di una reazionesviluppata in risposta ad una reazione primaria che si caratterizza come meccanismo di difesa non funzio-nale alla situazione da risolvere.

Le emozioni secondarie o miste, secondo Plutchik, sono le seguenti:

Emozioni primarie Emozioni secondarie o misteGioia + Aspettativa OttimismoAspettativa + Collera AggressivitàCollera + Schifo DisprezzoSchifo + Tristezza RimorsoTristezza + Sorpresa DelusioneSorpresa + Paura SpaventoPaura + Accettazione SottomissioneAccettazione + Gioia Amore

Un altro modo di classificare le emozioni é quello utilizzato da Scilligo, 1980 e Colasanti - Mastromarino,1991 che distinguono otto emozioni primarie, definendo per ognuna differenti termini per tre livelli diintensità: forte, medio e lieve. Per avere un’idea della complessità del nostro mondo emozionale lo ripor-tiamo integralmente.

Un lessico per le emozioni

Emozione

Gioia

Tristezza

Rabbia

Lieve intensità

compiacimento,spensieratezza,contentezza,soddisfazione, calma,serenità, tranquillitàdispiacere,scoraggiamento, esseregiù di tono o tagliato fuori

irrequietezza, agitazione,infastidito, contrariato,scosso, turbato, irritato

Media intensità

gioia, buon umore,contentezza, allegria,ottimismo

dolore, tristezza,solitudine, disillusione,infelicità, esseredemoralizzato o feritorabbia, stizza, offesa,risentimento, collera

Forte intensità

estasi, eccitazione,entusiasmo, delizia,essere elettrizzato

angoscia, desolazionedepressione, sconfitta,disperazione, essere finito,avvilito, angustiatofuria, ira, ostilità,desiderio di vendetta,essere violento o furibondo

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98 INNOVAZIONE EDUCATIVA

Una volta identificate con un nome le emozioni, il passo successivo consiste nel comprendere checosa ci segnalano del nostro vissuto, perché decidiamo cosa fare.

Ma che cosa ci segnalano le emozioni? Ecco una possibile interpretazione da confrontare poi conl’esperienza personale.

La disperazione ci comunica che é importante mettere da parte un obiettivo che non siamo riusciti araggiungere, poiché non vi sono più speranze di ottenerlo. Può essere più efficace trovare altre gratificazioni.

L’ansia infine ci fa vedere che abbiamo bisogno di prepararci meglio ad affrontare una situazione e cheper fare ciò abbiamo bisogno di ulteriori informazioni.

La delusione ci informa che abbiamo bisogno di valutare nuovamente le nostre aspettative che forseerano troppo elevate o irrealistiche ed eventualmente cambiarle con altre più raggiungibili.

La solitudine ci segnala che abbiamo bisogno di qualcuno con cui entrare in contatto per capire qualisono i nostri reali bisogni.

La vergogna ci fa percepire che qualche osservazione proveniente da noi o dagli altri minaccia lanostra autostima e che é necessario un intervento per rinsaldarla.

Un passaggio necessario consiste nell’accettare l’emozione come un segnale utile per il comporta-mento, sospendendo qualsiasi tipo di pregiudizio o di valutazione autosvalutante per analizzarne le fun-zioni. In seguito a ciò sarà possibile considerare obiettivamente la situazione, identificando precedenticomportamenti alternativi efficaci, in cui i propri bisogni sono stati soddisfatti. A questo punto per eser-citarsi a gestire le proprie emozioni e, per avere più probabilità di soluzione soddisfacente, é possibileimmaginare una soluzione positiva e di successo del problema.

apprensione, timore,inquietudine, nervosismo,esitazione, timidezza,turbamento, imbarazzo,essere in allarme o adisagiorassegnazione, incertezza,insicurezza, pocadisinvoltura, esseredemoralizzatifermezza, abilità,determinazione, essereconvincente

rimorso, rimpianto,imbarazzo, senso diresponsabilitàperplessità,disorganizzazione,insicurezza, ambivalenza,titubanza, essere inconflitto

paura, ansia, spavento,tensione, agitazione,vulnerabilità

inadeguatezza, fragilità,incapacità, vulnerabilità,incompetenza, esseresenza risorsecompetenza, forzasicurezza di sé, coraggio,audacia, capacità,risolutezza,efficacia,assertività, sentirsirealizzatocolpevolezza, vergogna,allarme, sentirsi ridicolo,mortificatoconfusione, incredulità,incertezza, dubbio,disorientamento

terrore, panico, esserepietrificato, preso dalpanico, pavido

inutilità, impotenza, sensodi inferiorità, sentirsiesausto, insignificante,buono a nullapotenza, autorevolezza,capacità di essere influente

umiliazione, sentirsiavvilito, stupido, smarrito,angustiato, imperdonabileessere tormentato,sconcerto, sconvolto

Paura

Inadeguatezza

CompetenzaForza

Senso di colpa

Confusione Incertezza

Laboratori

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Le Indicazioni Nazionali per i Piani di Studio Personalizzati della legge n.53/03 (riforma Moratti) prevedo-no l’anticipo dell’insegnamento della Tecnologia al primo anno della Scuola Primaria, inserendola come disci-plina di studio insieme all’informatica. Per quanto riguarda la classe seconda, sempre nelle Indicazioni Nazio-nali si evince che le tematiche della classe prima vanno sviluppate in modo più approfondito anche nella classeseconda. In particolare si sottolinea che la metodologia da privilegiare è quella del laboratorio di tecnologia edinformatica in quanto la cooperazione e lo scambio delle competenze sono il fine principale al quale tendere.Presentiamo la descrizione di un percorso laboratoriale, realizzato nel circolo di Savignano (FC).

Considerazioni generaliGli aspetti didattici fondamentali per la realizzazione del laboratorio multimediale sono essenzial-

mente tre:1. la motivazione;2. la cooperazione;3. l’interdisciplinarietà.La programmazione del laboratorio multimediale deve prevedere due grandi temi: la tecnologia e

l’informatica.Per quanto riguarda la TECNOLOGIA le tematiche da affrontare sono:• il rapporto uomo/tecnologia;• i materiali utilizzati nelle varie realizzazioni costruttive;• l’importanza dell’energia per l’uomo.Per quanto riguarda l’INFORMATICA le tematiche da affrontare sono:• l’alfabetizzazione di base;• la conoscenza di alcuni programmi operativi (Paint, Word);• l’uso, eventuale, di Internet.

Il progetto “Un nuovo amico: il PC”La realizzazione delle attività ha previsto il coinvolgimento dei 20 alunni di una classe seconda e di

due insegnanti curricolari (una di lingua inglese), attraverso l’organizzazione per piccoli-medi gruppi dilavoro. Gli spazi utilizzati sono: la biblioteca, il laboratorio di informatica, l’aula. L’esperienza, svoltasettimanalmente in una fase di due ore, ha avuto durata annuale.

Tra gli obiettivi che ci si è proposto di raggiungere, si segnalano i seguenti:• acquisire conoscenze di base del personal computer;• acquisire conoscenze sulle funzioni di uno o più programmi di videoscrittura;• sviluppare le capacità comunicative attraverso l’uso di molteplici linguaggi (attivo, simbolico, iconico);• facilitare il lavoro cooperativo;• sviluppare le capacità creative;• produrre un aumento dell’autostima e rafforzare il senso di competenza;• accrescere la significatività dei contenuti e dell’attività di apprendimento.

Laboratori

Il laboratorio multimediale

Ottavia Muccioli

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100 INNOVAZIONE EDUCATIVA

Articolazione del lavoroPRIMA FASE: mese di ottobrelettura del libro di Stefano Bordiglioni, Un tuffo nel computer: riflessione su ciò che è fantasia e su ciò che

è realtà;presentazione del laboratorio di informatica: il computer e le sue parti;conversazione didattica sul tema: “io conosco il computer perché…”;eRealizzazione di alcune regole

condivise (divisione dei bambini in due gruppi, regole di comportamento,…);prima formazione di due gruppi;conversazione guidata per la riflessione sul significato dei termini: naturale/artificiale; tecnologia/infor-

matica. Differenze e analogie.

SECONDA FASE: mese di novembreDal bidimensionale (i disegni) al tridimensionale: costruzione di un PC finto con materiale di recupero;analisi del PC vero: realizzazione di un cartellone con disegni e scritte;assegnazione di alcune schede informative per “tastare” la reale conoscenza del computer;formazione dei gruppi con eventuali tutor;accensione e spegnimento della macchina;apertura e utilizzazione del programma Paint (prima in modo libero, poi con consegna)stampa e salvataggio su floppy (da parte dell’insegnante).

TERZA FASE:mesi di dicembre e gennaioAccensione e spegnimento del computer;apertura e utilizzazione del programma Paint (solo con consegna);apertura e utilizzazione del programma di videoscrittura Word (se possibile);scrittura del proprio nome e stampa;salvataggio su floppy (da parte dell’insegnante).

Mesi di febbraio e marzoPrima documentazione (cartacea) dei percorsi didattici;accensione e spegnimento del computer;apertura e utilizzazione del programma Paint (con consegna);salvataggio su floppy da parte dell’insegnante;rappresentazione del percorso con diagrammi di flusso;apertura e utilizzazione del programma di videoscrittura Word;scrivere secondo le indicazioni fornite da diagrammi di flusso;scrittura del proprio nome e stampa;scrittura dei propri dati e stampa.

Mesi di aprile e maggioOsservazione dei caratteri stampati sui quotidiani;ricerca e “manipolazione” dei vari caratteri sui quotidiani;accensione e spegnimento del computer;ricerca dei vari caratteri sul programma word;scrittura del proprio nome con vari caratteri e relativa stampa.

Laboratori

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Numero 3-4, marzo/aprile 2006 101

Percorsi di formazione integrata

Il Centro Servizi e Consulenza per l’innovazione e l’integrazione trascuola e formazione in Emilia-Romagna

Mauro Levratti

Nel novembre del 2004 IRRE Emilia-Romagna e SIN.FORM – sottoscrivendo una specifica conven-zione - si sono impegnati a collaborare al fine di sostenere la diffusione e lo sviluppo dell’integrazione traistruzione e formazione professionale.

Tale collaborazione si è concretizzata - in attuazione dell’art. 22 della Legge regionale n. 12 del 30marzo 2003 – nella realizzazione di un Centro di Servizi e Consulenza (CSC-ER), promosso e finanziatodalla Regione Emilia-Romagna, a sostegno delle istituzioni scolastiche e degli enti di formazione pro-fessionale impegnati nella realizzazione dei percorsi integrati di istruzione e formazione, previsti dallaLegge regionale n. 12/2003 e dalla CUSR del 19 giugno 2003.

Nel novembre 2005 - nell’ambito del con-vegno di presentazione del Rapporto diMonitoraggio regionale dei Percorsi Integratidi Istruzione e Formazione realizzati nell’an-no scolastico 2004/05 - viene presentato an-che il portale del CSC (http://www.csc-er.it),di cui riproduciamo in fig. 1 la home page.

Il portale del CSC propone un insieme diservizi, funzionale sia ad orientare i proces-si, sia a rendere visibili i prodotti realizzatida ciascun attore del sistema.

Le sezioni Normativa, Linee Guida,Glossario forniscono il quadro di riferimentoalla progettazione dei percorsi integrati. Nelleprime due sezioni sono archiviati i testi inte-grali delle norme rilevanti ai fini della pro-

gettazione curricolare integrata, e gli orientamenti e le indicazioni elaborate dalla committenza regionalee provinciale. La sezione Glossario rinvia al glossario dell’Educazione degli Adulti messo a punto daINVALSI e ISFOL al fine di favorire la comprensione reciproca tra i sistemi formativi e l’attribuzione disignificati condivisi ai concetti che vi ricorrono.

Attraverso le sezioni Consulenza, Domande frequenti, Forum, Contributi si propone, ai docentidelle scuole ed operatori degli enti di formazione, uno spazio di interazione, offrendo opportunità dirichiesta di informazioni, di confronto con esperti di settore, di collaborazione fra colleghi, di interventoe dibattito.

Fig. 1 – La home page del portale del CSC-ER

Fig. 1 – La home page del portale www.csc-er.it.

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102 INNOVAZIONE EDUCATIVA

Percorsi di formazione integrata

Le sezioni tematiche dedicate a Strategie, Progettazione, Monitoraggio, Valutazione e Certificazionerinviano, attraverso un breve testo introduttivo, a molteplici risorse bibliografiche, sitografiche, docu-mentali, rilevanti dal punto di vista scientifico o prodotte nell’ambito di azioni di sistema regionali oprovinciali, aggiornabili e integrabili nel tempo, organizzate per tipologia e direttamente visionabili e/oscaricabili.

Archivio News e Newsletter forniscono informazioni periodicamente aggiornate su novità ed eventiconnessi ai temi dell’integrazione fra scuola e formazione.

Attraverso la sezione Esperienze e progetti si documenta e valorizza l’offerta formativa integrataregionale e le prassi didattiche frutto della collaborazione tra scuola e formazione professionale.

L’archivio si articola in due banche dati, consultabili in modo indipendente o correlato, contenentirispettivamente:

- i progetti inerenti i percorsi integrati attivati sul territorio regionale, realizzati da scuole ed enti diformazione professionale, finanziati dalle amministrazioni provinciali;

- le esperienze didattiche nate all’interno dei percorsi integrati, frutto della collaborazione tra do-centi della scuola ed esperti della formazione professionale, orientate alla sperimentazione di nuoviapprocci per un apprendimento più efficace.

L’archivio è collegato con http://gold.indire.it/nazionale/ - la banca dati delle esperienze più innovativeed interessanti realizzate nelle scuole italianedi ogni ordine e grado.

Il portale offre infine una piattaforma e-Learning, utilizzabile per la realizzazione dipercorsi formativi in modalità blended.

Il primo percorso di formazione congiuntadegli insegnanti della scuola e degli operatoridella formazione professionale, attivato nelcorrente anno scolastico, ha avuto per oggettoLa certificazione mediante i Modelli A e B,sulla base di quanto previsto dalla ConferenzaUnificata Stato-Regioni 28/10/2004.

Attraverso tale percorso – a cui hanno ade-rito 360 fra docenti di scuole secondarie supe-riori e formatori degli enti (fig. 2) – ci si è pro-posti l’obiettivo di favorire la messa a punto elo sviluppo di modalità di certificazione dei per-corsi integrati significative ed uniformi a livelloregionale.

Dal punto di vista metodologico l’attivitàdi formazione si è articolata in quattro fasi.

La prima – che si è conclusa lo scorso mesedi marzo - è stata dedicata alla realizzazione dinove sessioni di avvio – una per ogni territorio

Istituzione Scolastica; 206;

58,86%

Organismo di Formazione

Professionale; 138; 39,43%

Amministrazione Provinciale; 6;

1,71%

Bologna; 11,14%Ferrara; 9,43%

Forlì-Cesena; 12,29%

Modena; 11,71%Parma; 14,57%

Piacenza; 13,43%

Ravenna; 8,57%

Reggio Emilia; 11,71%

Rimini; 7,14%

Fig 2 - Gli iscritti al percorso di formazione, per appartenenza settoriale e territoriale.

Fig. 3 – Le sessioni di avvio del percorso di formazione. Ferrara 13/03/06 Liceo Sociale G. Carducci Modena 14/03/06 Istituto Tecnico Industriale E. Fermi Forlì-Cesena 15/03/06 Provincia di Forlì - Cesena Piacenza 16/03/06 Provincia Di Piacenza Reggio Emilia 17/03/06 Istituto Scaruffi-Levi-Tricolore Parma 20/03/06 Provincia di Parma Ravenna 21/03/06 Provincia di Ravenna Bologna 22/03/06 CEFAL - Centro San Ruffillo Rimini 24/03/06 Fondazione En.A.I.P. S. Zavatta

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Numero 3-4, marzo/aprile 2006 103

Percorsi di formazione integrata

provinciale (fig. 3) – in cui sono state presentate le finalità e caratteristiche del percorso, le modalità difruizione dei materiali formativi, gli strumenti di interazione utilizzabili nella piattaforma.

La seconda fase è stata dedicata allo svolgimento dell’attività di autoformazione on line, attraverso lafruizione delle quattro unità didattiche1 messe a disposizione nella piattaforma (fig. 4).

La prima unità è stata dedicata al quadro normativo e culturale dei modelli di certificazione A e B,esplicitando caratteristiche e funzioni dei modelli in rapporto ai percorsi integrati sperimentali, ai rife-rimenti forniti dagli standard formativi minimi nazionali, dalle qualifiche regionali e dalle intese territoriali.

La seconda unità didattica - assumendo come riferimento le indicazioni fornite dalla Linee Guidaregionali - richiama e riconsidera le attività di progettazione e realizzazione dei percorsi integrati, nellaprospettiva di una loro valutazione in rapporto agli standard formativi minimi nazionali e alle unità dicompetenza regionali.

La terze e la quarta unità propongono criteri e modalità operative attraverso cui ricostruire il quadrodelle competenze connesse a standard da assumere come riferimento dell’attività di certificazione deipercorsi attraverso, rispettivamente, il Modello A e il Modello B.

Conclusa – entro il 6 aprile 2006 – l’atti-vità di formazione, è previsto lo svolgimen-to di una un’attività di project work e di con-fronto a distanza.

I 360 corsisti sono stati infatti raggruppa-ti in 21 gruppi, sulla base di un criterio diappartenenza a percorsi collegati a qualifi-che regionali omogenee.

Con il supporto di sette esperti e due tutorfad2 , ciascun corsista, individualmente o ingruppo, assumendo come riferimento un per-corso integrato in cui opera, sarà impegnatonei mesi di aprile e maggio, in un’esercita-zione finalizzata alla compilazione di unModello A o B, completamente per le partiriguardanti l’intestazione e i dati identifica-tivi del percorso, e totalmente o parzialmen-te (secondo il grado di coinvolgimento dei

rispettivi consigli di classe allargati) per quanto concerne le sezioni relative alle competenze raggiunte eal percorso svolto, in stretta connessione con gli standard/unità di competenza che costituiscono il quadrodi riferimento dell’attività di certificazione.

Fig 4 – L’ambiente di apprendimento proposto dalla piattaforma e – Learning.

1 Alla elaborazione delle unità didattiche hanno partecipato Giulia Antonelli, Gian Carlo Sacchi, Oriano Pirazzini, Roberto Bertacchini,Ettore Piazza, Emanuele Barbieri per la redazione di specifici paragrafi; Mauro Levratti per la progettazione del percorso, il coordinamentoe la revisione dei testi; Barbara Melegari e Monica Vezzani per la elaborazione multimediale del materiale didattico.

2 Rispettivamente Oriano Pirazzini, Mario Pinotti, Mauro Levratti, Roberto Bertacchini, Giuseppe Morsia, Giacomo Sarti, MassimoPeron - e Claudia Leardini e Paolo Carbone.

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104 INNOVAZIONE EDUCATIVA

Pratiche di innovazione e prospettiveUn convegno nazionale sulla sperimentazione dei percorsi formativi integrati nella provincia di Forlì-

Cesena si è svolto a Forlì il 19 gennaio u.s., coordinato da Giancarlo Sacchi, membro del ComitatoTecnico Scientifico per l’integrazione della Regione Emilia-Romagna.

Una ventina di mesi dopo un seminario svoltosi a Bertinoro (21 maggio 2004) sulla riprogettazionedei curriculi integrati sperimentali elaborati nelle province di Forlì-Cesena e di Rimini, la Provincia diForlì-Cesena, in cui la cultura dell’integrazione vive attivamente da vari anni, ha ritenuto indispensabile“una riflessione approfondita dello stesso livello sull’esperienza che si è realizzata”.

Nella sua relazione d’apertura sul “progetto giovani”, Margherita Collareta (assessore provinciale allepolitiche per l’istruzione, la formazione professionale e le pari opportunità) ha richiamato i risultati del-l’impegno ormai di lunga data contro la dispersione scolastica. Questa non raggiunge nella realtà locale il3%, grazie alla sinergia di azioni compiute da più soggetti. L’assessore ha aggiunto che “questo dato -positivo rispetto a molte altre realtà- può inorgoglire, ma non soddisfare completamente chi persegue il‘non uno di meno’ come obiettivo di fondo”.

La riflessione dell’assessore Collareta, che prima di assumere nel 2004 responsabilità amministrativeha vissuto direttamente, come docente di un istituto professionale, le esperienze dei percorsi integrati discuola e formazione, si è soffermata particolarmente sul valore dell’orientamento che deve servire aevitare scelte precoci, tenendo conto che ogni allievo è in continua evoluzione (“i giovani sono per statu-to alla ricerca delle loro strade”) e che “per molti non è facile muoversi nella società della conoscenza”.

Dopo aver disegnato una mappa dell’integrazione da cui emerge che l’insieme delle esperienze formaormai “una piccola scuola distribuita nel territorio”, l’assessore provinciale ha concluso che una presenzacosì significativa impone una riflessione sull’offerta formativa della scuola, superando ogni forma diautoreferenzialità. Bisogna, infatti, mantenere sempre viva la consapevolezza che “scuola e formazionenon sono fuori del mondo, ma devono avere radici ben salde nei bisogni sociali esistenti ed essere di soste-gno allo sviluppo del territorio. I processi di innovazione vanno dunque inseriti in questa prospettiva”.

Il quadro di riferimento dell’impegno innovativo è stato efficacemente definito da Giancarlo Sacchi:“L’integrazione non si pone in modo autarchico o ideologico, né si prefigge di delineare un altro canale,ma tende ad animare una collaborazione fra diversi sistemi, e non a incentivare la loro competitività”.

Quanto al monitoraggio sul primo biennio dei percorsi formativi integrati in ambito provinciale -oggetto nel convegno di un’accurata e confortante relazione di Eugenia Lodini e Ira Vannini (Facoltà diScienze della comunicazione dell’Università di Bologna)- è stato ben motivato il senso di questa sceltasia da Margherita Collareta sia da Giancarlo Sacchi. Da amministratrice, la prima deve anche poter rile-vare la “ricaduta” del notevole investimento finanziario dedicato alla sperimentazione, mentre da partedel pedagogista, che l’ha accompagnata in questi anni, è stato sottolineato che “la cultura del dato è unelemento strategico della sperimentazione, quando si continua a operare per il miglioramento dei risulta-ti. In ogni caso, la feconda relazione avviata con l’università è finalizzata non ad appaltarle il progetto,ma a conseguire una lettura migliore di ciò che accade”. I risultati del monitoraggio, di cui erano state

Percorsi di formazione integrata

L’integrazione possibile

Pierantonio Zavatti

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incaricate la professoressa Lodini e la ricercatrice Vannini, hanno evidenziato il calo di bocciature e diabbandoni nei percorsi integrati, nonostante le caratteristiche di un’utenza piuttosto svantaggiata. Altriaspetti interessanti emersi dal monitoraggio sono la soddisfazione di allievi e famiglie per i momenti dicompresenza nei percorsi integrati di insegnanti dei due sistemi (istruzione e formazione professionale) eanche il consenso diffuso per il ruolo svolto dalla figura del tutor, che viene giudicato positivamente.

La parte centrale del convegno è stata poi caratterizzata dalle stimolanti considerazioni -di cui si puòdar conto solo in modo parziale- contenute negli scenari delineati da tre pedagogisti molto qualificati:Franco Fabbroni (preside della Facoltà di Scienze della formazione dell’Università degli Studi di Bolo-gna), Michele Pellerey (professore ordinario dell’Ateneo Salesiano di Roma) e Piero Lucisano (professo-re ordinario dell’Università “La Sapienza” di Roma).

Certamente non ripetitivi i loro interventi, soprattutto per la varietà di orientamenti e di esperienzevissute. Non sono mancati punti di consonanza nei loro contributi, a cominciare da un sostanziale apprez-zamento, espresso in modo più o meno esplicito, per gli obiettivi della sperimentazione locale e per il suorigore metodologico.

Le relazioni dei pedagogisti, pur spaziando a tutto campo, sono state imperniate, rispettivamente,sull’analisi della scuola nella società della conoscenza, sulla cultura della valutazione per l’innovazionedella didattica e sul ripensamento del senso della scuola e della formazione per i quindicenni.

Franco Fabbroni ha esordito esprimendo il plauso dell’università e dell’IRRE per il progetto dellaProvincia di Forlì-Cesena che “per l’architettura e per gli aspetti metodologici è una specie di prototipoper costruire rapporti a tempi lunghi fra scuola, formazione, università e ricerca”. Fabbroni ha dato atto,inoltre, a Sacchi (“uno degli studiosi più validi della scuola come sistema”) del suo straordinario impe-gno nell’IRRE.

Le idee-forza cui Fabbroni affida la qualificazione della scuola e della formazione si possono riassu-mere per lui in due parole chiave: integrazione e ricerca. Dal preside è pervenuto anche un forte richiamoa un salto di qualità della politica: “Non è accettabile che ad ogni cambio di governo la scuola vengariprogettata in ogni suo aspetto. Ogni maggioranza deve poter ridisegnare alcune tessere del mosaico, manon pretendere di rifarlo completamente”. Di qui l’auspicio di uno spirito “bipartisan” da parte del nuovoParlamento nell’affrontare i temi della scuola e della formazione.

Fabbroni non pare particolarmente interessato alle architetture dell’ordinamento scolastico, mentre siappassiona alla ricerca dei valori fondanti: “anzitutto la centralità della persona, che è ragione e cuore,un’entità che non può essere formattata”. Egli ha in mente la persona “come l’ha intesa in particolare donLorenzo Milani”, e il suo “breviario” è quello di “una scuola che deve dare di più a chi ha di meno e deveanche saper offrire alcune fondamentali competenze di base a ogni allievo”. Questo compito è indicatocome assolutamente prioritario in Italia come in tutta Europa, dove “si diffonde il rischio di un pericolosoneoanalfabetismo”. La crescita delle competenze dovrebbe essere accompagnata anche dalla diffusionedi un senso di cittadinanza consapevole e responsabile. Gli obiettivi delineati corrispondono, secondoFabbroni, “non a una scelta ideologica, ma a una necessità di sviluppo della società contemporanea”.

Un salesiano come Michele Pellerey -che era stato anche fra i protagonisti del convegno di Bertinoro-non poteva certamente dedicare minor rilievo al tema della persona, posto da lui non in astratto, ma nellarelazione cruciale fra la persona e l’ambiente, inteso come il contesto in cui ciascuno vive. Incisiva la suacritica disincantata alle esagerazioni dei culti del puerocentrismo che, per usare parole di Pellerey, “poneil bambino sul piedistallo e tutto il resto in adorazione attorno a lui”. Ma si aiutano davvero, con l’atteg-giamento stigmatizzato da Pellerey, la maturazione dell’allievo, la crescita reale e armonica della perso-

Percorsi di formazione integrata

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106 INNOVAZIONE EDUCATIVA

na, la sua formazione sociale? Ascoltando la voce del saggio pedagogista salesiano è venuto in mente achi scrive un episodio del film “Caro diario”, quello della visita del protagonista all’isola di Salina,dominata dai figli unici.

Alla domanda su quale tipo di sapere sia indispensabile per l’adolescente del nostro tempo, Pellereyrisponde poi con un esempio: “Non il sapere astratto e aristocratico dell’insegnamento tradizionale dellamatematica, disciplina non a caso invisa a non pochi studenti fin dai primi anni di scuola. Per come vieneproposta -sottolinea Pellerey che è un cultore di questa disciplina- parecchi non ne comprendono il sen-so”. E cita l’esempio di un giovane, conosciuto nel giugno 2005 durante un esame di qualifica, il cuiprofitto era giudicato negativamente in matematica. Ma l’allievo ha dimostrato un rendimento eccellentein una prova in cui la matematica era importante e aveva un senso per la risoluzione di un problema chegli stava a cuore.

Secondo Pellerey “bisogna sperimentare e capire davvero quali sono gli obiettivi irrinunciabilli dellaformazione e quali gli standard minimi, né troppo elevati né piattamente banali”. Ma come si fa? “Comechi ha deciso di smettere di fumare non può farlo da un momento all’altro, così per l’insegnamentobisogna poter disporre di modelli pratici ed essere sostenuti da attività di ricerca e di accompagnamentodi gruppo. Avendo presente che ciò che conta davvero è la quotidianità didattica. Il livello universitarionon garantisce di per sé, perché ciascuno di noi, quando ritorna nella scuola, avendovi assimilato einteriorizzato da studente determinati modi di relazione, rischia poi di riprodurli anche se non sono vali-di”. Nasce di qui, per Pellerey, l’esigenza di un “sistema di controllo della qualità che aiuti a modificarela propria quotidianità di insegnamento e di relazione”.

La questione del significato di ciò che si studia è stata centrale anche nella riflessione di Piero Lucisano,per cui la difficoltà principale della scuola e della relazione fra insegnante e allievo, soprattutto a quindicianni di età, è la distanza di senso fra ciò che viene proposto ai ragazzi e la loro esperienza reale. “Lascuola deve suscitare uno spirito molto più attivo e favorire l’esperienza della concretezza, della realtà edella verità”.

Lucisano avverte inoltre che alcuni risultati educativi e didattici non possono essere misurati a brevetermine. “Il nostro Paese -sottolinea- ha sempre considerato motivo di vanto il fatto di risultare ai primiposti nelle classifiche di comprensione della lettura relative ai primi anni delle elementari, ma c’è un datosu cui riflettere: la situazione peggiora nettamente nel proseguimento degli studi. Al contrario, in Paesicome la Danimarca, dove ai bambini la lettura viene proposta un anno dopo e dove non vengono stressatialle elementari con domande troppo precoci, i ragazzi rivelano nel lungo periodo maggiore voglia ecapacità di leggere, di scrivere e di comprendere i testi”.

Eppure la pazienza, che Lucisano esalta come fondamentale virtù educativa, viene messa a dura provadalla sua stessa analisi della realtà, in cui individua con molta nettezza un aspetto di grave criticità nellaformazione e nella mentalità dei giovani, spingendosi ad affermare: “C’è in troppi un’assenza di assicartesiani in vari ambiti. E bisogna che molti comincino a capire le differenze tra il bene e il male, cosìcome, in politica, fra destra e sinistra. Noi adulti conosciamo alcune di queste distinzioni almeno perreminiscenza. Ma che idea può averne chi è nato una quindicina di anni fa?”.

Pessimismo o realismo? Spietata, senza dubbio, e senza chiaroscuri, la rappresentazione della realtàgiovanile, ma le questioni poste anche in maniera provocatoria sottolineano fortemente esigenze centraliper la riqualificazione del sistema educativo nel suo complesso. Tenendo conto che, come osserva Lucisano,“un sistema democratico ha il dovere di cercare di sviluppare le capacità di tutti e di ciascuno”. Non sipuò neppure ignorare che “i ragazzi, in certi anni della loro vita, crescono con ritmi diversi”.

Percorsi di formazione integrata

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Negli interventi conclusivi del convegno l’approfondimento culturale si è spostato su un terreno piùpropriamente politico, per i ruoli ricoperti dagli interlocutori e forse anche per l’approssimarsi di unarilevante competizione elettorale.

Mariangela Bastico (assessore regionale a Scuola, formazione professionale, università, pari opportu-nità e lavoro) e Lucrezia Stellacci (dirigente dell’Ufficio Scolastico regionale della Regione Emilia-Romagna) hanno comunque confrontato in maniera impegnata e argomentata gli orientamenti che nehanno ispirato e ne guidano tuttora i rispettivi mandati. Bastico, riconoscendo il ruolo molto importanteche la sperimentazione dei percorsi integrati nel forlivese e nel cesenate ha avuto nell’ispirare la legisla-zione regionale, ha rivendicato con fierezza alcune scelte prioritarie del suo assessorato e della Regione:“Abbiamo puntato tutto sull’autonomia scolastica (“nessuna quota di curriculum scolastico sarà trattenuta,ad esempio, dalla nostra Regione”) e sull’integrazione, non accettando mai il proposito di chi vorrebbe uniredue realtà da mantenere distinte, come l’istruzione e la formazione professionale. Non si può, infatti, disco-noscere la particolare mission della formazione, che è quella di produrre competenze molto a ridosso delmondo del lavoro, valorizzando attitudini di carattere pratico troppo a lungo penalizzate dalla gerarchiagentiliana di valori educativi e ordinamenti”. È parso interessante -e particolarmente sentito dall’assesso-re Bastico- un passaggio del suo intervento in cui, pur riconoscendo il ruolo essenziale dell’università, hafortemente sottolineato il fatto che la ricerca, l’innovazione e la sperimentazione sono state molto viveanche nell’opera di pedagogisti non accademici, come Sergio Neri, Bruno Ciari e Loris Malagutti, chehanno animato e coordinato preziose esperienze educative e didattiche in raccordo con gli enti locali.

Mariangela Bastico ha ribadito la finalità strategica che sorregge l’impianto della legge regionale 30giugno 2003 n. 12 (“Norme per l’uguaglianza delle opportunità di accesso al sapere, per ognuno e pertutto l’arco della vita”). Ogni giovane, in sostanza, “deve poter conseguire un diploma di scuola media-superiore o una qualifica professionale. L’esperienza dell’apprendistato testimonia che chi finisce il suopercorso scolastico a tredici anni, nel giro di qualche anno rischia di disimparare a leggere e scrivere. Egià a diciassette anni questi giovani usciti precocemente dalla scuola sono in difficoltà nel rispondere atest facili e anche nel parlare delle loro esperienze quotidiane”.

Da quest’ analisi l’assessore trae l’indicazione di un programma imperniato sulla volontà di cancellarela scelta a tredici anni e la prospettiva del doppio canale, per prolungare l’obbligo scolastico a sedici anni.

Ovviamente diversa la linea della dirigente dell’Ufficio Scolastico regionale, che ha premesso di nonpoter prescindere dal quadro normativo esistente, dando atto tuttavia alla realtà regionale di aver antici-pato esperienze innovatrici quando il NOS e l’OFI erano ancora sigle astruse nelle altre Regioni.

Lucrezia Stellacci, pur difendendo i caratteri fondamentali della legge 53, individuati nell’unitarietàdella scuola media-superiore e nella pari dignità dei due sistemi, ha collocato i percorsi integrati lungouna linea di innovazione graduale delle normative attuali. E ha sottolineato di vedere, in tali esperienze,“le potenzialità di un soggetto che potrebbe essere istituzionalizzato, perché questi percorsi possonodiventare la sperimentazione del secondo canale”.

Nel suo ringraziamento finale ai protagonisti del convegno, l’assessore Collareta ha preso volentieri attoche, pur partendo da punti di vista differenti e muovendosi in diverse prospettive, Bastico e Stellacci hannoriconosciuto il valore dei percorsi integrati e delle esperienze condotte da anni nella realtà provinciale.

Percorsi di formazione integrata

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108 INNOVAZIONE EDUCATIVA

Quadro normativoL’Anagrafe dell’Obbligo Formativo, costituita ai sensi dell’art. 68 della Legge n. 144/1999 e successi-

vi regolamenti applicativi, è formata dai giovani in età compresa fra i 14 e i 17 anni.La quasi totalità dei giovani di questa età frequenta la scuola e sono perciò i dati sulla popolazione

scolastica la componente essenziale dell’anagrafe regionale dell’obbligo formativo, somma delle diverseanagrafi provinciali.

A quella della Scuola, si aggiungono le anagrafiche della Formazione Professionale e dell’Apprendistato.La Regione Emilia-Romagna, con Delibera di Giunta n. 1948 del 06/10/2004, in applicazione della L.

R. n. 12 del 30/06/2003, ha programmato di dotarsi di adeguati strumenti conoscitivi del fenomeno sco-lastico, a partire dall’anagrafe regionale degli studenti. A tal fine, l’anagrafe regionale per l’obbligoformativo viene trasformata in Anagrafe Regionale degli Studenti, in grado di raccogliere i dati più signi-ficativi relativi agli studenti nelle fasce di età dell’adempimento del diritto-dovere all’istruzione e allaformazione (entro il 18esimo anno di età).

Il D. Lgs. n. 76 del 15 aprile 2005 “Definizione delle norme generali sul diritto-dovere all’istruzione ealla formazione, a norma dell’articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 28 marzo 2003, n. 53” haistituito il sistema nazionale delle anagrafi degli studenti (art. 3).

Obiettivi del progettoL’incrocio delle banche dati dell’Obbligo Formativo, Formazione Professionale, Apprendistato con

l’Anagrafe dei residenti consente alla Regione Emilia-Romagna di dare finalmente concretezza alla lottaalla dispersione scolastica, individuando con precisione i percorsi formativi dei ragazzi tra i 14 e i 17anni, individuandone le scelte e seguendoli fino a che tali scelte – il proseguimento degli studi fino aldiploma o la qualifica professionale - non siano compiute.

I quattro database vengono “incrociati” tre volte l’anno: a gennaio-febbraio, cioè alla fine del primoquadrimestre (quando i ragazzi di terza media devono scegliere cosa faranno in seguito), alla fine dell’an-no scolastico (quando devono confermare la loro scelta), e a settembre, all’inizio dell’anno scolasticosuccessivo.

L’incrocio tra le banche dati consente di ricostruire il percorso formativo di tutti i 120mila studentiemiliano-romagnoli iscritti alle terze medie, nonché alle prime tre classi delle scuole superiori del territo-rio regionale . Sono questi, infatti, gli anni più “rischiosi”, quelli in cui statisticamente è più facile che unragazzo smarrisca la strada e lasci la scuola.

L’Anagrafe permette di seguire uno per uno gli studenti e di rivolgere loro specifiche attività di orien-tamento ed opportunità formative qualora abbandonino la scuola nel corso dell’anno o nel passaggio daun anno all’altro.

Una volta riscontrati gli “assenti” dal sistema formativo regionale, si attivano i Centri per l’Impiegodelle Province per avviare i contatti con i ragazzi.

La partecipazione e la piena adesione delle scuole a questo progetto è particolarmente importante: non

L’Anagrafe degli Studenti della Regione Emilia-Romagna

Stefano Cremonini

Anagrafe degli studenti

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Anagrafe degli studenti

a caso all’interno di ogni istituto, nei mesi scorsi, è stato formato un operatore di segreteria che si assume-rà la responsabilità di immettere i dati degli studenti e le loro scelte secondo una griglia di quattro possi-bilità: se intende proseguire nella scuola, nella formazione professionale, nell’apprendistato, oppure senon ha fatto ancora nessuna scelta.

Questo nuovo sistema informativo è l’attuazione pratica del ‘non uno di meno’, che è il principio ispira-tore della legge regionale su scuola e formazione professionale del 2003, che ha come obiettivo dichiaratoquello di portare tutti i ragazzi – tutti e non uno di meno, appunto – al diploma o alla qualifica professionale.

Il sistema ha anche la finalità di monitorare da un punto di vista quali-quantitativo tutto il sistemaformativo, rilevando fenomeni quali, ad esempio, la crescente presenza degli studenti immigrati oppurela “migrazione formativa” all’interno e all’esterno della regione.

Tali elaborazioni permetteranno un più puntuale governo del sistema, consentendo di mettere a puntoazioni tagliate su misura delle necessità della nostra scuola, senza stressare continuamente gli istituti conrichieste di dati, contribuendo in modo sostanziale alla eliminazione della cosiddetta molestia statistica.

Gli strumenti: il sistema informativo, le banche datiL’Anagrafe Regionale degli Studenti è un sistema informativo che permette di monitorare i percorsi

formativi di tutti i giovani residenti in Emilia-Romagna ed in particolare di individuare i giovani a rischiodi dispersione scolastica e formativa.

In un’unica banca dati sono consultabili i dati anagrafici dei giovani nei tre canali formativi di Scuola,Formazione Professionale, Apprendistato; tali dati sono confrontabili con l’Anagrafe dei Residenti.

L’Anagrafe è strumento di scambio e condivisione di informazioni tra tutte le istituzioni e gli entiinteressati al complesso processo di raccolta, consultazione, monitoraggio delle informazioni anagrafichedei giovani nei tre canali formativi – Scuola, Formazione Professionale, Apprendistato – e di incrociodati con l’Anagrafica dei residenti, nel pieno rispetto delle norme sulla riservatezza.

L’Anagrafe Online consente:a tutte le scuole della regione Emilia-Romagna coinvolte nelle rilevazioni delle scelte formative degli

studenti di inviare i dati mediante semplici procedure online;ai servizi competenti di tutte le Province dell’Emilia-Romagna e ai referenti dei CSA di accedere in tempo

reale al monitoraggio delle rilevazioni e alla consultazione dei dati a livello provinciale: schede anagrafichedi dettaglio, analisi statistiche di sintesi, grafici dinamicamente generati delle ricerche impostate;

a tutti i soggetti interessati – Istituzioni Scolastiche, Province, Centri per l’Impiego, Enti di Formazio-ne Professionale, CSA, Regione, Ufficio scolastico regionale, IRRE - di accedere online ad informazionie servizi per monitorare i percorsi formativi dei giovani residenti in regione;

a tutti gli operatori abilitati - di poter accedere al sistema online di incrocio con altri archivi anagraficiper ottenere un’unica base dati aggiornata che riporti la “storia” formativa dei giovani.

Anagrafe ScuolaIn questa sezione è possibile accedere al monitoraggio dei dati anagrafici degli studenti rilevati nel

sistema dell’istruzione. Tali dati sono inviati al sistema direttamente dalle scuole della regione in occa-sione delle rilevazioni annuali delle scelte formative degli studenti.

L’Anagrafe Scuola contiene i nominativi degli studenti che sono stati rilevati nelle scuole della regio-ne, completi delle scelte formative degli studenti.

I dati sono raccolti e organizzati su base territoriale (per provincia) e per scuola.

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110 INNOVAZIONE EDUCATIVA

Anagrafe degli studenti

Ogni Provincia/CSA può accedere al sistema, monitorare il processo di rilevazione e visualizzare idati delle rilevazioni di propria competenza.

Ogni Provincia/CSA può monitorarelo stato di avanzamento complessivo della rilevazione in corso ( percentuale di scuole che hanno

inviato i dati);lo stato di avanzamento analitico per ogni istituzione scolastica soggetta a rilevazione ( stato dell’in-

vio, della verifica dei dati, delle correzioni, ecc…).

Analisi statistiche dei dati dell’Anagrafe ScuolaIn questa sezione è possibile accedere al sistema di Analisi Statistica dei dati anagrafici degli studenti

rilevati nelle scuole della regione. È possibile selezionare tra dati di diverse rilevazioni, in corso o precedenti.Al sistema di analisi statistica possono accedere sia gli utenti Provincia che gli utenti CSA per i dati di

propria competenza territoriale.Prima di iniziare la consultazione è necessario ricordare che:La chiave primaria di ricerca dell’ambito territoriale delle Analisi Statistiche in questa sezione si rife-

risce alla collocazione geografica della scuola che ha rilevato gli studenti.Così ad esempio selezionando l’ambito geografico di Ravenna/Tutti i comuni si otterranno i nomina-

tivi degli studenti rilevati in tutte le scuole, di tutti i comuni della provincia di Ravenna, comprensiviquindi anche degli studenti residenti in altri comuni o province della regione o in altra regione diversa daEmilia-Romagna.

Una successiva selezione delle ripartizioni permetterà di visualizzare la sintesi numerica dei giovaniresidenti fuori regione o in altra provincia, così come i giovani residenti nella provincia selezionata, marilevati in scuola di altra provincia della regione.

Il sistema permette di selezionare tra numerose query di ricerca pre-impostate che forniscono i risultatisia in tabelle che in grafici di sintesi dinamicamente creati.

È possibile inoltre affinare la ricerca tramite numerose ripartizioni:

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Numero 3-4, marzo/aprile 2006 111

Anagrafe degli studenti

Ogni tabella di dati di sintesi permette l’accesso al PERCORSO FORMATIVO DELLO STUDENTE– una scheda analitica che riporta i dati anagrafici degli studenti completi delle scelte formative formulateper la rilevazione selezionata.

Comuni scelta 01 scelta 02 scelta 03 scelta 04 Provincia di Ravenna 9664 99,7% 11 0,11% 5 0,05% 13 0,13% Alfonsine 13 0,13% 0 0% 0 0% 0 0% Bagnacavallo 9 0,09% 0 0% 0 0% 0 0% Brisighella 11 0,11% 0 0% 0 0% 0 0% Castel bolognese 16 0,16% 0 0% 0 0% 0 0%

Provincia scelta 01 scelta 02 scelta 03 scelta 04 FC 697 96% 2 0,27% 0 0% 1 0,13% FE 14 1,92% 0 0% 0 0% 0 0% MO 1 0,13% 0 0% 0 0% 0 0% PR 3 0,41% 0 0% 0 0% 0 0% RE 1 0,13% 0 0% 0 0% 0 0% RN 7 0,96% 0 0% 0 0% 0 0% Totale 723 99,58% 2 0,27% 0 0% 1 0,13%

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112 INNOVAZIONE EDUCATIVA

Anagrafe degli studenti

Anagrafe Regionale StudentiQuesta sezione consente di accedere al sistema integrato di Banche dati Anagrafiche di Scuola, For-

mazione Professionale, Apprendistato e confrontare i dati con l’Anagrafe dei Residenti. La chiave prima-ria di ricerca di tutte le Banche dati disponibili è costituita dalla “RESIDENZA” del giovane nell’areageografica selezionata.

La pagina di consultazione dei dati è suddivisa in 3 aree di selezione:

Area 1: Selezione criteri di ricerca ( Residenza o Nominativo del giovane)

Area 2: Selezione Banche dati ( Anagrafe Residenti, Anagrafe Scuola, Anagrafe Formazione Profes-sionale, Anagrafe Apprendistato)

Area 3: Visualizzazione dei dati ( ripartizioni dei dati selezionati, visualizzazione elaborazione degliincroci effettuati, tipologie di output- Tabella, Grafico ecc)

Esempio ricerca complessaRisultati della ricerca tra più banche dati (Tabella riassuntiva incroci):

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Numero 3-4, marzo/aprile 2006 113

Anagrafe degli studenti

Ogni dato numerico permette di accedere ad una lista di nominativi visualizzabili.I dati riportati nella tabella sono sempre esportabili in file .XLS

Tabella Dettagli

È possibile individuare anomalie quali:giovani presenti in due banche dati contemporaneamente;i risultati della ricerca sulle banche dati prima dell’incrocio con l’Anagrafe Scuola;la presenza di anomalie nelle banche dati.

La data di aggiornamento delle banche dati consultate è sempre visibile al fondo della pagina.

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114 INNOVAZIONE EDUCATIVA

Voci dall’IRRE

L’ambito dell’Intercultura e dell’Educazione alla Pace rappresenta da tempo per l’Istituto Regionale diRicerca Educativa un campo progettuale di rilievo al quale si sono indirizzati pubblicazioni, attività diricerca, collaborazioni con istituzioni ed esperti.

Ciò soprattutto in relazione alle crescenti esigenze di supporto interattivo espresse dalle scuole, rispet-to all’attivazione di percorsi per la valorizzazione della diversità, l’inclusione degli alunni stranieri, lapromozione di visioni non violente di soluzione dei conflitti relazionali su piccola e vasta scala.

Nel 2005 ha finalmente potuto avere esito positivo il lavoro dei 2 anni precedenti (con il 2004 ascartamento ridotto per l’empasse dei finanziamenti) occorso per la progettazione e la realizzazione delCD rom “Progetti di pace”, a cura dei ricercatori dell’IRRE ER, Andreina Bergonzoni e Claudio Dellucca.

Sono state infatti riprodotte le copie del CD necessarie per raggiungere tutti i circoli didattici e gli istituticomprensivi della regione, oltre ai preziosi e numerosi collaboratori di questa pubblicazione; entro la fined’anno tutte le pubblicazioni sono state consegnate alle scuole, direttamente o tramite invio postale.

L’idea del CD è nata dai due ricercatori corresponsabili nel 2003 del progetto “Educazione alla diver-sità come risorsa”: Andreina Bergonzoni, impegnata da più di 10 anni sul versante dell’intercultura - inambito non solo regionale - e Claudio Dellucca, inseritosi dal 2002 in questo importante settore di proget-tazione. Proprio in questo anno è stato realizzato un percorso di lavoro - che ha coinvolto alcuni docentied anche un terzo ricercatore IRRE ER, Mauro Cervellati - finalizzato a svolgere un convegno di opera-tori scolastici dal titolo “Emergenza Pace: riflessioni, percorsi esperienze” (l’iniziativa si è tenuta conampia presenza di pubblico presso l’Oratorio di San Filippo Neri il 22 novembre 2002).

Le attività del progetto “Educazione alla diversità come risorsa” nell’anno 2005 sono ruotate attornoalla pubblicazione informatica, presentata in tre diversi incontri ad un pubblico di oltre 100 docenti edirigenti scolastici.

La presentazione ufficiale si è tenuta a Bologna il 24 maggio di fronte a circa 50 invitati, tra i quali icomponenti del gruppo di progetto, alcuni insegnanti artefici delle esperienze documentate nel CD ediversi insegnanti della provincia di Bologna.

In questa occasione Ilde Castellari, docente elementare, Adriana Di Rienzo, esperta di PedagogiaInterculturale, Nadia Baiesi, direttrice della Scuola di Pace di Monte Sole - Marzabotto, hanno tenuto 3efficaci comunicazioni sugli argomenti da esse stesse più diffusamente affrontati nell’introduzione allesezioni del CD, rispettivamente l’educazione alla diversità, la gestione dei conflitti e l’educazione allapace attraverso la memoria.

Sono stati quindi effettuati a novembre due incontri decentrati, uno a Rimini ed uno a Parma, per lapresentazione e la consegna della pubblicazione agli operatori scolastici da parte di Claudio Dellucca,non più in collaborazione con Andreina Bergonzoni che ha assunto servizio dal settembre scorso nuova-mente a scuola.

Considerata anche la difficoltà oggettiva di raggiungere le due sedi da parte di numerose scuole didiversa provincia, la partecipazione è stata numericamente soddisfacente; il confronto che si è sviluppato

Percorsi di pace e per la valorizzazione delle diversità

Claudio Dellucca

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Numero 3-4, marzo/aprile 2006 115

Voci dall’IRRE

è stato efficace, in particolare rispetto alle criticità e alle esperienze in atto oggi nella scuola per lavalorizzazione delle diversità e per la promozione del successo formativo nelle classi multiculturali.Dagli insegnanti sono emerse anche esigenze e proposte di supporto a livello pedagogico – didattico,prontamente registrate dal ricercatore IRRE in vista della prossima elaborazione di un progetto triennale,affidato alla sua responsabilità, sulle tematiche dell’intercultura e dell’integrazione scolastica degli alun-ni stranieri.

Tale progetto, attualmente in fase di definizione rispetto ai rapporti di collaborazione interistituzionalee alla composizione del gruppo di ricerca, si indirizzerà, con una serie di azioni a diretto contatto con glioperatori impegnati nell’elaborazione didattica, al campo nevralgico dell’italiano come lingua 2.

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116 INNOVAZIONE EDUCATIVA

Proverò in questo mio breve contributo a condividere alcune riflessioni su due dei temi affrontati dalprogetto Percorsi di pace: la valorizzazione delle differenze e la gestione nonviolenta del conflitto.

L’attenzione alle differenze soggettive ed evolutive è ed è stata anche nel passato, soprattutto in rela-zione ai bambini con diverse abilità, una costante nei principi della scuola. Ciò è ancora più importanteoggi, nel momento in cui vengono accolti bambini provenienti da culture diverse. Si può dire che inquesto momento storico la valorizzazione delle differenze ha assunto una complessità maggiore.

Antonio Genovese, a questo proposito, evidenzia un duplice aspetto: “La differenza, nell’epoca con-temporanea, si muove nel segno del pluralismo, cioè del riconoscimento di valore e dell’attribuzione disignificato (positivo) alle diverse scelte che si realizzano all’interno di ambiti riconosciuti e condivisi.Essa è, in un certo senso, l’orizzonte della democrazia in cui le regole del rapporto sono accettate, rego-lano la convivenza civile e garantiscono la possibilità del cambiamento sia delle stesse regole, sia dellaloro gestione; ma la differenza si presenta anche nel segno dell’alterità, nel senso dell’accettazione diatteggiamenti, comportamenti e pensieri che possono fuoriuscire dagli ambiti precostituiti o comunqueaccettati, a condizione, però, che non vengano incrinate le regole di fondo che devono riguardare, sostan-zialmente, il contenimento e il controllo dell’aggressività e della violenza”1 .

Avere a che fare con le differenze non è allora così semplice: la differenza può essere simbolo e valoredella convivenza democratica, può essere stimolo al nostro bisogno di allargare le conoscenze e i confini,può essere occasione per evidenziare analogie e affinità, ma può anche motivare situazioni conflittuali disemplice o complessa gestione. Nelle situazioni “conflittuali” più semplici la gestione della differenzaquasi sempre porta a una conquista nuova, ad un sapere originale che nasce dal processo di mediazione eproduce una crescita per entrambi i soggetti. Nelle situazioni più complesse, non sempre dalle differenzenascono confronti che consentono contaminazioni, meticciamenti, scambi; a volte è inevitabile ed oppor-tuno definire il proprio orizzonte di riferimento ed essere consapevoli dell’impossibilità di una mediazio-ne a breve termine.

Comunque, avere a che fare con le differenze, anche quando non si tocca la conflittualità, è impegna-tivo in quanto richiede:

• la disponibilità degli insegnanti a entrare nel sistema di significato dei bambini e degli adulti eserci-tando il rispetto2,

• il superamento del pensiero statico, pensiero egocentrato che non ascolta l’altro, e l’avvicinamentoal “pensiero migrante ed erratico, capace di allontanarsi dalle proprie rappresentazioni mentali, di andareverso l’altro e di ritornare in se stesso, arricchito dell’esperienza del confronto e dello scambio”3 .

Queste consapevolezze possono dare un altro spessore alla progettualità interculturale e permettono diindividuare come possibili modalità di lavoro all’interno di questa tematica:

Valorizzare le differenze per imparare a gestire il conflitto

Adriana Di Rienzo

1 A. Genovese, Per una pedagogia interculturale, Bononia University Press, Bologna, 2003, pag.1892 “Il rispetto vuol dire riguardo e considerazione. Vuol dire saper ascoltare” T. B. Jelloun, Il razzismo spiegato a mia figlia, Bompiani,

Milano, 1998, p.36

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Voci dall’IRRE

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Numero 3-4, marzo/aprile 2006 117

• le azioni educativo/didattiche che offrono a ciascun bambino la possibilità di esprimere la propriaoriginalità e di vederla riconosciuta e rispettata;

• la progettazione di percorsi che consentano di sperimentare le differenze nelle percezioni, nellesensazioni, nelle emozioni, negli stili relazionali e cognitivi;

• la predisposizione di esperienze che sostengano la curiosità e il comportamento esplorativo;• la sollecitazione della creatività come preparazione al pensiero flessibile e al decentramento nell’af-

frontare questioni pratiche, didattiche e conflitti relazionali;• tutte quelle attività che sollecitano gli autoctoni e gli allogeni a conoscere e relazionarsi con le

differenze culturali.A questo proposito, nelle proposte rivolte alle differenze che connotano “appartenenze culturali”, è

fondamentale porsi nell’ottica di una valorizzazione che non banalizzi né enfatizzi le differenze: unrischio di grande rilievo per l’abitudine della nostra mente a categorizzare, per l’influenza che hanno sulnostro pensiero i mass media, per il nostro stesso bisogno di avere punti di riferimento “certi” che allonta-nino dalla insicurezza, dalla conflittualità. In questo tipo di proposte, inoltre, è opportuno, a mio avviso,rendere visibili anche le differenze interne alla categoria del Noi e a quella degli Altri in modo da attenuareil processo di accentuazione percettiva e andare alla ricerca delle persone e dell’elaborazione che essehanno fatto della loro appartenenza culturale più che delle culture. Come ricorda l’antropologo Aime si ha ache fare con “individui che portano con sé un modo di leggere il mondo, non culture in senso astratto”4 .

E le somiglianze? Nella valorizzazione delle differenze che ruolo assumono le somiglianze?Nel confronto e nello scambio emergono non solo le differenze, a volte più evidenti, ma anche le

similarità: tutto ciò che ci accomuna nei bisogni, negli interessi, negli interrogativi esistenziali, nei dirittie nei doveri, e negli archetipi metaculturali, tutte quelle vicende che uniscono il genere umano al di làdelle distinzioni etnico-geografiche. Le somiglianze, le analogie, le corrispondenze, le comunanze gene-rano spesso il potere dell’empatia, dell’incontro, evitano l’irrigidimento di posizioni, la costruzione dibarriere. Sono perciò particolarmente utili a generare alleanze e intese. Inoltre scoprire le somiglianzeall’interno delle differenze, così come individuare all’interno delle uguaglianze anche le differenze, è unprocesso particolarmente fecondo. Occorre però anche qui fare attenzione: riconoscersi simili non vuoldire essere uguali né rinunciare alle proprie specificità per rincorrere la “medietà che faceva tanto orrorea Pasolini”5 . Nel rendere esplicite somiglianze e differenze è necessario perciò sia non generalizzarericonoscendo la complessità e i tanti colori della differenza e dell’uguaglianza sia avviare la decostruzionedi stereotipi e pregiudizi per affrontare in modo consapevole gli inevitabili conflitti.

L’incontro con le differenze dunque comporta anche il conflitto e all’interno di una società sempre piùmulticulturale il conflitto, anziché essere negato, può divenire elemento positivo di quel processo dicostruzione di nuove culture e di nuovi saperi che le differenze nell’incontro e nello scontro suscitano:“se saremo in grado di utilizzare positivamente i conflitti che inevitabilmente questi incontri/scontriproducono, allora sarà possibile costruire il nuovo e salvaguardare la specificità e il valore di ciascunsoggetto e delle diverse culture.”6

3 F. Pinto Minerva, L’intercultura, Editori Laterza, Bari, 2002, pag.204 M. Aime, Eccessi di culture,Einaudi, Torino, 2004, p.545 A. Genovese, Per una pedagogia interculturale, Bonomia University Press, Bologna, 2003, p.126 Ibi p. 199

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Voci dall’IRRE

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118 INNOVAZIONE EDUCATIVA

Solitamente il conflitto è vissuto come sinonimo di guerra e di scontro e ciò è dovuto alla insufficientedistinzione fra conflitto e guerra. Ma questa equiparazione può essere confutata, infatti, quando si rispon-de alla presenza di situazioni conflittuali con la violenza in realtà si nega il conflitto o meglio si prova asopprimerlo con la violenza e/o la guerra. Non è il conflitto allora che deve essere eliminato bensì lemodalità distruttive di risolverlo. “Poiché la violenza ha effetti distruttivi, irreversibili (soprattutto quan-do raggiunge i massimi livelli di distruzione dell’uomo e delle cose) la possibilità concreta di riconoscerei propri errori, sempre possibili, ci è offerta solo da un atteggiamento il più possibile nonviolento”7.L’atteggiamento nonviolento consente di riconoscere i propri errori, di rivisitare il pensiero e di corregge-re la propria azione. Solo riconoscendo il valore delle differenze e dell’altro come soggetto di diritti, solodando spazio al pluralismo e all’ascolto nell’ottica di un dialogo paritario, solo imparando a costruire nuovemodalità di relazionarsi con il mondo vi è la possibilità di realizzare le premesse per un futuro interculturaledi pace e come sostiene R. Panikkar “la pace dell’umanità dipende dalla pace fra le culture”8.

La gestione nonviolenta del conflitto diventa così il nodo dell’educazione alla pace. Con questa espres-sione viene ad indicarsi la capacità di relazionarci con le situazioni conflittuali ricercando un equilibriofra l’esercizio dei propri diritti e il rispetto di quelli degli altri. Un equilibrio non facile soprattutto quandola gestione del conflitto viene equiparata alla soluzione del conflitto. E’ bene chiarire, infatti, che lagestione nonviolenta del conflitto non implica la sua soluzione bensì la ricerca e l’attivazione della capa-cità di “so-stare nel conflitto”.9 Mariagrazia Contini sostiene che l’apprendistato del conflitto è un dirittodell’infanzia e l’adulto ha il compito di dimostrare al bambino innanzi tutto “la capacità di tolleranza delconflitto stesso e cioè la capacità di accettarlo, di non volerlo immediatamente negare o risolvere perristabilire un ordine, un equilibrio che corrisponderebbero solo ai bisogni di sicurezza -difensiva- del-l’adulto. Tollerare che il conflitto venga agito significa attribuire legittimità e diritto d’espressione ancheai sentimenti meno“nobili”del bambino, accettato per come è e non soltanto se corrisponde a una nostraidealizzazione che pretende da lui amore, bontà, ubbidienza.”10 Essere capaci di sostare nel conflittoindica allora il riconoscimento della situazione conflittuale vissuta come occasione di crescita. Non sitratta quindi di eliminare il fastidio dei bisticci, la tensione delle controversie spesso legate alle differenzebensì di accoglierli per trasformarli in percorsi educativi rivolti all’acquisizione di quelle competenzeutili a governare le situazioni conflittuali. Non immaginiamo dunque di realizzare con i percorsi di paceclassi o sezioni che non presentano problemi ma di contribuire alla educazione di bambini che si eserci-tano nella costruzione di relazioni comprensive della diversità e delle differenze, sostenuti in ciò daprofessionalità capaci di far nascere dalle situazioni conflittuali reali opportunità educative.

7 G. Salio, Il contributo della peace research all’educazione alla pace, in D. Novara, Scegliere la pace. Guida metodologica, EGA,Torino, 1989, p.76

8 R. Panikkar, Pace e interculturalità, Jaka Book, Milano, 2002, p.149 D. Novara, L’alfabetizzazione al conflitto come educazione alla pace, in F. Scaparro (a cura di), Il coraggio di mediare, Guerini,

Milano, 2001, p. 18210 M.Contini, A. Genovese, Impegno e conflitto, La Nuova Italia, Scandicci (FI), 1997, p.133-134.

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Voci dall’IRRE

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Il CD “Progetti di pace”

La pubblicazione è l’esito di un percorso di elaborazione che ha coinvolto, oltre ai due curatori, unristretto gruppo di progetto, formato da docenti esperti, da rappresentanti di due scuole di pace, da undocumentalista e da un collaboratore informatico: ad essi va ancora l’apprezzamento ed il ringrazia-mento per la qualificata collaborazione prestata dalla fase dell’ideazione a quella della presentazione.

“Progetti di pace” ha costituito l’occasione per valorizzare uno spaccato paradigmatico ma noncerto esaustivo della ricca progettualità delle scuole dell’infanzia ed elementari nella nostra regio-ne sull’educazione alle diversità, sulla gestione nonviolenta dei conflitti e sull’educazione allamemoria.

“Progetti” visti quindi come pianificazioni specifiche delle scuole in un’ottica sempre estrema-mente pragmatica per raggiungere traguardi di miglioramento sul terreno della “pace”, intesa in sensoestensivo come educazione ai rapporti, come ricerca verso l’acquisizione sempre più condivisa deivalori di rispetto, tolleranza, solidarietà, cooperazione tra persone e popoli.

Il CD si articola in una serie di contributi teorici e di corrispettive documentazioni rappresentati-ve; comprese nelle tre sezioni “Educazione alla diversità”, “Gestione del conflitto” e “Educazionealla pace attraverso la memoria”, in ricco contributo bibliografico e in un ampio quadro normativo,entrambi aggiornati alla metà del 2004.

Il tutto con il suggestivo commento musicale di due compositori non professionisti, di cui sonoresi noti gli pseudonimi.

Nella sezione “Educazione alla diversità” sono documentate cinque esperienze, tre di scuoladell’infanzia e due di scuola elementare, caratterizzate dal comune denominatore della valorizzazionegrafico – pittorica di situazioni vissute, storie e fiabe in gran parte a sfondo interculturale: i suggestivirisultati estetici raggiunti evidenziano nel contempo la ricchezza della diversità di idee, identità,colori e anche le loro potenzialità di positiva contaminazione.

Del percorso della Scuola dell’Infanzia “Rodari” di Fidenza “ Un mondo a colori”, innescatodalla lettura di storie e poi caratterizzato dalla ricerca di parole colorate e dall’invenzione di storiecolorate, si possono apprezzare le vivaci realizzazioni multicolori dei bambini.

La Scuola dell’Infanzia “Imparo giocando” dell’ Istituto Comprensivo Montanari di Ravenna,realtà con forte presenza di alunni stranieri, nell’esperienza “Imparo la pace giocando” ha puntatosull’invenzione e sulla rielaborazione di storie partendo dal tema del viaggio e dell’emigrazione.

La Scuola dell’Infanzia “Pini” di Parma ha svolto il percorso “Una valigia di diversità”, articolatoattorno ai tratti caratterizzanti culture diverse dalla nostra - lingua, abbigliamento, alimentazione, aspettiambientali - dando rilievo al contatto diretto con le consuetudini (viene documentato il rito del the,frutto di un’esperienza in sezione) e gli oggetti quotidiani (la valigia con gli oggetti di tanti Paesi).

Passando alla scuola elementare troviamo il I Circolo di S.Lazzaro di Savena, in provincia diBologna, di cui è documentata l’elaborazione efficace dal punto di vista grafico – pittorico “Il paesedella pace” : si tratta di una storia collettiva, articolata in sequenze figurate, esito creativo di unpercorso laboratoriale basato sulla lettura di libri, poesie, musiche di altri Paesi, su giochi di fiducia edi cooperazione.

Voci dall’IRRE

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120 INNOVAZIONE EDUCATIVA

Il tema delle storie di Paesi diversi è documentato in “Storie a colori”, realizzato da una classeterza delle Scuola Elementare “Gualandi” dell’IC 10 di Bologna: il lavoro ha preso avvio dallanarrazione diretta di madri di nazionalità diversa per poi svilupparsi attraverso rielaborazioni figura-te, confronti tra le scritture e relative pronunce fino a concludersi in una serie di riflessioni finali.

Nella sezione “Gestione del conflitto “ troviamo la documentazione di cinque esperienze, unariguardante la scuola dell’infanzia e quattro la scuola elementare; alcune di esse sono l’ esito di unpercorso pluriennale.

“Testona” è il simpatico titolo dell’interessante lavoro realizzato nella Scuola dell’Infanzia “Ar-cobaleno” di Forlì, innescato da questa comune parola dispregiativa pronunciata con rabbia da unbambino durante un litigio e oggetto, poi, di una divertente e creativa opera di smitizzazione che hacoinvolto tutta la sezione: ai prodotti scultorei molto ben realizzati (tante teste di serpente, di….) sisono accompagnati risultati positivi nelle relazioni tra i bambini.

“Il conflitto” sintetizza il percorso pluriennale realizzato da un gruppo di classi della Scuola Elemen-tare “Sabin” di Praticello di Gattatico, in provincia di Reggio Emilia, in collaborazione con la biblio-tecaria del Comune e la supervisione di una psicoterapeuta. L’esperienza ha teso a fare del conflitto laleva per sviluppare le capacità di confronto – ascolto e crescita riflessiva dei bambini, facendo uso dellametodologia del circle time: nel CD sono riportati i brani più significativi delle conversazioni in gruppo,incentrate sui sentimenti più comuni per fare emergere i sentimenti positivi.

Viene successivamente riportato uno spaccato dell’esperienza realizzata in una quarta classe dellaScuola Elementare G.B.Ceccherelli del 6° Circolo di Modena - scuola caratterizzata dalla consistentepresenza di alunni immigrati – nell’ambito del Progetto comunale “Piccoli mediatori crescono”.

La mappa dei sentimenti documentata nel CD costituisce la significativa rappresentazione dellesensazioni emotive scaturite all’interno di un percorso che ha coinvolto la dimensione individualedella riflessione e quella collettiva dell’esplicitazione dei sentimenti e del confronto.

L’emergere nell’ultima parte del ciclo elementare di episodi di prepotenza e di bullismoha stimolato gli insegnanti di due classi quinte e di una quarta dell’IC Don Chendi di Tresigallo, in

provincia di Ferrara, a realizzare il percorso “Prepotenti e vittime”. Su questi temi si è passatidalla conversazione alla somministrazione e all’analisi conseguente di un questionario, quindi allaproduzione di testi di rielaborazione del vissuto fino a definire collettivamente in una carta d’identitàle caratteristiche della vittima e del prepotente.

Presso la Scuola Elementare “Grosso” di Bologna si è svolta l’esperienza “Educazione al conflit-to e alla cooperazione” come sviluppo di uno stimolo iniziale di formazione: sul tema del litigio trauomini, tra animali, sul decentramento dei punti di vista si è incentrata un’interessante e costruttivaesperienza, imperniata soprattutto sulla lettura di testi narrativi, di testi storici e sull’attivazione dimomenti di collaborazione corporea in palestra.

La terza ed ultima sezione intitolata “Educazione alla pace attraverso la memoria” raccoglie ladocumentazione più significativa di un’esperienza - tipo “Il Pianeta Monte del Sole”, proposta daglianimatori della Scuola di Pace di Montesole di Marzabotto (BO) agli alunni delle classi dalla terzaelementare alla terza media, attraverso un incontro in un’unica giornata presso la sede dell’istituzio-ne; ad esso sono correlati una fase preparatoria ed uno sviluppo successivo di riflessione.

I bambini sono portati attraverso lo stimolo di un viaggio fantastico a rapportarsi costruttivamentecon le diversità, a definire regole condivise, a ricorrere alla memoria per valorizzare gli aspetti piùimportanti del proprio passato.

Voci dall’IRRE

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Una pedagogia che valorizza la diversità come risorsa deve far leva sul riconoscimento dell’identità diciascuno: chi è consapevole della propria identità è più disponibile a mettersi in gioco, in relazione auten-tica con gli altri, accettando le differenze e confrontandosi con esse.

Il riconoscimento delle differenze (personali, di genere, culturali…) si amplia e si intreccia con ilsentimento di appartenenza a un gruppo, all’interno del quale può emergere la solidarietà: sia nelladimensione della gratuità (si dà senza voler nulla in cambio, senza pretendere che l’altro diventi comenoi, abbandonando ogni pretesa di omologazione), sia nella dimensione della reciprocità (nel dare siriceve e si impara).

Ne La gabbanella e il gatto che le insegnò a volare, Zorba e i suoi amici imparano l’arte difficile diamare e di apprezzare chi è diverso da sé, senza che venga negata la problematicità del rapporto; ilconfronto con le differenze, soprattutto quelle più distanti da noi, comporta sempre uno scambio dialettico.(Qui il terreno interculturale si intreccia con l’altra sezione del CD rom, l’educazione alla gestione non-violenta dei conflitti).

L’intera storia narrata nel libro di Sepulveda offre spunti di lavoro molto ricchi per l’educazioneinterculturale: la lettura e la conversazione sono ‘strumenti’ certamente molto efficaci per affrontaretematiche intercultuali, ma non tutto può ‘passare’ attraverso modalità di apprendimento verbale: ritenia-mo che nella scuola primaria il corpo e il gioco rivestano un’importanza fondamentale per l’interiorizza-zione di alcune considerazioni. Ad esempio, il gioco del riconoscimento reciproco ad occhi bendati indu-ce a riflettere sul fatto che ci si può riconoscere proprio in base alle diversità, ai tratti distintivi.

Inoltre, riteniamo particolarmente importante che l’insegnante sappia ‘accogliere’ i dubbi dei bambinied accettare che vengano superati poco a poco, attraverso opportune esperienze graduate. Bisogna, inaltri termini, avere il coraggio di lasciare degli interrogativi aperti, proponendo di riprenderli in futuro.Nel far ciò si persegue un altro obiettivo: quello di realizzare un modello di scuola ‘che si ferma a pensa-re’: in grado di interrogarsi; capace, in altri termini, di farsi laboratorio educativo.

Identità e differenze: alcune riflessioni educative

Ilde Castellari

Voci dall’IRRE

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Osservatorio europeo

PremessaL’attuale dibattito sull’innovazione didattica ed il confronto con l’Europa riporta spesso l’attenzione

su alcuni elementi non connessi tra di loro come l’insegnamento in lingua di discipline non linguistiche(CLIL) e la didattica delle scienze sperimentali come motore per risalire la china della disaffezione deglistudenti nei riguardi della scienza e degli studi scientifici. Con l’esperienza che vado a descrivere deside-ro mettere in evidenza una soluzione didattica che presenta elementi di efficacia.

L’esperienzaL’X-LAB dell’Università di Goettingen è un’istituzione costruita e realizzata con l’intento pedagogi-

co di avvicinare gli studenti ad una scienza sperimentale vissuta, pratica, applicativa, aggiornata ed alli-neata alla reale evoluzione della ricerca scientifica. L’intenzione è quella di far lavorare gli studenti dellescuole a diretto contatto con gli scienziati per far scoprire loro il vero volto della scienza. L’attività delcentro si concretizza nell’accoglienza di studenti delle scuole durante tutto l’anno, in campi estivi diricerca scientifica (Science Camp), nel Science Festival nel mese di dicembre che vede la partecipazionedi premi Nobel del calibro di Manfred Eigen, Paul Crutzen ecc. Le proposte di ricerca riguardano lafisica, la chimica, la biologia e l’informatica e sono aperte a studenti di scuola secondaria di qualunqueprovenienza geografica. La didattica è realizzata in lingua inglese.

Per una descrizione completa dell’offerta didattica dell’XLAB si può andare al sito http://www.xlab-goettingen.de/.

La collaborazione del Liceo “G.M. Colombini” di Piacenza (indirizzo liceo scientifico tecnologico) el’XLAB è iniziata nel 2005 ed è proseguita con una seconda attività sperimentale nel 2006. Nel correnteanno il progetto didattico è stato finanziato dalla Regione Emilia Romagna, Fondo Sociale Europeo, Mini-stero del Lavoro e delle Politiche sociali attraverso il bando sulla Mobilità transnazionale studentesca.

Per ciascuna delle due iniziative di stage sono stati selezionati 30 studenti delle classi quarte e quintesecondo gli interessi ed il profitto espressi nel corso degli studi, con particolare riguardo alle scienzesperimentali (chimica e biologia) ed alla lingua inglese.

Le attività in laboratorio della durata di una settimana hanno riguardato:• Anatomia ed istologia (dissezione anatomica di maiale: cuore, polmoni, stomaco ed intestino, ovaio

ed utero, isolamento nervi cranici) (2005 e 2006)• Embriologia (studio dello sviluppo dell’embrione di pollo) (2005)• Biologia dello sviluppo (studio degli effetti sullo sviluppo delle mutazioni su geni omeotici di

Drosophyla melanogaster) (2005)• Comportamento etologico di pesci debolmente elettrici (2005)• Estrazione, amplificazione e sequenziamento del DNA mitocondriale degli studenti al fine della

determinazione dell’”EVA” ancestrale di ciascuno (2005 e 2006)• Identificazione della specie di provenienza di carni attraverso l’utilizzo della PCR (2006)• Determinazione del sesso attraverso il test dell’Amelogenina. (2006)

Teresa Andena

Uno stage di ricerca scientifica presso l’X-LAB

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Osservatorio europeo

La preparazione degli studenti è stata curata attraverso un’attività preliminare congiunta tra docenti discienze naturali e inglese, con il contributo di lettori madrelingua, con conversazioni di carattere scienti-fico specifico in lingua. I contenuti di tipo scientifico rientrano nella normale preparazione curricolare dibiologia. La riflessione sull’esperienza da parte degli alunni è stata stimolata attraverso un diario di bordoin cui raccogliere dati, osservazioni ecc. Gli studenti hanno poi prodotto una relazione,occasionalmenteanche con impianto multimediale, la cui valutazione va a completare il quadro di certificazione dellecompetenze acquisite rilasciato dall’Istituto Tedesco.

DiscussioneFare esperienza di scienza vissuta non è un tratto comune nei licei italiani per varie ragioni già ampia-

mente discusse da più parti. In realtà, nell’istituto cui appartengo è una tradizione ormai consolidata econcretizzatasi in numerose iniziative di sperimentazione (Progetto LABTEC, Progetto SET Circ. 131,stage lavorativi ed orientativi presso Aziende, Enti di ricerca ed Università, Progetto Lauree scientificheecc.) e nella pratica didattica quotidiana in cui la dimensione laboratoriale è costante. L’elemento guida èrappresentato dalla convinzione che la scienza insegnata solo sui libri non è scienza, ma questi rappresen-tano solo parole sulla scienza. Il valore formativo dell’insegnamento scientifico è rappresentato dal me-todo sperimentale e questo si pratica solo in laboratorio, in campo, attraverso l’attività e la riflessionesull’attività.

Un’esperienza del genere è stata possibile grazie ad un curricolo fortemente curvato sull’area scienti-fica, come è quello del liceo scientifico-tecnologico, che ha i tempi e soprattutto l’impostazionemetodologica funzionali alla costruzione di competenze adeguate a tale tipo di attività. Come prerequisitistanno conoscenze approfondite di Biologia molecolare, genetica e biotecnologie ed un’adeguata prepa-razione sperimentale.

Un secondo elemento di riflessione è rappresentato dalla considerazione che la scienza è intrinseca-mente senza frontiere, che la comunità scientifica assume inevitabilmente carattere di internazionalità,parla in una lingua comune, l’inglese, si intende attraverso modalità di comunicazione che hanno caratte-re di trasparenza, di disponibilità alla discussione, di apertura ai contributi di tutta la comunità scientifica.

Dal punto di vista linguistico ciò comporta la constatazione necessaria che nel bagaglio dello scienzia-to sta la capacità di comunicare con questa comunità. L’insegnamento della lingua inglese si arricchiscedella sfaccettatura dell’attenzione necessaria al microlinguaggio specifico ed alle capacità di comunicati-ve parlate e scritte.

Il contatto con la dimensione sperimentale e con quella comunicativa finalizzata è stato per gli studen-ti un’esperienza motivante e soprattutto ha avuto la valenza di ristrutturare la loro percezione della realtàscolastica e dell’appartenenza nazionale. Hanno rivisto la loro gamma di valori riguardo l’importanzadelle discipline di studio e dell’impegno personale finalizzato al raggiungimento di uno scopo. Non èinfatti banale lavorare otto ore in laboratorio comunicando in inglese, per poi rivedere quanto appreso lasera e preparare il lavoro della giornata successiva, eppure a loro è piaciuto e sarebbero pronti a ripeterlo.

Dal punto di vista dei docenti l’esperienza ha richiesto un’altrettanto adeguata preparazione linguisti-ca, sia per il docente di scienze sia per l’insegnante di inglese, una disponibilità all’autoaggiornamento,anche in laboratorio, ed al confronto con altre modalità di interazione didattica e personale.

All’istituzione scolastica ha richiesto flessibilità didattica organizzativa ed amministrativo contabileper la realizzazione di un progetto che ha caratteristiche di interdisciplinarità.

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Osservatorio europeo

L’Europass è stato istituito con decisione n. 2241/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 15dicembre 2004 per la trasparenza delle qualifiche e delle competenze nella prospettiva della strategia diLisbona di trasformare entro il 2010 l’Europa nell’economia più competitiva e dinamica del mondo.

È costituito da 5 strumenti:

• CURRICULUM VITAE EUROPASS che descrive le abilità e le qualifiche;

• PORTFOLIO EUROPASS DELLE LINGUE che illustra le competenze linguistiche;

• SUPPLEMENTO AL DIPLOMA EUROPASS che viene rilasciato ai diplomati dell’istruzione supe-riore insieme al diploma affinché le qualifiche siano più comprensibili all’estero. Non rappresenta unsostituto dell’originale o un modo automatico di garanzia di riconoscimento del certificato. Viene rila-sciato dall’istituto di istruzione superiore che consegna il diploma originale;

• SUPPLEMENTO AL CERTIFICATO EUROPASS che viene rilasciato a persone in possesso di uncertificato professionale, aggiunge informazioni a quelle incluse nel certificato ufficiale per renderlomaggiormente leggibile all’estero. Non è un sostituto dell’originale o un sistema automatico di garanziadi riconoscimento del certificato. Viene rilasciato dall’istituto di istruzione superiore che consegna ilcertificato professionale originale;

• EUROPASS-MOBILITY che raccoglie le esperienze di formazione o di apprendimento in un paeseeuropeo diverso da quello di appartenenza, indipendentemente dall’età e dal livello di istruzione (es.:impiego in azienda, volontariato, studio universitario) L’esperienza di mobilità è monitorata da due orga-nizzazioni partner, una nel paese di origine e una in quello ospitante che individua anche un tutor dopoaver concordato obiettivi, contenuti, durata dell’esperienza. È redatto nella lingua concordata dalle orga-nizzazioni e dal partecipante.

Tutte le informazione sull’Europass sono disponibili sul sito del Centro Nazionale EuropassItalia (NEC) all’indirizzo: www.europass-italia.it

EUROPASS: un lasciapassare per l’Europa

Laura Longhi

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Numero 3-4, marzo/aprile 2006 125

Reportage

Da diversi anni tra l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza e la Seton Hall University (NewJersey) esistono rapporti di scambio culturale e professionale che hanno dato vita ad alcune iniziative,rivolte sia ai docenti che agli studenti.

Una di queste ha riguardato un gruppo di studenti - frequentanti il Corso di Laurea per adulti, promos-so dall’Università Cattolica di Piacenza - che ha compiuto un’esperienza diretta presso detta universitàamericana.

Al prof. Lucio Guasti - Ordinario di Didattica Generale presso l’Università Cattolica di Piacenza epromotore del viaggio – rivolgiamo alcune domande sulla natura di tali contatti.

Da anni, ormai, vi sono relazioni di scambio tra la nostra Università e la Seton Hall University;come sono nati questi collegamenti?

Da 7 anni tra le nostre due università sono nati rapporti, che nel tempo sono andati definendosie consolidandosi; si instaurarono a seguito di una ricerca - tuttora in essere - sull’insegnamentospecifico di “Teoria del curricolo” da me tenuto. Nel corso del tempo è maturata la convinzioneche sia necessario cominciare a ripensare le basi sostanziali, che hanno costituito il curricolonegli anni passati, al fine di elaborare nuove fondamenta per il curricolo degli anni futuri. Essendola società contemporanea diversa, rispetto alle società del passato, è necessario ripensare anchead una forma nuova di educazione.

A tale proposito, nel nostro curricolo è stata introdotta una riflessione specifica sul teologo efilosofo Bernard J. F. Lonergan, del cui pensiero è cultore il prof. Liddy, Direttore del Centro pergli Studi Cattolici presso la Seton Hall University.

Molto chiaro è il pensiero di Lonergan sull’educazione: egli ritiene, infatti, che l’educazione sisviluppi e muti nel tempo, in relazione ai cambiamenti della cultura e alle ricerche compiute incampo educativo; l’uomo contemporaneo, quindi, è certamente un uomo nuovo rispetto all’uomodel passato, per cui è necessaria un’educazione che sia adatta ai mutamenti avvenuti. Consideria-mo che gli scritti (tra i quali, in particolare, ricordiamo Sull’educazione, Ed. Città Nuova, 1999) ele riflessioni di questo autore possano offrirci elementi utili alla ridefinizione del curricolo. Par-tendo dall’analisi di questo autore, sono sorti diversi centri di studio a Toronto e a Boston, e centripiù piccoli in diversi Paesi, tra cui uno in Italia.

Con il prof. Liddy si è costituita, quindi, una continuità di lavoro e di ricerca, che si traduce inun Seminario, organizzato ogni anno a Piacenza, in settembre. Finalità del Seminario è l’appro-fondimento del pensiero globale di Lonergan, per trarne le basi culturali utili ad una revisione eintegrazione del curricolo.

Questo, in sintesi, l’obiettivo che ci ha portati alla stabilità di un rapporto, da cui sono maturatediverse iniziative, che riguardano attività di docenti o viaggi di studenti.

Dalla continuità di ricerca ad un’esperienza di viaggio

Donatella Abelli

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Si riferisce al viaggio che alcuni studenti hanno compiuto la scorsa estate presso la SetonHall University?

È stata offerta la possibilità ad un gruppo di studenti - alla conclusione di un percorso di studitriennale - di vivere un’esperienza diretta all’interno della Seton Hall University per cogliere leprincipali peculiarità di una università americana, basata fondamentalmente sul Campus e l’ideadi College, che non trovano corrispondenza nella pratica universitaria italiana. L’esperienza ef-fettuata è stata positiva e ha riguardato principalmente i rapporti culturali di tipo generale; non siè trattato di un dibattito culturale specifico, ma si è voluto realizzare, prima di un dibattito cultura-le, un’esperienza diretta. Dal punto di vista educativo è parsa la soluzione migliore per un gruppodi adulti, che ha potuto attuare un contatto con un’altra cultura, senza ulteriori forme di istruzio-ne, se non quella di migliorare gli aspetti linguistici o di cogliere meglio gli aspetti relazionali.

Come già evidenziato dal prof. Guasti, chi ha partecipato al viaggio ha avuto l’opportunità di vivere,per un periodo di due settimane, un’esperienza irripetibile all’interno di un Campus, acquisendo unamaggiore consapevolezza dell’organizzazione, degli spazi, dei tempi, dei modi di vivere all’interno diuna università americana e sperimentando la sensibilità complessiva con la quale viene affrontato ilproblema universitario, rispetto anche alle diverse esigenze educative.

Alcuni di noi hanno approfondito gli aspetti linguistici, aderendo ad un corso organizzato dall’univer-sità, nel quale vi erano studenti di diversa provenienza, soprattutto asiatica. È stata un’esperienza arric-chente che ha consentito di cogliere il tipo di approccio didattico delle lezioni impostato, prevalentemen-te, sulla valorizzazione dei luoghi e degli episodi di vita dei partecipanti e volto ad attuare una costanteinterdisciplinarità. Ampio spazio era riservato anche alla conversazione e all’ascolto, elementi nontrascurabili nell’apprendimento di una lingua. Altri partecipanti al viaggio hanno approfondito gli stessiaspetti linguistici, consultando i testi della Biblioteca - alla quale tutti avevano libero accesso - che ripor-tavano gli argomenti attinenti alle loro tesi di Laurea.

Un ulteriore elemento che non può essere sottovalutato è quello relazionale. Siamo stati accolti consimpatia e amicizia, manifestate attraverso numerosi inviti e incontri non formali, nel corso dei qualiabbiamo acquisito interessanti informazioni relative – ad esempio – alla diffusione, nel processo di inse-gnamento, di tecnologie avanzate.

Mi corre l’obbligo di ringraziare il prof. Lucio Guasti per la sua disponibilità e la prof.ssa MariaFamiglietti per avermi dato l’opportunità di ripercorrere, mentalmente ed emotivamente, un’esperienzasignificativa.

Reportage

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Lo scaffale

Hanno collaborato alla realizzazione di questo fascicolo

Donatella Abelli Docente presso la Scuola Primaria “G. Alberini” di PiacenzaGiovanna Alcaro Docente di Filosofia presso il Liceo “Laura Bassi” di BolognaTeresa Andena Docente presso l’Istituto “Colombini” di PiacenzaJosé Antonio Fernandez Bravo Docente al Centro de Enseñanza Superior “Don Bosco” di MadridFabrizio Bonora Attore e regista, docente a Scienze della Formazione, Università di BolognaMauro Cervellati Direttore ff dell’IRRE Emilia RomagnaIlde Castellari Docente presso il 2° Circolo didattico di San Lazzaro di Savena (BO)Stefano Cremonini Funzionario della Regione Emilia RomagnaAnnamaria Contini Docente di Estetica all’Università di Modena e Reggio EmiliaCarla Cuomo Docente di pedagogia musicale al Dipartimento di Musica e Spettacolo,

Università di BolognaAdriana Di Rienzo Cultore della materia presso la Cattedra di Pedagogia Interculturale

dell’Università di BolognaFranco Frabboni Presidente dell’IRRE Emilia RomagnaPiergiuseppe Ellerani Docente, Facoltà di Scienze della Formazione, Libera Università di BolzanoAntonio Gariboldi Ricercatore in Pedagogia Sperimentale Facoltà di Scienze della Formazione

Università di Modena e Reggio EmiliaLucio Guasti Preside di Facoltà, Università Cattolica del Sacro Cuore, PiacenzaGerardo Guccini Docente di “Drammaturgia pratica”, Dipartimento di Musica e Spettacolo,

Università di BolognaMauro Levratti Ricercatore IRRE Emilia RomagnaLaura Longhi Ricercatrice IRRE Emilia RomagnaGiuseppe Malpeli Supervisore Tirocinio, Responsabile Laboratori al Corso di Laurea in Scienze

della Formazione Primaria, Università di Modena e Reggio EmiliaGiacomo Manzoli Professore associato di “Storia del Cinema”, Dipartimento di Musica

e Spettacolo, Università di BolognaDora Mattia Docente all’Istituto Comprensivo n. 5, Bologna; già supervisore di tirocinio

presso l’Università del MoliseOttavia Muccioli Docente in servizio presso il CSA di Forlì-CesenaGiancarlo Sacchi Docente, Redattore di “Innovazione Educativa”Giuliana Santarelli Docente, supervisore di tirocinio presso l’Università di BolognaMarina Seganti Dirigente Scolastico, Circolo Didattico di Svignano s/R (FC)Albertina Soliani Senatrice della Margherita DL, componente Commissione Istruzione del SenatoWalter Tega Presidente della Fondazione “Alma mater” dell’Università di BolognaIsa Tolomelli Docente di scuola primariaPierantonio Zavatti ENAIP di Forlì

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Finito di stamparenel mese di maggio 2006

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dalla Editor Tipografia - Melito di Napoli (NA)