Natale 2013

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1 VOCE per la COMUNITA’ UNITA’ PASTORALE “S.ARCANGELO TADINI“ PARROCCHIE DI BOTTICINO NOTIZIARIO PASTORALE Natale 2013

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VOCE per la COMUNITA’UNITA’ PASTORALE “S.ARCANGELO TADINI“

PARROCCHIE DI BOTTICINO

NOTIZIARIO PASTORALENatale 2013

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RECAPITO DEI SACERDOTI E ISTITUTILicini don Raffaele, parroco

cell. 3283108944 e-mail parrocchia:

[email protected] segreteria Unità Pastorale: 0302193343Segreteria Unità Pastorale tel. 0302692094

Loda don Bruno tel. 0302199768Pietro Oprandi, diacono tel 0302199881

Scuola don Orione tel. 0302691141sito web: www.parrocchiebotticino.it

Suore Operaie abit. villaggio 0302693689Suore Operaie Casa Madre tel. 0302691138

BATTESIMI BOTTICINO MATTINABOTTICINO SERA E SAN GALLO sabato 11 e domenica 12 gennaio 2014

sabato 1 e domenica 2 marzo 2014I genitori che intendono chiedere il Battesimo

per i figli sono invitati a contattare, per tempo, per accordarsi sulla preparazione e sulla data della

celebrazione, il parroco personalmente o tel.3283108944

PRESENTAZIONE In occasione del Natale ecco il Notiziario per le famiglie delle tre Parrocchie di Botticino. E’ un notiziario-documento perchè non si limita a dare notizie, ma presenta pagine di formazione nei vari ambiti della pastorale, com-preso quello sulla conoscenza della Bibbia. Gli argomenti vengono pre-sentati con un linguaggio compren-sibile a tutti e servono per essere aggiornati e istruiti nelle cose che riguardano il nostro essere Chiesa. Non va letto tutto d’un fiato, ma gu-stato e meditato pagina per pagina. Viene pubblicata per inte-ro il Documento finale del Sinodo diocesano sulle Unità pastorali. Non mancano temi attuali riferiti alla realtà socio-politica e tematiche inerenti ai nostri tempi. Rifuardo alla pastorale fami-liare numerose sono le pagine: la scoperta della ritualità in famiglia. E poi le pagine rigurdanti la caritas, le missioni, l’oratorio, la scuo-la don Orione, attività di volontaria-to, ricreative e sportive.

La busta per l’offerta in occasione del NataleDa tradizione, in occasione del Natale, viene rivolto ad ogni famiglia l’invito a contribuire ai bisogni della parrocchia mediante un offerta strordinaria. Anche questo è un modo per esprimere la propria appartenenza alla comunità parrocchiale.Gli impegni economici non sono pochi.

Il parroco e i Consigli Parrocchiali delle tre parrocchie colgono l’occasione per ringraziare

anticipatamente quanti vorranno cogliere questo appello e per esprimere l’augurio per le prossime festività.

quella luce sulla pista...

Natale. Quante luci... Luce in ogni dove, eppure manca negli occhi di tanti, perché quella grande illuminazione non è ciò che dovremmo guardare, non è quello da cui prendere forza.

La vera luce è data dalla gioia di una nascita, un bambino che duemila anni fa ha portato la luce nel mondo, ci ha donato parole ed esempi di speranza, di amore, di solidarietà, di fratellanza.

Oggi sembra che questi valori siano scomparsi, sembra che ci sia tanto egoismo, paura, dispera-zione, pessimismo, che le persone non sappiano dove camminare, in quale direzione andare, a quali ideali ambire. Tutto questo perché si è su sentieri privi della luce vera, quella che Gesù nascendo ha infuso nei cuori, ma la si rifiuta. Vengono negati i valori di amore che Dio ha insegnato perché stanno stretti, perché fa comodo evitarli per non fare sacrifici. E allora perchè limitarsi a bron-tolare se si brancola nel buio, se tanti prendono ‘brutte strade’?

E così, purtroppo, siamo al buio, ancora guerre tra vicini e guerre lontane, le preoccupazioni, le malattie che mietono vittime in ogni casa, una crisi economica a livello mondiale... ma ci si ostina a non guardare quale sia il sentiero illuminato. Si è come aerei che vorrebbero atterrare in un aero-porto sicuro, ma si ha paura di andare a finire fuori pista e schiantarsi. Si vede una pista illuminata, ma è troppo lontana da noi e si continua a cercare una pista sotto la nostra carlinga, si gira a vuoto alla disperata ricerca di un punto di atterraggio, ma è tutto buio ... rischia di finire il carburante e precipitare.

Non è troppo tardi rivolgere il muso dell’aereo verso quella pista illuminata! Troveremmo ad attenderci capaci controllori di volo che sapranno farci atterrare dolcemente, senza scossoni.

Occorre fare solo il primo passo, dare una virata decisa per cambiare rotta, tutto il resto lo farà la torre di controllo.

Anche nelle nostre intenzioni più buone è così. Si vede quella pista più o meno in lontananza, si capisce l’importanza di prendere decisioni in tal verso. Ma si ha paura, l’egoismo. la pigrizia, l’indifferenza frenano, im-pediscono di capire che continuare a svolazzare lontani da quella pista ben tracciata priverà di vita.

Se solo si fosse meno ottusi si potrebbe scoprire che at-terrare su quella pista illuminata sarà una gioia immensa ed un riposo per il nostro cuore, stanco di tanto egoismo.

Allora buon Natale a tutti! A te che lo hai atteso e invocato. A te che proprio non ne vuoi sapere di Dio e di tutte le sue

presunte menzogne. A te che lo senti vicino perché come Lui abiti la periferia

della storia. A te che stai cercando di fare un passo verso di Lui e non

riesci a vedere che Lui ne ha già fatti cento verso di te. A te che dopo anni farai Natale senza il tuo amato marito,

la tua amata moglie... A te che dopo tanta solitudine hai trovato l’amore. A te che ancora non trovi la forza per guarire. A te che sei sprofondato nel silenzio. A te che finalmente stringi tra le braccia un figlio tanto

atteso ed amato.Ad ogni uomo e donna di ogni età che rischiano di lasciarsi

brillare della vera luce data dalla gioia della nascita di Gesù.

don Raffaele

NATALE E’ ARRIVATO

E’ natale, a mezzanotte suonano a distesa le campane per ricordare la venuta del Salvatore,dalla finestra contemplo il cielo stellato dove tanti anni fa un bambino è venuto tra noi con semplicitàper darci amore e serenità.Gli angeli, come ieri, cantano, ballano e sono contenti e ci dicono: “ Aprite il cuore a Giuseppe e Maria, perché il loro figlio non trovi rifiuto e porte chiuse sulla via. “Sempre dalla finestra , estasiato per il cielo stellato, sento una voce che dice :” Sono arrivato perchéanche tu sia salvato. “ Pietro Stefana

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NATALE, ANCORA NATALE,

MA QUALE NATALE? Potrebbesembrarestrano,ep-pure di Gesù, sul piano storico, sap-piamopoco,equelpococheivangeliriportanopernoièmolto,anzitantis-simo.Ivangelinonsono«unastoriadiGesù»,maunacatechesiperchicredegiàinluicomeFigliodiDioeMessia.Diconseguenzaiquattrolibrettisonouncatechismo,originariamentepredi-cato in formaoraledagliapostoli,daicatechisti,daipredicatoriedachiave-vaconosciutoGesù(famiglia,paesani,amici,ecc.).Adistanzadi40-80annidalla sua morte, sono stati messi periscrittoperduemotivi:perconservarela memoria di quanto accaduto e su-scitarelafedeinluianchenellegene-razionifutureeperpoterliusarecome«Scrittura» di compimento dell'An-tico Testamento nell'Eucaristia delleChiese,ormaidiffuseintuttol'orientefinoaRoma.

DI GESÙ SAPPIAMO...Marco,ilprimodeglievangelistiscrit-tori, non parla affatto della nascita diGesù; in compenso Giovanni, l'ulti-modeglievangelisti scrittori,accennaall'eternità del Lògos che per volerediDio«s'incarna»,cioèdiventaunodinoiinunprecisopaese(Israele),inunadeterminatacultura(Giudaismo),inunaspecificareligione(Ebraismo),inuntempobendefinito(finedelsec.Ia.C.esec.Id.C.),nelcuoredispecificieventi(occupazioneromanadellaPa-lestina).Chi,invece,parladellanascitadiGesùinmanieraesplicita,sonoidueevangelistiMatteo(capp.1-2)eLuca(capp. 1-2), ma non dicono le stessecoseperchéhannoprospettivediverseesirivolgonoacomunitàdiverse.Un

elencoschematicodiciòchesappiamodiGesù,potrebbeessereilseguente:• è nato intorno al 6/7 a.C. da unaragazza-madre,appenaadolescente,dinomeMiriàm/Maria;•nonsiconosconoilgiorno,ilmeseeneanchelecondizionidellanascita;• è nato a Betlemme, a sud d'Israele,patriadiDavidedacuidiscendeGiu-seppe,ilpadrelegalediGesù;•ènatoinunazonaperiferica,consi-derata dalla religione «impura» per-chéabitatadapastori;• è stato circonciso all'ottavo giornodalla sua nascita ed e stato chiamato«Joshua-Gesù»dopo40giorni;•hatrascorsolasuavitaaNàzaret,nelNorddellaPalestina;• al compimento del 12° anno di età(iniziodel13°),neltempiodiGerusa-lemmehacelebratoilritodella«Bar-mitzvàh-Figliodelcomandamento»,chepergliEbreièl'iniziodellamaggio-reetà(cfLc2,41-50);•hapredicatoperlaPalestinaeanchefuori i confini per circa un anno, unannoemezzo,all'etàdi34-35anni;•nonappartenevaallacastasacerdota-le,maeraunlaico;•sièscontratoconilpoterereligiosoeilpoterepoliticocheallafinesisonocoalizzati e lo hanno ucciso, condan-nandolo a morte come «rivoluziona-rio».IlSinedriohaemessolasentenzadicrocifissioneeiRomani,nemicial-leatiperl'occasione,l'hannoeseguita;•èmortoall'etàdicirca36anni(30/33d.C.?),lastessaetàdiIsaccoquandofulegatosulmonteMoriaperesseresa-crificato(cfGen22,1-23);• è risorto da morte alle prime lucidell'alba del giorno dopo il sabato,dandoinizioall'avventuradellanuovaAlleanza;• non ha lasciato nulla di scritto, masoloundiciapostoliealtreapostolecheinviònelmondo;•ilsuoinsegnamentoèstatoraccoltoin quattro vangeli che persone inna-morate di lui hanno scritto per i lorocontemporaneiepernoicheliascoltia-moevogliamotramandareachiverràdopodinoi.

NOTA STORICA SULLA DATA DI NATALE

Nei sec. II-IlIdell'èracristiana in tut-tol'Oriente,alladatadel6gennaio,sicelebravaunafestagenericadettaEpi-fania (manifestazione) che inglobavatrememoriali:Natale(manifestazioneagli Ebrei), Magi (manifestazione aiPagani)eSposaliziodiCana(manife-stazionenelsegnodell'alleanzauniver-sale).InSpagnanelsec.IVsicelebra-va il Festum Nativitatis Domini Nostri Jesu Christi.SanGiovanniCrisostomo(345ca.-407)inun'omeliasulNatale,pronunciata nel 386, dichiarava chenella chiesa di Antiochia già da dieciannivieral'usodicelebrarelaNasci-tadelSalvatoreil25dicembre.AnchenellachiesadiRoma,comeinquelladiMilano,findal336sicelebravailDies natalis Domini sempre al 25 dicem-bre,consideratoilgiornogenetliacodiGesù. Papa Liberio nel 354 scorporòla festa in due, assegnando Natale al25dicembreel'Epifaniaal6gennaio.Nellachiesaortodossaearmena,inve-ce,leduefestesonoancoraaccorpateal 6 gennaio. I cristiani del Nord delmondocelebranoilNataleininverno,mentre i cristiani del Sud lo celebra-nod'estate.Il25dicembreèunadataconvenzionale perché in relazione al25marzo,giornoincui,secondolatra-dizione,nellacasadiNazaretl’Angeloannunciò a Maria il concepimento diGesù.MariapartorìilFiglionovemesidopo,cioèil25dicembre.ÈilNatale.Il25dicembreèancheilsolstiziod’in-verno, incui siha ilgiornopiùcortodell’anno e la notte più lunga. Sia inOriente che a Roma questo giornoera dedicato al «dio Mitra», divinitàdi origine persiana, venerato come il«Sole Invitto». La festa, centrata sulsimbolismodellaluce,ebbeunadiffu-sioneenormenell’imperoromanotraisec.I-IIId.C.,tantochel’imperatoreDiocleziano (284-305 d.C.) dovetteproclamareildio-Mitra«sostegnodelpotere imperiale», incrementandoneilculto.Duranteigiornidifesta,tuttodiventava lecito perché veniva menoognifrenoinibitoreesiscatenavaogni

sortaditrasgressionespecialmenteses-sualechesiconcretizzavainritimagicieorge,incuiavevanounpostoprivile-giatole«vergini»chesacrificavanoaldiodellalucelaloroverginità.Nondiradolafestaeraoccasionepervendettepersonali fino all’omicidio. I cristianiopposeroaquestelicenziositàl’austeramemoriadelLògosincarnatochenac-queinunastalla,nellapovertàpiùestre-ma,fissandoilNataleappositamenteal25 dicembre, compimento esatto deinovemesidellagestazionediMaria,dal25 marzo, giorno dell’annunciazione,equinozio di primavera. Per contrasta-reiritidelleverginicheoffronolalorointegrità al «dio Mitra» in baccanaliorgiastici,icristianiesaltaronolanasci-ta«verginale»diGesù,«solechemaitramonta», offerto al mondo da una«vergine»chesiabbandonaaldisegnodiDio.Nellostessoperiodo,almenodaoltreduesecoli,il25delmesediKislèv,corrispondenteaunadatatrail15eil25 dicembre ca., i Giudei celebravano(ancoraoggicelebrano)lafestaebraicadi Chanukkàh (= inaugurazione/dedi-cazione), detta anche Chàg Ha-neròth(Festa dei lumi), Chàg Haurìm (Festadelleluci)eChàg Hamakkabìm(FestadeiMaccabei),per farememoriadellariconsacrazionedel tempiocheAntio-co IVdissacròconuna statuadiZeuse che Giuda Maccabeo con la sua fa-miglia riconquistò nell’anno 165 a.C.,ricostruendo e riconsacrando l’altaredelsacrificio.LaChiesapernonisolareicristianiaccerchiatidalcultopaganodeldio-sole/MitraedallaebraicaFestadel-le luci, inventòlacelebrazionedelNa-taledelSignore,ilSolechesorgeemaitramonta. A Natale non domina soloil simbolismo della luce che contrastailbuiodellanotte,masicelebraCristostesso,«Lucecheilluminalegenti»(Lc2,32), «Stella luminosa del mattino»(Ap22,16),sapienzadisplendore«chenontramonta»(Sap7,10).CelebrareilNataleinpienoinvernoèancheunattodi coraggio e di speranza, un invito aguardareoltreleapparenze:ilsemeap-paremortoeperdutoneisolchi,legior-natesonobreviebuie,ilsensodimortetuttopervade;alcontrario,lanascitadiunbimboèunagrandeprofeziacheil-luminailmondoeanticipalaprimave-ra,quandolavitadanzeràesconfiggeràlamorteinvistadell’estatecheporteràlagioiadelraccoltoedell’abbondanza,simbolodipienezzadivita.

NATALE: IL CAPOVOLGIMENTO

DI DIONatale per i cristiani di routine è lafesta civile del buonismo a buonmercato,risoltoinunaprassisconta-tadiregali,odiatidachilifa.Perchicrede, Natale è la contraddizione diDio che non potendo essere visto econosciuto, decide di farsi conosce-re: egli stesso diventa esegeta di sé(Gv1,18).ANataleDiospiegaDionell’unica maniera che a noi è pos-sibile capire: facendosi uno di noie rivelando il volto nascosto di DioPadre nel volto visibile dell’Uomo.Eperchénessunopossaavereanchelaminimapossibilitàdiaverepaura,sceglielaformapiùindifesaepiùdi-sarmante: il bambino. Nella culturadel tempo di Gesù, il bambino nonha alcun titolo e conta nulla perchésenza valore giuridico; per questoegli lo assume come «metro» delRegno: «Se non vi convertirete enondiventeretecomeibambini,nonentrerete nel regno dei cieli» (Mt18,3).Nonbasta.Diovuolesvelarciilsuovoltodibambinopoveroeperse-guitato,profugo,straniero,emigrante,clandestino: nessuno nel Regno diDio ha le carte in regola per essereaccreditato, nessuno è più in rego-ladiunaltro.Unasolacondizioneènecessaria:esserefiglidiDio.QuestoèilNatale,questalanostrasperanza.DiventiamoanchenoiesegetidiDio,manifestandoinpienolasuaumanità,riconoscendoneglialtrilalorodignitàdiesseriumaniefiglidiDio.A Natale tutto si capovolge. La lo-gica umana non regge quella divinaperchéDioècapacedisorprendercisempre, oltre ogni aspettativa, ro-vesciando i criteri e i «valori» delmondo:all’imperatorepotente,con-trappone una ragazza inerme; a chipretende di «contare» (censimen-to)l’umanitàcontrapponeunuomo,unadonnaincintaeunbambinoap-

penanato;all’onnipotenzadellareli-gione,contrapponelafaticadiviverelavolontàdiDio;allosplendoredel-la reggia e del tempio, contrapponela povertà e l’autenticità della vita.PerquestoaNatalebisognasapereeavere coscienza che il Bambino chechiededinascereancora:•èunextracomunitarioperchéèunpalestinesediNazaret;•èunemigratoinEgitto,perchéper-seguitatopoliticoereligiosofindallanascita;•èvittimadelleleggirazzialierazzi-stedellepolitichediespulsione,per-chésenzapermessodisoggiorno;•èebreodinascitaericercatoperes-sereeliminato;•èunfuorileggeperchéclandestinoericercatodallapolizia;• è un poco di buono perché figliodiunaragazza-madre,appenaadole-scente;•èoppositoredelpoterereligiosoepoliticoedèammazzatopervilipen-diodellareligione;• è povero dalla parte dei poveri e«deve»essereeliminato;•èun laico,credenteatipicoecon-trocorrente;•èpocoraccomandabileperchéfre-quentalebbrosieprostitute;• è Dio perché i suoi pensieri nonsono mai i pensieri dei benpensanti(Is55,8).È Natale! La speranza di essere uomi-ni e donne nuovi per un mondo nuo-vo è possibile perché Natale è l’an-nuncio profetico che la Resurrezione è la mèta della Storia. Anche oggi, an-che adesso. Anzi è già compiuta e noi possiamo rinascere e risorgere ogni giorno, perché Gesù non ha bisogno di nascere di nuovo, essendo eterno, ma noi abbiamo necessità di rinasce-re anche oggi a vita nuova. Questo è Natale: Dio-con-noi-Emmanuel (cf Mt 1,23). Buon Natale.

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parrocchie in cammino - parrocchie in cammino - parrocchie in cammino - parrocchie in cammino - parrocchie in cammino

Questo vescovo di Roma che non lascia quieti i benpensanti, quelli che

agiscono, in forza di una dottrina mal digerita, con l’uomo che viene dopo il sabato. Ogni mattina lì, con il fiato sospeso, a chiedersi che cosa s’inventerà partendo dal Vangelo di santa Marta.Che non è un nuo-vo apocrifo: anche se per quei bat-tezzati, forgiati da coltivazione pre-conciliare oggi indecifrabile, è un continuo smarrirsi per l’inconsueto uso di dire cose forti senza lanciare nuove encicliche, in quell’ecclesiale-se che le lascia per lo più intonse. Facessero almeno silenzio. E inve-ce si scatenano sul web, con toni subdoli, melliflui, e dunque ancor più arroganti, o in certe stracche sacrestie che resistono al tempo, in quel chiacchiericcio che rode la vo-glia di stare nella stessa compagnia di Chiesa. E non s’accorgono d’at-taccarsi a schemi che non sanno il profumo del Vangelo: fardelli posati sulle spalle di credenti e non. Anche giovani pretini più o meno intonaca-ti, sentenziano di una fiacchezza te-ologica nel racconto che Francesco fa della fede, imbeccati da docenti di teologia che si vedono scappar via un potere del linguaggio, che loro non sanno tradurre dal libresco teologico nelle attese dell’anima; gli stessi pretini che poi stendono in piazza san Pietro striscioni che credono affettuosi e sono invece pregni di una mondanità che è il cancro della fede, come il papa dice ai loro orecchi spenti. Lui, il primo Francesco papa, non teme di valica-re i confini, verso una forma di Chie-sa che si definisca con il sigillodella

fraternità: dunque nel segno della Trinità che così non lascia fuori pro-prio nessuno, ben oltre gli uomini di buona volontà; la fraternità umana che conosce il peccato omicida del non riconoscersi l’un l’altro, e tutta-via continuamente chiama alla mi-sericordia di un Padre che trattiene dal condannare chicchessia. Agisce dentro e fuori la Chiesa, Francesco: quando, per raccontare il fatto cri-stiano, sceglie un giornale che si è sempre distinto per anticlericalismo (ma loro dicono di battersi solo con-tro i clerici bigotti e dunque ipocriti, ma quand’anche non fosse così…); o quando a ruota sceglie, per trac-ciare il progetto della sua vocazione di pontifex, la rivista che più papista non c’è (dato che egli ne è, per sta-tuto, il correttore di bozze). E getta-re ponti è impresa che vuole legge-rezza: non si lascia appesantire da mitrie imperlate (oh quanto manca-no ad alcuni!) né si lascia avvolgere da mozzette d’ermellino. Racconta gli uomini negli spazi del loro vissu-to, fatto di incompletezze e di falli-menti: si chiede e chiede una nuova attenzione per quei gangli vitali che un rigido fariseismo cattolico non ha finora saputo affrontare con la liber-tà del Vangelo. Della Tradizione non ha mai buttato uno iota, e tuttavia sta declinando parole evangeliche in parole umane, chiamando a un rispetto per ogni persona che viva una sofferenza. Così in lui la forma diventa sostanza: quell’accoglienza che è una carezza e quell’ascolto che non è sussiegoso ma vero, del-la verità che rispetta l’interlocutore. Costruire ponti per passare sulla riva diversa: là dove pure abita il Cri-

sto; là dove sono i figli dello stesso Padre che sta nei cieli. Ecco, valicare le frontiere sta nel suo genoma di gesuita, da compagno di sant’Igna-zio: una formazione ad gentes, missionaria senza proselitismi. Lo ricordassero quelli che vorrebbero ridurlo a un papa buonista, con un linguaggio da curato di campagna, secondo una letteratura d’antan. Raggiungere tutti, perché il Vange-lo è per tutti: sfidando usi datati, steccati che separano gli uni dagli altri nella stessa sua Chiesa, perché Dio abita in ogni uomo, ci sta dicen-do, in ogni storia fatta di carne e di sangue; e fatta di errori, di peccati: ma abbracciata dall’amore. Abita in ogni uomo: che stia di qua o di là della sponda della Chiesa cattoli-ca, o della fede cristiana, o di nes-suna fede. Che cos’altro chiedergli in questo Natale, quali gesti nuovi, oltre questa notizia così fresca sep-pure antica, che ci ha dato in que-sti mesi di gestazione di una nuova annunciazione? Senza alcuna enfasi e tuttavia grati per questa stagione della Chiesa, occorrerà comunque avvertirsi di una possibilità: che suc-ceda a Francesco, come a molti altri nei secoli cui è stato dato un dono grande di profezia, di non essere ac-colto, come san Giovanni ricorda del Verbo che venne tra chi non lo rico-nobbe; e dunque che qualcuno con-sideri questa fase una parentesi, da cui tornare alle pratiche di sempre, rassicuranti, con una Chiesa che ha vissuto le vanità del mondo facen-dole credere per la maggior gloria di Dio. Ma non secondo l’insegnamen-to ignaziano. Appunto: contenti ma avvertiti.

il profumo del Vangelo

UNITA’ PASTORALE “S.ARCANGELO TADINI”PARROCCHIE DI BOTTICINOORARI S.MESSE

invernale FEsTIvE DEl sABATO E vIgIlIA FEsTIvITA’

SERA VILLAGGIO ore 16,00MATTINA PARROCCHIALE ore 17,30

SAN GALLO PARROCCHIALE ore 17,30SERA PARROCCHIALE ore 18,45

FEsTIvE DEllA DOmENICA E FEsTIvITA’SERA PARROCCHIALE ore 8,00

MATTINA PARROCCHIALE ore 9,30SAN GALLO PARROCCHIALE ore 10,00

SERA PARROCCHIALE ore 10,45MATTINA PARROCCHIALE ore 17,30

SERA PARROCCHIALE ore 18,45

lUNEDI’CASA RIPOSO ore 16,45

MATTINA PARROCCHIALE ore 18,00SERA PARROCCHIALE ore 20,00

mARTEDI’MATTINA SAN NICOLA ore 18,00

SAN GALLO PARROCCHIALE ore 17,30SERA PARROCCHIALE ore 17,30

mERCOlEDI’MATTINA PARROCCHIALE ore 18,00

SAN GALLO PARROCCHIALE ore 17,30SERA PARROCCHIALE ore 18,30

gIOvEDI’SAN GALLO PARROCCHIALE ore 17,30

MATTINA S.NICOLA ore 18,00SERA PARROCCHIALE ore 20,00

vENERDI’SAN GALLO TRINITA’ ore 17,30

MATTINA PARROCCHIALE ore 18,00SERA PARROCCHIALE ore 18,30

Buon Natale e benedetto Anno Nuovo!Grazie. E’ una parola che da sola vale più di mille altre scribacchiate a fatica. «Grazie» riassume tutto quest’anno vissuto insieme, anche il dono del Natale che ci prepariamo a rivivere e il nuovo anno che aspettiamo tra timori e speranze. «Grazie». Una parola a volte così difficile da dire. Perché detta col cuore richiede il rifiuto del «tutto (mi) è dovuto e garantito» e l’apertura gioiosa al dono e alla gratuità. Allora...Grazie a tutti gli animatori della pastorale: ministri ordinati , suore e laici, che in umiltà e fe-deltà si mescolano come lievito nella pasta delle nostre comunità per far emergere i segni del Regno.Grazie a voi tutti ‘uomini e donne di buona volontà’, fedeli e ‘poco’ fedeli, benefattori e sostenitori, perché anche in questo anno difficile ci siete stati molto vicini nonostante le obiettive difficoltà economi-che, sociali e politiche che tutti stiamo vivendo. Grazie perché credete ancora che è possibile un mondo di condivisione, di rispetto, di riconciliazione e pace, un mondo più giusto dove la vita sia accolta, amata e rispettata, dove le tre Parrocchie di Bot-ticino - nella loro diversità - e con l’umanità intera, possano cantare insieme la meravigliosa sinfonia dell’amore di Dio che è Padre di tutti e ha cura di tutti e di ognuno.Grazie per il dono del Natale che ci offre la possibilità di riscoprire il volto umano dell’amore divino. Un avvenimento che non solo ci parla dell’amore «senza se e senza ma» di Dio, ma ci stimola ad «amare da Dio» gratuitamente e liberamente, accogliendo coloro con cui Gesù stesso si è più identificato: piccoli, poveri, stranieri, insomma, chi fa fatica nella vita.Grazie anche per questi tempi difficili, per questa crisi che ci offre un’occasione insperata - anche se dura - di ripensare il nostro stile di vita. Non per tornare alla povertà di una volta, ma per recupera-re quei valori di umanità che abbiamo buttato via con la povertà: sobrietà, condivisione, semplicità, risparmio, tempo per stare insieme e far famiglia... comunione, fraternità.Grazie per il nuovo anno che viene, un nuovo dono della pazienza di Dio, amante della vita, che non si è ancora stancato di noi e ci da ancora tempo per crescere, capire e tornare a lui tornando agli altri, raccogliendo soprattutto la sfida della giustizia e della pace, del perdono e della riconciliazione tra vicini e lontani.Come ‘operai del Vangelo’ assicuriamo solo il nostro impegno a essere quello che Gesù voleva e vuole che noi siamo: dei canali di amore verso tutti.Buon Natale e benedetto anno nuovo!

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Complice anche la riflessione siste-matica sulla crucialità dell’esperienza generativa e sulla natura drammatica del costruirsi della coscienza, il tema dell’influsso della famiglia sui processi che plasmano l’umano non è più tra-scurabile da nessuno. Ma non si tratta, solo, di una consapevolezza teorica.

Lo stress del cambiamentoLo stress a cui sono sottoposte le

agenzie educative in tempi di forte ed accelerato cambiamento culturale evi-denzia in maniera clamorosa i limiti e le inadeguatezze delle stesse. Come dire che, in tempi di cambiamento, i nodi vengono al pettine. Possiamo quindi ritenere che la “crisi” culturale ‘senza giudizio sulla sua natura‘ sia anche un amplificatore delle dinamiche dei sog-getti coinvolti nel processo educativo. E quindi, forse, un’occasione di evoluzio-ne, un’opportunità.

La crisi educativa attuale è simulta-neamente crisi d’identità dei valori edu-cativi e crisi d’autorevolezza dei sogget-ti coinvolti nell’impresa educativa. Se educare significa integrare la tradizione con il progetto, vale a dire l’eredità del passato con la trasformazione del futu-ro, in tempi di cambiamento è difficile disporre di un orizzonte, di un’intuizio-ne del cammino. La situazione di tran-sizione dal mondo come lo conosciamo a quello che ci sarà, colpendo i modelli educativi consolidati dalla tradizio-ne, finisce per delegittimare le agenzie educative fondamentali, la famiglia, la Chiesa e la società (scuola).

Sembra essere la scuola a catalizza-re, nei suoi disagi e nelle sue incertezze identitarie, tutta la portata della crisi educativa, ma in effetti l’istituzione scolastica è solo lo snodo che porta

all’esasperazione delle difficoltà emerse altrove: essa è infatti come una “catena di trasmissione” dei valori indotti nel fatto educativo da istanze che la prece-dono, perciò, “nei casi in cui la famiglia e le istituzioni religiose sono coinvolte in una crisi di identità, (... ) la scuola finisce per enfatizzare le forme di nega-tività che le altre istituzioni le comuni-cano dall’esterno”.

Una corrente freddaIl documento CEI per il decennio

(Educare alla vita buona del Vangelo - EVBV) si pone senza incertezze in questa prospettiva radicale e ad ampio raggio.

Se si parla di “educazione”, non ci si riferisce esclusivamente, né tantomeno principalmente, alla scuola. Nel capito-lo dell’emergenza educativa ‘conferma-ta dagli insuccessi a cui troppo spesso vanno incontro i nostri sforzi per for-mare persone solide, capaci di collaborare con gli altri e di dare un senso alla propria vita‘ si segnala che lo scetticismo sulla possibilità di educare fa rinunciare a progetti educativi in nome di program-mi a breve termine, “mentre una cor-rente fredda scuote gli spazi classici del-la famiglia e della scuola” (EVBV, n. 5).

Tale gelo genera uno spazio desola-to in cui i soggetti educativi stentano a costituire una rete di contenimento e di rilancio così che “la scuola fatica ad es-sere normativa, la famiglia diventa iper-protettiva, la comunità cristiana diventa atmosferica ed affettiva” lasciando cam-po libero ad una società di consumato-ri, individualistica e istantanea, priva di direzioni e di ulteriorità.

E questo, al di là della buona vo-lontà individuale, è il clima culturale, l’aria che si respira. Gli adulti sembra-no incapaci di assumersi la responsa-

bilità di preparare il minore, il soggetto che cresce, ad un mondo che essi stessi non si sforzano di conoscere e di capi-re. Quando una generazione sente che il mondo è cambiato e che i racconti e gli ideali con cui è cresciuta hanno per-so importanza, fa fatica a trasmetterli in maniera convincente.

La famiglia necessariaA fronte di questa lucida analisi del-

la situazione ‘ preparata da molteplici e competenti istruzioni della questione l’Educare alla vita buona del Vangelo, si caratterizza nella sua parte propositiva (cap. IV) per alcune scelte molto preci-se.

Il n. 36, in particolare, esordisce con queste parole: “Nell’orizzonte della co-munità cristiana, la famiglia resta la pri-ma indispensabile comunità educante”. Potrebbe sembrare la solita esortazione tradizionale, ovvia ma di natura ideale, che attribuisce/riconosce un compito che non può essere espletato; eppure, dopo avere evidenziato tutti gli elemen-ti di debolezza e di fragilità che conno-tano tale soggetto, il paragrafo ribadisce che “nonostante questi aspetti, l’istituzio-ne familiare mantiene la sua missione e la responsabilità primaria per la trasmissio-ne dei valori e della fede”, non surrogabile da altre agenzie, poiché “c’è un’impronta che solo essa può dare e che rimane nel tempo”.

La famiglia è quello che è, non un granchè, forse, ma è imprescindibile: quello che lì avviene ‘nel bene o nel male‘ lascia un segno marcato. Non c’è niente come la famiglia, appunto. Tan-to vale sostenerla, anzichè vituperarla o deprecarne la debolezza: “La Chiesa pertanto si impegna a sostenere i geni-tori nel loro ruolo educativo, promuo-vendone la competenza mediante corsi

di formazione, incontri, gruppi di con-fronto e di mutuo sostegno”.

Ci troviamo qui di fronte ad un pa-radosso fecondo: la famiglia viene inve-stita di responsabilità in ordine all’edu-cazione (ai valori, alla fede) nello stesso momento in cui se ne constata l’inade-guatezza. Ma è, appunto, un paradosso che chiede di essere ripensato per non diventare una via senza uscita e sterile.

L’individuazione di una precisa re-sponsabilità della Chiesa (e della socie-tà) nel sostenere la famiglia in ciò che solo essa può fare può essere ‘in modo processuale‘ la soluzione del paradosso.

In un’ottica di alleanzaOccorre superare la tentazione di

fare l’uomo al di fuori dei contesti in cui vive, a prescindere dalla famiglia. Ognuno fa esperienza del religioso nel

rischio, nella libertà, nella sua esposi-zione: nei gesti impliciti nel rispondere alla vita che ci interpella in tante forme.

L’erosione del consenso su quali idee trasmettere diminuisce la capacità del mondo adulto di comportarsi au-torevolmente e quindi compromette la transizione generazionale dei valori, an-che in vista di una loro revisione critica. Per questo è richiesta una rinnovata ela-borazione del senso ed una consapevole assunzione della responsabilità adulta e genitoriale.

Qualche decennio fa la carta di pre-sentazione dell’eredità era l’autorevo-lezza di colui che la consegnava. Ora non è più sufficiente. Chi consegna deve garantire non più mediante “la sua persona”, ma con le “ragioni”. Le nuo-ve generazioni sono state invogliate a

problematizzare, a chiedere perché. Il dramma è che spesso chi deve passare il testimone ha perduto le ragioni del suo comportamento. Non si tratta più sem-plicemente di portare con sé un baga-glio e consegnarlo, poiché questa con-segna avviene in un orizzonte nuovo.

Tutto comincia in famiglia. Occorre immaginare alleanze che non venga-no vissute come intrusioni interessate; riavviare la conversazione sui valori fondanti a partire dai quali la famiglia esercita la propria responsabilità edu-cativa, la propria inevitabile vocazio-ne a consegnare un mondo, offrire un linguaggio, un senso della vita, senza sottintendere un’opera di proselitismo. Perché lo facciamo? Perché nei processi generativi ne va dell’umano.

parrocchie, Chiesa in cammino, una evangelizzazione nuova - parrocchie, Chiesa in cammino

Non c’è niente come la famiglia

Le agenzie educative

vivono lo stress da cambiamento.

Occorre riavviare tra loro una

conversazione sui valori fondanti

L’attuale contesto sociale, contrassegnato da rapidi mutamenti, ha messo in discussione la struttura, le funzio-ni e il significato stesso della famiglia. I profondi mutamenti che l’hanno investita pongono nuovi interrogativi e aprono prospettive educative. Il passaggio dalla famiglia normativa alla famiglia affettiva ha favorito un rapido mutamento delle strategie di socializzazione e di educazione dei figli. Si sono modificate le relazioni e i vissuti, è cambiato il ruolo materno e paterno, si sono trasformati i rapporti tra le generazioni. Nonostante tali cambiamenti, la famiglia rimane il contesto primario e insostituibile per l’educazione delle giovani ge-nerazioni. Perché, come ci ricordano gli Orientamenti Pa-storali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, “Nell’orizzonte della comunità cristiana, la famiglia resta la prima e indispensabile comunità educante. Per i genito-ri, l’educazione è un dovere essenziale, perché connesso alla trasmissione della vita; originale e primario rispetto al compito educativo di altri soggetti: insostituibile e ina-lienabile, nel senso che non può essere delegato né surro-gato”.

Per questo compito delicato e decisivo, la Chiesa “si im-pegna a sostenere i genitori nel loro ruolo di educatori, pro-

muovendone le competenze mediante corsi di formazione, incontri, gruppi di confronto e di mutuo sostegno”. Il pri-mato riconosciuto alla famiglia nell’ambito dell’educazione deve essere accompagnato dal sostegno che le comunità parrocchiali possono offrire. La parrocchia può diventare il luogo da cui partire per tessere quella rete di solidarietà e di sostegno che supporti la famiglia, alimentando la comunica-zione e lo scambio reciproco per l’avvento di una comunità educante.Una risposta concreta al bisogno educativo delle giovani generazioni è data dalla capacità degli adulti (in famiglia, in parrocchia, nella società) di stabilire una comunicazione educativa adeguata, in grado di promuovere la crescita uma-na e cristiana dei singoli soggetti e della comunità nel suo insieme.

La famiglia soggetto di evangelizzazioneSi tratta di dare valore al ruolo dei genitori affinché vivano

da protagonisti il compito di trasmettere la fede, sottolinean-do in questo modo la soggettività della famiglia credente nel processo d’iniziazione cristiana. La famiglia, quindi, non più considerata come semplice destinataria, ma piuttosto come soggetto dell’evangelizzazione, perché “istituita dal sacra-

Qual è il contributo specifico

che la famiglia può offrire

nell’ambito della trasmissione della fede

alle giovani generazioni e

all’intera comunità cristiana?

Famigliae iniziazione cristiana

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mento del matrimonio, la famiglia cristiana, come Chiesa domestica, è il luogo specifico e il primo soggetto nella tra-smissione della fede e nella formazione della persona umana secondo i valori del Vangelo. Imitando Cristo, tutta la Chie-sa deve dedicarsi a sostenere le famiglie nella catechesi dei bambini e dei giovani”.

La definizione della famiglia come Chiesa domestica per-mette di superare la contrapposizione tra famiglia oggetto di pastorale e famiglia soggetto di pastorale, mettendo al centro la sua natura di “soggetto sacramentale - base della Chiesa” (FC, 49). La famiglia, soggetto primario della co-munità ecclesiale, “è Chiesa, e rende presente la Chiesa nel mondo”. La coppia, testimone dell’amore, porta il proprio contributo per fare della comunità cristiana una “famiglia di famiglie”, presente nella vita delle persone, vicina all’espe-rienza concreta, portatrice di speranza.

Il contributo della famiglia all’educazione alla fedeLa famiglia è un contesto affettivo, di apprendimento e di esperienza in cui il soggetto costruisce la propria identità e la propria capacità di mettersi in relazione con gli altri. Rap-presenta il luogo primario nel quale la persona può impa-rare a conoscere Gesù e vivere l’esperienza dell’amore. La famiglia può essere il luogo in cui si sperimenta e s’impara la tenerezza, la reciprocità, l’amore, il perdono. È attraverso queste sue qualità specifiche che essa può offrire alle giovani generazioni e alla comunità cristiana nel suo insieme un con-tributo insostituibile. Attraverso l’esperienza concreta delle relazioni familiari è possibile vivere l’esperienza di fede e im-parare a conoscere il messaggio evangelico; nell’amore che abita il nucleo domestico è possibile riconoscere il riflesso dell’amore di Dio.

Benedetto XVI ci aiuta a comprendere come “la rivela-zione biblica sia espressione di una storia di amore, la sto-ria dell’alleanza di Dio con gli uomini. Ecco perché la storia dell’amore e dell’unione tra un uomo e una donna nell’alle-anza del matrimonio è stata assunta da Dio come simbolo della storia della salvezza. Proprio per questo l’unione di vita e di amore basata sul matrimonio tra un uomo e una donna, che costituisce la famiglia, rappresenta un insostituibile bene per l’intera società [...]. La famiglia, cellula di comunione a fondamento della società, è per i credenti come una picco-la Chiesa domestica chiamata a rivelare l’amore di Dio al Mondo”.

La famiglia luogo dove s’incontrano fede e vitaLa famiglia è il luogo concreto in cui può avvenire l’edu-

cazione alla fede. Le relazioni che prendono forma nel nu-cleo domestico, l’amore coniugale in essa testimoniato, la solidarietà tra le generazioni, rappresentano il vocabolario concreto con cui può dirsi l’annuncio ed è il terreno fecon-do per quell’integrazione di fede e vita auspicata dai Vescovi Italiani negli orientamenti pastorali “Educare alla vita buona del Vangelo”: “La catechesi, primo atto educativo della Chie-sa nell’ambito della sua missione evangelizzatrice, accompa-gna la crescita del cristiano dall’infanzia all’età adulta e ha come sua specifica finalità “non solo trasmettere i contenuti della fede, ma di educare la mentalità di fede, di iniziare alla vita ecclesiale, di integrare fede e vita”.

Questo processo è il cuore della relazione che educa alla fede. Si tratta di far incontrare fede e vita: la vita intesa come luogo della rivelazione, la fede esperienza in grado di illumi-nare la vita. La trama delle relazioni familiari rappresenta un luogo privilegiato per questo incontro a partire dagli ambiti individuati dal Convegno Ecclesiale di Verona (la vita affet-tiva, il lavoro e la festa, la fragilità, la tradizione, la cittadi-nanza). “La vita familiare è il primo luogo in cui il Vangelo si incontra con l’ordinarietà della vita e mostra la sua capacità di trasfigurare le condizioni fondamentali dell’esistenza”.

Crescere insieme nella fedeI figli fanno la loro prima esperienza di Chiesa in famiglia.

“La missione educativa della famiglia, come vero ministero per mezzo del quale viene trasmesso e irradiato il Vangelo, al punto che la stessa vita di famiglia diventa itinerario di fede e in qualche modo iniziazione cristiana e scuola della sequela di Cristo”. Tra Chiesa e famiglia c’è un rapporto di profon-da reciprocità. La famiglia è parte di una comunità, che la precede e l’accoglie, dà radici alle biografie personali. Come la Chiesa è dono per la famiglia, così la famiglia è dono per la Chiesa. È la famiglia che permette alla Chiesa di inserirsi nel cuore dell’umanità come comunità “salvata” e “salvan-te”. “La Chiesa trova nella famiglia, nata dal sacramento del matrimonio, la sua culla e il luogo primario nel quale essa può attuare il proprio inserimento nelle generazioni umane e queste, reciprocamente, nella Chiesa”. Questi sono i presup-posti non solo per educare alla fede le nuove generazioni, ma anche per edificare la comunità. La capacità di interrogare le ragioni del proprio agire permette alla comunità cristiana di rimanere fedele alla propria tensione formativa, promuo-vendo sia la vita di fede sia la crescita delle persone nella loro integralità.

A tal fine è indispensabile costruire alleanze educative che favoriscano la positiva interazione tra le diverse realtà educative presenti sul territorio, la famiglia e la comunità cristiana.

La comunità educante si realizza quando gli adulti con responsabilità educative (genitori, sacerdoti, catechisti, opera-tori) insieme a bambini e ragazzi si mettono in gioco con la propria specificità per realizzare progetti di crescita e di cam-biamento in cui adulti e minori, sono coinvolti in un processo di responsabilizzazione complessiva e reciproca.

Si tratta di passare da una “pedagogia trasmissiva” a una

Battesimi Botticino Sera8 settembre 2013

“pedagogia del discernimento”, da una comunicazione autoritaria, centrata sulla verità delle cose, a un accompagnamento educativo, centrato sulla ricerca della verità, sul viaggiare insieme, superan-do un modello pedagogico “scolastico” per accogliere un modello esistenziale, più vicino agli ambiti di vita della persona. In tale pro-spettiva, la relazione educativa accompagna il percorso evolutivo; i rapporti interpersonali non sono occasionali, ma finalizzati a sco-pi di sviluppo della personalità di coloro che entrano in reciproca relazione tramite lo scambio di conoscenze, di comportamenti, di affetti. L’aggettivo “educante” qualifica la comunità, ne designa una sua peculiarità: l’essere al servizio della crescita e dello sviluppo integrale della persona. Perché questo accada, è necessario che i genitori recuperino la propria responsabilità educativa, si faccia-no garanti di una promessa e di un debito nei confronti dei figli e dell’intera comunità.

“La famiglia va dunque amata, sostenuta e resa protagonista at-tiva dell’educazione non solo per i figli, ma per l’intera comunità. Deve crescere la consapevolezza di una ministerialità che scaturi-sce dal sacramento del matrimonio e chiama l’uomo e la donna a essere segno dell’amore di Dio che si prende cura di ogni suo figlio. Corroborate da specifici itinerari di spiritualità, le famiglie devono a loro volta aiutare la parrocchia a diventare famiglia di famiglie”.

Tempo favorevole quello che vivia-mo, in cui sempre più si parla di genitori e di famiglia anche in ambito ecclesiale. Tempo favorevole perché la fragilità che contraddistingue il nostro vivere permette a tutti una ricerca autentica. Tempo favo-revole quello di chi “inizia” alla vita, a un cammino di fede, perché ogni comincia-mento rimette in movimento chi inizia e chi è iniziato.

Dentro questa consapevolezza di vi-vere come comunità dei credenti ‘un momento opportuno per ricominciare a credere’ enumeriamo i passi in avanti che sono oggi possibili.

1.Il cambiamento dei linguaggiSi sente dire molto spesso dai parroci,

dai catechisti e a volte anche nei docu-menti ufficiali, che bisogna coinvolgere la famiglia nell’educazione alla fede, nell’ini-ziazione cristiana. Insieme a questa di-chiarazione di principio s’insinua poi la lamentela che recita più o meno così: “i genitori non si lasciano coinvolgere, sono assenti, non partecipano”.

Poiché il linguaggio indica molto di

più che un semplice insieme di parole per esprimere qualche cosa, manifesta invece uno stile, un modo di percepirci e di rela-zionarci, quest’espressione quasi normale nasconde invece altri significati. Coinvol-gere vuol dire interessare, appassionare, implicare, trascinare qualcuno in qualche cosa che ci sta a cuore. C’è un soggetto che coinvolge e un altro che si lascia coin-volgere. Ci sono due libertà a confronto. Spesso dire che bisogna, che è necessario coinvolgere, nasconde un atteggiamento univoco, io coinvolgo, loro dovrebbero la-sciarsi coinvolgere. Ma perché e da chi?

La famiglia, come abbiamo visto, nella sua identità umana ha molto da offrire e molto da ricevere. Può coinvolgerci tutti e può essere coinvolta. È allora più op-portuno parlare di cammino con i genitori, di catechesi con la famiglia. Dal semplice coinvolgimento, allora, alla piena corre-sponsabilità per ciò che è importante, per il bene più grande e vero da offrire ai più gio-vani della famiglia e quindi della comunità umana e cristiana. “I genitori primi edu-catori della fede dei figli” è un’espressione usata molto. Indica un principio vero ma astratto. Si parla invece più adeguatamente

Viviamo un tempo favorevole,

pur nella fragilità e incertezza.

Quali passaggi sono oggi possibili

a livello di pastorale familiare?

Cambiamento di pensiero

BattesimI a S.Gallo20 ottobre 2013

parrocchie, Chiesa in cammino, una evangelizzazione nuova - parrocchie, Chiesa in cammino, una evangelizzazione nuova - parrocchie, Chiesa in cammino, una evangelizzazione nuova -

BattesimI a Botticino Sera8 dicembre 2013

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di comunicazione dell’esperienza di fede che viene vissuta in famiglia e di educazione di tutti quei presupposti umani necessari per una ricerca vera e un’adesione personale al Dio di Gesù Cristo.

La trasformazione dei codici comunicativiPrendere sul serio il “sì” cordiale alla famiglia, che la Chie-

sa incoraggia da più parti e a più voci, vuol dire anche lascia-re che alcuni codici comunicativi si trasformino.

Ci sentiamo, in quest’occasione, di poter riaffermare l’ef-ficacia vitale di quelli che abitualmente si declinano nella vita famigliare e in quella quotidiana:

Il codice simbolico comunica in modo immediato e rimanda a molto altro. Il bambino lo assorbe nella vita quotidiana. La di-mensione simbolica è dentro l’esistenza. È qualche cosa d’ineren-te alla natura dell’uomo anche nelle sue primissime fasi di vita: è inscritta nella nostra stessa vita.

Il linguaggio simbolico è aperto a più significati. Non si appiatti-sce, ma indica una ricchezza di elementi e di aspetti: è polivalente e qualche volta è ambivalente. La comunicazione simbolica non è frutto di un’operazione intellettuale, ma è dentro l’esperienza perché accade nel reale e ha bisogno di storia, di espansione nella relazione.

In famiglia il simbolo entra nella vita e la vita manifesta tutta la sua forza simbolica. Per esempio, il cibo o la casa, la notte o il risveglio, la luce e l’abbraccio, la crescita e la cura, dicono della vita e di Dio. Parlano di noi e comunicano oltre noi. Il Vangelo utilizza questo linguaggio che nella vita famigliare si fa evidente e parlante.

Il codice affettivo/emozionale è un canale comunicativo molto forte. Tutti noi accogliamo messaggi se e quando chi ce li comu-nica manifesta che ci vuol bene, che prova affetto e attenzione per noi. Ogni parola per essere accolta deve toccare tutta la nostra esi-stenza non solo la mente e la ragione, anche il cuore, la volontà e tutta la vita. Quello che comunichiamo vibra nel tono della voce, si esprime attraverso lo sguardo, i gesti, la posizione del corpo; tut-to questo è naturale in famiglia. Il codice relazionale è quello che

fa della relazione un canale comunicativo privilegiato.Chi ci raggiunge attraverso messaggi sa che ci tocca e ci pro-

voca. Le relazioni famigliari in genere sono relazioni di affetto re-ciproco e sono significative. Questo canale privilegiato ci fa dire che l’iniziazione ha urgenza di questo tramite comunicativo e lo accoglie sempre più per introdurre alla fede e alla vita cristiana.

Il codice narrativo: da sempre la Chiesa ci trasmette il grande racconto della storia della salvezza. Narrare fa bene. Il linguaggio narrativo è ricco di suggestioni e ha una sua grammatica particola-re che in famiglia s’impara gradualmente. Le narrazioni famigliari introducono i racconti biblici e sono capaci di far immergere nella storia chi ascolta; una strada privilegiata per il racconto della fede inizia a trovare spazio e parola nella vicenda famigliare.

Allora, dire che la famiglia inizia è dire che aiuta a trovare que-sti irrinunciabili canali comunicativi e permette di far arrivare una notizia buona e bella a coloro che sono parte del genere umano. I codici comunicativi che abbiamo indicato veicolano anche un modello di persona che non solo riceve, ma che, mentre riceve, può offrire, una persona considerata nella sua globalità per aderire aperta e libera a una proposta che non s’impone con la forza del ragionamento, ma si propone come significativa per la vita.

Il contagio reciprocoIl terzo aspetto che sembra utile evidenziare è che tra Van-

gelo e famiglia si può realizzare una reciproca osmosi, quasi un contagio che indica come ogni realtà ha bisogno dell’altra.

• Il Vangelo s’incarna nella vita della famiglia, perché è nelle pieghe della vita quotidiana che Dio si manifesta e diventa un Vangelo, cioè una notizia che fa bene alla vita. Nelle relazioni reciproche, nella cura per i più pic-coli e per i più fragili e anziani, nei gesti quotidiani del-la preparazione del cibo, dell’accoglienza di un ospite, dell’insegnare a camminare, i genitori e i figli vivono in modo non ancora esplicito ciò che ha vissuto e fatto Gesù.

• La famiglia è nel Vangelo, perché quando Gesù ci comu-nica l’amore di Dio, parla di Padre e madre. Quando ci annuncia il Regno, parla del lievito e del seme. Per ricordarci la promessa di vita che c’è per ogni uomo, descrive una cena e una festa di nozze. Per presentarci la cura di Dio per ogni figlio ci parla di abbracci, di una donna che cerca, di figli che chiedono libertà.

Questa reciproca contaminazione è portatrice di vita e di vita che ha il sapore del Vangelo: è solo necessario portarla a coscienza reciproca.

L’evangelizzazione, anche quando avviene in comunità, acquisisce uno stile famigliare, che fa propri altri canali co-municativi più specifici dell’ambito famigliare e così la vita quotidiana all’interno dei nuclei famigliari prende coscienza

dello stile evangelico che le è proprio e che Gesù ha fatto brillare incarnandosi nella nostra storia umana.

Sappiamo molto bene come il ge-nerare alla vita, per due genitori, non si limiti al semplice atto della procreazione. La decisione del generare comporta una responsabilità che va oltre l’atto in sé. È un prendersi cura, senza scadenze tem-porali, di colui che nasce, assumendone consapevolmente gli oneri conseguenti. Ed è in questo senso che la famiglia eser-cita la sua piena generatività.

Nel capitolo 4 degli orientamenti pa-storali della Chiesa italiana per questo decennio, dal titolo: Educare alla vita buona del Vangelo, si mette al centro la comunità educante evidenziando il ruo-lo primario che spetta, in particolare, alla famiglia. Essa infatti resta la prima e indi-spensabile comunità educante. Per i genito-ri, l’educazione è un dovere essenziale, per-ché connesso con la trasmissione della vita originale. È un compito imprescindibile, vincolante e non sostituibile, nel senso che non può essere delegato ad altri, né può essere surrogato con compiti di di-versa natura.

Anche l'educazione alla fede avvie-ne nel contesto di un vissuto concre-to e condiviso. La fede non può essere un'esperienza solitaria, ma inizia e si svi-luppa in un ambiente di socialità di cui la famiglia costituisce il primo nucleo, en-tro il quale può essere maturata una reale esperienza.

I figli vivono all’interno di una rete di relazioni educanti che, fin dai primi anni di vita, ne segnano la personalità futura e contribuiscono a delineare l’immagine di Dio. Da qui l’importanza che i genitori s’interroghino sul loro compito educati-vo in ordine alla fede, ponendosi alcune domande fondamentali: "Qual è la nostra esperienza religiosa?", "Quale immagine di Dio abbiamo e come la trasmettiamo ai nostri figli?", "Come viviamo la fede in fa-miglia?", "Quale esperienza cristiana speri-mentano i nostri figli?", "Come li educhia-mo alla preghiera?".

Una relazione permanenteQueste domande richiedono ri-

sposte fatte non tanto di parole e teo-rie, quanto piuttosto di segni tangibili, capaci di testimoniare l'accompagna-mento concreto dei genitori verso i fi-gli. Infatti, come ha affermato con tutta chiarezza papa Benedetto XVI nella sua prima enciclica Deus caritas est, non si diventa cristiani perché si aderisce a una dottrina e neppure perché si accetta un codice etico, ma perché si realizza un in-contro personale con Dio e con il Signo-re Gesù, s’istaura una relazione perma-nente, che permette allo Spirito Santo di plasmarne la vita. È questa relazione, che consente al Padre e al Signore Gesù di influire profondamente sulla persona che decide di aprirsi al loro cospetto, che genera alla vita della fede, quella fede che, secondo il linguaggio di san Paolo, giustifica. Una dottrina si può in-segnare, un codice etico si può trasmet-tere e persino imporre, ma l’incontro e la relazione trasformante può essere solo frutto di un processo d’iniziazione.

È così che l’iniziazione alla vita cri-stiana, soprattutto in età particolari, come quella primaria, che va da zero a sei anni, può avvenire solo attraverso la trama delle relazioni famigliari.

L’iniziazione, infatti, avviene me-diante uno stimolo provocato dall’ini-ziatore, nel nostro caso dai due genitori, verso cui l’iniziando ha un’apertura di totale fiducia. In questo modo il rappor-to con Dio e con Gesù, che l’iniziato, nell’intimo della sua giovane età, vive, viene mediato dall’azione dei genitori, dai quali promana, dunque, l’offerta del-la prossimità divina, l’appello ad aprirsi ad essa e la proposta di un modello iniziale su come gestire l’incontro e la relazione che ne conseguiranno.

È opportuno, poi, ricordare che i genitori sono privilegiati nel loro ruolo d’iniziatori alla vita cristiana in quan-

to la loro opera educativa non solo è radicata nella partecipazione all'opera creatrice di Dio, ma trova una nuova e specifica sorgente nel sacramento del Matrimonio, che li consacra all'educazio-ne propriamente cristiana dei figli, li chia-ma cioè a partecipare alla stessa autorità e allo stesso amore di Dio Padre e di Cristo Pastore, come pure all'amore materno del-la Chiesa, e li arricchisce di sapienza, con-siglio, fortezza e di ogni altro dono dello Spirito Santo per aiutare i figli nella loro crescita umana e cristiana. Dal sacramen-to del Matrimonio il compito educativo riceve la dignità e la vocazione di essere un vero e proprio «ministero» della Chiesa al servizio della edificazione dei suoi mem-bri.

Non solo iniziatori ma anche iniziatiIn un’opera d’iniziazione alla vita cri-

stiana, tuttavia, a essere iniziati non sono soltanto i figli, ma anche gli stessi genito-ri. Infatti, la nascita di un figlio e la scelta di battezzarlo possono essere intese da parte dei genitori come un dono di Dio Padre, nonché come espressione del Suo desiderio, di far comunione con loro; ma anche negli anni successivi, con il cam-mino d’iniziazione alla vita cristiana, so-prattutto attraverso la celebrazione dei sacramenti, i figli diventano comunicato-ri di fede e facilitatori di fede dei genitori.

Un catechista o un parroco sanno bene che proprio questa fase dei figli in età evolutiva e le celebrazioni dell’inizia-zione cristiana diventano, per tutti quei genitori che si erano allontanati dalla pratica religiosa, un forte e non trascura-bile richiamo. I bambini, infatti, esprimo-no una naturale trasparenza verso Dio, una spontanea apertura che, se protetta da una società che riduce tutto a consu-mo, può provocare gli adulti e indurli a recuperare quel desiderio di purezza, di limpidezza che apre alla dimensione del senso di Dio.

Genitori e catechisti possono

divenire compagni di strada per i bambini, i fanciulli, i giovani.

Così nasce una feconda sinergia

tra famiglia e parrocchia.

Iniziare alla vita e alla fede

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Consegna dellla Bibbia alle famiglie del IV anno ICFR

Botticino Mattina 24 novembre 2013

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I compiti della comunitàCerto, i genitori, nell’adempimento del loro difficile

compito, non devono essere soli, ma vanno sostenuti dalla comunità cristiana che trova la sua espressione più prossi-ma nella parrocchia. È la parrocchia (e in essa gli adulti) che deve sentirsi corresponsabile dell'educazione dei bambini e dei ragazzi e quindi offrire ai genitori il supporto necessario per-ché essi diventino sempre più capaci di generare alla fede. Non solo, un adulto che vuol intraprendere o ricominciare un cammino di fede, ha diritto ed estremo bisogno di un luogo comunitario, in cui condividere le domande, i dubbi, i traguardi raggiunti e sperimentare la fede. L’integrazione famiglia-parrocchia è indispensabile per quanto riguarda la cura e la trasmissione della fede.

I genitori vanno aiutati con delicatezza e rispetto, affinchè l’annuncio di Gesù Cristo morto e risorto li raggiunga perso-

nalmente, risvegliando in loro la fede, o sorreggendola dove è più fragile.

Ma si tratta anche di farsi co-testimoni di altri creden-ti per mettersi con loro alla ricerca di una qualità alta della vita cristiana. Sotto tale profilo, ogni parrocchia è chiama-ta in questi ultimi anni a investire maggiormente nella for-mazione degli adulti e, quindi, negli accompagnatori degli adulti, dedicando una particolare attenzione al cammino d’iniziazione cristiana dei genitori. Una buona prassi che sta nascendo in tante diocesi italiane è quella di offrire occa-sioni di formazione agli stessi accompagnatori dei genitori, perché comprendano la fisonomia degli adulti, conoscano il metodo di apprendimento di un adulto e acquisiscano le abilità necessarie a offrire cammini capaci di far intravedere nel Vangelo una proposta plausibile e desiderabile per l’oggi.

della famiglia. E quando la comunità cri-stiana ha cominciato a occuparsene, al-meno dal punto di vista della riflessione, è parso che fosse soprattutto per un’im-provvisa e ineludibile "emergenza pasto-rale". L’esito ha generato orientamenti pastorali disparati e a volte contradditto-ri. In alcuni casi si è immaginata una fa-miglia che non esiste, replicando modelli e modalità di spiritualità concretamente improponibili. Pastoralmente, dunque, andrebbe speso un po’ di tempo in più a comprendere a fondo la recente vicenda civile della famiglia e i problemi che essa pone alla coscienza cristiana.

La famiglia, quella di carneLo sentiamo ripetere sino alla noia:

l’azione pastorale coinvolge l’intera co-munità cristiana e s’incarna nel cercare l’incontro con tutti gli sposi e tutte le fa-miglie nel tessuto della vita di ogni giorno tra le gioie, i drammi e le speranze che lo segnano. Se la famiglia "rappresenta uno snodo obbligato per rifare il tessuto delle comunità ecclesiali e della società" (Di-rettorio di Pastorale familiare n.22), l’im-pressione, guardando le nostre comunità cristiane, è che molto resta da fare. Co-minciando, anzitutto, a riconoscere la fa-miglia per com’è, nella sua reale concre-tezza, fuori da ogni illusione o idealità, senza rimpianti nostalgici di famiglie di tempi passati. Una famiglia che non può essere sempre e solo strumentalmente utilizzata ed esibita ideologicamente, ma che va ascoltata, accompagnata, accolta; una famiglia riconosciuta nella normalità della vicenda umana, non sovraccaricata né enfatizzata. Inoltre, è urgente recupe-rare una soggettività propria della famiglia all’interno della Chiesa, che non può di-pendere solamente dalla sensibilità o dal carisma del singolo sacerdote. Del resto, è lo stesso Direttorio che individua nella famiglia il centro unificante dell’azione pastorale e ricorda come ogni atto pro-mosso dalla Chiesa abbia conseguenze positive o negative sulla famiglia. Fedele a questo mandato, la pastorale familiare non può limitarsi alla promozione delle iniziative che tradizionalmente le com-petono, ma deve adoperarsi per sostene-re in tutti i settori della pastorale questa rinnovata modalità di approccio alle per-sone e alle situazioni per incontrare ogni famiglia.

Verso una Chiesa tutta mini-steriale

Forse è venuto il momento di far camminare (a cinquant’anni dal Conci-lio) le nostre comunità verso una "Chiesa tutta ministeriale" e creare le condizioni perché la famiglia possa porsi a servizio dell’insieme. Solo in questo modo sarà possibile che la comunità sia capace di valorizzare l’apporto della famiglia. Perché questo accada, occorre aiutare le coppie cristiane a ritrovare il valore proprio della loro testimonianza evange-lica, a riscoprirsi capaci di ragionare sul loro stato di vita, per chiedersi come sia possibile realizzare una vita cristiana che vada oltre i modelli monastici o presbi-terali, ma attraversi, con passione e fede, anche la carne, dentro una prospettiva di matrimonio che non sia solo "il rimedio alla concupiscenza". C’è stato il Vaticano II, molti gruppi di spiritualità familiare, documenti che stanno balbettando, an-cora troppo faticosamente, una dignità propria e specifica della vocazione ma-trimoniale, teologi che, sottolineando il carattere secolare della famiglia, parlano di "clericalizzazione" della famiglia che trova nell’immagine della "piccola Chiesa" la sua espres-sione più evidente e diffusa. Non dimentichiamolo: è il matrimonio cristiano in sé che arricchisce la vita della comunità ecclesiale; è la vita familiare vissuta da credenti che è in sé un dono alla comunità cristia-na. La stessa questione - importan-te - della ministerialità va riletta alla luce dell’ecclesiologia di comunio-ne post - conciliare. Nell’ecclesiolo-gia gerarchizzata di qualche decen-nio fa (smontata teoricamente ma intatta ancora in molti programmi pastorali) il ruolo dei laici e delle coppie appariva del tutto seconda-rio. Oggi sappiamo che i ministeri sono tutti ugualmente necessari alla Chiesa: sia quelli qualificati dal Sacramento dell’Ordine, sia i mini-steri che manifestano, a partire dal Battesimo, il sacerdozio regale, pro-fetico e universale dei fedeli "non ordinati". Sono le famiglie che, in questi anni, hanno raccontato alla comunità cristiana che luogo del sa-cramento e dell’azione ministeriale non è solo la Chiesa, ma il corpo e la tavola, il letto e la casa, il denaro

e le cose, il lavoro e la festa, l’educazione e la cura, il territorio e la città. Loro di-cono con forza, a una Chiesa affaticata, che, oggi più che mai, la riflessione teo-logica sulla coppia deve privilegiare la dimensione antropologica. Certo, il sen-so dell’esperienza familiare - e dunque la promessa e il comandamento in essa iscritti - deve essere identificato in ultima istanza con il Vangelo di Gesù. E tuttavia questa verità cristiana della coppia può essere riconosciuta ed espressa soltanto dentro la loro storia umanissima; non, in-vece, quasi "applicando" a essa canoni di un amore cristiano in ipotesi, noto a pre-scindere dalla coppia stessa. D’altronde, l’amore cristiano non può essere detto se non a procedere dalle evidenze aperte e rivelate dalle forme concrete di prossi-mità umana. Solo quando una famiglia diventa ogni giorno accogliente del nuovo che entra, del passo inedito che le è chiesto, della gratuità senza ricatti e condizioni, rende presente e fa pro-cedere il regno di Dio. Ed è quello che silenziosamente moltissime famiglie cristiane cercano di fare ogni giorno.

parrocchie, Chiesa in cammino, una evangelizzazione nuova - parrocchie, Chiesa in cammino, una evangelizzazione nuova - parrocchie, Chiesa in cammino, una evangelizzazione nuova -

Si è immaginata spesso una famiglia

che non esiste. È dentro una storia

umanissima fatta di tavola, di corpo,

di lavoro, di denaro che il Regno si compie

La famiglia quella di carne

La famiglia è l'oggetto fondamentale dell'evangelizzazione e della catechesi della Chiesa, ma essa è anche il suo indispensabi-le ed insostituibile soggetto creativo. Così si espresse Giovanni Paolo II nel suo discor-so di apertura del Sinodo sulla famiglia, tenutosi nel settembre del 1980. Un inter-vento coraggioso che, a distanza di oltre trent’anni da quando venne pronunciato, costituisce ancora motivo di riflessione e di stimolo. Parlare della famiglia come soggetto creativo ha, evidentemente, una portata ampia e carica di conseguenze. Se

la famiglia non è solo un settore della pastorale, ma un soggetto fonda-mentale per la vita e la missione della Chiesa, da questo deriva necessaria-mente una modalità nuo-va di pensare la pastorale e il ruolo della famiglia. Già parecchio tempo pri-ma, il documento della CEI del 1969 Matrimo-nio e famiglia oggi in Ita-lia sosteneva la necessità che la famiglia divenis-se il centro unificatore dell’azione pastorale. In-tuizione persa per strada se durante la stagione del Progetto culturale della

CEI si è arrivati a considerare il cosiddetto "capitale sociale familiare" soprattutto sul versante antropologico, indirizzando la riflessione sulla famiglia per lo più su una direttrice etico - politica, considerandola come oggetto di pastorale. Oggi, dicono in tanti, occorre recuperarne anche la di-rettrice di piena soggettività e correspon-sabilità nelle strutture della Chiesa locale. Il passaggio, sostengono, è dalla famiglia come oggetto o soggetto supplente (fami-glia in funzione della comunità e dei suoi compiti) alla famiglia come Chiesa in mi-niatura, con missione propria e specifica

(non per supplenza o per delega), fonda-ta sul sacramento del Matrimonio (Sa-cramento sociale accanto al Sacramento dell’Ordine).

Attenti alla retoricaEppure, affrontando questo tema,

occorre stare attenti alla retorica, sempre abbondante e sempre in agguato quando si parla della famiglia, nella comunità ci-vile come in quella ecclesiale. La pasto-rale corrente fino ad oggi si dimostra lar-gamente inadempiente per rapporto ai compiti che ad essa obiettivamente s'im-porrebbero nei confronti della famiglia. Più precisamente, le molteplici iniziative promosse, che certo sono state promos-se a tale riguardo nella vicenda recente del cattolicesimo (a procedere dai famosi gruppi di spiritualità familiare), sembra-no rimanere assai episodiche e marginali rispetto ai trend di fondo della pastorale complessiva, i quali di fatto fondamen-talmente ignorano la famiglia stessa. Alla radice di un tale difetto sta soprattutto la persistente mancanza di approfondi-mento culturale e teologico del tema del-la famiglia." Come a dire, a fronte di mol-ta enfasi e di grandi apprezzamenti per la famiglia, non pare corrispondere una tradizione del pensiero teologico pro-porzionalmente elaborata. D’altronde, è evidente che manchi un’esplicita teologia

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Ha fatto scalpore, a fine agosto, la partecipazione del cardi-nale Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila, a un’im-ponente marcia di protesta svoltasi nel cuore della capitale

filippina. Obiettivo della manifestazione era quello di modificare una legge che permetteva ai politici locali di usare una quota di fondi del bilancio statale a favore dei territori di provenienza dei deputati; un meccanismo che, gestito con logiche clientelari, è via via degenerato producendo sprechi colossali e scandali, a tal punto da suscitare la sacrosanta indignazione della società civile.

Un cardinale mischiato alla follaPossiamo considerare la figura del cardinale Tagle, mischiato alla

folla in marcia, come da un’icona della Chiesa filippina: una Chie-sa che sta in mezzo alla gente, dalla parte del popolo. È così oggi, è stato così ieri: la celebre “rivoluzione dei rosari”, che spazzò via la dittatura di Marcos a metà degli anni Ottanta, non si sarebbe cer-to realizzata senza l’enorme contributo – in termini di coscienza civile, rivendicazione dei diritti, lotta per la giustizia – dato dalla Chiesa cattolica.

Ci soffermiamo proprio su questa dimensione popolare della Chiesa filippina, sul suo impegno sociale a 360 gradi, sulla capaci-tà di compromettersi con gli ultimi nelle più diverse situazioni. Va detto, in verità, che la disponibilità a giocarsi per i poveri, a condi-viderne lo stile, a “fare causa comune” con loro, non è un’acquisi-zione compiuta una volta per tutte, né è possibile affermare che tutto il clero filippino testimoni un impegno pastorale di questo tenore. Negli ultimi decenni, tuttavia, la presenza di molti mis-sionari coraggiosi e tenaci nell’opzione preferenziale per i poveri, ha portato la Chiesa locale a maturare una sensibilità specifica su questo aspetto decisivo della testimonianza cristiana. Oggi non v’è diocesi filippina dove non siano presenti servizi di vario gene-re per le categorie più vulnerabili della popolazione. Specie nelle aree più remote, le scuolette o i presidi sanitari gestiti dalla Chie-sa rappresentano spesso l’unico punto di riferimento per fasce di popolazione che altrimenti sarebbero dimenticate. Così come, in occasione di calamità naturali (lo si vede puntualmente con l’arri-vo di tremendi tifoni che seminano disastri e morte), le molteplici organizzazioni che fanno capo alla Chiesa sono mobilitate al mas-simo per dare soccorso a chiunque si trovi in difficoltà.

Quando carità e giustizia vanno a braccettoAccanto all’assistenza diretta ai poveri, però, la Chiesa filippina

ha maturato negli anni una solidarietà via via più matura, che ha portato a un salto di qualità: dalla risposta ai bisogni alla lotta con-tro le cause dell’emarginazione, della povertà e via di questo passo. Già, perché carità e giustizia vanno a braccetto. E una solidarietà che si limitasse a “tamponare” le situazioni critiche non sarebbe credibile né, alla lunga, efficace.

Alcuni esempi simbolici in tal senso.È rimasta celebre, alcuni decenni or sono, la mobilitazione per

i diritti dei dipendenti di un importante birrificio nel quartiere Tondo di Manila. Il proprietario, cattolico e molto devoto, non era, però, altrettanto attento alla qualità della vita dei suoi operai; ragion per cui alcuni operatori pastorali furono tra i promotori di scioperi e rivendicazioni, a costo di essere poi bollati, come pun-tualmente accade, alla stregua di pericolosi rivoluzionari. È un destino, questo, comune a tanti impegnati in prima linea con gli ultimi.

Padre Fausto Tentorio, missionario del Pime, è stato ucciso il 17 ottobre 2011 per la sua attività a favore dei tribali manobo, mi-nacciati dallo sfruttamento delle miniere. Era finito nel mirino dei militari, secondo i quali il missionario avrebbe avuto legami con i ribelli dell’NPA (New People’s Army), che più di una volta aveva-no elogiato la sua attività. In realtà, durante i suoi anni di missione, Tentorio ha sempre denunciato i crimini dei maoisti che utilizza-no la questione-tribale per condurre la loro battaglia ideologica contro l’esercito e il governo di Manila.

Qualche anno prima, esattamente il 19 giugno 2006, la comuni-tà cristiana di Kidapawan, nell’isola di Mindanao, era rimasta mol-to scossa per l’omicidio di una giovane coppia, George e Maricel Vigo, genitori di cinque figli, a lungo collaboratori della diocesi. La loro colpa? Essere cattolici impegnati nelle questioni sociali, che – agli occhi dei potenti locali – equivale automaticamente a simpatizzare per i ribelli.La difesa dell’ambiente Insieme con la deforestazione selvaggia del territorio e l’inqui-

namento, la lotta contro lo sfruttamento minerario sconsiderato

è indubbiamente uno dei fronti di impegno più scottanti su cui è attiva la Chiesa filippina.

Le Filippine, infatti, hanno una ricchezza enorme nel sottosuolo (il valore economico potenziale del settore si aggira intorno agli 840 miliardi di dollari). La posizione della Chiesa su questo tema è che le Filippine possano e debbano sfruttare tale opportunità in modo adeguato, creando progetti sostenibili e, con il ricavato, sviluppare le popolazioni indigene residenti nei luoghi di estrazio-ne. In genere, però, prevalgono ben altri obiettivi. Ne sa qualcosa padre Edwin Gariguez, segretario della Caritas filippina, il quale, proprio per la sua dedizione alla difesa dell’ambiente e delle po-polazioni che l’abitano (gli indigeni di Mindoro nella parte nord occidentale del Paese), nel 2012 ha vinto il Goldman Environmen-tal Prize. «Come sacerdote cattolico – ha dichiarato in occasione della premiazione – quello che ho fatto in questi anni è parte della mia missione a servizio dei poveri e degli emarginati. Ho dedicato tutto me stesso allo sviluppo e alla difesa dei diritti delle popola-zioni indigene, agricoltori e pescatori».

La sua è una storia emblematica. Padre Gariguez inizia la sua campagna contro le società minerarie alla fine degli anni Novan-ta, quando la compagnia norvegese Intex apre, con l’okay del go-verno, una miniera di nickel in un’area protetta abitata dagli indi-geni Mangyan. Insieme ai leader locali e a personalità della Chiesa cattolica fonda la Alliance Against Mining. Nel 2002 il governo locale vota una moratoria sulle miniere presenti nell’isola, ma la Intex continua con le sue estrazioni. Per costringere la compagnia a interrompere la sua attività, il sacerdote si reca in Norvegia, dove incontra di persona alcuni parlamentari e azionisti della società. Con l’aiuto di un’Ong norvegese deposita una denuncia all’Orga-nizzazione Onu per la cooperazione e lo sviluppo economico. Nel 2009, poi, organizza uno sciopero della fame di 11 giorni davanti al Dipartimento nazionale per l’Ambiente e le risorse naturali, che spinge i funzionari ad aprire un’indagine sulle violazioni ambien-tali della società. I risultati dell’inchiesta costringono l’azienda a chiudere in modo definitivo nel 2010. Non è un’azione priva di rischi e problemi, anzi, a causa delle numerose proteste e sitin, di-versi membri del gruppo hanno ricevuto minacce di morte: uno di loro è stato assassinato nel febbraio 2010.

Contro le scommesse e le case da giocoSchierarsi accanto ai poveri, difenderne i diritti, denunciare in-

giustizie, affari loschi e connivenze sospette espone al pericolo di essere presi di mira dai potenti.

Un altro che ha provato sulla sua pelle cosa significhi pagare il prezzo della propria testimonianza è monsignor Oscar V. Cruz,

arcivescovo di Lingayen-Dagupan. Da anni è im-pegnato in una lotta senza quartiere contro le scom-messe e i giochi d’azzardo. In un’intervista ad Asia-News ha dichiarato di aver subito continue minacce di morte. Ma lui non arre-tra: «Gesù Cristo è stato ucciso per aver detto la verità, perché la Sua verità afferma con forza i valori dell’umanità intera e pro-muove la giustizia sociale. La verità dà forza ai deboli, coraggio ai timidi e una direzione a chi non sa dove andare».

Il bersaglio principale della lotta del vescovo è il jueteng, il più comune gioco d’azzardo delle Filippine: un fenomeno nazionale che muove un giro d’affari di oltre 13 miliardi di pesos (oltre 185 milioni di euro) l’anno, gestito da una “sporca dozzina” di impren-ditori senza scrupoli che si sono spartiti le province del Paese e che fanno di tutto per proteggere i loro interessi.

Monsignor Cruz non è solo: di recente sette vescovi cattolici hanno preso una ferma posizione contro i casinò come “porta della corruzione”, chiedendo al presidente Aquino di fermare la diffusione di nuove case da gioco nel Paese. Purtroppo il gioco d’azzardo (una piaga della cui gravità ci stiamo cominciando ad accorgere anche in Italia) è molto diffuso nel Paese, sia tra i poveri che nelle classi alte della società.

Abbiamo iniziato questo viaggio nella Chiesa filippina partendo dal suo più noto esponente attuale, il cardinale Tagle, e vogliamo concluderlo di nuovo con lui, perché è una figura di straordinaria attualità. A detta di quanti lo conoscono, si distingue per il suo tratto umano molto semplice, assai comunicativo; ai suoi semina-risti, quand’era vescovo di Imus, era solito dare il proprio numero di cellulare per poter parlare insieme del loro percorso formativo.

All’ultimo conclave il cardinale Tagle è stato additato da tanti come il più accreditato tra i “papabili” asiatici. Non c’è da mera-vigliarsi: l’arcivescovo di Manila, uno dei più giovani porporati al mondo, è una figura che ben si inserisce nel solco della “Chiesa di Francesco”, in quella nuova modalità comunicativa che il Papa “dalla fine del mondo” ci sta insegnando, giorno dopo giorno, ad apprezzare.

La Chiesa nelle Filippine

Una Chiesa che sta

in mezzo alla gente,

si schiera, si espone

per i dirittidei deboli: ecco

la fisionomiadella comunità

cristiana nelle Filippine

DAL MONDO

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Dopo 50 anni, abbiamo fatto tutto quello che ci ha detto lo Spirito Santo nel Concilio? In

quella continuità della crescita della Chiesa che è stato il Concilio?». A porre queste domande è stato, poche settimane dopo la sua elezione, Papa Francesco. Il Pon-tefice risponde «no», il Concilio è rimasto largamente inapplicato. Dunque il Concilio Vaticano II ha rappre-sentato un’occasione storica per una grande rivolu-zione ecclesiastica, che, però, non si è ancora del tutto concretizzata. Grazie allo spirito conciliare, la Chiesa si è aperta al mondo, ma numerosi passi avanti devo-no essere ancora compiuti. «Festeggiamo – ha detto – questo anniversario, facciamo un monumento, ma che non dia fastidio. Non vogliamo cambiare. Di più: ci sono voci che vogliono andare indietro. Questo si chiama es-sere testardi, questo si chiama voler addomesticare lo Spirito Santo, questo si chiama diventare stolti e lenti di cuore».«Succede lo stesso – ha affermato il Papa – anche nella nostra vita personale»: infatti, «lo Spirito ci spinge a prendere una strada più evangelica», ma noi resistiamo. «Non opporre resistenza allo Spirito Santo: è questa la grazia che io vorrei che tutti noi chiedessi-mo al Signore: la docilità allo Spirito Santo, a quello Spirito che viene da noi e ci fa andare avanti nella stra-da della santità, quella santità tanto bella della Chiesa.

La grazia della docilità allo Spirito Santo.Per dir-lo chiaramente: lo Spirito Santo ci dà fastidio. Perché ci muove, ci fa camminare, spinge la Chiesa ad andare avanti»

Uno stile segnato da parole nuove

Quali sono gli elementi più significativi del ma-gistero del Vaticano II?

Anzitutto il valore che esso attribuisce alle relazio-ni.In primo luogo all’interno della Chiesa (quelle tra i

preti e i laici – ad esempio – o tra i preti e i vescovi); ma poi, anche a quelle tra i cattolici e i cristiani apparte-nenti ad altre tradizioni, o tra i cristiani e i membri di altre religioni. Non solo: con il Concilio, sono andate ri-definendosi pure le relazioni della Chiesa con la cultura moderna, la scienza e le istituzioni statuali. La nota ri-corrente nei testi conciliari è il richiamo al dialogo, allo scambio, all’ascolto, alla collaborazione. Infine il magi-stero conciliare presenta in una prospettiva dinamica e comunionale il rapporto tra Dio e il genere umano.

Il Concilio Vaticano II ha inaugurato uno stile proprio e nuovo.Il Concilio Vaticano II si distingue dagli altri per

il suo stile, come hanno rimarcato i due papi che sono stati, a loro tempo, padri conciliari. Dando uno sguardo retrospettivo, Paolo VI osservava che nel Concilio la Chiesa non aveva soltanto offerto al mondo il suo aiuto e i suoi strumenti di salvezza, ma essa l’aveva anche realizzato, reso reale, «e sta proprio qui una novità di questo Concilio, […] in una maniera che in parte con-trasta con l’atteggiamento che ha segnato alcune pagi-ne della sua storia, adottando ‘delle preferenze’ per il linguaggio

dell’amicizia, dell’invito al dialogo.» Questa mo-dalità d’espressione e questo stile, apparivano a Paolo VI come una caratteristica dell’assise conciliare. A sua volta, Giovanni Paolo II, intervenendo sul Concilio, da lui definito “la più grande grazia del ventesimo secolo”, nella lettera apostolica Tertio millenio adveniente (1994) diceva: «Questo nuovo tono, sconosciuto fino ad allora, con il quale il Concilio ha presentato le domande, costi-tuisce un annuncio di tempi nuovi.

I Padri conciliari hanno parlato il linguaggio del Vangelo, il linguaggio del Discorso della montagna e delle Beatitudini evangeliche».

Non è dunque una questione di scelta strategica. Assolutamente no. Basta vedere come di questi tem-

pi nuovi di cui parla Giovanni Paolo II e prefigurati dal Concilio, la catechesi postconciliare ne abbia costituito, almeno in parte, la realizzazione. Da dove viene que-sto tono nuovo, segnato dal linguaggio dell’amicizia e del dialogo? Sbaglieremmo a pensare che sia una scelta strategica o l’adozione di una forma più consona con il presente, ispirata da un desiderio smodato di adat-tarsi al mondo moderno. Piuttosto, questa ricerca di un modus loquendi più adatto all’annuncio del Vangelo nasce da uno sforzo di guarigione che ha marcato la prima metà del XX secolo e che ha condotto a ridare valore alle Scritture. Come bene ha detto il Papa, ha messo i cristiani in contatto diretto con il linguaggio del Discorso della montagna e quello delle Beatitudini evangeliche.

Così, nel profondo, è l’agire di Dio che coman-da l’agire della Chiesa. Allo stesso modo, il linguag-gio dell’amicizia e l’invito al dialogo sono da ricercare nell’agire di Dio, altro che strategia! Basta leggere il primo capitolo della Dei Verbum: Con questa Rivelazione infatti Dio invisibile (cfr. Col 1,15; 1 Tm 1,17) nel suo gran-de amore parla agli uomini come ad amici (cfr. Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (cfr. Bar 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé.

Una scelta di fondo anche per la catechesi…L’immagine programmatica che il catechista deve

contemplare è dunque la figura di Dio che, nel suo im-menso amore, conversa e dialoga con l’umanità intera, rivolgendosi agli uomini come a degli amici. Il linguag-gio dell’amicizia non è dunque un favore fatto all’oggi e l’invito al dialogo non rappresenta un nuovo modo, ma è profondamente radicato nell’agire di Dio. Se non andiamo nel profondo ritornando alle radici della pa-storalità, lo stile del Concilio e il modo di parlare della Chiesa appariranno a molti come una moda passeggera, poco radicata nella tradizione cristiana e chiamata ad essere sostituita da una nuova, più adatta ai gusti del momento.

E’ importante che la Chiesa torni a riflettere, a cinquant’anni dall’inizio, sul Concilio Vaticano II?

L’amnesia è di per sé un male. Questo vale per un individuo, ma anche per un gruppo umano che viva senza conoscere le sue radici. Se possibile, tale principio è ancora più vero nel caso della Chiesa cattolica, la cui vita attuale non può essere disgiunta dalla tradizione di cui è depositaria: un Concilio, per prima cosa, ha appun-to il compito di “riattivare” questa tradizione. Oggi, se la Chiesa si dimenticasse del Vaticano II, non avrebbe più un punto di riferimento.

Inoltre, lo scopo del Concilio – come aveva indicato Giovanni XXIII nel discorso inaugurale Gaudet Mater Ecclesia – era quello di presentare la dottrina cristiana in una forma rispondente “a quanto è richiesto dai no-stri tempi”. Questo obiettivo, perseguito all’epoca dai padri conciliari, corrisponde in un certo senso all’idea

di una “nuova evangelizzazione”, secondo l’espressione coniata più recentemente da Giovanni Paolo II.

L’ idea di pastoralità.È l’idea del Concilio! Un modo di raccontare la vi-

cenda cristiana che prende in considerazione il destina-tario dell’annuncio evangelico e che, con questa novità, rinnova la forma d’espressione della dottrina in funzio-ne di coloro che oggi ascoltano la Parola del Signore e nel contesto nel quale oggi vivono.

Si tratta di lavorare pazientemente per elaborare una forma di presentazione della dottrina che meglio corrisponde alle esigenze della nostra epoca. Non si fa questo con lo scopo di inginocchiarsi davanti al mondo, ma per riconciliarsi con la bontà di Dio che si adatta alla condizione umana e che, seguendo le parole di Ire-neo da Lione, «si è fatto Figlio dell’uomo, per abituare l’uomo ad impossessarsi di Dio e abituare Dio ad abi-tare nell’uomo, secondo il beneplacito del Padre». L’at-tenzione alla pastorale e la cura della forma di espres-sione della dottrina a seconda del destinatario e del suo contesto, trovano qui il loro fondamento. Continuando il suo sviluppo, Ireneo scriverà: «Ed è per questo che tale Spirito è disceso sul Figlio di Dio divenuto Figlio dell’uomo. Così, con lui, egli si abituava ad abitare nel genere umano, a risiedere nell’opera modellata da Dio; egli realizzava in essi la volontà del Padre e li rinnovava facendoli passare dalla loro vecchiezza alla novità del Cristo.»

È vero che il Concilio Vaticano II si svolse nella cor-nice di una sensibilità moderna, che riconosceva a prio-ri, senza esitazioni, la dignità e la centralità della per-sona umana. Oggi viviamo in una diversa epoca storica, ma rimane valida, in un contesto culturale mutato, la lezione di metodo della Gaudium et Spes: l’annuncio del Vangelo deve sempre avve-nire a partire dagli inter-rogativi pro-fondi, dalle e s i g e n z e , perfino dal-le angosce dell’umanità d e s t i n a t a -ria di questo messaggio.

IL CONCILIO DAVANTI A NOI

Non un monumentoma un’azionedello Spirito

Il Concilio è stato un evento suggerito dallo Spirito, resta in gran parte non attuato.

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Nondiciamocheètuttocomeprimaperchénonèvero.PerchénonèmaicapitatonellastoriadellaChiesacheunpapaprendesseil

nomediFrancesco,cheaccompagnasseparoleeinterven-ticonunostiledivitasempliceesolidale,congestielo-quentidiumanitàediEvangelo,capacidiridisegnare,innomedellavicendadiGesù,unconcettodiversodicentroediperiferia,dipovertàediricchezza.Unpapa“norma-le”, insomma. E dunque straordinario. Dove la straordi-narietàracconta,inmodoevidente,lanostrapochezzadifrontealfuocodelVangeloelanostraopacitàinordineadunatestimonianzacoerenteperdirlaconilsantodiAssisi.

Per traghettare la ChiesaPapa Francesco, il primo, nella lunga storia della Chie-sa,aproveniredalcontinente latinoamericano, ilprimodall’OrdinedeiGesuiti.PapaFrancescohadi fronteasé ilcompitodiportare a compimento il traghettamentofaticosodellaChiesaversolapiena realizzazione del Concilio Vaticano II. Diciamoloconfranchezza:PapaFrancescononèilpapaliberal chealcuniingenuamentesiaspettanoenonèilteologodellaliberazione. Ma non è certamente neanche un ideologodellarestaurazioneanticonciliare:daquantovistofinora,ilpatrimonio teologico, liturgico,ecumenicoe interreli-giosofaparteeinmodopienodegliattiedelleparolediquestopapa.EglimostradivederenelConcilioVaticanoIIunadellecondizionidiesistenzadellaChiesacontem-poranea.Emostratuttoquestoattraversogestieparolechepaiono,aprimavista,moltosemplici,perfinoingenueperqualcuno,pericoloseperaltri.Sindall’inizio:l’esegesidelnome di Francesco nell’auspicio di una “Chiesa poveraperipoveri”;l’enfasiecclesiologicadelproprioministerocome“vescovodiRoma”,con tutte leconseguenze isti-tuzionaliedecumenichechequestacomporta;lanobilesemplicitàdellaMessadiiniziopontificato,segnodiunaaccettazionepienaesenzacomplessidellariformalitur-

gicadelVaticanoII;ildiscorsoaidelegati,conunacita-zioneperestesodelConcilioedelpapacheloconvocò.Epoifinedeibarocchismi liturgici,degliorpelliedellesimbologieimperiali:ilpapaèpapanonperchémonarca,maperchévescovodiRoma.EquellebreviomelienelleliturgiequotidianeaSantaMartaa tratteggiare il sognodiunaChiesasecondolospiritodelVangelo.EdunquesecondolospiritodelVaticanoII.

Addomesticare lo spirito?Una delle sue omelie ha fatto scalpore. Era il 16 aprilescorso,giornodelcompleannodipapaBenedetto.Dopoaverloricordatoall’iniziodellaMessa:“OffriamolaMes-saper lui,perché ilSignoresiacon lui, loconfortieglidiamoltaconsolazione”,papaFrancescosiè soffermatoacommentare laprima letturadelgiorno, ilmartiriodiSantoStefano.Eleparolesonoforti:ilConcilioè“frut-todelloSpirito”,mainmolti“voglionotornareindietro”.Roncalli sembrava “un parroco buono” e il Vaticano IIrestaancoraattuale.«Dopo50anni,abbiamofattotuttoquellochecihadetto loSpiritoSantonelConcilio? InquellacontinuitàdellacrescitadellaChiesacheèstatoilConcilio?».AquestedomandePapaFrancesco,subitori-spondeche«no»,ilConcilioèrimastolargamenteinap-plicato.“Oggi-haproseguitoilPapa-sembrache«siamotutti contenti» per la presenza dello Spirito Santo, ma«nonèvero.Questatentazioneancoraèdioggi.Siamocome Pietro nella Trasfigurazione: “Ah, che bello starecosì,tuttiinsieme!”,machenoncidiafastidio».«Dipiù,cisonovocichevoglionoandareindietro.Questosichia-maesseretestardi,questosichiamavoleraddomesticareloSpiritoSanto,questosichiamadiventarestoltie len-tidicuore».IlriferimentodipapaFrancescoèchiaroepreciso:ilConcilioVaticanoII,chesivorrebbecelebraremanonviverenellesueconseguenze.EdinuovoprendespuntodasantoStefano,ilqualeprimadiesserelapidatoannuncialaRisurrezionediCristorisorto,ammonendoi

presenticonparo-le forti: «Testar-di! Voi opponetesempre resistenzaallo Spirito San-to». Stefano ri-cordaquantihan-no perseguitatoi profeti e, dopoaverli uccisi, glihanno costruito«una bella tom-ba» e solo dopoli hanno venerati.Il Concilio fu uneventostraordina-rio non soltantoper la Chiesa maancheperilmon-do, poiché cam-

biòilvoltodellegerarchieecclesiasticheedoffrìsperanzaall’umanità,negliannidellaguerra freddaedeiblocchicontrapposti.LaChiesa,finalmente,fuintesacomePopo-lodiDioelagerarchiasiposealserviziodeifedeli.«An-cheGesù-osservailPapa-rimproveraidiscepolidiEm-maus:`Stoltielentidicuore,acredereatuttoquellochehanno annunciato i profeti!´». «Sempre, anche tra noi-rilevailPontefice-C’èquellaresistenzaalloSpiritoSan-to».Inoltre,«IlConcilioèstatoun’operabelladelloSpi-ritoSanto.PensateaPapaGiovanni:sembravaunparrocobuonoeluièstatoobbedientealloSpiritoSantoehafattoquello».ConsideratoinizialmentecomeunPonteficeditransizione,Roncalli,invece,promossel’eventopiùrile-vantedellastoriaecclesiasticacontemporanea,siappellòatuttigliuominidibuonavolontà,dia-logòconlealtrereligionieconinoncredenti,uscìdallemuravaticaneediffuse ilmessaggiocristianonellecarceri,negliospedali,nellecaseeneitreni.”

Giovanni XXIII,il papa dello spirito del Concilio

Passano meno di cento giorni e poi arriva lanotizia. Papa Francesco decide di canonizzareGiovanni XXIII, il papa bergamasco che volleil Concilio Vaticano II e lo aprì solennementel’undici ottobre del 1962. Una decisione cherappresenta“unariabilitazionedelConcilioVa-ticanoIIediquellocheilConcilioè”.E’que-stoilsensodellaproclamazionedellasantitàdiPapaRoncalli, insiemeaquelladiKarolWojt-yla.L’iscrizionedelPapa ‘Buono’nell’albodeisanti,papaBergoglio,nell’esaminareilVaticanoII,cidicechebisognaripartiredapapaGiovan-niedallasuaintenzionepercuiilConciliostaamontedelConciliostesso.Questoattodicano-

nizzazionecheprescindedalriconoscimentodiunsecon-domiracoloèmoltoeloquente:ècomeseilPapadicesse‘losoiochecosapensailpopolodiDio’,ecosìrestituiscealVaticanoIIlasuadimensioneoriginariaepiùprofon-da.PerRatzingerilproblemadelVaticanoIIstavaavalleconl’espressionedelsuopensierosulConciliosiètentatodi faredi luiunanticonciliare,una sortadi lefebvriano,chenonèaffatto.InveceFrancesco,canonizzandoRon-calli,canonizzal’ideachelaquestionedelVaticanoIIstaamontedelConcilio,nellasuaintenzione,pensatosottolacifradellapastoralità,chenonèqualcosadimenodelladogmaticità.PastoralenellinguaggiodiRoncallivuoldirequalcosadipiù importantedidogmatico.Il livellodellapastoralitàèquelloessenziale.SivaalleintenzionidipapaGiovanni,dellaChiesadeipoveri,del‘balzo’innanzinel-lapenetrazionedelmagisteropastorale.Lacanonizzazio-nediPapaWojtylacorrispondeaun’oggettivapressionedell’opinionepubblicachevienecoltamentreconquelladiGiovanniXXIIIc’èun’indicazionepercuisiriconoscechenellacausac’èstatoungiudiziodisantitàcheèvenu-todal‘sensusfidei’delpopolodiDio,esattamenteciòchesichiedevaaitempidelConcilioquandoinmolti,anchetraipadriconciliari,chiedevanolaproclamazioneperac-clamazione.PaoloVIdisposeinveceunacausanormaleeincoppiaconPioXII.Nel1993GiovanniPaoloIIvol-leriprenderelacanonizzazioneconl’ideadibeatificareilPapadelConcilioVaticanoII,noninsensogenerico,maproprionelsensodelpadredelVaticanoII.LadecisionedioggidipapaFrancescoconservailprincipiodiPaoloVIdellacanonizzazionedicoppia,ancheseinvecediPioXIIeGiovanniXXIII,sonoquest’ultimoeWojtyla.Insom-ma,dalConcilioVaticanoIInonsitornaindietro.ParoladipapaFrancesco.

i passi in avantida compiere

IL CONCILIO DAVANTI A NOI

Papa Francesco come vede il Concilio? A suo parere, è frutto dello Spirito ma restaampiamente inapplicato. Egli si pone come traghettatore per portarlo a compimento.

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Ultimi tempi del Concilio. La discussione intorno ai temi sul rapporto tra fede e storia, tra Chiesa e mondo, si aggirava

e si consumava tra molti impedimenti e frena-te, tutto destinato a generare un testo debole.

Quello che in questi quasi cinquant’anni è il più invecchiato, evangelicamente il più debole.

Balza all’improvviso sui tavoli conciliari il tema della guerra. Il volto di questa realtà era già completamente cambiato a quei tempi e aveva consentito molti interventi tesi a mostrare che ormai non era più sostenibile l’ipotesi che ci potesse essere “una guerra giusta”. Eppure nelle aule universitarie di Teologia Morale anco-ra si imparavano le dieci condizioni perché una guerra potesse essere cristianamente legittima.

Ma nel giorno della Festa della Trasfigura-zione del Signore, il 6 agosto del 1945 l’atomi-ca aveva distrutto Hiroshima. La guerra si era ormai infilata in quel corridoio, già sperimenta-to da molte città europee, che non la riteneva più come contesa tra belligeranti, ma come an-nientamento delle popolazioni inermi.

C’erano speranze a che il Concilio potesse prendere decisioni definitive su questo tema. Ma c’era la guerra del Vietnam. L’Episcopato Americano si oppose a che il Concilio arrivasse a condanne esplicite, e tutto naufragò. In quei giorni il grande Ivan Illich, che era consigliere teologico dell’Arcivescovo di New York, lasciò il suo ministero, pur continuando a vivere da cristiano e da prete.

Due mesi prima di morire, Papa Giovanni firmò la Pacem in Terris come testimonianza suprema del suo ministero. La sua enciclica è, in duemila anni di storia, il primo e unico docu-mento magisteriale sul tema della pace nella Chiesa di Roma.

La teologia è sempre stata teologia della guerra. Un Imperatore del Sacro Romano Im-pero come Federico II veniva scomunicato non perché andava in guerra, ma perché si rifiuta-va di andare alle Crociate. Questa condanna lo indusse a partire. Si fece scortare da una guardia del corpo di Lucera, formata tutta da Islamici, e, con patti e compromessi, riuscì ad entrare a Gerusalemme senza combattere. Nella Basilica del Santo Sepolcro si celebrò un solenne Pontificale presieduto dal Legato Pontificio, l’Arcivescovo di Genova. L’imperato-re era presente, ma non potè fare la comunione perché la scomunica non era ancora stata tolta.

Pace, cuore pulsante della fede

La pace è il cuore pulsante della fede di Gesù. È il frutto del suo sacrificio d’amore, come Egli stesso annuncia: “La pace sia con voi”, mostrando le ferite della Croce. Ma la te-ologia ha continuato tranquilla il suo cammino di certezze, insinuando il sospetto che la pace sia un’utopia, e che la pace debba rimanere sempre il tempo tra una guerra e l’altra.

Si vis pacem, para bellum (se vuoi la pace

prepara la guerra) è andata avanti fino ai tempi in cui, nella “terra rossa”, la distinzione e l’op-posizione tra “noi e loro” stava sul tenere per l’una o per l’altra parte, entrambe armate fino ai denti per il para bellum, inimicizia che dalla potenza degli armamenti e dalle contrapposi-zioni ideologiche arrivava fino alle piazze delle nostre città e dei nostri paesi. Che cosa è av-venuto il primo luglio del 1949; quasi nessu-no sa rispondere, o forse qualcuno lo sa, ma preferisce dimenticare: è la scomunica dei co-munisti. Così a Roma in quegli anni, mentre si celebrava il grande Concilio, arrivò anche il processo contro don Lorenzo Milani per la de-nuncia dei Cappellani Militari: aveva detto che il cristiano non poteva ammazzare e neanche imparare ad ammazzare un altro figlio di Dio. Che litigate anche in “alto loco” perché sem-brava scandaloso che una “coscienza indivi-duale” potesse pretendere di essere decisiva per ogni persona e quindi rispettata.

Il dramma della Siria

Certo, ringraziamo il Signore, le cose in que-sti decenni sono andate avanti. Ma fino a che punto? Quello che in questi giorni si sente dire per il dramma siriano è spaventoso. Come una mamma, o forse una matrigna troppo severa, ci si chiede se, essendo stati così cattivi con i gas velenosi, questi siriani bisogna “punirli”! È quindi culturalmente terrificante quello che si sente e forse è molto più grave quello che non si sente.

Ma il Signore non abbandona e il nostro carissimo nuovo Vescovo di Roma, il nostro Papa Francesco ha preso la parola. I mezzi di informazione hanno “censurato” le parole del Papa in modo che sembrava che Lui condan-nasse solo i gas velenosi! E’ stato bello che

tantissime persone si sono unite nel digiuno e nella preghiera con l’assemblea di preghiera con-vocata da Papa Francesco. E in pace con tutti.

Beati gli operatori di pace

La severa dottrina evangelica non è una dottrina della non-violenza che proibisce ogni forma di guerra e di aggressione. È molto di più: Gesù vuole che ci vogliamo bene! La pace non è non darsi legnate o lasciarsele dare sen-za reagire. La pace è quello che compie Lui, che Paolo, scrivendo agli Efesini, chiama af-fettuosamente e solennemente “Lui, la nostra pace”.

La pace è l’abbattimento del muro di sepa-razione tra Israele e le genti, cioè tutti i popoli della terra, affinchè i due siano una cosa sola.La pace non è non avere nemici, ma è amarli.

Per questo la pace non è “una situazione”, ma “un’azione”. Sono beati i “facitori di pace”, che non sono i “pacifici”, come discorsivamen-te noi intendiamo.

Ma come si può “fare la pace”? Nel mon-do la pace la possono proclamare e fare solo quelli che hanno vinto la guerra. Questa però è la logica di Caino.

Giovanni scrive nella sua grande Lettera dell’Amore: “Non come Caino, che era dal Ma-ligno e uccise suo fratello”. E poco dopo: “In questo abbiamo conosciuto l’amore, nel fatto che Egli ha dato la sua vita per noi; quindi an-che noi dobbiamo dare la vita per i fratelli”

Occore che venga affermato in ogni luogo della terra un severo comandamento: “È proi-bito morire!”. Lì nessuno può morire, perché la strada nuova, meravigliosa e piena di luce, raccoglie ogni precetto nel comandamento di “dare la vita”. Non bisogna morire. Bisogna dare la vita. Pace.

Vangelo in tempo di guerra

NELLA CHIESAA partire dal Concilioabbiamo cominciato

a dubitare che ci potesse

essere una guerra giusta.

A che punto siamo ora?

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MACHEGESU’BAMBINO

AMIAMO? Di sicuro non baste-

rà tutta la nostra vita per prendere in braccio que-

sto bambino.“Prenderlo in braccio”, come dire: è una gioia solo

a vederlo, non posso fare a meno di afferrarlo, me lo voglio godere per bene, portare al mio viso o, come direbbe una mamma, mangiare.

Ecco, proprio il mangiarlo sarebbe il punto di arrivo, il massimo della relazione, lo scopo di una vita.

Non è meraviglia che si possano provare sentimenti di questo genere di fronte a un ‘bambin nella culla’. Fi-gurarsi poi se appena dubitiamo che potrebbe essere il Figlio di Dio!

Ci lasceremmo scappare una fortuna di questo ge-nere? Vorremmo tutti essere protagonisti di una bella grande storia, di cui poi compiacerci rivedendola o sa-pendola conosciuta da altri attraverso un album di foto-grafie, un film o in un libro. Una bella storia dai connota-ti religiosi, antichi, perenni… perché umani.

Rinfreschiamo pure un poco questa religiosità pri-mordiale e sorgiva, sepolta nel nostro dimenticato dna che ormai riviviamo quasi solo al cinema o in Tv, con pellicole storico-fantastiche che narrano di dei, di anti-che preghiere, di gesti e liturgie, di sacrifici e banchetti, di tribù o popoli col senso del sacro che consideriamo passati per sempre, ma che ci rivelerebbero a noi stessi.

“Mangiarlo” questo bambino. E’ a questo che siamo chiamati: conoscerne la iden-

tità, assimilarne le caratteristiche, riprodurle nella nostra vita, trasmetterle ad altri perché sono troppo belle.

Noi che conosciamo la sua storia, la storia di que-sto bambino, di un bambino in fuga sin da piccolo, poi uscito di casa, diventato poi digiunatore, orante e predi-catore, taumaturgo, amico di nemici-malati-emarginati-piccoli-disprezzati-peccatori…, perseguitato, amato e odiato, fatto fuori, apparentemente fallito e infatti poi risuscitato, siamo di famiglia, suoi fratelli ed eredi, ci riconosciamo figli di suo Padre.

Niente di meglio. Siamo fortunati. L’abbiamo a por-tata di abbraccio.

Eppure qualcosa nel tempo è andato storto. A man-giarlo ci risulta un po’ indigesto.

Lo stiamo infatti tuttora spesso rimuovendo dal no-stro menù.

Anche perché di fronte agli altri ci vergogniamo un poco di un cibo così strano che ci trasforma, ci fa diver-si proprio mentre noi vorremmo invece confonderci ed essere come tutti, senza fisime e luci della ribalta che ci mettono in mostra come dei privilegiati.

Non sentiamo più l’onore di assomigliargli. Ci sen-

tiamo timidi e infastiditi. Forse anche un po’ complessa-ti, senza neanche più il coraggio di affermare la nostra identità, rispettosi della altrui fino a nascondere la no-stra come se fosse un affronto a quella degli altri.

Ma che ci capita?Papa Francesco qui ha già detto la sua. Lui parla di ‘rivoluzione della tenerezza’, di ‘riconcilia-

zione con la carne degli altri’, di ‘mistica del mescolarci, dell’incontrarci, del prenderci in braccio’, di ‘partecipazio-ne a questa marea un po’ caotica che può trasformar-si in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale’…

Con un bambino è facile la tenerezza, l’abbraccio, l’incontro. Ma con questo mondo, con gli altri di tutti i giorni, con i diversi di tutte le categorie? Chi me lo fa fare?

Eppure, gli occhi di quel bambin nella culla ci inter-rogano e arrivano dritto al cuore seducendo la nostra coscienza.

‘Scoprire Gesù nel volto degli altri, nella loro voce, nelle loro richieste’ (parole di papa Francesco), è ab-bracciare questo bambino, goderne fino a mangiarlo, riconoscerlo per quello che è, amarlo con le lettere ma-iuscole, non fingere a noi stessi una volta all’anno con sentimentalismi folcloristici che si consumano e riduco-no il bambino Gesù a un ‘Gesù Cristo senza carne’.

Ma che Bambino Gesù ameremmo? Lo ameremmo?don Isidoro

ARICI ISABELLABALDUZZI DANIELEBELPIETRO CHIARA MARIABENDOTTI GIANLUCABERA MARGHERITABIDULI BRUNABIEMMI FABIANABODEI JESSICABOLDORI LUCABOLPAGNI GIOVANNIBONIOTTI ELEONORABONIOTTI ILARIABRESCIANI DIEGOBUSI GIULIABUSI ILARIACAMPANA CAMILLACASALI ILARIACASTEGNATI LARACAVAZZANA EDWARDCHIOSSI BEATRICECOCCOLI GIANMARCOCOCCOLI STEFANOCREMONESI EMMACRISTINI DIEGODELRIO SHARONDIONI CARLOTTAFACCHINI OMARFALAPPI MICHELEFASCIOLO FRANCESCOFILIPPINI ALICEFONTANA ALESSANDROFRANCHINI LORENZOFRANZONI MAUROGALERI ELISA

GORNI MATILDELAZZARINI SOFIALONATI CHIARALONATI CINZIALONATI CLAUDIALONATI GIANLUCAMASSARELLI CHIARAMAZZONCINI ALESSANDROMENSI FRANCESCAMERENDINO ELENAMILESI CATERINAMORA ARIANNAMORANDINI ELISAMOSCONI ANITANICOLETTO ALESSIAPAGHERA MATTIAPIAZZI ALICEPLUDA GABRIELE

cresime 10 novembre 2013

PRATI ALESSIOQUECCHIA ANDREAQUECCHIA CRISTIANQUECCHIA MARCOREBOLDI ALICERIZZINI DANIELERUMI MONICASCIORTINO CHRISTIANSOLDI CHIARASOLDI ILARIATAGLIETTI GIANCARLOTISI FEDERICOTONGHINI SILVIATONNI CAMILLATORTELLI FILIPPOVESCHETTI LORENZOZAINI CAMILLA

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A ruota libera con il direttore della rivista “La Civiltà cattolica”

II 19, 23 e 29 agosto, in Santa Marta a Roma, per oltre sei ore complessive, Papa Francesco ha

rilasciato, a padre Antonio Spada-ro, direttore di "Civiltà Cattolica", un'intervista pubblicata con il tito-lo: "La Chiesa, l'uomo, le sue feri-te". Nell'occasione Papa Francesco ha chiarito molti punti, alla luce di alcune dichiarazioni precedenti e ri-portate, da molti organi di stampa, fuori dal contesto nel quale erano state enunciate.L'intervista inizia con una confessio-ne di Papa Francesco, il quale ricor-dando la recente Giornata Mondiale della Gioventù ammette che non è mai stato abituato a parlare a tanta gente: «Io riesco a guardare le sin-gole persone, una alla volta, a en-trare in contatto in maniera perso-nale con chi ho davanti. Non sono abituato alle masse» e proseguen-do «Io sono un peccatore al quale il Signore ha guardato"». E ripete: «io sono uno che è guardato dal Signore. Il mio motto Miserando atque eligendo l'ho sentito semprecome molto vero per me». Il mot-to di Papa Francesco è tratto dalle Omelie di san Beda il Venerabile, il

quale scrive: «Vide Gesù un pubbli-cano e, siccome lo guardò con senti-mento di amore e lo scelse, gli disse: Seguimi». Papa Francesco continua nella sua riflessione ricollegandosi a Matteo: «(...) venendo a Roma ho sempre abitato in via della Scrofa. Da lì visitavo spesso la chiesa di San Luigi dei Francesi, e lì andavo a con-templare il quadro della vocazione di san Matteo di Caravaggio. Quel dito di Gesù così... verso Matteo. Così sono io. Così mi sento: "un peccatore al quale il Signore ha ri-volto i suoi occhi". E questo è quel che ho detto quando mi hanno chiesto se accettavo la mia elezione a Pontefice».Padre Bergoglio è stato prima supe-riore e poi superiore provinciale nel-la Compagnia di Gesù: per questo motivo padre Spadaro domanda al pontefice: «Pensa che la sua espe-rienza di governo del passato pos-sa servire alla sua attuale azione di governo della Chiesa universale?». Questa è la risposta: «L'immagine della Chiesa che mi piace è quella del santo popolo fedele di Dio. Dio nella storia della salvezza ha salva-to un popolo. Nessuno si salva da

solo, come individuo isolato, ma Dio ci attrae considerando la com-plessa trama di relazioni interper-sonali che si realizzano nella co-munità umana. Dio entra in questa dinamica popolare. Il popolo è sog-getto. E la Chiesa è il popolo di Dio in cammino nella storia, con gioie e dolori (...) Io vedo la santità - pro-segue il Papa - nel popolo di Dio pa-ziente: una donna che fa crescere i figli, un uomo che lavora per por-tare a casa il pane, gli ammalati, i preti anziani che hanno tante feri-te ma che hanno il sorriso perché hanno servito il Signore, le suore che lavorano tanto e che vivono una santità nascosta. Questa per me è la santità comune. La santità io la associo spesso alla pazienza: il farsi carico degli avvenimenti e del-le circostanze della vita, ma anche come costanza nell'andare avanti, giorno per giorno. Così continua Papa Francesco: «Questa Chiesa con la quale dobbiamo "sentire" è la casa di tutti, non una piccola cappella che può contenere solo un gruppetto di persone selezionate. Non dobbiamo ridurre il seno della Chiesa universale a un nido protet-tore della nostra mediocrità. Altro argomento. Papa Benedetto XVI, annunciando la sua rinuncia al Pon-tificato, ha ritratto il mondo di oggi come soggetto a rapidi mutamenti: «Papa Benedetto ha fatto un atto di santità, di grandezza, di umiltà. E un uomo di Dio», afferma Papa Francesco «Io vedo con chiarez-za - prosegue - che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la ca-pacità di curare le ferite e di riscal-dare il cuore dei fedeli, la vicinan-za, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare

INTERVISTA A PAPA FRANCESCO le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, cura-re le ferite... E bisogna cominciare dal basso». Padre Spadaro facendo riferimento al fatto che ci sono cri-stiani che vivono in situazioni non regolari per la Chiesa, a divorziati risposati, coppie omosessuali, altre situazioni difficili chiede al Papa il suo parere: «Dobbiamo annuncia-re il Vangelo su ogni strada, predi-cando la buona notizia del Regno e curando, anche con la nostra predicazione, ogni tipo di malattia e di ferita. A Buenos Aires riceve-vo lettere di persone omosessuali, che sono “feriti sociali” perché mi dicono che sentono come la Chiesa li abbia sempre condannati. Ma la Chiesa non vuole fare questo. Du-rante il volo di ritorno da Rio de Ja-neiro ho detto che, se una persona omosessuale è di buona volontà ed è in cerca di Dio, io non sono nessuno per giudicarla. Dicendo questo io ho detto quel che dice il Catechismo. La religione ha il dirit-to di esprimere la propria opinione a servizio della gente, ma Dio nella creazione ci ha resi liberi: l’ingeren-za spirituale nella vita personale non è possibile. Una volta una per-sona, in maniera provocatoria, mi chiese se approvavo l’omosessuali-tà. Io allora le risposi con un’altra domanda: “Dimmi: Dio, quando guarda a una persona omosessua-le, ne approva l’esistenza con affet-to o la respinge condannandola?”. Bisogna sempre considerare la persona. Qui entriamo nel mistero dell’uomo. Nella vita Dio accom-pagna le persone, e noi dobbiamo accompagnarle a partire dalla loro condizione. Bisogna accompagnare con misericordia. Quando questo accade, lo Spirito Santo ispira il sa-cerdote a dire la cosa più giusta. Questa è anche la grandezza della Confessione. Il confessionale non è una sala di tortura, ma il luogo del-la misericordia nel quale il Signore ci stimola a fare meglio che possia-mo. Penso anche alla situazione di una donna che ha avuto alle spalle un matrimonio fallito nel quale ha pure abortito. Poi questa donna si è risposata e adesso è serena con cinque figli. L’aborto le pesa enor-memente ed è sinceramente pen-

tita. Vorrebbe andare avanti nella vita cristiana. Che cosa fa il confes-sore? Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto. Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione». E il ruolo della donna nella Chiesa?: «E necessario ampliare gli spazi di una presenza femminile più incisiva nella Chiesa. Le donne stanno po-nendo domande profonde che van-no affrontate. La Chiesa non può essere se stessa senza la donna e il suo ruolo. La donna per la Chiesa è imprescindibile. Maria, una don-na, è più importante dei Vescovi. Dico questo perché non bisogna confondere la funzione con la dignità. Bisogna dunque approfondire meglio la figu-ra della donna nella Chiesa. Bisogna lavorare di più per fare una profonda teologia della donna. Solo compien-do questo passaggio si po-trà riflettere meglio sulla funzione della donna all’in-terno della Chiesa. Il genio femminile è necessario nei luoghi in cui si prendono le decisioni importanti. La sfida oggi è proprio questa: riflettere sul posto specifico della donna anche proprio lì dove si esercita l’autorità nei vari ambiti della Chiesa». Al-tra domanda: Santità, come si fa a cercare e trovare Dio in tutte le cose?». È necessario un atteggiamento contem-plativo: è il sentire che si va per il buon cammino della comprensione e dell’affetto nei confronti delle cose e delle situazioni. Il segno che si è in questo buon cammi-no è quello della pace pro-fonda, della consolazione spirituale, dell’amore di Dio, e di vedere tutte le cose in Dio (...) Se uno ha le rispo-ste a tutte le domande, ecco

che questa è la prova che Dio non è con lui. Vuol dire che è un falso profeta, che usa la religione per se stesso. Le grandi guide del popolo di Dio, come Mosè, hanno sempre lasciato spazio al dubbio. Si deve lasciare spazio al Signore, non alle nostre certezze; bisogna essere umili».Per finire: «dobbiamo essere ottimi-sti? Quali sono i segni di speranza nel mondo d’oggi? Come si fa ad essere ottimisti in un mondo in crisi?». «A me non piace usare la parola “ot-timismo”. Mi piace invece usare la parola “speranza”, secondo ciò che si legge nel capitolo 11 della Lettera agli Ebrei. I Padri hanno continuato a camminare, attraversando grandi difficoltà. E la speranza non delude, come leggiamo nella Lettera ai Ro-mani».

Il parroco con Papa Francesco in Santa Marta il 19 novembre 2013

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INTRODUZIONE

Il piccolo Sinodo che abbiamo vissuto all’inizio dell’avvento vorrebbe essere un model-lo del modo di procedere nella comunità cristia-na. C’era un problema importante, quello del rapporto tra azione pastorale e territorio; c’era una ipotesi di risposta al problema, quella delle Unità Pastorali e cioè della collaborazione isti-tuzionalizzata tra parrocchie vicine omogenee. L’attuazione di questa soluzione comporta una trasformazione del modo concreto di decidere la pastorale e di attuarla. Abbiamo allora ascoltato il parere di tutti coloro che, interessati, hanno voluto esprimersi. Dalla consultazione è uscita una bozza di documento, fatta di un centinaio di proposizioni. Questa bozza è stata la base della riflessione comune in assemblea.In realtà il termine ‘assemblea’ non rende del tutto quello che abbiamo vissuto.

Un Sinodo, infatti, è un sistema che com-prende celebrazioni, preghiere, discussioni, pro-poste, votazioni. Lo scopo è quello di far emer-gere una posizione che raccolga il consenso di una grande maggioranza; ma lo scopo è anche quello di suscitare nelle persone attenzione, interesse, coinvolgimento. Una comunità cam-mina speditamente se tutti coloro che ne fan-no parte sanno qual è la direzione di marcia e sono convinti che questa sia la direzione giusta. In caso contrario, forse il cammino può essere fatto ugualmente, ma non bene. Non bene per-ché se qualcuno non è convinto di quello che si fa, può anche farlo per accondiscendenza, ma lo farà sempre con fatica, un po’ controvoglia e il risultato non potrà che essere scarso. La comunità cristiana, in particolare, è “il corpo di Cristo” e, come ci ricorda san Paolo, in un corpo ci debbono essere molte membra di-verse tra loro ma nello stesso tempo unite tra

LUCIANO MONARIVESCOVO DI BRESCIA

DOCUMENTI SINODALI

29° SINODO

DIOCESANO

SULLE UNITA’

PASTORALI

COMUNITA’IN CAMMINO

Ad un mese dall’apertura del laboratorio di cucito, si possono fare alcune considera-

zioni. L’ambiente ha assunto le caratteristiche di un vero laboratorio. Oltre al naturale e tipico disordine di un posto di lavoro, l’arredo è stato completato con sei macchine da cucire, una per la maglieria, tre tavoli e tre scansie che si cari-cano sempre più di piccoli e grandi pezzi di stoffe, pizzi e filati, attrezzi e strumenti di lavoro; tutto donato o prestato da persone venute a conoscenza dell’iniziativa che hanno deciso di parteci-pare anche in questo modo e… perché no, di svuotare cassetti o qualche angolo della cantina.

Il laboratorio, per ora, è aperto il martedì e venerdì dalle 16 alle 18, partecipano mediamente 10-12 donne tra volontarie e “allieve” e l’atmosfera che si crea è serena, tanto che il tempo vola letteralmente.

C’è chi viene perché vuole allargare un paio di calzoni, chi per imparare a lavorare a maglia, chi per confezionarsi dei cuscini, una tenda o una borsa…

Se non si ha nulla da fare si inventa, e si realizzano dei manufatti per allestire bancarelle di solidarietà per la Caritas.

Ci siamo però accorte che molte donne non sanno ancora di questo laboratorio o non ne co-noscono correttamente le finalità.

E’ quindi necessario chiarire.L’idea di allestire il laboratorio è stata proposta da me durante un incontro dei volontari della

Caritas; è stata accettata con entusiasmo, condivisa nel gruppo e poi dalla comunità. Il Parroco, sentito il Consiglio Pastorale, ha messo a disposizione un locale storicamente “polivalente”, che si è rivelato particolarmente adatto.

Al momento ne sono referente, ma il laboratorio è delle donne di Botticino. Sul territorio esiste già una realtà simile, promossa dall’Auser, nei confronti della quale non esi-

ste competizione o contrapposizione, ma collaborazione nelle finalità socio-educative che queste iniziative si prefiggono.

Il laboratorio non vuole fare concorrenza sleale alle sarte che operano sul territorio: per questo le volontarie non possono accettare di svolgere lavori su ordinazione in cambio di offerte, anche se fossero devolute interamente alla Caritas.

Ricordiamo le finalità del laboratorio:•offrire suggerimenti ed aiuti per realizzare un risparmio economico familiare all’interno di un

consumo ecosostenibile;•recuperare tecniche di lavoro che sono un patrimonio creativo femminile e passarle alle nuo-

ve generazioni;•educare alla capacità di ascolto, alla disponibilità, al dialogo e all’attenzione verso l’altro;•favorire lo scambio di osservazioni ed esperienze in campo domestico e sociale.Per favorire la partecipazione è prevista in primavera anche un’apertura serale e la prossima

estate saranno attivati corsi per bambine e ragazze. Il laboratorio è allestito nella sala Don Ve-spa della canonica di Mattina, a destra del campanile.

Arrivederci. Passate, anche solo per curiosità.

Per informazioni telefonare al nume-ro 3774268283.

Ausilia.

LABORATORIO DI CUCITO E... NON SOLO

Inaugurazione e benedizione laboratorio - 9 novembre 2013

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loro da un legame funzionale. mani e piedi, sto-maco e fegato, cuore e reni e polmoni sono orga-ni diversi gli uni dagli altri, ma funzionano bene solo se il collegamento tra tutti loro è effettivo. Se uno solo degli organi comincia a funzionare male, anche tutti gli altri organi ne soffrono e funzionano meno bene. Così la comunità cri-stiana è composta di molti membri che hanno vocazioni diverse. Sarebbe un problema se chi ha una vocazione volesse svolgere la funzione che tocca a un altro; ma sarebbe un problema anche se qualcuno si tirasse indietro e lasciasse che gli altri operino in modo autonomo, senza il suo contributo. Il funzionamento sano della comunità ri-chiede l’apporto di tutti, la corresponsabilità di tutti. Ciascuno, infatti, è responsabile del suo servizio proprio, ma ciascuno è anche respon-sabile del funzionamento di tutto il sistema dal quale dipende anche il buon funzionamento di ciascuno. La comunità cristiana ha un centro preciso di riferimento che è, nella Chiesa parti-colare, il vescovo. Di questo centro c’è bisogno per diversi motivi: anzitutto perché la discussione libera e ampia non diventi dispersione disgregante, ma abbia fine in una decisione unica. In secondo luogo perché il cammino di una Chiesa parti-colare (la Chiesa di Brescia, nel nostro caso) si

mantenga in comunione con tutta la Chiesa catto-lica attorno alla Chiesa di Roma e quin-di al Papa. Il vescovo ga-rantisce que-sta comunio-ne perché, a motivo dell’ordina-zione episco-pale, fa parte del ‘collegio’ dei vescovi che, attorno al Papa, ha la responsabili-tà pastorale della Chiesa intera. Anco-ra: il vesco-vo, insieme a tutti i vesco-

vi, è garante della continuità della Chiesa e cioè del legame vitale, storico che la Chiesa di oggi mantiene con la Chiesa di ieri, del secolo scorso, di mille anni fa, con la Chiesa che Gesù Cristo ha fondato e vivificato col sacrificio del suo sangue. Per tutti questi motivi un Sinodo esercita la sua autorità decisionale solo attraverso la persona del vescovo; ma per gli stessi motivi l’autorità del vescovo non si configura come autorità auto-noma, che decide secondo una propria volontà, ma come autorità di comunione, che conduce a unità la varietà delle esperienze, delle necessità, dei desideri, delle ispirazioni delle persone. Il giorno di Pentecoste, giorno in cui la Chiesa si è presentata per la prima volta al mon-do, i discepoli “si trovavano tutti insieme nello stesso luogo”. Su questi discepoli viene riversato il dono dello Spirito Santo e Pietro, a nome di tut-ti, fa la prima proclamazione pubblica del vange-lo della risurrezione: “Si compie – dice – quanto Dio aveva detto attraverso il profeta Gioele: Ne-gli ultimi giorni su tutti effonderò il mio Spirito; i vostri figli e le vostre figlie profeteranno, i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno sogni. E anche sui miei servi e sulle mie serve in quei giorni effonderò il mio Spirito ed essi profe-teranno.” Non è necessario pensare a fenome-ni impressionanti dal punto di vista esterno; è decisivo, invece, pensare a persone che parlano non spinte dall’interesse personale o dal biso-gno personale di affermazione, o dalla ricerca di sicurezza, o dalla pressione dell’ambiente, ma dallo splendore della verità così come appare ai loro occhi, dalla forza dell’amore che muove i loro sentimenti, dalla passione per l’unità e la comunione che dà slancio ai loro desideri. Ora, esistono alcuni segni concreti che permettono di riconoscere la mozione dello Spi-rito se è vero che “la sapienza che viene dall’alto è anzitutto pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparzia-le e sincera.” (Gcm 3,17) I doni dello Spirito non sono sempre dati a chi ha un ufficio. Chi esercita un ufficio ha certo il dono dello Spirito che ac-compagna ogni ufficio ecclesiale (la cosiddetta ‘grazia di stato’); ma lo Spirito fa fiorire l’esisten-za di fede nei modi più impensati, attraverso le persone più umili e nascoste. È saggezza, allora, nella Chiesa permettere a tutti di parlare perché i doni dello Spirito – quando ci sono – non siano soffocati o spenti (cfr. 1Ts 5,19-21). Così come è saggezza, nella Chiesa, parlare con umiltà, senza presumere di avere la parola ultima e risolutiva, ma lasciandosi istruire dalla verità che può ma-nifestarsi attraverso la testimonianza degli altri. È un problema quando nella comunità cristiana

tutti parlano e urlano cercando di sopraffare e spegnere la voce degli altri; ma è un problema anche quando nessuno parla. Nel primo caso siamo davanti a una comunità che muore di tensioni; nel secondo caso a una comunità che muore di inedia. Lasciare che tutti si esprimano e condurre a unità i diversi pareri; eventualmen-te lasciare sedimentare i contrasti e maturare le opinioni con pazienza fino a che la via da percor-rere appaia con sufficiente chiarezza; accettare con lealtà le decisioni che si prendono insieme, anche quando non corrispondono del tutto alle proprie preferenze. Per questa strada vorrei che le nostre comunità s’incamminassero con con-vinzione e pazienza. Si tratta di assumere uno stile che, per qualche aspetto, va contro le ten-denze oggi diffuse, ma che può diventare signifi-cativo. Per questo il Sinodo chiede anche la cele-brazione eucaristica e la preghiera comune. Non sono – eucaristia e preghiera – un adempimento formale e nemmeno un’aggiunta opzionale alle discussioni; nascono invece dalla consapevolezza di quale vogliamo sia la vera origine delle nostre scelte. Il che va inteso bene. Quando diciamo che lo Spirito Santo deve essere all’origine delle no-stre scelte, non pensiamo a un’illuminazione ‘mi-racolosa’, che fa brillare all’improvviso un’idea nella nostra coscienza. Lo Spirito Santo agisce at-traverso tutto il processo con cui noi giungiamo a dare forma a una decisione: la presa di coscienza del problema, l’analisi dei dati, la ricerca di rela-zioni che permettano di capire che cosa abbia-mo di fronte, la verifica della solidità delle ipotesi proposte, la riflessione suglieffetti delle possibili decisioni… Insomma, lo Spirito Santo non offre la risposta già confezionata e non esonera dalla fatica di cercare la soluzione dei problemi; al con-trario ci stimola a cercare con serietà, a studiare con perseveranza, a valutare con oggettività, a scegliere con un cuore puro. Tutto quello che fa-vorisce un giudizio oggettivo e intelligente entra dentro all’azione dello Spirito Santo in noi. Certo, ci possono essere anche illuminazioni improvvi-se, ma queste vengono normalmente quando il problema è stato pensato ed esaminato da vari punti di vista. Per questo non abbiamo solo pre-gato; abbiamo anche fatto una consultazione previa con interventi diversi delle persone. Come dicevo all’inizio, l’esperienza sino-dale vorrebbe essere un modello che dia la vo-glia di camminare nella medesima direzione, con lo stesso stile, a tutti i livelli dell’esperienza di Chiesa, a cominciare dalle Unità Pastorali. Come ci siamo detti più volte, l’Unità Pa-storale è la scelta di programmare e attuare in-

sieme la pastorale. Chi ha più bisogno delle Unità Pastorali sono le comunità di piccole dimensioni che si trovano davanti a questa scelta: o fare una pastorale diminuita, nella quale molte funzioni utili vengono semplicemente omesse, o fare una pastorale insieme ad altre comunità per mette-re insieme le forze. Fare una pastorale giovani-le o matrimoniale o dello sport in una comunità di mille persone non è possibile. I casi sono solo due. O si rinuncia a fare questi tipi di pastorale (ma sarebbe davvero utile per il futuro della co-munità cristiana?) o s’impara a lavorare insieme con le altre parrocchie (e questa è esattamente la scelta delle Unità Pastorali). Il Sinodo ci ha dato le coordinate precise entro le quali muoverci con libertà e creatività; adesso tocca a noi operare con pazienza e perseveranza, fino a che il lavoro di collaborazione e di corresponsabilità non di-venti abito acquisito. Ci sono però due riflessioni necessarie. La prima è che le Unità Pastorali hanno un senso se siamo convinti che il lavoro Pastorale sia utile, anzi necessario. E questo dipende dall’im-magine che ne abbiamo. Se l’azione pastorale è solo un’attività tesa a tenere in piedi una par-rocchia, non sarà facile tenere viva la tensione delle persone che vi operano. C’è sempre, die-tro a tante azioni, la minaccia di un interrogativo inquietante: “Chi me lo fa fare? A che cosa ser-ve?” Per resistere alla forza distruttiva di questo interrogativo bisogna collocare l’azione pastorale dentro al grande disegno di Dio sull’uomo e sul mondo. È il disegno della comunione che Dio accarezza da sempre ed è il disegno della comu-nione che noi facciamo nostro come scopo delle nostre attività pastorali. Scrivendo agli Efesini san Paolo parlava del ‘mistero di Cristo’ e lo descrive-va così: “Le genti (cioè i pagani) sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo.”

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(Ef 3,6) Quando Dio ha pensato e creato l’uomo, lo ha pensato ‘in Cristo’ nel senso che la molte-plicità delle persone, delle razze, delle culture deve costruire un’unità complessa e nello stesso tempo solida, che trasformi la società degli uo-mini secondo una legge di comunione, la legge di Cristo; quando la società degli uomini assume la forma di Cristo, la società degli uomini diventa pronta per essere partecipe della gloria di Dio, per partecipare quindi alla gioia e alla vita di Dio stesso. Si può dire che il ‘mistero’ è esattamente questo: “Cristo in voi, speranza della gloria.” (Col 1,27)Questo è il nostro desiderio; questo il progetto che ci sta davanti e al quale siamo disposti a sa-crificare noi stessi: per la comunione tra gli uo-mini, per la ‘cristificazione’ del mondo (la parola è bruttissima, ma rende l’idea). Desideriamo che il mondo abbia i lineamenti di Cristo e lavoria-mo in vista di questo. Le cose che facciamo sono piccole, come siamo piccoli noi; ma il progetto è grande quanto è grande Dio. Facciamo catechi-smo a un piccolo gruppo di ragazzi; ma mettiamo in loro la nostalgia di un’esistenza umana degna, un germe fecondo di verità e di amore: cosa po-trebbe esserci di più importante? Celebriamo un’Eucaristia per cento persone; ma mettiamo in moto un dinamismo di comunione che fa di queste cento persone un’unica comunità e che apre questa comunità a incontrare il mondo inte-ro nell’amore di Cristo. Se non scatta in noi que-sto desiderio, le cose che facciamo appariranno banali. Potremo farle per un po’ di tempo per le soddisfazioni che sempre si hanno nel fare qual-cosa di bene; ma poi ci sembrerà che le cose più importanti da fare siano altre, che le persone ‘adulte’ debbano avere altri interessi. La seconda riflessione riguarda le persone che sono coinvolte nell’attività pastorale: i preti, i diaconi, i religiosi, i laici, le persone consacrate… L’azione pastorale infatti è operata concretamen-

te da persone che portano le loro qualità e i loro limiti; la collaborazione richiede che persone di-verse sappiano parlarsi a vicenda e sappiano la-vorare insieme. Non è cosa scontata; anzi, tutto questo suppone un lungo lavoro su se stessi per abituare se stessi a lavorare insieme agli altri.La persona umana è fatta per entrare in relazio-ne col mondo e con gli altri (e con Dio!); ma la costruzione di relazioni autentiche non è facile. Ciascuno di noi si porta dentro un istinto di au-toaffermazione che ci inclina a dominare sugli altri, un bisogno di sentirsi perfetti che ci spinge a non riconoscere i nostri errori, un bisogno di possesso che rischia di trasformare anche l’ami-cizia in volontà di potere. Tutti noi abbiamo qual-che tratto nevrotico che c’impedisce di essere sereni con gli altri, ci rende insofferenti, irascibili, aggressivi, reattivi. Per di più, siamo abilissimi a razionalizzare i nostri difetti e cioè a trasformarli in (presunte) forme di giustizia, di sincerità. Fe-riamo gli altri e diciamo che stiamo praticando la sincerità; schiacciamo gli altri e diciamo che stia-mo difendendo la giustizia; rifiutiamo di vedere la realtà e ci illudiamo di stare difendendo i valo-ri. Insomma, le relazioni tra noi sono facilmente turbate dall’egoismo, dall’orgoglio, dalla paura. Naturalmente, non è cosa bella; ma se riusciamo a vedere le motivazioni false che ci muovono, se le riconosciamo con sincerità, allora diventa pos-sibile un cammino di correzione, di conversione, di crescita spirituale. Dobbiamo passare per que-sta porta stretta se vogliamo diventare davvero utili alla crescita della comunità cristiana e alla missione nel mondo. Una delle esperienze belle del Sinodo è stata la serenità con cui tutti hanno esposto le loro opinioni; avevamo l’impressione che ciascu-no non stesse difendendo le sue idee, ma stesse cercando di migliorare e arricchire la posizione di tutti. Se manteniamo questo spirito, il cammino della nostra Chiesa sarà costruttivo. Non sarà fa-cile perché il mondo in cui siamo non è semplice, il tempo che viviamo non è ordinario; ma sarà un cammino creativo, nel quale lo Spirito del Signo-re potrà operare e dirigere tutti verso il meglio. È nutrendo questi sentimenti nel cuo-re che volentieri promulgo il testo approvato dall’assemblea sinodale in tutte le sue proposi-zioni. Il Signore ci benedica e guidi con la sua gra-zia il nostro cammino.

Brescia, 28 marzo 2013Giovedì Santo

+ LUCIANO MONARIVESCOVO

PREMESSE

Paragrafo 1La comunione, mistero divino e vocazione umana

1.Il Dio della Rivelazione è comunione del Padre e

del Figlio nello Spirito Santo. La comunione perciò esprime il mistero profondo dell’esistenza del mon-do che viene da Dio ed è chiamato a compiersi in Dio. Comunione significa l’unità di soggetti diver-si determinata dalla conoscenza, la collaborazione, l’amore e il dono reciproco.

2.L’evoluzione del cosmo e la storia dell’uomo ri-

spondono alla volontà di Dio che vuole esprimere nelle creature e nel loro reciproco rapporto il miste-ro di amore che costituisce la sua identità.

Vivere gli uni “con” gli altri e gli uni “per” gli al-tri è quindi la sfida a cui gli uomini debbono rispon-dere con tutte le manifestazioni della loro esistenza: il lavoro, le istituzioni, i sentimenti, il comporta-mento etico, le relazioni, le creazioni, insomma tut-ta la loro esperienza.

Paragrafo 2Gesù, forza e rivelazione della comunione

3.La forza della comunione, che è Dio, si è mani-

festata nel mondo attraverso le parole e le operedi Gesù, la sua vita e la sua morte. Questa medesima forza continua a operare nella storia dopo la glo-rificazione di Gesù. Egli, che ha ricevuto dal Pa-dre “ogni potere in cielo e sulla terra”, attraverso il dono del suo Spirito, in tutte le forme sacramentali, continua ad agire nel mondo per condurlo a un’uni-tà sempre più piena.

4.Per questo l’esistenza terrena di Gesù è e rimarrà

sempre il modello, l’origine, il criterio, il traguardo di tutta l’esistenza della Chiesa e di ciascun creden-te in Cristo.

Paragrafo 3La Chiesa al serviziodella comunione5.La Chiesa è al servizio della comunione di tutti

gli uomini e compie questo servizio facendo della comunione la legge prima della sua esistenza.

Perciò all’interno della Chiesa tutte le differenze sono funzionali a una più alta unità generata, fat-

ta crescere e portata a compimento dall’amo-re reciproco. L’amore fraterno ha la sua radice nell’amore di Dio per il mondo e per l’uomo e si situa all’interno della risposta del mondo a Dio.

La risposta del mondo a Dio ha nell’uomo la sua forma specifica, fatta di libertà che si decli-

na nel servizio e nel dono reciproco.6.Tutte le differenze all’interno della Chiesa:

la differenza sessuale, le differenze culturali, sociali, storiche, i diversi ministeri, le istituzio-ni, le molteplici vocazioni sono al servizio della varietà, della molteplicità, della creatività della comunione.

Dove ci sono forme di autorità e di presiden-za, queste vanno intese al servizio della comu-nione e lo stesso vale per i ministeri, i carismi personali o di gruppo.

7.La comunione suppone inevitabilmente un

tessuto profondo e articolato di conoscenza re-ciproca e quindi di comunicazione. L’attenzione all’altro, l’empatia che fa sentire come propria l’esperienza dell’altro, l’amore che rende corre-sponsabili del bene degli altri, il servizio che fa percepire l’altro come degno del proprio sacri-ficio sono le motivazioni che debbono animare tutte le scelte della Chiesa, all’interno, per la sua crescita, all’esterno, per il servizio che la Chiesa è chiamata a donare al mondo.

8.Dove la comunione è operante, ciascun sog-

getto – persona o istituzione – trova la sua piena identità solo entrando in relazione con soggetti complementari – persone o istituzioni – per cre-are realizzazioni sempre più ampie di comunio-ne e di amore. Il dilatarsi della comunione tende verso realizzazioni sempre più alte: dal soggetto singolo alla comunione interpersonale, ai grup-pi, alle istituzioni, fino alla comunione eccle-siale cattolica (universale), all’unità di tutti gli uomini nel mondo, al regno di Dio, quando Dio sarà tutto in tutti.

Paragrafo 4 Comunione e missione della Chiesa

9. La comunione, dono dello Spirito, rappresen-

ta la sorgente come pure l’esito della missione della Chiesa. Tale missione, pur rimanendo sem-pre identica nel compito di annunciare il vange-lo di Gesù per la comunione di tutti gli uomini con Dio e tra di loro, assume forme e fisionomie diverse a seconda dei tempi, delle situazioni e dei destinatari. Questa apertura al rinnovamento è contemporaneamente espressione della fedeltà a Dio e della fedeltà all’uomo.

DOCUMENTO FINALE

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10.Il nostro tempo, caratterizzato da grande mo-

bilità, dal moltiplicarsi delle forme di comunica-zione e di aggregazione, dal confronto anche stri-dente fra culture e religioni, dalla crisi dei modelli di comportamento personale, familiare, sociale, economico e politico, dall’affievolirsi di una con-divisa mentalità di fede, dall’evidente diminuzione del clero e, insieme, dall’esigenza di certezze e di corresponsabilità, richiede un ripensamento e un rinnovamento nell’attuazione della missione ec-clesiale.

Paragrafo 5 Senso delle Unità Pastorali (d’ora in poi UUPP)

11. Le UUPP intendono rinnovare l’azione pasto-

rale della Chiesa bresciana, dandole uno stile più missionario, in risposta agli aspetti caratteristici del nostro tempo sopra elencati, che rappresentano per noi “i segni dei tempi”, cioè fatti significati-vi, da discernere accuratamente, attraverso i quali lo Spirito parla alla Chiesa di Cristo e la sollecita a una conversione permanente e ad un aggiorna-mento continuo. Ormai anche la nostra diocesi è “terra di missione”, non solo per la presenza di ap-partenenti ad altre tradizioni religiose, ma pure per l’aumento di coloro che, battezzati, hanno abban-donato la pratica della fede cristiana.

12.Le UUPP non aboliscono la struttura giuridica e

pastorale della parrocchia né la figura del parroco per le singole parrocchie: intendono invece esse-re, entro l’azione pastorale unitaria della Chiesa bresciana, una forma di più stretta collaborazione che favorisca la cura pastorale dei fedeli, attraverso una maggiore comunione tra parrocchie vicine e una migliore valorizzazione delle molteplici risor-se presenti nelle comunità parrocchiali e nel terri-torio.

13.La riuscita delle UUPP si misurerà, quindi, dal-

la capacità di far uscire le singole comunità par-rocchiali da una illusoria autosufficienza per farle vivere “con” e “per” altre comunità parrocchiali: in questo senso le UUPP sono una preziosa oppor-tunità per la Chiesa bresciana, poiché sollecitano e favoriscono l’unità di discernimento, di decisione e di azione nell’attività pastorale.

14.Lo scopo principale delle UUPP è contribuire a

dare nuovo impulso alla missione ecclesiale, attra-verso una maggiore comunione e collaborazione nel presbiterio bresciano (compresi i preti bresciani che operano in altre diocesi come “fidei donum”), fra le parrocchie, fra i presbiteri, le persone consacrate e i laici, come pure tra i diversi gruppi e aggrega-zioni ecclesiali. In tal modo le UUPP rappresentano un’efficace testimonianza in un mondo minacciato dalle divisioni e dall’individualismo. E lo saranno ancora di più vivendo la comunione con rappresen-tanti di altre Chiese e comunità ecclesiali accoglien-doli come fratelli e sorelle nella fede.

15.Tutte le disposizioni del Sinodo, che cercano di

immaginare e delineare il funzionamento concreto delle UUPP, vanno collocate dentro la cornice fon-damentale di queste premesse, che devono dare sen-so alle singole disposizioni, ne devono costituire il limite e il criterio di interpretazione.

CAPITOLO IFisionomia e struttura delle UUPP

Paragrafo 1 Definizione di UP

16. L’UP è una particolare unione di più parrocchie

affidate dal Vescovo a una cura pastorale unitaria e chiamate a vivere un cammino condiviso e coordi-nato di autentica comunione, attraverso la realiz-zazione di un unico progetto pastorale missionario pluriennale aperto non solo al territorio, ma pure al mondo intero, in sintonia con le indicazioni pastora-li diocesane.

17.Nelle UUPP i mezzi per una missione più effica-

ce, oltre a quelli dell’annuncio, della preghiera e dei sacramenti, sono soprattutto: la corresponsabilità, la testimonianza della comunione e la progettazione comune di una pastorale organica.

Paragrafo 2 Elementi essenziali

18.Vista la vastità ed eterogeneità della Diocesi, non

è opportuno adottare ed applicare sempre e ovunque un modello esclusivo di UP. Bisognerà fare spazio ai criteri della opportunità, della gradualità e della flessibilità così che nei tempi e nei modi di attuazio-

1 Can. 536 §1. Se risulta opportuno a giudizio del Vescovo diocesano, dopo aver sentito il consiglio presbiterale, in ogni parrocchia venga costituito il consiglio pastorale, che è presieduto dal parroco e nel quale i fedeli, insieme con coloro che partecipano alla cura pastorale della parrocchia in forza del proprio ufficio, prestano il loro aiuto nel promuovere l’attività pastorale.§2. Il consiglio pastorale ha solamente voto consultivo ed è retto dalle norme stabilite dal Vescovo diocesano.2 Can. 517 §2. Nel caso che il Vescovo diocesano, a motivo della scarsità di sacerdoti, abbia giudicato di dover affidare ad un diacono o ad una persona non insignita del carattere sacerdotale o ad una comunità di persone una partecipazione nell’eserci-zio della cura pastorale di una parrocchia, costituisca un sacerdote il quale, con la potestà di parroco, sia il moderatore della cura pastorale.

ne vengano rispettate le istanze che emergono dalle diverse realtà pastorali della Diocesi.

Tuttavia è necessario fissare alcuni elementi es-senziali che definiscano l’identità stessa di una UP.

19. Tra gli elementi di una UP sono da ritenersi

essenziali: la nomina, da parte del Vescovo, di un presbitero coordinatore responsabile dell’UP, cui compete: presiedere il Consiglio dell’Unità Pa-storale (CUP), coordinare il gruppo di coloro che esercitano un ministero, presiedere la commissione economica, guidare la progettazione della pastora-le dell’UP e verificarne l’attuazione, promuovere la comunione e forme di vita fraterna tra i presbiteri dell’UP, curare i rapporti dell’UP con la comuni-tà civile, la costituzione di un consiglio dell’UP, la progettazione pastorale comune, un Regolamento sulla base di un modello diocesano da adattare alle specifiche esigenze delle singole UP.

20. Quando le parrocchie che costituiscono una UP

sono affidate a più parroci, uno di essi verrà nomi-nato coordinatore e sarà il responsabile dell’UP.

21. Il consiglio dell’UP è l’organismo rappresentati-

vo di tutte le componenti delle comunità ecclesiali che risiedono nell’ambito dell’UP. Ad esso, sotto la presidenza del presbitero coordinatore, respon-sabile dell’UP, in comunione con gli altri eventua-li parroci, spetta di elaborare il progetto pastorale dell’UP, verificarne l’attuazione e affrontare i pro-blemi pastorali che emergono nell’UP.

Il consiglio dell’UP funziona in stretta analogia con quanto stabilito dalla normativa diocesana e universale in riferimento al consiglio pastorale par-rocchiale ed ha voto consultivo (cfr can. 536)1.

22. In ogni UP, identificati progressivamente gli ele-

menti o strumenti ritenuti importanti per la propria organizzazione, il CUP provvederà a redigere un Regolamento, che recepirà e applicherà le indica-zioni diocesane alla propria situazione; esso dovrà essere poi approvato dal consiglio dell’UP, previo il visto della Cancelleria diocesana.

Paragrafo 3 Aspetti o elementi possibili

23. Accanto agli elementi essenziali, costitutivi di

ogni UP, ci sono aspetti o elementi che, a motivo della diversità delle situazioni, possono essere rite-nuti utili o opportuni.

24. Tra questi, a titolo puramente esemplificativo, si

possono annoverare: affidare a un diacono o ad altra persona o a una comunità di persone la partecipa-zione alla cura pastorale di una parrocchia dove non risiede stabilmente un presbitero, a motivo della

scarsità di clero (cfr. can 517 § 2)2; costituire com-missioni per i vari ambiti della pastorale, la segre-teria dell’UP, un centro di ascolto Caritas unificato, un centro di educazione alla preghiera.

25. La pluralità delle forme possibili di UP suggeri-

sce che il decreto vescovile di erezione sia accom-pagnato da alcune indicazioni specifiche circa la fisionomia e i compiti di ciascuna UP.

Paragrafo 4 Criteri per la costituzione di una UP

26. I criteri fondamentali per la costituzione delle

UUPP sono: l’omogeneità dell’ambiente sociale, una situazione pastorale particolare, l’appartenen-za allo stesso comune, un numero non eccessivo di parrocchie e di abitanti, la vicinanza geografica e storico-culturale.

27. Questi criteri non vanno intesi in forma troppo

rigida e soprattutto non è necessario che siano tutti presenti contemporaneamente. A seconda delle si-tuazioni può prevalere un criterio o l’altro.

CAPITOLO IICompiti e funzioni delle UUPP

Paragrafo 1Compito principale: la missione ecclesiale attraverso una “progettazione comune” della pastorale

28. La Chiesa esiste per la missione. Questo com-

porta anche una progettazione che risponda alla si-tuazione concreta del territorio. Si potrebbe dire che la progettazione è già atto missionario poiché cerca di rispondere alle istanze espresse o anche non an-cora espresse dalle persone.

29. La progettazione pastorale, che nasce anzitut-

to dall’ascolto della parola del Vangelo e del ma-gistero ecclesiale, comporta soprattutto i seguenti momenti fondamentali: l’analisi della situazione pastorale e sociale; la definizione degli obiettivi (generali e particolari) che si intendono raggiunge-re; la precisazione dell’itinerario (modalità, tappe od obiettivi intermedi, tempi, persone, mezzi, ecc.) che permette di passare dalla situazione di partenza a quella desiderata; la verifica come momento di ri-definizione degli obiettivi.

30. Nell’UP la progettazione ha origine dal discer-

nimento comunitario e dalla convergenza di molti soggetti e quindi è già segno della comunione che nasce dalla missione.

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31. Proprio perché nell’UP la progettazione pasto-

rale è comune a tutte le parrocchie che la costitui-scono, il luogo in cui si attua la progettazione è il CUP, nel quale convergono anche le eventuali pro-poste formulate dagli organismi di partecipazione delle parrocchie.

32. Il CUP non si limita ad elaborare la progettazio-

ne pastorale comune. Suo compito è anche quello di sollecitarne e verificarne la realizzazione nelle parrocchie, fornendo gli strumenti per una parteci-pazione responsabile di tutte le persone, aggrega-zioni e istituzioni. Alla fine di ogni anno pastorale esso verificherà il lavoro svolto dall’UP e prepare-rà alcune ipotesi progettuali per il successivo anno pastorale; le farà conoscere agli organismi di par-tecipazione delle parrocchie, i quali, all’inizio del nuovo anno pastorale, faranno pervenire al CUP le proprie proposte.

Paragrafo 2Elementi fondamentali e ambiti o settoridella pastorale delle UUPP

33. All’interno e al servizio della missione, le co-

munità cristiane sono chiamate a svolgere una pluralità di funzioni che nell’UP saranno oggetto della progettazione pastorale comune.

Alcune di queste funzioni sono costitutive e fondamentali, cioè: le varie forme di annuncio del-la Parola, le celebrazioni sacramentali, la testimo-nianza della carità. Queste sono dette “costitutive” perché non possono mancare in nessuna comunità cristiana.

Sono dette anche “fondamentali” nel senso che tutte le altre funzioni dipendono da esse, vi si ali-mentano e dicono ad esse riferimento.

34.Altre funzioni, essendo collegate a situazioni e

ad ambiti di vita particolari, sono più mutevoli nel-lo spazio e nel tempo. Esse avranno come criterio di riferimento l’attenzione alle condizioni concrete delle persone, agli ambienti in cui queste vivono e alle varie situazioni dell’esistenza, secondo gli ambiti del Convegno ecclesiale di Verona (2006): tradizione, vita affettiva, lavoro e festa, fragilità, cittadinanza.

Paragrafo 3Le funzioni costitutive (annuncio, liturgia, ca-

rità)

35. Attraverso il CUP, spetta all’UP il compito di

una comune progettazione pastorale per l’annun-cio, la vita liturgica e la carità nell’ambito delle parrocchie che costituiscono l’UP.

In particolare, nella vita liturgica si dovranno

ripensare in modo organico gli orari delle celebra-zioni eucaristiche cercando di garantire in ogni par-rocchia una celebrazione eucaristica domenicale e curare la formazione degli animatori liturgici.

36. Nella catechesi si dovrà attuare il cammino

dell’iniziazione cristiana secondo le disposizioni diocesane, prestando attenzione alla formazione dei genitori e dei catechisti. Quando risulti possibile e utile, la catechesi dei bambini e dei ragazzi sarà svolta nelle singole parrocchie. In questo caso, ogni parrocchia può prevedere incontri organizzativi per i propri catechisti.

37. La catechesi per i giovani e gli adulti è progettata

insieme nel CUP e, a seconda delle diverse situa-zioni, sarà svolta nelle singole parrocchie, in gruppi interparrocchiali o a livello di tutta l’UP.

38.L’impegno delle comunità cristiane si esprime

nella partecipazione alla vita sociale e alla vita della comunità civile, secondo gli orientamenti della dot-trina sociale della Chiesa, e nell’attenzione alla po-vertà e ai bisogni delle persone. Al fine di un’azione più efficace è opportuno che in ogni UP si costituisca una Caritas nella quale siano rappresentate tutte le parrocchie dell’UP. A seconda della situazione, si po-trà poi pensare alla Caritas in ogni parrocchia oppure ad una Caritas per più parrocchie o per tutta l’UP.

39. All’interno di ogni Caritas è opportuno che si

costituiscano sottogruppi che stimolino l’attenzione alle varie necessità e fragilità (fame, malattia, as-senza di lavoro, emarginazione, ecc.).

Paragrafo 4Alcuni ambiti o settori della pastorale

40.Intendendo per pastorale il complesso delle ini-

ziative che la Chiesa mette in atto per realizzare la sua missione in riferimento al mondo e agli uomini d’oggi, i settori della pastorale non possono essere definiti una volta per sempre. Si abbia cura di pro-muovere le vocazioni al ministero ordinato e alla speciale consacrazione, che sono al servizio delle altre vocazioni. I settori e gli ambiti qui nominati valgono solo come esemplificazioni.

41.L’azione pastorale esige operatori pastorali ade-

guati: la loro preparazione spirituale e pastorale spetta all’UP in quanto tale, quando non si renda necessario ricorrere a una preparazione più speci-fica e qualificata che può essere offerta dalla Zona Pastorale o dalla Diocesi.

42. Nella pastorale il volontariato e la gratuità sono

valori da salvaguardare. In casi particolari e se neces-sario si potrà ricorrere a personale remunerato, che

dia testimonianza di coerenza di vita cristiana e di dedizione educativa. L’incarico di tali persone nelle UUPP avvenga per mandato esplicito del Vescovo.

43. Pastorale familiare

a. Poiché la famiglia è il luogo attraverso il quale la persona umana coglie i valori della vita e della socialità, nell’UP le si presterà particolare atten-zione, considerandola soggetto attivo dell’azione pastorale. Si elaboreranno altresì proposte per ini-ziative comuni a tutta l’UP anche per le persone o le coppie che vivono situazioni problematiche. A questo scopo presbiteri, persone consacrate e laici, in particolare coppie di sposi, esercitando la loro singolare ministerialità, dovranno operare insieme per la formazione umana e spirituale dei ragazzi e delle ragazze, educandoli all’amore reciproco, al sacramento del matrimonio, alla condivisione della responsabilità familiare, all’accoglienza e al rispet-to della vita in tutte le sue età, alla cura e all’educa-zione cristiana dei figli, alla partecipazione alla vita sociale, politica, istituzionale.

b. Nelle UUPP si dovranno progettare e coor-dinare soprattutto: la formazione dei fidanzati, la preparazione al matrimonio, la pastorale battesi-male e postbattesimale, la formazione dei genitori, coinvolgendo e preparando, come animatori, in pri-mo luogo coppie di sposi, con speciale attenzione e sostegno alle donne nell’importante compito loro affidato nella trasmissione e nella cura della vita.

44.Pastorale giovanile e oratorianaa. La pastorale giovanile e l’oratorio esprimono

nella nostra Diocesi la cura pastorale più immediata e radicata delle comunità verso le nuove generazio-ni. In un contesto di UP, per continuare e rinnovare questa tradizione, è necessario dotarsi di un proget-to pastorale condiviso e organico, capace di acco-gliere le nuove sfide educative.

b. È bene che in ogni parrocchia, se possibile, si mantenga la presenza dell’oratorio, almeno con una struttura minima per il servizio del catechismo, delle attività connesse alla iniziazione cristiana e all’animazione dei ragazzi. Nella UP si dovranno comunque valorizzare le risorse esistenti con un ra-zionale utilizzo delle strutture, con l’accorpamento di alcune attività e, dove possibile, con la specializ-zazione nella gestione delle stesse, senza ricorrere, se non in casi eccezionali, alla costruzione di nuovi oratori.

c. La pastorale giovanile non può essere con-siderata oggi esclusivamente legata all’ambiente oratoriano; essa esige un’attenzione particolare agli ambienti frequentati dagli adolescenti e dai giovani e ai loro stili di vita per poter entrare in dialogo, cercare il confronto sui valori e offrire proposte adeguate con particolare attenzione alla dimensio-

ne vocazionale. Per questo molte iniziative dovran-no essere pensate per tutta l’UP secondo un pro-getto pastorale unitario, che valorizzi le proposte educative di associazioni e movimenti.

45. Pastorale socialea. L’UP partecipa attivamente alla realtà socia-

le del territorio per leggere nelle trasformazioni in atto “i segni dei tempi” che interpellano la Chiesa e impostare una pastorale adeguata alle effettive con-dizioni di vita delle persone.

b. I cristiani impegnati nella realtà sociale e po-litica e le aggregazioni con carisma sociale devono poter trovare nella UP occasioni per confrontarsi, per sentirsi parte della comunità cristiana e per sperimentare insieme il discernimento spirituale comunitario. La dimensione dell’UP consente in modo particolare una visione più ampia dei proble-mi relativi al mondo del lavoro, alla pace, alla giu-stizia sociale e alla pastorale del creato.

46. Pastorale della salute

a. Ogni parrocchia dovrà continuare a provvede-re alla cura delle persone fragili o malate. L’UP sarà pure il luogo più appropriato per sviluppare nuove forme di pastorale che, con spirito missionario, non si limitino alla cura dei sofferenti che già chiedono i sacramenti, ma si propongano, piuttosto, di evan-gelizzare il tempo della sofferenza. Si avrà altresì cura di avvicinare coloro che attraversano la prova e il patire senza la forza della fede.

Si dovrà inoltre valorizzare la testimonianza e la preghiera delle persone malate o fragili o diver-samente abili per l’evangelizzazione. Si presterà attenzione alle strutture ospedaliere presenti sul territorio, cercando di stabilire collaborazioni tra le “cappellanie ospedaliere” delle stesse. Nell’UP verrà offerta una preparazione più specifica agli operatoripastorali e l’occasione per il confronto e il coordinamento delle esperienze, valorizzando an-che particolari competenze presenti sul territorio.

b. Anche i ministri straordinari della Comunione sono pensati al servizio della pastorale della salute e non solo come aiuto per la distribuzione della Co-munione durante le celebrazioni eucaristiche.

L’UP provveda perché tali ministri siano distri-buiti in modo tale da servire tutto il territorio che la riguarda.

47. Pastorale della cultura e della comunicazionea. La diffusione e il moltiplicarsi dei mezzi di

comunicazione, con tutti i problemi connessi alla loro incidenza nella vita delle persone e nella cultu-ra dominante, fanno ritenere opportuna in ogni UP la presenza di animatori della cultura e della comu-nicazione adeguatamente preparati, con il compito di farsi promotori di iniziative culturali per tutta l’UP.

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b. Spetta al CUP elaborare una programmazio-ne comune. Le iniziative culturali delle singole parrocchie dovranno inserirsi all’interno di tale programmazione, tutelando e valorizzando i beni artistici e culturali.

c. Dove si ritiene opportuno, gradualmente, si potrà passare dal giornale della singola comunità ad un unico giornale per tutta l’UP, nel quale però ci sarà uno spazio adeguato anche per le singole parrocchie.

d. Nel servizio all’UP si valorizzino gli altri strumenti attuali della comunicazione, quali il sito internet, la radio, la Sala della comunità, ecc…

48. Pastorale scolastica e universitariaLa realtà scolastica e universitaria ha una ri-

levanza fondamentale per l’evangelizzazione e l’educazione cristiana delle nuove generazioni. Le UUPP si preoccupino perciò di individuare perso-ne preparate che vi si dedichino in dialogo con le diverse proposte educative presenti nelle scuole pubbliche. Particolare attenzione e valorizzazione saranno dedicate alle scuole cattoliche e agli inse-gnanti di religione cattolica.

49. Pastorale dei migranti

Sarà cura delle UUPP prestare particolare atten-zione agli immigrati cattolici di prima generazione per seguirli sul territorio o indirizzarli alle realtà preposte a questo servizio.

Le stesse UUPP si preoccuperanno inoltre di curare l’iniziazione cristiana degli immigrati di seconda generazione, in modo da favorirne l’in-serimento nelle comunità e la valorizzazione delle diverse culture che animano la Chiesa cattolica.

50. Pastorale ecumenicaLe UUPP, riconoscendo che i fratelli e le sorelle

di altre confessioni cristiane, a motivo del comune Battesimo sono anch’essi chiamati a vivere all’in-terno della loro Chiesa la responsabilità della mis-sione, diano loro la possibilità di edificare la comu-nione tra loro incontrandosi per celebrare la Divina Liturgia e gli altri Sacramenti, aiutando a trovare un adeguato e dignitoso luogo di culto, secondo le apposite norme della disciplina canonica.

La rispettosa e fraterna accoglienza nella diver-sità può rivelarsi una ricchezza di aiuto reciproco nel cammino della medesima fede.

51.Dialogo interreligiosoLa pastorale per il dialogo interreligioso diventi

anche per le UUPP un ambito di sensibilizzazio-ne, dove si favorisca la conoscenza, il rispetto e

il confronto con gli appartenenti ad altre tradizioni religiose che vivono nel nostro territorio.

52.Pastorale missionariaLe UUPP avranno cura di mantenere ampio

l’orizzonte della propria azione pastorale, ponen-dosi in ascolto della molteplice e ricca esperienza di coloro che hanno dedicato la vita alla missione, dei missionari “ad gentes”, dei religiosi in missione, dei “fidei donum”, dei laici e volontari missionari. A questo scopo, in ogni UP si preveda un gruppo missionario.

CAPITOLO IIISoggetti

Paragrafo 1Per una “ministerialità” diffusa

53. Alla base delle diverse attività e dei molteplici

servizi svolti nella comunità cristiana deve esserci a coscienza che ogni ministero rappresenta un modo di partecipare all’unica missione della Chiesa, la quale è attuata da soggetti diversi, secondo le varie vocazioni e i doni ricevuti, e si realizza in modi dif-ferenti e complementari.

54. A servizio dell’unica missione della Chiesa sono

posti sia i ministeri conferiti attraverso il sacramen-to dell’Ordine, che assicurano alla comunità il ser-vizio essenziale della Parola, dei sacramenti e della guida pastorale autorevole, sia i ministeri istituiti o esercitati di fatto, che sono fondati nel Battesimo e sono pure a servizio della comunità, ma presentano una maggiore variabilità in rapporto al mutare delle situazioni storiche e dei bisogni delle comunità.

55. L’accoglienza delle diversità, la valorizzazione

dei carismi per il bene comune, la coscienza della distinzione tra i ministeri e della necessità di evitare sovrapposizioni e invasioni di campo e lo sforzo di esercitarli nella comunione con tutti i soggetti chia-mati al servizio nella Chiesa, sono condizioni essen-ziali per un corretto esercizio dei ministeri ecclesiali anche nelle UUPP.

56. Di particolare importanza è la presenza di co-

loro che, all’interno di una UP, svolgono un mini-stero continuativo (ordinato o istituito o di fatto). Il presbitero coordinatore abbia cura di riconoscere e mettere in comunione le persone di questo gruppo interparrocchiale, in cui deve manifestarsi una piena comunione, una collaborazione effettiva, una corre-sponsabilità sinodale vissuta a servizio di tutta l’UP. A questo fine il presbitero coordinatore, in tutte le fasi di istituzione come nella vita ordinaria dell’UP, promuova percorsi di conoscenza, formazione e condivisione nella fraternità.

57. Con la partecipazione alla definizione e alla realiz-

zazione del progetto pastorale comune si attua con-cretamente la dimensione ministeriale della Chiesa e crescono la consapevolezza missionaria della Chiesa e la comunione tra i diversi soggetti ai quali la mis-sione è affidata.

Paragrafo 2 I presbiteri

58. L’impostazione di una pastorale comune tra più

parrocchie, insieme alla diminuzione del numero dei presbiteri, comporta una trasformazione delle forme in cui il ministero dei presbiteri è esercitato.

59. Il ministero del presbitero, avendo come scopo

la guida e l’edificazione della comunità cristiana, anche nelle UUPP dovrà riguardare tutti gli aspetti costitutivi della pastorale, evitando il rischio che il presbitero si limiti alle funzioni liturgiche e sacra-mentali o si trasformi in un funzionario nel quale prevale il tratto burocratico.

60. Per evitare i rischi menzionati, i compiti affidati

ai presbiteri richiedono il contatto diretto e la co-struzione di relazioni stabili con i fedeli appartenen-ti alla comunità cristiana e l’attenzione alla testimo-nianza missionaria rivolta a coloro che non credono o sono in ricerca.

61. Le relazioni stabili del presbitero con i fedeli tro-

vano nell’assemblea convocata per l’Eucaristia la loro espressione più alta e includono il cammino di evangelizzazione e di formazione cristiana che por-ta all’Eucaristia nonché la molteplicità di azioni e forme di vita comunitaria che dall’Eucaristia nasco-no. Nella presidenza della celebrazione eucaristica e nell’esercizio comune del ministero all’interno dell’UP tutti i presbiteri sono per la comunità segno di Cristo Pastore con pari dignità, indipendente-mente dal compito specifico (coordinatore, parro-co, vicario parrocchiale) che ciascuno è chiamato a svolgere.

62. Inserito nel presbiterio diocesano, il presbitero è

chiamato a vivere nell’UP la comunione con gli al-tri presbiteri con i quali condivide la cura pastorale. Per questo, nella misura del possibile, è bene che in ogni UP vi siano almeno due presbiteri; così come è opportuno che i presbiteri della medesima UP at-tuino qualche forma di vita comune. D’altra parte, si deve riconoscere anche il valore di una presenza diffusa dei presbiteri nelle singole parrocchie, ca-ratteristica della tradizione bresciana, che permette loro una maggiore vicinanza ai fedeli.

63. I presbiteri sono chiamati a riconoscere e pro-

muovere le vocazioni ai diversi ministeri donati da Dio alla comunità cristiana e a rendere possibile

un’adeguata formazione di coloro che sono idonei e disponibili ad assumere tali ministeri.

Paragrafo 3 I diaconi

64. I diaconi sono chiamati ad essere segno di Cristo

servo ed esprimono in modo particolare la dimen-sione del servizio, che è compito dell’intera Chiesa. Essi sono chiamati a svolgere, sia nelle UP che nel-le comunità parrocchiali, la triplice diaconia della Parola, della liturgia e della carità.

65. I diaconi sono a servizio delle UP e possono fa-

vorire la comunione all’interno di esse. Se il Ve-scovo riterrà necessario affidare una partecipazione nell’esercizio della cura pastorale di una parrocchia a un diacono, tale compito verrà svolto secondo le indicazioni del can. 517 §2. Questo servizio dovrà essere svolto con spirito di umile mediazione e in accordo con il presbitero coordinatore dell’UP.

66. Una caratteristica del servizio dei diaconi è an-

che quello di stare sul “confine” e diventare “pon-te” tra la Chiesa e il mondo: essi devono portare nell’ambiente periferico la carità e il conforto spi-rituale e materiale della Chiesa e al tempo stesso riportare al cuore della Chiesa le ansie e le attese delle donne e degli uomini.

Paragrafo 4 Le persone consacrate

67. Nella comunità dei credenti le persone consa-

crate sono una presenza significativa che sollecita all’essenzialità dell’esistenza cristiana: il primato di Dio, la sequela di Gesù casto, povero e obbediente, la vita fraterna in comunità, l’obbedienza allo Spi-rito nel discernimento comunitario, l’attenzione ai poveri.

68. Il loro stato di persone consacrate - con i voti di

castità, povertà, obbedienza o altri sacri vincoli - annuncia il cielo e la terra nuovi che il cristiano già abita con Cristo, in forza del Battesimo, e lo solle-cita a non schematizzarsi sulla logica del mondo.

La nostra Diocesi ha visto la nascita e la crescita di carismi per l’educazione, per la cura dei pove-ri e di ogni male fisico e spirituale e ancora oggi ne gode in forme più aderenti alle situazioni attua-li. Per questo, da parte dei superiori maggiori, si faccia di tutto perché in ogni UP sia possibilmente assicurata la presenza di persone consacrate e di co-munità religiose. A loro volta, gli Istituti secolari, che vivono nel mondo la loro consacrazione e in-tendono portarvi il lievito del Vangelo, collaborano all’azione apostolica della Chiesa. Particolarmente sensibili alla vocazione della donna nella Chiesa, le consacrate contribuiscono in corresponsabilità e spirito evangelico all’edificazione di una socie-

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tà più umana. I responsabili delle UUPP, da parte loro, operino affinché la comunità cristiana faccia tesoro di questo segno di totale dedizione a Dio attraverso la dedizione ai fratelli e alle sorelle.

69. Ogni comunità consacrata ha un carisma per un

servizio all’umanità ed è chiamata ad esercitarlo nella comunione. È necessario che le UUPP accol-gano con riconoscenza la ricchezza e varietà della vita consacrata e la sappiano valorizzare secondo le specifiche competenze, accogliendone la testi-monianza soprattutto come un dono al di là di una logica puramente funzionale. Il Vescovo, in caso di scarsità di presbiteri, può affidare una parteci-pazione nell’esercizio della cura pastorale di una parrocchia a una comunità religiosa secondo le in-dicazioni del can. 517 § 2.

70. La costituzione di una UP che coinvolga una

parrocchia affidata a un Istituto Religioso deve essere preventivamente concordata tra Ordina-rio Diocesano e Superiore Maggiore, stabilendo i principi, i criteri e i limiti di tale collaborazione.

I religiosi che reggono una parrocchia si preoc-cuperanno di integrare le dimensioni specifiche del carisma della propria famiglia religiosa nella vita e nelle scelte dell’UP.

Paragrafo 5 I laici e le aggregazioni ecclesiali

71. Le UUPP favoriscono il sorgere di nuoveforme

di servizi laicali, in particolare quelli della Parola, della liturgia e della carità, nonché quelli dei diversi settori della pastorale, sia all’interno della comunità cristiana sia, e soprattutto, all’interno della vita so-ciale, politica, culturale ed economica del mondo.

72. In ogni UP dovrà considerarsi prioritaria una

formazione permanente dei laici che, a partire dal-la Parola, abbracci l’intera esperienza personale e porti a maturare uno stile di vita laicale autentica-mente cristiano. Si dovrà curare poi la formazione dei laici che esercitano un servizio ecclesiale rico-noscendo un ruolo particolare alle donne.

73. Nell’UP va riconosciuta la complementarità tra

il ministero sponsale e quello presbiterale attraver-so esperienze di confronto e la valorizzazione del-le specifiche vocazioni, promuovendo la nascita di gruppi per le coppie e per le famiglie.

74. I laici sono chiamati a dare testimonianza con co-

erenza, credibilità e competenza nella Chiesa e nel mondo non solo personalmente ma anche in forma associata. Sotto questo profilo, le aggregazioni eccle-siali dei laici costituiscono una ricchezza nella vita dell’UP ed una particolare testimonianza di comunio-ne.

75. Le aggregazioni ecclesiali siano aperte e dispo-

nibili ad inserirsi con i loro carismi specifici stabil-mente nelle UUPP, partecipando, con i loro rappre-sentanti, anche agli organismi di comunione.

76. L’Azione Cattolica, che secondo le indicazioni

del Concilio Vaticano II per sua natura si pone al servizio dell’azione pastorale della Chiesa locale, deve godere anche nelle UUPP di una particolare attenzione. Ci si preoccupi che in ogni UP vi sia un gruppo di Azione Cattolica.

77. Il Vescovo, a motivo della scarsità di sacerdoti,

può affidare una partecipazione nell’esercizio della cura pastorale di una parrocchia ad una persona o ad una comunità di persone non insignite del carattere sacerdotale; in tale caso, attraverso un discernimen-to vocazionale, il ministero verrà affidato secondo le indicazioni del can. 517 §2.

CAPITOLO IVOrganismi di comunione

Premessa

78. In questo capitolo ci si limita ad esporre un elen-

co degli organismi che costituiscono le UUPP o che, in qualche modo, dicono riferimento ad esse. La loro determinazione più specifica viene deman-data al Regolamento che ciascuna UP sarà chiamata a stendere sulla base delle indicazioni diocesane.

Paragrafo 1 Zona Pastorale e Vicario Zonale79. La costituzione delle UUPP non cancella le Zone

Pastorali. Anche se in certi casi sarà necessario ri-definire i loro confini, esse rimangono punto di ri-ferimento e segno di comunione di più UUPP. Una volta costituite le UUPP, decade l’organismo del Consiglio Pastorale Zonale, mentre per la compo-sizione del Consiglio Pastorale Diocesano si dovrà pensare ad una nuova modalità

di nomina dei membri sulla base del nuovo asset-to delle UUPP.

80. Il Vicario Zonale, in quanto presbitero che pre-

siedela Zona Pastorale in rappresentanza del Vescovo,

è anche il coordinatore delle UUPP della Zona e, in modo particolare, il coordinatore del clero della Zona. Restano invariate le competenze a lui affidate dalla normativa universale (cfr. cann. 553-555)3.

81. Il livello fondamentale della programmazione

pastorale è quello delle UUPP. Il Vicario Zonale presiederà e coordinerà le iniziative pastorali che si intendono organizzare nella Zona.

Paragrafo 2 Consiglio dell’UP82. Il CUP, in quanto organismo rappresentativo, è

formato dal presbitero responsabile dell’UP, dagli altri eventuali parroci e presbiteri e dai rappresen-tanti di tutte le parrocchie che formano l’UP.

Nella sua costituzione si terrà conto del numero di abitanti delle parrocchie che formano l’UP, ga-rantendo che anche le parrocchie più piccole abbia-no almeno due rappresentanti.

83. La maggioranza dei membri del CUP è eletta dai

fedeli dell’UP: ogni parrocchia, mediante il proprio organismo di partecipazione parrocchiale, elegge i rappresentanti da inviare al CUP.

84. Al presbitero coordinatore, responsabile della

UP, è data la possibilità di nominare personalmente alcuni membri del CUP, sentito il parere degli altri eventuali parroci.

85. Se lo si ritiene opportuno, il CUP potrà avvalersi

della collaborazione di commissioni corrispondenti agli elementi costitutivi della vita ecclesiale (cate-chesi, liturgia, carità) e ad alcuni settori della pa-storale ritenuti particolarmente importanti per quel territorio. Compito delle commissioni è studiare percorsi – da sottoporre al CUP – per programmare l’azione pastorale dell’UP.

Paragrafo 3 Commissione economica dell’UP86. Nell’UP si potrà costituire una commissione

economica che cerchi di ottimizzare le risorse pre-senti e di sensibilizzare le parrocchie a “sovvenire” alle necessità della Chiesa. Si invitano le comunità a studiare e ad avviare percorsi di comunione tra le parrocchie, soprattutto in vista di un sostegno a

quelle che si trovano in particolare difficoltà. Si po-trà a tale scopo istituire un fondo comune dell’UP, affidato al presbitero responsabile dell’UP. I Con-sigli per gli Affari Economici delle singole parroc-chie siano riuniti periodicamente per favorire l’ar-monizzazione dell’utilizzo delle risorse in funzione del progetto pastorale delle UUPP.

87. Può essere utile che nell’UP ci sia un segreta-

rio economico, nominato dal coordinatore dell’UP sentito il parere dell’eventuale commissione econo-mica, che lo sollevi da alcune incombenze burocra-tiche, giuridiche e amministrative nelle parrocchie. A tal fine, il coordinatore e il CUP avranno cura di sensibilizzare e promuovere la formazione di lai-ci per la gestione delle attività economiche nonché dell’ordinaria e straordinaria amministrazione del-la parrocchia. Si tenga presente che l’UP non gode di personalità giuridica e il presbitero coordinatore non svolge funzioni di rappresentanza legale.

Paragrafo 4Organismi parrocchiali di partecipazione

88. Il CUP non cancella gli organismi parrocchiali

di partecipazione, anche se la loro funzione andrà armonizzata all’interno della nuova organizzazione pastorale.

89.Nelle parrocchie che costituiscono l’UP rimar-

rannopertanto i Consigli Pastorali Parrocchiali o altre

forme di rappresentanza, soprattutto laddove già avviate come i Consigli Pastorali Interparrocchiali, la Consulta o l’Assemblea Parrocchiale.

Tali forme di rappresentanza dovranno esse-re appositamente disciplinate dal Regolamento. A tali organismi spetta il compito di programmare la vita della comunità parrocchiale per gli aspetti che le competono; tradurre le indicazioni pastorali del

3 Can. 553 §1. Il vicario foraneo, chiamato anche decano o arciprete o con altro nome, è il sacerdote che è preposto al vicariato foraneo. §2. A meno che il diritto particolare non stabilisca altro, il vicario foraneo è nominato dal Vescovo diocesano, dopo aver sentito, a suo prudente giudizio, i sacerdoti che svolgono il ministero nel vicariato in questione.Can. 554 §1. Per l’ufficio di vicario foraneo, che non è legato all’ufficio di parroco di una parrocchia determinata, il Vescovo scelga il sacerdote che avrà giudicato idoneo, valutate le circostanze di luogo e di tempo. §2. Il vicario foraneo venga nomina-to a tempo determinato, definito dal diritto particolare. §3. Il Vescovo diocesano può rimuovere liberamente, per giusta causa, secondo la sua prudente decisione, il vicario foraneo.Can. 555 §1. Il vicario foraneo, oltre alle facoltà che gli attribuisce legittimamente il diritto particolare, ha il dovere e il diritto: 1 di promuovere e coordinare l’attività pastorale comune nell’ambito del vicariato; 2 di aver cura che i chierici del proprio distretto conducano una vita consona al loro stato e adempiano diligentemente i loro doveri; 3 di provvedere che le funzioni sacre siano celebrate secondo le disposizioni della sacra liturgia, che si curi il decoro e la pulizia delle chiese e della sup-pellettile sacra, soprattutto nella celebrazione eucaristica e nella custodia del santissimo Sacramento, che i libri parrocchiali vengano redatti accuratamente e custoditi nel debito modo, che i beni ecclesiastici siano amministrati diligentemente;infine che la casa parrocchiale sia conservata con la debita cura. §2. Il vicario foraneo nell’ambito del vicariato affidatogli: 1) si adoperi perché i chierici, secondo le disposizioni del diritto particolare, partecipino neitempi stabiliti alle lezioni, ai convegni teologici o alle conferenze a norma del can. 279, p 2; 2) abbia cura che siano disponibili sussidi spirituali per i presbiteri del suo distretto ed abbia parimenti la massima sollecitudine per i sacerdoti che si trovano in situazioni difficili o sono angustiati da problemi. §3. Il vicario foraneo abbia cura che i parroci del suo distretto,che egli sappia gravemente ammalati, non manchino di aiuti spirituali e materiali e che vengano celebrate degne esequie per coloro che muoiono; faccia anche in modo che durante la loro malattia o dopo la loro morte, non vadano perduti o asportati i libri, i documenti, la suppellettile sacra e ogni altra cosa che appartiene alla chiesa. §4. Il vicario foraneo è tenuto all’obbligo di visitare le parrocchie del suo distretto secondo quanto avrà determinato il Vescovo diocesano.

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CUP nella realtà specifica della parrocchia; far per-venire al CUP, tramite i suoi rappresentanti, sug-gerimenti o indicazioni di rilevanza pastorale alla luce della conoscenza più particolare del territorio.

90. Secondo la normativa canonica (cfr. can. 537)4,

in ogni parrocchia va mantenuto il Consiglio Par-rocchiale per gli Affari Economici con i compiti specifici che ad esso competono. Esso dovrà agi-re in sintonia con l’organismo di partecipazione parrocchiale e tenendo presenti le scelte pastorali dell’UP e gli indirizzi della eventuale commissione economica dell’UP.

CAPITOLO VVerso le UUPP

Premessa

91.Il processo di costituzione di una UP è comples-

soe articolato. Esso presuppone una mentalitàdi

comunione e di missione, l’ascolto della vita, il di-scernimento, l’individuazione di strategie o percor-si da attuare. Tutto questo richiede una conversione pastorale.

92. Alla luce di queste considerazioni, la nascita di

una UP prevede quattro fasi:a) Propostab) Preparazionec) Costituzioned) Accompagnamento

Paragrafo 1 Proposta

93.Si costituisce in primo luogo la Commissione

diocesana per le UUPP. Composta da un Delegato vescovile competente e da altri membri di nomina vescovile, essa ha il compito di valutare l’esistenza delle condizioni utili per l’istituzione di una UP, anche alla luce degli esiti della fase di discernimen-to e consultazione coordinata dai Delegati vesco-vili che ha preceduto la Consultazione Diocesana Presinodale, ovvero di promuovere la conversione pastorale delle comunità parrocchiali chiamate al processo di costituzione.

94. Il Delegato vescovile, insieme alla Commissio-

ne diocesana per le UUPP, incontra il Vicario Zo-nale e, in collaborazione con essi, promuove una serie di incontri − per le parrocchie che sono coin-

volte nella prospettiva della costituzione di una UP − aperti a tutti, a cui sono però invitati in modo par-ticolare i Consigli Pastorali Parrocchiali, i Consigli Parrocchiali per gli Affari Economici e il Consiglio Pastorale Zonale.

95. In questi incontri si condividono il significato, il

valore e le prospettive delle UUPP; si delinea il va-lore di una Chiesa di comunione aperta alla missio-ne; si incentivano momenti di confronto tra sacerdo-ti, laici, diaconi e persone consacrate.

96. Tali incontri hanno lo scopo di favorire la corre-

sponsabilità al servizio del discernimento spirituale comunitario e di incoraggiare un’azione pastorale più unitaria e organica. Essi mirano anche a valo-rizzare la presenza laicale e a ribadire la preminenza del servizio alla comunità rispetto agli interessi per-sonali.

97. Al termine di questo percorso, che può variare

nella durata secondo le esigenze delle parrocchie che sono coinvolte nella prospettiva della costitu-zione di una UP, si verifica e si valuta il grado di adesione alla proposta da parte delle singole comu-nità parrocchiali.

Paragrafo 2 Preparazione98. Una volta verificata la positiva adesione alla

proposta dell’UP, si passa alla seconda fase, nella quale il Vescovo nomina il presbitero coordinatore responsabile della erigenda UP. Di conseguenza si costituisce un gruppo di lavoro formato dai rappre-sentanti delle comunità interessate e coordinato dal presbitero responsabile.

99. Il gruppo di lavoro incontra più volte gli organi-

smi di comunione, gli operatori pastorali, i gruppi, i movimenti, le associazioni e i fedeli interessati di queste parrocchie e, aiutato dalla commissione dio-cesana, inizia a lavorare su obiettivi a breve, medio e lungo termine, e cioè, rispettivamente: quelli volti a favorire momenti di spiritualità e la conoscenza fra le persone delle diverse parrocchie; quelli volti a stabilire criteri di valutazione in merito alle attività da progettare e attuare insieme; infine, quelli volti alla progettazione

pastorale comune.100. Gli obiettivi proposti non solo possono ma devon

essere riformulati nel breve, medio e lungo periodo, in modo consono e attento allo sviluppo della situa-zione.

Paragrafo 3 Costituzione101. Il Vescovo, sentito il parere della Commissione

diocesana, del presbitero coordinatore e degli or-ganismi parrocchiali di partecipazione interessati, erige con decreto la nuova UP, precisandone fisio-nomia, ruoli e compiti specifici. Un momento cele-brativo solenne presieduto dal Vescovo darà inizio ufficiale alla UP.

102. Ogni organismo di partecipazione parrocchiale

interessato elegge i rappresentanti che entrano a far parte del CUP.

103.In questa fase di costituzione sarà necessario

elaborare criteri guida per il discernimento, valo-rizzare le strutture presenti più che crearne di nuo-ve, procedere in modo graduale offrendo cammini di sensibilizzazione e di crescita delle comunità, confrontarsi con diverse tipologie operative, av-viando la stesura di un Regolamento della stessa UP.

Paragrafo 4Accompagnamento e verifica104.Nei primi tempi, il cammino dell’UP sarà ac-

compagnato dalla Commissione diocesana; un membro di questa commissione potrà partecipare da uditore agli incontri di progettazione, di pro-grammazione e di verifica della vita dell’UP. Un lavoro di discernimento e di verifica offrirà al Ve-scovo gli elementi necessari per valutare l’utilità e l’efficacia delle UUPP come strumento di azione pastorale comune.

LINEE GUIDA PER UN REGOLAMENTO

DELLE UUPP

1.L’Unità Pastorale (UP) è una particolare unione

di più parrocchie affidate dal Vescovo ad una cura pastorale unitaria e chiamate a vivere un cammi-no condiviso e coordinato di autentica comunio-ne, attraverso la realizzazione di un unico progetto pastorale missionario pluriennale [cfr. Documento Sinodale (DS), n. 16]. In questa prospettiva, il “re-golamento” vuole essere uno strumento al servi-zio della vita delle Unità Pastorali (UUPP), perché possano attuare, in forma più ordinata e concreta, il loro scopo.

ELEMENTI ESSENZIALI

2. Elementi essenziali e costitutivi di una UP sono:

il presbitero coordinatore, il consiglio dell’UP, la progettazione pastorale comune, il regolamento.

3. Il presbitero coordinatore dell’UP viene nomi-

nato dal Vescovo secondo i tempi e le fasi di costi-tuzione delle UUPP indicate al n. 97 del DS.

I suoi compiti principali sono quelli indicati al n.19 del DS. In particolare a lui spetta:

- presiedere l’UP e i suoi organismi (soprattutto: il consiglio dell’Unità Pastorale e l’eventuale com-missione economica);

- promuovere la comunione e le forme di vita fraterna tra i presbiteri dell’UP;

- guidare l’elaborazione, la realizzazione e la verifica del progetto pastorale dell’UP;

- coordinare il gruppo di coloro che esercitano un ministero;

- curare i rapporti dell’UP con la comunità civi-le. Nelle varie questioni, in comunione con gli altri presbiteri, a lui spetta la decisione finale, dopo aver sentito il parere dei vari organismi di riferimento.

4.Il consiglio dell’UP (CUP) viene costituito se-

condo le indicazioni dei nn. 21, 81-84 del DS.Esso funziona in stretta analogia con quanto

stabilito dalla normativa diocesana e universale in riferimento al consiglio pastorale parrocchiale (cfr can. 536).

Sotto la presidenza del presbitero coordinatore e in comunione con gli altri presbiteri, il CUP ha il compito di: elaborare il progetto pastorale dell’UP; verificarne l’attuazione; affrontare i problemi pa-storali che emergono nell’UP.

Ad esso appartengono di diritto: il presbitero coordinatore, gli altri presbiteri residenti con inca-richi pastorali, i diaconi, due rappresentanti della-vita consacrata.

La maggioranza dei fedeli laici presenti nel CUP viene eletta in ogni parrocchia dal proprio or-ganismo parrocchiale di partecipazione, in un nu-mero variabile, da un minimo di 2 a un massimo di 6, in ragione della consistenza numerica della parrocchia stessa. Le elezioni di tali fedeli avven-gono secondo le modalità previste per il consiglio pastorale parrocchiale. Il resto dei fedeli laici (da 1 a 3 per parrocchia) saranno nominati personalmen-te dal presbitero coordinatore.

Il CUP dovrà essere riunito almeno quattro vol-te l’anno e ogni volta che lo richieda la maggioran-za dei membri.

Per la validità delle deliberazioni è richiesta la presenza di almeno i 3/5 dei membri.

Al suo interno verrà nominato un segretario che avrà la funzione anche di verbalista.

I membri del CUP hanno un mandato di 5 anni e

4 Can. 537 - In ogni parrocchia vi sia il consiglio per gli affari economici che è retto, oltre che dal diritto universale, dalle norme date dal Vescovo diocesano; in esso i fedeli, scelti secondo le medesime norme, aiutino il parroco nell’amministrazione dei beni della parrocchia, fermo restando il disposto del can. 532.

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INTRODUZIONE ALLA BIBBIA

Quello che noi cristiani chiamiamo Nuovo Te-stamento costituisce la seconda parte della Bibbia, che gli ebrei non hanno accolto nel

loro canone, cioè nell’elenco dei libri ispirati.Il Nuovo Testamento si compone di 27 libri, tutti

scritti in greco:• I 4 Vangeli e gli Atti degli Apostoli;• le 13 Lettere di Paolo;• la Lettera agli Ebrei;• le 2 Lettere di Pietro, la Lettera di Giacomo, la

Lettera di Giuda, le 3 Lettere di Giovanni (la raccolta di queste 7 Lettere è conosciuta con il nome di Lettere cattoliche);

• L’Apocalisse.Questa seconda parte della Bibbia viene anche

chiamata Nuova alleanza o Ultima alleanza. Infat-ti, come già sappiamo, la prima (o antica) alleanza è quella stretta tra Dio e Abramo, tra Dio e il suo popo-lo, com’è presentata nei libri dell’Antico Testamento (o Prima alleanza). È un’alleanza resa visibile mediante il segno della circoncisione e il sangue delle vittime of-ferte in sacrificio (cf Gn 15 e 17), ma che gradualmen-te dovrà coinvolgere anche il «cuore» di ogni uomo, come annunceranno i profeti (cf Ger 31,31-34).

La seconda (o nuova) alleanza è quella definitiva, stretta tra Dio e l’umanità mediante l’offerta che Cristo

fa di se stesso (del suo «sangue») al Padre, sottomet-tendosi alla morte di croce (che egli chiama simboli-camente «calice»): «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi» (Lc 22,20).

I «Vangeli» e il «Vangelo»II primo gruppo di scritti che compongono il Nuo-

vo Testamento è costituito dalle Lettere di Paolo. Tra queste la prima Lettera ai Tessalonicesi (datata nel 49/50 d.C.) è ritenuta, in assoluto, il primo scritto cri-stiano e segna anche il passaggio dalla predicazione a viva voce (quella che aveva caratterizzato Gesù) alla predicazione scritta, che vede nell’apostolo Paolo il primo e principale esponente.

Tuttavia nel canone (o elenco dei libri ispirati) della Chiesa, i primi libri con i quali si apre il Nuovo Testa-mento sono i quattro Vangeli.

Il termine «Vangelo», nella lingua greca da cui de-riva (euanghèlion), significa «buona notizia» (tradu-zione migliore dell’italiano «buona novella», termine ormai desueto). Presso gli antichi greci e latini que-sto termine era usato sempre al plurale e indicava le «buone notizie», che di volta in volta potevano essere la vittoria riportata dagli eserciti in guerra o la vittoria riportata nelle competizioni sportive, come pure per annunciare la nascita del figlio dell’imperatore o la vi-sita del sovrano alle città del suo regno.

In un’iscrizione dell’anno 9 a.C. trovata a Prie-ne, nell’Asia minore, si legge a riguardo della nascita dell’imperatore Augusto: «La provvidenza ha colmato quest’uomo di tali doni che egli per noi e per le gene-razioni future è stato inviato come salvatore (sotèr); porrà fine alle inimicizie e conferirà splendore a tutte le cose. II giorno della nascita del dio (Augusto) fu per l’universo l’inizio delle buone notizie (euanghelia) che sono procedute da lui: dalla sua nascita comincia un nuovo computo del tempo» (Dittemberger, Orientis Graeci in-scriptiones selectae, n 458).

Nel contesto del Nuovo Testamento il termine eu-anghèlion viene usato sempre al singolare, per espri-mere l’unicità della fonte della salvezza e la sua «novi-tà», che è Cristo Signore. Attorno a questo significato si concentra tutto il contenuto del Nuovo Testamen-

Paolo invia la Prima Lettera ai Corinzi. Miniatura (fine XIII secolo), Biblioteca Marciana (Venezia).

La formazione del Nuovo Testamento

Come crescere nella fede? Come nutrire la fede?

Conosciamo la Parola di Dio.

Continuiamo la conoscenza

del testo sacro per cogliere meglio

i tesori contenuti in esso

non possono rimanere in carica più di due mandati consecutivi.

5.La progettazione pastorale comune si colloca

nel contesto del discernimento spirituale comuni-tario ed è segno della comunione che si pone al servizio della missione.

Essa avviene secondo le indicazioni del n. 29 del DS.

Il luogo in cui si attua la progettazione pastorale è il CUP, nel quale convergono anche le proposte formulate dagli organismi di partecipazione delle parrocchie.

6.Il regolamento di ogni singola UP dovrà essere

redatto e approvato dal CUP entro un anno dalla costituzione per decreto dell’UP, secondo le indi-cazioni del n. 22 del DS. Eventuali modifiche al Regolamento potranno essere proposte e approvate dal CUP e fatte conoscere alla Cancelleria dioce-sana.

A seconda della necessità, il regolamento pre-veda se disciplinare o meno alcuni settori speci-fici dell’azione pastorale. In particolare vengano disciplinati quegli ambiti che coinvolgono l’im-piego comunitario di strutture già esistenti come ad esempio Oratori, Centri giovanili e Sale della comunità.

ELEMENTI POSSIBILI

7.Nel caso vengano costituite le commissioni pre-

viste dal n. 84 del DS, nel regolamento si precisi: il loro responsabile, la composizione dei membri e l’attività propria di ciascuna in relazione alle indi-cazioni del CUP.

8.Se viene costituita la commissione economica

prevista dai nn. 85-86 del DS, il regolamento pre-veda e precisi: composizione (da 1 a 3 membri per parrocchia), cadenza degli incontri, finalità concre-te alla luce delle esigenze delle varie parrocchie dell’UP e rapporto con i consigli parrocchiali per gli affari economici delle singole parrocchie.

9. Se viene nominato il segretario economico

dell’UP, a norma del n. 86 del DS, il regolamen-to preveda le sue specifiche funzioni, la durata del suo mandato, ed eventuali percorsi di formazione.

10. Se viene costituito il fondo comune dell’UP pre-

visto al n. 85 del DS, il regolamento ne specifichi la gestione, la trasparenza e la tenuta contabile.

11. Qualora, secondo il n. 42 del DS, si dovesse

ricorrere, in alcuni ambiti dell’azione pastorale, a personale remunerato, nel regolamento vengano chiaramente specificati compiti, prestazioni lavo-rative e modalità di assunzione. L’incarico di tali persone avvenga per esplicito mandato del Vesco-vo.

ORGANISMI DI PARTECIPAZIONE

12.L’UP non cancella né la zona pastorale né la

parrocchia. Pertanto, oltre al CUP e all’eventuale commissione economica, l’UP dice riferimento ai seguenti soggetti e/o organismi.

13. Il Vicario Zonale: in quanto presbitero che

presiede la Zona Pastorale in rappresentanza del Vescovo, è anche il coordinatore delle UUPP del-la Zona e, in modo particolare, il coordinatore del clero della Zona. Restano invariate le competenze a lui affidate dalla normativa universale (cfr. cann. 553-555); mentre, una volta costituite le UUPP, decade l’organismo del consiglio pastorale zonale;

14. Gli organismi parrocchiali di partecipazione: il

regolamento preveda il tipo di organismo di parte-cipazione di ogni singola parrocchia, alla luce delle esperienze già in atto e di quanto già previsto dalla normativa diocesana in materia (ovvero: assem-blee parrocchiali per parrocchie sotto i 400 abitan-ti, consigli parrocchiali interparrocchiali dove più parrocchie sono già affidate allo stesso presbitero, consulte parrocchiali).

Nel Regolamento vengano delineati i rapporti tra detti organismi e il CUP, coordinando i calen-dari delle convocazioni in modo che tali organismi possano utilmente avanzare proposte e suggeri-menti al CUP e allo stesso tempo tradurre nella re-altà specifica della singola parrocchia le indicazio-ni pastorali del CUP.

15. Il Consiglio Parrocchiale per gli Affari

Economici(CPAE): secondo la normativa canonica (cfr. can. 537), esso va mantenuto in ogni parroc-chia con i compiti specifici che ad esso competono.

Esso dovrà agire in sintonia con l’organismo di partecipazione parrocchiale e tenendo presenti le scelte pastorali dell’UP e gli indirizzi della even-tuale commissione economica dell’UP.

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to: Gesù Cristo è l’unico Salvatore (in greco, sotèr) dell’umanità e questa è la «buona notizia», quella de-finitiva.

«Questa parola (Vangelo) - leggiamo nel primo vo-lume Gesù di Nazaret di J. Ratzinger (Benedetto XVI) - apparteneva al linguaggio degli imperatori romani, che si consideravano signori del mondo, suoi salvatori e redentori. I proclami provenienti dall’imperatore si chiamavano «Vangeli», indipendentemente dalla que-stione se il loro contenuto fosse particolarmente lieto e piacevole. Ciò che viene dall’imperatore -era l’idea soggiacente - è messaggio salvifico, non è semplice-mente notizia, ma trasformazione del mondo verso il bene. Se gli evangelisti riprendono questa parola, tan-to che a partire da quel momento diventa il termine per definire il genere dei loro scritti, è perché vogliono dire: quello che gli imperatori, che si fanno passare per dèi, pretendono a torto, qui accade veramente: un messaggio autorevole, che non è solo parola, ma realtà... Non sono gli imperatori che possono salvare il mondo, bensì Dio, E qui si manifesta la parola di Dio che è parola efficace; qui accade davvero ciò che gli imperatori solo pretendono, senza poterlo adempiere. Perché qui entra in azione il vero Signore del mondo: il Dio vivente» (pp 69-70).

È quanto afferma l’evangelista Marco nell’apertura del suo scritto su Gesù: «Inizio del Vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio» (Mc 1,1), che può essere reso così: «Questa è la buona notizia: Gesù è il Messia (Cri-sto Salvatore) e il Figlio di Dio (l’unico Signore)».

Un solo Vangelo e quattro evangelistiQuesta «buona notizia», però, ci è stata trasmessa

attraverso quattro diversi libretti - i «Vangeli» appun-to - i cui autori-compilatori vengono identificati con Matteo, Marco, Luca e Giovanni.

Perché questa pluralità di Vangeli? La risposta è già nelle parole dei primi Padri della Chiesa, i quali affer-mano che «quanto è stato scrìtto dai quattro è un uni-co Vangelo» (Origene) e che questi autori-compilatori hanno scritto «quattro libri di un unico Vangelo» (Ago-stino).

Anche il Concilio Vaticano II nella costituzione Dei Verbum (che tratta della divina Rivelazione) parla di un «Vangelo quadriforme secondo Matteo, Marco, Luca, Giovanni» (Dei Verbum, 18).

Infatti Gesù è il protagonista di un unico Vangelo, è l’annunciatore di un’unica «buona notizia». I quattro evangelisti sono dei «redattori», cioè dei «raccogli-tori» e degli «ordinatori» della sua predicazione, dei suoi miracoli, delle sue parabole. Ne è prova il fatto che il documento più antico contenente la lista dei li-bri del Nuovo Testamento (cioè il Codice Muratoriano, risalente all’anno 150 d.C. e scoperto da Ludovico An-tonio Muratori nel 1740), presenta i quattro Vange-li come «libro del Vangelo secondo Matteo, secondo Marco, secondo Luca, secondo Giovanni». La precisa-zione racchiusa nell’espressione «secondo» (in greco katà) vuole indicare che l’evangelista è soprattutto un «ordinatore» del vasto materiale tramandato sulla predicazione e sulla persona di Gesù. E questa opera di «ordinatore» avviene secondo la particolare teolo-gia dell’evangelista e secondo le esigenze e le situazio-ni dei suoi destinatari. È quanto esprimono i «titoli» che il testo greco, seguendo gli antichi manoscritti, da ai quattro Vangeli: katà Maththaion («Secondo Mat-teo»), katà Markon («Secondo Marco»), katà Loukan («Secondo Luca»), katà loannen («Secondo Giovan-ni»).

La costituzione conciliare Dei Verbum descrive in questo modo l’opera «ordinatrice» degli evangelisti (chiamati «autori sacri»): «Gli autori sacri scrissero i quattro Vangeli scegliendo alcune cose tra le molte tramandate a voce o già messe per iscritto; di altre facendo una sintesi o spiegandole tenendo presente la situazione delle Chiese, conservando infine il carattere di predicazione, sempre però in modo tale da riferirci su Gesù cose vere e autentiche. Essi, infatti, attingen-do sia dalla propria memoria e dai propri ricordi, sia dalla testimonianza di coloro che “ne furono testimoni fin dall’inizio videro personalmente e furono ministri della parola”, scrissero con l’intenzione di farci cono-scere la “verità” (cf Lc 1,2-4) di quegli insegnamenti sui quali sono stati istruiti» (Dei Verbum, 19).

INTRODUZIONE ALLA BIBBIA INTRODUZIONE ALLA BIBBIA

I Vangeli non sono stati scritti di getto. Oggi la loro origine viene spiegata attraverso un lungo processo che comprende tre tappe.

• La prima tappa coincide con la vicenda stori-ca di Gesù: la sua vita, la sua predicazione, i suoi miracoli sono all’origine dei Vangeli. La costitu-zione conciliare Dei Verbum così presenta que-sta prima tappa: «La santa madre Chiesa ha ritenuto e ritiene con fermezza e con massima costanza che i quattro Vangeli sopraindicati, dei quali afferma senza esitazione la storicità, trasmettono fedelmente quan-to Gesù Figlio di Dio, durante la sua vita tra gli uomini, effettivamente fece e insegnò per la loro salvezza eter-na, fino al giorno in cui fu assunto in cielo (cfAt 1,1-2)» (Dei Verbum, 19).

• La seconda tappa coincide con la predicazione degli apostoli che, illuminati dalla Pasqua e sostenuti dal dono dello Spirito Santo nella Pentecoste, raccol-sero e trasmisero a viva voce l’insegnamento di Gesù. Afferma la costituzione Dei Verbum al riguardo: «Gli apostoli poi, dopo l’ascensione del Signore, trasmisero ai lóro ascoltatori ciò che egli aveva detto e fatto, con quella più completa comprensione di cui essi, amma-estrati dagli eventi gloriosi di Cristo e illuminati dalla luce dello Spirito di verità, godevano» (Dei Verbum, 19).

• La terza tappa è quella della fissazione nello scrit-to degli attuali Vangeli da parte degli evangelisti (gli «autori sacri»), ciascuno con un metodo corrispon-dente, al fine che si prefiggeva la loro predicazione su Gesù e con un’attenzione particolare ai destinatari di questa predicazione («la situazione delle Chiese») fissata nello scritto. Così descrive questa tappa la co-stituzione Dei Verbum. «Gli autori sacri poi scrissero i quattro Vangeli, scegliendo alcune cose tra le molte tramandate a voce o già messe per iscritto, di altre facendo una sintesi o spiegandole tenendo presente la situazione delle Chiese, conservando infine il carattere di predicazione, sempre però in modo tale da riferirci su Gesù cose vere e autentiche» (Dei Verbum, 19).

Nel leggere i Vangeli occorre tenere presente tutto ciò, per poter comprendere la diversità tra un evange-lista e l’altro, il differente modo di ordinare la predica-zione di Gesù, la preferenza data a determinati temi (ad esempio, la misericordia in Luca o il riferimento

alle profezie dell’Antico Testamento in Matteo), la di-versità dei destinatari (i pagani in Marco e Luca, gli ebrei in Matteo).

Il testo del Nuovo TestamentoCome per l’Antico Testamento, anche per il Nuovo

Testamento non possediamo il testo «originale», ma solo delle riproduzioni che sono arrivate a noi attraver-so l’opera preziosa dei copisti. Bisogna tuttavia notare la posizione privilegiata dei Vangeli: nessuna opera an-tica può vantare un manoscritto tanto vicino all’origina-le come un frammento del Vangelo secondo Giovanni, risalente al 120-125 d.C, quindi a soli 30 anni circa dalla fissazione nello scritto del quarto Vangelo. Si tratta di un testo riprodotto su papiro, contenente Gv 18,31-33.37.38 («Gesù davanti a Filato»). È conosciuto come Papiro John Rylands (così chiamato perché conservato nella Biblioteca John Rylands, di Manchester) e viene abbreviato con la sigla P52.

Una «miniera» di manoscrittiL’opera dei copisti ci ha fatto pervenire una vasta

miniera di circa 5000 manoscritti (o «codici») greci del Nuovo Testamento. Di essi alcuni sono stesi in scrittura maiuscola (chiamati «onciali»), altri in scrittura minu-scola (la maggior parte) e altri ancora contengono i te-sti per l’uso liturgico (sono chiamati «lezionari»). Gran parte dei manoscritti o codici contiene frammenti (so-prattutto i papiri) o solamente alcuni testi del Nuovo Testamento, mentre altri contengono tutti i libri.

Gli antichi manoscritti riportano il testo tutto di se-guito su una o due colonne, senza punteggiatura e altri segni grafici, come li conosciamo noi oggi. Nello scrive-re, i copisti sceglievano tra la sticometria (lo stico, cioè «riga», indicava la lunghezza di una riga, composta in media di circa sedici sillabe, ossia di trentasei lettere) e la colometria (il kolon, cioè «frase», indicava la sud-divisione del testo in frasi che ne permettevano una migliore lettura e proclamazione). L’attuale divisione in capitoli risale a Stefano Langton, vescovo di Canterbury

Come sono nati i Vangeli?

L’Evangelo quadriforme, nella liturgia, è onorato, incen-sato, baciato; con esso si benedice. L’Evangeliario riposa tutto il giorno sull’altare e viene preso di lì per essere pro-clamato con solennità all’ambone.

II Codice Vaticano (Codice B), uno dei due

più antichi manoscritti completi della Bibbia (IV secolo), esposto

in fac-simile presso la Mostra «Da Genesi all’Apocalisse, dai canonici agli apocrifi:

la Bibbia a Roma» (8-16 novembre 2008).

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INTRODUZIONE ALLA BIBBIA

(morto nel 1228), mentre la suddi-visione in versetti venne introdotta per la prima volta dallo stampatore parigino Rober-to Estienne nella quarta edizione del Nuovo Testa-mento, stampa-ta a Ginevra nel 1551.

Tra i codici più importanti ricor-diamo:

• il Codice Si-naitico, chiama-to così dal luogo del ritrovamento (presso il monte Sinai) e abbre-viato con la sigla S (o anche con la sigla della lettera Alef, che è la pri-ma lettera dell’al-fabeto ebraico). È il codice che contiene tutto il Nuovo Testa-mento.

• il Codice Va-ticano, chiamato così perché con-servato nella Bi-blioteca Vaticana ed è abbreviato con la sigla B: esso contiene il testo del Nuovo Testamento fino alla Lettera agli Ebrei 9,14.

• il Codice Alessandrino, il cui nome deriva dal suo origina-rio proprietario, il patriarca di Alessandria; ha parecchie lacune

(manca gran parte del Vangelo secondo Matteo) e viene abbreviato con la sigla A.

Dai manoscritti al «testo critico»Dalla grande quantità di manoscritti gli studiosi si

sforzano di «ricostruire», nella forma più attendibile, quello che viene chiamato testo critico (o «edizione critica») del Nuovo Testamento, risultante dal con-fronto e dall’emendazione (cioè eliminazione degli errori) dei vari manoscritti. Si tratta, infatti, di muo-versi tra un numero molto elevato di varianti (cosi sono chiamate le differenze tra i vari manoscritti), che alcuni studiosi contano fino a 250.000 sulle circa 150.000 parole dell’intero Nuovo Testamento. Que-ste varianti non sono dovute tanto a motivi dottrinali, quanto piuttosto a errori di trascrizione del testo da parte dei copisti (a volte non all’altezza del compito, oppure per la libertà che copisti più colti si prendeva-no di intervenire sul testo sacro).

Alcuni degli errori più comuni nei manoscritti su cui gli studiosi intervengono per «ricostruire» il testo originario sono: errori di vista (era facile che il copi-sta passasse dalla prima alla seconda di due parole identiche, con la conseguente omissione di parte del testo), errori di memoria (il copista credeva di ricor-dare bene i testi e li scriveva non alla lettera, ma a memoria), errori dovuti a correzioni intenzionali (a volte anche dogmatiche, specialmente da parte degli eretici o di chi intendeva sostenere dottrine non con-tenute nei testi sacri).

Nel redigere il testo critico del Nuovo Testamento, gli studiosi procedono con rigorosi criteri di scienti-ficità e attenendosi a precise regole. Una regola ac-cettata da tutti è che, nel confronto tra le varianti dei manoscritti, «la variante che risulta più difficile è quella più probabile».

Le edizioni critiche del Nuovo Testamento oggi di-sponibili (curate dagli studiosi A. Merk, J.M. Bover, Nestle-Aland) tengono presente tutto ciò, spiegano e motivano i criteri delle loro scelte e riportano a piè di pagina il cosiddetto apparato critico, dal quale anche il lettore può rendersi conto dello stato di trasmissio-ne del testo, delle varianti e delle differenze tra i vari manoscritti.

Il testo critico del Nuovo Testamento considerato più attendibile oggi è il Novum Testamentum Graece, comunemente chiamato «Nestle-Aland», che si basa su un’edizione pubblicata nel 1898 dallo studioso protestante tedesco Eberhard Nestle (1851-1913) e ora riveduta da B. e K. Aland, J. Karavidopoulos, C M. Martini, B.M. Metzger. È giunto alla 27a edizione.

(continua)

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L’Armenia è uno stato euroasia-tico del Caucaso meridionale, con capitale Jerevan. Confina

con la Turchia ad ovest, la Georgia a nord, l’Iran a sud. Il territorio è in prevalenza montuoso, ricco di acque dolci, con un cli-ma che comprende estati caldi ed inverni freddi.

La popolazione con un tasso di crescita del – 0,25 % è fortemente in declino e una delle cause di questo fenomeno è rappresentata dall’emigrazione.

L’ Armenia è un paese a maggioranza cristiana, considerata la prima nazione al mondo ad aver adottato, nel 301, il cristianesimo come religione ufficiale.

La Chiesa Armena Apostolica professa un cristianesimo di tipo monofisita, fortemente conservatrice e ritualistica, con poca attività pa-storale. Esiste una piccola minoranza di cattolici, i quali fanno riferimento alla Chiesa Armeno Cattolica, il cui Patriarcato ha sede in Libano.

Le nostre comunità parrocchiali, nel 2009, con la visita a Botticino di Papa Benedetto XVI, ospitarono l’ esarca di Gerusalemme e attuale arcivescovo di Jerevan, sua Ecc. Raphael Minassian. Fu lui a farci conoscere il pittore armeno Yuroz, autore del quadro di sant’ Arcangelo Tadini posto come pala dell’altare a lui dedicato. La storia del nostro santo parroco Arcangelo Tadini che iniziò una filanda, per dare lavoro alle giovani di Botticino, ha colpito il vescovo Minassian, tanto che a distanza di alcuni anni, ha espresso il desiderio di aprire un calzificio a Jerevan, la città dove abita e capitale dell’Armenia.

Il vescovo si è rivolto al parroco don Raffaele che con il diacono Pietro e altre persone si sono attivate nel trovare macchine e at-trezzature necessarie per impiantare l’attività. Era stato chiesto anche a imprenditori locali se fossero disposti ad aprire loro questa attività, ma il momento di scarsa richiesta di mercato non ha trovato riscontri positivi.

Dopo la visita a Jerevan del gruppo promotore, ci si è resi conto delle reali difficoltà di molte famiglie, costrette ad emigrare nelle nazioni vicine, spesso con solo il capo famiglia, creando cosi disgregazione famigliare.

Ad oggi, dopo aver avuto contatti con persone competenti del settore, è stato individuato un calzificio della zona, disposto a ven-dere tutte le attrezzature necessarie per questa attività, oltre che a dare una mano ad avviarla.

Don Arcangelo Tadini esercitò la sua missione di parroco per condurre la sua gente alla fede, uomo di preghiera ma anche di instan-cabile impegno sociale. E’ lo stesso moto ispiratore del progetto Armenia, che individua l’anello debole della società nelle situazioni di precariato delle famiglie. Per questo qualcuno ha già anticipato il nome e marchio di fabbrica: ‘calzificio del Tadini’, con il logo delle tre rose blu, segno della grazia e dell’amore di Dio, nella vita e nelle situazioni di tutti gli uomini.

Progetto “ A r m e n i a ”

Ti ringrazio Dio per tutto quello che hai

fatto per noi.Tu mi hai dato

una famiglia bellissima, ma ora triste.Mi hai creato

per farmi sempre sorridere.

Mi hai creato come mio PAPA’!

perchè lui aveva sempre il sorriso.

GRAZIE DIO!Civettini Alessandra Andrea

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Il Rosario ha una gloriosa storia. Nasce e si sviluppa in maniera parallela agli ordini re-ligiosi e alla devozione a Maria. Sappiamo che, fin dal secolo X, ai religiosi non chierici “illetterati” si faceva obbligo di recitare più volte il Padre nostro. Quello era il loro “salte-rio”, il loro “breviario” in corrispondenza alla Liturgia delle Ore.Dal secolo XII si diffonde l’Ave Maria nella forma attuale e nasce lentamente il “salterio della beata Vergine”. Esso consiste nella recita di cen-tocinquanta Ave Maria. Nel 1400 un monaco certosino Enrico Egler di Colonia stabilisce la divisione in deci-ne. Un altro suo confratello, Domenico di Prussia, in-troduce l’uso di coniugare la recita delle decine con la contemplazione dei misteri del Cristo. Un frate dome-nicano Alano de la Roche (+ 1475) dà ampia diffusione a questo esercizio di pietà. Egli diffonde la leggenda che il Rosario sia stato istituito da s. Domenico (1170–1221). Propone inoltre una meditazione tripartita dei misteri del Signore: incarnazione, passione - morte e glorificazione di Cristo e di Maria. Il popolo arriva a enumerare, con enorme varietà tra zona e zona, fino a 300 misteri di Gesù. Nel 1521 il domenicano Alberto da Castello riduce la meditazione a quindici misteri. Pio V nel 1569, con il documento Consueverunt Romani Pontifices, consacra definitivamente questo esercizio di pietà. Gregorio XIII nel 1573 istituisce la festa solenne del Rosario. Sotto Leone XIII nasce il “mese del Rosa-rio”; Giovanni Paolo II aggiunge i “Misteri della luce”.

Viaggio dentro le meraviglie di DioIl “salterio di Maria” è un viaggio ciclico all’interno della storia di salvezza. Si parte dai primi bagliori di questa “epoca nuova”, l’annunciazione dell’angelo a Maria, la visita a santa Elisabetta. Si arriva agli splen-dori della piena trasfigurazione di Cristo, di Maria, dei santi in cielo.In questa contemplazione ciclica in primo piano sta il Cristo, rivelazione piena del progetto e del volto del Padre. Intimamente e indissolubilmente legata a lui sta Maria.La Vergine, in questo viaggio, ci guida anzitutto con il suo spiccato senso della meraviglia. Dio sta dietro a ogni angolo della storia per stupirci. Nessuno si poteva aspettare che il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe ci visitasse nel Figlio suo. Nessuno poteva chiedere a Dio Padre di amarci fino al dono di se stesso nel Cristo.La meraviglia sta anche nel fatto che Dio compie in noi i suoi capolavori. Chiede il nostro assenso, ci vuole come corresponsabili.Tutto dipende da lui, ma tutto “prende corpo” in noi. Dio conduce ogni essere umano, attraverso i misteri gaudiosi e dolorosi, alla sua casa di gioia.

I fatti quotidiani (ti nasce un bam-bino, vai a visitare una tua p a r e n t e , ti muore una per-sona cara) r i ve l ano una pro-fondità inaudita: la storia di salvezza sta proseguendo in noi con le stesse identiche caratteristiche. Sentiamo di «non capirli» (Lc 2,50), ci fidiamo del Padre che ci conduce, nel tempo e nello spazio, verso l’adempimento, verso la glorificazione simile a quella del Figlio suo Gesù.Sentiamo che lo Spirito abita in noi come nella Vergine. Rende possibile l’impossibile: accettare una malattia, vedere Dio nella sconfitta, credere nella resurrezione... (cf Lc 1,37).Pregare con un metodoIl Rosario si compone di vari elementi. In apertura c’è il segno della croce. In quel gesto c’è per noi tutta la vita, tutta la storia: universo e uomini sono nati dal Padre; per mezzo del Cristo e in forza dello Spirito ritornano a lui e si realizzano. Al centro sta la croce: in quel fatto Dio si è rivelato e si è donato a noi, ha superato le me-raviglie compiute nella creazione e nell’AT; ha antici-pato, nella resurrezione del Cristo, il nostro destino di trasfigurazione.C’è poi l’espressione Nel primo mistero si contempla... A quel punto rileggiamo la relativa pagina del Vangelo. Mettiamoci davanti a un’immagine che ci aiuti a rivi-vere il mistero (l’annunciazione, la nascita, la crocefis-sione...).Mentre ripetiamo le Ave Maria per dieci volte, mettia-moci mentalmente nei panni dei personaggi del Vange-lo (Elisabetta, Giuseppe, i pastori...).Il Gloria e il Padre nostro siano soprattutto la nostra esplosione di lode. Ci sentiamo figli, gratuitamente amati, sollevati ad altezze vertiginose dal progetto di Dio, Padre di Gesù.

E’ un uomo molto devoto” si dice di qualcunoIn base a quali criteri? La risposta: frequenta assi-duamente un santuario, porta lo scapolare, reci-

ta regolarmente il Rosario, ripete le litanie dei santi, ac-cende lumini in chiesa, sull’auto colloca delle immagini sacre… Qual è il terminale di tutto questo? Innumere-voli le risposte: il Sacro Cuore, la beata Vergine Maria, padre Pio, il fondatore del suo movimento…Con facilità possiamo certificare le pratiche devoziona-li. Sono magari numerose, costanti, impegnative. Ma c’è la devozione? La risposta è assai complessa. Passa attraverso la messa in atto di criteri precisi e oggettivi.

Un termine, due voltiProviamo a metterci nei panni dell’uomo. Il termine de-vozione può connotare due aspetti, talora separati, talora congiunti:A) Un contegno religioso con forte impronta indivi-dualistica, dove il sentimento ha la prevalenza. Restano aperti questi interrogativi: il soggetto, in realtà, esce da se stesso? È dedito a Dio o cerca di appropriarsi di una potenza superiore? Pensieri, decisioni e opere in che di-rezione vanno?B) Il condurre spiritualmente, nella fede, nella speranza e nell’amore, l’esistenza umana e cristiana. C’è inoltre, una forte connessione con la spiritualità. L’ideale è la sintesi tra i due aspetti: un atteggiamento organico, con-tinuativo, di dedizione a Dio (e agli uomini da lui ama-ti) che si esprima poi nelle pratiche concrete esteriori. Cuore, mente, piedi, mani, allora, vanno nella stessa direzione. Modello di devozione sono le donne di cui parla il Vangelo. Di esse si dice anzitutto che seguono Cristo dalla Galilea sino alla croce (Matteo 27,58) e che poi, da risorto, si avvicinano, gli abbracciano i piedi e lo adorano (Matteo 28,9).

Devoti di Dio, ma quale?Mettiamoci ora nell’orizzonte teologico. Le devozioni si possono inserire in due opposti orizzonti: A) La divinità è anonima, neutrale, assente. È tutta pre-occupata di difendere i suoi privilegi ed esigere presta-zioni cultuali. L’uomo si presenta con il suo armamenta-rio di riti e osservanze. Tenta di scuoterla dal suo torpore (1Re 18,27), riesce ad ottenere udienza, attenzione, pro-

tezione. Poi la divinità interviene, risolve.B) Dio è alleato. È tutto dedito all’umanità. È il Dio per noi; è Dio con noi. La massima espressione della sua incondizionata dedizione è la croce di Cristo (1 Giovan-ni 4,8-9). In lui, Dio s’inginocchia di fronte all’uomo (Giovanni 13). Dio ha sempre gli occhi aperti sul mon-do, ma non sostituisce mai l’uomo. Lo chiama, anzi, (si vede nei racconti di vocazione e nelle sue epifanie) a un protagonismo. La devozione è la risposta (sempre parziale, sempre interessata) dell’uomo.

Devozione e caritàLe forme religiose sono autentiche quando trovano una corrispondenza nella devozione “profana”. “Se qualcu-no pensa di essere religioso, ma non frena la lingua, la sua religione è vana” (Gc 1,26-27). Ogni sguardo rivol-to a Dio sa di vera pietà quando poi si sposta in continu-ità sull’uomo. Colui che si rifugia nel santuario e chie-de protezione perché si sente debole, deve poi offrirsi, paradossalmente, come punto di forza per gli infermi. Sempre al centro sta Dio: sempre al centro sta l’uomo oggetto dell’amore del Padre. Non c’è la possibilità di ricongiungersi con l’Altissimo se non passando attra-verso colui che è prossimo, vicino, visibile.Non esiste la possibilità di catturare Dio. Egli è il Padre nostro. Vero, unico privilegio è poter anche noi, a nostra volta, esprimere parte della sua paternità e maternità.C’è il suo volere. L’esaudimento è poter fare la sua vo-lontà. C’è indissolubile unità tra amore di Dio e amore degli uomini. Vuoi verificare se il tuo pellegrinaggio è stato fruttuoso? Vedi se, tornando a casa, i tuoi piedi si muovono più speditamente verso il malato, l’anziano, il forestiero. Vuoi vedere se i baci che profondi sulle im-magini sacre sono autentici? Vedi se usi uguale tenerez-za verso i tuoi cari. Mostri riverenza verso le icone, le reliquie, i santini? Ci sono accanto a te tante immagini viventi di Dio (Genesi 1,26).Gli esercizi di devozione sono delle robuste sollecita-zioni a una seria professionalità. Con le tue mani Dio guarisce, con la tua intelligenza Dio istruisce, con la tua onesta ricerca Dio illumina.

Che senso ha per la vita cristiana?

È una preghiera semplice,con una storia gloriosa.

DEVOZIONI

Il Santo Rosario

Devotia chi?

“È un uomo molto devoto”, si dicedi qualcuno. Sicuramente si possonoverificare le pratiche devozionali, ma

l’autentica devozione che volto ha?

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UNITA’ PASTORALE -PARROCCHIE BOTTICINOCommissione pastorale familiare e coppiaAssociazione PUNTO FAMIGLIA E DINTORNI

pagine per lafamiglia e... dintorni

Affinché la missione della Chiesa possa esprimere la sua piena identità ed efficacia, c’è bisogno che il cuore degli sposi e della famiglia possano battere al ritmo dell’amo-re di Cristo. Ogni cristiano è chiamato a lasciarsi trasformare, convertire, secondo il cuore misericordioso del Padre, espresso in maniera definitiva in Gesù. Coloro che rice-vono il sacramento del matrimonio e vivo-no in esso per la potenza dello Spirito Santo sono incaricati, resi efficacemente capaci, di presentare il cuore di Cristo dentro il cuore della loro relazione. La vita, la volontà e tut-to il mondo dell’affettività, sono così ripieni dell’amore di Dio da poterlo travasare ordi-nariamente nei vissuti tipici e comuni del fa-miliare. E’ questa la grande rivoluzione del matrimonio sacramento, una condizione di vita in grado di cambiare davvero il mondo, di costruire cioè il Regno di Dio, rendendo-lo vicino, incarnato.

La missione ha bisogno di un cuore pal-pitante di passione per il bene integrale di ogni persona, con una carità sincera e una verità misericordiosa.

Un cuore libero da compromessi con il male e da soluzioni mediocri, capace di confrontarsi con tutti e di opporsi ad ogni forma di individualismo, ingiustizia ed egoi-smo. Ebbene, gli sposi hanno un’opportuni-tà eccezionale ed unica di poter esprimere questo cuore per la missione, dentro le di-

namiche della loro affettività, così ricca ep-pure sempre così fragile. Che cosa significa riversare sul proprio coniuge la carità di Cri-sto? Non significa forse non farsi bastare il proprio bene e aprirsi all’amore di Colui che per noi ha dato tutto? L’affettività, insieme a tutto il mondo dei sentimenti, degli istin-ti e della sessualità, è un grande dono, che permette di uscire da sé e di trovare comple-tamento nell’altro. E’ un alfabeto stupendo, ma per niente facile da utilzzare bene, indi-rizzare sempre a ciò che è buono.

Ora, per poter pronunciare e scrivere parole piene dell’amore di Dio, si rende ne-cessario che proprio dentro questi moti del cuore umano possa vivere il cuore di Cristo. Che cosa stupenda il matrimonio: innamo-rarsi e amarsi reciprocamente, accogliere ed educare i figli, sono luoghi di pienezza di vita e di autentica testimonianza cristia-na, di missione. Però, riconoscendo una strutturale “instabilità cardiaca” (un cuore ballerino), bisogna sempre trovare l’umiltà di sapersi ascoltare nella coppia e, insieme, riconoscere di doversi costantemente edu-care, così da evitare storie banali e fossilizza-zioni mortifere. Infatti, anche se si è iniziato il proprio matrimonio con il dono del sa-cramento, sarà alla prova dei fatti quotidia-ni che si potrà vedere la sua efficacia. Se la sessualità non prende i contorni del dono e il contenuto della liberante carità di Cristo, a

che cosa serve la grazia sacramentale? Lo so, siamo fragili; ma la po-tenza dello Spirito San-to e una seria vita spiri-tuale, fatta di costante preghiera personale e comunitaria, esame di coscienza e di perdo-no, ricevuto e ridonato,

possono trasformare...”polli in aquile”.Senza questa bussola, privi di questa for-

za, gli sposi cristiani rischiano di essere dei “propositi” mai realizzati, dei missionari che han perso l’originalità dell’annuncio loro consegnato, che si sono dimenticati cioè il significato per cui hanno ricevuto Cristo nella loro relazione.

Per la missione serve un cuore sponsa-le, fedele e fecondo, completo e sincero nel suo battere: il sangue che irrora le vene del corpo familiare, prima, ed ecclesiale, poi, dev’essere di buona qualità e ben ossigena-to, denso al punto giusto. La qualità degli affetti è determinante per la relazione di coppia; per questo ci vuole impegno e cura costante, vicendevole e all’insegna di uno sguardo misericordioso sull’altro.

Come il sangue trasporta il nutrimento per il corpo personale, gli affetti in ge-nerale fanno lo stesso per il corpo spon-sale. Ma che cosa c’è dentro nel modo concreto di amare il nostro coniuge?

Non serve forse un po’ di ossigeno dato dal perdono e dalla ricerca della bellezza? Il dialogo e lo stile di gratuità fanno scorrere per il meglio la relazio-ne di coppia, nella tensione costante di trovare la “densità” giusta.

Oggi, forse più di ogni tempo, serve un cuore grande, capace di scelte corag-giose, alte e contro corrente, insomma, un cuore dentro l’amore coniugale che sappia essere veramente missionario.

Anche S. Paolo esortava la Comuni-tà di Roma a volare alto, dicendo: “Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto!” (Rm 12,2).

Il Matrimonio Sacramento: un cuore per la missione

Il volto di Cristo è un volto accogliente e misericordioso, affa-scinante e salvifico: insomma un volto missionario, obbediente al Padre. La Chiesa, sua sposa fede-le, è chiamata a riflettere nei suoi tratti lo stesso volto e le medesi-

me intenzioni. Così è anche la piccola chiesa domestica, quale è la famiglia cristiana fondata sul sacramento del matrimonio, come luogo – segno efficace della missione di Gesù, secondo il tipico linguaggio coniugale, familiare.

Essa stessa esprime in maniera eccezionale la sponsalità della fede e del vivere comune, e in essa può riflettere il volto di Cristo, come luna rispetto al sole.

Tutta la rivelazione biblica è percorsa dalla spiritualità della ricerca del volto di Dio, quasi come anelito e spasmo vitale per il credente. Con esso si cerca l’identità e la comunione col divino, la sua comprensione profonda e il riconoscimento.

Il dramma di un fedele è il nascondersi del volto di Dio: domi-na il buoio, il non senso, la perdita di orizzonte e di orientamento esistenziali. Gesù ha rivelato in pienezza il volto del Padre, con lo splendore della pienezza dello Spirito Santo: è un volto di amore misericordioso, di perdono appassionato, di paternità avvolgente e sanante.

Nel Libro dell’Apocalisse, proprio nelle battute finali (cfr. Ap 21-22), si parla della sposa dell’Agnello vittorioso, totalmente rin-novata e pronta per incontrare definitivamente il suo sposo. Essa abbaglia come “gemma preziosissima” e risplende della gloria di Dio; al suo interno vi è il trono di Dio e dell’Agnello pronto per es-sere adorato dai fedeli, i quali “vedranno la sua faccia e porteranno il suo nome sulla fronte”.

Insomma, come dire che dal volto di Dio finalmente può pren-dere le vere e piene sembianze il volto dell’uomo, redento nel sa-crificio di Cristo. La Chiesa tutta, nei suoi mille volti, è chiamata a portare in tutto il mondo lo splendore del Vangelo, in opere e parole deve concretizzare la luce della salvezza. E in questa azione fondamentalmente missionaria, che posto ha la famiglia cristiana? Come deve presentare nel suo volto, viva ripresentazione di quello di Gesù?

Noi sappiamo che il volto rivela una persona; in esso scopriamo ora i lati più nobili (ad esempio: sincerità, serietà, buon umore, pro-fondità, felicità, ecc.), e ora i tratti di umana fragilità (ad esempio: cupidigia, superbia, inganno, paura, tristezza, ecc.). Continuando

il parallelo, anche la famiglia ha un suo volto, una propria e origina-le identità, capace di svelare o celare i vissuti interiori del mondo do-mestico, sempre misti di gioia e di dolore. Ma se

in Gesù si rivela in pienezza il volto missionario della Chiesa, bi-sogna pur chiedersi quale volto familiare sia adatto per riflettere lo splendore della redenzione nella dimensione ecclesiale. Ogni componente della famiglia ha la fronte segnata dal nome divino, indice della trascendenza dell’essere umano ma anche della preca-rietà del vivere presente.

Nel volto di un familiare (sposo-sposa; genitore-figlio; fratello-sorella; nipote-nonno; ecc.) si riflettono i volti di tutti gli altri e in questi si ritrova un frammento di ogni singola persona. Se la mis-sione della famiglia cristiana è portare Gesù col linguaggio e nelle relazioni tipiche di questo mondo casalingo, fatto di comunione di genere e di generazioni, allora gli sguardi devono lasciar trasparire accoglienza, cura, sincerità, fedeltà, solidarietà, pazienza, passione,

perdono, pace, amore, e via su questa strada, quella indicata e resa possibile da Cristo risorto. Bisogna ricorrere alla “cosmetica divi-na”, alla sua intima presenza misericordiosa, per togliere i molti veli di stanchezza e di disperazione dai volti familiari, oppure per sana-re rughe profonde come i solchi del rancore e della trascuratezza.

Troppo spesso nelle nostre case lasciamo che un familiare as-suma un volto indistinto, anonimo, o anche si metta maschere di comodo, per non rivelare i veri stati d’animo, gli aneliti e le difficol-tà quotidiane. Già… Le maschere prendono il posto dei volti e si rischia di recitare una propria parte, come su di un palcoscenico, senza vivere davvero la vocazione d’amore che il Signore ci ha donato e per la quale si diventa autentici missionari del Vange-lo. Soprattutto, vanno di moda i sembianti della menzogna e del disimpegno, della confusione e dell’egoismo, capaci di illudere nella felicità condivisa e di gettare nell’egoismo più bieco, pro-prio anti-evangelico e contro la vita familiare. Solo ritornando a guardare umilmente e con speranza al volto di Cristo, la famiglia potrà lasciar emergere la vera luce di significati che possono do-nare gioia piena e senza fine. Giù le maschere e volti più sinceri, senza trucco e senza trucchi: ecco la filosofia dell’acqua e sapone, nella vita spirituale e nelle scelte morali, per ritrovare il volto mis-sionario della famiglia!

don Giorgio Cominisegretariato diocesano pastorale familiare

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un volto per la missione

Presentazione fidanzati in preparazione al Matrimonio Botticino Sera 20 ottobre 2013

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Oggi sembra necessario dover ricordare che na-sciamo maschi o femmine e il sesso non ci viene at-tribuito ma viene ricono-sciuto per quello che è.La Lettera alle famiglie nella prima parte “La ci-viltà dell’amore” – “Ma-schio e femmina li creò” ( nn.6-7) ricorda il segno di questa dualità originaria come un bene, una bene-dizione. Ci dice che ha a che vedere con “l’essere ad immagine e somiglian-za di Dio” . La differenza

sessuale è per la comunione delle persone a tutti i livelli. Alcuni passaggi:“Prima di creare l’uomo, il Creatore quasi rientra in se stes-so per cercarne il modello e l’ispirazione nel mistero del suo Essere che già qui si manifesta in qualche modo come il « Noi » divino. Da questo mistero scaturisce, per via di creazione, l’essere umano: « Dio creò l’uomo a sua immagi-ne; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò » (Gn 1, 27) […] Nessuno dei viventi, tranne l’uomo, è stato creato « ad immagine e somiglianza di Dio ».La paternità e la maternità umane, pur essendo biologica-mente simili a quelle di altri esseri in natura, hanno in sé in modo essenziale ed esclusivo una «somiglianza » con Dio, sulla quale si fonda la famiglia, intesa come comunità di vita umana, come comunità di persone unite nell’amore (com-munio personarum).Alla luce del Nuovo Testamento è possibile intravedere come il modello originario della famiglia vada ricercato in Dio stesso, nel mistero trinitario della sua vita. Il « Noi » divino costituisce il modello eterno del « noi » umano; di quel « noi » innanzitutto che è formato dall’uomo e dalla donna, creati ad immagine e somiglianza divina. Le parole del Libro della Genesi contengono quella verità sull’uomo a cui corrisponde l’esperienza stessa dell’umanità.L’uomo è creato sin « dal principio» come maschio e fem-mina: la vita dell’umana collettività - delle piccole comunità come dell’intera società - porta il segno di questa dualità originaria. Da essa derivano la « mascolinità » e la « femmi-nilità» dei singoli individui, così come da essa ogni comu-nità attinge la propria caratteristica ricchezza nel reciproco completamento delle persone. A ciò sembra riferirsi il pas-so del Libro della Genesi: « Maschio e femmina li creò» (Gn 1, 27). Questa è anche la prima affermazione della pari dignità dell’uomo e della donna: ambedue, ugualmente, sono persone. Tale loro costituzione, con la specifica di-gnità che ne deriva, definisce sin « dal principio » le caratte-ristiche del bene comune dell’umanità in ogni dimensione ed ambito di vita.A questo bene comune ambedue, l’uomo e la donna, reca-no il contributo loro proprio, grazie al quale si ritrova, alle radici stesse della convivenza umana, il carattere di comu-

nione e di complementarietà. […] Solo le persone sono capaci di esistere « in comunione ». La famiglia prende ini-zio dalla comunione coniugale, che il Concilio Vaticano II qualifica come « alleanza » nella quale l’uomo e la donna « mutuamente si danno e si ricevono » (Gaudium et Spes, 48)”.

genealogia della persona (n.9)

Con la famiglia si collega la genealogia di ogni uomo: la genealogia della persona. La paternità e la maternità umane sono radicate nella biologia e allo stesso tempo la superano… Quando dall’unione coniugale dei due nasce un nuovo uomo, questi porta con sé al mondo una particolare imma-gine e somiglianza di Dio stesso: nella biologia della gene-razione è inscritta la genealogia della persona.Affermando che i coniugi, come genitori, sono collabora-tori di Dio Creatore nel concepimento e nella generazionedi un nuovo essere umano non ci riferiamo solo alle leggi della biologia; intendiamo sottolineare piuttosto che nella paternità e maternità umane Dio stesso è presente in un modo diverso da come avviene in ogni altra generazione « sulla terra ». Infatti soltanto da Dio può provenire quell’ «immagine e somiglianza» che è propria dell’essere umano, così come è avvenuto nella creazione. La generazione è la continuazione della creazione. Così, dunque, tanto nel con-cepimento quanto nella nascita di un nuovo uomo, i geni-tori si trovano davanti ad un « grande mistero » (Ef 5, 32).Anche il nuovo essere umano, non diversamente dai geni-tori, è chiamato all’esistenza come persona, è chiamato alla vita «nella verità e nell’amore». Tale chiamata non si apre soltanto a ciò che è nel tempo, ma in Dio si apre all’eter-nità. Questa è la dimensione della genealogia della persona che Cristo ci ha svelato definitivamente, gettando la luce del suo Vangelo sul vivere e sul morire umano e, pertan-to, sul significato della famiglia umana. … Dio «ha voluto» l’uomo sin dal principio - e Dio lo « vuole » in ogni con-cepimento e nascita umana. Dio «vuole» l’uomo come un essere simile a sé, come persona. Quest’uomo, ogni uomo, è creato da Dio «per se stesso». Ciò riguarda tutti, anche coloro che nascono con malattie o minorazioni. Nella co-stituzione personale di ognuno è inscritta la volontà di Dio, che vuole l’uomo finalizzato in un certo senso a se stesso. Dio consegna l’uomo a se stesso, affidandolo contempo-raneamente alla famiglia e alla società, come loro compito.I genitori, davanti ad un nuovo essere umano, hanno, o dovrebbero avere, piena consapevolezza del fatto che Dio « vuole » quest’uomo « per se stesso ».… Il volere umano è sempre e inevitabilmente sottoposto alla legge del tempo e della caducità. Quello divino invece è eterno. « Prima di formarti nel grembo materno, ti cono-scevo - si legge nel Libro del Profeta Geremia -; prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato » (Ger 1,5).La genealogia della persona è pertanto unita innanzitutto con l’eternità di Dio, e solo dopo con la paternità e mater-nità umana che si attuano nel tempo. Nel momento stesso del concepimento l’uomo è già ordinato all’eternità in Dio.

Nello spazio “Dalla Lettera alle famiglie”, di Giovanni Paolo II, offriamo citazionidella stessa. Vi verrà voglia di leggerla o rileggerla perché ogni volta induce a nuove riflessioni!

Siamo Valentina e Giorgio, sposi da 10 anni. Siamo cre-sciuti in una comunità cristiana ordinaria, abbiamo percorso il cammino dei fidanzati, il quale ci ha aperto davanti un mondo così ricco, affascinante e bello, che

abbiamo deciso di sposarci nel Signore con tanto entusiasmo e speranzosi di non essere abbandonati da Colui che ci aveva fatto incontrare. Certo, le difficoltà non sono mancate, ma il Signore non ha mai promesso che i suoi discepoli non avrebbero avuto mai proble-mi, non ha mai detto che la fede li avrebbe resi immuni dalle prove della vita, anzi, ha detto : «Io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi....» e ancora «Hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi...». Perciò non ci stupiscono le prove della vita, anche se ci affaticano, ma quando alla sera guardo gli occhi di mia moglie che, stanca si siede sulla sedia e parliamo un po’, dentro quegli occhi vedo tutta la gioiosa fatica permeata dall’amore gratuito speso senza tirarsi indietro. Certo, molti si staranno chiedendo se siamo dei supereroi visto che le nostre fatiche sono comuni a quelle di tutti gli sposi che lavorano entrambi, e che hanno anche figli magari ancora in età scolare come le nostre; no, no, non siamo dei supereroi, ma i vari cammini di crescita che abbiamo intrapreso in questi anni ( parrocchiale - diocesano seguendo iniziative varie dell’ufficio Famiglia - altre...), ci hanno fatto riscoprire le potenzialità del matrimonio cristiano. Ad esempio la grazia sacramentale: che consiste nel diritto da parte degli sposi ad avere tutti gli aiuti necessari per perseverare e perfezionare il sacramento del matrimonio. E’ come un impegno da parte di Dio. E noi, in particolar modo quando siamo nella prova, abbiamo imparato e continuiamo ogni giorno ad imparare a far ricorso a questa grazia del no-stro sacramento attraverso una vita cristiana sempre alimentata dai sacramenti e dalla preghiera e attraverso l’intimità coniugale. E’ un cammino, e ogni tanto si inciampa, si cade, ci si sbuccia le ginocchia, ma in due, con la forza del Signore Gesù ci si rialza e si riprende il cammino magari zoppicanti, ma avanti. Ci è stata data la grazia di compren-dere come questo nostro amore è profetico (cioè parla al posto di Dio) sia l’uno per l’altra sia per il mondo. E questo amore cerchiamo di alimentarlo ogni giorno con la tenerezza, la dolcezza e il sentimento, certi che siamo l’uno per l’altra la mano di Dio che ti acca-rezza, gli occhi di Dio che ti guardano, le labbra di Dio che ti baciano. Giorgio e Valentina

MISSIONE POSSIBILE

pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia

Il Gruppo Galilea è un cammino di fede per persone che vivono situazioni matrimoniali difficili o irregolari (es. divor-

ziati-risposati). Gli incontri sono mensili,al centro la Parola di Dio, con ampi

spazi di ascolto, riflessione e condivisione.Ogni primo sabato del mese.

Gli incontri si tengono da calendario an-nuale, presso il Centro Pastorale “Paolo VI”, (situato in via Gezio Calini, 30 - Bre-

scia) un sabato al mese, dalle ore 17.00 alle ore 19.00.

Guida e accompagnatore del Gruppo è don Giorgio Comini, direttore dell’Ufficio

Diocesano di Pastorale Familiare.

“Retrouvaille” propone weekend per coniugi che vivono un momen-to di difficoltà, di grave crisi, che

pensano alla separazione o sono già separati ma desiderano ritrovare se stessi e una relazione di coppia

chiara e stabile. Per info: [email protected] e www.

retrouvaille.it.

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Dalla Lettera alle famiglie

“Nell’affermare che l’uomo è l’unica crea-tura sulla terra voluta da Dio per se stessa,il Concilio aggiunge subito che egli non può «ritrovarsi pienamente se non attra-verso un dono sincero di sé». Potrebbe sembrare una contraddizione, ma non lo è affatto. È, piuttosto, il grande e meravi-glioso paradosso dell’esistenza umana: un’esistenza chiamata a servire la verità nell’amore. L’amore fa sì che l’uomo si rea-lizzi attraverso il dono sincero di sé: amare significa dare e ricevere quanto non si può né comperare né vendere, ma solo libera-mente e reciprocamente elargire.Il dono della persona esige per sua naturadi essere duraturo ed irrevocabile. L’in-dissolubilità del matrimonio scaturisce primariamente dall’essenza di tale dono: dono della persona alla persona. In questo

vicendevole donarsi viene manifesta-to il carattere sponsale dell’amore. … Un simile dono obbliga molto più fortemente e profondamente di tutto ciò che può essere «acquistato» in qualunque modo ed a qualsiasi prezzo ... Coronamento liturgico del rito matrimo-niale è l’Eucaristia - sacrificio del «cor-po dato» e del «sangue sparso» - che nel consenso dei coniugi trova, in qualche modo, una sua espressione.Quando l’uomo e la donna nel matrimo-nio si donano e si ricevono reciprocamentenell’unità di «una sola carne», la logica del dono sincero entra nella loro vita. Sen-za di essa, il matrimonio sarebbe vuoto, mentre la comunione delle persone, edifi-cata su tale logica, diventa comunione dei genitori.

Quando trasmettono la vita al figlio, un nuovo «tu» umano si inserisce nell’orbitadel «noi» dei coniugi, una persona che essi chiameranno con un nome nuovo: «no-stro figlio . . .; nostra figlia . . .». «Ho ac-quistato un uomo dal Signore» (Gn 4, 1), dice Eva, la prima donna della storia: un essere umano, prima atteso per nove mesi e poi «manifestato» ai genitori, ai fratelli e alle sorelle. Il processo del concepimento e dello sviluppo nel grembo materno, del parto, della nascita serve a creare quasi uno spazio adatto perché la nuova creatu-ra possa manifestarsi come «dono»: tale, infatti, essa è sin dal principio.”

Il dono sincero di sé (n.11)

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Ecco una domanda classica, che nei bambini può presentarsi in infinite varianti: «Perché quella mamma ha la pancia grossa?»; «Per-

ché mamma e papà dormono nello stesso letto?»; «Che cosa ci fanno, dentro al televisore, un uomo e una donna a letto, senza pigiama?»

C’è anche una ‘versione religiosa’ di questa do-manda, come vedremo nella prossima puntata. In sostanza, i bambini ci chiedono come sono venuti al mondo, perché, e dov’erano prima di nascere.

Tutti i bambini ritornano più volte su questa domanda durante tutta la loro infanzia e le rispo-ste che ricevono vengono comprese a seconda del livello di maturazione – cognitiva ed emotiva – che hanno raggiunto. È però evidente come, al di là del-le ‘informazioni’ più o meno tecniche che possiamo offrire loro, il bambino voglia soprattutto sapere una cosa fondamentale: se è stato o meno voluto e quanto è stato amato dai suoi genitori. È su questo che dovrà essere anzitutto rassicurato: egli è stato desiderato, voluto, atteso e accolto con amore, gioia e gratitudine!

Per capire come funziona la mente del bambino, possiamo fare riferimento a un’interessante ricerca di due psicologi – Anne Bernstein e Philip Cowan – che, attraverso una serie di colloqui con bambini di età compresa tra i 3 e i 12 anni sul tema “Come fa la gente ad avere dei bambini?”, hanno individuato sei differenti tipologie di pensiero. Al primo livello, i bambini rispondevano semplicemente indicando dei luoghi, ad esempio: «Si va nel negozio dei bambini e se ne compra uno». Al secondo livello, i bambini rispondevano descrivendo il processo di ‘costruzio-ne’: «Prima fai il bambino. Poi gli metti degli occhi, la testa, i capelli…». Con la scolarizzazione, le ri-sposte dei bambini evolvevano e per la prima volta essi iniziavano a rendersi conto che la procreazione era il risultato di una relazione di un uomo con una donna.

All’inizio si servivano di comuni metafore, come

quella classica del seme che viene piantato nella ter-ra; più avanti ipotizzavano che il neonato fosse come preformato nello spermatozoo o nell’ovulo; infine, ma siamo già attorno agli 11-12 anni, i bambini da-vano prova di sapere cosa fosse un embrione e che questo era l’esito della combinazione genetica di un ovulo e di uno spermatozoo.

Proprio a motivo dell’evolvere delle loro capacità cognitive di comprensione, è normale che i bambini ritornino più e più volte sullo stesso argomento. Ciò che conta è che noi adulti non ci meravigliamo o spazientiamo per il continuo ritornare dei bambini sulle stesse domande, che si ripetono anche quando noi crediamo di essere già stati chiari ed esaustivi più di una volta, e impariamo a posizionarci là dove il bambino si trova, a individuare la giusta sintonia cognitiva con le sue capacità di comprensione che, come detto, cambiano anno dopo anno. Questo com-pito spetta a noi.

Il bisogno profondoLa cosa più importante è capire qual è il bisogno

profondo che anima queste domande, che è, come detto, quello di sentirsi sicuro e protetto da uno sguardo e da una disponibilità che lo faccia sentire amato e ben-voluto.

Questo è anche il primo modo con cui possiamo parlare di Dio ai bambini. Prima, infatti, che essere colto come un concetto astratto, il bambino incontra Dio attraverso le cure e la disponibilità delle perso-ne che lo accudiscono, prima fra tutte la madre.

È lei a rappresentare per il bambino il primo As-soluto, e dal modo attraverso cui una madre ‘suf-ficientemente buona’ saprà guardarlo e tenerlo in braccio, il bambino si costruirà quella prima e fon-damentale rappresentazione di un Dio buono, che si prende cura dei suoi figli e con il suo sguardo li sostiene, che costituirà l’impagabile tesoro che lo accompagnerà nel corso di tutta la sua vita.

Nelle domande dei bambini ci sono molti aspetti che non sono mai cambiati, che restano identi-ci, indipendentemente dalle generazioni e dalle

culture, perché identici e costanti rimangono i bisogniprofondi che sono sottesi. Ma ci sono anche tanti aspetti di novità semplicemente perché il mondo che si trovano ad abitare è profondamente mutato rispetto al mondo che noi adulti abbiamo abitato solo qualchedecennio fa.

Che cosa è cambiato?È a questa domanda che vorrei ora rispondere: che

cosa è cambiato nelle domande dei bambini, oggi?Anche in questo caso, provo a offrire una doppia ri-

sposta. Anzitutto, è cambiata radicalmente la società in cui viviamo. Se un tempo le regole di convivenza erano semplici, condivise e accettate da tutti, ed era re-lativamente semplice proteggere i bambini da notizie troppo inquietanti, oggi non è più così. Se un tempo era comunque sempre possibile rispondere a doman-de troppo imbarazzanti con un: “Sei ancora piccolo per queste cose”, oggi non è più possibile farlo.

Perchè i nostri bambini vivono immersi in un flus-so continuo di messaggi, immagini, notizie, senza che spesso sia possibile porre alcun filtro a ciò a cui assi-stono.

Non mi riferisco solo ai messaggi a getto continuo dei grandi media, come la televisione, o ai nuovi me-dia, come le infinite possibilità offerte dalla rete e dai social network, ma al fatto stesso che ormai viviamo tutti quanti in un mondo multietnico, dove i codici etici di comportamento sono molto variegati e convivono l’uno accanto all’altro.

I nostri figli incontrano tutti i giorni a scuola, o al supermercato, o nei centri sportivi, bambini che hanno la pelle di un altro colore, bambine con il velo; hanno amici o amiche che dicono di avere due papà e così via. Non possiamo più ‘proteggerli’ da tutto questo e non possiamo più liquidarli con la classica risposta che ho citato prima. Dobbiamo rispondere, spesso cercando un difficile compromesso tra dire tutta la verità e non

dire nulla, un giusto equilibrio tra nascondere o dire tutto. E non è sempre facile.

Più approfondite conoscenzeIn secondo luogo, paradossalmente, oggi dobbiamo

fare i conti con un ‘eccesso’ di psicologia.Ormai nel nostro mondo, come vere e proprie rap-

presentazioni sociali, si sono diffuse moltissime co-noscenze sulla psicologia del bambino. Tutti ormai sappiamo dell’importanza fondamentale delle cure ma-terne nei primi anni di vita del bambino, fino al punto da costituire addirittura le basi stesse su cui poi il futu-ro del bambino potrà costruirsi, quasi che ci fosse una sorta di determinismo tra buone cure, infanzia felice, bravi genitori e una vita futura di felicità e di soddi-sfazioni.

Sono inevitabili allora tanti scrupoli, incertezze, dubbi, sensi di colpa, paure, da parte degli adulti che temono di sbagliare, di non saper rispondere adeguata-mente, di fare danni. In sintesi, di non essere dei bravi genitori o degli educatori adeguati. E allora il rischio è quello di bloccarci, di sentirci inadeguati e incapaci. Questo penso sia una novità dei nostri tempi ed è il prezzo che sempre si paga quando cresce la consape-volezza. Ma a queste incertezze dobbiamo imparare a reagire, come anche a superare sensi di colpa inutili e improduttivi, sapendo attingere dalle preziosissime conquiste della psicologia evolutiva quanto ci serve per essere più consapevolmente adulti, capaci di pre-parare alla vita i nostri bambini. Mantenendo tuttavia un sano equilibrio e realismo, confidando nella guida dell’istinto e del buon senso che tutti abbiamo, anche se non sempre sappiamo ascoltarlo. Uno degli obiettivi fondamentali che mi pongo in questa rubrica è proprio quello di aiutarci a superare paure e incertezze, per ac-quisire la fiducia che nasce dall’aver sempre presente quali sono le più profonde esigenze dei nostri bambini. Solo dentro un clima di serena fiducia possiamo cre-scere nell’arte del dialogo, che è anzitutto capacità di ascolto e disponibilità ad accogliere.

nel crocevia:dei messaggi

le domande dei bambini

Qual è il nuovo contestonel quale i bambini vivono? Quali apporti forniscono le scienze a proposito del loromondo?

Dove si trovano i bambini ...?

I bimbi notano anzitutto quando la mamma è incinta.Ciclicamente poi tornanosulla domanda: “Ma prima dove mi trovavo?” Perché si pongono questo interrogativo?

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Venire alla luce, venire alla fede Ritualità e famiglia

La crisi della fede assume, nel nostro Paese, volti imprevedibili e paradossali. Una parte maggioritaria di cristiani non ha una pratica regolare, ma continua a dirsi cattolica: un’appartenenza senza fede. Altri sostengono di credere, ma dicono di farlo «a modo loro», sen-za riconoscersi pienamente in una Chiesa: è la religiosità individuale della fede senza appartenenza. La religione, normalmente, è intesa da questi cristiani in senso tradizionale: i vissuti e le immagini sono per lo più legate alla socializzazione religiosa infantile, alle pratiche tradizionali, a esperienze marginali o sporadiche, rimaste nella co-scienza quali indicatori di una fede possibile ma sempre rimandata. La fede è, così, stravolta nel suo significato e diventa «religione in-visibile», dove i simboli e i riti del cristianesimo non si traducono nella vita quotidiana, o prendono la forma della «religione civile», quando i riti sono ricercati solo in alcuni momenti evolutivi (nascita, crescita, matrimonio, morte), quando la domanda di senso appare più avvertita ed evidente. In alcuni casi si assiste a una certa ripresa dei riti religiosi tradizionali, ma in un’ottica che rimane soggettiva («quando me la sento») ed emozionale («se mi piace»). Nella so-cietà complessa non è dato nulla di semplice e lineare: la domanda religiosa persiste ma è di difficile interpretazione. Esige sempre ac-coglienza e discernimento.

Il Vangelo è ancora apprezzato, non tanto come chiamata alla conversione personale o come lievito di rinnovamento della società, ma per l’opportunità che lascia intravedere di un possibile senso da dare alla vita. I genitori continualo a iscrivere i loro figli ai percorsi catechistici, dopo che hanno richiesto il battesimo, ma le importanti tappe dell’iniziazione cristiana (prima comunione e cresima) sono vissute spesso come mo-menti superficiali più che vere celebrazioni della fede. Affiora così, spesso, tra gli operatori pastorali la sensazione della vanità della pastorale parroc-chiale: «Come relazio-narsi con i genitori che mandano i figli al catechi-smo, ma personalmente non s’identificano nella Chiesa?». «Come svolge-re una pastorale efficace di primo annuncio?». «In che modo aiutare i ge-nitori nell’educazione e nell’accompagnamento religioso dei figli?». La ri-forma liturgica, con il suo profondo lavoro di rinno-vamento, non è riuscita a incidere sulla crisi della

partecipazione ai riti religiosi, perché questa, oltre che impoveri-mento della ritualità umana, è anche crisi della fede.

Si aprono, però, nella pratica pastorale e nella riflessione teori-ca, nuove strade per l’evangelizzazione e la catechesi. Esse traggono il loro impulso dalle esperienze umane essenziali del nascere e del morire, del crescere e dell’invecchiare, della differenza sessuale e della vita familiare. Questo modo di intendere e praticare l’evange-lizzazione s’ispira a un principio vitale essenziale: «La fede cristiana si riferisce ad una verità che, prima di essere proclamata mediante l’Evangelo, è già in qualche modo annunciata dalle forme imme-diate del vivere» (G. ANGELINI). La fede coglie le tracce della tra-scendenza e legge i segni dei tempi in tutte le esperienze della vita, ma l’amore familiare, destinato a determinare la struttura di base della personalità (a essere quindi indimenticabile), costituisce un essenziale dell’iniziazione cristiana.

La professione della fede non è solo dottrina, ma adesione vitale, e le forme della vita si apprendono anzitutto nei rapporti primari dei mondi vitali familiari. È, infatti, la vita affettiva ed etica della famiglia a offrire le immagini più pregnanti per pensare l’iniziazione cristiana. Non stupisce, quindi, che la crisi della partecipazione re-ligiosa sia accompagnata da una parallela, grave, crisi della famiglia, delle sue ritualità e della sua pratica educativa.

C’è quindi una speranza per un avvicinamento alla fede, sem-plice e spontaneo, che resista alla pressione della secolarizzazione: ripartire dalla generazione e dal conseguente rapporto genitori e fi-gli. Le vicende familiari plasmano le persone fin dalla prima infanzia e costituiscono le esperienze fondamentali per l’identità personale

e l’appartenenza a un mondo comune.La vita familiare provvede il linguaggio umano più appropriato

per rappresentare la grazia che agisce nella celebrazione liturgica, così come nella vita familiare. Il con-fronto costante con la vita familia-re può cambiare anche la pastorale parrocchiale. Stile e contenuto di un messaggio sono, infatti, inseparabili.

Anche se la nascita è un evento puntuale, diventare madri richiede tempo e un difficile lavoro mentale. Così anche, se pur in modi diversi, diventare padri. Si prende coscienza di che cosa significhi essere figli solo gradualmente e con molta fatica.

«Venire alla luce» (la nascita) si-gnifica «venire al mondo», attraverso tappe e riti (familiari e civili). Questa straordinaria avventura contiene le metafore più efficaci del «nascere alla vita» di Dio, del «venire alla fede».

Il nascere umano ha, quindi, qualcosa da dire e da dare per la comprensione del battesimo, così come il battesimo dei bambini illumina l’esperienza della nascita e dell’educazione. Questo è pos-sibile senza che il sacramento del battesimo sia ridotto a una ce-lebrazione della nascita, né sia isolato dall’insieme dell’iniziazione cristiana. Il battesimo non può neppure essere pensato come il sa-cramento dei bambini. Nei sacramenti, la grazia eccede la natura ma anche la presuppone per portarla a compimento.

Il linguaggio biblico descrive la creazione con il linguaggio dell’alleanza e il Nuovo Testamento afferma che ogni vita è donata

per mezzo di Cristo (Col 1,15-20; 1 Cor 8,6; Eb 1,2-3). L’ade-sione a Cristo può essere rappresentata come una vera nascita (Pt 1,3.23). Le metafore sono ancor più evidenti e insistenti nei testi di

Giovanni, dove la grazia battesimale consiste nel dono della rigenerazio-ne dall’alto, dallo Spirito, e dove vera nascita è quella che viene da Dio (Gv 1,12-13; 1 Gv 5,1). La carne e il san-gue non bastano, infatti, a introdurre alla vita per cui il bambino è nato, tanto misteriosa è la nascita, agli oc-chi innanzitutto dei genitori.

Vita familiare, simbologie litur-giche e teologia battesimale s’in-trecciano e si rimandano incessante-mente. Il concepimento e l’attesa, la scelta del nome e il parto, il diventa-re genitori e le prime conquiste evo-lutive, il piacere dell’alimentazione e

il dolore della separazione, sono eventi biologici e psicologici ma anche altrettante figure del divino, come l’ha inteso il Signore Gesù.

Il segno della croce e l’oltrepassare la porta, la Parola di Dio e la professione di fede, l’olio e il profumo, l’acqua del fonte e il lume, l’abito bianco e le processioni, sono riti e gesti che non solo celebrano e donano la grazia ma anche insegnano a essere madri, padri e figli.

In un susseguirsi di puntate, tenteremo di inoltrarci nelle mera-viglie e nei travagli del generare e del nascere, dove particolarmente abbondanti sono le tracce della trascendenza, dove il venire alla luce prelude al venire alla fede.

Il fonte battesimalememoria permanente del dono della fede

«Poiché il battesimo è l’inizio di tutta la vita cristiana, tutte le chiese devono avere il proprio battistero, il luogo cioè nel quale zampilla o viene conservata l’acqua del fonte battesima-le» (Benedizionale cap 38, n 1164).

Il fonte battesimale dev’essere fisso, sempre costruito con arte e in materiale adatto, curato e nitido nella manutenzione (n 1172). È destinato, infatti, a essere per la comunità il luogo «pasquale» dell’incontro con Cristo e la memoria permanen-te dell’inestimabile dono della fede.

Il gesto di bagnare (immergere) per tre volte il bambino nel rito sacramentale celebra il passaggio alla rinascita che scaturisce dalla norte e risurrezione di Gesù. Il battesimo è luce della fede donata al battezzato che gli rivela l’origine vera della sua vita. Il rito culmina, infatti, con il Padre nostro, la preghiera dei figli di Dio. Immergendosi nella vicenda pasqua-le, il bambino diventa «figlio nel Figlio».

Il fonte è quindi il luogo fisico e simbolico dove prendono

figura gli atteggiamenti con cui i genitori accolgono la vita e dove l’educazione cristiana trova il suo fondamento.

Considerando i figli come dono, riconoscendo la loro ori-ginalità, esprimendo la riconoscenza per il cammino di libertà al quale Dio chiama ogni creatura umana, i genitori imparano ad accogliere il mistero della vita come vocazione e quindi come responsabilità. I genitori sono all’inizio della vita del fi-glio, ma non ne sono l’origine. Lo esprime bene anche la con-versazione quotidiana in famiglia e con gli amici: l’attesa che il figlio cresca senza problemi, che mantenga la salute, che possa progressivamente affrontare le prove della vita, che sia felice. I genitori sanno di non poter garantire da sé ciò che augurano per il figlio. Al fonte battesimale essi cercano la sorgente di una diversa fecondità, di una nuova vita.

Questa professione di fede esercita anche un’efficace for-za educativa per la coscienza dei genitori, fondamentale per correggere le ambiguità sempre in agguato nella maternità e

La Luce della fede è accesa in noi nel battesimo, ci viene consegnata anche nel segno della luce che proviene dal Cero pasquale; essa illuminerà tutta l’esistenza.

Nascere è già una chiamata

alla vita di fede.

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nella paternità: il mito del figlio speciale, la presunzione del genitore perfetto, la tentazione della proiezione sul figlio del-le proprie aspirazioni, l’oppressione dell’ansia. Attraverso il battesimo, il bambino è messo al riparo dal «possesso» dei genitori e, al tempo stesso, sono poste le condizioni essenziali perché possa crescere da figlio.

Al fonte battesimale genitori e figli sono iniziati a una re-ciprocità sempre più profonda tra crescita umana e fecondità spirituale.

Portandovi i figli, i genitori vivono nella loro interiorità ed esprimono davanti alla comunità la ragione per ‘cui li han-no desiderati, cercati, voluti. I genitori si aprono alla ricono-scenza per il mistero della generatività umana, i figli imparano ad affidarsi ai genitori. Con l’obbedienza alle indicazioni dei genitori, orientate dalla loro fede, il bambino accetterà non solo di avere una mamma e un papà, ma di essere figlio loro. Questo doppio affidamento del figlio ai genitori e dei genito-ri al Mistero divino, introduce all’esperienza della speranza cristiana.

Progressivamente, in un percorso di vita familiare che non finisce mai di meravigliare, come sposi, come genitori e come figli, scopriranno nella grazia del battesimo la legge generale della vita umana secondo cui il dono precede e su-scita la libertà. Negli snodi fondamentali della vita (nascita, innamoramento, genitorialità) la persona è sempre «portata in braccio», condizione indispensabile perché divenga possi-bile volere ciò che si può solo ricevere gratuitamente. Anche la maternità e la paternità, prima di essere responsabilità, sono grazia. La nascita, infatti, è sempre un evento: il figlio è un’altra persona da come i genitori l’hanno immaginato. La scelta originaria di generare non ha quindi la figura di un progetto, ma quella della dedizione a una causa scaturita dall’incalcolabile e imprevedibile: una grazia e una benedizione della vita. Essa com-porta quindi dedizione religiosa a un evento (l’apparire di una nuova persona) che non può che essere vissuto come sacro. Ogni genitore cristiano può fare propria l’escla-mazione della prima donna: «Ho acquistato un uomo con l’aiuto del Signore» (Gn 4,1).

La dedizione che il figlio esige non è solo quella legata alla sua impossibilità di provvedere alle necessità materiali. Più ancora il bambino per crescere avrà biso-gno di dare un senso alla sua vita. Ogni bambino è come una do-manda posta: non ha scelto di na-scere, è stato voluto. La risposta, sintetizzata nel rito battesimale,

emergerà gradualmente dalla qualità complessiva della vita familiare negli anni dell’infanzia. Le attese obiettive del figlio (la sua vocazione) diventano una legge per la vita dei genitori. Gesù stesso chiedeva ai discepoli che considerassero i bambi-ni come un modello dell’accoglienza della fede: «Chiunque

riceve uno di questi bambini nel nome mio, riceve me» (Mc 9,37).

Questa condizione diventa ancor più evidente nell’adole-scenza: in quest’ultimo snodo dell’età evolutiva, il figlio non si accontenta più delle parole ma sfida, a volte senza rispar-mio, i suoi genitori. Vuole avere prove della loro «fede», cioè del «segreto» di papà e mamma. Vuole sapere che cosa i geni-tori hanno fatto di tutto quello che gli hanno sempre racco-mandato per il suo «bene», vuole vedere i valori e le norme che hanno reso concreto il loro progetto di vita. Non servirà coprire l’imbarazzo moltiplicando le parole, cedendo, magari inavvertitamente, alla tentazione della complicità e della se-

duzione.La nobile semplicità della

liturgia battesimale indica una strada diversa: ascoltare la Pa-rola e pregare (la benedizione alle orecchie e alle labbra del battezzato). La certezza è ri-posta nel lavoro della grazia: «Dorma e si alzi, la notte e il giorno, il seme intanto ger-moglia e cresce senza che egli sappia come» (Mc 4,27).

Entrando in chiesa la fa-miglia cristiana potrà sostare davanti al fonte e ritrovare il senso profondo della loro vita. La comunità potrà accoglie-re l’invito del Benedizionale di iniziare l’anno catechistico con una celebrazione in cui il fonte battesimale «sia ornato a festa e vi sia acceso il cero pasquale» (n 184).

Assimilato al genere «patetico», in auge nell’età elleni-stica, il secondo Libro dei Maccabei suscita nel lettore ira, meraviglia, simpatia, ammirazione, odio, affetto, spe-

ranza, timore... Ciò nonostante, è un’opera storica, perché riporta fatti veramente accaduti, sebbene intrisi di dettagli commoventi e ben articolati, al fine di indurre i destinatari a imitarne le virtù ivi veicolate.

Come quella di Daniele e dei suoi compagni, anche questa storia è ambientata nel periodo della persecuzione di Antioco IV. Il libro, composto di soli quindici capitoli, suddiviso in sette unità maggiori, è incentrato su due episodi in particolare: il martirio del vecchio Eleazaro, esempio di nobiltà e virtù per i posteri, e quello dei sette giovani.

Il martirio dei fratelli maggiori: 2 Mac 7,1-19In uno scenario pseudo processuale, l’oggetto del contendere

- una scusa, in realtà, per giustificare il latente piano genocida con-tro il popolo ebraico - è il kasherut (lett. «adeguatezza»), l’insie-me delle norme alimentari secondo la trattazione legislativa del Levitico (cf Lv 11): il sovrano vuole ad ogni costo costringere i giovani a «mangiare carni suine»: «...i sette fratelli, presi insieme alla loro madre, furono costretti dal re, a forza di flagelli e nerbate, a cibarsi di carni suine proibite. Uno di loro, facendosi interprete di tutti, disse: “Che cosa cerchi o vuoi sapere da noi? Siamo pronti a morire piuttosto che trasgredire le leggi dei padri”. Irritato da tale risposta il re comanda di mettere al fuoco teglie e caldaie» (vv 1-3).

Lo zelo «oltre misura» dei giovani, che qui si potrebbe rileva-re, in realtà è solo apparente. La posta in gioco è ben più alta, non riguarda semplici questioni «culinarie», ma si tratta di stare dalla parte di Dio anziché del tiranno pagano: apostatare significhe-rebbe la dannazione per un israelita, meglio il martirio! Sotto gli sguardi dei propri familiari, al fratello maggiore prima tagliano la lingua, poi lo «scorticano» e lo «smembrano», infine lo gettano sulla graticola (vv 4-5).

Questa prima esecuzione avrebbe dovuto convincere il se-condo fratello a cibarsi di «carni impure», al quale viene dato un pubblico «assaggio» delle tecniche persuasive del re (v 7), ma senza risultato per quest’ultimo, il quale, per tutta risposta, incas-sa una fervida professione di fede: «II re del mondo ci farà risorge-re... noi che moriamo per le sue leggi».

Con una modalità che quasi spiazza i carnefici, il terzo fratello addirittura si consegna loro disarmato e pronto al sacrificio. Nella sua professione di fede afferma, ad un tempo, l’orìgine dell’uomo per mano di Dio e la sua destinazione dopo la morte, con la ri-surrezione del corpo: «Dal cielo ho queste membra e per le sue leggi le disprezzo, perché da lui spero di riaverle di nuovo». Ciò suscita meraviglia e ammirazione tra i presenti, re, dignitari e carnefici (v 12).

Ridotto in fin di vita, anche il quarto fratello esclama: «È pre-feribile morire per mano degli uomini quando da Dio si ha la speran-za di essere da lui di nuovo risuscitati» (v 14).

Non vacilla neanche il quinto fratello. Il sesto, invece, afferma

la prerogativa che ha, questa fine ingiusta, di espiare i peccati. Nel tardo giudaismo si riteneva, infatti, che il sacrificio del giusto co-prisse addirittura quelli di un intero popolo e preservasse gli altri dalla sofferenza.

Il martirio del fratello più giovane: 2 Mac 7,20-40Qui il re ricorre alla tattica della lusinga, prima direttamente

con il giovane, poi con sua madre, intimandole di «farlo ragio-nare». In realtà Antioco vuole solo evitare l’ennesimo, pubblico smacco: anche l’ultimo dei fratelli, consolato e incoraggiato dalla stessa madre, resta irremovibile, sottomettendosi alla prospettiva dell’eternità.

Come nel racconto dei tre giovani nel fuoco e Daniele nella fossa dei leoni, anche qui il martirio diviene prova più alta della fede, contro la più facile delle scelte: quella del male, il cedimento di fronte al sopruso.

Colui contro il quale Dio si dovette adirare a motivo del pec-cato, ridiventa, dopo l’espiazione, erede della promessa (v 36): è la ricompensa particolare che Dio riserva ai giusti che hanno con-fidato «completamente nel Signore», come viene precisato al v 40.

Il verbo greco qui utilizzato per meglio rendere il concetto di «completo, indiviso, totale, intero» abbandono a Dio è pantelès, composto da pan, cioè «tutto/ogni» e telos, «compimento», ben corroborato dal simbolismo biblico del «sette», numero

VIAGGIO ATTRAVERSO LA BIBBIA

La fede nell’unità

Par ti c ol are del martirio dei fratelli Maccabei. La madre esorta il figlio più giovane a perseverare. Olio su tela di Giustino Menescardi, 1751 circa. Scuola Gran-de di S. Maria del Carmelo (Vene-zia).

Non è il titolo di un libro o di un’enciclica: è, invece, l’insegnamento che ci viene testimoniato da un’intera famiglia, rimasta salda e unita nella fede all’unico Dio, fino all’estremo sacrificio. È la storia dei sette fratelli Maccabei e della loro madre (cf 2 Mac 7).

Accanto al fonte battesimale il lume della Pasqua: il cero, simbolo di Cristo, da cui viene presa la luce simbolica consegnata al neobat-tezzato: sei divenuto luce nel Signore!

Nella famiglia, un percorso di vita che non finisce mai.

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Il tema della concordia e della fra-tellanza è di estrema attualità e gli

eventi quotidiani ce lo confermano. L’or-dine divino instaurato nel mondo risulta evidente non tanto nella vita del singolo, quanto nella comunità subordinata alla legge.

«Quanto è bello e soave che i fratelli viva-no insieme» (Sal 133,1). L’incipit di questo salmo, oggi, forse più che mai, può sem-brare utopistico. Nel regime patriarcale, l’armonia coniugale, come la concordia tra fratelli e vicini (cum cordis, con cuore), doveva essere conflittuale, dal momento che convivevano figli di diverse madri.

Per molti esegeti (Kittel, Oesterley, Castellino), questo salmo, dallo stile sa-pienziale, esalta ed auspica l’economia familiare, con un’allusione implicita alla legge del levirato (Dt 25,5-6) attraverso la quale si riusciva a salvaguardare l’uni-tà della famiglia tribale e dell’asse patri-moniale attorno ad essa. Appoggiandosi sugli esempi dei fratelli-fratellastri come

Ismaele e Isacco, Giacobbe ed Esaù o di Giuseppe e i suoi fratelli, il salmista augu-ra ed esalta l’unità del clan, soprattutto per quanto riguarda i fratelli di secondo ran-go. Il salmo vorrebbe celebrare la vittoria su tutte le querele, le risse, le invidie e le tensioni causate da un simile regime so-ciale. La vita sociale vissuta in concordia è molto più radicale ed abbraccia l’essere fratelli in senso lato e totale; il salmo è un canto della vita sociale in genere, della co-munione dei membri dello stesso popo-lo, legati assieme dall’alleanza con Dio. È l’alleanza con Dio che crea Israele come popolo e che illumina tutte le fraternità minori di famiglia, di gruppo e di società, di amicizia.

Alla bontà della vita fraterna corri-sponde la benedizione che dona la vita. La prima immagine del salmo è quella dell’intimità: l’essere insieme (yahad) e la fraternità del v 1 rimandano allo stes-so grembo, alla stessa casa, espressa dal verbo yasab, «abitare». Il salmista parte

da un’immagine familiare e la applica alla comunità sociale e sacrale, cioè ad Israele raccolto nel grembo domestico del tem-pio (RAVASI).

L’uomo è destinato ad assidersi sta-bilmente in comunità. La dichiarazione iniziale yahad, «insieme», di unità e di fratellanza, posta all’inizio del salmo, è così solenne da poter adattarsi perfetta-mente all’assemblea liturgica d’Israele nel tempio o, ancora, ad una raffigurazione della comunità dell’alleanza. A sostegno di ciò, vi sono i due aggettivi qualificativi dello stesso versetto: tob cioè «buono» e na’im, «soave, dolce», che esprimono la dimensione morale dell’armonia tra i membri della comunità.

È da notare che nel salmo viene usato il termine ‘ah/’ahim, «fratello/fratel-li». A ben vedere, questa parola, seppur raramente, nell’Antico Testamento signi-fica anche «braciere» o «fuoco» (Ger 36,22-23) e anche «Ohi!, Guai!» (Ez 6,11; 21,20), significando che i fratelli

L’amore del fratello

della perfezione, della totalità. Il «sette» è riferito ora alla posi-zione, in ordine di nascita, del figlio più giovane, senza la cui testi-monianza la storia resterebbe «incompleta», nonostante la prova di coraggio e fede dei fratelli che lo hanno preceduto nel martirio, segno che l’amore, nel senso più paolino del termine, copre dav-vero tutto, anche la paura di morire. Compreso questo, anche le decisioni più difficili acquistano concretezza, perché illuminate dalla sapienza di Dio. Persino la morsa del limite spazio-tempo si è allentata fino ad annullarsi dinanzi alla prospettiva di eternità, di fronte alla quale tutto ciò che è transitorio si sottomette, anche a costo del martirio a motivo della fede.

L’epoca delle persecuzioni insegna a considerare la morte come un’azione, tesa ad affermare quel principio di libertà che può discendere solo da Dio, l’unico al quale esprimere completa obbedienza, contrapposta a un’altra concezione totalitaria e as-soggettante dell’individuo, come nell’Ellenismo.

Infine, l’altro elemento ricorrente nella storia dei sette fratelli Maccabei e su cui vale la pena soffermarsi è questo: nell’Antico Testamento è la prima volta che si parla di risurrezione, nel Nuovo Testamento con (e in) Gesù Cristo questa speranza si concretizza pienamente.

possono a volte causare «guai» e posso-no bruciare come «fuoco».

Ma la lingua ebraica ci offre un’ulte-riore sorpresa: ah, «fratello», scritto con la kaf, al posto della lettera het, dal suono molto simile, significa «però/ma». Il fratello allora, in questo senso, avrebbe la caratteristica della contrapposizione, del ma. La famiglia umana, ebraica o cristia-na che sia, sembra, quindi, all’insegna del ma. Come si è visto negli articoli prece-denti (di questa serie), nell’Antico Testa-mento i rapporti tra i fratelli e le sorelle sono piuttosto conflittuali e problemati-ci. Ciò non impedisce però che Levitico 19,17 insegni a «non odiare il tuo fratello nel tuo cuore» e a ricordare che «la vita del tuo fratello sarà con te» (Lv 25,36).

Infine, ‘ah è anche usato come abbre-viazione di ‘ehad, «uno», e il verbo leahot significa «unire, legare insieme». Anche se i contrasti sono possibili e forse fre-quenti, anche se i fratelli possono essere causa di guai reciproci, alla fine sarebbe bene ed utile rimanere uniti. L’amore fra-terno, l’unità nella comunità e la condivi-sione sono esperienze esaltanti e gloriose; temi ripresi e approfonditi nel Nuovo Te-stamento.

Chi è «fratello», il prossimo da ama-re?

«Amerai il tuo prossimo come te stes-so» - risuona perentoriamente Levitico 19,18. Qui ci si rende conto dell’assurdità implicita nell’uso giuridico di un concet-

to totalmente estraneo al diritto. Il verbo «amare», essendo determinato dal senti mento, si sottrae ad ogni prescrizione giu-ridica. La legge tocca l’intenzione, perciò tale comando va considerato come un ossimoro che vuole portare l’israelita alla consapevolezza di quello che è il cardine della legislazione sociale, ossia a custodire il senso della fratellanza, a praticarlo.

Gesù, affermando che questo è uno dei due comandamenti da cui «dipen-de» tutta la legge, ne ha colto e spiegato il significato profondo (Mt 22,40). Egli isola il comandamento dell’amore da tut-te le altre prescrizioni legali e lo sottrae ad ogni interpretazione giuridica. Infatti, il comandamento dell’amore, introdotto nella Legge, lo rende assurdo, poiché esso segna proprio il limite di fronte al quale deve necessariamente arrestarsi ogni leg-ge divina e umana e postula un ordine morale al di sopra della Legge.

Ma chi è il «prossimo»? Ogni rea’può essere amico o nemico (cf Dt 22,1-4; Es 23,4). I princìpi affermati in Proverbi 25,21 che recita: «Se colui che ti odia ha fame dagli da mangiare del pane, e se ha sete dissetalo con l’acqua», mirano a coltivare concretamente l’amore per il ne-mico (e ciò, naturalmente contrasta con il detto di Geremia 9,3 che recita: «Ognuno si guardi dal suo amico e non fidatevi di al-cun fratello»).

«Amare il prossimo», per natura, non è anzitutto un agire, ma un essere. Questo

amore scaturisce dall’essere amati e non ammette che si domandi quali ne siano i li-miti. La risposta più luminosa alla domanda «Chi è il mio prossimo?» la dà Gesù, nella parabola del buon samarita-

no. Nel noto racconto, con provocante chiarezza, il bisognoso per caso è un giu-deo e il misericordioso un samaritano. In questa parabola si verifica in pieno quella inversione della definizione di «prossi-mo» che si declina in Matteo 5,43-48. Alla determinazione originariamente locale di «prossimo» (= il vicino) si ag-giunge plasticamente anche l’incontro, elemento attualizzante di ciò che il Van-gelo esige. Chi sia il «prossimo» non si può definire, lo si può solo sperimentare. Gesù sovverte così l’antica gerarchia con-centrica imperniata sull’io, ma conserva il concetto organico di «prossimo» e, basandosi su di esso, istituisce un nuovo ordine, al centro del quale vi è il tu.

Perché prossimo è il samaritano? Per-ché «ha avuto misericordia» (Lc 10,33). È il cuore, dunque, che ha l’ultima parola. Il dovere di «prossimo» è assolto da chi si commuove alla sofferenza di uno stra-niero. «Aver misericordia, pietà» non dà a questo amore nulla di fanatico; il dovere di aiuto e di assistenza su cui si focalizza la parabola del samaritano non ha alcun compiaciuto sentimentalismo. Il samari-tano, con la massima sobrietà, fa ciò che è richiesto dalla circostanza presente e si preoccupa del futuro immediato dell’ag-gredito - nulla di più e nulla di meno. Egli è uno che fa misericordia, che non ne respinge il dovere, né spende una parola su colpe o doveri altrui. È uno che fa ciò che va fatto e ciò che può fare. Ed è per questo che la parabola può terminare con l’esortazione: «Va’ e anche tu fa’ lo stesso». Per il nuovo popolo di Dio, il comando dell’amore per il prossimo significa fare della carità fraterna la norma fondamen-tale della propria vita.

- pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia -

Preghiera prima di leggere le Sacre Scritture

Vieni in me, Spirito Santo,Spirito di sapienza:donami lo sguardo e l’udito interiore,perché non mi attacchi alle cose materiali,ma ricerchi sempre le realtà spirituali.Vieni in me, Spirito Santo, Spirito dell’amore: riversa sempre più la carità nel mio cuore.Vieni in me, Spirito Santo, Spirito di verità: concedimi di pervenire alla conoscenza della verità in tutta la sua pienezza.Vieni in me, Spirito Santo,acqua viva che zampillaper la vita eterna:fammi la grazia di giungerea contemplare il volto del Padrenella vita e nella gioia senza fine. Amen.

(SANT’AGOSTINO)

Il buon samaritano è Gesù. In lui Dio si china sull’uomo percosso e ferito e se ne prende cura. Codice Purpureo di Rossano Calabro, fine del V e inizio del VI secolo d.C, tavola X. Museo diocesano di Rossano (CS).

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Tempo di iscrizioniCrediamo nella scuola libera ?

Domanda che abbiamo posto alla nostra comunità botticinese, vi-sto che sul territorio coesistono “pacificamente” due tipologie di

scuole pubbliche : quella statale e quella paritaria parrocchiale da ormai 33 anni denominata DON ORIONE.

Scuola libera….. significa che pensiamo sia compito della famiglia effettuare una scelta consapevole e ponderata circa il tipo di scuola che

vogliamo per nostro figlio e che, dall’altra parte, sia compito dello stato e delle istituzioni rendere possibile tale scelta.

Utopia? Forse sì, visto che la Regione assegna sì contributi alle famiglie con la famosa “dote scuola”, ma non sappiamo fino a quando; il Comune, nonostante i 48 cit-

tadini botticinesi frequentanti la nostra scuola, ha deciso di non erogare più alcun contributo, e infine le famiglie che in questo tempo di crisi preferiscono investire 2000/3000 euro annuali per altre finalità più o meno importanti… libera scelta, non si discute…Abbiamo distribuito 70 questionari anonimi alle famiglie dei ragazzi di quinta primaria , di questi ne sono stati restituiti 7 di cui uno solo si esprime a favore della scuola paritaria, anche se per difficoltà economiche non è in grado di sceglierla per il figlio…. Gli altri 6 dichiarano di non essersi mai posti l’interrogativo sulla scelta scolastica, che la scuola pubblica va benissimo, e si chiedono perché pagare una retta se la scuola di stato è gratuita (si fa per dire).Gli altri 63? Forse non hanno avuto neppure la pazienza di arrivare in fondo al foglio, ma se quel foglio fosse ancora in giro per casa li invitiamo a farci avere le loro riflessioni perché per noi sono importanti, frutto di un dialogo e di un’apertura da noi sempre cercati, nella consapevolezza che la scuola cattolica non si impone, ma si propone, come il Vangelo.Libera scelta significa conoscere la realtà prima di giudicarla, senza remore né aspettative che vanno al di là delle umane possibilità. Ci accorgiamo che è in crescita la tendenza di alcune famiglie che scelgono la scuola non per la condivisione di un progetto educativo nel quale credono fino in fondo , ma per questioni contingenti più o meno importanti. La nostra scuola dà servizi alle famiglie, senza dubbio, ma la sua identità sta nel suo essere scuola cattolica. Ecco allora due atteg-giamenti che ci sentiamo di non condividere :- l’assenteismo, tanto la scuola è delegata in tutto e per tutto. Gli insegnanti sono considerati alla stregua di “badanti” che devono provvedere in “toto” all’aspetto educativo, formativo, igienico, comportamentale, senza essere però troppo invasi-vi, perché i bambini sono sensibili e potrebbero sentirsi offesi se li si pone di fronte alla loro responsabilità di rispettare le regole.- le aspettative di chi considera la scuola un “centro commerciale” dove bisogna avere tutto, subito, compresa la bravura dei figli, dove chi sbaglia sono sempre i figli altrui, dove bisogna essere severi e inflessibili con gli altri, ma comprensivi con i propri figli e soprattutto se si paga bisogna pretendere! E se i “clienti” non sono soddisfatti? Semplice , si cambia centro commerciale! E addio scelta libera.Non è questa la scuola che noi intendiamo, non è la scuola del pettegolezzo, del sentito dire, dei confronti, delle lodi sperticate o delle più crudeli condanne. Noi intendiamo la scuola così come l’aveva sognata “don Orione”: una famiglia ben ordinata, portata avanti con molta cura nel nome del Signore, la scuola del rispetto di tutti e di ciascuno, la scuola che ha la pazienza del seminatore e crede che ogni ragazzo può e deve raggiungere i suoi traguardi, la scuola dove gli educatori non “contano” il tempo che dedicano ai ragazzi, alla progettazione, al confronto e volentieri si rendono disponibili, la scuola dove la cortesia non è scambiata per dabbenaggine e la disponibilità per servilismo, la scuola dove veramente geni-tori e docenti si possono incontrare serenamente, la scuola dove crescere insieme, la scuola nella quale anche la comunità parrocchiale crede e quindi la sostiene.

Utopia? Forse sì, ma ancora non me la sento di tirare i remi in barca… dopotutto “do-mani è un altro giorno”.

La preside del don Orione

Un sentito grazie a chi aiuta la scuola parrocchiale nel silenzio e umiltà operosa:ogni gesto di solidarietà alimenta la speranza e la speranza rende nuovo ogni giorno il mondo. Con riconoscenza a: Augusto, Alessandra, maestro Giulio, Caterina, Luci, Giovanni Sesana, Franca e don Francesco curato di Rezzato. Ai negozi di Botticino che ci hanno sostenuto. Ai genitori dei nostri alunni che fanno della nostra scuola una famiglia.

Scuola don OrioneSCUOLA PRIMARIA

E SECONDARIA DI PRIMO GRADO

paritarie via Don Orione 1 Botticino Sera

Parrocchie di Botticino

UNA SCUOLA VIVA COME L’ACQUA Alla scuola il Ministero chiede, attraverso i suoi documenti, “l’apprendimento e il saper stare al mondo” (In-

dicazioni nazionali per il curricolo 2012), la scuola deve cioè occuparsi di questioni educative e formative al fine di costruire una nuova cittadinanza e un nuovo umanesimo, con particolare attenzione alle nuove tecnologie…Non è poco, ma è una grande e interessante sfida per chi questo compito ha intenzione di svolgerlo bene. Ci viene chiesta una scuola viva, viva come l’acqua! La nostra prima uscita e il nostro primo progetto, dopo quello iniziale dell’accoglienza, sono proprio dedicati all’acqua: laboratori, utilizzo della lim, discussioni, produzioni scritte, car-telloni ed uscita sul territorio alla fonte di Mompiano. La fonte sgorga dal monte San Giuseppe; da qui, nel periodo romano, partiva un acquedotto che arrivava fino al foro della Brixia romana, da cui veniva poi distribuita l’acqua alle varie fontane della città.

Tra l’800 e il 900 l’espansione della città e delle sue attività portò alla realizzazione di una nuova rete idrica e di un lavoro di sistemazione della fonte, per renderla più igienica: furono abbattute delle costruzioni a ridosso della fonte e fu realizzata una copertura per il laghetto, ulteriormente ampliato; questo intervento rese la fonte così com’è oggi. Nel corso del XX secolo la portata della fonte di Mompiano si è progressivamente ridotta, a causa della trivel-lazione del terreno ad opera di privati e industrie della zona. In seguito si è aggiunto anche l’inquinamento chimico del-la stessa acqua, che ha reso molti pozzi inutilizzabili. Dagli anni ’70 la fonte di Mompiano ha cominciato ad avere perio-di di secca e attualmente copre solamente il 14% del fabbi-sogno cittadino, mentre la maggior parte di esso è garantito da un agglomerato di circa quaranta pozzi. Anche grazie a questa visita i ragazzi hanno potuto riflettere sull’importanza dell’acqua, fonte indispensabile, ma soprattutto esauribile; ecco allora la necessità di eliminare gli sprechi, rispettando così l’uomo e la natura.

Visite didattiche, esperienze, progetti, incontri e testimo-nianze… Qualcuno si chiederà: “Ma quando fate scuola?”. Noi rispondiamo: “E’ scuola, scuola viva come l’acqua!”.

Roberta Sanzeni

LA PARTITA della SCUOLA

E’ il mio turno di sorveglianza. Dal ballatoio che dà sul cortile interno della scuola osservo i nostri alunni durante la pausa ricreativa. Le ragazze si raggruppano sui giochi e parlottano senza tregua, poi, sempre in gruppo si spostano in cerca dell’ulti-mo spiraglio di sole che sta debolmente riscaldan-do il muretto.

I ragazzi sono in campo, è giocoforza organiz-zare ogni giorno una partita… Sembra di essere ai campionati mondiali di calcio: seri, pronti, organiz-zati, ognuno col proprio ruolo.

Rifletto: la scuola, come la vita, è una perenne partita con un arbitro che dà il segnale di inizio e di fine, i giocatori che corrono senza sosta dietro il pallone; scarti, rimesse, calci d’angolo, goal so-gnati e mai realizzati, goal di fortuna, goal di de-strezza.

Allenatori in panchina che guardano, come me in questo momento, come si svolgono gli even-ti, soddisfatti per chi fa bene, preoccupati per chi non ha ancora acquisito una tecnica, col pensiero sempre rivolto a nuove modalità e strategie.

Successi e insuccessi si alternano e per noi allenatori diventano occasioni per rimettersi in di-scussione, ben consapevoli che si cresce “insie-me” ai nostri giocatori da stimolare, stimare, inco-raggiare, ammonire, quando occorre.

Niente è scontato nella vita. Così come in edu-cazione. Gli spettatori vedono i risultati parziali di un lungo e faticoso processo che ai più rimane in-comprensibile.

Si fa presto ad infierire contro l’arbitro di turno che forse non ha visto il fallo del più arrivista, che non esibisce il cartellino giallo o addirittura quello rosso dell’espulsione.

In una partita si può vincere o perdere; in educa-zione no, dobbiamo essere tutti vincenti, grazie a comportamenti che gli alunni mi insegnano quan-do in campo si danno pacche sulle spalle per con-solare chi non è riuscito a segnare, quando dicono ai compagni “dai, ce la puoi fare”, quando esulta-no per un buon tiro, quando aprono rassegnati le braccia per azioni impossibili.

Ogni giorno a scuola si gioca una partita,ognuno assume il suo ruolo, quello che ci mette in campo con quella “passione” educativa che ci anima e ci fa correre insieme ai nostri giocatori fino al fischio che segna la fine, vincitori o vinti…. Ma sempre in gara!

Domenica Busi

La fonte di Mompiano

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USO BOTTICINO

E’ giunto quasi alla fine il girone di andata per la Dumper Botticino, impegnata anche per la sta-

gione 2013/2014 nel campionato Anspi di calcio a 7 categoria amatori. Dopo un inizio sotto tono i ragazzi di mister Moreschi hanno ingranato la giusta marcia, to-gliendosi la grande soddisfazione di battere in un’ avvin-

cente partita la capolista Castenedolo davanti al pubblico amico ; giochi per la vittoria finale quindi riaperti , con la speranza di poter riconquistare il primato che come lo scorso anno consentirà ‘ di partecipare alle finali provinciali. In concomitanza col campionato partirà inoltre a Gennaio anche la Coppa Anspi , manifestazione già vinta nel 2012 e che si vuole tentare di ripor-tare per la seconda volta nel paese del marmo .Stimolante ed importante e’ la competizione sportiva, fondamentale la voglia di stare insieme e la solida amicizia che lega il gruppo. Per questo ci ritroveremo sabato 21 dicembre alle ore 19 presso il teatro dell’oratorio di Botticino Mattina, una serata in cui all’insegna della “porchetta” e di tanto divertimento ci scambieremo gli auguri di Buon Natale (per prenotarsi contattare dirigenti/giocatori della squadra). Serene festività a tutti , vi aspettiamo numerosi a sostenerci !

Dumper per sport e amicizia

Sui campanili di Botticino

“... e più delle parole, si sentivano i tocchi misurati e sonori della campana che annunziava il finir del giorno”. Così scriveva Alessan-dro Manzoni, nel VII capitolo de “I promessi sposi” mentre Renzo e Lucia si apprestavano a tentar la gabola col povero don Abbondio.

Quel suono calmo annunciava l’arrivo della sera, diverso da quello delle campane che, un tem-po, avvisavano dell’approssimarsi di calamità naturali o dei rintocchi per scopi civili: per raccogliere il popolo, il segnale d’inizio delle lezioni scolastiche, per avvertire la popolazione del riunirsi del consiglio comunale, dettare i tempi del lavoro e del riposo... Quel suono che è stato momento di allegria, consolazione, aiuto, nello scandire i momenti della vita quotidiana.

Tutti noi abbiamo un ricordo (felice, triste, nostalgico ...) legato al suono delle campane: l’Ange-lus della sera, il mezzogiorno festoso, i rintocchi a “morto” che parlano di un parente, di un amico che ci ha lasciato ...

Nessuno può scordare il suono delle campane “slegate” e battenti a festa la vigilia di Pasqua, all’approssimarsi della notte, quando le nostre mamme ci bagnavano gli occhi, come auspicio al mantenimento di una buona vista. Quello stesso scampanio rinfocola la nostra nostalgia per quei momenti, per quelle emozioni...

Il suono delle campane è strumento religioso che dà una connotazione concreta ai sentimenti di donne e uomini chiamati alle pratiche liturgiche, all’umanità che si rapporta a Dio. Le campane accompagnano il cristiano per tutta la vita: lo accolgono festosamente per il battesimo, la cresima, il matrimonio e per altre svariate circostanze solenni e gioiose; poi, al termine della vita, lo accom-pagnano sino all’ultima dimora terrena.

Chiamano i fedeli attorno all’altare del Signore per celebrare i santi misteri della Messa e, oggi come ieri, all’alba, a mezzogiorno e al tramonto del sole invitano gli uomini alla preghiera, quasi “voce di Dio che chiama “.

Quel suono è stato il simbolo sonoro della comunità raccolta intorno al campanile, ne ha dettato itempi e il loro scorrere. Oggi la sempre più frequente richiesta di zittirle è uno dei segni dell’in-

dividualismo, dell’estremo pensiero dell’io egocentrico che vorrebbe dare un ritmo personale alla propria angoscia del vivere.

Restituire la loro storia alle campane delle nostre contrade è un modo, seppure modesto, di riportare al senso di comunità uno strumento che la modernità e la tecnica hanno cambiato. Non

è un’operazione nostalgica, ma la consa-pevolezza che il futuro ha radici antiche.

Ci provano, a raccontare queste picco-le storie botticinesi, alcuni nostri concitta-dini, con un libricino dal titolo “SUI CAM-PANILI DI BOTTICINO” che riporta testi e ricerche documentali curati da Avelino Busi, Giacomo Rossi, Fabio Secondi, con i contributi di don Sandro Gorni e GioPie-tro Biemmi.

Oltre alla sintesi storica e al racconto di qualche gustoso aneddoto, viene esplica-ta la differenza del suono dei tre concerti di campane collocati sui campanili di San Gallo, Botticino Mattina e Botticino Sera, diversità dei concerti la cui conoscenza si può avere semplicemente avvicinandosi ai campanili mezz’ora prima delle celebra-zioni liturgiche per ascoltarli attentamente o, magari anche, registrarne il suono!

Un tocco! Un tocco grave e poi silenzio!Un altro tocco non meno grave del primo, ma un tocco più alto lo segue e così via fino a che tutte cinque le nostre campane in un triste crescendo hanno fatto sentire la loro voce di pianto per accompagnare con il loro suono chi ha lasciato per sempre questo mondo. E l’ultimo saluto accompagnerà il nostro fratello fino a che non avrà varcato la soglia del cimitero toccherà alla campana maggiore con i suoi rintocchi gravi e solenni quasi con la sua voce di pianto a raccomandare l’anima al suo Creatore.

Con le festività natalizie finiscono i gironi di andata dei campionati di calcio che vedono impegnate le squadre dell’ U.S.O. BOTTICINO.Squadre che si sono ben comportate sotto tutti i punti di vista, sia sportivo che comportamentale.Dal punto di vista sportivo le due squadre Open sono prime nei rispettivi gironi di appartenenza e le due squadre di bambini sono seconde nei loro gironi. Se abbiamo ottenuto dei buoni risultati con i bambini dobbiamo ringra-ziare gli allenatori che li seguono negli allenamenti con passione e competenza. Un ringraziamento ai genitori che con la loro costante presenza e aiuto ci permettono di svolgere al meglio il nostro compito. Con la presente l’U.S.O. BOTTICINO augura a tutta l’UNITA’ PASTORALE un BUON NATALE e un felice Anno Nuovo.

Il Presidente Stefano Franchini

GITA - PELLEGRINAGGIO A

SOTTO IL MONTE PAPA GIOVANNIvenerdì 27 dicembre 2013Partenza ore 8,00 da Botticino(piazzali chiese di Botticino)Arrivo a Sotto il Monte visita guidata ai luoghidi Papa Giovanni XXIII. S.Messa. Pranzo. Continuazione visita.

Al ritorno visita ai presepi di BORNATO una raccolta di 1000 presepi provenienti da tutto il mondo.Informazioni e iscrizioni presso segreteria 0302692094o sacrestie. Quota di partecipazione comprensiva di guida e pranzo € 45,00

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Ogni chiamata spinge ad uscire da se stes-si, ogni vocazione è per un dono da offrire. La Chiesa è convocazione di chiama-ti per andare verso l’altro e verso l’Altro… che si incontra sempre in periferia.E poiché nessuno è lontano dal Cuore di Dio, ogni volta che l’incontro avviene, ritor-niamo al Centro della Vita: esistere per Amore.

DIOCESI - ZONA PASTORALE

Incontro...al limiteitinerario di spiritualità per ado e giovani

presso Casa Madre Suore Operaie Botticino Seravenerdì 24 gennaio - martedì 18 febbraio

21-22 dicembre ritiro spirituale presso frati Rezzato

Giornate di spiritualità per giovani presso l’Eremo di Bienno

VERSO TEmeditazioni del Vescovo Luciano

25-27 aprile 2014

NELLE PARROCCHIE DI BOTTICINOdurante la settimana varie opportunità

di incontro di formazione presso l’oratorioper adolescenti ogni giovedì e venerdì ore 20,30per giovani ogni venerdì ore 20,30

x credere x cercare x condividere

proposte di qualitàper adolescenti e giovan

Progetto Giovani & Comunitàquattro mesi di esperienza per i giovani e le giovani di età compresa tra i 18 e i 28 anni che, attraverso la

vita comunitaria e il servizio, si confrontano sulle proprie scelte di vita ispirate ai valori cristianiinfo: Ufficio Caritas 030.3757746 Ufficio Vocazioni 030.3722245

Celebrazione penitenzialelunedì 23 dicembre 2013 ore 20.30

presso chiesa Botticino Sera

Scuola di Preghiera in Cattedrale

Seguendo il Maestro...oltre il limitepresieduta dal Vescovo

quattro giovedì di Quaresima - ore 20.3013 marzo 2014 - 20 marzo201427 marzo 2014 - 3 aprile 2014

Pellegrinaggi Ti seguo…a ruota27-30 giugno 2014 Ti seguo… a ruota (VI edizione)Pellegrinaggio in bicicletta con soste di riflessione, preghiera e testimonianze ORA et… “pedala” agosto 2014 sui Tuoi passi (IV edizione) Pellegrinaggio a piedi con soste di riflessione, preghiera, condivisione, testimonianze e servizio ORA et… “cammina”

gruppo vocazionale diocesano per giovani dai 18 anni che non escludono la vocazione sacerdotale

presso il Seminario diocesano una domenica al mese dalle ore 12.30 alle 18.00

il PANE che rimane e la PAROLA che invia

22/12/2013 -12/1 -23/2- 23/3 - 25-27/4 25/5 -22/6/2014 Corsi per animatori oratorio, per chi vuole

fare esperienza in missione, per chi vuole specializzarsi in teatro, animazione e tecniche della comunicazione....informazioni presso le parrocchie

Esperienze di carità, di festa,di fraternità, di divertimento

Emmaus

gruppo vocazionale diocesanoper le giovani e i giovani dai 18 anni aperto al discernimento di tutte le vocazioni (vita matrimoniale, consacrata, missionaria, diaconale, presbiterale… ) una domenica al

mese - dalle 9 alle 17.00 il percorso è condiviso con l’Ufficio Missionario

ESTRO-VERSI12 /2/2014 MANDATI IN PERIFERIA Francescani - Brescia

2/2/ 2014 SUI PASSI DEI SANTI Salesiani - Nave18 /5/ 2014 UN DONO DA CONDIVIDERE Comboniani – Limone sul Garda

Sichar

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incontri genitori (1)dei ragazzi 2 media

“ACCOMPAGNARE LA MATURAZIONE PSICO-SESSUALE

DEI FIGLI NELL’OTTICA DELL’AMORE CRISTIANO”

Una serie di incontri con l’intento di fornire alcuni stimoli sull’importante compito

di educare i figli all’amore e alla sessualità.Occasione quindi per il dialogo e per poter

condividere con altri l’impegnativa e arricchente arte del vivere in relazione

con i propri figli e altre figure educative.

giovedì 19 dicembre 2013 - ore 20.30 CHI È MIO FIGLIO CHI E È MIA FIGLIA

PRE-ADOLESCENTE ?Far riflettere i genitori sui principali aspetti

educativo-evolutivi dell’adolescenza dott.ssa Chiara Sandrini

giovedì 16 gennaio 2014_

ore 20.30 “MIO FIGLIO E MIA FIGLIA SONO FAT-

TI COSÌ. IL MONDO PSICOSOCIALE DEI PREADOLESCENTI “

dott.ssa Sara Gozzini

giovedì 27 febbraio 2014 - ore 20.30 “E’ BELLO CIÒ CHE È GIUSTO

E NON SOLO CIÒ CHE È PIACEVOLE. CRITERI ETICI UMANI E CRISTIANI

SULLE RELAZIONI AFFETTIVE”. dott.ssa Laura Piccinelli

giovedì 27 marzo 2014 - ore 20.30 “ACCOMPAGNARE I PREADOLESCENTI

IN CAMMINO VERSO L’AMORE” dott. Federico Ratti

giovedì 8 maggio 2014 - ore 20.30 “STILI EDUCATIVI

GENITORIALI EFFICACI”dott.ssa Chiara Sandrini

presso oratorio Bottiicino Sera

incontri genitori (2)dei ragazzi 3 media e 1^ superiore

“NAVIGARE A VISTA?COME AIUTARE

GLI ADOLESCENTI AD AFFRONTARE

IL MARE DELLA VITA”“

Continuano gli incontri con l’intento di fornire alcuni stimoli sull’importante com-pito di educare i figli nell’eta’ dell’adole-

scenza. Occasione quindi per il dialogo e per poter condividere con altri l’impegnati-va e arricchente arte del vivere in relazione

con i propri figli e altre figure educative.

Venerdì 20 dicembre 2013 - ore 20,30“NAVIGARE A VISTA?

COME AIUTARE GLI ADOLESCENTI AD AFFRONTARE IL MARE

DELLA VITA”dott.ssa Beatrice Ruggeri,pedagogista

Venerdì 17 gennaio 2014 - ore 20,30“SALPARE: SOGNI E BISOGNI DEGLI ADOLESCENTI OGGI”

dott.ssa Loredana Abeni,Pedagogista

Venerdì 28 febbraio 2014 - ore 20,30“NAVIGARE: STRUMENTI PER

LA RELAZIONE ORIENTATRICE”dottor Federico Ratti, Psicologo

Venerdì 28 marzo 2014 - ore 20,30“COMPAGNI DI VIAGGIO:

RESPONSABILITÀ EDUCATIVA E PROCESSI DI CAMBIAMENTO

NELLA RELAZIONE GENITORI-FIGLI

DURANTE L’ADOLESCENZA”dott.ssa Chiara Sandrini,Pedagogista

Venerdì 9 maggio 2014 - ore 20,30

“L’APPRODO: LA COSTRUZIONE DELL’IDENTITÀ NELL’ADOLESCENZA”

dott.ssa Laura Piccinelli,Psicologa presso oratorio Bottiicino Sera

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Luci, addobbi, clima festante. L’atmosfera natalizia, ormai,

ha già invaso strade e piazze, ma per noi, gruppo di volontari di San Gallo, Natale non può che far rima con Presepe. Così, dall’ini-zio dell’ottobre scorso ci siamo dati appuntamento in quella che, dal 1985, è la nostra casa, ovve-ro i locali dell’oratorio, e abbiamo cominciato a muovere polvere per fare spazio alla nuova edizione del Presepio. E quest’anno, accan-tonate le ambientazioni che poco o molto hanno a che fare con la nostra storia e la nostra tradizio-ne, abbiamo voluto creare un alle-stimento che fosse simbolo della

comunità. Senza svelare troppo, possiamo assicurarvi che chi verrà a visitare il presepio dunque si troverà un po’ distante dalle passate edizioni, ma direttamente proiettato nel cuore della comunità. La scenografia, infatti, abbraccerà gli spettatori facendoli diventare al contempo protagonisti della stessa, mentre gli effetti video, gli immancabili punti voce, così come l’alternarsi del giorno e della notte, e delle diverse condizioni atmosferiche contribuiranno a ricreare la magia della nascita di Gesù. Vi aspettiamo quindi nei nostri spazi dal 25 dicembre al 19 gennaio nei giorni festivi dalle 10.30 alle 12 e dalle 14.30 alle 19, mentre nei feriali fino al 4 gennaio, dalle 14 alle 17.Buon Natale!

Gruppo Presepio Oratorio di San Gallo

29° edizione Presepio oratorio San Gallo

Bellaria settembre 2012

ultimo dell’anno in oratorio Presso gli oratori la festa dell’ultimo dell’anno

per le famiglie con attività di animazionePer in fo rmaz ion i e i s c r i z i on i :

BOTTICINO MATTINA Tecla 3404179216 - Claudia 3480325970 - € 25,00 adulti €15,00 bambini dai 4 ai 12 anniSAN GALLO Silvana 0302199893 Carolina 0302199951 € 25,00 adulti (per bambini prezzo diverso)

BOTTICINO SERA segreteria presso oratorio tel.0302692094 € 25,00 adulti € 15,00 bambini

Per adolescenti e 3^ media delle tre parrocchie presso l’oratorio di Sera e Mattina con possibilità di cena e animazioneQuota di partecipazione € 15,00; iscrizione presso la segreteria a Sera.

.

Parrocchie di: Buffalora•Caionvico•S.Angela Merici•S.Eufemia•S.Luigi Gonzaga•S.Polo• Rezzato S.Carlo•Rezzato S.Giovanni Battista•Unità Pastorale Botticino Circoli ACLI: Bird•Botticino•Caionvico•Castenedolo•S.Eufemia•S.Polo•Rezzato

Comuni di: Botticino•Castenedolo•Rezzato Azione Cattolica S.Eufemia•Consulta per la pace del Comune di Brescia•Emergency Brescia•Gruppo Com. Equo e solidale S.Polo•Libera•UISP•Scout BS7• Associazione Molim•Missionari Comboniani•Gruppo Sermig Rezzato•Amici degli Elefanti Volanti

partenza ore 14 piazzale Chiesa di Caionvico

ore 20.30 Casa Comboni - Brescia

ore 15.30 Teatro parrocchiale di Buffalora

ore 20.30 Sala dei Disciplini – Castenedolo

ore 20.30 Parrocchia di Rezzato S. Carlo

ritrovo ore 12.00 Oratorio S.Maria della Vittoria (via Cremona)

ore 20.30 Oratorio di S.Eufemia

RACCOLTA FERRO E TAPPI

Le parrocchie di Botticino, attraverso i volontari, ri-prendono la raccolta di materiali ferrosi. Le famiglie o ditte che hanno ferro, alluminio, ottone...ecc. che vo-gliono eliminare, possono contattare i seguenti numeri telefonici 3338498643 oppure 3283108944, o presso la segreteria dell’Unità Pastorale 030 2692094 per accor-darsi sulla modalità del ritiro che può avvenire tramite le persone incaricate o indicare il luogo della raccolta.Si raccolgono anche tappi di plastica che possono es-sere direttamente consegnati presso gli oratori di Bot-ticinoIl ricavato della vendita servirà per le necessità delle tre parrocchie.

sito web delle parrocchie di Botticino:

www.parrocchiebotticino.it

La comunità si fa culla per la nascita di Gesù

La parrocchia e il gruppo presepio oratorio San Gallo organizzano:

Diamo luce al Presepio…Piccola rassegna di presepi di San Gallo e del mondo

Se credi ancora che fare il presepio possa essere un momento bello, di fede e tradizione , non farti domande. Costruisci il tuo presepe… non importa con che materiale, in quale stile, l’ importante che serva a te, ad avvicinarti al vero Natale e possa donare

a chi lo vedrà un momento di gioia e serenità…Anche quest’anno ti chiediamo

di condividere il tuo presepio con tutti noi… come?Basta segnalarlo entro domenica 22 dicembre a Egidio , Renzo o Pietro.

,Passeremo a visitarlo e faremo alcune fotografie che da quest’ anno pubblicheremo sul sito del presepio www.sangallopresepio.it…

Sarà un modo per condividere le tue idee con tutti coloro che lo vorranno .

Per coloro che non sono di San Gallo basta mandare una foto del pro-prio presepio all’ indirizzo di posta [email protected] con nome

e cognome e verrà messa sul sito (vedi indicazioni sul sito stesso)Egidio 030 2199982 Renzo 030 2199863 Pietro 030 2199881

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festività natalizie

GIORNATA PENITENZIALE e del PERDONO SACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONE

per riallacciare i rapporti di pace con Dio e i fratellimercoledì 18 a San Gallo - giovedì 19 a Botticino Mattina - venerdì 20 a Botticino Sera

***Celebrazione Comunitaria della Riconciliazione con confessioni a San Gallo, Botticino Sera e Mattina 16,00 e 20,00 (Villaggio venerdì 20 dicembre ore 9.30)

LUNEDI’ 23 DICEMBRE ORE 19,00 PENITENZIALE PER ADOLESCENTI-GIOVANI Confessioni individuali martedì 24 dicembre a BOTTICINO SERA dalle 10,00 alle 11,00 e dalle 15,00 alle 18,30 a BOTTICINO MATTINA dalle 15,00 alle 18,30 a SAN GALLO 18,00-20,00

sabato 22 febbraio 2014Liturgia della Parola e Cresime celebrate dal Vescovo di Brescia per le parrocchie Unità Pastorale di Botticino Basilica-Santuario di Botticino Sera ore 16,00

domenica 23 febbraio 2014 S.Messa di Prima Comunione

Botticino Sera - Botticino Mattina

***SOLENNITA' DEL SANTO NATALE S.Messa nella vigilia ore 17,00 chiesa Sacra Famiglia SANTA MESSA NELLA NOTTE ore 21,00 a San Gallo - ore 22,30 a Botticino Sera - ore 24,00 a Botticino Mattina SANTE MESSE NEL GIORNO come orario festivo. Vespro e benedizione ore 16,00 a S.Gallo e Sera - ore 17,00 a Mattina*** giovedì 26 dicembre: S.Stefano S.Gallo ore 10,00 - Botticino Mattina ore 9,30 - Botticino Sera ore 8,00 e 10,45

*** domenica 29 dicembre: SACRA FAMIGLIA: orario festivo ***martedì’ 31 dicembre S.MESSA DI RINGRAZIAMENTO a San Gallo ore 18,30 - Botticino Sera ore 18,30 (ore 16,00 villaggio) a Botticino Mattina ore 19,00***mercoledì 1 GENNAIO 2014 SS.MADRE DI DIO e GIORNATA DELLA PACE A BOTTICINO SERA ore 10,45 - 16,00 - 18,45 A SAN GALLO ore 17,30 A BOTTICINO MATTINA ore 9,30 e 17,30

***lunedì 6 gennaio EPIFANIA DEL SIGNORE S.MESSE orario festivo ore 16,00 nelle tre chiese parrocchiali Vespri - bacio a Gesù Bambino e benedizione bambini***domenica 12 gennaio: BATTESIMO DEL SIGNORE S.MESSE orario festivo ore 10,45 consegna ai genitori, dei battezzati, del “Catechismo dei bambini”