Natale con chi vuoi · Barbara Ferrari 17 ... macchina si era lamentato che era di nuovo Natale,...

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Natale con chi vuoi Quattordici storie di Natale (e dintorni) Corso Pratico di Scrittura Creativa per Narrativa e Teatro 2015-2016 scritte da Nadia Baldisseri Maela Boltri Milena Capriuolo Raffaella Fanelli Barbara Ferrari Livia Fiume Lara Rossetti Marta Salomone Roberta Sanarico Matteo Tiboni Paola Zambonini

Transcript of Natale con chi vuoi · Barbara Ferrari 17 ... macchina si era lamentato che era di nuovo Natale,...

Natale con

chi vuoi Quattordici

storie di Natale (e dintorni)

Corso Pratico di Scrittura Creativa per Narrativa e Teatro 2015-2016

scritte da

Nadia Baldisseri Maela Boltri

Milena Capriuolo Raffaella Fanelli Barbara Ferrari

Livia Fiume Lara Rossetti

Marta Salomone Roberta Sanarico Matteo Tiboni

Paola Zambonini

Natale con chi vuoi

Quattordici Storie di Natale (e dintorni)

scritte da

Nadia Baldisseri

Maela Boltri

Milena Capriuolo

Raffaella Fanelli

Barbara Ferrari

Livia Fiume

Lara Rossetti

Marta Salomone

Roberta Sanarico

Matteo Tiboni

Paola Zambonini

Corso Pratico di Scrittura Creativa L’Opera Rinata-CambiaMenti Teatro, 2015

Introduzione 5 ........................................................A PUGNI STRETTI 6 ..............................................Livia Fiume 6 ...........................................................................I SOGNI SON DESIDERI 8 ....................................Lara Rossetti 8 .........................................................................CLIC 10 ...................................................................Maela Boltri 10 .........................................................................IL VESTITO DI BABBO NATALE 12 .....................Raffaella Fanelli 12 ..................................................................UNO STRANO INCONTRO 15 ...............................Paola Zambonini 15 .................................................................FUGA DI NATALE 17 .............................................Barbara Ferrari 17 ..................................................................CACCIA 19 ..............................................................Nadia Baldisseri 19 ..................................................................MONETE DI NATALE 23 ......................................Lara Rossetti 23 .......................................................................LA MAGIA DELLA FESTA 25 ................................Roberta Sanarico 25 ................................................................BELLISSIMA 29 .....................................................Marta Salomone 29 .................................................................I REGALI DI NATALE 31 .......................................Matteo Tiboni 31 ......................................................................2015.12.24 33 ..........................................................Nadia Baldisseri 33 .................................................................

PALLINA DI NATALE 36 .......................................Milena Capriuolo 36 ................................................................XMAS WRESTLING 40 .........................................Maela Boltri 40........................................................................

IntroduzioneBrevissima, perché si sa che a leggere le introduzioni ci si annoia. Ma due parole crediamo si debbano dire.Abbiamo raccolto in questo ebook i racconti ‘natalizi’ scritti dai partecipanti ai nostri corsi pratici di Scrittura Creativa 2015-2016. Alcuni sono allievi da sei-sette mesi, altri soltanto da tre. Ma tutti ci hanno davvero lavorato molto, e ci è sembrato giusto dare un riconoscimento all’impegno. Si tratta di racconti di generi diversi, in cui il Natale a volte è visto in maniera non tradizionale: dalle favole per bambini ai racconti in prima persona, dal fantastico o grottesco all’attualità. Ognuno ha declinato il tema come gli è sembrato più opportuno. Anche riguardo allo stile ogni racconto è diverso, perché per noi certo è importante fornire la tecnica e gli strumenti per scrivere (che corso sarebbe, sennò?) ma questo non deve comportare il soffocamento della sensibilità degli allievi o l’azzeramento delle differenze. La tecnica deve essere utilizzata per trovare, col tempo e l’esercizio, il proprio unico e personale modo di narrare storie. E quindi, ecco questa mini-antologia. Nella quale, secondo noi, ci sono cose molto buone, sicuramente migliorabili (e cosa non lo è?) ma buone. Dopo così pochi mesi di corso, un importante e deciso primo passo per tutti, cui speriamo seguirà una carriera ricca di soddisfazioni.

Valter Carignano L’Opera Rinata-CambiaMenti Teatro

dicembre 2015

A PUGNI STRETTILivia Fiume

Sara era grande. Carlo usciva con i suoi amici fighetti. Mio fratello leggeva tanto e con me parlava poco. Anche Emanuela non era più la bambina con cui mi piaceva giocare alle bambole. E io, io mi chiedevo chi fossi. Al tramonto mi rifugiavo in terrazza e guardavo le colline accarezzare il mare. Cercavo un’identità negli ulivi, nei terreni coltivati, nelle case lontane. Stringevo in un pugno i miei sogni bambini per non farli scappare. Il nostro tavolo separato, al pranzo di Natale, lo chiamavano ancora “il tavolo dei piccoli”. Un significato perduto insieme alla complicità che ci aveva incollati e che il tempo aveva dissolto con il suo ventaglio di strade. I grandi non erano più così grandi. Parlavano ad alta voce nel tavolo accanto, fregandosene dei nostri scambi di parole. Mio padre per tutto il viaggio in macchina si era lamentato che era di nuovo Natale, e ora animava il tavolo con la sua risata sguaiata. Gli altri rispondevano con frasi altrettanto vuote. Mentre noi fiorivamo, qualcosa stava appassendo. Ci guardavamo tutti come in uno specchio rotto.

– Come va al Liceo Scientifico?– Bene. E tu cosa fai?– Mah, esco, gioco a calcio. – Hai visto che tempo?– Fa proprio freddo.

Il fuoco bruciava nel caminetto acceso. Il gatto faceva le fusa sulle mie gambe. L’albero di Natale era illuminato come sempre e mia madre aveva preparato tutto perché fosse perfetto. Presi il telefono e scrissi ad Anita che avrei voluto essere dappertutto tranne che lì. Carlo si guardò intorno fingendo di non essere mai appartenuto al “tavolo dei piccoli”, puntò i suoi occhi azzurri nel mezzo delle nostre “facce sfigate” e si sistemò il collo del suo maglioncino di marca. Emanuela cominciò la rubrica del “ti ricordi quando”. Un momento che si ripete ormai ogni Natale. Ognuno pesca dal passato un pezzo di infanzia e lo lancia in mezzo al tavolo, scommettendo qualche centesimo che non ricapiterà mai più.– Ti ricordi quando scoprimmo che Babbo Natale non esisteva?

C’eravamo rimasti male, ma era bastato un cerotto. Un bacio amorevole su una ferita superficiale. Per un po’ la conversazione si anima di ricordi, scoppietta, brucia e poi si spegne in una frase.– È passato proprio tanto tempo…

Sara, la più grande, sorrideva. Stava per ottenere l’accesso al tavolo dei grandi e scoprire il segreto della loro ironia di convenienza. Io sotto il tavolo dei piccoli stringevo nelle mani le briciole di qualcosa che non sarebbe tornato.

I SOGNI SON DESIDERILara Rossetti

– Quest’anno non ci sono soldi! – La voce di Babbo Natale trema. La cosa più difficile l’ho detta, pensa.– Non riusciremo a fare tutti i regali! – continua. I folletti si guardano, sgomenti. Questa era peggio.– Troveremo una soluzione? – conclude. Ha esaurito le energie. E’ stravolto, svuotato. – Tutto questo non è mai successo! – grida qualcuno. Nel grande salone si alza un brusio, tutti parlano con i vicini o gridano per farsi sentire da quelli più lontani.Merlino, seduto su un ceppo di legno, si appoggia alla grande parete di quercia e guarda il camino acceso. Saranno le risorse a mancare o è la cupidigia degli umani che è sempre più grande? riflette. Un’idea gli attraversa la mente, si sbraccia e grida: – Babbo, non regaliamo oggetti quest’anno, ma realizziamo sogni! Babbo Natale sorride. Le sue sopracciglia si distendono e i gli occhi chiari fissano il giovane folletto: – Bravo! Utilizzeremo l’archivio!Ma quando l’avrò aggiornato, l’ultima volta? – Romeo, accompagnami sotto!E l’avrò aggiornato tutto?Nella stanza attigua al salone, il profumo di polenta quasi pronta per la cena che sale dai grandi paioli si mescola all’aroma del pane in cottura. In un angolo, un tronco d’albero conduce Babbo Natale e Romeo di sotto, in cantina, dove scoppiettano ceppi di legno consumati da fiamme vivaci. Intorno al fuoco, alcuni folletti parlano tra loro mentre arrostiscono castagne.Babbo Natale osserva le pareti irregolari di roccia. Decine di scaffali di legno si guardano e si sfuggono in un disordine organizzato. Su ogni scaffale centinaia e centinaia di pergamene. – Romeo, passamene una! Iniziamo dalla A!.Almeno le prime lettere dell’archivio dovrebbero essere a posto…Il folletto si affretta. – Babbo, non ci passo! – Il suo tondo sedere si intravede pizzicato tra due scaffali. Babbo Natale si porta la mano alla fronte ma, suo malgrado, gli sfugge un sorriso: – Non importa, prendi quelle che riesci! – Eccola! Sogno di Tonioli Aldo: giradischi. – legge Romeo, schiena dritta e mento in su.Per tutte le renne! Come temevo! Qui siamo negli anni Ottanta! Oppure potrebbe essere un nostalgico, un appassionato, un collezionista!

– Un’altra, un’altra! – incalza Babbo Natale.Pensa che figura se viene fuori che sono trent’anni che non ci metto mano!Romeo apre la seconda: – Sogno di Zino Marco: tablet– dice, solenne.Scampato pericolo! Babbo Natale con una mano si asciuga il sudore. Il Tonioli è davvero un nostalgico. L’archivio è tutto aggiornato!E poi Romeo continua a leggere la terza, la quarta, fino alla trentesima pergamena: – Orecchini di perle. Ma questi sono desideri, non sogni! – Sognano solo oggetti, oggetti! E’ come se facessimo regali! Non ce la possiamo fare!Ma dov’è il cuore della gente?Il volto di Babbo Natale è di nuovo scuro.Renato, il vecchio costruttore di giocattoli, allontana dal fuoco la padella di ferro piena di caldarroste e alza la testa. Babbo Natale riconosce uno degli addetti all’elenco indirizzi e gli si avvicina. Nota le lunghe rughe che solcano il suo viso. L’anziano folletto parla con un filo di voce: – Babbo, potremmo regalare loro la forza di costruire i propri sogni.Gli occhi del Signore del Natale si inumidiscono. – La metteremo nelle palline dell’albero. – aggiunge, in un altro sussurro. – E loro apprezzeranno? – La voce di Babbo Natale è esitante. Renato si avvicina e gli appoggia una mano sul braccio: – Forse no, ma noi sappiamo che ne hanno bisogno. Devono ricominciare a credere in loro stessi e devono sognare, nonostante tutto devono imparare di nuovo a farlo. – Gli porge una pallina bianca: – Questa è la loro realtà, insegniamogli a ridipingerla di tanti colori! Babbo Natale mette la pallina in tasca e si affaccia da una piccola apertura della roccia. Fuori l’aria è frizzante. Alza gli occhi al cielo. Iniziano a cadere i primi fiocchi. Sarà un Natale nuovo, più ricco nella sua povertà. Sorride.

CLICMaela Boltri

CLIC La,la,là...

la,là... la,là…

Buio.Ecco, è finito.Di nuovo.Sono sempre qui al buio. Un tempo, due tempi, un milione di tempi schiacciata in questa stanzetta. Io vivo qui, non ne capisco il motivo ma vivo qui. Lo so.Invece, non so cosa siano quegli esseri rosacei che vedo ogni tanto. Ecco. Adesso.

CLIC La,la,là...

la,là... la,là...

Sembrano mollicci e hanno della roba sgraziata addosso. Sono simili a me, in un certo senso, hanno braccia, testa, gambe. Ma stanno quasi sempre fermi. Muovono la bocca e con le mani ci mettono dentro qualcosa. Strano.

CLIC La,la,là...

la,là... la,là…

Adesso emettono dei suoni. Che echeggiano nella mia stanzetta. Un suono forte, volgare, stridente. Saranno sordi. Eppure, quando riesco e uscire, smettono per un po’ e mi ammirano. Beh, certo. Sono fatta a modo, io. Sono bella, mi muovo con grazia, il mio vestito è candido e leggiadro, la mia musica è un dolce cinguettio per le orecchie.

CLIC La,la,là...

la,là...

la,là…

Tutti in silenzio tranne uno. O una. Avranno un sesso? Mah.Questa qui appena esco saltella di qua e di là con un gran fracasso.Aspetta. L’ultima volta che sono uscita ho visto delle cose quadrate, per terra. Simili alla mia stanzetta, mi sembra, ma più grandi. Ci saranno delle mie compagne, lì dentro?

CLIC La,la,là...

la,là... la,là…

Ora basta, non sono mica una macchina. Devo riposare. Non posso continuare a ballare ed essere sempre perfetta!

CLIC La,la,là...

la,là... la,là…

– Rita. Rita, piccolina, andiamo. Dài, metti giù il carillon che ti ha portato la nonna e vieni a lavarti le mani, è ora di cena. RITA! Guarda che faccio portare via tutti i tuoi regali da Babbo Natale, eh!– Arrivo mamma.– Che poi finisce che lo rompi. La ballerina deve riposarsi, no?– Ancora una volta…– Va bene… chissà, magari da grande farai la ballerina anche tu.

CLIC La,la,là...

la,là... la,là…

Buio.

IL VESTITO DI BABBO NATALERaffaella Fanelli

Nick osservava perplesso le file di vestiti, appesi nell'enorme armadio in camera da letto. A sinistra quelli verdi, un periodo ormai lontano, a destra quelli rossi, quando anche lui aveva dovuto piegarsi alle leggi di mercato.Era stufo di indossare sempre lo stesso vestito, con lo stesso taglio e lo stesso colore. Aveva voglia di qualche cosa di più glamour, più al passo con i tempi.Ne parlerò domani alla riunione annuale dei Babbi Natale, pensò, grattandosi la pancia.

Il giorno dopo indossò quel giubbotto di pelle borchiato comprato qualche settimana prima, tanto per introdurre l'argomento. Appena entrato nella sala, tutti gli altri Babbi Natale girarono la testa verso di lui e restarono a bocca aperta.– Ma... Nick, come ti sei vestito? Dov'è la tua divisa rossa, mon cher? – disse Pierre, Babbo Natale di Parigi, arrotando la erre. Tutti in sala incominciarono ad agitarsi e a fare commenti sul nuovo look del Babbo Natale newyorkese. Alcuni ridacchiavano, altri iniziarono a bisbigliare nell'orecchio del vicino. – Oh my goodness, questo è un affronto al nostro buon nome – sussurrò il Babbo Natale di Londra a Fritz, il collega tedesco, che stava addentando un christstollen e bofonchiò soltanto: – Ja. Ja, Rupert. Ja.Intanto Francesco, italiano, si sporse verso il suo vicino di Madrid: – Ma secondo te, Felipe, quel giubbotto sarà di vera pelle, ecopelle o… plastica made in china? – Cominciarono a ridere tirandosi gomitate l'un con l’altro. Forse avevano esagerato con l’aperitivo e finirono sotto il tavolo.Il più indispettito di tutti era Jorge, Babbo Natale cubano, che guardò il collega con occhi di fuoco: – Basta, voi gringos non fate altro che cambiare abito. Prima verde, poi rosso e adesso di pelle nera. E’ ora di finirla! – Silenzio! – urlò Nicolas, il più anziano dei Babbi Natale, puntando il dito contro il pancione di Nick. – Che cos'è questa storia?– Calma, calma - rispose lui, quando gli altri fecero silenzio. - Mi sono vestito così perché vorrei proporvi di cambiare le nostre divise. Ormai sono vecchie, sorpassate, hanno bisogno di essere rinnovate.– E’ già abbastanza complicato tenere nascosto che Babbo Natale non ce n'è uno solo, e adesso vorresti anche cambiare la divisa! E come penseresti di vestirci? – Io direi pantaloni e giacca di pelle neri, frange, borchie, anfibi tattici… e un fazzoletto rosso legato intorno al collo. Il rosso fa Natale.– Ma sei serio o ci prendi in giro?

I Babbi Natale, sopratutto quelli più conservatori, incominciarono a dare delle sonore manate sul tavolo e la discussione si trasformò in un litigio, fatto anche di spintoni e calci. Ognuno voleva dire la sua. Alla fine, Nicolas riuscì a riportare la calma. Si rivolse a Nick: – Se vuoi provare questa buffonata, allora fallo. Però ricordati che se si rivelerà un fallimento non solo ritornerai al vestito rosso, ma per un anno scaricherai gli scatoloni dei giocattoli dai nostri camion al posto dei folletti. D’accordo? – Nick assentì. – E adesso finalmente sorteggiamo le zone per quest’anno. Allora, Fritz hai Cina e Giappone. Ivan, Africa del Nord. Olaf, Nuova Zelanda. Hideko, Brasile e Argentina. – Mano a mano che il loro nome usciva, i Babbi Natale ritiravano la lista dei regali da portare, salutavano i colleghi e se ne andavano. Ormai tutto era pronto.

La sera della vigilia Nick, strizzato nel suo completino di pelle, uscì con il saccone dei giocattoli sulle spalle e si diresse tutto baldanzoso verso la slitta. La sua zona quest’anno era il nord d' Europa. Prima tappa Oslo, in Norvegia, a casa di un bambino di nome Mads.Le renne individuarono la casa, si misero in folle poco sopra il tetto e Babbo Natale s’infilò nel camino. Con un tonfo e un’esclamazione atterrò nella cameretta di Mads. Il bambino si svegliò.– E tu chi sei, l’uomo nero? – chiese, spalancando gli occhi e tirandosi le coperte in testa – Io stavo aspettando Babbo Natale…– Vieni, piccolo. Non aver paura: sono proprio io, Babbo Natale, il signore grasso che porta i regali.Mads lo studiò un po’.– Davvero sei Babbo Natale? Ma sei vestito in modo strano, sei tutto nero. Perché non sei rosso?– Ehm… il mio vestito era sporco e ho dovuto cambiarlo. Sai, le lavanderie… – cercò di spiegare Nick.– Non ti credo – disse il bambino. – Dimostrami che sei quello vero.– Beh, è facile. Dimmi, che regalo vorresti? – Voglio un camion giallo, super accessoriato, telecomandato, con wi-fi e blue tooth! Nick rovistò nel sacco e tirò fuori un camioncino. Il bambino lo prese, lo rigirò tra le mani e poi lo buttò in un angolo.– Lo sapevo che non eri quello vero, questo modello è vecchio, persino mio nonno avrebbe fatto di meglio. Vattene o mi metto a urlare!– No, per carità, non farlo! Abbiamo soltanto avuto una falsa partenza, riproviamo.– Allora voglio… voglio la Playstation 6.2, edizione speciale, abbonamento network illimitato, Assassin's Creed 7 con contenuti speciali da collezione incluso!

Nick si immerse nel sacco, vi rovistò dentro e ne uscì con in mano proprio la Playstation 6.2, edizione speciale, eccetera eccetera. Mads non riusciva a crederci, l’afferrò e corse in salotto a provarla. Quando tornò nella sua cameretta per ringraziare, Nick non c’era più. Sul prato, davanti alla finestra, aveva lasciato una scritta

L’abito non fa il monacoe nel silenzio ancora si sentiva la sua risata soddisfatta.

UNO STRANO INCONTROPaola Zambonini

Al tramonto del 24 dicembre, un contadino sta ritornando dal suo lavoro nei campi.Con passo stanco, si dirige a testa bassa verso casa. Un sentiero fatto mille volte, che non vale nemmeno la pena guardare. E’ la sera della vigilia, ma per me non cambia mai niente, pensa.A un tratto, qualcosa lo blocca. Ostia! Ma quella cosa lì è mostruosa. L’ho vista solo qualche volta al cinema. Non crede ai suoi occhi. Di fronte a lui c’è un esserino verde, piccolo e con le antenne. E’un marziano!Il contadino si avvicina guardingo: – Chi sei? E’ uno scherzo, vero?L’altro muove una specie di occhi sulle antenne e improvvisamente, stagliata all’orizzonte, appare un’enorme lavagna luminosa piena di strani simboli. Sta a vedere che Babbo Natale si è travestito da marziano, di questi tempi non c’è da stupirsi più di niente. Mmh, però se invece non fosse così sarebbe un regalo che mi piomba dal cielo. Ridacchia. Eh sì, proprio dal cielo.Sta pensando che non può perdersi questa opportunità unica: diventare famoso, ricco, andare a finire sui giornali e in televisione: L’UOMO CHE HA PARLATO COL MARZIANO! Però per comunicare bisogna che si parli la stessa lingua.– Senti, marziano, io non ti capisco, non puoi parlare come fanno tutti? Nei film parlate anche voi come noi. In modo strano ma parlate. L’umanoide muove di nuovo occhi e antenne, e la lavagna si riempie di altri simboli una, due, dieci volte. Il contadino continua a guardarla inebetito. Alla fine il marziano abbassa le antenne, si gira e sparisce.Ma pensa te che gente! Viene da Marte, non sa la lingua e pretende che io capisca la sua. Leggerla, poi! Figuriamoci. Io non ho mai imparato a leggere nemmeno l’italiano, devo mica fare il professore. E poi c’è la televisione che ti parla e ti dice le cose importanti, no? Che perdita di tempo! Andiamo a casa, và…

L’astronave ormai aveva lasciato l’orbita terrestre e si allontanava velocissima verso i margini del sistema solare.– Ma sei sicuro che fosse un essere umano e non quello che loro chiamano ‘animale’? – disse il comandante, proiettando il suo pensiero scintillante nella testa dell’altro.

– Ma certo. – rispose allo stesso modo lo scienziato. – La descrizione corrispondeva perfettamente, e sono sicuro di aver proiettato sullo schermo i saluti in tutte le lingue conosciute sul loro pianeta. Non capiva. Nella sua mente c’era una specie di confusione, immagini di immagini, non so bene… come se qualcun altro pensasse per lui tramite delle immagini che lui vedeva e che prendeva per buone, ecco.– Ah. Quindi avevano ragione quelli contrari alla nostra spedizione, quando dicevano che queste creature non erano ancora civilizzate… – Eh, purtroppo sì. – Il pensiero dello scienziato era grigio di tristezza. – Riproveremo fra qualche migliaio di anni.E scomparvero nello spazio.

FUGA DI NATALEBarbara Ferrari

Chiudo la cerniera della mia sacca da viaggio. Riporto il mio sguardo verso la foto appoggiata sullo scaffale. Una semplice cornice di legno, quattro volti sorridenti. Io, mio fratello, mamma e papà. Stretti l’uno all'altro e uniti contro il mondo.Una stramaledetta illusione. Volto le spalle e me ne vado.Scendo le scale senza accendere la luce, trascinandomi dietro il borsone. Mi fermo nell’ingresso. Il mio giaccone è appeso all’attaccapanni.Sento l'odore del legno che brucia nel camino e mi giro verso il salone. Lo consideravo il cuore della casa, nel periodo delle feste. Mi piaceva osservare il gioco delle fiamme del camino rispecchiarsi nelle palline dell'albero di Natale.Ora questa stanza mi ricorda solo mio fratello Sandro.Provo a evitarlo, ma sono sommersa dal passato.

Mi guardo intorno. Le scatole vuote delle decorazioni sono sparse dappertutto nel salone. Trovo il contenitore che cercavo. Lo apro e sfilo la stella dorata da mettere sulla punta dell'albero. – Sandro, aspetta. Manca ancora questa. Lui è in piedi sulla scaletta. Si gira, prende dalle mie mani la stella e la infila in cima. Scende e viene a mettersi di fianco a me. Spengo l'interruttore della luce per vedere l'effetto al buio. È bellissimo.– Mamma, papà venite a vedere!

Sorrido, persa nella tenerezza di quel momento.Vedo la scena trasformarsi. Nella mia testa un altro ricordo.

– Samanta, guarda questo. E' enorme! Credo di sapere cosa contiene…Entro correndo in sala e vedo Sandro che solleva e rigira uno dei tanti pacchi sotto l'albero. – Ma che ne sai, Sandro? Quest'anno non abbiamo neanche fatto la lista per Babbo Natale…– Ti sbagli. - Ride. – Io l'ho fatta sia per me che per te.

La scena cambia ancora. Il mio sorriso si spegne.

– Sandro, aspettami! Ho un esame alle 10. Mi lasci all'università mentre vai al lavoro? – urlo mentre esco dalla mia camera e corro giù dalle scale.

Vedo mio fratello fermo con la mano sulla porta; si volta ad aspettarmi. Supero con un salto gli ultimi quattro scalini, atterro davanti ai suoi piedi e faccio un inchino. Lui mi abbraccia ridendo. Amo mio fratello, anche perché non mi dice mai di no. Insieme ci incamminiamo verso la sua macchina.Sandro accosta proprio davanti alla facoltà di legge. Mi dà una piccola spinta verso la portiera: – Devo scappare, altrimenti arrivo io in ritardo a una riunione.Salto fuori e lo saluto con la mano mentre fa inversione. Svolta a sinistra e si immette sulla statale. Vedo un’altra macchina arrivare. Mi sembra troppo veloce. E’ troppo vicina. Chiudo gli occhi. Freni che stridono, metallo su metallo, un fragore e un clacson che suona impazzito. Apro gli occhi. La macchina di Sandro è finita contro un albero. Mi metto a correre. La raggiungo e guardo attraverso il finestrino rotto. L'airbag è esploso, mio fratello è accartocciato di lato. Tiro la portiera ma non si apre. È COLPA MIA. È COLPA MIA. È COLPA MIA.

Sbatto gli occhi. Sono ancora sulla porta del salone a fissare l'albero di Natale. Sento dei passi pesanti che scendono le scale. Mio padre mi mette una mano sulla spalla.– Samanta, è da quando sei arrivata che sto cercando il momento per parlarti di… tutto. E, anche di questo albero. Sai quanto ci tiene tua madre al Natale. E' stata un giorno intero a decorarlo.Guardo mio padre. Lui sta fissando il borsone che ho appoggiato per terra, vicino alla porta di ingresso. La mano sulla mia spalla è rigida, ma la stretta è decisa. Mi vuole bene. E io so di volerne a lui. Ma l'amore non basta, o forse è solo troppo presto. Stare in questa casa mi toglie il fiato. Ogni stanza, ogni oggetto mi parla di mio fratello. – Scusami papà. Ci ho provato. Ma non posso trascorrere il Natale in questa casa senza Sandro. – Torno a guardare l'albero e cerco il coraggio. – Non posso neppure continuare a dare la colpa al destino, so che sono stata io la causa di quanto è successo.Lui mi guarda. E’ stanco. Dice: – Non è vero. Non è colpa tua, Samanta. Capisco che è sincero e lì, davanti al salone illuminato, sento la speranza scaldare per un attimo il mio cuore. – Forse, un giorno, potrò perdonarmi anche io. Ma non oggi. Questo Natale non posso restare.Afferro il borsone e la giacca. Me ne vado senza voltarmi indietro.

CACCIANadia Baldisseri

– Allora il 23 sei dei nostri, Silvia?Accidenti, sapevo che sarebbe arrivato questo momento. Inutile resistere, ci sono cose contro cui non si può far altro che gettare la spugna. Sorrido: – Sì, certo! Sorrido alle buone intenzioni che stanno dietro all’idea, le stesse buone intenzioni di cui si dice sia lastricato l’inferno. Passare l’antivigilia di Natale in discoteca mi fa lo stesso effetto che accorgermi di un ragno a passeggio sul soffitto, con l’aria del padrone di casa.In fondo, però, è quasi un posto come un altro… Ok, tentativo fallito: non lo è. Cerco di non farlo pesare troppo. La differenza di indole fra me e le altre della banda a volte è stridente. Ma penso anche che il gioco valga la candela, viste le poche occasioni in cui possiamo uscire insieme. Quindi mi faccio andare giù la ‘location’ e mi presento puntuale all’appuntamento.Caterina ha sempre mantenuto un certo gusto per la messinscena, e anche se non lo dice so che ha passato giorni a decidere come vestirci e truccarci. Di nuovo, ogni resistenza è inutile. Con la grazia di un gatto e la decisione di uno schiacciasassi mi costringe a infilarmi in un tubino rosso scuro.Faccio appena in tempo a mentire Bello! Mi piace! che mi ritrovo in mano un berretto rosso bordato di pelliccia.– E… questo?– Dai su, non fare quella faccia. E’ Natale, no?Sì, ma mancano mesi a carnevale. Va bene, non lo dirò. Infilo quel coso, e il ponpon bianco mi accarezza una guancia. Stringo i denti così forte che scricchiolano. Cerco di convincermi che l’ho sentito solo io, e le altre mi fanno la cortesia di sorvolare sulla cosa.

Il rumore della discoteca è già fastidioso dal parcheggio. Me ne resterei volentieri lì, ma le altre sono elettrizzate come ragazzine e poi ormai sono arrivata fin qui, quindi…All’ingresso c’è la fila, ma non per chi è con Elisa. Il PR ci stava aspettando. L’aura di dopobarba lo precede, quando si avvicina: – Carissima, finalmente sei arrivata, vieni! Come sei bella stasera, e anche le tue amiche!Non mi piace. Mentre gli passo davanti fingo di essere molto concentrata su dove metto i piedi, e il ponpon mi viene in soccorso nascondendomi il viso. Il pensiero che alla fine quella pallina di stoffa serva a qualcosa mi fa sorridere. Rialzo lo sguardo e sento la caligine compatta dell’attenzione di quelli che stanno in fila. Le ragazze ci osservano con un cocktail di invidie: qualcuna vorrebbe solo entrare al

caldo, qualcun’altra ci squadra e sbuffa perché siamo più belle di lei. I maschi sono più prevedibili, come sempre: ci accompagnerebbero volentieri al tavolo, o in qualsiasi altro posto ci potesse venire il capriccio di andare. Il loro respiro forma nuvolette di condensa, che si mescola con il fumo delle sigarette. Lo assaporo e mi accorgo di essere affamata.Entrando, il frastuono mi stordisce. Mi riprendo subito e vedo Erika che lascia giacca e borsa al guardaroba e sparisce verso le piste. Le altre fanno più o meno lo stesso. Io mi infilo i tappi di cera nelle orecchie e recupero un’espressione decorosa.Il problema ora è trovare qualcuno che non sia ubriaco, fumato o disperso in qualche trip. Non li digerisco. Metto la mia maschera trasparente, quella con cui potrei attraversare una folla e nessuno si ricorderebbe di me, e cerco di capire se fra tutta questa gente ci sia qualcuno di non troppo sgradevole.A un certo punto lo trovo. E’ appoggiato a una balaustra che dal primo piano dà sulla pista, e si guarda intorno con l’espressione di chi si sente nel posto e nel momento sbagliato. Quando si accorge di me sono vicina, e vedo la sua espressione farsi attenta.Una sagoma interrompe il nostro contatto. – Ciao bellissima! Sono stato abbastanza buono da meritare la tua compagnia stasera? – Non colgo immediatamente la battuta sul mio berretto da Babbo Natale, me n’ero quasi dimenticata. Accidenti alle idee di Caterina! Cerco di stare al gioco: – Mi spiace, non ho regali! E’ ancora presto.Voglio tagliare corto, ma lui non capisce. Ha lo sguardo leggermente vitreo. – Sicura di non poter fare un’eccezione? Potrebbe essere divertente!Si avvicina ancora a me. La cosa mi indispettisce: dev’essere la fame, mi rende sempre irritabile. Da sopra le sue spalle spuntano di nuovo gli occhi con cui stavo giocando fino a un attimo prima. Alza un sopracciglio, tra l'interrogativo e il divertito.– Oh, eccoti qui! – esclamo, girando attorno allo sconosciuto e infilandomi al braccio di quegli sguardo. – Andiamo a prendere qualcosa da bere?Lui è sveglio, aspetta che ci allontaniamo prima di dire qualsiasi cosa. – Non è il tuo tipo?– In effetti no. Ho un serio problema con l’alcol. Quello altrui. – Scoppiamo a ridere. – Comunque ti ringrazio. Io sono Silvia. – Federico. Non ringraziarmi, da bambino ho sempre desiderato diventare un aiutante di Babbo Natale. Rido di nuovo. – Ho bisogno di prendere una boccata d’aria. Credo ci sia una veranda da qualche parte.

Tiro una spessa tenda di velluto, e il profumo di aghi di pino e il fresco confermano che ho trovato il giardino. La musica non è così forte, si può parlare: – Non sembravi molto a tuo agio. – In effetti… diciamo che ho vinto il ruolo di ‘guidatore designato’.– Dove sono i tuoi amici? – Là sotto. – Fa un cenno alle proprie spalle.– Non ti va di lanciarti in pista con loro?– A dire il vero sono qui solo per accompagnarli. Non è esattamente il tipo di posto che preferisco, ma eravamo insieme a cena, per farci gli auguri. E poi non me la sono sentita di lasciarli guidare. E tu? Sei qui da sola?– No, con tre amiche. Ma sono in giro, a caccia.– Addirittura a caccia? – Solleva di nuovo un sopracciglio. Quel gesto mi piace. Molto. So che non ha ancora capito, anche se ha l’aria intelligente. Come tutti, del resto.– Direi di sì… E’ proprio la parola giusta. – Do un’occhiata alle sue spalle. Non c’è quasi nessuno intorno a noi. Mi avvicino, e lo spingo piano verso una parete. Lui non oppone resistenza, fa un respiro profondo e mi avvolge con le braccia. Mentre i nostri corpi aderiscono uno all’altro mormora: – Quindi a questo punto mi avresti catturato?– Esatto.La sua voce si fa roca. – Allora devo cominciare a preoccuparmi…Strofino la guancia contro la sua, ispida di barba incolta. – Non molto… Vedrai che ti piacerà. – Respiro il profumo della sua pelle, e osservo come il battito del cuore gli fa palpitare le vene sul collo.Affondo le zanne proprio in quel punto, e un gemito strozzato è tutto quello che riesce a emettere prima di essere rapito dalle sensazioni. Il sapore è inebriante, e il digiuno lo rende ancor più squisito. Devo fare uno sforzo per fermarmi prima di renderlo troppo debole.Quando mi scosto, il suo sguardo arde: – Tu… Cosa sei?– Mi eri sembrato sveglio… Non mi sarò sbagliata?– Non dirmi che non ti vedrò mai più.Per un lungo momento taccio. Dovrei rimuovere il ricordo dell’accaduto dai suoi ricordi, come tutte le altre volte in cui mi sono nutrita. Domani, una volta dissipata l’esaltazione, si sarebbe svegliato con un mal di testa feroce e avrebbe potuto attribuirlo alla ragione che gli fosse sembrata più opportuna.Invece mi accorgo di non volerlo fare.

Avvicino il viso al punto in cui l’ho morso, lecco la ferita fino a farla scomparire. Ci metto più del necessario, ascoltando i suoi sospiri e sentendoli riecheggiare dentro di me.– No. – sussurro. Con un’unghia mi ferisco il polso, glielo porgo: – Se vuoi, bevi una goccia del mio sangue. Non ti renderà come me, ma così saprò come trovarti.Per un momento vedo i pensieri rincorrersi nei suoi occhi. Faccio in tempo ad accorgermi che mi dispiacerebbe, se rifiutasse.Poi, prima che la ferita si richiuda, la bacia.I brividi mi fanno tremare tra le sue braccia. Lui ne è sorpreso quanto me.– Ora devo andare.– Allora a presto, Silvia. Mi allontano. In fondo, sarà un buon Natale.

MONETE DI NATALELara Rossetti

L’aria è pungente. Fuori è ormai buio. Giada tira fuori la scatola da sotto il letto, domani sarà il 25 dicembre. - Che cos’è, mamma? - Cecilia, pigiama rosso e piedi nudi, osserva con occhi vivaci. - Sono i soldi dell’anno scorso, amore. - E a cosa servono i soldi? - I soldi, a Natale, servono per comprare le cose. - E cosa vuol dire comprare? - Vuol dire che entri in un negozio, prendi quello che vuoi e in cambio lasci loro un po’ di queste monete. La bambina si siede sul letto e inizia a mordicchiarsi le labbra. Ha l’aria perplessa.- Ma adesso, quando noi andiamo in un negozio, prendiamo quello che ci serve e… - agita il piccolo dito indice su e giù - mi raccomando non di più! - La mamma sorride. - Poi diciamo grazie e usciamo. - Hai ragione amore, ma domani è Natale. E’ un giorno speciale. Tanti anni fa, quando la nonna era piccola, bisognava comprare le cose tutti i giorni e a Natale si compravano per regalarle agli altri. Adesso a Natale vogliamo ricordare quegli anni difficili e per un giorno usiamo tutti questo denaro, per gioco! - Ma questi sono solo pezzi di ferro! Noi invece diciamo grazie. Loro dicevano grazie, mamma? - Non lo so gioia, penso di sì. Ma non bastava. - Ah! - Cecilia scende dal letto. - Allora anche quando nonna andava al lavoro e curava le persone non le dicevano grazie? - Beh, forse glielo dicevano. Ma poi la pagavano anche. - E cosa vuol dire che la pagavano? - Vuol dire che le davano un mucchietto di questi pezzi di ferro che abbiamo nella scatola. - Ah! Quindi nonna curava le persone per avere dei pezzi di ferro? - No, Ceci! La nonna curava le persone per amore e perché voleva aiutarle. - Ah! E allora a cosa servivano i pezzi di ferro? - E’ un discorso difficile, cucciola. Dài, adesso prendi una monetina e vai a dormire. Domani la usiamo per prendere un bombolone in pasticceria. - Quindi compriamo un bombolone? - Sì, brava tesoro! Proprio come faceva la nonna! - Va bene, mamma! Buonanotte. - Buonanotte, tesoro.

Giada rimane sola e conta le monete nella scatola, poi lascia che il sonno prenda il sopravvento. Un tocco delicato la sveglia. Cecilia sta in piedi davanti a lei, nel suo pigiama felpato.- Amore, cosa c’è? - L’orologio segna mezzanotte e dieci. - Ho deciso che questa non la uso per la colazione, mamma!- mostra la monetina sul palmo della piccola mano. - E per cosa la usi? - Per comprare un bacio da te! Tieni! Buon Natale! Giada sorride e i suoi occhi si velano di lacrime. Schiocca un bacio sulla guancia di Cecilia e la stringe forte a sé. - Buon Natale, amore!

LA MAGIA DELLA FESTARoberta Sanarico

Le decorazioni sfavillano. Mille piccole luci colorate danzano allegre in un gioco di musiche. La serenità si diffonde nell’aria come un profumoChe posto è mai questo? pensa un biscotto di panpepato, guardandosi intorno incuriosito. – Ehi, tu. Scusa… – chiede Biscotto all’omino con il cappuccio a punta e la barbetta bianca accanto a lui. – Dove siamo?L’omino, molto serio, non sembra interessato a rispondere e si gira di spalle. Biscotto ci rimane male. – Non preoccuparti – interviene allegramente qualcuno alla sua destra. – Fa sempre così, è un po’ burbero ma buono! A proposito: molto piacere. Mi chiamo Stecco.Biscotto sorride e osserva il suo nuovo amico. È un bastoncino di zucchero a righe bianche e rosse, occhi grandi, vispi e lucenti, e una voce acuta che mette allegria: – Amico, questo è un grande Albero di Natale, sei stato scelto per assistere allo Spettacolo!– Spettacolo? – risponde Biscotto. – Che cos’è? – SILENZIO! – irrompe un vocione dall’alto.I due alzano lo sguardo, ma non riescono a vedere chi ha parlato.– Non sai cos’è lo Spettacolo? – sussurra una vocina dolce alle spalle di Biscotto. Da dietro un ramo di pino e un nastro rosa spunta un occhietto timido, il più bello che lui abbia mai visto, ma subito si ritrae. Biscotto rimane senza parole, fermo, sperando che riappaia.– Cos’è lo Spettacolo? – insiste Biscotto, a voce più alta, guardandosi intorno.– SILENZIO! – echeggia il vocione.– Stecco, chi è che parla? – chiede Biscotto, un po’ intimorito. Ma Stecco non lo ascolta: sta bisbigliando qualcosa nell’orecchio di una sorridente Stellina luminosa. Risponde invece la vocina dolce di prima: – Nessuno lo ha mai visto. Sentiamo solo la sua voce. Dicono sia il più anziano e saggio perché ha assistito a tanti Spettacoli. Sta su in cima all’albero. - Finalmente, Biscotto la vede. È una biscottina, proprio come lui, con due occhietti dolci, un delizioso fiocco e i guantini rossi: – Io mi chiamo Tina. Questo è il mio terzo spettacolo.Lui non sa perché, ma arrossisce: – Io mi… mi chiamo Biscotto. Per me invece è la prima volta. Ma cosa ci facciamo, qui? Vedi, io…Non finisce la frase che dall’alto il vocione tuona: – Attenzione, sta per iniziare. Tra poco assisteremo alla Grande Festa! – Tutti fanno silenzio. Stecco fa cenno a Biscotto di tenere la bocca chiusa. – Come ogni anno – prosegue il vocione, – i

migliori di noi verranno scelti dagli umani per assistere allo Spettacolo, nella Festa della Felicità! È un onore, e dobbiamo esserne fieri.Un brusio allegro si diffonde dalla punta ai piedi dell’albero.– E adesso… brillate come non mai! Un grido di esultanza si leva. Le luci si fanno più luminose. Tutti sono felici, tranne Biscotto, che rimane pensieroso.– Cosa c’è? – gli chiede Tina. – Niente, sono solo curioso. Per me è tutto nuovo e ci sono così tante cose da conoscere che non so da dove iniziare.– Avrai tutto il tempo per capire, vedrai. – La dolcezza dei suoi occhi lo avvolge delicatamente.I due non si sono però accorti che un enorme gatto bianco si è avvicinato all’albero. Viene attirato da una pallina rossa che sta dondolando allegra, mentre gioca con le luci. Con la zampetta la colpisce divertito, aumentando il dondolio fino a farla cadere in terra. La pallina quasi si rompe. Biscotto, Stecco e Tina si guardano spaventati. Il gatto segue con lo sguardo un po’ annoiato la pallina rotolare. Passa poi a una stellina luminosa, proprio quella con cui parlava Stecco. La sfiora con un gesto morbido e la scaraventa a terra. – Povera Stellina! – sussurra Tina, preoccupata.Nel frattempo, il gatto si è alzato dritto sulle due zampe posteriori, con il musetto proprio davanti a Tina. Lei, terrorizzata, vorrebbe nascondersi dietro il nastro rosa, ma ormai è tardi.– Non muoverti, Tina. – sussurra Biscotto. – Stecco, dobbiamo distrarlo… facciamo cadere qualcosa!– Proviamo a spingere giù quella pigna dorata! – risponde Stecco. – Allunga le gambe, fai come me!– Aspettate. Vi aiuto anch’io. – dice l’ omino burbero con il cappuccio a punta. Tina comincia a tremare per la paura.Dalla porta, una donna grida: – Scendi giù! Lo sai che non devi toccare l’albero!Il gatto si ferma e risponde con un lungo miagolio di protesta. Poi cammina pigro verso la pallina rossa caduta per terra, la osserva per qualche secondo e poi la fa rotolare lontano.La donna si avvicina, raccoglie Stellina, la sistema sul suo ramo. Poi guarda Tina e sospira: – Forse è meglio spostarti più su… – La prende e la appende verso la punta, lontano da Biscotto e Stecco.– Ecco. Così non ti può mangiare, quel monello di un gatto! – Poi se ne va.– Tina! dove sei? – urla Biscotto.– Sono quassù, sto bene… ma sono così lontana. – risponde Tina, triste.

– Stecco, dobbiamo andare da lei, non possiamo lasciarla sola!Stecco lo guarda impotente, con l’espressione di chi non ha idee e soprattutto coraggio.– Io vado! – dice Biscotto, ma non sa nemmeno lui come fare..L’omino barbuto si guarda intorno. Poi emette un fischio, a cui risponde un altro e un altro ancora, sempre più lontano. Biscotto vede tre omini barbuti tutti uguali calarsi sui fili delle luci. Seri e composti, si allineano davanti al primo degli omini barbuti, quello che ha fischiato.– Comandi! – dicono all’unisono.– Omini! - dice l’omino barbuto con un piglio da generale. – Dovete guidare questo Biscotto sulla punta. - Gli omini barbuti si scambiano occhiate preoccupate: la punta è davvero lontanissima. - Attenzione! Avete soltanto un’ora prima che cominci la festa e qui sia pieno di umani. Nessuno vi deve vedere. Chiaro?– Sì, signore! Chiaro, signore! Agli ordini, signore! – rispondono, di nuovo in coro.Poi, con due salti mortali, salgono su un ramo, calano un filo argentato, lo legano intorno a Biscotto e cominciano a tirarlo su. – Un momento, anch’io voglio venire. Dove va il mio amico, vado io! – grida Stecco. Saluta con un bacio Stellina e si prepara. Gli omini barbuti sono instancabili, e in breve raggiungono la punta. Biscotto e Tina si abbracciano. Prima di scendere, si fermano su un grande ramo. – È bellissimo, quassù! – dice Stecco, stupito. Ovunque ci sono colori e luci delicate. Lo sguardo corre lungo la stanza, fino a fermarsi su di un grande mobile di legno lucido. Di fronte a una piccola montagna di Pan di Spagna ricoperta di confettini dorati, c’è una casetta con il tetto innevato. Bottoncini di zucchero decorano il camino, e dalle finestre esce una luce delicata.– È una casetta di marzapane! – esclama Stecco. – Anch'io una volta abitavo in una casa così. Poi … – Si fa triste. – Mi hanno portato qui! – È bellissima! – sospira Tina. – Dobbiamo andare. – Biscotto prende per mano Tina, l’aiuta a legarsi e gli omini li calano giù lentamente. Ma il suo sguardo rimane sulla casetta.Tornati da dov’erano partiti, uno strano brivido lo attraversa. Quando ha visto quella casetta riflessa negli occhi di Tina, ha sentito un gran trambusto dentro e il forte desiderio di essere lì con lei. Intanto, Stecco ha raggiunto Stellina, che lo accoglie scintillando. Tutti e quattro si siedono sul bordo del ramo proprio nel momento in cui parecchi umani entrano nella stanza, sorridendo e gridando: Buon Natale!– Ecco. Inizia lo spettacolo! – sussurra Stecco, e prende la mano di Stellina. Tina fa lo stesso con quella di Biscotto.

Lui le sorride: – Con te vicino, sara’ sempre una Festa della Felicità!

BELLISSIMAMarta Salomone

Era una giornata come le altre, quando arrivarono. L'aria tagliente, il cielo sereno e pieno dell'ingombrante luce del sole. Era bello sentire quel calore fievole, in una giornata così fredda. Fiocchi di neve cadevano lenti, e creavano un piacevole luccichio intrecciandosi coi raggi del sole. Mai un Natale era stato più bianco di quello.

Quando arrivarono, non si curarono di niente.La casa, che avevamo appena messo a posto dopo il trasloco, diventò irriconoscibile. Le stoviglie buttate per terra, i tappeti distrutti, i mobili deturpati.Mio marito era nato in una famiglia ebrea, molto legata alle sue tradizioni. Mi sembrò giusto che anche la mia bambina si affacciasse a quella religione. Io, al contrario, non credo in niente. Sembra triste, molti mi chiedono che cosa mi faccia andare avanti, che cosa mi aiuti nei momenti di difficoltà.Ma ho perso troppe persone care per credere che ci sia qualcosa di superiore che ci protegge. Per questo, a volte, mi sentivo un pesce fuor d'acqua nella mia famiglia.

Mio marito lo presero subito, aveva la stella addosso e il suo nome figurava tra i primi della lista. Mia figlia non era ancora rientrata dalla scuola. Aveva appena iniziato le elementari, fiera della sua cartella nuova e del suo grembiule. Così piccola, così fragile, amava leggere e amava contare. Viveva, e amava farlo.Io invece avevo vissuto, avevo amato e avevo viaggiato. Appena rientrò presi la sua stella, la fissai alla mia giacca e la abbracciai forte.: – Corri, e non fermarti fino a che non sei da sola. Dopo quel benzinaio dove ti portava sempre papà, laggiù sulla strada, c’è un paese. Quello dei mercatini di natale, ti ricordi? Dove abita la nonna, Vicino al giornalaio. Vai da lei.– E tu quando arrivi?– Presto amore mio, devo solo fare delle commissioni.– Va bene mamma, allora ti aspetto là. Chiedo alla nonna se fa la torta che ti piace, va bene?– Certo, piccola. E ricordati: tu sei il sole, non permettere mai che una nuvola ti faccia diventare triste. Capisci?– Sì.– Ti voglio bene. – Anch’io, mamma.Mi prese il viso con le manine, io le bagnai con una lacrima

Non fu difficile far credere loro che il nome sulla lista era sbagliato. Diedi il mio nome. Così, mentre mi portavano via vedevo la casa allontanarsi e mia figlia correre. Non la vedrò mai crescere. Ma so che sarà bellissima.

Era una giornata come le altre, quando arrivarono. L'aria tagliente, il cielo sereno e pieno dell'ingombrante luce del sole. Era bello sentire quel calore fievole, in una giornata così fredda. Mi riscalda anche oggi, mentre esco dalla baracca e mi metto in fila con gli altri. I soldati ci spingono verso le docce.

I REGALI DI NATALEMatteo Tiboni

Era il 23 dicembre, verso sera. Nel paesino sperduto, arroccato sulla montagna coperta di neve, ferveva un'attività frenetica.– Su, su! Sbrigatevi. - Incalzava il sindaco. Era un vecchietto talmente alto e magro, che ogni volta che c'era un poco di vento lo si doveva ancorare da qualche parte perché non volasse via.– E quello che stiamo facendo! - rispose il capomastro, lisciandosi la folta barba con le grosse mani callose. – E non è che se ci urli nelle orecchie andiamo più veloci, sai.Ma subito la sua bocca si piegò in un sorriso: in fondo, non era che un buon San Bernardo che abbaia ma non morde mai. Il fatto era che la brutta tempesta di neve dei giorni precedenti aveva ritardato i rifornimenti, e ora tutti quanti si trovavano a dover lavorare a più non posso.Gli uomini piallavano, incollavano, modellavano. Le sarte cucivano, tagliavano stoffe, vestivano bambole e pupazzi. E i più giovani impacchettavano i giocattoli una volta pronti.– Qua si rischia di diventar cieche! – sbottò la più giovane del gruppo, una ragazzina con i capelli biondi raccolti a crocchia.– Non esagerare. – fece la madre, seduta di fianco.– Io è più di quarant’anni che cucio e ci vedo ancora perfettamente. – disse la nonna.– Meno chiacchiere e più lavoro! – concluse la moglie del sindaco, la più anziana del gruppo. Era una donnina così bassa, che per baciare il marito doveva salire su uno sgabello… o almeno questo era il pettegolezzo preferito dalle vecchie comari del paese.Poco lontano, il garzone della locanda stava sistemando del fieno fresco nella stalla, che da li a poco avrebbe offerto ristoro a degli ospiti davvero speciali.L'alba portò con sé il dolce tintinnare di campanellini che preannunciava l'arrivo delle renne di Babbo Natale, il committente di tutti quei giocattoli.Le renne vennero subito staccate dalla slitta e portate nella stalla, dove sarebbero state rifocillate e avrebbero goduto delle attenzioni dei più piccini; che non vedevano l'ora di poter giocare un po' con loro.Babbo Natale porse la mano al sindaco, che era venuto ad accoglierlo: – Allora, è tutto pronto per stasera?– Ehm… mi spiace. – rispose, guardandosi imbarazzato la punta delle scarpe. – Sa, nei giorni scorsi c’è stata tempesta e i rifornimenti non potevano arrivare per cui… insomma: siamo in ritardo.

Babbo Natale sorrise: – Non si preoccupi, sono cose che capitano. Sono sicuro che anche quest’anno ce la farete e tutti i bambini avranno i loro regali.Il sindaco era molto preoccupato: – La ringrazio per le sue parole. Ma ho davvero paura che… Babbo Natale gli pose una mano sulla spalla: – Guardi, adesso devo seguire l'esempio delle mie compagne a quattro zampe e andare a riposarmi, non ho più vent’anni. Ma più tardi verrò io stesso ad aiutare. Vedrà, andrà tutto bene.Il sindaco sorrise. Dentro di sé, l’ansia di non farcela non lo abbandonava e gli stringeva il cuore.

– Bambine, è ora di andare a letto! – disse mia sorella, affacciandosi alla cameretta delle figlie.– Nooooo. - si lamentarono all'unisono le mie due nipoti. - Lo zio non ha ancora finito di raccontarci la storia. Dài, due minuti per favore per favore per favore!– La mamma ha ragione, bambine: è ora di andare a letto. – dissi mentre davo loro il bacio della buonanotte. Stavo per uscire quando venni fermato dalla voce della più grande, Giorgia. – Ma zio, alla fine i regali saranno pronti? Babbo Natale ce la farà a consegnare tutti i doni? – E specialmente i nostri? – le fece eco Giulia, già mezzo addormentata. – Chissà. Lo scoprirete domani mattina.E spensi la luce.

2015.12.24Nadia Baldisseri

Corro tra le macerie, forte, più forte che posso. Tutte le luci sono spente, forse ci sarà un bombardamento. Inciampo nei calcinacci, ma riesco a mantenere l'equilibrio. L'aria puzza di metallo, fango e rifiuti marci. Nella vecchia zona industriale sparano. Mi infilo tra i vicoli. Mi riparo dietro a un muretto a secco. In mezzo alle macerie di cemento armato quelle pietre sembra stiano insieme solo per ostinazione e continuano a osservare il loro pezzo di strada, imperturbabili come vecchi muezzin. Ho ripreso fiato. Adesso devo attraversare il viale. So che non ci sarà mai un momento migliore, per cui non appena me la sento respiro a fondo e scatto. Se è il mio destino, arriverò dall'altra parte. Inshallah. Ce la faccio, e raggiungo un incrocio da cui si vede la moschea. E' stata colpita da un missile settimane fa, ma la sua facciata regge ancora: quando una esplosione accende un obiettivo, più giù lungo la strada, gli smalti riflettono il lampo di luce. La zona del centro è la peggiore, le strade sono dritte ed è più facile essere visti. Corro da un riparo al successivo. Maledizione, li sento arrivare! Li chiamano Mirage, Sukhoi, Tornado. Il rombo è basso e greve, come un grosso calabrone nascosto dentro a un fico. Come li odio! Li odio tutti! Quelli coi fucili, che falciano vite da lontano. Quelli delle milizie, che rastrellano le case e non si prendono nemmeno la briga di trovare una scusa per uccidere… o peggio. A volte è meglio morire che subire il resto. Cerco una cantina aperta. Tiro tutte le imposte che trovo lungo il cammino, e infine una si apre. Le bombe iniziano a precipitare sul quartiere nord mentre scendo gli scalini. Il sudore mi cola giù lungo la fronte, il cotone dello jalabiya di mio padre è già zuppo sotto al cordone. Malgrado fuori sia buio, qui sotto lo è ancora di più. Riprendo il fiato e annuso l’aria. Riconosco l'odore metallico delle canne dei fucili, surriscaldate dopo gli spari! Mi rendo conto che c’è qualcun altro nascosto qui sotto. Fra i boati delle esplosioni sento un movimento alla mia sinistra, mi volto per risalire e scappare ma ce l’ho già addosso: un pugno mi taglia in due, e cado a terra senza più un soffio d’aria nei polmoni. – Sei solo? – mi chiede una voce bassa, roca. Devi rispondere subito, a quelli che hanno un fucile. Tossisco e lotto per recuperare il fiato, rotolo fuori portata da un calcio ma non troppo lontano, sennò avrebbe potuto trovarla una buona scusa per sparare. – Sì. – rispondo in un rantolo. – Un cazzo di ragazzino! Che diavolo ci fai qui? Non lo sapevi che stavano arrivando?

Cerco di abbassare il tono della mia voce, per sembrare più adulto e più controllato, ma ho una paura tremenda. – Devo recuperare una medicina. – Dopo la mezzanotte sarebbe iniziata la tregua, e la farmacia avrebbe accolto i feriti. – Se aspetto, rischio di non trovarne. Mi serve. Mentre parlo riesco a rialzarmi, so che posso solo morire se resto a terra. La figura si staglia contro l’uscita. Impossibile passargli sotto o di lato mentre resta lì, non ci si è messo di sicuro per caso. Ma forse le mie parole lo hanno tranquillizzato, i suoi movimenti sembrano meno tesi. – Da che parte stai?Ecco la domanda. Potrebbe essere un occupante? No, parla col mio stesso accento, è di Al Raqqa anche lui. – Sono un fedele servo di Allah. A morte gli invasori! – esclamo. Forse sto per morire. – Allahu akbar! – Sento che le sue parole sono pronunciate con un sorriso. Inshallah. Fuori le esplosioni si avvicinano, si allontanano, si avvicinano di nuovo mentre i raid si susseguono. Silenzio. L’uomo col fucile spalanca subito le porte, prima che chiunque possa essere nelle vicinanze colga la differenza col rumore delle macerie che cadono. Abbassa il fucile, e si guarda il polso. Deve avere un orologio. – E’ quasi mezzanotte. Yalla! Yalla! Prima che ci ripensi, scappo più veloce che posso.Davanti alla farmacia ci sono solo quattro persone. Quando apre, dopo meno di dieci minuti, sono almeno cento. Il coro di lamenti dei feriti è uno strazio. Escono i medici, e si aggirano in mezzo al carnaio parlandosi in lingue che non capisco. Uno di loro comincia a distribuire i medicinali, tirandoli fuori da una cassa di legno. Recupero le pillole che cercavo, e corro verso casa. Ora devo solo evitare di farmi abbrancare dagli sciacalli, è facile. C’è la tregua, e di rado sparano durante la tregua.Arrivo alla capanna. Mia nonna è lì. Mi abbraccia, mi toglie lo jalabiya e mi accarezza i capelli zuppi di sudore. – Ha funzionato, nonna! – le dico, con gli occhi pieni di lacrime. – Ne ero certa. Il tuo cuore è forte, come lo era il mio. Le do le pillole: – Ora, Latif… Entriamo nella stanza. Il mio fratellino tossisce e sputacchia muco verde. La nonna fatica a fargli inghiottire la medicina, ma ce la fa. Lei riesce sempre a fare tutto.Mi rannicchio sul suo grembo, le racconto cos'è successo in quella cantina e poi piango fino ad addormentarmi.

Quando mi sveglio è l’alba. Latif respira meglio, la medicina funziona di già. Siamo combattenti, in famiglia! La nonna è sulla soglia. Guarda il sole sorgere sui fumi della città bombardata. La sua voce è bassa e ferma: – Non appena tuo fratello starà meglio ce ne andremo. – Cosa? E dove? – Damasco. E da lì, il Libano. Poi raggiungeremo l’Europa. Spalanco gli occhi. La sola idea è talmente grandiosa che non riesco a parlare. Passa le dita tra i miei capelli, che lei stessa ha tagliato poche ore prima con un falcetto per il grano. Stringe le labbra: il risultato non deve essere un granché. La sua voce sembra venire da lontano mentre riprende a parlare, immersa nei ricordi: – Da ragazza, ho vissuto in Iran. Quando io avevo vent’anni le donne potevano frequentare l’università, vestire gonne che lasciavano scoperto il ginocchio e parlare davanti a un uomo. Io… prego che Allah mi perdoni per non essere stata capace di capire prima cosa andava fatto. – Mi guarda. – Leila, bimba mia, oggi hai dovuto entrare in una città bombardata per recuperare una medicina. Tagliarti i capelli e vestirti da maschio è quanto di meglio sono riuscita a immaginare per darti una possibilità, ma di vere possibilità non ne avrai mai, finché resteremo qui. Domani arriva in città una carovana, ripartiremo insieme a loro. Gli invasori non attaccheranno. Per loro è Natale, dopotutto.

PALLINA DI NATALEMilena Capriuolo

Sbam.Miriam spalanca gli occhi, si mette a sedere sul letto e accende l’abat-jour.Sbam.Che sta succedendo di sotto? Chi c’è? Oddio, un ladro!Mette la vestaglia e apre l’armadio.Cosa posso prendere? Lo dicevo io che mi sarei dovuta tenere un coltello qui in camera! Cosa posso pre…? Ah! Ecco! Trovato! Afferra una gruccia e senza far rumore apre la porta. Mette fuori la testa e sbircia nel corridoio.Meno male, qui non c’è nessuno. Mamma mia, che paura che ho! Il cellulare… cribbio, è sotto in cucina! Oh, mamma! Ma chi me lo fa fare, a scendere? Sbam.Rificca la testa dentro e chiude la porta. No, no… e chi scende, adesso? Però… Oh, insomma! Poche chiacchiere e andiamo! Si sistema per bene la vestaglia, afferra con più forza la gruccia e riapre la porta. Esce nel corridoio e si appoggia con la schiena al muro, strisciando lentamente sulle pareti.Ma cosa sto facendo? Ho visto troppi film polizieschi. Vai e sbrigati, cribbio!Scende lentamente, attenta a non far scricchiolare il legno e brandendo la stampella sulla sua testa come fosse una spada. Dal salotto, l’albero di Natale illumina di una luce tenue e intermittente.Sbam.Forza, Miriam. Coraggio! Alza ancora di più la gruccia per aria e deglutisce. Salta dentro la cucina. – Altolà! Una voce le risponde ridendo: – Ah ah ah. Che buffa che sei! Miriam spalanca gli occhi e resta a bocca aperta. Una bambina bionda sta mangiando latte e biscotti seduta al tavolo della cucina. Abbassa la gruccia e fa un passo indietro.– E tu chi diavolo sei? Che ci fai nella mia cucina? La bambina tira su col naso e comincia a dondolarsi sulla sedia. – Lo sai che sei proprio buffa con quel coso in mano, Miriam? Lei sgrana gli occhi e si porta una mano alla bocca.– E tu come diavolo fai a sapere il mio nome? – Io so tutto di te, Miriam.

– Ma cosa stai farneticando? Vuoi dirmi chi sei e cosa diavolo ci fai qui? – Poi si guarda intorno. – Oh mio dio! Guarda cos’ha combinato qui per terra! E’ tutto rotto! Tutto sporco! – Non ci arrivavo, Miriam. Avevo così tanta voglia di biscotti, ma tu li tieni in alto. Voi grandi tenete sempre tutto in alto. Mi dispiace, ti sei arrabbiata? – La bambina abbassa la testa sulla tazza e si dondola ancora di più sulla sedia. – Eh? Ti sei arrabbiata, allora? – No, no… non sono arrabbiata, ma voglio sapere chi sei e che diavolo ci fai qui! La bambina abbassa di nuovo la testa, offesa. Miriam le si avvicina e le dà un pizzicotto.– Cosa sei, eh? Un’allucinazione, un fantasma?– Ahi! Mi fai male! No non sono un fantasma e tu sei cattiva!La bambina scende dalla sedia e corre in salotto.Miriam le corre dietro ma inciampa.– Dannazione! Oh se ti prendo, ti faccio vedere io! – Si appoggia al tavolo per rialzarsi. Sopra c’è una pallina di Natale bianca.E tu che ci fai qui? Ti avevo messa sull’albero insieme alle altre… o forse l’avevo lasciata qui prima, quando sono rientrata?Miriam prende in mano la pallina di natale e se la rigira tra le mani.

Poco prima, quella sera, tornava da lavoro e stava percorrendo a piedi il viale che dalla fermata del pullman va a casa. Tutta infagottata per il freddo, aveva sentito un rumore dietro di lei. Il rumore diventava sempre più forte e più vicino. Si era infilata in un portone buio. Una pallina di Natale bianca le si era fermata davanti.Tutto qui? Una stupidissima pallina di natale? Anche brutta, oltre tutto: bianca, senza un disegno, un fiocco… Se l’era girata per un po’ tra le mani. Aveva scosso le spalle e l’aveva buttata via.Mentre si allontanava aveva sentito di nuovo quel rumore. La pallina la stava seguendo. Stava per lanciarla lontano, quando si era accorta che dentro si vedevano delle figure. Cosa c’è, lì dentro? L’aveva sollevata in alto, verso il lampione, per guardarla meglio. Oh mio dio! Che bello!Dentro la palla c’era una casa in cima ad una collina, con un comignolo che fumava e un grande lago ghiacciato sul davanti. Una ragazzina vestita di bianco stava pattinando. E non era un’immagine. Si muoveva.Ma che meraviglia!

Quando era arrivata a casa aveva buttato le sue cose alla rinfusa nell’ingresso ed era tornata a guardare subito la pallina.Niente.Ma che strano. Eppure ero convinta di aver visto qualcosa prima. Avrò sognato. Dài, Miriam, una tazza di latte caldo e via a dormire. Mi sa che ne hai proprio bisogno!Aveva appeso la palline all’albero e se n’era andata a letto.

Io sto sognando. Non c’è altra spiegazione. Forse ho bevuto troppo alla festa aziendale. Non lo reggo proprio l’alcool.Va in salotto e si butta sul divano. Si massaggia le tempie mentre lo sguardo vaga sull’albero di natale. Dalla porta si affaccia la bambina. Miriam la guarda, spaventata.– Ma perché non mi vuoi, Miriam? Voglio solo darti un bacino. – E le si getta addosso, abbracciandola. Miriam rimane immobile.– Oh, ma perché non mi abbracci? Sei cattiva. Cattiva! Ecco perché sei sola. Una volta ti piacevano gli abbracci. Uffa. – Si volta e le dà le spalle, le braccia conserte.– Ma di cosa stai parlando? Io non ti conosco! – Io invece sì e una volta ti piacevano gli abbracci. Ecco. Quando… – Il viso della bimba si illumina. – Ti ricordi le capriole? – Che capriole?– Oh, ma non ti ricordi proprio niente, tu? Quando dicevamo: “Papà, papà fammi girare ancora! Ancora papà!” E ci mettevamo così. – Allarga le gambe e porta la testa in basso, con le braccia stese in avanti e intrecciate tra loro.Miriam la guarda e trasale. Adesso mi sembra davvero di aver visto un fantasma. – Ti ricordi adesso, Miriam? Ti ricordi? La donna mette una mano sulla testa della bambina e le accarezza i capelli. Una lacrima le corre sulla guancia. Riconosce sé stessa.Mi… Miriam? La bambina fa un grido di gioia e alza le mani al cielo in segno di vittoria. – Evviva! Hai capito adesso! Evviva! La bambina comincia a correre per la stanza e a girare intorno all’albero di Natale. – Evviva! Giocavamo, correvamo, pattinavamo! Eri felice. Ti ricordi quando pattinavamo, Miriam? Eh? Te lo ricordi? Miriam le passa di nuovo una mano tra i capelli con gli occhi lucidi dal pianto.Oh, sì che lo ricordo. Pattinavamo sul lago ghiacciato vicino casa per ore e ore… non sentivamo neanche il freddo. Sembrava di volare sulle ali del vento. Poi papà ci veniva a chiamare. Oh papà! Mi manca così tanto …

Miriam chiude gli occhi per un istante, e quando li riapre la bambina non c’è più. La pallina di natale rotola di nuovo ai suoi piedi. Lei la prende e guarda di nuovo dentro. La piccola Miriam pattina abbracciata al suo papà, adesso. Ricordati, le sussurra.

XMAS WRESTLINGMaela Boltri

– Benvenuti nell’Arena e buone feste (hic) Elfi, Yeti, Pupazzi di Neve, Renne e… eccetera! (hic) Diamo il via alla tren… trecceto… trecentocinquantesima Sfida al Capo Rosso! – Isill urla nel microfono dalla tribuna d’onore, piena di ghirlande verdi e stelle di Natale. Come tutti gli anni, ha esagerato col Vov-Nevischio, la tipica bevanda fatta di neve (abbastanza), liquore (parecchio) e latte (poco). È un elfo paffuto, con le gote rosse e i capelli crespi sempre spettinati sotto il cappello. – Come sempre te scordi gli amichi, eh? An vedi che collega! – interviene Felis, il gatto rosso di Babbo Natale, con la cravatta bianca, gli occhiali e la voce da cantante soul: – Aò, me sa che st’anno ce sei caduto, nel Vov-Nevischio. C’hai na fiatella… Mmò ce penso io, và. Signore e signori, stassera c'avemo n’ospite, e che ospite! La bellissima Endha! Annamo gente, fateve sentì!– Buonaseva a tutti e benvenuti nell’Avena! – cinguetta Endha chinandosi verso il microfono e mostrando sul megaschermo la generosissima scollatura del suo vestitino rosso bordato di ecopelliccia. Tutti applaudono e fischiano, poi vanno in delirio quando sul ring al centro si forma una nuvola di polvere magica e neve.– Eccoce! Er capo in persona, er campione assoluto, er solo e unico...– Evviva (hic) siete pronti? Si pars… pert…– Bbono, Isill, che te se annoda ‘a lingua. Signori, se parte, er Capo è pronto. Anvedi come è messo quest'anno! Pare na montagna de muscoli… e chi lo smonta, mo’. Ed ecco a voi… Babbo The Rock XMas! Chi oserà sfidallo?– Io credo di (hic) vedere un Pupazzo. Dico bene? (hic)– Bravo, c’hai pijato! Er Pupazzo è Jack The Stripper Frosty, che salta sul ringhe e subbito cerca de mollà un pugno a The Rock, che però con uno zompo se leva e je stampa na mano en faccia di risposta. Forte, o'! Isill intanto trangugia un altro boccale di Vov-Nevischio e rutta.– Mmh che maleducato. – dice con disgusto Endha, fissandolo con la sua scollatura… ehm… con i suoi occhioni blu.– Mi pessdoni, scignorina (hic)– Bboni, state bboni. E beccate sto calcio, Stripper Jack! Er Pupazzo vacilla, cade: uno, due... no, no. Se rialza. Che stoffa, però, bravo Stripper!– Ehi, amico, lo vuoi un po' di Vovnisc... Vovsn..– Ma numme scoccia! A’ ambriaco! Ecco che Jack sale sulle corde e salta sopra The Rock, che mo’ se sta a squajà sotto er Pupazzo! Ma no, je soffia ‘a polvere maggica

en faccia. Bloccato! L'arbitro conta... ce semo. E Babbo The Rock XMas vince l’incontro! Yeeeeee!– (hic) zzz… (hic). – Oh, ma che vevgogna! – Endha è indignata. – Nemmeno il pvimo vound e già è andato. Non ci sono più gli uomini di una volta…– Ao' svejate! Isill ! Vabbe, và.… Ma ecco il prossimo sfidante, anzi... i prossimi! Ma se po' ffa’, secondo te?– Ma certo, Felis. In fondo i fvatelli Krumivi sono due elfi e l’articolo123paragrafo8barra7 confevma che possono partecipave insieme contvo un adulto.– Aò, ma quante ne sai? Bella e ‘ntelliggente. Nun s’è mai visto. Ecco che i Krumiri avanzano abbracciati per raddoppià ‘a forza d’urto, ma The Rock con un salto mortale con spaccata fa scoppià a’ coppia. Ha ha ha. V’è piaciuta, a’ battuta? Ma loro nun se fanno frega' e je se lanciano alle gambe buttandolo a terra. Ajo, che botta!– Già, povevo Babbo… Fovse se facesse un Tviplo SaltoCandito ne stovdirebbe uno e poi potvebbe passave all’altvo…– A fata, ma che stai a ffa'! Suggerisci?Detto fatto, Babbo The Rock XMas si esibisce nel difficilissimo Triplo SaltoCandito, poi con una presa al collo mette fuori gioco anche l'altro e... fine dei giochi.– Che spiona, ao'. Vabbe, che te se perdona tutto con quelle tett… occhi dolci, và. Signori, er prossimo sfidante!– Ecco salive sul ving niente meno che Vudolph, il capo delle Venne. Sembva che abbia litigato con Babbo... il pevché è copevto da segveti magici ma fovse vuole paveggiare i conti.– No! Davero? Ma chemme stai a ddì! Allora ce sarà da ride. Suona er gonghe, The Rock sta più fresco de na rosa in centro ringhe. Rudolph sembra lo stà a studia' ma subbito se gira e je sferra ’n carcio ar petto. Mamma mia, che botta! Sì, c’hai raggione, se vede che stà incarognita, ‘a Renna!– Già, stavolta Babbo Natale è nei guai! È caduto sul sedeve, ma votola via e viesce a schivave un'altvo calcio.– Ma ecco che The Rock dalla rotolata passa a un Calcio RotanteStellaFilante e tiè, Renna a terra. Uno, du... aò, ma quella se ripija subbito cercando de mordeje na coscia. The Rock salta de lato, prenne un bastone de zucchero e je ‘o rompe sur grugno.– Beh, devo pvopvio dive che se le danno di santa vagione! Non savebbe meglio... calmavli un po'? Magavi scendo e mi slaccio un altvo bottone del vestitino…– Ma nun ce vedi? Se stanno a sbroglia' li fatti loro! Lassali stà. Comunque, se senti caldo, quel bottone…

– Si, dici?– Aspè. Aò, ma com’ha fatto Rudolph a buttà de nuovo a terra The Rock? Li mortacci! Forza libberate! Nun pò vince na renna, dàje. L’arbitro se avvicina, conta… Nun posso guarda’ – E si copre gli occhi con le zampe.– D'accovdo, Felis. Commento io. L'arbitvo conta: uno, due, tve... si è libevato! Con un colpo di veni ha vibaltato Vudolph e l'ha impacchettata come un vegalo sotto l'albevo. È un vevo bviccone, il Capo.– Davero! Famme vede', nun ce credo! E conta, arbitro, movete! Uno, due, tre, quattro… e annamo! cinque, sei, sette… aò ma conta lento, eh? otto, nove, dieci. Yeee! Babbo The Rock XMas vince! Vince! VINCE! Campione anche quest’anno! E mmo' annamo a festeggia’. A te la conclusione, Endha.– Signovi e signovi, ecco il vincitove assoluto! Babbo The Vock XMas! E ova tutti al gvande pvanzo della vigilia per ritempvave le fovze pvima di pavtive pev consegnave i vegali!La folla si alza felice, il gong suona a manetta, Rudolph porge la zampa a Babbo e lui la stringe come due amici che alla fine si ritrovano. L’Arena si svuota.– Il prossimo! – urla Isill, alzandosi di scatto da sotto il tavolo dove si era addormentato. – Il prossimo sfidante è... Ma, ma… ma dove sono tutti? Mi distraggo un momento e... basta! (hic) L’anno prossimo col piffero che faccio lo speaker! Che sete, però. Ci vorrebbe un goccio di Vovsc… Vnsch…. (hic).

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