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POLITECNICO DI TORINO Corso di Laurea in Ingegneria Meccanica Tesi di Laurea NANOPARTICELLE PER IL RILASCIO CONTROLLATO DI FARMACI, MODELLIZZAZIONE MATEMATICA Relatori prof Gianluca Ciardelli ........................... prof Luigi Preziosi ........................... Candidato Gaetano Chirico Dicembre 2018

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POLITECNICO DI TORINO Corso di Laurea in Ingegneria Meccanica

Tesi di Laurea

NANOPARTICELLE PER IL RILASCIO CONTROLLATO DI FARMACI,

MODELLIZZAZIONE MATEMATICA

Relatori

prof Gianluca Ciardelli

...........................

prof Luigi Preziosi

...........................

Candidato

Gaetano Chirico

Dicembre 2018

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Indice

1 Introduzione ......................................................................................................................... 1

1.1 Nanoscienza e Nanotecnologie ............................................................................................... 1

1.2 Nanotecnologie nella terapia del cancro ................................................................................ 4

1.2.1 Malattia neoplastica ........................................................................................................ 4

1.2.2 Nanoparticelle come veicolo di farmaci .......................................................................... 8

1.2.3 Targeting passivo e targeting attivo .............................................................................. 14

1.2.4 Attuali orientamenti di ricerca e strategie innovative in teranostica .......................... 15

2 Meccanismi di rilascio ......................................................................................................... 17

3 Modelli matematici in farmacocinetica e nel drug release .................................................... 20

4 Modelli compartimentali ..................................................................................................... 29

4.1 Modelli compartimentali in farmacocinetica ........................................................................ 29

4.2 Modello di rilascio da dispositivi drug delivery di dimensione nanometrica. ....................... 33

5 Parte sperimentale ............................................................................................................. 45

5.1 Materiali e metodi ................................................................................................................. 45

5.2 Fitting dei dati........................................................................................................................ 52

6 Conclusioni ......................................................................................................................... 60

Appendice .................................................................................................................................. 63

Ringraziamenti ........................................................................................................................... 79

7 Bibliografia ......................................................................................................................... 80

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Niente nella vita va temuto, dev’essere solamente

compreso. Ora è tempo di comprendere di più, così possiamo temere di meno. (Marie Curie)

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1 Introduzione 1.1 Nanoscienza e Nanotecnologie

“There's Plenty of Room at the Bottom” (“c'è un sacco di spazio giù in fondo”) così dal titolo di una celebre conferenza tenuta dal fisico e Premio Nobel Richard Feynman (1959) prende forma l'idea e il concetto di nanoscienza e nanotecnologia [1]. Secondo quanto riportato in un documento di consenso e promozione sullo studio delle nanotecnologie (redatto dalla Commissione Europea), si intende per Nanoscienza lo “studio dei fenomeni e manipolazione della materia su scala atomica, molecolare e macromolecolare con proprietà che si modificano in base alla scala considerata”. Invece con il termine Nanotecnologia, si intende la “progettazione, caratterizzazione, produzione e applicazione di strutture, dispositivi e sistemi con forma e dimensione nanometrica” [2] Il campo delle nanotecnologie è in rapida crescita e continua evoluzione e richiede la convergenza di ricercatori provenienti da diversi campi: chimica, fisica, biologia, ingegneria e matematica [3]. Feynman ipotizzò già allora che si potesse intervenire sulla materia a livello molecolare e atomico per ottenere vari dispositivi utilizzabili nei più disparati ambiti scientifico-tecnologici. trascorsi 15 anni dalla conferenza tenuta da Feynman al California Institute of Technology, il giapponese Norio Taniguchi per primo adoperò il termine "nanotecnologie" riferendosi al processo di semiconduzone che avviene appunto su scala nanometrica [4]. Ma fu nel corso degli anni '80 del secolo scorso che le nanotecnologie presero slancio e vitalità grazie anche a nomi famosi del panorama scientifico mondiale che ad essa si dedicarono. In quegli anni Kroto, Smalley e Curl scoprirono il fullerene e Eric Drexler del Massachusetts Institute of Technology pubblica nel 1986 il libro intitolato "Motori di creazione" in cui riprende ed evolve l'idea originaria di Feynman parlando di "costruzioni" molecolari di complessità arbitraria [4] . Un ulteriore passo avanti si è avuto grazie alla scoperta da parte di uno scienziato giapponese dei nanotubi al carbonio (Iijima 1991). Negli anni 2000 due presidenti degli Stati Uniti (Clinton e Bush) diedero impulso al settore manifestando interesse e approvando la legge che costituiva il NNI (National Technology Initiative) una sorta di coordinamento scientifico che dirigeva la partecipazione di vari dipartimenti americani nella ricerca nanotecnologica [1] [4]. Molte scoperte son state fatte, e molti campi del sapere di base e applicativi sono stati interessati dalle nanotecnologie in poco più di quarant'anni di ricerca. Uno dei principali campi in cui le nanotecnologie hanno trovato applicazione è di certo quello biomedicale. Oltre al rilascio controllato di farmaci, le nanotecnologie hanno trovato applicazione nella realizzazione di biomateriali innovativi, tessuti ingegnerizzati, biosensori, e sonde molecolari. Altre applicazioni riguardano l'industria cosmetica e alimentare e molti altri settori manifatturieri [4]. Gli oggetti su scala nanometrica presentano delle caratteristiche fisiche che li rendono versatili e funzionali per gli scopi più vari. Innanzitutto la dimensione (si parla di particelle che vanno da 1 e 100 nm ,[Figura 1]) conferisce alle nanoparticelle proprietà strutturali, elettromagnetiche, ottiche e meccaniche nuove e diverse rispetto a quelle degli stessi materiali con dimensioni più grandi. Le nanoparticelle presentano un’area superficiale notevole che conferisce elevata reattività (questo vuol dire che la maggior parte degli atomi che le costituiscono si trovano sulla superficie e non nel core) rispetto a molecole di dimensioni maggiori.

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Figura 1 Scala dimensionale di oggetti che vanno dal nanoscopico al macroscopico (tratto da: Lee Ventola C. The Nanomedicine Revolution part1 (Pharmacy and Therapeutics 2012)

Svariati sono i campi della medicina che possono avvalersi dell'uso di nanomateriali. Si va dalla diagnostica, all'oncologia, alla biologia molecolare, immunologia e farmacologia. Oltre che nelle terapie oncologiche i nanofarmaci possono essere utilizzati nella cura del diabete, delle vasculopatie, nelle malattie infettive [5] e immunologiche [6]. Risulta abbastanza laborioso stilare una classificazione univoca e onnicomprensiva delle nanoparticelle e dei materiali nanostrutturati per via della variabilità delle caratteristiche chimico-fisiche e meccaniche di ognuno di essi. Una prima classificazione può essere fatta in base al materiale di origine. in questo caso i nanomateriali possono essere classificati in quattro gruppi

1. Materiali derivanti dal Carbonio: Fullerene, nanotubi al carbonio, nanofibre di carbonio, grafene.

2. Nanomateriali a base inorganica: nanoparticelle a base di metalli e dei loro ossidi (oro, zinco, titanio).

3. Nanomateriali organici: che hanno come materia prima sostanze organiche e sono: dendrimeri, micelle, liposomi e polimeri.

4. Materiali nanostrutturati: derivano dall'unione di materiali classici uniti a materiali nanometrici i quali vengono inseriti nella struttura o nella superficie.

D'altronde possiamo fare una distinzione dei nanomateriali anche in base all'origine dei materiali costituenti. In base a questo principio abbiamo

1. Materiali di origine naturale: sono prodotti da specie biologiche e sono presenti nel suolo, nell'aria ad ogni livello dell'atmosfera terrestre.

2. Materiali sintetici o ingegnerizzati sono prodotti ad esempio dallo scarico dei motori termici, o sintetizzati in laboratorio.

Si producono nanoparticelle dalle emissioni vulcaniche, dagli incendi e in vari cicli naturali che avvengono in atmosfera. Alla produzione di nanoparticelle contribuisce anche l'uomo attraverso l'attività antropica: motori a combustione per la produzione di energia e come vettori di trasporto, fumo di sigaretta. In ambiente naturale possono trovarsi nanoparticelle prodotte da organismi o microrganismi come batteri, alghe, insetti, ma anche nel modo vegetale si trovano molecole di dimensione nanometrica [7].

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Ultimamente particolare attenzione è stata posta sullo studio dei potenziali effetti dannosi di questi nuovi materiali sull'organismo. I pochi dati derivanti dagli studi tossicologici sottolineano come bisogna distinguere le nanoparticelle in base al materiale da cui originano. Le nanoparticelle hanno dimensione paragonabile ai virus per cui in grado di penetrare barriere dell'organismo impenetrabili a materiali di dimensione non nanometrica. I danni che la nanoparticelle possono arrecare all'organismo umano avvengono con diversi meccanismi ( ossidazione, danneggiamento di organelli interni alla cellula, attivazione di composti reattivi con l'ossigeno, danneggiamento di materiale genetico...) [7]. La scarsità di conoscenze sulla potenziale tossicità per l'uomo e l'ambiente, impongono però ulteriori approfondimenti e studi in merito, e molti interrogativi rimangono aperti sui metodi di indagine utilizzati per valutare tale tossicità. Probabilmente trovandosi davanti a nuovi materiali (i nanomateriali), i metodi di indagine della tossicologia classica risultano inadeguati (diversa tossicocinetica e diversa esposizione e vie di assorbimento, diversa meccanica di interazione biologica) [8] [4]. I dati di letteratura sulla biocompatibilità e la sicurezza di questi materiali ci indicano comunque che i materiali di origine polimerica (impiegati nel drug delivery) sono biodegradabili e abbastanza sicuri, contrariamente alle nanoparticelle di origine inorganica che hanno un profilo di tossicità che presenta più rischi [5] [8].

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1.2 Nanotecnologie nella terapia del cancro

1.2.1 Malattia neoplastica

In questo paragrafo si farà cenno alla definizione e alla descrizione delle caratteristiche biologiche del cancro. Ad oggi il cancro risulta essere la seconda causa di morte (nei paesi industrializzati il primato spetta alle malattie cardiovascolari) ed un importante problema di salute pubblica con un rilevante impatto economico sui sistemi sanitari nazionali. Si stima che negli USA nel 2014 ci siano stati 1.665.000 nuove diagnosi di cancro e 585.620 morti mentre nel 2008 circa 12.700.00 nuovi casi e 7.600.000 invece i morti attribuibili alla patologia [9]. La più frequente sede di insorgenza nell'uomo è la prostata, seguita da polmone e colon-retto. Nella donna invece è più frequente nel seno, seguita da polmone e colon-retto. La varietà considerevole di fattori che entrano in gioco sia nello sviluppo che nella progressione della malattia stessa, rendono il cancro una complessa patologia multifattoriale. Sono stati individuati comunque dei fattori di rischio, la cui esposizione determina un maggior rischio di sviluppare la malattia. Molti sono i fattori che concorrono nella genesi della patologia (sia ambientali che derivanti dallo stile di vita): fumo da tabacco, esposizione a carcinogeni chimici o fisici (sostanze chimiche e radiazioni comprese le radiazioni UV), fattori pro-ossidanti che danneggiano il patrimonio genetico della cellula (che possono derivare anche da prodotti di scarto del metabolismo cellulare), alcool, dieta, ormoni. Inoltre vanno menzionate (tra le possibili cause) la predisposizione genetica: i tumori non sono, in genere, malattie ereditarie (solo nel 10% circa dei casi si può individuare una causa nell'ereditarietà) ma esiste comunque una certa familiarità che predispone ad un rischio aumentato se genitori o fratelli hanno sofferto della malattia. Anche l'infiammazione cronica è fattore di rischio per tumori così come certe malattie virali (cancerogenesi virale) [10] [11]. Ma cosa si intende per cancro dal punto di vista biologico? Con il termine cancro ci si riferisce ad una malattia genetica (delle cellule somatiche, non germinali, quindi non ereditaria) in cui l'informazione genetica della cellula (DNA) è danneggiata e questo altera il normale funzionamento dei geni che promuovono le funzioni cellulari, come la crescita e la sopravvivenza (che in generale vengono sovraespressi) e di quelli che le inibiscono (che in genere vengono silenziati) [12]. Il risultato è una proliferazione cellulare incontrollata, evasione dai meccanismi di apoptosi (morte cellulare programmata), invasione tissutale e capacità di metastatizzare [9] [10]. Il danno genetico iniziale avviene in una cellula somatica ed è dovuto a fattori ambientali (vedi sopra) o anche alla casualità (mutazioni spontanee o stocastiche). I geni regolatori coinvolti nel controllo della proliferazione cellulare sono fondamentalmente quattro:

proto-oncogeni: sono una classe di geni deputati al mantenimento dell'omeostasi cellulare, le cui proteine favoriscono (laddove serve) la divisione cellulare controllata, in modo da mantenere integri la struttura e la funzione dei vari tessuti. I proto-oncogeni codificano per diversi tipi di proteine deputate a vario modo alla crescita cellulare fisiologica come per esempio fattori di crescita, recettori per fattori di crescita, trasduttori di segnali a livello citoplasmatico ecc. Una mutazione a carico di questi geni, produce gli oncogeni, che garantiscono alla cellula l'autosufficienza nei segnali di crescita (caratteristica essenziale della cellula neoplastica)

geni oncosoppressori: questi geni hanno il compito di frenare la crescita cellulare e controllarla. Una mutazione a loro carico (mutazione bi-allelica) porta alla

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conseguente perdita della funzione fisiologica inattivandoli. Ad esempio un gene oncosoppressore è il p53, che codifica per un fattore trascrizionale che regola negativamente la progressione agendo sul ciclo cellulare e il gene del retinoblastoma Rb (quando mutato è implicato nello sviluppo del retinoblastoma)

geni che regolano l'apoptosi: sono geni che in condizioni fisiologiche favoriscono la morte di cellule che hanno subito un danno genetico (apoptosi). Quindi nell'adulto la morte cellulare programmata è un meccanismo difensivo che consente di eliminare selettivamente cellule che potrebbero potenzialmente andare incontro a trasformazione neoplastica. Mutazioni a carico di questi geni diminuiscono l'induzione alla morte programmata e garantiscono la sopravvivenza cellulare. E' essenziale per la cellula neoplastica eludere i meccanismi dell'apoptosi

geni coinvolti nella riparazione dei danni del DNA: la fisiologia mette in atto una serie di meccanismi che preservano l'integrità del patrimonio genetico della cellula ed evitano che nella fase replicativa normale, l'eventuale danno al DNA venga trasmesso alle cellule figlie. Questi geni sono essenziali per il mantenimento della stabilità dell'intero genoma. [10].

I tipi di mutazioni che possono avvenire a carico di questi geni possono essere di diverso tipo: mutazioni puntiformi, traslocazioni cromosomiche, delezioni, amplificazioni, inserzioni [12] [11] Hanahan e Weinberg [13] nel tentativo di dare una schematizzazione razionale alla complessità del problema, sintetizzarono le caratteristiche del cancro in otto “capacità” [Figura 2] che la cella tumorale acquisisce nel processo multi-step che la trasforma da normale a neoplastica.

Figura 2: Le caratteristiche del cancro (tratto da: Hanahan D1, Weinberg RA."Hallmarks of cancer: the next generation." Cell 2011))

Queste caratteristiche sono:

1. autosufficienza dei segnali di crescita: rappresenta uno dei tratti fondamentali della cellula neoplastica. Normalmente la cellula è sottoposta ad un accurato controllo nella

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produzione e nel rilascio sei segnali di crescita che dettano le regole che inducono la cellula a moltiplicarsi, funzione indispensabile per il mantenimento in condizioni fisiologiche dei tessuti di cui sono costituiti gli organi. Nelle cellule neoplastiche avviene la totale deregolazione di questi segnali e la cellula va incontro ad una replicazione incontrollata.

2. Insensibilità ai segnali soppressori della crescita: oltre alla autosufficienza dei segnali di crescita un'altra caratteristica acquisita dalle cellule tumorali è l'elusione dei controlli attuati da alcuni geni (geni oncosoppressori) che inibiscono e regolano la crescita cellulare. In parecchie forme tumorali sono stati trovati geni oncosoppressori inattivati.

3. Fuga dai meccanismi di apoptosi: l'apoptosi è la morte cellulare programmata, serve fondamentalmente al mantenimento dell'omeostasi tessutale (alcune cellule muoiono, magari perché danneggiate, e vengono rimpiazzate da altre ma con un esatto bilanciamento in modo che il tessuto e l'organo mantengano integre struttura e funzionalità). Il cancro può essere visto come un difetto di apoptosi, condizione che porta la cellula ad essere immortale.

4. Capacità replicativa illimitata: un'altra fondamentale caratteristica dei tumori è la capacità di replicarsi potenzialmente all'infinito. Questa capacità è unicamente attribuita solo alle cellule neoplastiche. Tutte le altre cellule del corpo un certo numero di divisioni, perdono la capacità di replicarsi (vanno incontro a senescenza e successiva morte). Molte evidenze a riguardo, indicano i telomeri (le strutture protettive della parte terminale dei cromosomi) come responsabili dell'acquisizione da parte della cellula della caratteristica di immortalità.

5. Induzione dell'angiogenesi: ogni cellula ha bisogno di far arrivare a se ossigeno e altre sostanze nutritive di cui ha bisogno per svilupparsi e vivere e allo stesso tempo ha bisogno di disfarsi delle sostanze di scarto del metabolismo. Questo avviene per tutti i tipi di cellule. A maggior ragione, le cellule tumorali in fase attiva di replicazione e con turnover molto elevato hanno bisogno di disporre di una rete di vasi che permetta loro di approvvigionarsi di nutrienti, minerali, ossigeno. Per garantirsi la possibilità di nutrirsi, i tumori attivano una neovascolarizzazione tramite la neoangiogenesi (formazione di nuovi vasi) che garantisce alla massa una rete di capillari per l'apporto di nutrienti e per l'eliminazione delle sostanze di scarto. Ovviamente i nuovi vasi hanno conformazioni e caratteristiche molto diverse dai vasi normali con pareti porose, frutto di una crescita disordinata e impetuosa.

6. Capacità di invasione e metastatizzazione a distanza: è la principale causa di morbidità e mortalità dei tumori. I meccanismi che sottendono la capacità della cellula di separarsi dalla massa di origine e colonizzare a distanza in altri distretti del corpo è stata oggetto di studio negli anni recenti. È un meccanismo complesso che prevede diverse fasi e coinvolge diversi fattori, come le proteine di adesione, l'interazione con cellule del sistema immunitario ecc.. Per semplicità concettuale possiamo dire che è diviso in due fasi consecutive: 1) invasione della matrice cellulare, 2) disseminazione vascolare e impianto delle cellule tumorali.

7. Riprogrammazione del metabolismo energetico: si è visto che la cellula neoplastica ha un modo di sfruttare le risorse energetiche molto diverso dalla cellula normale, cioè vi è un modo diverso di trarre energia dalla molecola di glucosio, metabolizzato attraverso una via metabolica diversa rispetto alla cellula sana (noto come effetto Warburg)

8. Evasione dei meccanismi di sorveglianza immunitaria: oggi sappiamo che il sistema immunitario oltre a difenderci dai patogeni esterni e da tutto quello che viene riconosciuto come “non self” ci difende anche dai tumori. La “sorveglianza”

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immunitaria è una sorta di “servizio di vigilanza” che il nostro sistema immunitario

esercita continuamente per individuare e distruggere sul nascere possibili nuove cellule neoplastiche. Quindi il tumore può essere visto anche come un “fallimento” da

parte del sistema immunitario di riconoscere e distruggere le cellule alterate [13].

Ma quali sono le armi convenzionali che oggi possediamo per combattere il cancro? Fondamentalmente sono tre: la chirurgia, la radioterapia, la terapia sistemica (la chemioterapia, la terapia biologica e l'immunoterapia). Normalmente il cancro viene affrontato attraverso una combinazione delle tre opzioni. Il tasso di mortalità e morbidità delle terapie impiegate è ancora oggi purtroppo molto elevato soprattutto a causa del danno che le terapie provocano nelle cellule sane dovuto alla mancanza di specificità [14]. La terapia sistemica delle malattie neoplastiche trova origine negli anni ’50 (circa) del secolo

scorso nonostante le prime osservazioni sulla tossicità di alcune molecole (e il loro potenziale impiego in oncologia) avvenne già a partire dagli anni ’20 del novecento. A cavallo tra le due guerre avvennero i primi studi su sostanze come le mostarde azotate (di cui si era osservata l’elevata citotossicità) ma la gran parte delle molecole impiegate oggi nella terapia antineoplastica venne scoperta a cavallo tra il 1950 e il 1970 [15]. In questa sede, una rassegna dei farmaci in uso per la terapia delle malattie neoplastiche può essere fatta in base al meccanismo d'azione:

Agenti diretti contro il DNA. In questa classe vanno raggruppati tutti quei farmaci che hanno come bersaglio fondamentalmente il DNA cellulare. Tra questi ricordiamo ciclofosfamide, procarbazina , composti del platino, ecc....

Antibiotici antitumorali. Esercitano la loro azione sulla sintesi del DNA/RNA e sulla funzione delle topoisomerasi (una serie di enzimi fondamentali per il metabolismo del DNA). Tra questi menzioniamo: bleomicina, etoposide, doxorubicina, mitoxantrone ecc...

Agenti Antimetaboliti. Questi farmaci hanno una struttura simile ai metaboliti che sono indispensabili per la sintesi del materiale genetico delle nuove cellule, la loro azione consiste nel sostituirsi ad essi e impedire il processo di sintesi. Ricordiamo: methotrexate, 5-fluorouracile, citarabina liposomiale , gemcitabina.

Agenti Antimitotici. Inibiscono la mitosi cellulare, cioè impediscono che la cellula si replichi. Tre questi ricordiamo: vincristina, vinblastina, paclitaxel, docetaxel, ecc...

Il detto " primum non nocere" purtroppo non può valere per la terapia dei tumori. La grande questione riguardante la chemioterapia che resta ad oggi ancora aperta è rappresentata dalla mole considerevole degli effetti collaterali (sia a breve, sia a lungo termine) che si manifestano in seguito all'uso dei farmaci antineoplastici, e che purtroppo ne limitano il dosaggio, riducendone l'efficacia. L'ingente tossicità restringe di molto l'indice terapeutico di questa classe di farmaci (si definisce indice terapeutico la differenza tra la dose massima somministrabile priva di tossicità e la dose minima, al di sotto della quale non vi è alcun effetto terapeutico) al punto che i farmaci antineoplastici sono, tra quelli oggi presenti sul mercato, quelli che hanno l'indice terapeutico più basso. Nella storia della medicina, la scoperta e l'impiego dei farmaci antitumorali ha rivoluzionato l'oncologia e l'ematologia, cambiando completamente la prognosi e la storia naturale di molte delle malattie tumorali che solo fino a mezzo secolo fa non erano nemmeno trattabili. Oggi, tumori come quelli germinali, alcune leucemie sia infantili che non, alcuni linfomi, hanno una concreta speranza di guarigione [9]. Molte altre malattie neoplastiche beneficiano della

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chemioterapia che rappresenta un componente di uno schema che si avvale dell'impiego sinergico di chirurgia e radioterapia, ma anche dei più moderni farmaci biologici, o a bersaglio molecolare. La prognosi di molte malattie tumorali è oggi migliorata se confrontata solo a pochi decenni fa. Rimangono purtroppo patologie per cui la chemioterapia non ha mostrato un sostanziale aumento dell'aspettativa di vita del paziente, nè un miglioramento della qualità (per esempio carcinoma del pancreas, del fegato, vie biliari, glioblastoma...). Gli effetti collaterali legati al'impiego dei farmaci antineoplastici variano molto in funzione del dosaggio, del tipo di farmaco somministrato ed eventualmente dello schema di somministrazione (se farmaco singolo o in combinazione). Principalmente è il midollo osseo a risentire della tossicità di questi farmaci (mielodepressione, che crea abbassamento di globuli bianchi, rossi, e piastrine, con conseguente aumentato rischio di infezioni, anemia ed emorragie) ma anche le mucose vanno incontro a lesioni (tutti i distretti corporei in cui ci siano cellule in attiva replicazione fisiologica risentono della tossicità, come la mucosa gastrica per esempio ma anche quella delle altre parti del sistema digerente). Altri effetti collaterali riguardano sistema nervoso (centrale e periferico) apparato cardio-vascolare, reni e fegato [9]. In questo panorama le nanotecnologie possono dare un contributo importante, offrendo una serie di vantaggi che vanno dal miglioramento della farmacocinetica e della distribuzione dei farmaci, alla riduzione della tossicità, soprattutto alla possibilità di poter "bersagliare" (targeting passivo e attivo) direttamente le cellule tumorali.

1.2.2 Nanoparticelle come veicolo di farmaci

Le nanotecnologie, hanno avuto forse l’impatto maggiore sulla biomedicina mettendo oggi a disposizione nuovi strumenti che solo fino a pochi anni fa erano frutto dell’immaginazione di

qualche scienziato. Il nuovo campo che emerge dall’unione di nanotecnologie e medicina è

definito con il termine “nanomedicina”. L'applicazione delle nanotecnologie in campo biomedico è possibile perché gran parte dei fenomeni cellulari e sub cellulari coinvolgono molecole di dimensione nanometrica. La gran parte dell’attuale ricerca nel campo della

nanomedicina è oggi rivolta a sviluppare dispositivi e strumenti che sfruttano le nanotecnologie e che hanno lo scopo di migliorare la sicurezza, l’efficacia, e perché no, la

personalizzazione dei trattamenti terapeutici [3]. Tra i sistemi nanodimensionati che trovano impiego in biomedicina, le nano particelle vengono utilizzate come vettori per la “consegna” di farmaci, soprattutto di agenti anti-neoplastici, ma trovano anche applicazione in altri campi della medicina, ad esempio nel trattamento di malattie cardiovascolari, autoimmuni, neurologiche e per i disordini metabolici [16]. Le potenzialità proprie di questi dispositivi nanometrici sono molte e alcune di esse possono essere vantaggiosamente sfruttate nella terapia del cancro. Il basso indice terapeutico, la scarsa efficacia, l’incapacità di superare determinate barriere biologiche (che proteggono alcuni organi e li rendono di difficile accesso ai farmaci), la multiresistenza che le cellule neoplastiche acquistano dopo una prima linea di trattamento, insieme agli effetti collaterali sono i limiti più importanti dei farmaci antineoplastici [17] [18]. L'impiego delle nanotecnologie contribuisce a superare alcuni di questi limiti. Questo per tutta una serie di vantaggi che essi presentano. Ma quali sono i requisiti necessari perché le nanoparticelle siano utili per veicolare e direzionare i farmaci?

Biocompatibilità: le nanoparticelle devono essere formulate con materiale biocompatibili e biodegradabili;

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“Capacità di carico” adeguata, in modo da veicolare la quantità di farmaco necessaria per le esigenze terapeutiche;

Specificità: capacità di distinguere cellule e tessuti patologici da quelli sani; Riduzione dell’effetto “burst”, cioè del rilascio prematuro del farmaco; Consentire un “controllo del rilascio” nel sito desiderato [18].

Il repertorio di nanocarrier impiegati nella terapia del cancro è vario e consiste di nanoparticelle molto versatili con caratteristiche chimico-fisiche e strutturali molto variabili e caratteristiche superficiali che ben si prestano ai diversi usi in campo medico e alla funzionalizzazione nel caso delle terapie target. Una prima distinzione[Figura 3] può essere fatta tra nanoparticelle a base lipidica e nanoparticelle a base polimerica [18]. Tra i carrier a base lipidica possono i più diffusi sono di certo i liposomi.

Figura 3 Nanocarrier studiati come sistemi drug delivery nella terapia del cancro (tratto da Estanqueiro M. et alt. Nanotechnological carriers for cancer chemotherapy:The state of the art.( Colloids and Surfaces B: Biointerfaces 2015)

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I liposomi sono vescicole sferiche costituite da materiale fosfolipidico già note dagli anni sessanta del novecento e molto impiegati nel trasporto di farmaci. Hanno forma sferica e possono essere immaginate come sistemi a guscio, con un core liquido. Diametro e superficie dipendono dal processo di preparazione. I liposomi possono incapsulare farmaci sia idrofilici che idrofobici. E' un materiale assolutamente biocompatibile e biodegradabile. Due farmaci antitumorali, Doxil (doxorubicina) e Daunoxome (daunorubicina) sono stati formulati con questo carrier e hanno dimostrato migliori performance farmacocinetiche e un miglioramento dell'efficacia del principio attivo. Attualmente molta attenzione si sta ponendo alla coniugazione dei liposomi con il polietelenglicole (PEG) che si è visto in molti studi migliorare ulteriormente l'efficacia del nanofarmaco [18]. Le nanoparticelle lipidiche solide (SLN) fanno parte della famiglia dei carrier a base lipidica ma la loro caratteristica è quella di rimanere solide sia alla temperatura ambiente che alla temperatura fisiologica. Questo tipo di nanocarrier presenta ulteriori vantaggi rispetto ad altri sistemi colloidali come la possibilità di attuare un controllo nel rilascio del farmaco e consentire la funzionalizzazione per il targeted delivery; aumento della stabilità della molecola trasportata e compatibilità con molecole sia idrofile che lipofile; ottime caratteristiche di biocompatibilità e facilità di preparazione. Di contro le SLN presentano problemi come la scarsa capacità di carico, e la scarsa stabilità dopo la preparazione. I Self assemble carrier, sono una famiglia di nanoparticelle facenti parte delle nanoparticelle lipidiche, ma sono caratterizzati dal fatto che subiscono un auto arrangiamento delle molecole di cui sono costituite senza formare legami covalenti. Tra questi abbiamo le micelle e i dendrimeri. Le micelle sono formate dall'autoassemblamento di copolimeri anfifilici e presentano caratteristiche molto interessanti perché sono in grado di migliorare la solubilità di farmaci idrofobici, eludere il riconoscimento da parte del sistema immunitario, sfruttare l'effetto EPR. Per contro presentano scarsa stabilità. La stabilità può essere migliorata dalla pegilazione. I dendrimeri sono noti sin dal 1985. Presentano struttura ramificata e ben distribuita che di dirama da un nucleo centrale[Figura 4]

Figura 4 Struttura schematica di un dendrimero (tratto da cancro (tratto da Estanqueiro M. et alt. Nanotechnological carriers for cancer chemotherapy:The state of the art.( Colloids and Surfaces B: Biointerfaces 2015)

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Le molecole di farmaco possono essere intrappolate o coniugate alla struttura del dendrimero durante la sua preparazione. I tipi di farmaci che possono essere preparati con i dendrimeri sono antitumorali, antibiotici, antinfiammatori. Si è visto che associare questi farmaci ai dendrimeri, porta ad una migliore solubilità del farmaco, migliore stabilità, ed efficacia, diminuisce gli effetti collaterali.

Polimeri biodegradabili [Figura 5] sono la classe di nanocarrier per il drug delivery più utilizzata e diffusa. Grazie alla loro estrema versatilità possono essere adottati per formulare nanomedicine per vari impieghi terapeutici. La loro completa biodegradabilità li rende altamente promettenti per ulteriori sviluppi nel campo biofarmaceutico. Caratteristiche peculiari di questa classe di materiali sono: la mancanza di tossicità, la loro stabilità nel sangue, non danno problemi né immunogenici né infiammatori.

Figura 5 Nanoparticelle polimeriche biodegradabili. Schema delle possibili conformazioni strutturali (tratto da A. Kumari, S. Yadav e S. Yadav, «Biodegradable polymeric nanoparticles based drug delivery systems,» Colloids and

Surfaces B: Biointerfaces, vol. 75, pp. 1-18, 2010)

Poli-ε-caprolattone (PCL): è un polimero che presenta spiccate proprietà di biodegradabilità e versatilità che ne consentono un largo impiego in ambito biomedicale. E' un poliestere alifatico ottenuto per polimerizzazione [Figura 6] grazie all'apertura dell'anello del caprolattone [19]. Le sue caratteristiche chimiche, oltre alla completa biodegradabilità (è degradato attraverso idrolisi dei suoi esteri in condizioni fisiologiche, cioè all'interno dell'organismo) sono la capacità di essere "miscibile" con altri polimeri (la copolimerizzazione consente di modificare le proprietà fisico-meccaniche del PCL).

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Figura 6 Sintesi e struttura del Policaprolattone (tratto da: . Z. L Jiang, «Biodegradable and Biobased Polymers,» Applied Plastics Engineering Handbook (Second Edition), pp. 127-143, 2017.)

Le nanoparticelle di PCL sono preparate principalmente con tre metodi: nanoprecipitazione, solvent displacement e solvent evaporation [5]. Tra le principale molecole ad azione farmacologica che sono state formulate con PCL e per le quali si è ottenuto un miglioramento dell'indice terapeutico abbiamo: Tamoxifene e Taxolo (chemioterapici anticancro), insulina nella cura del diabete (preparazione per somministrazione orale), Clonazepam (ansiolitico e sedativo) Anfotericina B (antifungino) [5]. Poly-d,l-lactide-co-glycolide (PLGA): l'Acido poli-lattico, co-glicolico è un'altro dei materiali polimerici usato con successo nel drug delivery in quanto è interamente biodegradabile con meccanismo idrolitico in ambiente fisiologico, producendo monomeri, acido lattico e acido glicolico [Figura 7]. Presenta un bassissimo profilo di tossicità in quanto i prodotti della sua idrolisi sono facilmente metabolizzati dall'organismo [5].

Figura 7 Idrolisi del PLGA con conseguente formazione di acido lattico e acido glicolico (tratto da: A. Kumari, et alt. «Biodegradable polymeric nanoparticles based drug delivery systems,» Colloids and Surfaces B: Biointerfaces, vol. 75,

pp. 1-18, 2010 [5]

I metodi usati per la preparazione di nanoparticelle a base di PLGA sono diversi [20] ma possiamo elencare i principali:

Emulsification-diffusion Solvent emulsion-evaporation interfacial disposition nanoprecipitation method

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Le proprietà fisico chimiche della nanoparticella dipenderanno quindi dal tipo di preparazione, e da questo dipende anche la cinetica di degradazione della nanoparticella. La grande versatilità di questo tipo di materiale consente il suo uso come veicolo di vari tipi di farmaci tra cui: antineoplastici ( Camptotechina, Paclitaxel, Cisplatino, Xantone, Rosa del Bengala, Triptorelina, Desametasone), farmaci per il trattamento del diabete come l'insulina, psicofarmaci (come l'Aloperidolo) e ormoni (Estradiolo) [5]. Polylactic acid (PLA): l'Acido Polilattico è un poliestere naturale costituito da monomeri di acido lattico [Figura 8] ottenuto dalla fermentazione di carboidrati ad opera di batteri.

Le nanoparticelle in PLA possono essere preparate utilizzando sostanzialmente tre metodi diversi:

Solvent evaporation Solvent displacement Salting out Solvent diffusion

Figura 8 Sintesi del PLA (tratto da: . Z. L Jiang, «Biodegradable and Biobased Polymers,» Applied Plastics Engineering Handbook (Second Edition), pp. 127-143, 2017. [19]

Il repertorio dei farmaci formulati con i dispositivi a a base di PLA comprende: psicofarmaci, farmaci per rivascolarizzazione coronarica (angioplastica), ormoni (progesterone) [5]

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1.2.3 Targeting passivo e targeting attivo

Quando si parla di targeting passivo per quanto riguarda i nanocarrier ci si riferisce al vantaggio che le nanoparticelle hanno ad accumularsi preferenzialmente nella massa tumorale. Questo effetto è denominato EPR [Figura 9] (enhanced permeability and retention). La crescita frenetica e tumultuosa che interessa la massa tumorale, l'elevato tasso di replicazione delle cellule cancerose, rende necessario per la neoformazione costruire una nuova rete di vasi (neoangiogenesi) in grado di provvedere all'apporto di nutrienti e ossigeno di cui necessita la massa in formazione. Differentemente dall'endotelio vasale di un tessuto sano, l'angiogenesi che avviene nella massa tumorale dà luogo a vasi con struttura anomala, che presentano delle fessurazioni.

Figura 9 Rapprentazione dell'effetto EPR (tratto da Estanqueiro M. et alt. Nanotechnological carriers for cancer chemotherapy:The state of the art.( Colloids and Surfaces B: Biointerfaces 2015)

Le nanoparticelle grazie alle loro dimensioni riescono a oltrepassare l'endotelio vasale nella massa neoformata e a permanere al suo interno grazie alla mancanza di un efficiente sistema di drenaggio. La combinazione di queste 2 anomalie (rispetto ai tessuti sani) nella fisiologia tumorale consente un accumulo preferenziale passivo (aumentata permeabilità e ritenzione) della nanoparticella all'interno della massa tumorale [14].

Si parla invece di targeting attivo quando sulla superficie della nanoparticella è posto un elemento (detto anche elemento decorativo) che può essere un anticorpo, un peptide, in grado di riconoscere un sito di legame posto sulla superficie della cellula bersaglio (una delle atipie, ad esempio, della cellula tumorale è la sovraespressione sulla sua superficie di particolari proteine che possono essere riconosciute e legate dalle nanoparticelle funzionalizzate). Un tipo di targeting attivo è la funzionalizzazione delle nanoparticelle tramite l'erceptina. L'erceptina è un anticorpo monoclonale che riconosce il recettore HER2 espresso sulla superficie delle cellule neoplastiche di tumori come seno, ovaio e pancreas. Agendo sulla dimensione, sulla forma e sulle caratteristiche di superficie, possiamo modulare il comportamento della particella, ma le limitazioni del targeting passivo rimangono quelle

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dei classici chemioterapici, ovvero la mancanza di selettività e l'incapacità di superare barriere biologiche [14]. Ad oggi diversi nanocarrier sono in fase di approvazione clinica. I farmaci formulati con liposomi sono stati la prima classe di molecole approvate (Doxil o doxorubicina liposomiale). Un confronto tra il farmaco nanoformulato e il farmaco libero non ha mostrato un miglioramento nella sopravvivenza, ma sicuramente un miglioramento nella farmacocinetica e nella biodistribuzione [21]. La citarabina-daunorobicina (Vyxeos) liposomiale ha ottenuto l'approvazione da parte della FDA per la commercializzazione con un risultato sulla sopravvivenza (nel trattamento della leucemia mieloide acuta) di 9,56 mesi rispetto a 5.95 mesi con farmaco non formulato [22]. L'Abraxane è il paclitaxel formulato in nanoparticelle coniugato con albumina. Questo nanofarmaco ha ottenuto l'approvazione di FDA ed EMA [23] mostrando un tasso di risposta superiore (rispetto al farmaco non formulato) in donne che necessitano di una seconda linea di trattamento per cancro al seno (26,5% rispetto a 13,2%).

1.2.4 Attuali orientamenti di ricerca e strategie innovative in teranostica

Tutti i mesi le riviste scientifiche di settore registrano un numero crescente di pubblicazioni che riguardano l'impiego delle nanoparticelle (in generale nel campo medico e in particolare nell'oncologia)[Figura 10] [24]. L'impatto che le nanoscienze hanno avuto sulle conoscenze di base della patologia oncologica e sullo sviluppo di terapie mirate contro target patologici specifici è stato enorme, come testimonia il trend delle pubblicazioni in questo settore. Per quanto riguarda le applicazioni della nanomedicina in ambito oncologico c'è però ancora molta strada da percorrere e molti aspetti del problema da chiarire per trasformare questo patrimonio di conoscenze teoriche in concreto aumento dell'aspettativa di vita dei pazienti che potenzialmente beneficeranno di queste innovative terapie [24] [25].

Figura 10 Prospettiva storica dello sviluppo dei nanocarrier impiegati nella cura del cancro (tratto da Shi j. e alt. Cancer nanomedicine: progress, challenges and opportunities. (Nature 2017))

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Ad oggi, la ricerca nel campo della nanomedicina si sta orientando principalmente su tre aspetti principali: immunoterapia oncologica [25] [26], nanoparticelle dirette contro le cellule staminali del cancro (CSC) [27], studio dei meccanismi di interazione tra nanocarrier e organismo umano [21]. L'idea che il sistema immunitario abbia un ruolo tutt'altro che marginale nella insorgenza e progressione dei tumori è ormai un concetto che da tempo fa parte delle conoscenze di base della biologia dei tumori [28] [13]. Il sistema immunitario ha il compito di difendere l'organismo da agenti esterni patogeni e potenzialmente letali per l'essere vivente, avendo a disposizione meccanismi di riconoscimento e distruzione molto raffinati e sofisticati, ma possiede anche la capacità di individuare e distruggere (sperabilmente sul nascere) anche cellule cancerose. Infatti una delle "caratteristiche" della cellula tumorale è proprio la capacità di evasione dalle difese immunitarie [13]. Questo meccanismo potrebbe anche incepparsi per vari motivi, ad esempio le cellule tumorali hanno una scarsa espressione di antigeni per il riconoscimento da parte del sistema immunitario, oppure le cellule immunitarie producono classi di proteine che inattivano la risposta immunitaria [28]. Una classe di proteine, dette Immune checkpoint modulators prodotte naturalmente dalla cellula agiscono in concomitanza di opportuni segnali di feedback che hanno lo scopo di "modulare" il sistema immunitario. Partendo dall'ipotesi che il cancro si origina anche da un funzionamento difettoso del sistema immunitario, è nata una classe di farmaci immunoterapici con il compito di stimolare il sistema immunitario direttamente contro le cellule cancerose. Altri strumenti dell'immunoterapia oncologica sono gli anticorpi monoclonali e i vaccini, o citochine atte a modulare il sistema immunitario come interferoni e interleuchine, e infine i linfociti T-chimerici [29].

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2 Meccanismi di rilascio

I meccanismi attraverso i quali il farmaco viene rilasciato dalla nanoparticella sono un aspetto essenziale nello studio dei sistemi drug delivery basati su nanosistemi. In questa trattazione si farà riferimento a nanoparticelle di natura polimerica. I sistemi oggetto di studio nel presente lavoro di tesi sono essenzialmente 3 tipi di nanoparticelle polimeriche: le nanoparticelle preparate a partire da i polimeri commerciali Poli-ε-caprolattone (PCL), Poli(d-l)lattide (PLA) e acido polilattico poliglicolico (PLGA) [30] [31]. L'introduzione di questi materiali in campo biomedicale ha origine negli anni '70 del secolo scorso quando una maggiore sensibilità da parte delle scienze chimiche/biologiche e dell'industria è stata rivolta al problema delle plastica e del suo smaltimento. Diversi tipi di nuovi materiali videro la luce in quegli anni. Sia materiali che traevano origine da amidi sia nuovi materiali di derivazione petrolifera (polimeri sintetici) [19]. I polimeri chimicamente sono catene (con diverse conformazioni spaziali) di monomeri (unità elementare costituente i polimeri) legati fra loro da legami covalenti. Le caratteristiche chimico fisiche del polimero finale dipendono dal peso molecolare e dalla struttura spaziale della catena ottenuta. I polimeri possono essere naturali o sintetici (prodotti con processi di polimerizzazione a partire dai monomeri). Ed è proprio grazie a questa capacità di biodegradarsi all'interno dell'organismo che le nanoparticelle polimeriche sono molto utilizzate per il trasporto dei farmaci all'interno dell'organismo. Ma oggi sappiamo in maniera abbastanza accurata in cosa consiste il processo di biodegradazione e da quali fattori è regolato. Per biodegradazione si intende il processo chimico-fisico che avviene attraverso l'azione di enzimi, microrganismi viventi e che porta alla "scomposizione" del polimero nei suoi costituenti ultimi che sono i monomeri. Questo processo avviene in 2 fasi: 1) degradazione chimica della molecola con formazione di molecole di massa inferiore grazie all'azione di reazioni abiotiche (ossidazione, idrolisi e fotodegradazione); 2) assimilazione delle molecole di risulta, e mineralizzazione delle stesse da parte dei microrganismi. La biodegradabilità oltre che dal tipo di materiale da cui ha preso origine il polimero, dipende anche dalla struttura chimica e dalle condizioni dell'ambiente in cui la reazione di biodegradazione avviene [32] I meccanismi di rilascio cui si farà cenno in questo capitolo sono tutte quelle modalità attraverso le quali la nanoparticella rilascia il suo contenuto all'esterno, dove la molecola dovrà espletare la sua funzione terapeutica. Dal punto di vista chimico-fisico ci sono diversi meccanismi attraverso cui questo fenomeno si verifica e come detto, dipendono essenzialmente dalla natura della nanoparticella e dal metodo utilizzato per la sua sintesi. Conoscere già in fase di preparazione quali sono i parametri che influenzano la cinetica del rilascio e l'interazione della nanoparticella con l'ambiente biologico è un requisito essenziale in fase di progettazione di un ottimale sistema drug delivery. I processi chimici che coinvolgono il dispositivo una volta a contatto con l'ambiente fisiologico sono stati argomento di ricerca di questo settore e di molto materiale a riguardo è ricca la letteratura. [33] I diversi tipi di nanoparticelle impiegate, usano differenti modalità di legame con la molecola farmacologica da trasportare. Possiamo avere un legame del farmaco sulla superficie della nanoparticella, una complessazione del farmaco o un incapsulamento. [34]

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I polimeri degradabili, in base al modo in cui avviene la degradazione possono essere suddivisi in 2 grossi gruppi: matrice degradabile, e superficie degradabile, a seconda di come il processo si verifica. Nella degradazione della matrice, è l'intera matrice che piano piano inizia a sfaldarsi e i fenomeni idrolitici che rompono i legami polimerici avvengono uniformemente. Invece nei sistemi a superficie erodibile, il fenomeno di degradazione ha inizio nella parte superficiale per poi piano piano raggiungere la parte interna. La [Figura 11] rende bene l'idea sulla differenza tra i 2 meccanismi.

Figura 11Differenza schematica tra degradazione della matrice e degradazione superficiale (tratto da L. Lao, N. Peppas, F. Boey e S. Venkatraman, «Modeling of drug release from bulk-degrading polymers,» International Journal of Pharmaceutics, vol. 418, n. 1, pp. 28-41, 2011.

La degradazione della matrice è una sequenza di fasi che avvengono in maniera consequenziale e che consistono in :

1) assorbimento dell'acqua da parte del polimero con successivo lieve aumento di volume. L'acqua penetrata all'interno inizia la sua opera di scissione di legami soprattutto legami ad idrogeno e forze di van der Waals.

2) Inizia la scissione dei legami covalenti all'interno della struttura polimerica. In questa fase vengono formati molti gruppi carbossilici, che possono catalizzare le reazioni di idrolisi.

3) continua la massiccia scissione dei legami covalenti con notevole riduzione del peso molecolare.

4) avviene la solubilizzazione degli elementi persi in questa fase e il polimero si rompe in molti piccoli pezzi che verranno ulteriormente idrolizzati e trasformati in acidi liberi. [35]

I fenomeni che si verificano a livello chimico possono essere dipendenti dal tipo di legame che si instaura tra carrier e molecola trasportata e dal tipo di legame che prevale nella struttura stessa della molecola. A secondo del tipo di legame, quando avviene un processo di degradazione si ha sempre la scissione di legami chimici. In particolare:

1. Scissione del legame per idrolisi: idrolisi di legami esteri, idrolisi di legami ammidici, idrolisi del legame basato sull'idrazone.

2. Scissione da scambio di gruppi disolfuro. 3. Scissione attivata da ipossia.

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I fattori che influenzano i meccanismi di rilascio sono stati esplorati e c'è abbastanza materiale in letteratura su questo aspetto.

Per i nanocarrier un primo fattore importante è la dimensione dei pori che influenza moltissimo il rilascio in termini di durata (ovviamente nei sistemi controllati dalla diffusione come fenomeno principale). Un altro fattore di controllo importante è il volume effettivo, parametro da cui dipende la capacità di carico del carrier.

Esposizione a stimoli come variazione di pH, di temperatura, esposizione ad ultrasuoni sono tutti fattori che condizionano i meccanismi di rilascio.

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3 Modelli matematici in farmacocinetica e nel drug release

La complessità via via crescente degli argomenti oggetto della ricerca in biomedicina implica la necessità per queste discipline di avvalersi di campi di ricerca che fino a non molti anni fa non avevano molti punti in comune con essa. Man mano che aumenta il grado di conoscenza di fenomeni biologici come ad esempio la crescita tumorale, il metabolismo e la distribuzione dei farmaci, le conoscenze sul funzionamento del sistema immunitario ecc. diventa sempre più necessario per le scienze biomediche ricorrere del supporto di discipline come la matematica, la fisica o l'ingegneria. Modellizzare a fini (soprattutto) predittivi fenomeni diventati ormai complessi (per la mole di informazioni e scoperte che si sono fatte in questi anni) per il biologo diventa molto difficile non essendo la matematica e la modellistica, discipline che fanno parte del proprio bagaglio formativo. Si pensi alla crescita tumorale [13] [36] dove le nuove scoperte sulla biologia del cancro aggiungono elementi di conoscenza che non fanno che aumentare la complessità [Figura 12].

Figura 12 Modello circuitale della cellula (tratto da Hanahan D. e Weinberg R. A, «Hallmarks of Cancer: The Next Generation,» Cell, vol. 144, n. 5, pp. 646-674, 2011)

Per tutti questi motivi la modellistica matematica (strumento classico di discipline come matematica, fisica e ingegneria) può fornire un notevole supporto al ricercatore biomedico [37]. Il contributo della matematica in campo farmacologico ormai è di importanza non trascurabile visto che oggi non solo la ricerca pura, ma anche l'industria si avvale sempre di più di modelli predittivi per testare in anticipo la sicurezza e il comportamento di dispositivi progettati e che devono essere approvati dalle autorità regolatrici per l'ingresso sul mercato. In

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campo biofarmaceutico si è assistito negli ultimi anni ad un costante aumento del supporto computazionale così come è avvenuto in campo aerospaziale, meccanico-strutturale, elettronico ecc. ed ha senso prospettare che l'utilizzo di tale strumento entri a far parte integrante dell'intero processo di sviluppo del prodotto biofarmaceutico [38]. In realtà lo strumento previsionale, dando al ricercatore la possibilità di prevedere in anticipo il comportamento di un certo dispositivo e la quantità di farmaco rilasciata (se parliamo di sistemi drug delivery), consente di risparmiare tempo e costi perché potrebbe ridurre all'indispensabile la sperimentazione in vivo. Questa riduzione di costi potrebbe essere uno dei motivi principali che spinge le industrie ad avvalersi di tale supporto. Negli ultimi decenni proprio in questo ambito (ancor più con l'introduzione di sistemi su scala nanometrica) l'introduzione di materiali polimerici biodegradabili ha in parte rivoluzionato la farmacocinetica perché tramite l'utilizzo di questi dispositivi si può ottenere il dosaggio del farmaco desiderato, con un rilascio modificato nel tempo (di solito prolungato) e senza la necessità di occuparsi successivamente del dispositivo esausto, che una volta avvenuta la "consegna" del farmaco viene metabolizzato dall'organismo. Inoltre i dispositivi polimerici hanno la capacità di trasportare sia farmaci idrofobici che idrofilici, per cui teoricamente non si hanno limitazioni rispetto alle applicazioni possibili. Da qui la necessità di conoscere in anticipo con che cinetica il farmaco viene rilasciato e capire quali sono i parametri su cui si può intervenire per modificare il rilascio del farmaco. Ma il tipo di legge matematica che meglio si adatta a descrivere fenomeni di rilascio che possono essere molto vari tra loro dipende da molti fattori. Prima di tutto i meccanismi di rilascio.

Come menzionato nei capitoli precedenti, i metodi di rilascio sono possono essere i seguenti [5]

1. Rilascio dal farmaco dalla superficie (nel caso di molecole coniugate) 2. Diffusione attraverso la matrice 3. Diffusione attraverso la membrana polimerica 4. Erosione della nanoparticella 5. Processo combinato di erosione-diffusione.

Prima di passare in rassegna i vari modelli proposti per descrivere questi fenomeni è bene però fare una distinzione di carattere terminologico. i termini degradazione ed erosione, nella letteratura alle volte vengono confusi e intercambiati, ma in realtà presentano due significati distinti. Per degradazione si intende il processo attraverso il quale la catena polimerica si scinde (rompe i suoi legami con meccanismi idrolitici) nei monomeri costituenti. Mentre il termine erosione si riferisce alla perdita di massa che la nanoparticella subisce a causa della perdita di monomeri, di altri costituenti la struttura e del suo contenuto [35].

L'interesse per lo studio dal punto di vista analitico dei fenomeni che governano il rilascio controllato di farmaci ha antiche origini [39]. Fu nel 1897 che 2 studiosi (Noyes and Whitney) fecero le prime osservazioni sulla dissoluzione di due composti: acido benzoico e cloruro di piombo, che li portarono a formulare una prima relazione matematica [40]

(4.1)

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dove dC/dt è il tasso di dissoluzione, k è la costante, è la solubilità della sostanza è la concentrazione della sostanza nella matrice al tempo t.

Successivamente a questi 2 autori, si susseguirono altre proposte di relazioni matematiche che ricalcavano l'equazione (4.1) ma con ipotesi un po' diverse che prendevano in considerazione aspetti aggiuntivi e non considerati nella formulazione della precedente relazione. Ad esempio Brunner e Tolloczko nel 1900 proposero la seguente equazione

che tiene conto della superficie del dispositivo (S). Così come nel 1904 Nernst–Brunner proposero una equazione molto simile alla precedente ma che teneva conto del volume di dissoluzione.

Dove è la quantità di sostanza che si dissolve al nell'intervallo di tempo dt, S è la superficie in cui avviene lo scambio/diffusione D è il coefficiente di diffusione, h è lo spessore dello strato in cui avviene il fenomeno di diffusione.

Partendo da questi modelli, ma prendendo in considerazione che la superficie S non è più costante ma varia in funzione del tempo (fenomeno di erosione), 2 autori, Hixson e Crowel nel 1931 proposero un ulteriore modello ma questa volta con la S (la superficie) funzione di t

Assumendo che varia molto poco, fino ad essere considerato costante, il termine può in questo caso essere considerato anch'esso costante e inglobato in una nuova costante K''. Ottenedo dunque:

che sottolinea il fatto che la superficie decresce con il tempo.

per il caso a geometria sferica posso esprimere come:

Posso quindi riscrivere la (4.5) come

Integrando la (4.7) si ottiene la classica legge di Hixon- Crowel [38] o legge della radice cubica

(4.2)

(4.3)

(4.4)

(4.5)

(4.6)

(4.7)

(4.8)

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Dove è la massa del farmaco nel dispositivo al tempo t, la massa iniziale del farmaco e k una costante [41]. Una primaria classificazione dei modelli matematici preposti è quella di suddividerli in:

modelli meccanicistici modelli empirici/semiempirici

I modelli meccanicistici si basano su equazioni che descrivono aspetti reali coinvolti nel rilascio quali fenomeni di trasporto, diffusione, erosione, dissoluzione della molecola farmacologica ecc. Si tratta per la maggior parte delle volte di equazioni differenziali, alle volte anche alle derivate parziali. Per risolvere queste equazioni in forma definita, è necessario conoscere le condizioni iniziali e al contorno, come per esempio la distribuzione iniziale del farmaco all'interno del dispositivo, la superficie iniziale esposta all'erosione, ecc. Dipendentemente dal livello di complessità raggiunto dal modello costruito, possono essere ricercate soluzioni di tipo analitico (ove ciò è possibile) o soluzioni di tipo numerico. C'è da dire che la diffusione di software molto potenti per il calcolo numerico e la simulazione oggi non tolgono accuratezza al modello, qualora si dovesse optare per la ricerca di soluzioni numeriche. Alla base dei fenomeni di rilascio da nanoparticelle, il più delle volte vi è un fenomeno di diffusione che guida il processo. Per diffusione si intende un movimento di molecole (all'interno di un volume di fluido) da una zona ad alta concentrazione verso una zona a bassa concentrazione. Di solito questo fenomeno non è influenzato dalla temperatura, ma è il gradiente di concentrazione che rende possibile tale spostamento. Nel 1855 si ebbe la descrizione matematica della diffusione ad opera di Fick, il quale propose la seguente relazione (I legge di Fick):

valida per lo stato stazionario, dove J è il flusso di diffusione per unità di area, C è la concentrazione di farmaco nella matrice in funzione della posizione, D è il coefficiente diffusionale. La seconda legge di Fick invece descrive il fenomeno della diffusione per stati non stazionari, ovvero quando la concentrazione all'interno del dispositivo cambia in funzione della posizione e del tempo. In una dimensione e per geometria piana possiamo scrivere

in questo caso C dipende da x e dal tempo, ed è questa la sostanziale differenza tra la prima e la seconda legge di Fick. Su queste due leggi si fondano i vari modelli matematici (sia empirici che meccanicistici) proposti per descrivere il rilascio da drug delivery [35].

Ma la prima relazione che ha avuto molto successo ed è stata accolta con molto entusiasmo in questo campo di studi è stata proposta nel 1960 dal prof Higuchi [42]. Si tratta di una legge semplice e di facile applicazione che descrive il rilascio di farmaco da matrice non erodibile. Si assume lo stato stazionario, in modo da poter applicare la I° legge di Fick. L'equazione di Higuchi è ottenuta considerando alcune ipotesi considerate dall'autore

(4.9)

(4.10)

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24

1. la concentrazione iniziale del farmaco nel dispositivo è molto maggiore della solubilità del farmaco

2. la geometria del dispositivo è quella di un film sottile 3. la dimensione delle particelle di farmaco è molto più piccola dello spessore del film 4. il materiale del carrier non è erodibile o degradabile 5. la diffusività del farmaco è indipendente dallo spazio e dal tempo

Nello schema seguente [Figura 13] sono riportate le condizioni assunte da Higuchi nel formulare la sua relazione

Figura 13 Schema delle condizioni che reggono lo sciluppo dell'equazione di Higuchi (tratto da J. Siepmanna e N. A. Peppas, «Higuchi equation: Derivation, applications, use and misuse,» International Journal of Pharmaceutics, n. 418,

pp. 6-12, 2011)

In questo diagramma l'asse delle y rappresenta le concentrazioni, l'asse delle x rappresenta la distanza. Le molecole del farmaco presenti nel mezzo (matrice) si dissolvono e diffondono nella pelle. Inizialmente questo però avviene solo nella regione prossima alla pelle (regione del mezzo a contatto con la pelle). La regione racchiusa da linea continua è la regione con il farmaco non disciolto che chiameremo regione a Cini (concentrazione iniziale). A destra del fronte delimitato dalla linea continua è presente farmaco non disciolto, a sinistra invece farmaco che ha subito la dissoluzione ed è pronto per essere diffuso. Questo fronte dista h dalla superficie del film, ed è sovente chiamato "fronte di diffusione". Per descrivere il gradiente di concentrazione tra il "fronte di diffusione" e la pelle, Higuchi ha supposto lo stato pseudo-stazionario, che è adatto a descrivere sistemi in cui la concentrazione iniziale del farmaco è molto maggiore della sua solubilità. Al tempo t la quantità di farmaco dissolta è data dall'area del trapezoide punteggiato, mentre al tempo t+dt della somma dell'area tratteggiata e punteggiata. [Figura 14]

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Figura 14 Schema per il calcolo della quantità di farmaco dissolta al tempo t e t + dt (tratto da J. Siepmanna e N. A. Peppas, «Higuchi equation: Derivation, applications, use and misuse,» International Journal of Pharmaceutics, n. 418, pp. 6-12, 2011.)

Al tempo t, l'ammontare del farmaco dissolto è dato dall'area del trapezoide punteggiato (Si esprime la quantità del farmaco dissolto in questa regione divisa per la superficie esposta al contatto con la pelle)

Ma per usare questa relazione bisogna conoscere la grandezza h. Per ovviare a questo Higuchi ha suggerito di calcolare l'ammontare di farmaco dissolto al tempo generico dt ottenendo

Usando la I° legge di Fick per calcolare la diffusione alla distanza h dalla superficie

Combinando la (4.12) con la (4.13) si ottiene

(4.11)

(4.12)

(4.13)

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Sostituendo la (4.14) nella (4.11) si ottiene

in cui A è la superficie di scambio, D è la diffusività del farmaco nel carrier, e sono rispettivamente la concentrazione iniziale del farmaco e la sua solubilità (per ipotesi si è assunto ) Sotto queste condizioni la (4.15) si semplifica nella seguente relazione

Che riscritta in altro modo diventa

L'equazione di Higuchi [43] lega la concentrazione alla radice quadrata del tempo ed è adatta a descrive sistemi a matrice inerte considerando lo stato semi stazionario. Higuchi derivò questa equazione dalle leggi di Fick. Ebbe molto successo nel campo dello studio del rilascio da dispositivi di drug delivery sin dalla sua presentazione, soprattutto per via della sua estrema semplicità che consente di essere facilmente applicata. Per le ipotesi fatte dall'autore che lo ha proposto questo modello è abbastanza adatto a descrivere il rilascio solo se avviene in tempi brevi e per ovvero la concentrazione iniziale del farmaco molto superiore alla solubilità del farmaco in acqua [42] [43].

Derivato dal modello di Higuchi, Beker e Lonsdale nel 1974 proposero un modello per descrivere il rilascio da matrice sferica.

Dove k è la costante di rilascio, è la quantità di farmaco rilasciata al tempo t, è la quantità di farmaco totale.

Un altro modello proposto per lo studio del rilascio di farmaci è il Modello Korsmeyer-Peppas o legge di potenza. Si tratta di una equazione semiempirica [44] [45] ed è una relazione semplice e facilmente applicabile che descrive il rilascio da materiale polimerico.

(4.14)

(4.15)

(4.16)

(4.17)

= k (4.18)

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Dove è la frazione di farmaco rilasciato all'istante t, è la massa di farmaco rilasciato per t che tende a infinito, k è la costante di rilascio che incorpora le caratteristiche macromolecolari del dispositivo e del farmaco, ed n l'esponente diffusionale che indica il meccanismo di trasporto.

Nelle intenzioni originarie degli autori di questo modello, il valore assunto da n può in alcuni casi caratterizzare la forma del dispositivo e il meccanismo di rilascio [Figura 15]

Figura 15 Esponente n del modello Kormeyer-Peppas in relazione alla forma del dispositivo e al meccanismo di rilascio (tratto da L.L Lao, Nicholas A. Peppas Freddy Yin Chiang Boey, Subbu S. Venkatraman Modeling of drug release from bulk-degrading polymers International Journal of Pharmaceutics 418(2011) 28-41

Nel 1989 Peppas e Sahlin introdussero un'equazione

Molto simile alla (4.19) ma che vede l'aggiunta di un secondo termine. La somma di 2 termini distinti rende l'equazione indicata per quei fenomeni di rilascio considerati la somma di fenomeni fickiani e non fickiani di diffusione.

Una delle equazioni più usate nello studio del rilascio da dispositivi drug delivery è l'equazione di Weibul [44] che si presenta nella forma

Dove farmaco liberata, espressa in funzione del tempo, è la quantità totale del farmaco

Molti sono i modelli matematici proposti in letteratura anche se alcuni di essi mancano di precisione o di semplicità di utilizzo.

(4.19)

(4.20)

(4.21)

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La distinzione tra i due tipi di modelli è importante e va evidenziata. Nei modelli empirici si ha a che fare con una serie di dati derivanti dall'osservazione del fenomeno e utilizzando questi si ricava una legge che tenta di descrivere quel particolare fenomeno il più fedelmente possibile, senza avere però conoscenza dei meccanismi fisici/chimici o biologici che lo governano. Di conseguenza attraverso questi modelli non si può acquisire una conoscenza dei meccanismi di governo sottostanti e la loro accuratezza rimane limitata, così come il loro potere predittivo. [38]

I modelli meccanicistici invece si basano sul reali fenomeni fisici che interessano il processo oggetto di modellizzazione come per esempio: diffusione, erosione, dissoluzione, rigonfiamento della matrice, ecc.. Questo tipo di modello può consentire di determinare una serie specifica di parametri caratteristici del sistema che portano a far luce sui meccanismi base che governano il fenomeno.

Qualsiasi sia il tipo di modello impiegato, quando ci si approccia allo studio di rilascio di farmaci da dispositivi drug delivery il ricercatore deve tenere presente alcuni punti chiave che dovrebbero guidare il suo lavoro [38]:

1. Ogni modellizzazione è una semplificazione della realtà fisica che si fa per rendere il modello manipolabile e agevolmente computabile, ma alla stesso tempo l'aumento di semplicità del modello è inversamente legato alla sua accuratezza. Chi si occupa di modelli in questo ambito deve cercare di cogliere quali sono i fenomeni essenziali in gioco, e per quali di questi fenomeni è necessario calcolare i parametri.

2. Quando si costruisce un modello teorico del fenomeno, bisogna poi sempre confrontarlo con i dati sperimentali (per esempio attraverso operazioni di fitting) che consentono di ottenere alcuni parametri caratteristici che lo rendono "coerente" con i dati sperimentali. A questo proposito è anche importante con quale intervallo di tempo sono stati rilevati i dati sul rilascio (non devono riguardare solo la parte iniziale o finale del fenomeno, ma devono essere ben distribuiti lungo tutto la durata)

3. Non tutti i modelli proposti sono applicabili a tutti i tipi sistemi, Ci sono modelli applicabili ad un numero limitato di casi, e altri modelli che hanno un largo campo di applicazioni.

4. Va usata molta cautela da parte del ricercatore, anche nel caso in cui emergesse una forte coerenza tra i dati sperimentali e il modello adottato. Va sempre tenuto in considerazione il fatto che un modello di distribuzione di un farmaco è una rappresentazione molto semplificata di una realtà fisica molto complessa.

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4 Modelli compartimentali

Tra i modelli matematici impiegati in biomedicina uno a cui si farà ricorso in questo lavoro di tesi è il modello a doppio compartimento.

E' d'obbligo una premessa di ordine generale. I modelli compartimentali hanno avuto la maggiore applicazione in campo farmacocinetico dove sono stati ampiamente applicati per lo studio della distribuzione del farmaco nell'organismo. Ma (come da letteratura) l'epidemiologia, l'economia, la fisica, la chimica, e le scienze in cui si debbano studiare variabili dinamiche possono avvalersi dell'applicazione di questi modelli [46].

In questo tipo di modellizzazione, la realtà che si tenta di descrivere viene suddivisa in uno o più sottoinsiemi (da qui modelli mono-, bi-, tri-, e multi- compartimentali) detti appunto compartimenti. In ogni compartimento si ritrovano entità (le variabili) con proprietà chimico-fisiche omogenee. La caratteristica distintiva di questo modello è che si rivolge a fenomeni dinamici, cioè quei fenomeni che hanno una variabilità dipendente dal tempo. Quindi tra un compartimento e l'altro si ha scambio di materia e tipicamente questo è accompagnato da una variazione temporale della concentrazione in ogni singolo compartimento.

4.1 Modelli compartimentali in farmacocinetica

Il campo classico di applicazione di questi tipi di modelli è storicamente quello biofarmaceutico. Lo scopo ultimo dell'applicazione di questo modello è quello di conoscere come varia nel tempo la concentrazione C di un farmaco nei vari distretti corporei (modellizzati con un certo numero di compartimenti [Figura 16] )

Figura 16 Classico esempio di modello a tre compartimenti utilizzato in farmacocinetica (tratto da [47]: Biomedical Engineering and Design Handbook, Volume 2. DESIGN OF CONTROLLED-RELEASE DRUG DELIVERY

SYSTEMS, Chapter 1 (McGraw-Hill Professional)

In farmacocinetica ad esempio nel sistema a tre compartimenti, il compartimento centrale idealizza ad esempio il torrente circolatorio e tutti quegli organi (reni, fegato per esempio) il cui la variazione della concentrazione del farmaco si comporta in maniera cineticamente simile. Un secondo compartimento idealizza quei tessuti in cui la cinetica del farmaco non raggiunge lo stato stazionario in maniera così veloce come avviene nel sangue ma un po' più lentamente (occhi, muscoli, reni..). Un terzo compartimento invece raggruppa quei distretti corporei in cui la concentrazione del farmaco raggiunge lo stato stazionario in maniera molto lenta (tessuto adiposo, sistema nervoso, pelle).

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Quello a tre compartimenti utilizzato in farmacocinetica è un modello con un grado di accuratezza elevato ma che presenta un certo grado di difficoltà all'atto della risoluzione. Ma questo è un problema che si presenta ogni qualvolta si tenta di modellizzare un fenomeno di qualsiasi natura esso sia.

Sistema Mono-compartimentale: nel sistema ad un solo compartimento (quello più semplice che si possa immaginare) si modellizzano tutti gli organi e tessuti che si ritengono similari rispetto alla cinetica del farmaco [Figura 17]

Figura 17 Schema di un sistema mono-compartimentale

In questo caso il modello è sorretto da una equazione del tipo

(4.22)

Il segno meno nella (4.22) sta ad indicare lo spostamento di massa in uscita dal compartimento per cui la concentrazione varia consegno negativo visto che deve diminuire. K rappresenta la costante di eliminazione del compartimento.

La (4.22) una volta risolta da luogo ad una soluzione del tipo:

ottenuta risolvendo il Problema di Cauchy (integrale generale più condizione iniziale, cioè la concentrazione al tempo iniziale).

(4.23)

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Ma la concentrazione del farmaco al tempo iniziale ( non è altro che la dose iniziale diviso il volume di distribuzione ( . Quindi in altri termini la (4.23) può essere riscritta come

L'equazione (4.25) presentando la variabile come esponente negativo avrà l'andamento mostrato in [Figura 18]

Figura 18 Andamento nel tempo della concentrazione in modello a singolo compartimento

In un caso del genere se si conosce l'andamento della concentrazione del tempo gli altri parametri (K e ) possono essere calcolati attraverso l'uso di un software tramite una regressione non lineare.

Sistema Bi-compartimentale: Nel modello a due compartimenti, il livello di complessità aumenta perché l'aggiunta di un altro compartimento e lo scambio di massa tra primo e secondo compartimento aumenta il numero di equazioni in gioco. Rimane comunque un modello di difficoltà accettabile la cui risoluzione rimane accessibile alla maggior parte dei ricercatori. Il modello a 2 compartimenti tiene in conto oltre che della cinetica di eliminazione anche della cinetica di distribuzione, a differenza del singolo compartimento in cui si può avere misura solo della cinetica di eliminazione. Per questo risulta più completo. Consideriamo sempre come input un bolo intravenoso e tra i due compartimenti consideriamone uno "centrale" e uno che rappresenta i tessuti in cui il farmaco si distribuisce. un esempio di schema è mostrato in [Figura 19]

Figura 19 Bolo intravenoso in sistema doppio compartimentale.

(4.24)

(4.25)

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Come si evince dallo schema c'è scambio di massa reciproco tra i due compartimenti, in più il compartimento centrale ha una ulteriore eliminazione (oltre ad avere l'input della dose). il sistema di equazioni differenziali che governa il processo è il seguente.

I segni negativi nelle precedenti equazioni sono dovuti a flussi in usciti, i segni positivi a flussi in entrata.

Il sistema (4.26-4.27) prevede una soluzione generale del tipo

Dove A,B sono costanti del sistema e e β sono le costanti ibride che dipendono dalle

costanti di assorbimento eliminazione e scambio [47].

(4.26)

(4.27)

(4.28)

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4.2 Modello di rilascio da dispositivi drug delivery di dimensione nanometrica.

Per lo studio da realizzare in questo lavoro di tesi, si è proceduto alla costruzione del modello basandosi su due ipotesi diverse e pervenendo a due modelli molto simili tra loro.

Sfruttando la teoria dei compartimenti, si è ipotizzato una schema generale come in [Figura 20] in cui sono presenti tre compartimenti. Il primo compartimento rappresenta la nanoparticella con il suo carico di farmaco, contenuto in essa ad una certa concentrazione ; il secondo compartimento è uno spazio di transizione che si ipotizza presente tra il core della nanoparticella e l'ambiente esterno, in cui la concentrazione del farmaco è indicata con . Infine l'ultimo ambiente , rappresentato dal terzo compartimento con concentrazione che rappresenta l'ambiente esterno (nel nostro caso è il volume di liquido in cui il farmaco viene rilasciato, in questa tesi si tratta di rilascio in vitro)

La prima ipotesi che viene fatta e che porta alla costruzione di un primo modello è quella di considerare il farmaco inizialmente concentrato solo all'interno della nanoparticella e considerare al tempo t=0 nulli le concentrazioni e (per l'ipotesi fatta ci si riferisce alla rappresentazione schematica (b) di [Figura 21]).

Figura 21 Schema di possibili sistemi di rilascio: (a), (e) sistemi monolitici a matrice, (b), (c) sistemi a serbatoio e guscio, (d) sistemi a matrice porosa (tratto da Like Zeng, Lingling An, and Xiaoyi Wu, “Modeling Drug-Carrier

Interaction in the Drug Release from Nanocarriers,” Journal of Drug Delivery, vol. 2011, Article ID 370308, 15 pages, 2011)

in condizioni dinamiche (con t>0) il sistema è retto dalle seguenti equazioni.

(4.29)

(4.30)

(4.31)

Figura 20 Schema del modello adottato per lo studio del rilascio delle nanoparticelle oggetto di tesi.

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Le condizioni iniziali (al tempo t=0) che imponiamo (in virtù delle ipotesi fatte) sono

Chiamiamo la somma delle varie concentrazioni nei vari compartimenti (ricordando che lo scopo del modello è conoscere la concentrazione del compartimento che rappresenta il bagno di soluzione in cui le particelle hanno rilasciato il loro contenuto) in virtù di un principio di bilancio di massa.

La prima di queste equazioni (4.29) può essere immediatamente risolta e ci dà la legge con cui varia

Sostituendo il valore appena calcolato nella (4.30) si ottiene

Che è un'equazione differenziale ordinaria lineare per la quale possiamo trovare la soluzione.

Ma imponendo nella (4.38) che sia uguale a 0 al tempo t=0 si ottiene il valore della costante di integrazione

Quindi

Riordinando i termini della (4.40) si ottiene:

(4.32) (4.33) (4.34)

(4.35)

(4.36)

(4.37)

(4.38)

(4.39)

(4.40)

(4.41)

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35

Dalla (4.35) (bilancio di massa) si ottiene la concentrazione come

Dove sostituendo a le rispettive equazioni si ottiene

Con poche trasformazioni algebriche si ottiene

Ulteriori passaggi algebrici e semplificazioni operati sulla (4.44) consentono di pervenire per la la seguente espressione

La (4.45) è la legge che descrive come varia la concentrazione del farmaco al variare del tempo, nell'ultimo compartimento [Figura 20] che rappresenta il volume dentro il quale avviene il rilascio e dove viene misurata la concentrazione finale.

L'equazione a cui si è pervenuti in questo caso è un'equazione dipendente da tre parametri e può anche essere riscritta nel modo seguente

In cui A, B, C, sono i parametri calcolati attraverso il fitting.

Si effettua adesso uno studio parametrico dell'espressione della concentrazione . Per fare questo si divide la (4.45) prima per ottendo:

Poi si divise tutto per e ponendo si ottiene la seguente espressione parametrizzata

Quindi per

e si ottiene la seguente espressione:

(4.42)

(4.43)

(4.44)

(4.45)

(4.46)

(4.46a)

(4.47)

(4.48)

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assegnando a i valori 0.1, 0.5, 1.5, 5, 10 si ottiene l'andamento della concentrazione nel tempo [Figura 22]

Figura 22 Andamento della concentrazione nel tempo al variare del parametro ( in particolare per =0.1, 0.5, 1.5, 5, 10)

E' interessante notare anche come variano le concentrazioni e delle rispettive funzioni parametrizzate al variare di

Per la concentrazione (4.41) la cui espressione parametrizzata è

Il cui andamento in funzione del tempo e al variare del parametro è riportato in [Figura 23]

(4.49)

(4.50)

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37

Figura 23 Andamento della concentrazione nel tempo al variare del parametro Γ ( in particolare per Γ=0.1, 0.5,

1.5, 5, 10)

Per la concentrazione parametrizzando allo stesso modo la relativa funzione (4.36) si ottiene la seguente funzione adimensionalizzata al parametro Γ

Facendo variare il parametro si ottiene il seguente andamento nel tempo[Figura 24]

(4.51)

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Figura 24 Andamento della concentrazione nel tempo al variare del parametro Γ ( in particolare per Γ=0.1, 0.5,

1.5, 5, 10)

Si è fatta anche una seconda ipotesi che ha portato ad avere condizioni iniziali diverse, e una soluzione diversa per l'espressione di finale rispetto al modello già ottenuto.

Riscriviamo le equazioni che governano il sistema:

Se ipotizziamo che il farmaco sia inizialmente distribuito tra il primo e il secondo compartimento (core + shell) avremo che al tempo t=0 sarà uguale a zero solo la concentrazione e dunque

Quindi alla luce di queste ipotesi le condizioni iniziali (quando t=0) che imponiamo per la

risoluzione saranno:

(4.52)

(4.53)

(4.54)

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Risolvendo direttamente la (4.52) si ottiene la soluzione generale:

Il calcolo della costante di integrazione avviene imponendo la condizione iniziale al tempo t=0

che sostituita nella (4.58) dà:

Sostituendo la (4.60)sostituita nella (4.53) si ottiene:

integrando si ottiene

ma per t=0 si ha la condizione (4.56) ossia per cui:

da cui

Sostituendo la (4.64) nella (4.62) si ottiene la relazione che esprime

Come per il caso sviluppato precedentemente si procede al bilancio di massa che in questo caso corrisponde all'equazione:

(4.55) (4.56) (4.57)

(4.58)

(4.59)

(4.60)

(4.61)

(4.62)

(4.63)

(4.64)

(4.65)

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40

Quindi

Con opportuni passaggi algebrici, di messa in comune e raccolta di termini noti ottengo per la seguente espressione

La (4.68) rappresenta l'espressione per calcolata ipotizzando che la concentrazione iniziale del farmaco sia distribuita nel primo e nel secondo compartimento (a differenza della prima ipotesi fatta secondo la quale tutto il farmaco era concentrato nel primo compartimento)

In questo caso si perviene ad una equazione dipendente da quattro parametri. L'equazione che si utilizza per il fitting è la seguente.

Per quanto riguarda l'analisi parametrica, anche in questo caso divido la (4.68) per e pongo ottenendo:

Si sono ottenuti dei grafici della concentrazione nel tempo, al variare del parametro e per fissati valori di .

Assegnando a i valori 0.1, 0.5, 1.5, 5, 10 e scegliendo di fissare il valore di =1000 e =1 (ipotizzando una concentrazione iniziale pressoché presente solamente all'interno del core della nanoparticella) si ottiene

(4.66)

] (4.67)

(4.68)

(4.69)

(4.70)

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41

Figura 25 Andamento della concentrazione nel tempo al variare del parametro Γ ( in particolare per Γ=0.1, 0.5, 1.5,

5, 10) Fissati

Assumendo invece che le concentrazioni iniziali di pari valore si ottiene il seguente andamento per nel tempo al variare del parametro

Figura 26 Andamento della concentrazione nel tempo al variare del parametro Γ ( in particolare per Γ=0.1, 0.5,

1.5, 5, 10) Fissati

Anche per questo modello a 4 parametri si sono ottenuti gli andamenti di parametrizzati

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Ipotizzando una concentrazione iniziale sia molto maggiore della concentrazione iniziale si ottiene il seguente andamento

Figura 27 Andamento della concentrazione nel tempo al variare del parametro Γ ( in particolare per Γ=0.1, 0.5,

1.5, 5, 10) Fissati =1000 e =1

Invece ipotizzando di pari valore (in particolare =1) otteniamo il seguente andamento

(4.71)

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43

Figura 28 Andamento della concentrazione nel tempo al variare del parametro Γ ( in particolare per Γ=0.1, 0.5, 1.5,

5, 10) Fissati =1

Un' ulteriore adimensionalizzazione consiste nel "normalizzare" la (4.68) dividendo per . Si ottiene la seguente espressione

Fissando il valore di ( ) si fa variare ma mantenendo invariata la loro somma ( ) Ottenendo il seguente andamento adimensionalizzato del rapporto

(4.72)

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Figura 29 Andamento della concentrazione nel tempo per Γ=0.1 e al variare di

L'analisi delle relazioni adimensionalizzate sia in funzione del parametro

sia della

somma delle concentrazioni iniziali ( rende conto del funzionamento del modello al variare dei suddetti valori.

Per il modello a tre parametri la variazione nel tempo della concentrazione al variare di mostra come per valori piccoli del parametro ( ) il modello descrive un funzionamento che prevede un rapido rilascio iniziale . Man mano che diventa più piccolo di vuol dire che il contributo della diffusione dal secondo compartimento è più piccolo ed entra in gioco la diffusione dal primo compartimento descritta da curve con diversa inclinazione via via che aumenta.

Nel modello a 4 parametri si ha un funzionamento analogo, cioè per valori di piccoli, si ha una curva molto ripida per istanti di tempo iniziali, il che fa pensare ad un rilascio immediato di farmaco legato alla superficie della particella. man mano che il valore di aumenta cambia l'inclinazione della curva, e diventa meno significativo il contributo del rilascio iniziale immediato.

Quando in questo modello si fanno variare i valori delle concentrazioni iniziali (si normalizza la alla somma facendo variare il contributo di ognuna delle concentrazioni ma mantenedone fissa la somma, si vede che per valori grandi di rispetto a , ovvero man mano che aumenta la concentrazione iniziale nel compartimento "di frontiera" (sulla superficie esterna) si ha un funzionamento con una curva con una curva inizialmente molto ripida, questo vuol dire che se la maggior parte del farmaco è inizialmente distribuito sulla superficie si ha un rapido distacco, seguito poi da fenomeni più lenti fino a che la curva raggiunge l'asintoto (valore totale del farmaco che viene rilasciato una volta esaurito il fenomeno).

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45

5 Parte sperimentale

5.1 Materiali e metodi

Questo lavoro di tesi, si basa su dati sperimentali di rilascio di farmaci da nanoparticelle, ottenuti dal lavoro di ricerca svolto presso il DIMEAS (Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale) del nostro Ateneo, dal gruppo di ricerca in Bioingegneria Industriale diretto dal Prof. Ciardelli.

I dati su cui è basata la tesi fanno parte di due lavori scientifici [30] [31] in cui vengono preparati diversi tipi di particelle utilizzate come carrier di farmaci.

Nel primo dei due lavori vengono preparate nanoparticelle polimeriche con un poliuretano di sintesi, denominato C-BC2000 con il metodo di preparazione denominato solvent displacement. La nanoparticella ottenuta con questo nuovo materiale è stata caricata di un farmaco, il paclitaxel. Altri due tipi di particelle in poli(ε-caprolattone) (PCL) e poli(D, L-lattide) (PLA) [Figura 30] sono state preparate con lo stesso metodo e caricate con lo stesso farmaco. Pertanto le proprietà delle nanoparticelle poliuretaniche sono state confrontate con le proprietà di particelle polimeriche simili, ottenute a partire dai polimeri commerciali PCL e PLA [31].

La tecnica di preparazione di nanoparticelle utilizzata in questo lavoro è quella denominata del "solvent displacement". Si tratta di una tecnica veloce che prevede l'utilizzo di solventi non tossici e miscibili in acqua e non richiede l'impiego di alte temperature che potrebbero modificare le caratteristiche strutturali del carrier. Con questa tecnica si ottengono nanoparticelle di un range dimensionale 50-300 nm.

Figura 30 Struttura chimica di PLA e PCL

Il poliuretano C-BC2000 [Figura 31], presenta caratteristiche chimico fisiche che ne migliorano la degradazione e la biocompatibilità rispetto al polimero principale di cui è costituito (PCL). Materiali a base di poliuretano sono stati già impiegati come biomateriali, ma ci sono pochi dati circa il loro impiego come nanocarrier.

Figura 31 Struttura chimica del C-BC2000

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I polimeri commerciali e il polimero di sintesi e le nanoparticelle ottenute a partire da essi, sono state poi analizzate per determinarne le caratteristiche chimico-fisiche e meccaniche mediante le seguenti tecniche di analisi:

Analisi spettroscopica (ATR-FT-IR riflettanza totale attenuata) che mette in luce la conformazione dei legami del materiale posto sotto analisi (per il C-BC2000 il risultato è in [Figura 34]

Analisi GPC (gel permeation chromatography) con lo scopo di conoscere il peso molecolare dei polimeri;

Misura dell'angolo di contatto per la valutazione di idrofobia/idrofilia; Calorimetria differenziale a scansione (per lo studio delle proprietà termiche del

materiale) Microscopia a scansione elettronica e a forza atomica (SEM e AFM) per analizzare la

morfologia delle nanoparticelle (si riporta il risultato delle scansioni SEM e AFM per le nanoparticelle ottenute a partire dai polimeri commerciali PCL e PLA [Figura 32] e dal polimero di nuova sintesi C-BC2000[Figura 33].

Analisi di light scattering dinamico (DLS) per determinare le dimensioni e la carica superficiale delle nanoparticelle

Analisi UV per determinare l'efficienza di incapsulamento, ovvero la percentuale di farmaco che la particella ha caricato.

Figura 32 Scansione SEM e AFM per i polimeri PCL (destra) e PLA (sinistra) (C. Mattu)

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Figura 33 Scansioni SEM e AFM per C-BC2000 (C. Mattu))

Figura 34 Analisi ATR-FT-IT per C-BC2000 (C. Mattu)

Quello che però maggiormente è interessante ai fini di questo lavoro di tesi, sono i dati riguardanti la degradazione del polimero e il rilascio del farmaco dalle nanoparticelle. In [Figura 35] sono riportati i dati relativi a dimensione, potenziale zeta e indice di polidispersività delle nanoparticelle insieme al dato sull'efficienza di incapsulamento (EE)

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Figura 35 Dati su dimensione media, potenziale zeta, PDI (indice di polidispersività) dei tre polimeri oggetto di studio (C.Mattu))

Definiamo l’EE (Encapsulation efficiency) come il rapporto tra il peso del farmaco rilevato dalla spettroscopia UV e la quantità teorica di farmaco fornita. Per determinare i profili di rilascio del farmaco dalle nanoparticelle è stato seguito il seguente protocollo sperimentale: 10mg di nano particelle sono stati posti in 1,5 mL di acqua incubati a 37°C per un totale di 3 settimane. La misura del quantitativo di farmaco rilasciato è stata effettuata mediante spettroscopia UV a intervalli di tempo predeterminati. I risultati sono espressi come quantità di farmaco rilasciata e come percentuale di Paclitaxel rilasciato rispetto al totale incapsulato ad ogni rilevamento effettuato.

E' interessante notare come l'EE nel caso del C-BC2000 è molto maggiore di quella relativa ai due polimeri commerciali PCL e PLA . Questa elevata EE per il poliuretano è probabilmente da ascriversi all’elevata affinità tra il principio attivo e il materiale costituente il carrier.

I profili di rilascio ottenuti sono riportati in [Figura 36].

Figura 36 Profili di rilascio espressi in quantità e % di farmaco rilasciato (C. Mattu)

I dati considerati come quantità di farmaco rilasciato con misurazione eseguite fino al 5° giorno sono raccolti nella tabella di[ Figura 37].

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Figura 37: Quantità di farmaco per ogni intervallo temporale in 1,5 ml di acqua (C. Mattu)

Ponendo semplicemente questi dati su un grafico si sono ottenuti i seguenti profili di rilascio [Figura 38]

Figura 38 Profili di rilascio del proncipio attivo PX da PCL PLA e C-BC2000 (C. Mattu)

Nel secondo lavoro (in ordine di data di pubblicazione) [30], viene studiato il comportamento di 2 nuove particelle ottenute a partire da poliuretani di sintesi entrambi sintetizzati a partire dal microdiolo poli(ε-caprolattone) ma ottenuti utilizzando diversi estensori di catena. I due polimeri sono stati denominati C-BC2000 e NS-BC2000, ottenuti rispettivamente utilizzando il cicloesandimetanolo o il n-BOC serinolo come estensori di catena [30] .

Il farmaco incapsulato e’ il Paclitaxel (un antitumorale appartenente alla famiglia degli

antimitotici, che si è dimostrato attivo su patologie come tumore al seno e ovaio). Sono state preparate nanoparticelle a partire da tre polimeri commerciali poli(ε-caprolattone) (PCL), poli(D, L-lattide) (PLA) e poli(D,L-lactide-co-glicolide) (PLGA) e a partire dai due polimeri di nuova sintesi (C-BC2000 e NS-BC2000).

In questo lavoro le particelle sono state dapprima caricate con il Paclitaxel e poi funzionalizzate in superficie attraverso l'adsorbimento di un anticorpo monoclonale, (erceptina HER), in grado di riconoscere una proteina-recettore (HER2) sovra-espressa in tumori come seno e ovaio.

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Sia le particelle funzionalizzate che quelle non funzionalizzate sono state incubate con 2 differenti linee cellulari di cancro del seno: MCF-7 (che mostra una normale espressione del recettore HER2) e SK-BR-3 (con recettore HER2 sovraespresso). Le analisi effettuate mostrano una maggiore internalizzazione cellulare delle particelle funzionalizzate da parte delle cellule che esprimono il recettore HER2.

Vengono di seguito riportati i valori della quantità di erceptina misurati sulle particelle funzionalizzate [Figura 39]

Figura 39 Quantità di erceptina legata alla superficie per ogni tipo di nanocarrier (C. Mattu)

Per gli scopi del presente lavoro di tesi, i dati utili ai fini della modellazione sono i profili di rilascio.

Per studiare il rilascio del Paclitaxel, è stato seguito il seguente protocollo: 1 mg di nanoparticelle sono state sospese in 1 mL di acqua pura e mantenute in incubazione a 37°C. La quantità di farmaco rilasciata è stata misurata per quattro giorni successivi ad intervalli di tempo prefissati.

Nella seguente tabella sono riportati i dati relativi al rilascio del farmaco, espressi come media e deviazione standard su 3 misurazioni (su 3 campioni diversi), da nanocarrier funzionalizzati con erceptina (indicati con H) e dai corrispondenti carrier non funzionalizzati. Poiché le nanoparticelle in PCL non hanno prodotto alcun rilascio rilevabile nei 4 giorni di analisi si riportano solo i valori di rilascio per PLA, PLGA, C-BC2000 ed NS-BC2000 sui quali si è lavorato per determinare modello matematico che meglio approssima l'andamento delle curve di rilascio.

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5.2 Fitting dei dati

Come spiegato nel capitolo precedente, ipotizzare un'equazione a doppio esponenziale per descrivere questo tipo di fenomeni, trova spiegazione in un modello a doppio compartimento (vedi par. 4.2).

Dato un insieme di punti dati su un piano (come in Figura 38) scopo del modellista è quello di individuare una funzione matematica (modello candidato) che si avvicini il più possibile all'insieme di punti sperimentali. In matematica (più precisamente nella statistica) questo problema è detto Regressione (lineare e non lineare) ed è volto ad individuare la relazione che lega il modello ipotizzato (legame tra Y (variabile dipendente) e X (variabile indipendente)) attraverso l'individuazione di una serie di parametri che vengono calcolati attraverso (tipicamente ) il metodo dei minimi quadrati e che servono ad adattare il modello, a renderlo "aderente" il più possibile alla realtà dei dati sperimentali. Questo tipo di calcolo viene eseguito tramite software di calcolo scientifico (come per esempio Matlab, ma anche altri).

Si è eseguito il fitting dei principali modelli matematici proposti da vari autori in letteratura soprattutto usati (nelle intenzioni dei proponenti) per materiali polimerici, ma non di dimensione nanometrica, quindi con geometria nota.

In letteratura invece ci sono lavori che indicano come la concentrazione risultante dal rilascio da nanoparticella segua in molti casi un andamento biesponenziale [5] [48] [49] [50].

Nel primo lavoro oggetto di questa tesi [31] si son studiati tre materiali polimerici, PCL, PLA, e CBC2000 (materiale di nuova sintesi, preparato a partire da PCL e PLA)

I risultati del fitting fatto su questi tre materiali sono riportati nella seguente tabella

Tabella 1 coefficiente di determinazione (R2 )del fitting applicato alle nanoparticelle PCL, PLA e C-BC2000 [31]

modello PCL PLA C-BC2000 R2 R2 R2

Higuchi 0,7217 0,6885 0,9112 Beker e Lonsdale 0,7852 0,7978 0,9768 Hixon- Crowel 0,2810 0.3361 0,8618 Peppas-Korsmeyer 0,9868 0,9660 0,9825 Peppas-Sahlin 0,9868 0,966 0,9825 Modello comp. (3p) 0,989 0.995 0.9857 Modello comp. (4p) 0,9950 0,9998 0,9946 Weinbul 0,989 0,9951 0,6292

Passando all'analisi dei risultati relativi ai modelli ipotizzati, partendo dal modello a 3 parametri si hanno i seguenti andamenti del fitting

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Figura 40 Nanoparticella PCL, Modello a 3 parametri

Figura 41 Nanoparticella PLA, modello a 3 parametri

Figura 42 Nanoparticella CBC2000, modello a 3 parametri

I parametri del modello ottenuti dal fitting per ogni nanoparticella sono riportati nella seguente tabella

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Tabella 2 Parametri fisici del fitting (modello a tre parametri)

PCL PLA CBC2000 0,2973 0,2773 0.0607 6.965e-11 3.936e-14 2.35e-14

Passando al modello a 4 parametri di seguito si riportano i dati dei risultati del fitting per le particelle PCL, PLA e C-BC2000 [31] che hanno dato il miglior valore di R^2 per il modello biesponenziale.

Figura 43 Nanoparticella PCL, modello a 4 parametri

Figura 44 Nanoparticella PLA, modello a 4 parametri

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Figura 45 Nanoparticella C-BC2000, modello a 4 parametri

Si ricavano adesso dai parametri del fitting i valori numerici dei parametri fisici del modello

Tabella 3 Calcolo dei parametri fisici del fitting per il modello a 4 parametri

PCL 1765,307 51,35 0,03314 1,888 PLA 377,2689 66,34 0,03926 0,5586 C-BC2000 -15,2386 86,49 27,58 0,03862

Da come si evince dai valori nella [Tabella 3] il modello a quattro parametri applicato alla nanoparticella CBC2000 dà il valore della concentrazione negativo, questo impone l'esclusione di questo modello per la terza nanoparticella.

Nel secondo articolo da cui si sono attinti i dati per le analisi eseguite in questa tesi, sono state preparate e caratterizzate tre tipi di nanoparticelle a partire dai polimeri commerciali (PCL, PLA, PLGA) e due nanoparticelle a partire da due di nuova sintesi C-BC2000 e NS-BC2000. Per ogni nanoparticella si è preparata una rispettiva nanoparticella con lo stesso materiale ma rivestita di un anticorpo (erceptina)

Di seguito vengono riportati i risultati dei fitting eseguiti sulle particelle (prive di anticorpo)

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Tabella 4 Valori dei coefficienti di determinazione (R2) per le nanoparticelle prive di anticorpo

modello PLGA PLA C-BC2000 NS-BC2000 R2 R2 R2 R2

Higuchi 0,8328 0,9739 0,9494 0,9456 Beker e Lonsdale 0,8317 0,9739 0,9481 0,9459 Hixon- Crowel 0,9438 0.7870 0,9545 0,6786 Peppas-Korsmeyer 0,9438 0,9797 0,9783 0,9783

Peppas-Sahlin 0,9438 0,9809 0,9814 0,9781 Modello comp. (3p) 0,9444 0.9529 0.9685 0,9471

Modello comp. (4p) 0,9297 0,9898 0,986 0,9879

Weinbul 0,9887 0,9795 0,9778 0,9773

Figura 46 Nanoparticella PLGA, modello a 3 parametri

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Figura 47 Nanoparticella PLA, modello a 3 parametri

Figura 48 Nanoparticella C-BC2000, modello a 3 parametri

Figura 49 Nanoparticella NS-BC2000, modello a 3 parametri

I parametri del fitting per il modello a 3 parametri riguardanti le nanoparticelle del secondo articolo sono riportati di seguito:

Tabella 5 Parametri fisici del fitting (modello a tre parametri)

PLGA PLA CBC2000 NS-BC2000 0,02438 0,705 0.1835 1,019 0,01372 3.311e-08 3.253e-08 4.48e-12

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Per queste nanoparticelle il modello a 4 parametri ha prodotto i seguenti risultati

Figura 50 Nanoparticella PLGA, modello a 4 parametri

Figura 51 Nanoparticella PLA, modello a 4 parametri

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Figura 52 Nanoparticella C-BC2000, modello a 4 parametri

Figura 53 Nanoparticella NS-BC2000, modello a 4 parametri

Si son calcolati i parametri fisici del modello a 4 parametri a partire dai valori dei parametri restituti dal fitting

Tabella 6 Parametri fisici del fitting (modello a quattro parametri)

PLGA -0,18519 3,1367 0,2191 0,2052 PLA 15332,8 6,778 0,01507 35,58 CBC2000 200223,9 100,9899 0,01235 24,74 NSBC2000 -0,78675 64,0968 40,55 0,002678

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6 Conclusioni

Avere supporto modellistico nello sviluppo di dispositivi nanometrici per il drug delivery è ormai una necessità concreta, e ci sono molte evidenze in letteratura che dimostrano come i modelli matematici stiano entrando a far parte del processo di sviluppo di questi device.

L'analisi che è stata condotta in questo lavoro di tesi, ha avuto lo scopo di individuare il modello che con maggiore accuratezza descrivesse il comportamento (in termini di cinetica del rilascio) di nanoparticelle preparate a partire da polimeri sia commerciali che di nuova sintesi (CBC-2000 e NSBC2000) impiegati nel drug delivery.

In letteratura sono proposti modelli adattabili a varie tipologie di dispositivi che routinariamente vengono impiegati per descrivere il rilascio da preparazioni solide sia di dimensione nanometrica che non.

Si son presi in rassegna questi modelli e si è cercato, attraverso l'esecuzione di fitting al software Matlab e Sigmaplot, di individuare per ogni nanoparticella polimerica quale fosse il modello maggiormente adatto a descrivere le varie cinetiche di rilascio.

Facendo ricorso ai modelli empirici/semiempirici in letteratura si sono sottoposti a fitting i modelli classici ottenendo le curve approssimanti e i relativi parametri statistici.

Il modello sperimentale che in questo lavoro di tesi si è progettato e sviluppato si basa sulla teoria a compartimenti e in base a due diverse ipotesi iniziali si è pervenuti a due modelli, diversi (uno dipendente da tre e uno da quattro parametri). Una volta costruito il modello, la tappa successiva (validazione) è stata quella di sottoporre a fitting le equazioni ottenute per capire con quale grado di accuratezza il modello costruito descrivesse i dati sperimentali.

Da tenere conto che le nanoparticelle qui analizzate possono sono state preparate con due metodi differenti (Solvent Displacement, e Modified single emulsion technique)

Per le nanoparticelle preparate a partire dai polimeri PCL, PLA, utilizzando il primo metodo, un'analisi dei risultati del fitting porta a dire che il modello compartimentale a quattro parametri è quello che meglio approssima la realtà dei dati sperimentali visti gli alti valori di R2 [Tabella 7] e il buon andamento (in riferimento ai punti sperimentali) delle curve costruite (vedi [Figura 43] e [Figura 44]).

Tabella 7 Confronto tra il coefficiente R2 per i modelli compartimentali a tre quattro parametri (Solvent Displacement)

R2 PCL PLA CBC2000 Modello compart a tre parametri

0.989 0.995 0.9857

Modello compart a quattro parametri

0.9950 0.9998 0.9946

L'ipotesi che sta alla base del modello compartimentale qui costruito (sistema a serbatoio e guscio (vedi [Figura 21]) sembra descrivere con buona approssimazione il funzionamento delle nanoparticelle preparate a partire con questi due polimeri commerciali con il metodo Solvent Displacement. Comunque il modello a tre parametri sembra anch'esso fornire una

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buona approssimazione dei dati, ed entrambi i modelli risultano fisicamente accettabili vista la positività dei parametri calcolati

Per le nanoparticelle preparate utilizzando il polimero di nuova sintesi (CBC2000) il segno negativo della concentrazione iniziale porta ad escludere l'utilizzo di questo modello per questo tipo di nanoparticelle. Probabilmente non si tratta di nanoparticelle con struttura a serbatoio e servirebbero ulteriori dati sperimentali da analizzare magari con modelli matematici più accurati che tengano conto per esempio della degradazione della struttura. Per questo tipo di materiale, il modello compartimentale a tre parametri, o le equazioni di Peppas risultano avere un buon R2 e quindi accettabili.

Nel secondo dei lavori presi in esame in questo lavoro di tesi, sono state preparate nanoparticelle a partire dai polimeri PCL, PLGA e PLA (polimeri commerciali) CB-C2000 e NS-BC2000 sia funzionalizzate (con erceptina) che non, ma con un diverso metodo di preparazione (Modified single emulsion technique) (I dati presenti riguardano i polimeri PLGA, PLA, CB-C2000 e NS-BC2000, mentre nessun rilascio si è verificato dalla nanoparticelle preparate con PCL).

Anche in questo caso il set di dati estrapolati dai profili di rilascio delle prove di laboratorio eseguite sulle nanoparticelle ha costituito la base per le analisi effettuate nella ricerca del miglior modello adattabile.

Si riporta nella seguente tabella il confronto tra il coefficiente di determinazione per le nanoparticelle non funzionalizzate

Tabella 8 Confronto tra il coefficiente R2 per i modelli compartimentali a tre quattro parametri (Modified single emulsion technique)

R2 PLGA PLA C-BC2000 NS-BC2000 Modello a compartimenti 3 param.

0.9444 0.9529 0.9685 0.9471

Modello a compartimenti, 4 param.

0.9297 0.9898 0.986 0.9879

Dal confronto di questi coefficienti, si vede che il modello a quattro parametri è generalmente più accurato di quello a tre parametri. In particolare la cinetica del rilascio da nanoparticelle preparate a partire dal polimero commerciale PLA e da quello di nuova sintesi C-BC2000 sembra essere ottimamente descritta dal modello a compartimenti dipendente da quattro parametri. Questo potrebbe far pensare che un modello in cui si ha una distribuzione iniziale del farmaco suddivisa tra interno e superficie sia una ipotesi plausibile per questo tipo di nanoparticelle ottenute con questo secondo metodo di preparazione.

Per la nanoparticella preparata con PLGA per la quale risulta un valore di R2 non accettabile si ha inoltre un valore negativo della concentrazione iniziale il che porta ad escludere per essa entrambi i modelli a compartimenti. Analoga situazione per le nanoparticelle preparate a partire dal polimero di nuova sintesi NS-BC2000 che pur riportando un buon valore del coefficiente di determinazione il calcolo della concentrazione porta ad un valore negativo. Questo fa escludere il modello a compartimenti dipendente da quattro parametri anche per questo tipo di materiale.

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Probabilmente nel caso dei polimeri PLGA e NS-BC2000 le ipotesi che stanno alla base del modello a compartimenti così come è stato pensato in questo lavoro di tesi, non sono aderenti alla realtà sperimentale e il modello non è in grado di descriverne il funzionamento. Ulteriori prove di laboratorio: preparazione, studio del rilascio e degradazione del materiale, effettuate utilizzando diverse metodiche di preparazione potrebbero costituire una prospettiva di lavoro futuro, unita ad un'analisi effettuata con modelli più accurati che tengano conto di diverse possibili interazioni farmaco-polimero.

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Appendice

Si riportano in questo ultimo paragrafo i risultati analitici e grafici dei fitting eseguiti sulle nanoparticelle di entrambi i lavori presi in esame, che avendo dato valori del coefficiente di determinazione (R2) inferiori rispetto al modello compartimentale hanno condotto all'esclusione dei relativi modelli.

PCL

Figura 54 Modello di Higuchi (PCL)

Figura 55 Modello di Peppas Sahlin (PCL)

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Figura 56 Modello Peppas- Korsmeyer (PCL)

Figura 57 Modello di Weibull (PCL)

Figura 58 Modello Hixon and Crowell (PCL)

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Figura 59 Modello di Baker and Lonsdale (PCL)

PLA

Figura 60 Modello di Higuchi (PLA)

Figura 61 Modello Peppas- Korsmeyer (PLA)

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Figura 62 Modello di Peppas Sahlin (PLA)

Figura 63 Modello di Weibull (PLA)

Figura 64 Modello Hixon and Crowell (PLA)

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Figura 65 Modello di Baker and Lonsdale (PLA)

C-BC2000

Figura 66 Modello di Higuchi (C-BC2000)

Figura 67 Modello Peppas- Korsmeyer (C-BC2000)

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Figura 68 Modello di Peppas Sahlin (C-BC2000)

Figura 69 Modello di Weibull (C-BC2000)

Figura 70 Modello di Baker and Lonsdale (C-BC2000)

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69

Figura 71 Modello Hixon and Crowell (C-BC2000)

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PLA

Figura 72 Modello di Higuchi (PLA)

Figura 73Modello Peppas- Korsmeyer (PLA)

Figura 74 Modello di Peppas Sahlin (PLA)

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Figura 75 Modello di Weibull (PLA)

Figura 76 Modello di Baker and Lonsdale (PLA)

Figura 77 Modello Hixon and Crowell (PLA)

PLGA

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Figura 78 Modello di Higuchi (PLGA)

Figura 79 Modello Peppas- Korsmeyer (PLGA)

Figura 80 Modello di Peppas Sahlin (PLGA)

Figura 81Modello di Weibull (PLGA)

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Figura 82 Modello di Baker and Lonsdale (PLGA)

Figura 83 Modello Hixon and Crowell (PLGA)

C-BC2000

Figura 84 Modello di Higuchi (C-BC2000)

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Figura 85 Modello Peppas- Korsmeyer (C-BC2000)

Figura 86 Modello di Peppas Sahlin (C-BC2000)

Figura 87 Modello di Weibull (C-BC2000)

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Figura 88 Baker and Lonsdale (C-BC2000)

Figura 89 Modello Hixon and Crowell (C-BC2000)

NS-BC2000

Figura 90 Modello di Higuchi (NS-BC2000)

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Figura 91 Modello Peppas- Korsmeyer (NS-BC2000)

Figura 92 Modello di Peppas Sahlin (NS-BC2000)

Figura 93 Modello di Weibull (NS-BC2000)

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Figura 94 Baker and Lonsdale (NSBC2000)

Figura 95 Modello Hixon and Crowell (NSBC2000)

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Nanoparticelle funzionalizzate

L'andamento delle punti sperimentali delle concentrazioni misurate dalle nanoparticelle con erceptina [Figura 96] mostra chiaramente che per le prime misurazioni della concentrazione mostrano valore nullo (le prime due misurazione danno valore nullo per le nanoparticelle preparate con PLGA e PLA con erceptina) probabilmente dovuto al fatto che l'anticorpo addizionato, riveste completamente la nanoparticella e blocca (almeno per le prime ore in cui si è fatta la misurazione) il rilascio, che inizia a verificarsi dopo la disgregazione dell'anticorpo stesso. Quindi per le nanoparticelle preparate con herceptina si ha un rilascio ritardato di alcune ore. Si è tuttavia provato ad eseguire dei fitting sia con i modelli presi in considerazione in questa tesi (compartimentale a 3 e 4 parametri) sia con le altre equazioni classiche del rilascio. In qualche caso l'equazione di Weibull ha dato un valore del coefficiente di determinazione pari a 1, ma questo non ha un significato statistico visto il basso numero dei punti.

Figura 96 Andamento del rilascio da nanoparticelle con e senza anticorpo (C. Mattu)

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Ringraziamenti

Ringrazio innanzitutto i miei due relatori che mi hanno guidato nell'elaborazione di questa ultima fatica arrivata al culmine di un lungo percorso.

Ringrazio il prof Ciardelli per avermi dato la possibilità di occuparmi di un argomento forse un po' estraneo al percorso formativo che ha segnato la mia carriera al Politecnico di Torino, ma che per via di vicende di vita inaspettate è diventato di mio particolare e quasi esclusivo interesse. E' con grande soddisfazione che mi sono occupato di un argomento (la nanomedicina) per me nuovo ma assolutamente affascinante e più che mai attuale.

Ringrazio il prof Preziosi che con grande disponibilità mi ha guidato con rigore e chiarezza per le vie della modellistica, soprattutto applicata al mondo del vivente (biologia e medicina). I sui consigli, suggerimenti e idee rimarranno per me fonte di insegnamento non solo per la tesi ma sicuramente anche per la mia futura attività lavorativa.

Un grazie particolare all'ing Clara Mattu non solo per i preziosi consigli, le correzioni delle bozze ma anche per gli innumerevoli chiarimenti sugli aspetti "pratico-operativi" riguardanti i due lavori di cui lei è autrice e che hanno fornito il materiale per le analisi effettuate in questa tesi.

Ringrazio la mia famiglia che mi ha sostenuto in questi anni, ha creduto in me, ed è stata un formidabile supporto per superare le avversità che ho dovuto affrontare. E' con loro che condivido questa tappa importante del mio percorso.

Un grazie particolare a mio padre che purtroppo non ci sarà in questo giorno per me importante.

Sicuramente dimenticherò qualcuno ma ringrazio anche gli amici (vecchi e nuovi) che ho conosciuto in questi anni di studio, sia dentro che fuori l'ateneo, che mi hanno sopportato e supportato nelle giornate passate interamente nelle aule studio, e nelle serate che ne seguivano.

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