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Numero 91 - luglio 2016 Euro 2.00 Periodico FILT-CGIL Nazionale

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Il servizio fotografico è stato realizzatoda Franco [email protected]

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Tempo Presente

In Linea

Spazio Aperto

Il contributo della Pugliaper lo sviluppo del Mezzogiorno

La traccia di Luciano Lama nella CGIL

Brexit: nazionalismo più cheanti-europeismo

La doppia crisi occupazionale e ambientale

Le elezioni comunali del 2016:una svolta per la politica italiana?

HORIZON2020: Milano, insieme a Londra e Lisbona,vince con il progetto “Sharing Cities”

La mutualità per ripensare lo stato sociale

31Sguardi e Traguardi

Verso la prima scuola di politicaper donne di governo

Vite volutamente spezzate

34Finestre

35Immagini

Fino alla fine del mondo

“La pazza gioia” di Paolo Virzì

Contrattazione, partecipazionee rappresentanza

ATM. Un caso virtuoso nel panoramadel TPL?

26Senza Frontiere

Trends - Grandi cambiamentinei trasporti

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Primo piano

L’Attivo nazionale unitario di Cgil, Cisl e Uil del 12 luglio, dal tito-lo “Rinnovare i contratti. Rilanciare la contrattazione. Per unacrescita fondata sulla valorizzazione del lavoro”, è stato unappuntamento importante per dare impulso e vigore alle verten-ze aperte per il rinnovo di numerosi CCNL.Al momento della sua approvazione, in data 14 gennaio, il documen-to aveva registrato varie reazioni. Qualcuna positiva. Molte di criti-ca, esercizio nel quale particolarmente veementi sono state le posi-zioni espresse da diverse parti politiche e, senza risparmio, da diver-se associazioni datoriali, a partire da Confindustria, la quale, peral-tro, proprio in quelle settimane a cavallo tra gennaio e febbraio scor-si, stava vivendo i primi, complessi passaggi per l’avvicendamento aisuoi massimi vertici. Poi, però, qualcosa si è comunque mosso. Con Confcommercio, le Centrali Cooperative e le Associazionidell’Artigianato si è avviato il confronto e, in particolare con que-ste ultime, si sono registrate convergenze interessanti. Confindu-stria, uscita dai toni forse inevitabilmente accesi della campagnaelettorale interna, sembra avere assunto un atteggiamento mag-giormente dialogante. Infine, quel documento ha offerto alleFederazioni di categoria di Cgil, Cisl e Uil parole d’ordine e ter-reno comune di mobilitazione nelle iniziative organizzate in que-sti ultimi mesi a sostegno di queste vertenze.La proposta sindacale, dopo molti, diversi anni, c’è ed è unitaria:già solo questo costringe inevitabilmente tanti critici “a prescin-dere” ad abbandonare il giochino infinito, di solito strumentale epregiudiziale, sull’inesistenza o sull’inadeguatezza della propostasindacale e, invece, misurarsi con essa.In particolare, già nei prossimi giorni e poi, con maggior chiarez-za, da settembre, la Confindustria dovrà dare segnali concreti perverificare se quell’atteggiamento, apparentemente dialogantedelle ultime settimane, saprà diventare disponibilità a intavolaredavvero il negoziato e farlo avanzare. Ne dovrebbero avere tutto l’interesse. Intanto, perché un accordo

sulle materie oggetto del documento confederale unitario darebbepreciso e coerente compimento alla sequenza di accordi che tra il2011 e il 2014 hanno rilanciato, disciplinandoli, i temi della rappre-sentanza sindacale, del rapporto tra i due livelli di contrattazione,la validità degli accordi collettivi e la loro esigibilità. Poi, perché, chiudendo coerentemente il cerchio, con un’intesasulle relazioni industriali (e non solo più, come accadde con il purfondamentale accordo del 1993, sul solo modello contrattuale), sipotrebbe aprire una interessante stagione nella quale, in direzio-ne esattamente opposta a quella percorsa nell’ultimo decennio,le parti sociali, datoriali e sindacali, riappropriandosi del lorofondamentale ruolo di autonoma rappresentanza sociale e svilup-pando questo ruolo sulle novità che la proposta sindacale ipotiz-za (nuove relazioni sindacali e la contrattazione da queste pro-dotta), diventino il fulcro di processi veri di sviluppo economicodel Paese e di competitività “sana” del suo sistema produttivo.La proposta di Cgil, Cisl, Uil non è la somma di posizioni divergen-ti, più volte manifestatesi in passato e tali da impedire l’elabora-zione di una posizione unitaria. E’, invece, una sintesi avanzata,una convergenza effettiva, di posizioni di partenza diverse.Questo straordinario sforzo di sintesi non determina automatica-mente l’accordo con le controparti, ma impone a tutti di misurar-si nel merito, favorisce la ricerca di mediazioni tra le parti,ammette per la prima volta e, nel farlo, orienta, il possibile inter-vento legislativo di sostegno in alternativa, invece, dell’interven-to legislativo invasivo e, quindi, limitativo dell’autonomia delleparti sociali in materia di relazioni industriali e contrattazione.L’approccio sistemico proposto dal documento mette insieme idiversi tasselli che devono comporre un sistema di relazioni indu-striali adeguato agli ambiziosi obiettivi riformatori proposti:contrattazione, partecipazione e rappresentanza.Nei trasporti, dove nel corso dell’ultimo quindicennio la strategiacontrattuale del sindacato ha consentito importanti risultati diunificazione e inclusione del lavoro, attraverso la progressivacostruzione di CCNL che ricomprendessero l’insieme della filieraproduttiva e delle attività che concorrono alla “catena del valo-re”, il documento Cgil, Cisl, Uil offre una tastiera di possibiliinterventi che, opportunamente declinati nelle diverse specifici-tà, consentono di rafforzare la difesa di quanto conseguito dagliattacchi regressivi in atto (come dimostra plasticamente, adesempio, la trattativa in corso sul rinnovo del CCNL Merci e Logi-stica) e delineano una prospettiva di consolidamento e di ulterio-re sviluppo di quella strategia.Nei trasporti, inoltre, la presenza di diverse imprese estere e inuovi assetti che potrebbero determinarsi nel sistema delleimprese pubbliche in corso di possibile privatizzazione, possonodeterminare numerose situazioni di attuazione di quanto il docu-mento propone in tema di partecipazione, anche magari, in unaprima fase, di carattere sperimentale.Infine, sempre nei trasporti, le proposte contenute nel documen-to Cgil, Cisl, Uil possono offrire un fertile terreno di sviluppo delwelfare contrattuale, anche correggendo alcune esperienze che,in questi anni, non hanno dato i risultati attesi all’atto della lorodefinizione e, poi, nella loro attuazione.

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di Alessandro Rocchi, Segretario Generale Filt-Cgil

Contrattazione, partecipazionee rappresentanza

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Tempo presente

Un tema per lungo tempo scomparso dal-l’agenda politica in Italia è stato quellodel divario tra il Mezzogiorno e il resto delPaese. Occupazione, tessuto produttivo,ricchezza delle famiglie, qualità dei servi-zi pubblici sono alcuni degli indicatori chein maniera impietosa fotografano questogap. Una situazione preesistente alla crisie che la lunga fase recessiva ha accentua-to in tutta la sua drammaticità.Due dati sono emblematici: tra il 2008 e il2014, il Sud ha perso 576mila posti di lavo-ro, il 70 per cento del calo complessivoitaliano. Il tasso di povertà tocca il 34 percento nelle regioni meridionali, a frontedel 14 per cento nel settentrione.

La Puglia nel MezzogiornoIn Puglia, nello stesso periodo di riferi-mento, i posti di lavoro perduti sono stati134mila. Eppure la nostra, affermano glianalisti, è la regione che ha avuto lemigliori performance tra quelle meridiona-li in termini, ad esempio, di export e inve-stimenti. Ma è la stessa dove è ripreso unforte flusso migratorio soprattutto giovani-le, a causa di una disoccupazione settoria-le che sfiora il 60 per cento. E c’è poco dagioire delle 106mila nuove assunzioni atempo indeterminato registratesi nel2015, un dato drogato dall’esonero contri-butivo. Non è un caso che nei primi mesidell’anno, cessata la decontribuzionetotale, quegli indici sono in netto calo.Soprattutto nel 2015 è diminuita l’occupa-zione dei laureati di ben il 4,6 per cento,e il dato positivo riguarda solo l’occupa-zione di basso contenuto professionale estagionale. La capacità del sistema delleimprese di penetrare sui mercati interna-zionali non ha, nel suo complesso, signifi-cativi progressi se si escludono meccatro-nica, aeronautica e farmaceutica, compar-ti caratterizzati dalla forte spinta all’inno-vazione. Positivo è il trend delle produzio-ni agroalimentari, un settore primariodove sono però ancora presenti fenomeninon più sostenibili di sfruttamento dellavoro. Un comparto che andrebbe invecespinto legandolo in un brand unico conl’eccezionale offerta turistica, paesaggi-stica e culturale della Puglia.

Una regione dal lavoro poveroe insicuroLa nostra è una delle regioni in cui, al giàdiffuso lavoro precario, abbiamo dovutosommare l’esplosione dell’utilizzo dei vou-cher: nel turismo, nel commercio, nellagrande distribuzione come in agricoltura.Voucher che spesso nascondono lavoronero. Oltre 5 milioni quelli venduti nel2015, già 2 milioni nei primi quattro mesidel 2016.In certi call center si è costretti ancora alavorare a un euro l’ora, così come moltilavoratori nel tessile operano a nero neisottoscala. Una diffusa illegalità che pro-duce anche morti e infortuni gravi sul lavo-ro. Un lavoro illegale e irregolare che stia-mo contrastando e contrasteremo in tutti imodi, non solo con denunce ma anche conla costruzione di una cultura diffusa dellasicurezza e della prevenzione, contro una

visione ancora presente in un certo tipo diimpresa che considera la sicurezza sullavoro come fattore di costo sul qualerisparmiare. E il salario da comprimerel’unico strumento per competere sui mer-cati globali. In tal senso, serve una cresci-ta culturale del sistema d’imprese, oltreche etica.

Emergenza ambienteLa Puglia è anche la regione dell’ambienteviolato da insediamenti industriali, chehanno sfruttato la nostra terra in manieraindegna lasciando poi solo macerie e inqui-namento. E non penso solo all’Ilva diTaranto, di sicuro la più grande delleemergenze e che invece potrebbe costitui-re una nuova opportunità per lo sviluppo diTaranto, per la Puglia e per l’intero Paese.Penso anche a Brindisi, a Cerano, Manfre-donia, all’area Stanic di Bari, alla Fibronit.

di Pino Gesmundo, Segretario Generale CGIL Puglia

Il contributo della Pugliaper lo sviluppo del Mezzogiorno

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Una terra che dobbiamo difendere con identi, mantenendo un ambiente sano,riducendo l’apporto di fonti fossili ad altoimpatto ambientale, cercando soluzionialternative al tracciato TAP, evitando leinutili trivellazioni. Abbiamo pagato unprezzo troppo alto allo scambio lavoro-ambiente e questa regione non può e nonvuole più accettare questa logica.

Le proposte della CgilIn questo scenario, la Cgil sta rielaborandoin chiave pugliese due grandi intuizioniprogrammatiche della CGIL nazionale: ilPiano per il Lavoro e Laboratorio Sud, cheabbiamo reinterpretato e fatto vivere intutti i nostri territori con proposte pro-grammatiche precise.Le nostre piattaforme territoriali, quelleche ogni provincia ha elaborato, sono partidi un’unica piattaforma regionale su cuistiamo sviluppando la nostra iniziativa e sucui stiamo costruendo anche le alleanzenecessarie. Sono il punto di partenza peruna nuova stagione.Stiamo ai tavoli istituzionali e di contrat-tazione, con l’unico obiettivo di sostenerequelle azioni che provano a dare rispostealla domanda di lavoro e alla diffusapovertà. Ad esempio, con un’azione dicontrollo e denuncia dove servisse in temadi spesa dei fondi strutturali, ambito in cuila Puglia ha sempre raggiunto coefficientialtissimi.Perché le politiche, come abbiamo sempreaffermato, non sono ininfluenti. Un casoscuola è quella del masterplan per il Sud:doveva valere 100 miliardi e si è poi ridot-to, al netto dei fondi comunitari, a soli 12miliardi, di cui due destinati alla Pugliarispetto ai 4,5 miliardi spettanti. Unabeffa al Mezzogiorno, laddove niente è

più virtuale dei soldi veri da destinare agliinvestimenti. Nel frattempo, si è continua-to a fare quello che si era sempre fatto inprecedenza: usare i Fondi destinati al Sudcome bancomat, vale a dire credito diimposta, Jobs Act, gli 80 euro e via discor-rendo. Anzi. Ora il Governo ci sottrae anche240 milioni dei Fondi Comunitari regionaliper rifinanziare il credito di imposta.I tagli hanno riguardato linearmente tuttele regioni meridionali e sarebbe ora chetutte insieme alzassero la testa per riven-dicare una politica che investa strategica-mente nel Mezzogiorno, fuori da ogni logi-ca neo assistenziale.Ciò detto, abbiamo chiesto alla Regione e alpresidente Emiliano di definire, sulla basedi quelle risorse, un quadro di progetti chefossero immediatamente cantierabili e

potessero creare lavoro stabile e di qualità.La Puglia dispone comunque di circa 8,3miliardi rivenienti dai Fondi Comunitari traFondo Europeo di Sviluppo Regionale,Fondo Sociale Europeo e Piano di SviluppoRurale, le cui linee strategiche sono statecondivise con noi e con le quali pensiamodebbano integrarsi i due miliardi del pattoda sottoscrivere con il governo.Dobbiamo fare fino in fondo la nostraparte, perché si tratta di dare sostanzacon indicazioni precise su assi strategiciper lo sviluppo e il benessere della nostraregione. Penso alle risorse destinate alsostegno alla ricerca applicata, con unruolo fondamentale che devono rivestireUniversità ed Enti di Ricerca. Alle misuredi sostegno al sistema produttivo, conparticolare attenzione all’innovazione eall’attrazione di grandi investimenti, allacreazione di nuove imprese innovative estartup, a imprese giovanili che nonhanno la possibilità di accesso al creditocon interventi a fondo perduto finoall’80% dell’investimento. Penso alla cul-tura e in particolare alla filiera dellospettacolo, dal teatro al cinema e allamusica con l’obiettivo di radicarne inPuglia anche le produzioni. Al turismo,con una valorizzazione in una logica disistema non solo dei numerosi beniambientali, ma anche dei tanti siti cultu-rali. Perché non basta creare un brandterritoriale, occorre trasformarlo in occa-sione vera di sviluppo e penso a tutto ciòche c’è da fare ancora, per esempio, nelSalento, nel Gargano, o in valle d’Itria.Penso alle politiche energetiche e allosfruttamento delle fonti rinnovabili,migliorando una posizione che ci vede giàal primo posto in Italia. Agli interventinecessari di difesa del suolo e della costa.

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Tempo presente

All’approvvigionamento delle risorse idri-che e la loro distribuzione e gestione,così come alla depurazione e affinamentodelle acque per uso agricolo. Penso altema della chiusura industriale del ciclodei rifiuti.Non meno importanti, anzi, gli interventisul versante infrastrutturale, a partiredalla logistica e i trasporti, per rendere laregione più competitiva e attrattiva, permigliorare velocità e costi per lo sposta-mento delle merci, per collegare meglio laPuglia e i suoi cittadini al resto del Paese.Assieme ai progetti di treno tram che inte-ressano alcuni territori, su ferro le prioritàsono lo sblocco dei lavori della Bari-Napo-li e il raddoppio della Termoli-Lesina, unastrozzatura sulla dorsale adriatica anacro-nistica e che è in attesa di un accordo traPuglie e Molise per le modalità di interven-to. E, a completare il quadro degli inter-venti su rotaia in un’ottica di integrazione,il progetto per il nuovo nodo ferroviario diBari, servente al potenziamento dell’asseadriatico-tirrenico, collegando anche learee urbane dell’area metropolitana. Non fuori da una logica sistemica sono cen-trali le piattaforme logistiche, a sostegnodi una intermodalità al servizio delleimprese: pensiamo ad esempio al collega-mento del trasporto ferroviario dei porti diBari e Taranto, o alla piattaforma all’areaindustriale di Foggia. Allo stesso modo, eanzi in ragione di questo approccio siste-mico, sono strategiche le opere legate alsistema portuale pugliese. Preoccupante èla situazione del porto industriale diTaranto, dove il traffico dei container si èpraticamente azzerato a causa dei manca-ti interventi sull’area retro portuale e di

movimentazione. Allo stesso modo, vannocolte le opportunità del traffico portualelegato ai flussi turistici, potenziando lestrutture. Attenzioni che vanno posteanche per gli aeroporti di Bari e Brindisi,che hanno visto crescere il traffico graziealla crescente attrattività della Puglia.Vanno fatti investimenti mirati sulla for-mazione, indirizzata nella logica di incro-ciare domanda e offerta di lavoro. Uncapitolo a parte merita il tema delle poli-tiche sociali, per dare risposte al crescen-te disagio. Un primo importante esperi-mento è quello del Reddito di Dignità, cheper la Cgil va finalizzato a strumento dipolitiche attive del lavoro. Vanno messe in

campo vere politiche di inclusione sociale:nidi, non autosufficienza, integrazione inparticolare degli immigrati, lotta allepovertà, infrastrutture socio-sanitarie esocio-assistenziali con particolare attenzio-ne agli anziani, adeguamento dell’ediliziaresidenziale, per dare risposte ai bisogni diuna popolazione residente invecchiata.Infine, siamo impegnati in una vertenzache interessa tutti i cittadini pugliesi, cherappresenta una vera e propria emergenzaregionale: il sistema della sanità pubblicae le politiche per la salute.Il confronto con la Regione è aperto, esono note le nostre posizioni: da un latooccorre specializzare sempre più l’offertaospedaliera, con l’obiettivo di ridurre, senon azzerare, la mobilità verso altre regio-ni. Inoltre, occorre investire sulla preven-zione, perché solo così possiamo ridurre laspesa sanitaria e farmaceutica. Allora vaportata a termine la riconversione degli exospedali in case della salute, elementoqualificante di quella che definiamo sanitàterritoriale. In grado di razionalizzare ilsistema senza ridurre la copertura delsistema sanitario pubblico.La Cgil è in campo con la sua forza pro-grammatica, con il suo radicamento neiterritori. Al Governo nazionale chiediamoche non dimentichi il Mezzogiorno, chelavori a una coerente politica industrialedentro la quale anche le vertenze pugliesi– dalla Bosch a Finmeccanica, dalla Natuzzialla Getrag - troverebbero più forza.Siamo molto convinti che la Puglia abbia lecarte in regola non solo per invertire larotta, ma per diventare regione trainantedi tutto il Mezzogiorno. Un volano per losviluppo. Noi ci crediamo e nei mesi pros-simi lavoreremo per questo obiettivo.

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Luciano Lama è stato uno dei leader più importanti del sindacatonel dopoguerra. Ma l’epoca recente di questi anni sta trasformando la memoria diavvenimenti e personaggi in didascalie insignificanti o il cui signi-ficato è utilizzato a uso di battaglia politica attuale. Coloro che combatterono strenuamente Enrico Berlinguer raffigu-rato come “rosso fuori e bianco dentro” oggi ne lodano l’intran-sigenza. Sandro Pertini, politico e fiero socialista in tutta la suavita, raffigurato come un guerrigliero anticasta. Come se, da un lato spettasse agli storici una ricostruzione minu-ta degli avvenimenti e dall’altro un intero popolo che, perdendomemoria, si accontenti appunto di frasi, slogan, buoni per corre-dare il dorso delle bustine di zucchero.Conta molto non tanto la fine delle ideologie del novecento ma lanascita di partiti o movimenti che hanno reciso il loro rapportocol passato. Un nuovismo che esplora il passato e s’identificamagari con la Costituzione, ma non con chi l’ha scritta e voluta.Compiendo salti logici e temporali dettati proprio dalla inconsi-stente capacità di sentirsi anche parte e prodotto di un passato. Il passato non ha alcuna razionalità in sé e quindi non va accetta-to come l’unica opzione possibile. Del difetto di memoria della nostra storia recente, quella cheincide maggiormente anche sulle scelte politiche delle persone,si hanno prove ripetute quando s’indaga sulla conoscenza di fattiquali la lotta di liberazione o gli anni del terrorismo. Luciano Lama, cui sono dedicate ben altre indagini storiche ovalutazioni che quelle possibili da parte nostra, ha il pregio diaver attraversato gli anni dalla resistenza, lui partigiano, al ‘96anno della sua morte.Oltre 50 anni della nostra storia da un punto assoluto di valuta-zione dei cambiamenti del paese, con un ruolo di protagonistadentro la Cgil (e anche deputato e dirigente nel Pci). Ho riletto le sue due interviste, quella sul sindacato del 1976, equella sul partito del 1987. La prima, ma soprattutto la seconda, ci consegnano una nettezzadi giudizi, di analisi, di lettura della realtà che lascia stupiti inrapporto all’oggi. Come era possibile che in anni di “centralismo democratico”, dirigide correnti partitiche anche nel sindacato, di divisione socia-le molto più marcata di oggi, le opinioni fossero espresse con unacosi evidente chiarezza e con così netto coraggio? Oggi, al contrario, finiti o quasi i richiami alle ideologie del nove-cento, si hanno analisi più emotive che lucide, senza progettisociali di cambiamento, quasi una resistenza a bassa intensità. Come se, al progetto profondo della società di cui la Cgil si senti-va parte, e che aveva un profondo senso riformatore, oggi si siasostituito un radicalismo dal corto respiro, uno sloganismo checompensa la carenza di analisi. Il progetto di cambiamento socialevedeva passaggi graduali e ogni accordo sindacale era un passaggioobbligato. Luciano Lama rifiutava una logica del sindacalismo fuorida una visione di trasformazione sociale, ma indicava che un pro-getto non può essere solo politico, deve rispondere ai compiti chesono propri di ogni sindacato.

Mentre Lama ammette le sue sconfitte, la politica dell’Eur e laFiat nel 1980, oggi nessuno si sente pronto a dichiarare un proprioerrore. Nemmeno involontario. Quando la realtà non risponde al nostro desiderio o progetto, larisposta sta nell’accentuare i toni.Lama è stato il leader indiscusso per quasi 20 anni della Cgil, sinoa esserne il suo marchio essenziale. Eppure non voleva una Cgil identitaria e tra l’unità interna e quel-la con Cisl e Uil e un’azione di rottura scelse sempre l’unità. Delle due interviste abbiamo scelto alcuni passaggi che ritenevamoutili a una ricostruzione non solo del chi è stato Lama e quindi delsuo pensiero, ma delle scelte difficili compiute, del coraggio concui si sono indicate delle prospettive. Due libri che, riletti oggi, ci consegnano una persona libera, cheesprimeva le sue opinioni e faceva la sua battaglia anche a rischiodi restare in minoranza.Forse andrebbero consegnati ai nostri giovani delegati, e non soloa loro, per capire quanto è difficile il mestiere del sindacalista.

La traccia di Luciano Lamanella CGIL

a cura di Nino Cortorillo, Segretario Nazionale Filt-Cgil

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Tempo presente

D Andando a dirigere la Camera del lavoro (di Forlì, subitodopo la liberazione ndr) a che sindacato pensavi: a qual-cosa che si ricollegasse alle organizzazioni del primodopoguerra, a una struttura radicalmente nuova oppuresentivi di occupare più semplicemente strut ture del regi-me precedente?

R Quest’ultima tentazione si è avuta in qualche regione delMezzogiorno, ma non al Nord e tanto meno in Romagna.Tutto quello che era fascista doveva scomparire; si trattavadi far nascere un’organizzazione libera che, con la sua stes-sa presenza, si contrapponesse diametralmente a quello cheera stato il sindacato fascista. Non ci doveva essere alcunrapporto di continuità col passato, assolutamente. Quanto alsindacalismo prefascista, ne avevo una nozione molto vaga:sindacato di categoria, Camera del lavoro, Lega erano perme parole che venivano dai discorsi dei vecchi compagni cheavevano militato nel movimento sindacale prima del fasci-smo e che, in gran numero, furono immessi nella dirigenzadel nuovo sindacato. Per quel che mi riguarda, non c’è dub-bio sulla mia assoluta impreparazione di allora. Del resto, ilsindacato non è rinato allora così come è visto oggi. La genteveniva a iscriversi a migliaia: erano operai, contadini, impie-gati, ambulanti, artigiani. Venivano a prendere la tesseradella Camera del lavoro e con ciò intendevano dimostrareuna doppia volontà: di tagliare ogni ponte col fascismo e diricostruire il paese. Come nasce, invece, normalmente unsindacato? C’è un gruppo di lavoratori che decide di riunirsiper la tutela dei propri interessi, si costituisce una sezione,poi una lega, infine si arriva al sindacato di categoria. Inalcuni paesi finisce tutto lì. Alla fine della guerra in Italianon esistevano organizzazioni verticali, di categoria; si eranoriaperte soltanto le Camere del lavoro e qui andava la gentea iscriversi. Ci sono voluti alcuni anni per passare da quellastruttura territoriale alla creazione dei sindacati di catego-ria con strutture verticali. Ricordo che in Romagna, dove nonc’erano molte fabbriche, esisteva più che altro un sindacali-smo contadino, bracciantile, mezzadrile e perciò fortemen-te legato alle strutture territoriali che abbracciavano emediavano gli interessi dei vari gruppi: sotto quest’aspettoera un sindacalismo molto poco corporativo, anche nel sensoclassico della parola. All’apertura della Camera del lavoro vifu una vera e propria corsa all’iscrizione: alla fine del ‘45avevamo oltre 100mila iscritti su una popolazione che nonarrivava allora alle 450mila unità. Fu un fenomeno sponta-neo e incredibilmente massiccio.

D Sempre nei primi anni Cinquanta, mentre il sindacatodenuncia questa carenza di sintesi e di disegno globale,si registrano rilevanti regressi di forza, soprattutto dellaCgil, nelle fabbriche del Nord. Che spiegazione dai a que-sti fenomeni: erano le conseguenze del fronte anti -comunista oppure gli effetti del consolidamento dello svi-luppo economico capitalistico?

R Credo che tutti questi fattori insieme abbiano contribuito aquell’indebolimento; ma vi fu anche un’altra causa impor-tante che va cercata soltanto all’interno del sindacato.L’analisi più acuta della situazione è nell’autocritica chefece Di Vittorio in un direttivo della Cgil del 1955, subitodopo le elezioni interne alla Fiat in cui avevamo subito unasconfitta grave e vistosa. Certo c’erano stati tentativi padro-nali, coronati da successo, di creare sindacati di comodonelle aziende, ma non era di questo che dovevamo meravi-gliarci: il padronato fa il suo mestiere, dobbiamo semprechiederci se noi abbiamo fatto il nostro. Proprio su questopunto insistette particolarmente Di Vittorio, sottolineando

che l’organizzazione del lavoro aveva subito, in quegli anni,nelle fabbriche modificazioni profonde che il sindacato nonera riuscito a cogliere. Molte indicazioni confederali, moltenostre piattaforme rivendicative avevano finito per esserelontane o, addirittura, estranee rispetto alle esigenze realidei lavoratori.Dalla presa di coscienza di questo minaccioso distacco nac-que la nuova linea politica e organizzativa della Cgil.Decidemmo di dare maggior forza e potere alle rappresen-tanze aziendali e di categoria, in modo da vincolare la nostraazione più direttamente alle mutate condizioni del lavoro,all’organizzazione produttiva nuova delle fabbriche piùmoderne, per far sì che il sindacato fosse in grado di assicu-rare la difesa dei lavoratori anche nelle diverse condizioniimposte dal padronato. Le commissioni interne della Fiatfurono il grande banco di prova, ma la battaglia politica perla riaffermazione del sindacato in fabbrica fu lunga e dura.Io andai a fare il segretario nazionale dei metalmeccanici(Fiom) nel dicembre del ’57 e ricordo che ancora nel ’58-’59organizzammo degli scioperi alla Fiat con meno del 20 percento di partecipazione operaia. Eravamo allora in pienoclima vallettiano nella direzione del complesso torinese.Inoltre, c’erano gli scissionisti organizzati (che poi avrebbe-ro creato il Sida, il cosiddetto «sindacato autonomo») pernon dire di Cisl e Uil che, in quegli anni, per metterci in crisisommavano la loro forza alla pressione padronale. La ripre-sa di un largo contatto con la realtà delle fabbriche fu per laCgil un’impresa difficile.

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D In che modo e su quali punti si era manifestata questadivaricazione fra i contenuti delle piattaforme generali ele nuove realtà produttive aziendali?

R In quel periodo, come ho accennato, era in corso in tuttal’industria italiana un grosso processo di rinnovamento diimpianti e, soprattutto, di sistemi produttivi; ciò era parti-colarmente accentuato nelle aziende più grandi e più moder-ne. Modificandosi l’organizzazione del lavoro, si creavanoforti differenze, magari all’interno della stessa azienda, neitipi di rapporto fra uomo e macchina o fra uomo e produzio-ne. Le piattaforme nazionali da sole, proprio perché basatesu contenuti generali, non erano in grado di comprendere edi inseguire tempestivamente queste novità continue.In concreto, accadeva che una parte considerevole del sala-rio finiva per non essere più negoziabile nazionalmente dalsindacato, mentre si dilatava il potere padronale di incenti-vare la produzione attraverso premi e superminimi di varianatura. Proliferava così tutta una larga contrattazione azien-dale dalla quale il movimento sindacale, e in ogni caso laCgil, era tagliato fuori con le conseguenze che abbiamo vistosul piano della partecipazione operaia. All’origine di tuttoquesto ci furono anche errori nostri non secondari. Sulla que-stione della contrattazione aziendale, sin dagli inizi deglianni Cinquanta, ci eravamo mossi in base a una posizionecontraria di principio. Prevaleva nella Cgil il timore che, svi-luppando la contrattazione aziendale, la linea del sindacatopotesse assumere contenuti aziendalistici con il risultato diisolare un gruppo di lavoratori dagli altri, di creare conflitti

interni d’interesse difficilmente governabili.Fino al ‘55, l’anno della nostra grande sconfitta alla Fiat,negammo alle strutture decentrate del sindacato un poteredi contrattazione aziendale, appunto perché temevamo checiò potesse significare aziendalizzare l’organizzazione e divi-dere i lavoratori. Il pericolo era ed è reale; ma la nostra posi-zione di rigida preclusione era aggirata dalla realtà dellemodificazioni del lavoro in fabbrica e in tal modo noi finiva-mo per offrire ai lavoratori, in nome di una più profondacoscienza di classe, una strategia astratta e isolazionistica. Asmuoverci vi fu anche la concorrenza degli altri sindacati: laCisl, niente affatto preoccupata delle potenzialità negative,diede vita su base di massa alle contrattazioni aziendali eparticolari. Ma per cambiare la nostra linea furono necessa-rie le gravi sconfitte subite nelle elezioni interne delle gran-di fabbriche del Nord: allora toccammo con mano il rischiodi rimanere estranei alla vita di larghe masse di lavoratori.

D In questa fase di profonda evoluzione del movimentosindacale (dalla contestazione sessantottesca, all’autun-no caldo del ‘69, al rilancio dell’unità e di una strategiaeconomica globale), ha indubbiamente agito da cataliz-zatore un elemento che finora abbiamo trascurato: loStatuto dei diritti dei lavoratori. È anche in questa legge,la quale stabilisce appunto l’esistenza dei consigli deidelegati, che trova linfa la nuova dialettica fra i verticiconfederali e le realtà di fabbrica. Tu hai parlato finoradi chiusura del potere politico alle esigenze della societàe alle rivendicazioni di riforma poste dai sindacati; sequesto accade sul terreno delle misure economiche, misembra invece che, sul piano istituzionale, si debba rico-noscere che lo Statuto rappresenti un raro caso in cui ilpotere politico si muove tempestivamente (se non addi-rittura in anticipo) rispetto alla richiesta di maggiorearticolazione democratica che serpeggia nel paese. Anzi,in un momento in cui il sindacato organizzato è sottopo-sto ad attacchi vivaci dalla sua stessa base e da una real-tà economica esterna sempre più critica, lo Statuto inter-viene ad affermare con una legge rigorosa la presenza eil ruolo del sindacato fra i poteri del paese. In fondo, inItalia, il movimento sindacale beneficia di un codice legi-slativo del tutto sconosciuto in altri Stati. Riconosci que-sto ruolo storico avuto dallo Statuto dei diritti e non tipreoccupa questa codificazione per legge della vita di unmovimento come quello dei lavoratori che, come hai piùvolte ricordato, vuole essere fondato sull’associazioni-smo libero e volontario?

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R Il ruolo storico dello Statuto dei dirittiè stato ed è tuttora rilevantissimo;non c’è dubbio che esso ha presentatouna riforma, fra quelle che non costa-no, molto importante. Non mi pare,tuttavia, che si possa ritenere quellalegge frutto di una volontà politica ilcui fine primario era quello di consoli-dare giuridicamente la presenza delsindacato organizzato nel quadrodelle istituzioni. Lo Statuto parte, inprimo luogo, dalla difesa dei diritti deisingoli lavoratori: qui è il suo spiritocaratteristico. È soltanto dalla sommadei diritti dei singoli che nasce il dirit-to a organizzarsi sindacalmente e,quindi, il potere del sindacato. Adesempio, lo Statuto afferma che ilavoratori hanno il diritto di riunirsiin. assemblea; e questo a prescinderedalla presenza o meno del sindacatoin fabbrica; l’assemblea, a sua volta,può costituirsi in sindacato ed è a quelpunto che entrano in funzione i dirittipropri dell’organizzazione sindacale.

D Si può quindi dire che lo Statuto è servito a sancire la dottrina del sindacato come libera associazione piutto-sto che come corporazione obbligatoria? Pur applican-dosi a una struttura volontaristica, è stata una leggeche ne ha aiutato il processo di democratizzazioneautentica?

R Esatto. Lo Statuto ha riconosciuto i diritti dei lavoratoriproprio nell’ambito di quella concezione del sindacato,libero e volontario, per cui si era battuto venticinque anniprima Di Vittorio. E, infatti, la forza vera del sindacato ènell’essere sintesi delle volontà dei lavoratori perché cosiesso è, allo stesso tempo, fonte ed espressione di demo-crazia. Quanto alla Cgil, quindi, lo Statuto non ha antici-pato o scavalcato la nostra visione di fondo, ma ci ha gran-demente aiutato nella lotta quotidiana per superare ildivario che c’era e c’è anche al nostro interno fra l’esseree il dover essere.

In sostanza, la riuscita concreta dello Statuto non è dipesasoltanto dall’intelligenza illuminata del legislatore e delcompianto compagno Brodolini, ministro del Lavoro ed exdirigente della Cgil, ma dal fatto che si è avuto il sovrappor-si di una norma a un forte processo di partecipazione politi-ca e di lotta sociale già in atto nel movimento dei lavorato-ri. Infatti, lo Statuto dei diritti ha operato nel campo dellapartecipazione democratica reale dei lavoratori alla vita delsindacato molto più efficacemente di quanto abbiano fattoaltre scelte concepite con identiche finalità in campi diver-si. Mi riferisco al caso dei consigli scolastici: l’impegno poli-tico è stato anche notevole al momento della formazione,ma l’esercizio dei diritti ora dov’è? Dove sono gli schiera-menti, le lotte politiche per trasformare la scuola, all’inter-no dei consigli, da parte di insegnanti, genitori e studenti?So bene che la realtà della scuola, anche come omogeneitàdel corpo sociale, è molto diversa da quella della fabbrica;

ma nei consigli scolastici ci sono ancherappresentanti di quegli operai e impie-gati che nelle aziende esercitano piena-mente la loro funzione in rapporto aidiritti stabiliti dallo Statuto. Eppurenella scuola non si vedono ancora comeforze attive e impegnate nel promuovereun cambiamento. Questi diversi effetti dinorme, entrambe dirette a promuoverela crescita della democrazia, si spieganoanche con il fatto che, nel caso dello Sta-tuto dei lavoratori, la legge giunse aregolare e a generalizzare posizioni esituazioni che il sindacato aveva in granparte già conquistato a vantaggio deilavoratori.Per questo, in definitiva, non trovo affat-to preoccupante per un sindacato liberoe volontario la codificazione per leggedei diritti dei lavoratori. Essa è tantoincisiva perché il sindacato l’ha fattadiventare tale.

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D Tu sei stato anche segretario nazionale dei chimici e deimetalmeccanici, cioè «testimone di parte» nella dialetti-ca fra confederazioni e categorie: come è stata la tuaesperienza concreta?

R Tensione ce n’è sempre stata, a seconda dei momenti e deitemi; ma devo dire che essa era generalmente superata confacilità nella Cgil in una visione complessiva dei problemi diclasse, favorita dalla comune matrice ideologico-culturale.Comunque non voglio fare della mitologia sindacale. Nellastoria il sindacato nasce corporativo. La nozione degli inte-ressi generali viene dopo, è il prodotto della crescita di unacoscienza negli sfruttati; non è l’inverso, non è cioè la con-sapevolezza dello sfruttamento di classe che produce il sin-dacato. Questo nasce normalmente quando c’è un gruppo dilavoratori che, stando assieme in un’azienda, sente lanecessità di organizzarsi per affrontare unitariamente ilpadrone. Poi vengono -quando vengono - i collegamenti etutto il resto: così dappertutto sono sorti i sindacati nelsecolo scorso. È dopo la Liberazione che qui c’è stato uncapovolgimento degli atti di nascita; ma prima, anche in Ita-lia, i sindacati sono nati come esigenza corporativa, preva-lendo in essi il dato di gruppo. Del resto, la mia esperienzami dice che la spinta alla difesa degli interessi settoriali,accantonando i problemi generali, non sarà mai soppressadefinitivamente. La lotta per far prevalere la visione globa-le sugli interessi corporativi è sempre aperta ed è anche unodei nodi più appassionanti che rendono viva e mai ferma lavita del sindacato.Nelle organizzazioni che hanno una spinta classista più anti-ca le tensioni sono minori, ma anche qui il livello di coscien-za delle masse, oltre, naturalmente, alla spinta dei bisogni,

è fortemente condizionante sulle strategie d’azione. Questaè la ragione per cui il movimento sindacale deve esserecostantemente impegnato - se vuole perseguire una politicadi classe a livello nazionale - in un’opera di penetrazione nonsolo dei fatti economici, ma anche delle situazioni politichee sociali che non può fermarsi alla superficie, alle differen-ze di busta-paga. Non è un processo che si risolva spontanea-mente; è invece necessario un alto grado di coscienza dellaidentità degli interessi di fondo nelle masse lavoratrici.E in Italia, dove le sacche corporative sono tuttora ben pre-senti, vi è però un elevato grado di coscienza su questopunto, certamente superiore a quello di molti altri paesi del-l’area capitalistica. Ad esempio, perché in Italia si fannotante lotte su temi di sviluppo generali, mentre così pochese ne fanno in altri paesi? Non mi risulta che sia mai statoorganizzato uno sciopero generale a Londra per gli investi-menti nel Nord britannico sottosviluppato o a Parigi per l’in-dustrializzazione della zona del Massiccio Centrale. Se ciò èaccaduto in Italia non è perché noi abbiamo lo sciopero faci-le, ma perché fra i lavoratori italiani è ben presente la con-sapevolezza della comunanza del destino così come la com-prensione dei grandi problemi politico-sociali. Su questopunto si può cogliere una connessione fra la concezione clas-sista del marxismo e gli ideali di fraternità cristiana, unnesso che si è già manifestato e ha funzionato in molti casinella realtà dell’azione sindacale. Mi riferisco ovviamente,per la parte cristiana, non alla pratica rituale della religionema ai sentimenti di origine culturale e morale che esistonoin masse numerose del mondo del lavoro e che operanoanch’essi nel senso di un’estensione della solidarietà, di unabattaglia contro gli egoismi, contro la concezione leonina deirapporti di forza presente in alcuni strati di lavoratori.

D Ma in una società disgregata come la nostra, questaposizione di massima libertà non porta con sé il pericolo difavorire la formazione e le resistenze di sindacati autono-mi e corporativi che sono, alla fine, un fattore antidemo-cratico quanto il sindacato unico e obbligatorio?

R La libertà di sindacato comporta degli inconvenienti, anchegrossi. La politica dell’Anpac, ad esempio, è uno di questiinconvenienti; come lo sono gli autonomi della scuola perl’intera società e non soltanto per gli insegnanti o per i geni-tori dei ragazzi che vanno a scuola. Ma questi inconvenientice li dobbiamo tenere perché essi sono sempre minimirispetto alle conseguenze che potrebbe avere l’obbligo pertutti gli insegnanti di stare in un unico sindacato o per i pilo-ti di stare nella stessa organizzazione con i motoristi, i fac-chini e così via. Come movimento sindacale noi dobbiamofare ogni sforzo per conquistare questi lavoratori al sindaca-to unitario, ma non unico; lasciando sempre il diritto di dis-senso dentro l’organizzazione fino al punto di poterne fareun’altra, perfino di poterne fare un’altra corporativa, chiu-sa, di gruppo. È preferibile questo, piuttosto che imporre atutti la presenza di un solo sindacato che, essendo coatto,tenderebbe necessariamente a integrarsi nel regime, cioè adegenerare in strumento del potere politico dominante.Mentre il sindacato, così come esso è andato costruendosi inquesti anni in Italia, non può diventare uno strumento delpotere: a questo principio fondamentale dobbiamo ispiraretutta la nostra azione.Quanto alle sacche di resistenza corporativa, che sono fortie diffuse, esse non si combattono con una legge che ledichiari illegali e nemmeno con divieti che limitino le libertàdelle opzioni rivendicative del sindacato. Queste posizioni sicombattono efficacemente, nel rispetto della democrazia e

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del pluralismo, offrendo al paese una politica di giustiziaeconomica e sociale. È questa la svolta che noi sollecitiamoe nella quale, come federazione delle confederazioni, chie-diamo di essere coinvolti. Su questo punto dovremo incalza-re sempre di più le forze politiche, il governo e il Parlamen-to da cui dipende l’avvio di una nuova politica economico-sociale nel paese. Un governo e un Parlamento che riempio-no la «Gazzetta ufficiale» di leggine, una volta a favore degliinsegnanti delle scuole medie, un’altra volta a favore degliaddetti alle imposte o dei marescialli dell’aeronautica, sonoun Parlamento e un governo che diventano lo strumento prin-cipale per la corporativizzazione del movimento dei lavora-tori. Ora si tratta di passare non dalle leggine di favore aquelle di divieto, ma dagli interventi legislativi episodici eparticolaristici a una strategia generale di sviluppo che coin-volga e tocchi tutte le forze della società. In questo quadrosoltanto, il movimento sindacale di classe, cioè unitario enon corporativo, potrà essere chiamato a dare il suo contri-buto anche di sacrifici, ma autonomamente e liberamentescelti e condivisi.

D Dell’Eur è stato anche detto: Lama è il primo capo sinda-cale ad affermare con sincerità una verità brutale. Laverità è questa: stiamo attenti, compagni, ai conti del-l’azienda Italia, la baracca rischia di non reggere; sevogliamo che regga dobbiamo tutti far qualcosa; sevogliamo veder diminuire la disoccupazione, è chiaro cheil miglioramento ulteriore delle condizioni degli operaioccupati deve passare in seconda linea.

R Sì, questo è esattamente ciò che pensavo. E se mi sonospinto più avanti degli altri, è perché vedevo che le mag-giori resistenze sociali a questa politica stavano proprio li,fra i lavoratori occupati. Dunque, chi li rappresentava, ecome segretario della Cgil io li rappresentavo, aveva ildovere di vincere questa ovvia resistenza, di lavorare piùdegli altri su questo fronte.

D Ad ogni modo, nel febbraio 1978, la linea dell’Eur vince...

R Vince formalmente, nel voto di quell’assemblea. Non vincenella politica, non s’afferma in concreto. E io perdo, a contifatti. Perché la nostra gente pensa che quella linea sia sba-gliata o da illusi, non l’accetta come una strategia di cam-biamento vero, capace di dar più potere alle classi lavoratri-ci, di affermare la loro forza e la loro autorevolezza nelpaese. Questa è la ragione vera del fallimento dell’Eur, dellafinta vittoria dell’Eur!

D La linea dell’Eur non vince anche perché il Pci la rifiutaquasi subito.

R Mica soltanto il Pci l’ha rifiutata! L’hanno rifiutata quasitutti. Sa dirmi chi ha accettato la linea dell’Eur? La Dc? No,Il Psi? Nemmeno. I repubblicani? Dicevano di averla accet-tata, ma contavano troppo poco per pesare davvero sullegrandi scelte economiche nazionali. E queste critiche e leriserve che si son scatenate hanno tolto ogni tensione aquella strategia nel sindacato. E l’hanno vanificata.Sì, diventava impossibile, questa strategia, se la forza poli-tica essenziale per metterla in pratica si mostrava riottosaa tenere certi comportamenti. Così è andata. C’è stato unerrore grave...

D Un errore massimalistico del Pci.

R Ma no, sto parlando di me. Me lo son posto il problemad’aver sbagliato. Me lo son posto in tanti periodi d’angosciache ho passato nei mesi successivi all’Eur. Mi domandavo:che cos’è il mio? Velleitarismo, intellettualismo, illumini-smo? Che cosa ho fatto? Che cosa ho detto? Poi ho ragionatocosì con me stesso: hai preso la posizione che dovevi prende-re, e sei stato sconfitto. Ma questo, nella vita, capita. Nontutte le posizioni giuste vincono. Se fosse così, il mondosarebbe un paradiso terrestre.

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D Il 26 settembre 1980, nel pieno della vertenza Fiat, Ber-linguer andò a Torino e si presentò dinanzi ad un cancel-lo di Mirafiori. Non voleva parlare. Poi fu quasi costret-to a farlo, per le richieste pressanti degli operai. Allora,Berlinguer rievocò l’occupazione della fabbrica di Torinonel 1920 dicendo: «Se si arriverà all’occupazione dellaFiat, dovremo organizzare un grande movimento di soli-darietà in tutta Italia. Esistono esperienze di un passatonon più vicino che il Pci non ha dimenticato. Noi mettere-mo al servizio della classe operaia il nostro impegno poli-tico, organizzativo e di idee». A lei che effetto feceroquelle parole?

R Un brutto effetto. Io pensavo che l’occupazione della Fiat, emagari anche di altre fabbriche, ci avrebbe portato al disa-stro. Questa è la vera ragione del contrasto fra Berlinguer eme su quel punto specifico. Ma il contrasto era anche piùvasto, e riguardava l’intera vertenza Fiat. La situazione allaFiat non l’ho mai discussa dentro la direzione del Pci, peròio avvertivo che fra la mia analisi e quella della segreteriacomunista c’erano differenze molto profonde. Per esempio,io cominciavo a capire, e con me lo capiva una buona partedei nostri alla Cgil, che non avevamo saputo offrire ai lavo-ratori della Fiat una politica diversa da quella della Fiat.Parlo di una politica che, pur non essendo certamente fonda-ta sull’espulsione dalle fabbriche Fiat di migliaia e migliaiadi lavoratori come si proponeva l’azienda, tenesse contoalmeno di alcune questioni reali, delle tecnologie nuove,dell’ammodernamento. Che, cioè, la Fiat aveva bisogno diritrovare una sua competitività, che aveva troppa gente neireparti, che doveva vincere la sua battaglia con la concor-renza estera, altrimenti sarebbe andata al tappeto, con con-seguenze drammatiche non soltanto per Torino ma per l’eco-nomia nazionale. Anche a Torino c’erano dei compagni, nelpartito, che la pensavano come noi. Ma quella politica nonsiamo stati capaci di proporla agli operai di Mirafiori.

D Nel sindacato di Torino c’era però anche gente che lapensava in modo molto diverso da voi.

R Sì, specie alla 5a lega, quella di Mirafiori. Là prevaleva l’ab-bandono a uno spontaneismo difensivistico, accompagnatoperò da grandi discorsi a mio avviso retorici, gonfi di propo-siti di battaglia... Una posizione rispettabile, per carità, mache non portava a niente, se non alla sconfitta.

D Andiamo al nocciolo della questione: sulla Fiat del 1980chi sbaglia, Lama o Berlinguer?

R Vede, coloro che non riescono a modificare una linea senzasbocchi, e a ottenere un mutamento di comportamenti senzaefficacia, sono loro che sbagliano. Le stupisce di sentirmiragionare così? Ebbene, siccome io ragiono in questo modo,le rispondo che, a conti fatti, sono stato io a sbagliare.

D Non sia paradossale!

R Allora le dirò che non posso affermare che Berlinguer soste-nesse una linea del tutto opposta alla mia. Non mi sento didirlo perché non lo so e non lo credo. Comunque, il fatto chelui sia andato al cancello di Mirafiori e abbia pronunciatoquel discorso evocando la possibilità dell’occupazione dellaFiat, è la spia di una realtà precisa: la battaglia di fondo perfar ragionare gli operai e il movimento sindacale, per portar-li su una linea non estremistica, più agile, più pronta adadattarsi alle mutate-condizioni del terreno econo mico-aziendale sul quale bisognava combattere, beh, questabattaglia Berlinguer la faceva meno di me e di tanti altri

comunisti come me. Berlinguer esitava molto a farla per ilsolito, vecchio motivo: la preoccupazione di perdere il con-tatto con le masse operaie. Amico mio, questo pesa, lo sa?Pesa anche per me.

D In che cosa consiste, soprattutto? (la differenza tra lavorosindacale e politico ndr)

R Mi viene in mente subito una diversità. Nel sindacato lavoria contatto diretto con la gente, giorno per giorno. E ognivolta hai da affrontare dei problemi, problemi veri, che devirisolvere, e tu sei co stretto a risolverli, di volta in volta.Certo, puoi risolverli bene o male, ma questo si vede quasisubito, e quindi sei giudicato sul campo, in modo immedia-to, molto più di quanto non avvenga nel partito. Il partitoquesto riscontro quasi istantaneo non te lo dà. Il partito hatempi più lunghi. T’impegna di più su strategie generali.E non puoi capire subito se sbagli o l’azzecchi.C’è poi un’altra diversità. Nella Cgil, ma anche nelle altreconfederazioni, hai un contatto quotidiano con gente politi-cizzata, sindacalizzata, che la pensa in un modo molto pre-ciso. Il tuo far politica nel sindacato consiste anche nel misu-rarti con loro, tutti i giorni, nel prendere una posizione econfrontarla con quella degli altri, nello scontrarti, anche.Sì, nel sindacato gli scontri sono frequentissimi, e ti consen-tono di verificare di continuo se ciò che stai pensando, rea-lizzando e programmando, funziona oppure no. Nel partitoquesto succede meno di frequente. C’è un’aria più lenta. Esoprattutto il confronto con l’esterno, e con chi sta in altrecase politiche, è meno frequente, anzi, avviene di rado. Lasensazione è di vivere sotto una campana di vetro, dove ilrumore della vita, dei contrasti, delle lotte, dei problemidella gente arriva più attutito che nel sindacato.

D Insomma, per dirla ancora più chiara: Lama era, ed è, uncomunista troppo riformista, troppo socialdemocratico,troppo migliorista, troppo «di destra» per poter arrivareal vertice del partito, e per poter essere accettato comeleader dal corpo del Pci, dal suo apparato, dalla suafascia centrale di militanti più attivi.

R Le ripeto che può aver influito anche questo. Voglio peròfarle notare una cosa: guardi che la pa rola «riformista» nelPci non ha più il connotato negativo d’un tempo. Sì, unavolta, qualsiasi iscritto al Pci si sarebbe ribellato nel sentir-si definire «riformista». Tutt’al più, accettava d’esser chia-mato «riformatore». Oggi i riformisti nel Pci ci sono. E spes-so sono dei riformisti veri, più veri dei riformisti che stannofuori dal Pci. Questi ultimi, i riformisti di altri partiti, parla-no di riforme, anzi, vogliono essere i soli a parlarne, e siriempiono la bocca di riformismo, però le riforme non lefanno, le lasciano in eredità ai loro successori. Io, invece,penso d’essere un riformista di tipo diverso. Vede, ho unnipote di due anni e mezzo. Quando sarà uomo avrà dei pro-blemi, i problemi del suo tempo. Ecco, non vorrei lasciargliin eredità anche alcuni problemi del mio tempo. Vorreiaffrontarli io, questi problemi, e vedere di risolverli.Questo è ciò che io penso del compito di una forza progres-sista oggi in Italia: fare delle cose, non lasciar marcire lequestioni, non nasconderle nell’asse ereditario destinato allegenerazioni future.

________Fonti:“Intervista sul sindacato” di Massimo Riva 1976.“Intervista sul mio partito” di Giampaolo Panza 1987.

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La possibile uscita del Regno Unito dal-l’Unione europea ha generato molte anali-si sulle conseguenze economiche e finan-ziarie, già prima che fosse decretata dalvoto referendario del 23 giugno scorso.Gli studi più autorevoli fanno capo alleistituzioni internazionali e prendono inconsiderazione diversi gradi di isolamentocommerciale e finanziario che possonoverificarsi nel momento dell’uscita effettiva.Secondo il Fondo Monetario Internaziona-le, il potenziale impatto negativo sul PILoscilla fra l’1,5% e il 5,6% da qui al 2019(contro l’attuale previsione di crescitadell’1,9% nel 2016 e del 2,2% nel 2017).Lo studio della Fondazione Bertelsmann,invece, valuta il beneficio derivante dallerisorse non più versate nel Bilancio euro-peo (pari a 0,5 punti di PIL l’anno) a con-fronto con la mancata crescita del settorefinanziario (ad esempio, se molti degli isti-tuti con base a Londra decidessero di spo-stare le loro sedi nelle capitali finanziariedell’Eurozona, prima tra tutte Francofor-te), ma anche dei settori di attività econo-mica e industriale che contano sugli scam-bi commerciali e hanno internazionalizza-to intere produzioni (tra cui spiccano lachimica e la meccanica). Attualmente,circa la metà delle esportazioni e delle

importazioni britanniche avvengono con ipaesi dell’Unione europea. Per questo, trale diverse simulazioni si cerca di valutareanche l’impatto economico del Brexit suipaesi europei, con una sostanziale conver-genza verso la previsione di effetti negati-vi importanti - sempre legati al commerciointernazionale e all’eventuale costo fisca-le di compensazione del budget europeo -ma meno incisivi di quelli sui protagonistiinglesi. Sinora, gli effetti registrati riguar-dano la Sterlina, che in due giorni è piom-bata ai livelli del 1985, e le banche, i cuititoli sono crollati immediatamente dopo ilvoto del referendum, trascinando anchemolti istituti di credito dell’Ue, compresequelle italiane. L’argine poi è stato postodalle dimissioni di Cameron, che ha rinvia-to l’avvio delle procedure - comunque lun-ghe, visto che l’articolo 50 del Trattatodell’Unione Europea stabilisce in 2 anni iltermine limite entro cui rinegoziare gliaccordi con il Paese uscente - a dopol’estate, portando tranquillità ai mercati,che hanno già ripristinato le perdite muo-vendosi sull’aspettativa di nuovi interven-ti monetari da parte della Banca d’Inghil-terra. La posticipazione difficilmentepotrà durare per sempre e, nella miglioredelle ipotesi, l’adesione del Regno Unito al

solo mercato unico - pur rimanendo fuoridall’UE, come per Norvegia e Islanda -richiede comunque di accettare delleregole sovranazionali, comprese quellesulla libertà di movimento dei cittadini,ossia sull’immigrazione. In ogni caso,l’uscita del Regno Unito dall’Unione Euro-pea non è ancora avvenuta e, benché gliallarmi degli economisti non siano infonda-ti, la stima delle conseguenze economichee sociali risulta assai complessa e presso-ché indefinibile.Invece, quel che andrebbe approfonditosono le motivazioni alla radice della sceltadel popolo britannico. Chiamati alle urne icittadini si sono espressi contro i risultatidei sondaggi e le autorevoli opinioni dellemolte personalità politiche, istituzionali eintellettuali, nazionali e internazionali,intente a scongiurare l’abbandono dell’UE.Non è bastato l’intervento del PresidenteUSA Obama, che ha chiamato in causa leragioni della pace e della lotta al terrori-smo. Non è bastato nemmeno l’omicidiodella deputata labourista pro remain JoCox. L’affluenza alle urne è stata del 72,2%degli aventi diritto. Il risultato è stato rag-giunto con meno di 2 punti di scarto e ilPaese si è diviso almeno in due.È apparso determinante il voto degli eletto-ri più anziani, degli operai (o ex) e dei cit-tadini dei vecchi distretti industriali, delleperiferie e dei piccoli centri, in cui le stati-stiche su disoccupazione e povertà risulta-no largamente superiori alla media. Troppointuitivo il nesso tra le politiche liberiste ei processi di deindustrializzazione di epocathatcheriana e le attuali politiche europee.Meno comprensibile la differenza fra unapolitica di svalutazione competitiva sovra-nazionale e una nuova politica di svaluta-zione competitiva nazionale.Non a caso, neanche poche ore dopo il refe-rendum, sono state formulate altre duerichieste di indipendenza: la prima, non deltutto inattesa, dalla Scozia; la seconda, perun eventuale referendum di separazionedell’Irlanda del Nord (in ragione di una riu-nificazione con la Repubblica di Irlanda).Attenzione: le richieste hanno profondemotivazioni storiche - come d’altronde ilBrexit - ma mirano a mantenere i paesi inquestione all’interno dell’Unione europea,

Brexit: nazionalismopiù che anti-europeismo

di Riccardo Sanna, Coordinatore Area Politiche economiche e di sviluppo - CGIL Nazionale

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dato che la maggioranza di quei cittadinibritannici ha votato per il remain.D’altra parte, oggi lo United Kingdom ofGreat Britain non fa parte dell’Area euro enon risponde ai numerosi Trattati chehanno imposto l’austerità (Euro-plus 2011,Fiscal Compact 2012, Unione bancaria2014). Anzi, fino ad ora le disposizioni UEsul Regno Unito non hanno riguardato maiil mercato del lavoro, i salari, le pensionio le privatizzazioni, bensì regolamentazio-ni più favorevoli del diritto nazionale sul-l’economia, soprattutto per consumatori elavoratori. Argomento molto frequentatodal leader laburista Jeremy Corbyn a favo-re del remain. Per molti versi, le condizio-ni europee possono sembrare addiritturaprivilegiate, se si pensa ai benefici del-l’unione doganale e del mercato unicoeuropeo in termini di libero scambio,nonostante il Regno Unito sia sempre statoil paese, tra i 28 dell’UE, che ha credutomeno nel modello sociale europeo e nelprogetto di integrazione.Difatti, la vera ragione alla base delladecisione del Premier britannico DavidCameron di indire il referendum, durantela campagna elettorale del 2015, fu l’ideadi contenere il deflusso di voti verso ipopulisti dello Ukip. Così come la stragran-de maggioranza delle misure economicheinique e mercantilistiche sono state presedai Tories in nome di un liberismo persinopiù spinto di quello europeo. Certo, a sopportarne le conseguenzesaranno soprattutto i giovani inglesi, chein prevalenza volevano rimanere in Euro-pa. Ma il futuro dei giovani - e, dunque,quello di tutti - è una questione europea.Dal referendum greco di un anno fa, pas-sando per il successo del Front National allerecenti elezioni regionali francesi e per laripetizione delle elezioni presidenziali

austriache avvenute il 22 maggio scorso (incui il candidato ultranazionalista e anti-euro Norbert Hofer aveva perso per appe-na 31 mila preferenze), il Brexit rappre-senta solo l’ennesima scossa al processo diintegrazione europeo. Da tempo, l’afflatoper l’Europa contrappone ricchi a poveri,finanza a sviluppo locale, manager e diri-genti a operai e precari, disoccupati ainoccupati. Il noto economista franceseThomas Piketty ritiene che “più che unvoto contro l’Europa, la Brexit esprimesoprattutto un segnale contro l’immigra-zione e la globalizzazione”, ovvero controi mercati che creano disuguaglianze edisoccupazione. Da questo punto di vista,l’uscita del Regno Unito va interpretatacome una nuova spinta populista di matri-ce nazionalistica più che anti-europea.Ecco, dunque, che il vero rischio di conta-gio non è di natura finanziaria, ma politicae sociale. Anche le stime econometriche

che dipingono scenari catastrofici nascon-dono in realtà la paura di un’uscita a cate-na dall’Unione europea, a partire da queipaesi “periferici”, dell’Area euro, stufidell’euro-austerità, ostinatamente perse-guita finora, con modalità più tecnocrati-che che democratiche. L’anno prossimo cisono le presidenziali francesi e le elezioniin Germania; mentre nel 2017 sono previ-ste le elezioni in Olanda. Per il Nobel Paul Krugman “bisognava esse-re ciechi per non vedere arrivare una crisidi questo genere nel progetto europeo”.Una crisi di assenza di prospettiva, proprioin corrispondenza della più grande crisi dimodello di sviluppo. Il progetto di pacedell’Unione europea potrebbe non bastarepiù senza un analogo progetto di sviluppoeconomico, sociale e ambientale. È piùquel che manca che quel che non va adaver condotto al Brexit.La CGIL ritiene che proseguire in questadirezione porterebbe al definitivo divorziotra i cittadini e l’Unione Europea. Le scel-te che la Commissione e i governi devonocompiere sono chiare e urgenti: cambiarei trattati e le politiche. È necessario pun-tare su nuovi investimenti pubblici e sullalotta alle diseguaglianze, sul welfare, sullatutela dei diritti civili e del lavoro, sull’in-tegrazione, recuperando l’obiettivo dellapiena e buona occupazione. Anche la Con-federazione Europea dei Sindacati - che daanni propone un piano pluriennale di inve-stimenti pubblici europei (A New Path forEurope) - sostiene che non si possa più rin-viare la scelta di rilanciare la dimensionesociale dell’Europa e occorre pretendere ilritorno alla centralità del lavoro, insisteresul cambiamento della governance euro-pea, chiedere la ripresa del progetto diintegrazione europea, all’insegna dei valo-ri della partecipazione democratica, dellacondivisione e della solidarietà.

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Nell’ambito della settimana europea per lo sviluppo sostenibile,in Europa sono state messe in campo moltissime attività e conve-gni, organizzati da istituzioni, associazioni, organizzazioni sinda-cali e professionali. In Italia, le iniziative sono state 28, tra cuiquella organizzata dalla CGIL il 21 maggio 2016 dal titolo “Verdeè il futuro del lavoro”, con la partecipazione di rappresentanti diISPRA del CNR, di InterEnergy e dell’ASviS (Alleanza SviluppoSostenibile).La questione sviluppo sostenibile ha, inoltre, assunto un rilievonuovo dopo la conferenza sul clima di Parigi (Cop 21) e dopo chel’Onu ha ufficializzato l’Agenda 2030 che prevede 17 obiettivi e169 sottobiettivi per puntare decisamente a un nuovo equilibriotra crescita, inclusione sociale e ambiente. Possiamo dire, con J.D. Sachs, che si apre l’“era dello svilupposostenibile”, che modificherà lo stato di cose dato. Ma entriamo inquesta nuova era avendo sulle spalle la ‘doppia crisi’: quella del-l’occupazione - lavoro e quella climatica - ambientale. La doppiacrisi è evidenziata da due dati sintetici: la crescita della disoccu-pazione mondiale, europea e italiana e l’innalzamento della tem-peratura del pianeta derivato dall’emissione di CO2 in atmosfera. La disoccupazione ha raggiunto cifre allarmanti nel mondo (200milioni), in Europa (25 milioni) e in Italia siamo a tre milioni didisoccupati pari all’11,4%. Oltre che per la quantità, la disoccu-pazione crea grande allarme e preoccupazione per la sua struttu-ra qualitativa: colpisce in particolare giovani e donne, in alcuniPaesi e territori (per esempio il Sud in Italia) ed è di lunga dura-ta. Questi elementi, spesso tra loro combinati, hanno l’effetto direndere la vita precaria e povera. La povertà e la precarietà stan-no modificando nel profondo la società e i comportamenti indivi-duali, creando rancore verso la politica che non si mostra più ingrado di guidare i processi per uscire dalla crisi. L’altra grande crisi è quella climatica - ambientale che sta assu-mendo connotati, se possibile, ancora più rilevanti. Gli scienziatici hanno detto, con crudezza, che i cambiamenti climatici devo-no essere affrontati con la massima decisione. Non possiamo chepretendere il rispetto dell’Accordo di Parigi: la temperatura nondeve aumentare più di 1,5°C nei prossimi anni, diversamenteentreremmo in una situazione che diventerebbe senza controllo.Gli scienziati ci dicono che l’aumento della temperatura superio-re a 2° C potrebbe attivare processi naturali che conducono alla“irreversibilità” di eventi, provocando modifiche incontrollabiliall’equilibrio del nostro Pianeta. Mari, ghiacciai, suolo, acqua,aria, subirebbero conseguenze catastrofiche.

Nell’Agenda 2030 dell’Onu, per lo sviluppo sostenibile, i 17 obiet-tivi e 169 sottobiettivi ci indicano la direzione da intraprendere:sul lavoro si dice che si deve ottenere una “piena occupazione” eun “lavoro dignitoso” per “tutti gli uomini e le donne”; è necessa-rio “arrestare il cambiamento climatico” adottando misure urgen-ti cioè “integrando nelle politiche, nelle strategie e nei pianinazionali, le misure di contrasto ai cambiamenti climatici”. Ma è evidente che questo diverso indirizzo non si avrà se non sisconfiggeranno le forze politiche liberiste e liberali.La programmazione e l’intervento dello Stato devono ritornare aessere gli strumenti decisivi per affrontare la “doppia crisi” dellavoro e ambientale. Crediamo che il Governo Nazionale debba mettere in campo unprogetto strategico sullo sviluppo sostenibile da confrontare con lasocietà civile, con i corpi intermedi, a partire dalle Organizzazioni

La doppia crisioccupazionale e ambientale

di Gianni Di Cesare, Responsabile green economy ed economia circolare - CGIL Nazionale

La crisi del Paese è anche la crisi dellenostre città, che sempre più vivono nellacongestione, nella bassa competitività,nella frantumazione corporativa, nellainsicurezza sociale e ambientale.

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sindacali, con gli Enti locali e con l’Europa. Siamo convinti che ilPiano del lavoro della Cgil è già, nei suoi indirizzi, un utile eimportante strumento che orienta la nuova programmazioneverso i beni comuni, verso la domanda collettiva, verso i settoriad alta intensità di lavoro, verso l’innovazione delle città cometerreno di confronto e di iniziativa. Le città e le città metropolitane devono essere considerate luo-ghi prioritari per mettere in campo una nuova programmazioneche coniughi la difesa dell’ambiente, il lavoro e i nuovi bisogni deicittadini, a partire dalla mobilità. La contrattazione territoriale deve considerare gli aspetti piùimmediati, i bisogni più urgenti dei lavoratori e dei cittadini, madeve riappropriarsi, inoltre, della capacità di fare nuova pro-grammazione. La crisi del Paese è anche la crisi delle nostre città,che sempre più vivono nella congestione, nella bassa competitivi-tà, nella frantumazione corporativa, nella insicurezza sociale eambientale. Prendere in mano il tema delle città metropolitane esviluppare la programmazione già decisa, con il Pon Metro 2014 -2020, può essere una prima risposta, molto parziale per risorsemesse in campo, ma utile come modello programmatorio. L’eradello sviluppo sostenibile non può mantenere la suapromessa/speranza senza “rendere le città e gli insediamentiumani inclusivi, sicuri e sostenibili”. Le città metropolitane sono, inoltre, un motore potente per losviluppo economico e sociale del Paese: in questo luogo incrocia-mo l’urgenza di programmare la mobilità, la mobilità sostenibile.La città ha la necessità di impostare lo sviluppo attento allasostenibilità: misurare i progressi verso gli obiettivi già assegnati

dal Pon Metro alle città metropolitane e coordinare agli stessiobiettivi le città inserite nell’Osservatorio dell’Anci per le smartcity, sarebbe una scelta molto importante e utile al Paese, ailavoratori, ai cittadini. Già in quest’anno si potrebbero averepiani di mobilità che misurino: 1 il numero dei nuovi mezzi di trasporto acquistati per il TPL

(tram, mini bus elettrici, bus nuovi a propellente non inqui-nante, treni per pendolari, scale mobili, ascensori);

2 il numero di passeggeri che usufruiscono del trasporto collettivo; 3 il numero di auto ibride ed elettriche utilizzate per il car sha-

ring e il car pooling; 4 il numero di biciclette vendute e affittate e il numero di

mezzi usati per il bike sharing;5 i km di nuove corsie preferenziali progettate, messe in can-

tiere e realizzate; 6 la diminuzione della congestione misurata dalla velocità com-

merciale (km/h) dei mezzi pubblici nelle ore di punta;7 l’estensione delle zone pedonalizzate misurate in metri qua-

drati (mq); 8 i nuovi km di piste ciclabili progettate e realizzate;9 la riduzione dell’inquinamento dell’aria per PM2,5 e PM10;10 la densità abitativa dei nostri centri storici cioè il rapporto

superficie/numero di abitanti; 11 l’accesso ai nuovi servizi telematici di informazione e l’acqui-

sto di biglietti elettronici nella mobilità sostenibile.

Questa comune progettazione e queste Azioni coordinate dareb-bero il segno tangibile della volontà di un cambio di direzione.Chiediamo al Governo, perciò, di impostare la nuova legge di sta-bilità orientandola agli investimenti e alla domanda aggregata delsettore mobilità sostenibile, incrementando, quindi, gli investi-menti in quota capitale e lavoro per il TPL.Incrementando di 2 miliardi di Euro il capitolo di bilancio “Dirit-to alla mobilità e sviluppo dei sistemi di trasporto” per gli anni2017 - 2018 - 2019, si supererebbe la stagione negativa dei taglie si avrebbe la possibilità di investire una cifra necessaria a rag-giungere gli standard europei. Questo metterebbe in moto, cer-tamente, una rinnovata offerta, diversa dal passato e più legataai beni pubblici collettivi. Si darebbe così una prima risposta alla“doppia” crisi del lavoro e climatica-ambientale. La Cgil può con forza mettere in campo il Piano del lavoro sullecittà e sulla mobilità urbana, anche perché ci sarebbero risposteadeguate per l’occupazione e la nuova occupazione. La Cgil deverivendicare, inoltre, la qualità della vita per i cittadini, il dirittoalla mobilità sostenibile e riaprire una vera discussione sul rap-porto tra tempo di vita e tempo di lavoro.

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Il tema che mi è stato proposto questa volta per il giornale è, amio parere, molto insidioso per svariati motivi a partire dal ruoloche ora ricopro (segretario generale della Filt Milano), per ilquale si rischia una lettura quasi celebrativa per la nostra strut-tura territoriale. A questo si aggiunga che, proprio in questi giorni, complici le ele-zioni amministrative, gli occhi sono puntati sul trasporto pubblicolocale in particolare nella città di Roma, evidenziandone le disfun-zioni e i malfunzionamenti in un dibattito che, proprio perché inte-ressato alla ricerca del colpevole che varia secondo le convenien-ze elettorali, non riesce ad andare oltre la semplice denuncia. Inquesto caso, il pericolo che si corre è di porre il caso di ATM den-tro la vecchia e fuorviante diatriba tra Milano e Roma, in una logi-ca che ci allontana da un’efficace lettura dei processi reali.Vorrei iniziare con un’osservazione che potrebbe sembrare fuoriluogo. Questi sono i giorni in cui la Cgil sta svolgendo il massimodello sforzo per la raccolta delle firme sulla proposta di leggepopolare e su tre referendum abrogativi di alcune norme, puntan-do a una riunificazione del mondo del lavoro. Uno sforzo politicoe organizzativo enorme per tutta la nostra organizzazione.Ciononostante, proprio in queste settimane, il nome della Cgil èraramente comparso sui giornali per questa nostra importante ini-ziativa. Molto più spesso è accaduto, anche sulle pagine nazionali,per le vicende connesse ad ATAC e alla funzione che dentro quellevicende è imputata alle strutture di rappresentanza dei lavoratori.La stessa cosa è accaduta sugli scioperi nel settore della cultura osu tutte le vicende connesse ai cosiddetti “furbetti” della PubblicaAmministrazione. Com’è ovvio tale squilibrio deriva dalla fase poli-tica, e anche culturale direi, frutto di tante analisi e sulla qualenon voglio tornare. Tale considerazione non può però essere unalibi ma, anzi, rafforza l’idea che il giudizio sul sindacato è datodalla pubblica opinione sempre di più sulla base delle azioni cheesso compie dentro le realtà produttive, sulla coerenza tra queicomportamenti e le dichiarazioni e, infine, sulle modalità con lequali esercita la funzione di rappresentanza. Aggiungo che sempremeno si distingue tra Cgil, Cisl e Uil, che sono considerate un tut-t’uno. Questo impone un rinnovato livello di attenzione, unitario econfederale, alle politiche sindacali, in particolare nell’ambito deisettori che hanno a che fare con il servizio pubblico. Finita questa, lunga, digressione torno alla domanda nel titolo.O, per lo meno, alla prima parte di questa domanda. ATM èun’azienda virtuosa? Dai dati di bilancio che sono in nostro pos-sesso e dall’esperienza concreta quotidiana, direi di sì.Per provare a dimostrarlo sono necessari alcuni, forse noiosi maindispensabili, numeri. L’azienda di Trasporto milanese chiude il bilancio di quest’annocon un utile di 10.8 mln di € (25,8 mln € se si considera il grup-po) triplicando i risultati dello scorso anno e un MOL di 126 mln €che è il più alto di sempre. A questo si aggiunga un valore dellaproduzione di circa un miliardo e un patrimonio netto di 923.6mln € che danno l’idea di una buona solidità patrimoniale edeconomica. La copertura da biglietti sul valore del contratto diservizio è passata dal 48% del 2011 al 54% del 2015.

Si dirà che tale condizione derivi da EXPO 2015. Questo è vero inparte. Infatti, se le quantità sopra descritte difficilmente saran-no ripetibili, bisogna sottolineare che questo bilancio determinarisultati che si aggiungono a una serie positiva nel corso deglianni, che dimostrano una certa continuità sul piano dell’efficien-za. Inoltre, la struttura del contratto di servizio (Gross Cost) fa sìche i maggiori ricavi siano andati al Comune di Milano, il quale haproposto per il 2015 un aumento del contratto di servizio che,però, è inferiore ai maggiori ricavi. Infine, EXPO ha generato nonsolo maggiori incassi, ma anche maggiori costi operativi derivan-ti dalla necessità di sostenere per un lungo semestre un livello diservizio molto alto.La soddisfazione dei viaggiatori si attesta al 94% grazie anche a unlivello di frequenza aumentato in metropolitana, complici le nuovetecnologie introdotte e un trend di guasti in costante decrescita.Sale anche la puntualità. Per quanto riguarda l’esperienza diretta,

ATM. Un caso virtuosonel panorama del TPL?

di Stefano Malorgio, Segretario Generale Filt-Cgil Milano

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quotidiana, da viaggiatore e da sindacalista, è evidente il buonlivello del servizio e la ricerca continua di miglioramenti tecnolo-gici e di efficienza. Un livello di qualità quindi piuttosto alto non solo parametrato aivalori italiani ma anche a quelli Europei. Una qualità che è rico-nosciuta anche fuori dall’Italia. ATM gestisce, infatti, anche lametropolitana di Copenaghen ed è ormai noto l’interessamentoverso questa esperienza in terra francese. Ben altra cosa è capire se Atm possa essere considerata un casonel panorama del TPL, non nel senso di casualità ma nella possi-bilità che essa sia presa come esempio riproducibile in altre real-tà. Per rispondere a questa domanda è necessario indagare lecause della condizione aziendale e capire quali possono essereripetibili e quali no. Cito per primo un aspetto che può apparire del tutto secondario,appartenendo a una mia personale sensazione quindi non compro-vabile. Uno dei meriti della giunta Pisapia è stato indubbiamentequello di aver ridato senso e valore a una città che aveva personel corso degli anni il ruolo che le era riconosciuto. Una sorta diorgoglio dell’essere cittadini di Milano. Tra parentesi ritengo cheproprio quest’aspetto sia stato decisivo in una sfida alle ammini-strative che, aldilà dell’esito, ha impedito il rafforzamento dispinte antipolitiche che sono uscite rafforzate in altre città.Il fatto che città e ATM siano ancora oggi percepite come un unicumha consentito anche a quest’ultima di godere di un effetto benefi-co sul piano della percezione che i cittadini hanno dell’Azienda. Rimanendo in un ambito legato al territorio ma molto più concre-to, si deve considerare che la qualità del servizio è strettamentelegata a un livello infrastrutturale che vede ben quattro lineemetropolitane (la quinta è in costruzione) gestite direttamente,un passante ferroviario (gestito da Trenord), e 180 linee e 24.000corse tra Bus, Tram e Filobus. Il tutto su un territorio non moltoesteso se paragonato ad altre aree metropolitane (Napoli, Roma)e che quindi può essere servito in maniera capillare. Tutto questoaumenta una già presente e storica propensione all’utilizzo delmezzo pubblico che, sebbene ben sotto il livello delle grandi cittàeuropee, caratterizza i cittadini milanesi e lombardi, come testi-moniamo i 2 milioni di passeggeri giorno per ATM e 650.000 perTrenord. Tale condizione ovviamente non è facilmente riproduci-bile e deriva da scelte lungimiranti che i governi cittadini svolse-ro a Milano a partire dagli anni ‘60.Vi sono poi le scelte di efficienza che in questi anni sono statefatte. Penso alla rivisitazione del sistema degli appalti di servizi

e di materiale che ha generato, seppure conalcune difficoltà, grandi risparmi. Inoltre, ATMè riuscita a fare nel 2015 un programma diinvestimenti di 190 mln €, di cui il 93% in auto-finanziamento, che hanno consentito un nettomiglioramento tecnologico e nella qualità delsistema di trasporto. Si deve, infine, riconoscere che il rapporto traComune e Atm, sempre piuttosto complesso,ha agito riconoscendo una reciproca autono-mia, che ha evitato che un’azienda con 9700dipendenti circa diventasse un luogo di costru-zione di consenso politico, cosa avvenuta neglianni passati.Il ruolo del sindacato è stato soprattutto quel-lo di sostenere alcune scelte aziendali sul fron-te della rivisitazione del sistema degli appalti,in particolare nel settore della sosta, nono-stante le enormi pressioni, nonché di accompa-gnare i processi di efficientamento, provandoa trovare soluzioni economiche e normative avantaggio dei lavoratori e tentando di porsi a

difesa di una tenuta economica dell’azienda quale unica veragaranzia per il futuro di chi lavora. Lo abbiamo fatto con un pattotra le federazioni Filt-Fit e Uilt che, tra grandi difficoltà, ha finoad oggi tenuto. Penso agli importanti accordi sugli orari o a quellisulla manutenzione che si sono susseguiti negli anni, alla gestionecomplessa di tutta la fase della chiusura dei tornelli della metro-politana in uscita, all’introduzione del nuovo sistema di segnala-mento in M1. Ricordo, infine, la vicenda EXPO, della quale ho giàavuto modo di scrivere sul nostro giornale, nella quale ci siamoposti come obiettivo la buona riuscita dell’evento con una rispo-sta economica importante che riconoscesse i sacrifici dei lavora-tori, senza però mettere a rischio l’equilibrio economico del-l’azienda, posizione per nulla scontata a fronte della grande pres-sione delle organizzazioni autonome, e non solo, che avevanogenerato attese tra i lavoratori difficilmente sostenibili. Da quanto detto è evidente che ATM può essere presa solo inparte come modello di riferimento per un settore alla ricerca diuna modalità di crescita di fronte alla scarsezza di risorse e a pro-blemi cronici che si sono stratificati nel corso degli anni. I risultati, per quanto positivi, non sono però dati per sempre.L’anno che si apre è denso di incognite.Nel 2017 dovrebbe, infatti, tenersi la gara europea per l’assegna-zione del servizio (la precedente era stata vinta da ATM) e moltisono i soggetti, italiani ed europei, interessati al ricco mercatomilanese. La nostra preoccupazione attiene però non alla garain sé, ma alle modalità con la quale essa si svolgerà e non si limi-ta solo alla cosiddetta clausola sociale.Vi sono, infatti, opinioni molto autorevoli che spingono a unaseparazione del servizio tra metropolitana (unico lotto) e super-ficie (più lotti). Posizioni che paiono, nella migliore delle ipotesi,ideologiche se non interessate, considerando i risultati sopradescritti che l’azienda integrata ha ottenuto e al netto contrastotra le scelte di separazione societaria e le necessità di integrazio-ne che la città metropolitana richiede. A questo si aggiungano le necessità di un intervento infrastruttu-rale importante sulla M2 (la più vetusta tra le linee ma ormaiquella più utilizzata) e la ripresa delle opere di protezione dellecorsie dei tram e di tutti gli interventi tecnologici per l’aumentodella velocità commerciale in superficie. Tutte operazioni impe-gnative sul piano dei bilanci comunali che, purtroppo, sono stateassenti dal dibattito elettorale, ma che sono assolutamentenecessarie se si vuole proseguire nell’opera di rafforzamentodella qualità del servizio di trasporto pubblico in città.

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Le recenti elezioni comunali hanno rap-presentato una svolta importante dellapolitica italiana, con significati ed effettiche vanno oltre i diversi contesti locali.In generale, si può dire che alla tradiziona-le contrapposizione fra centrosinistra ecentrodestra si è sovrapposta quella fra leélite politiche, economiche e finanziarie,da una parte e i ceti popolari, le loro esi-genze e i loro interessi dall’altra. Una con-trapposizione che si è spesso intrecciata almalessere contro la politica e le istituzio-ni di governo, non solo locali. Il centrosinistra e in particolare il Pdhanno registrato sconfitte o arretramentiin diverse città. Ma anche nel centrodestrasi sono manifestati nuovi problemi e irisultati sono stati molto differenziati alivello locale. Il Movimento 5 stelle (M5s)ha registrato, invece, una crescita signifi-cativa del consenso, soprattutto rispettoalle precedenti elezioni amministrative.Le tendenze generali del voto sono eviden-ti se si considerano i risultati nei 143 comu-ni maggiori. Il centrosinistra che governava90 comuni ne conserva 45, mentre il cen-trodestra mantiene e aumenta leggermenteil numero delle città amministrate.

Il M5s è arrivato al ballottaggio in 20 comu-ni e ne ha vinti 19, conquistando anche duegrandi metropoli come Roma e Torino. Lecompetizioni elettorali amministrativefinora di tipo bipolare, fra centrodestra ecentrosinistra, hanno lasciato spazio a unconfronto fra tre diverse proposte politichein molti contesti territoriali. Le recenti elezioni hanno d’altra partemostrato i limiti della tendenza alla per-sonalizzazione e alla mediatizzazionedella politica. Hanno riacquistato impor-tanza, come riconoscono molti commen-tatori, i rapporti con il territorio e i citta-dini, con le loro condizioni reali e le lorodomande, ormai largamente indipendentidalle tradizioni politiche che in passatoorientavano il voto.

1 Nelle grandi città è emersa una fortedifferenziazione del voto nelle “peri-

ferie” rispetto al “centro”, che ha modifi-cato i comportamenti elettorali tradizio-nali. Il caso più evidente (e significativo) èquello di Roma. Al primo turno, il candida-to del Pd (Giachetti) aveva prevalso solonel municipio del centro e in quello deiParioli, mentre la candidata del M5s

(Raggi) aveva avuto più voti in tutti glialtri municipi, in particolare in quelli piùperiferici. La tendenza è stata ancora piùaccentuata al secondo turno: la Raggi haavuto percentuali di voto vicine all’80% neimunicipi lontani dal centro storico. È inte-ressante poi osservare che, tra gli elettorial di sotto dei 45 anni, la candidata delM5s ha raccolto l’80% dei voti, lasciandosolo il 20% al candidato del Pd.Tendenze del tutto analoghe si sono regi-strate a Torino, dove Appendino ha scon-fitto nettamente il sindaco uscente del PdFassino, contro tutte le previsioni. Anchein questo caso è molto significativa ladistribuzione territoriale del voto. Al sin-daco uscente è rimasto solo il centro dellacittà, mentre la candidata del M5s ha con-quistato tutte le altre zone, impegnandosisoprattutto nel dialogo con gli elettoridelle periferie. Anche a Mirafiori, tradizio-nale area di consenso della sinistra, laneo-sindaca ha ottenuto il 56% dei voti. Lescelte di voto sono state d’altra partemolto differenziate nelle diverse coorti dietà. Fra gli elettori con meno di 45 anni ilconsenso per Appendino è stato del 70%. Sia a Roma sia a Torino il centrodestra si èpresentato diviso alle votazioni per ilprimo turno e i suoi candidati non sono riu-sciti ad accedere al ballottaggio.Un quadro diverso è emerso invece nelleelezioni a Milano e a Torino. Nella metropoli lombarda Sala, con ilsostegno del sindaco uscente (Pisapia) edei suoi assessori, è riuscito a prevalere dialcuni punti percentuali sul candidatodella coalizione di centrodestra (Parisi).Ma si sono nettamente ridotti i consensirispetto a quelli ottenuti dalla coalizione“arancione” nel 2011. Sala ha perso quasicentomila voti rispetto a Pisapia, mentresono molto aumentate le astensioni.Il centrosinistra ha vinto nella zona delcentro, ma ha perso in 5 delle altre ottozone più periferiche. Nelle elezioni prece-denti, la coalizione guidata da Pisapiaaveva vinto in tutte le zone. A Napoli la domanda di cambiamento dellepolitiche locali e nazionali è stata raccoltada De Magistris che ha vinto nettamenterispetto al candidato del centrodestra,come cinque anni fa. Il sindaco uscente,

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Le elezioni comunali del 2016:una svolta per la politica italiana?

di Roberto Biorcio

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sostenuto da liste civiche e da Sinistra Ita-liana, ha ottenuto il voto di molti elettoriche nel 2014 avevano scelto il Pd e il M5s.Il candidato sindaco del Pd, sostenutoanche dalla lista Ala di Verdini, non è riu-scito neppure ad accedere al ballottaggio.

2 Il Pd al primo turno ha perso com-plessivamente il 7% dei voti rispetto

alle precedenti elezioni amministrative, eoltre il 15% rispetto alle europee. I risulta-ti deludenti in molte città segnalanol’esaurimento della parabola politicaavviata due anni fa da Matteo Renzi. L’ex-sindaco di Firenze aveva proposto due tipidi messaggi. Da un lato, la sua campagnasulla “rottamazione” imitava la retoricacontro la classe politica di Beppe Grillo;dall’altro, presentava il suo partito comela “diga” contro lo stesso M5S, combatten-dolo come un grave pericolo per la demo-crazia italiana. La strategia di Renzi era stata efficacenelle elezioni europee del 2014, ma nonappare più sufficiente per contenere ladelusione di molti cittadini per l’operatodel governo negli ultimi due anni e per inumerosi scandali che hanno coinvoltomolti amministratori e dirigenti del Pd.I voti che il partito aveva recuperato nellearee di centro e centrodestra non sono piùsufficienti a compensare le perdite versole liste più a sinistra, verso il M5s e soprat-tutto verso l’astensione.La percezione del Pd tra gli elettori èormai molto cambiata rispetto al passato.Il partito non appare più orientato alladifesa dei ceti popolari e dei settori socia-li più colpiti della crisi economica.

È percepito più spesso come rappresentan-te delle esigenze dei “poteri forti” e del-l’establishment, più interessato alla con-servazione che al cambiamento delleattuali politiche del governo nazionale edei governi locali. Non a caso, ha moltadifficoltà a conquistare il voto dei giovanie nei quartieri popolari, ma anche quellodei disoccupati, degli operai e di ampi set-tori dei ceti medi. Ottiene invece i consen-si più elevati tra i pensionati e, in genera-le, tra i cittadini più anziani.Si è d’altra parte indebolito il consensoper il Pd nelle aree dell’Italia centrale,tradizionalmente più stabili e orientate asinistra. Nelle “regioni rosse” oltre metàdei comuni amministrati dal centrosinistraha scelto candidati sindaci sostenuti daaltre forze politiche

3 Il centrodestra non è però riuscito adapprofittare in modo significativo

delle difficoltà del Pd e del governo Renzi.Ha conquistato diverse amministrazioni, mane ha perso anche altre. Nel complesso ilcentrodestra ha solo lievemente aumentatoil numero dei comuni in cui governa. Ledivisioni fra Forza Italia, da una parte, e laLega e Fratelli d’Italia dall’altra, hannoimpedito in molti comuni la presentazionedi candidati sostenuti da tutta la coalizio-ne, rendendo più difficile la vittoria e tal-volta lo stesso accesso al ballottaggio. È risultata sempre più evidente la divari-cazione fra le diverse posizioni presentinel centrodestra. Matteo Salvini ha ripro-dotto nel nostro paese i discorsi e le stra-tegie politiche del Front Natinal di MarineLe Pen, cercando di sintonizzarsi con leposizioni anti-establishment molto diffusein Europa. La Lega e Fratelli d’Italia hannoproposto un’opposizione radicale contro ilgoverno Renzi e l’Unione Europea, impe-gnandosi soprattutto per impedire la cre-scita dell’immigrazione.Ha invece proposto candidati e programmipiù moderati l’area politica che fa riferi-mento alla leadership ormai declinante diBerlusconi. Le divisioni apertamente mani-festate nelle elezioni amministrative ren-dono molto difficile la costruzione di unaproposta unitaria del centrodestra per leprossime elezioni politiche. Nelle città dove i candidati del centrode-stra erano esclusi dal ballottaggio, la Legae Fratelli d’Italia hanno invitato i proprielettori ad appoggiare i candidati del M5s,per opporsi al Pd e al governo Renzi. Piùdefilate sono state invece le posizioni diForza Italia e dei suoi elettori, più orienta-ti all’astensione. E, d’altra parte, le anali-si dei flussi di voto dimostrano che gli elet-tori del M5s hanno appoggiato i candidatidi centrodestra nei ballottaggi solo inmisura molto limitata.

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4 Il movimento fondato da Beppe Gril-lo è stato unanimemente considerato

il vincitore nelle recenti elezioni, in gradodi raccogliere e canalizzare la volontà dicambiamento che si è espressa in moltecittà. Il M5s ha raccolto consensi elettora-li in chiara antitesi con la “deriva” leade-ristica che ha caratterizzato i maggioripartiti italiani. In passato, il movimento aveva sempreavuto meno voti nelle elezioni ammini-strative rispetto a quelle nazionali, per-ché non disponeva di figure credibilicome soggetti di governo in ambito loca-le. Oggi non è più così perché il M5sè presente ormai da anni sul territorioin molte città ed ha costruito un’ampiarete di militanti e attivisti. Nei comuni dove si è presentato, già alprimo turno sono nettamente aumentati iconsensi rispetto alle elezioni amministra-tive precedenti. In 20 città è riuscito aportare al ballottaggio i suoi candidati chehanno quasi sempre vinto, sia contro ilcentrosinistra sia contro il centrodestra.

Il M5s ha raccolto soprattutto voti dallegenerazioni più giovani, meno legate aipartiti tradizionali e spesso in difficoltàper la crisi e la mancanza di lavoro.In generale, il movimento ha raccolto imaggiori consensi nelle aree metropoli-tane più periferiche, votato soprattuttodai disoccupati, dagli operai, dai lavora-tori autonomi, dagli impiegati e dagliinsegnanti. Nel complesso, il profilo dell’elettoratodel M5s nelle amministrative non è moltodiverso da quello del 2013, ma si regi-strano importanti trasformazioni. Primaera un voto di opinione, soprattuttoorientato alla protesta. Ora è anche unvoto di appartenenza, più orientato allaricerca del cambiamento nelle politichelocali e nazionali. È un voto che ha pre-miato in diverse città la presentazione dicandidati credibili per assumere ruoli digoverno, in grado di raccogliere un ampioelettorato trasversale.La scommessa del M5S era (ed è ancora)quella di contrapporre al “partito del

leader” una sorta di “partito dei cittadi-ni”, che fa riferimento a una serie diprotagonisti intercambiabile, impegnatia proporre politiche talora in apertocontrasto con quelle tradizionali e congli interessi dei poteri economici efinanzieri.

Roberto Biorcio è professore diScienza Politica presso il dipartimen-to di Sociologia e Ricerca Sociale del-l’Università degli Studi di Milano -Bicocca. Ha condotto ricerche sullapartecipazione politica, i partiti, imovimenti sociali e le reti associa-tive della società civile. Tra le suepubblicazioni, ricordiamo: Il populis-mo nella politica italiana (2015),Politica a 5 stelle (2013, con PaoloNatale), La rivincita del Nord (2010),Sociologia politica (2003).

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Un orizzonte di ottanta miliardi di europer la ricerca e lo sviluppo: questo è statol’impegno dell’Unione Europea per gli anni2014-2020, quando nel 2013 il Parlamentoha approvato il Programma Horizon2020 –Programma quadro per la Ricerca e l’Inno-vazione. Un numero che ha probabilmentefatto saltare sulla sedia qualsiasi ricerca-tore, piccolo imprenditore o amministra-tore locale che, come orizzonte, da anni,ha visto solo quello della crisi. Gli obiettivi del Programma sono ambizio-si (e necessari):● Rafforzare le basi scientifiche e tecnolo-giche dell’Unione creando un’area euro-pea dedicata alla Ricerca, dove “ricerca-tori, conoscenza scientifica e tecnologiapossano circolare liberamente”.● Creare le condizioni che permettano alsettore industriale dell’Unione di esserecompetitivo.● Realizzare la Strategia Europa 2020 chepunta a una “crescita intelligente, sosteni-bile e inclusiva” dove ricerca e innovazio-ne sono elementi essenziali per la “pro-sperità sociale ed economica e la sosteni-bilità ambientale”.● Attrarre investimenti privati per circadue terzi dell’investimento totale.

E così via. Insomma, l’Europa che voglia-mo. Purtroppo, però, non è tutto oro quel-lo che luccica. Il Programma è fatto dI innumerevoli bandie sotto-bandi su temi che vanno dalle bio-tecnologie ai piccoli agricoltori, dalla salu-te alla cooperazione internazionale, dal-l’industria spaziale alle città intelligenti.Inoltre, la competizione è molto alta: peri primi 100 bandi pubblicati, solo il 14%delle proposte si è aggiudicato un finanzia-mento (era il 20% sotto il Settimo Program-ma Quadro). Se poi si guarda alla sezionededicata alle sfide della società e allecittà, la percentuale si abbassa. Per parte-cipare ai bandi Horizon2020 serve tempo,elevate competenze nel campo della pro-gettazione comunitaria, partenariati solidie multi-stakeholder. In poche parole,serve un investimento economico, umanoe temporale non indifferente. È in questo quadro che s’inseriscono ibandi per le Smart Cities ai quali le ammi-nistrazioni locali europee possono candi-darsi direttamente – senza intermediazio-ne delle Regioni o dei Governi nazionali –come capofila o come partner, insiemealle Università e alle imprese. Si tratta dibandi cosiddetti “Faro” per lo sviluppo di

città e comunità intelligenti (Smart Citiesand Communities – Lighthouse Projects).“In palio” ci sono fino a venticinque milio-ni per cordata, il che significa circa settemilioni per il sistema cittadino di ciascunadelle città vincitrici. Chi mastica di progetti europei sa che sitratta di cifre uniche nel panorama deifondi comunitari, dove normalmente unComune partecipa a progetti il cui totaledel finanziamento va dai 200 mila euro almilione. Tuttavia, non sono solo i fondi aessere un fattore attrattivo. Innanzitutto, i programmi europei comeHorizon2020 danno alle pubbliche ammini-strazioni la possibilità di interagire inmodo diretto con soggetti diversi. Dettopiù onestamente, obbligano il pubblico aconfrontarsi con il mondo accademico, conle piccole medie imprese e con le grandiaziende in un rapporto paritario di co-creazione e collaborazione. Non si trattadi appaltare una commessa o un servizio,ma di creare insieme un progetto territo-riale innovativo a scala di quartiere. Inpratica, una rivoluzione. Inoltre, la colla-borazione tra pubblico e privato avviene inambito di “pre-commercial procurement”e quindi con procedure di selezione piùsemplici e con meno burocrazia. Infine, vi è l’elemento internazionale cheporta un valore aggiunto notevole. Nonsolo si ha la possibilità di entrare in con-tatto con imprese e università europee –relazioni di cui beneficia ovviamente tuttoil sistema-città – ma il proprio progettolocale acquista un prestigio e una credibi-lità maggiore se realizzato insieme adaltre grandi città europee. Insomma, quello che il programma Hori-zon2020 offre alle wannabe Smart Citiesdell’Unione è sicuramente una possibilitàdi accelerare i propri processi di sviluppoe di rafforzare le proprie capacitàd’innovazione.Tuttavia, è evidente che, se si vuolecogliere quest’opportunità, bisogna faredella sostenibilità inclusiva e tecnologica-mente avanzata una priorità politica, deci-dendo appunto di investire persone,tempo e risorse.

HORIZON2020Milano, insieme a Londra e Lisbona,vince con il progetto “Sharing Cities”

di Caterina Sarfatti, Strategic Programmes Manager at C40 Cities Climate Leadership Group

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Questo credo sia il senso della sfida che laCittà di Milano ha deciso di affrontare findall’inizio del mandato del Sindaco Giulia-no Pisapia. Fare di Milano e della sua areametropolitana una Smart City è effettiva-mente diventato un obiettivo strategico,capace di far entrare la Città nelle retilunghe della globalizzazione. La miccia iniziale è stata proprio la parte-cipazione del Comune, nel 2011, ad alcunibandi europei del Settimo ProgrammaQuadro. La “trasformazione intelligente”non si è però limitata ai bandi e, effettiva-mente, non dovrebbe mai limitarsi a essi.Perché sia davvero utile, vincere un bandonon dovrebbe mai essere un fine in sé, maun mezzo per realizzare politiche o ampieprogettualità. Milano ha dunque saputoandare oltre, costituendo un servizioSmart City dedicato all’interno della mac-china comunale, approvando delle lineeguida sul tema, partecipando a diverseforme di finanziamento (non solo bandieuropei, ma anche nazionali e regionali) e,soprattutto, cercando di fare sistema trale diverse azioni che erano implementatedai differenti assessorati. Vediamo qualisono: l’aggiornamento del Piano di Azioneper l’Energia Sostenibile e il Clima e ilPiano Urbano della Mobilità Sostenibile;l’approvazione di un nuovo Piano di Gover-no del Territorio, più attento alla sosteni-bilità delle trasformazioni urbane; la rea-lizzazione di AREA C; il sistema di car ebike sharing; il potenziamento della reteWi-Fi; il rinnovo dei nuovi portali e la crea-zione di un sistema per la diffusione degliOpen Data; il lavoro sull’economia dellacollaborazione; il progetto di Città acces-sibile e tanto altro ancora, sono tuttiesempi di sviluppo smart. Non solo progetti, ma policy quindi. Ecredo sia proprio per questo che Milano èriuscita nel 2015 ad aggiudicarsi il proget-to più ambito, quel progetto “Faro” sulleCittà e le Comunità intelligenti, finanziatodal Programma Horizon2020. Un bando cheha visto un’altissima partecipazione daparte delle realtà urbane europee e unbassissimo tasso di successo (tre cordatenel 2014, quattro nel 2015). È riuscita pro-prio perché non si è trattato di una proget-tazione ad hoc, improvvisata sul momen-to, ma di un lungo lavoro concertato e tra-sversale all’amministrazione che ha fattoriferimento a una scelta strategica difondo condivisa sia sul piano politico chesu quello amministrativo. Una scelta che,per esempio, ha portato la città a esseremembro attivo di grandi reti internaziona-li come C40 Cities – rete globale di 82 Sin-daci impegnati nella lotta al cambiamentoclimatico dove Milano è stata eletta nelComitato Direttivo. Rete che è stata deci-siva per la vittoria del bando Lighthouse,

sostenendo e facilitando la creazione delpartenariato con Londra e Lisbona, le altredue città che hanno fatto parte della cor-data vincitrice con il progetto “SharingCities”. Progetto che a Milano punta allariqualificazione della zona Porta Roma-na/Vettabbia e si propone di rispondere adalcune grandi sfide ambientali, attraversol’utilizzo di tecnologie e servizi innovativi. Un bel riconoscimento e un gran lavoro disquadra. Tuttavia, la strada per la trasfor-mazione di Milano, come di tutte le nostrecittà, in luoghi efficienti, inclusivi, soste-nibili e tecnologicamente avanzati è anco-ra lunga. Quella per trasformare le nostrepubbliche amministrazioni allo stessomodo ancora di più. Serve innanzitutto un grande salto di qua-lità nella formazione e nella riqualificazio-ne delle competenze all’interno dellamacchina comunale. Per ideare progettiinnovativi e per partecipare a bandi euro-pei competitivi, servono persone prepara-te, che sappiano parlare l’inglese, chesiano consapevoli e informati delle ten-denze globali sui temi dell’innovazionesociale, dello sviluppo economico, del-l’ambiente e della sostenibilità. Anchequesto richiede un investimento e una pre-cisa scelta politica. Serve poi un salto di qualità nella capaci-tà delle amministrazioni di fare sistemadi tutto il supporto che potrebbe arriva-re dalle organizzazioni europee e inter-nazionali. Abbiamo parlato del Program-ma Horizon 2020, ma avremmo potutoparlare degli altri innumerevoli finanzia-menti comunitari, oppure delle iniziative

europee e internazionali indirizzate allecittà come il Patto dei Sindaci o il Com-pact of Mayors, del sostegno economicoda parte delle organizzazioni filantropi-che come Bloomberg Philanthropies o laRockfeller Foundation, dei sostegni intermini di risorse umane come il Pro-gramma “City Advisors” di C40, o infinedel supporto sul networking e i partena-riati come quello offerto da Eurocities.Perché tutto questo non rimanga un’oc-casione una tantum o un progetto pilotache muore alla fine del sostegno, è cru-ciale che i Comuni si dotino di strutture,persone e processi capaci di integrare leiniziative diverse nel quadro di politiche,piani e bilanci unitari e coerenti. Infine, serve sicuramente un salto di qua-lità nella gestione e nell’erogazione deifinanziamenti a livello comunitario.Quello di cui le città hanno bisogno nonsono solo programmi ambiziosi, ma soprat-tutto un rapporto diretto e a 360 gradi conle istituzioni europee. Tranne rarissimeeccezioni, chi scrive i bandi non conosce iterritori, non li visita, non ne capisce ledifferenze. Fare un progetto di efficienzaenergetica di edifici pubblici a Vienna nonè come farlo a Palermo, ma neanche aMilano. La Commissione europea devevedere i progetti, visitare i luoghi, parlarecon gli amministratori locali: non (solo)tramite visite tecniche di monitoraggio deiconti, ma (soprattutto) attraverso incontripolitici, di studio e comprensione dellepolicies e non solo delle practices.Anche questo significa ridare senso all’Eu-ropa e al suo smarrito Orizzonte Politico.

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L’enciclopedia Treccani alla voce Mutualità recita: «Nel linguag-gio giuridico e sociologico, è il complesso di istituzioni a baseassociativa regolate dal principio dell’aiuto scambievole e delleprestazioni reciproche. Ciò che caratterizza il fenomeno dellamutualità è la sua volontarietà e l’assenza del fine di lucro». I soggetti più tradizionali di questa categoria sono rappresentatidalle Società di Mutuo Soccorso (SMS) che svolgono attività voltea garantire ai soci una copertura o un sussidio a carattere sanita-rio. Attualmente la maggiore società che può vantare una tradi-zione ininterrotta di mutuo soccorso sin dalle origini è la “Socie-tà nazionale di mutuo soccorso Cesare Pozzo”, fondata nel 1877dai macchinisti e fuochisti delle ferrovie Alta Italia, e fa riferi-mento nel nome a una figura epica dei ferrovieri, il macchinistaCesare Pozzo, morto nel 1898 all’età di 45 anni, dopo aver con-tribuito a fondare mutue e sindacati.Questa mutua fornisce l’assicurazione sanitaria integrativa a180.000 iscritti e ha sedi dislocate in tutta l’Italia, con personalesia dipendente sia volontario. Tuttavia, in Italia le società dimutuo soccorso hanno un ruolo limitato nell’ambito dell’assicura-zione integrativa, in quanto coprono soltanto il 14% della spesasanitaria privata, e quindi molto meno delle società omologheoperanti in altri paesi europei.Le società di mutuo soccorso sono, infatti, comparse in Europa trail XIX e il XX secolo come una delle prime forme di solidarietàdella classe lavoratrice – anti-elitarie, libere dal controllo statalee autogestite - per affrontare le spese inerenti malattia, decessie disoccupazione. Si tratta di un movimento che, diffusosi in Europa con la finalitàdi assumere una difesa collettiva, è poi stato assorbito dalle isti-tuzioni del Welfare, cadendo in una sorta di oblio della memoriacollettiva e della mentalità comune. In pratica, con il diffonder-si delle tutele statali, cessava la necessità di associarsi per difen-dersi dai pericoli della vita e così il mutuo soccorso cominciavaa limitarsi a saggi ricreativi, gestendo sale di ritrovo sociale,ristoranti, bocciofile, squadre sportive.Mentre le filiazioni del mutuo soccorso, sindacati e cooperative,diventavano sempre più grandi e importanti, le mutue volontariecadevano nel “dimenticatoio”. Persino la storia rimaneva influen-zata da questo declino, nella sua analisi. Dal 1960 in poi, gli studisulla classe operaia sono cresciuti in tutti i paesi, trattando la sto-ria del lavoro da numerose angolazioni, dal lato del movimentosindacale, da quello politico, dal punto di vista dei valori cultura-li, persino con l’analisi della storia di genere nel lavoro. Eppure èmancato l’esame di un aspetto essenziale nella vita dei lavorato-ri, rappresentato dalla loro costante ricerca della protezione con-tro gli imprevisti e le minacce della vita, come la malattia, ladisoccupazione, l’invalidità, la vecchiaia.Oggi, paradossalmente, la mutualità riemerge per la crisi di quelsistema economico e sociale che ne aveva sollecitato la nascita eper il venir meno degli equilibri istituzionali nazionali, richieden-do un ripensamento dello stato sociale.La recente crisi finanziaria internazionale e l’abbattimento delrisparmio previdenziale di milioni di persone hanno indotto a

volgere sempre più lo sguardo verso la mutualità, quindi verso leorganizzazioni del Terzo settore che hanno in comune la produ-zione di beni e di servizi utili alla collettività, il non perseguireprioritariamente scopi di profitto, il coniugare l’attività profes-sionale con il volontariato, il darsi modelli organizzativi di tipopartecipativo. Il mutuo soccorso oggi può così garantire forme ditutela importanti, mettendo in contatto l’offerta con la domandadi sanità, selezionando ciò che è più necessario, facendo matura-re un atteggiamento di «consumo critico» nei confronti dei servi-zi sanitari e rafforzando i sistemi di solidarietà organizzata.In campo sanitario, oltre un milione di italiani hanno, infatti, unacopertura integrativa dovuta all’iscrizione a società di mutuo soc-corso, con la presenza di un centinaio di mutue che si occupanodi socio-sanitario, oltre 150 se si contano anche quelle che sidedicano al solo sociale. Circa 300 mutue sono iscritte alla Fede-razione italiana mutualità integrativa volontaria (Fimiv), su una

La mutualità perripensare lo stato sociale

di Stefano Maggi, Docente di Storia dell’economia e del territorio all’Università di Siena

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platea complessiva di 1.500 mutue storiche che conservano talenome, sebbene spesso non svolgano più attività mutualistica. L’impegno attuale è quello di farle crescere con funzione integra-tiva rispetto ai servizi sanitari pubblici, rilanciando il patrimoniodi valori e d’identità di cui il mutuo soccorso storico è portatore,quale carattere distintivo rispetto ad altri attori che operano intale settore.

La normativaLa disciplina delle società operaie di mutuo soccorso (SOMS),contenuta nella legge n. 3818 del 1886, è stata modificata conl’articolo 23 del decreto-legge n.179 del 2012 (recante “Ulte-riori misure urgenti per la crescita del Paese”), per adeguarnela normativa rispetto alla formulazione del 1886 e per ampliare illoro campo di attività. Viene, aggiunta, tra l’altro, la possibilitàdi svolgere “mutualità mediata”, vale a dire la possibilità di ade-rire in qualità di socio a un’altra SOMS. Con la riforma sembra cheil legislatore abbia inteso aggiornare (seppure in modo da nonincidere sulla “sostanza” delle realtà mutualistiche) un fenomenoche ha contributo e potrà, forse in modo sempre più significativo,contribuire a rafforzare il sistema di tutela sanitaria del nostroPaese. Ma gli interventi normativi finora avviati non sono ancorasufficienti a delineare un quadro completo e definitivo sull’opera-tività di queste società, dato che le mutue attive nel settore sani-tario e della protezione sociale, sia che agiscano a pieno titolonella gestione del Sistema sanitario nazionale sia che svolgano unruolo complementare, si distinguono dalle assicurazioni. Dal punto di vista della teoria economica, queste organizzazionipresentano vantaggi nel gestire prestazioni sanitarie rispetto alleassicurazioni poiché non escludono le persone che presentano mag-giori rischi assicurativi e si prestano meno a comportamenti oppor-tunistici, grazie ad alcune loro caratteristiche quali la volontarietàdell’adesione e la partecipazione democratica alla gestione. Eccoperché è necessario svolgere anche un’analisi comparativa rispet-to alle imprese di assicurazioni del ramo sanitario.

Obiettivi del Master MutuaSIIl mutuo soccorso, ben conosciuto durante il XIX secolo, nel corsodel Novecento ha subìto un ridimensionamento che ha riguardatonon soltanto le sue attività, ma anche la sua conoscenza da partedell’opinione pubblica.Nonostante la loro lunga storia e le loro potenzialità di svilup-po, oggi le società di mutuo soccorso sono poco conosciute ehanno dunque una presa limitata nell’ambito della mentalitàcomune. Proprio per questo è necessario infor-mare l’opinione pubblica e formare studenti eoperatori, specialmente del mondo cooperati-vo, riguardo al settore del mutuo soccorso.Nell’ambito della formazione, non si hanno nelpanorama nazionale esperienze formative isti-tuzionalizzate sul mutuo soccorso. Ma neiprossimi anni il tema della sanità integrativaavrà uno sviluppo importante e il mutuo soc-corso, con il suo patrimonio di valori, sarà cen-trale in questo contesto.A questo scopo, presso l’Università di Siena, èstato istituito il master di I^ livello in Mutualità eSanità Integrativa MutuaSI, che intende prepara-re operatori in grado di interpretare il tema delrecupero del mutuo soccorso in chiave attuale,diffondendo la cultura della previdenza volonta-ria, e di inserirsi dunque nelle varie organizza-zioni che si occupano di interventi socio-sanitariintegrativi, dalle assicurazioni alle banche,appunto alle società di mutuo soccorso.

Le materie insegnate vanno dalla cultura mutualistica, alla norma-tiva in materia, agli studi attuariali sulla popolazione, agli studieconomici sulla sanità pubblica e privata. Saranno acquisite competenze giuridiche ed economiche sul temadella mutualità finalizzate a lavorare nel mondo del terzo setto-re, nonché nei servizi sanitari e assicurativi.

Metodo formativoIl master si avvale di un approccio formativo blended, che prevedel’uso contestuale di diversi strumenti, la proposta di molteplicipiani di lettura e il coinvolgimento attivo dei partecipanti:● Lezioni teoriche, con docenti provenienti dal mondo universi-

tario e non, finalizzate a fornire, oltre a conoscenze di valore,appropriati strumenti analitici e metodologici;

● Seminari, testimonianze di esponenti del settore con significa-tive esperienze di successo, analisi di casi aziendali e dell’am-ministrazione pubblica;

● Stage, presso aziende private e pubbliche coinvolte a variotitolo nel mondo della mobilità e dell’ambiente.

● Workshop, con gruppi di lavoro finalizzati a scambiare espe-rienze e rielaborare le competenze acquisite.

● Formazione a distanza, con la possibilità di utilizzare la piat-taforma di e-learning “Moodle”, già sperimentata con successodall’ateneo senese, per favorire l’interazione tra partecipantie docenti e tra i partecipanti stessi e rendere disponibili mate-riali didattici digitali, facilitare lo scambio di mail e file, atti-vare forum di discussione.

Il master è organizzato in aree didattiche: Area storico-sociale;Area economia e statistica del Terzo settore; Area sanità pubbli-ca; Area demografia; Area economia sanitaria.La durata complessiva delle attività di didattica frontale in sedeo in FAD del master è di 250 ore. Altre 300 ore sono dedicate altirocinio formativo, al termine del quale è richiesta la presenta-zione di un elaborato a seguito di un workshop. Per liberi profes-sionisti e lavoratori del settore, il tirocinio può essere sostituitoda un elaborato realizzato con riguardo alla propria esperienzadi lavoro.Sono ammessi al Master un minimo di 15 e un massimo di 35 lau-reati in tutte le Classi delle Lauree triennali e magistrali (o spe-cialistiche), nonché coloro che hanno conseguito la laurea con ilvecchio ordinamento ante D.M. 509/1999.Il primo master è iniziato a gennaio 2016 e si concluderà a otto-bre. Sarà riproposto per il 2016-2017. Sono previste borse di stu-dio per i figli dei soci della Società Mutuo Soccorso Cesare Pozzo.

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Senza frontiere

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Le conseguenze economiche della globalizzazione, l’evoluzionedelle tecnologie, i cambiamenti climatici e quelli demograficisono le quattro aree oggetto di uno studio cofinanziato da ETF eUnione Europea, Trends, con l’obiettivo di anticipare gli effettiche le grandi trasformazioni in atto a livello globale produrrannosul mondo del lavoro dei trasporti.Le tesi elaborate durante i lavori preparatori sono in questi mesiin discussione nel corso di quattro conferenze, che coinvolgonotutte le organizzazioni affiliate a ETF, chiamate a definire unastrategia per il prossimo futuro.Sugli effetti della globalizzazione, lo studio ha evidenziato chesarà fondamentale per il futuro del settore saper prevedere i cam-biamenti geografici dei flussi delle merci, la cui domanda internaeuropea non diminuirà, ma si tratterà sempre di più di merci pro-dotte fuori Europa, in paesi a basso costo di manodopera.Dal punto di vista politico e normativo, la tendenza alla derego-lamentazione e alla liberalizzazione completa dei mercati, visto

l’orientamento politico della Commissione, non sembra doversiarrestare: ne costituiscono un plastico esempio i “pacchetti” set-toriali di riordino delle normative (es. porti, ferrovie, strade),che vedono la spinta verso la completa liberalizzazione come filoconduttore; le tutele sociali e ambientali sono progressivamentesmantellate anche nei trattati CETA, TTIP e TiSA, in quanto lescelte sono determinate dalle grandi multinazionali, invece cheda istituzioni democraticamente elette, contribuendo così allasfiducia nella politica da parte dei cittadini. Lo studio prevede quindi un peggioramento delle condizioni dilavoro, poiché la competizione continuerà a esercitarsi sui livellisalariali e sulle normative, peggiorando ancora la precarietà eincrementando lo spostamento della produzione verso i paesi abasso costo di manodopera, mentre i controlli a livello comunita-rio per la verifica dell’applicazione delle norme di tutela conti-nueranno a essere inesistenti, non vincolanti o non applicati.Dal punto di vista economico e finanziario, assisteremo a investi-menti diretti da parte dei paesi emergenti, sia in imprese sia ininfrastrutture. In particolare, l’elevato debito pubblico continue-rà a obbligare alla svendita delle società di proprietà degli Statie alla conseguente perdita del controllo su queste ultime, con ilrischio di speculazioni incontrollate e di riduzione dei servizi ditrasporto, già falcidiati dalle politiche di austerità.Poiché il principale progetto infrastrutturale europeo è lo svilup-po della rete Ten-T, si prevede la necessità di ingenti capitali pri-vati per il suo completamento, con il probabile coinvolgimentodei fondi pensione in quest’operazione.Le multinazionali in grado di offrire il trasporto completo daorigine a destino avranno il maggior vantaggio competitivo poi-ché riusciranno a garantire l’intera filiera senza rotture della

catena di fornitura, così come richiede ilmercato. Inoltre, poiché sono in condi-zioni di stabilire la propria sede in qual-siasi parte del mondo, continueranno adabbattere i costi poiché non sarannoobbligate ad applicare le normativeeuropee e quindi potranno dettare lecondizioni nel mercato di riferimento. Le strategie societarie prevedono, inol-tre, fusioni fra grandi imprese per affron-tare, ad esempio, corposi investimenti innavi sempre più grandi, che comportanola necessità di modifiche infrastrutturaliconsistenti nei porti e formazione specifi-ca per gli operatori.I metodi di trasporto “just in time” e “zeromagazzino”, mirati al contenimento deicosti, spingeranno sempre più verso unattento monitoraggio e programmazionedei flussi di merci poiché le disfunzioni nonsono tollerate da questi nuovi processi.Grazie alla sharing economy, nuovi attori

TrendsGrandi cambiamenti nei trasportidi Laura Andrei, Dipartimento Persone Terra Filt-Cgil nazionale

Il sindacato, in primis quello europeo, deveproporre alle istituzioni competenti azioni cheevitino la disgregazione completa del mondodel lavoro e, con esso dell’Unione Europea, inun’ottica di solidarietà. Tali azioni devono par-tire dalla ricostruzione del modello socialeeuropeo e dalla scelta di rimettere il lavoro alcentro di politiche di sviluppo socialmente eambientalmente sostenibili.

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stanno già entrando a fare parte del settore: car sharing, bikesharing, piattaforme di mobilità integrata e di condivisionefra consumatori. Ciò modificherà l’utilizzo dei mezzi pubblicinel trasporto urbano, rendendo complicata la regolazione deirapporti di lavoro.In conclusione, l’analisi evidenzia che la globalizzazione èall’origine della crescita della flessibilità imposta ai lavoratoriche si trovano a operare in un mercato competitivo a livello mon-diale: “Le fluttuazioni del commercio sono assorbite dalla flessi-bilità della manodopera: una varietà di forme precarie di lavoroche si aggregano attorno a un nucleo di lavoratori stabili, comecerchi concentrici con salari e tutele che peggiorano più ci siallontana dal centro”. Già oggi i subappalti e le esternalizzazio-ni sono spesso usati come minacce ai lavoratori, mentre laresponsabilità sociale delle imprese rimane solo una dichiarazio-ne sulla carta senza alcun fondamento concreto. Gli alti tassi didisoccupazione creano diseguaglianze e indeboliscono il poteredi contrattazione dei lavoratori.La rivoluzione tecnologica sta trasformando velocemente e inmodo radicale il lavoro, rendendo attualissimo il dibattito suindustria 4.0: ad esempio, sistemi tecnologici sempre più sofisti-cati trasmettono dati sulla necessità di manutenzione dei mezzidi trasporto, modificando di conseguenza i processi produttividelle industrie e rendendo necessaria nuova formazione per ilpersonale interessato. Si tratta di un’opportunità da non sottovalutare rispetto allanascita di nuove professionalità, connessa però ai rischi legati allaperdita di posti di lavoro “tradizionali”, peggiorati dalla riduzio-ne delle tutele sociali per chi perde l’occupazione, a causa dellepolitiche di austerità che tagliano i finanziamenti agli ammortiz-zatori sociali.Il crowdworking, il mondo del “big data”, i nuovi sistemi cyber-fisici, i collegamenti fra oggetti reali e mondo virtuale (internetdelle cose), le nuove tecnologie come le stampanti 3D stannocambiando la domanda del mercato.

L’automazione è da tempo oggetto di studio per camion, automo-bili, treni, gru, battelli e in molti ambiti i robot iniziano a essereoperativi. Quindi, l’automazione causerà inevitabilmente l’elimi-nazione di interi gruppi occupazionali, e l’azione del sindacatosarà necessaria per gestire le ricadute e i processi di riconversio-ne e ricollocazione conseguenti.La digitalizzazione e la capacità di gestire enormi masse di datifaciliterà la gestione di sistemi complessi, ad esempio, se ne farà

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ampio ricorso nell’utilizzo delle infrastrutture e dei servizi dellamobilità per ridurre i problemi connessi al traffico. L’utilizzo ditablet e smart phone ha già cambiato radicalmente il lavoro e lasua collocazione spazio-temporale, generando problemi seri legatiai temi della privacy e dei controlli sui lavoratori da parte dell’im-presa. Molte professioni legate alla movimentazione delle merciscompariranno e i processi muteranno in relazione alle nuove pos-sibilità fornite dalle tecnologie nella gestione dei magazzini.I sistemi cyber-fisici (tecnologie informatiche combinate a compo-nenti meccaniche o elettroniche) faciliteranno sempre più la condi-visione dei dati, nonché il controllo dei processi. Il settore dei tra-sporti utilizza già diffusamente tecnologie come il GPS o i chip RFID(radio frequency identification), ad esempio per tracciare i contai-ner e ottimizzare il trasporto e la distribuzione delle merci deperi-bili o per abbreviarne i tempi di attesa dovuti alle strozzature nel-l’accesso ai porti. I sensori sono anche utilizzati per trasmettere lostato di guasto dei sistemi e programmarne gli interventi manuten-tivi, per analizzare il consumo dei carburanti, il deperimento della

merce, la velocità e confrontare i dati con gli obiettivi fissati. Gliesperti sostengono che il ricorso a queste tecnologie porterà allascomparsa di numerosi posti di lavoro nel lungo termine, ma, datoil costo degli investimenti necessari, si tratterà di un processo chenon si compirà prima di una decina d’anni.La “realtà aumentata” è una tecnologia che permette di arricchi-re la propria visione attraverso rappresentazioni che fondono ilreale col virtuale. Ad esempio, i google glasses possono essereutilizzati per “vedere” tutte le informazioni legate alla gestionedelle merci nei magazzini, attraverso la semplice scannerizzazio-ne di codici a barre, riducendo sensibilmente il tempo impiegatoe gli errori. Il fatto che possano essere utilizzati per guidare altrioperatori nelle operazioni di riparazione attraverso comandivocali, può provocare la diminuzione della necessità di specializ-zazione della manodopera. Il loro utilizzo porta anche a doverfare serie considerazioni sulla possibilità di controllare l’operatodei lavoratori.La stampa in 3D è già utilizzata per gli ambiti in cui la manifattura

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convenzionale comporterebbe costi di produzione ecces-sivi, o per componenti con tempi di consegna lunghi,riducendo sensibilmente i volumi di trasporto nel trafficodelle merci.Nuovi attori come Amazon e Google sono entrati nel mer-cato della distribuzione acquisendo alcuni operatori delsettore logistico, con l’obiettivo di sfruttare la digitaliz-zazione nel mercato delle consegne. A questo scopo stan-no studiando anche l’utilizzo di droni per consegne e riti-ri più veloci. Chiaramente il ricorso ai droni in futurogodrà di un ambito di applicazione molto più ampio diquello delle sole consegne.In conclusione, a causa dell’avvento delle nuove tecnolo-gie, già in atto da tempo, i rischi individuati per il mondodel lavoro riguardano: la privacy del lavoratore; il ridi-mensionamento della manodopera; l’eliminazione dellabarriera fra vita privata e lavoro; la perdita delle cono-scenze professionali di base e l’aumento di forme di lavo-ro precario e atipico. Il sindacato dovrà essere in grado di influenzare nuovepolitiche del lavoro sul tema, tenendo in considerazioneche le nuove forme di lavoro come il crowdworking met-tono in seria discussione i diritti e le tutele.Rispetto ai cambiamenti demografici lo studio individuanel basso tasso di crescita della popolazione europea,bilanciato solo dall’immigrazione, la causa della difficol-tà nell’individuazione di manodopera qualificata.L’invecchiamento della popolazione lavorativa, dovutoalle scelte di allungamento dell’età pensionabile, oltre adeterminare un peggioramento nei tassi di disoccupazio-ne giovanile, porterà alla necessità di individuare misureper mantenere i lavoratori anziani attivi, considerandoanche i problemi di salute che possono causare inabilitàalle mansioni tipiche del settore.Si prevede, inoltre, una diminuzione dei trasporti dovutaalla contrazione della popolazione residente fuori dallegrandi aree urbane, e un contestuale aumento di domandadi trasporto passeggeri e merci nelle aree metropolitane, inparticolare si prevede nuova richiesta di mobilità dedicataalla popolazione anziana che necessita assistenza.I flussi migratori verso l’Europa, nonostante le politiche deimuri e dei fili spinati, aumenteranno, a causa di conflittibellici, guerre civili, condizioni economiche difficili,

cambiamenti climatici e disastri ambientali. L’integrazione deimigranti attraverso adeguati programmi di formazione è un doverecui non ci dobbiamo sottrarre per convinzione etica e politica, maanche perché si tratta dell’unico modo di controbilanciare la cresci-ta demografica negativa dei cittadini residenti che, fra le altrecose, rende i sistemi previdenziali insostenibili.I cambiamenti climatici hanno portato alla necessità di ripensa-re il settore dei trasporti anche in relazione alle emissioni di CO2,individuando tutte le soluzioni possibili per la sostituzione deicarburanti di origine fossile con nuovi sistemi, senza sottovaluta-re il tema della sostenibilità rispetto alla loro produzione e rici-claggio. Come per tutti gli altri settori dell’economia, si tratta diun ambito che richiederà ingenti finanziamenti in tema di ricercae sviluppo, quindi l’impiego di lavoratori qualificati che deveavvenire anche attraverso la formazione continua.I governanti dovranno adottare scelte mirate a rendere la mobili-tà che genera minori costi esterni più conveniente per i cittadinirispetto a quella meno sostenibile ambientalmente.Lo studio sostiene, infine, che l’avanzata dei cambiamenti clima-tici non è compresa dalla maggioranza della popolazione poichénon è prevedibile, ma si palesa attraverso eventi catastrofici e

Digital Economy and Society Index (DESI) 2015 - score per country

High performace: Denmark, Sweden, the Netherlands and Finland

Medium performance: Belgium, the United Kingdom, Estonia, Luxembourg, Ireland,Germany, Lithuania, Spain, Austria, France, Malta, Portugal and the Czech Republic

Low performance: Latvia, Slovenia, Hungary, Slovakia, Cyprus, Poland,Croatia, Italy, Greece, Bulgaria and Romania

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drammatici improvvisi. I suoi effetti, però,stanno già cambiando la faccia del pianetae i movimenti migratori legati alla siccitàne sono una triste testimonianza.In attesa di un cambio di indirizzo nellepolitiche europee che determini final-mente un sostegno concreto ai cittadinicolpiti dagli anni della crisi e dalle assur-de politiche di austerità messe in campoper contrastarla, anche alla luce degliesiti del referendum sulla Brexit, il sinda-cato è chiamato a confrontarsi con questepesantissime sfide che, a mio avviso,rischiano di contribuire alla disintegrazio-ne dell’Unione Europea, spingendo versole forme di populismi e nazionalismi cheben conosciamo. Se non registreremo un netto cambio diorientamento rispetto allo smantellamentodel modello sociale che forniva in passatotutele e protezioni proprio nei momenti digrande cambiamento, come quello che citroviamo ad attraversare in questi anni,l’azione sindacale impostata sulla difesasarà inutile e destinata al fallimento. Il sindacato, in primis quello europeo, deveinvece farsi parte attiva per proporre alleistituzioni competenti azioni che evitino ladisgregazione completa del mondo dellavoro e, con esso dell’Unione Europea, inun’ottica di solidarietà.Tali azioni non possono che partire dallaricostruzione del modello sociale europeoe dalla scelta di rimettere il lavoro al cen-tro di politiche di sviluppo socialmente eambientalmente sostenibili.

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Sguardi e traguardi

Nel 2013 è uscito il libro Sovrane. L’auto-rità femminile al governo (il Saggiatoreeditore) e da allora si sono fatte treristampe, mentre sto per preparare la suariedizione accresciuta. Nel 2013, il libro èstato discusso a Festivaletteratura di Man-tova da Stefano Rodotà, che diceva diavervi riconosciuto i fondamenti per unatrasformazione della forma del diritto cosìcome la conosciamo fino ad oggi.Dal momento dell’uscita di Sovrane, nonho ancora smesso di percorrere l‘Italia inlungo e in largo, come in un pellegrinag-gio, chiamata da donne e uomini delle piùdisparate provenienze e posizioni, per lagran parte persone che si sono affacciateal femminismo politico della differenzasessuale proprio attraverso il libro che hoscritto e che ha suscitato in loro un risve-glio del desiderio di provare a praticareuna politica imprevista.Chiedersi perché è accaduto e sta acca-dendo tutto questo significa chiedersianche che cosa ha motivato la scrittura diSovrane, quale contesto politico l’hagenerato, qual è lo stato del cammino sto-rico del femminismo. Si può trovare unarisposta a questi interrogativi facendoriferimento a un’inchiesta (non importa sepiù tarda) realizzata dall’“Espresso” nel-l’ottobre 2015 e così intitolata: “Le donnehanno perso”1 sotto un’immagine delleFemen, geniale gruppo femminista ucrai-no, noto anche per l’uso del nudo comestrumento di protesta antisessista.Si trattava di un titolo provocatorio, unostrillo quasi scandalistico per, invece,un’onesta messa a punto della situazionedel femminismo non solo italiano. Tutta-via, ho pensato che solamente un paio dianni fa nessuna rivista o quotidiano avreb-be osato intitolare che le donne hannoperso. Quindi mi sono chiesta perché,quale scandalo voleva suscitare questotitolo che va controcorrente, contro tuttoquello che si sostiene nel mondo a favoredel protagonismo femminile. Ho capito,infine, che il titolo vuole davvero indigna-re perché l’inchiesta realizzata dalle variegiornaliste approda a domande capaci di

suscitare una specie di scossa; si tratta diun grido di allarme sicuramente rivolto alfemminismo stesso, interrogativi non pre-senti nel titolo tranchant dell’“Espresso”,ma contenuti nelle principali questioni chesono poste. Eccone alcune rese esplicitenell’inchiesta:● “dov’è finito quel vento di cambiamen-

to che ha liberato le donne da discrimi-nazioni inaccettabili?”

● “cos’è rimasto di quella capacità diirrompere sulla scena sociale, scuoterela politica, mutare i rapporti con l’altrosesso, trascinando anche l’uomo in uncambiamento rivoluzionario?”

● “la rivoluzione è interrotta, non è fallita.Quando sarà compiuta questa rivoluzio-ne, la vita avrà finalmente due sguardi?”

Nello stesso numero dell’“Espresso”,l’inchiesta fa da contrappunto a un artico-lo che riguarda la vicenda di HillaryClinton nel suo viaggio verso la candidatu-ra alle presidenziali americane, un’avven-tura che potrebbe fallire perché, sostienel’articolo, Hillary è tradita dalle donne.Pare che si stiano ritirando i consensi fem-minili che l’avevano sostenuta finora conforza e convinzione, e dunque colpiscel’opinione pubblica americana la possibili-tà che Hillary Clinton sia veramenteabbandonata dalle donne.Questi articoli e queste domande suscitanoin chi legge una certa inquietudine perchédicono cosa si percepisce, cosa accade achi sta in ascolto delle vicissitudini dellasocietà femminile e, se queste sono le que-stioni con cui abbiamo a che fare, vuol direche siamo in un momento storico in cuiaccade una generale perdita di radicalità. Credo sia questa la vera ragione per cuiHillary Clinton sta perdendo il consensofemminile; mi sembra anche di potere leg-gere in questo senso certe vicende italianeche riguardano le candidature femminili,quando ci sono, e il fallimento di questecandidature alle elezioni politiche, e nonsolo politiche, fallimento rispetto a spe-ranze che si erano suscitate, perché iocredo che per risolversi a sostenere unadonna nella sua impresa sociale, sindacale,

culturale, politica ed elettorale, per soste-nere una propria simile impegnata inimprese molto difficili, le donne ne voglio-no sperimentare la radicalità, vogliono chesia visibile la radicalità di questa impresa,altrimenti scatta la svalutazione e la diffi-denza. Si tratta di un’indicazione moltosicura rintracciabile nel comportamento trasimili, utile a togliere la sorpresa e l’imba-razzo racchiusi nella formula “le donne nonhanno il sostegno delle altre donne”. Questo mancato sostegno colpisce quelleche si propongono per essere sostenutenella loro impresa e che, sebbene abbianorelazioni con donne, sebbene possano van-tare di essere accompagnate dalle cosid-dette relazioni politiche, in realtà nonpresentano nelle loro pratiche, nel lorocomportamento, e nemmeno nel loromodo di presentarsi alle loro simili, laradicalità necessaria che convincerebbele altre donne a sostenere qualche cosache è sempre stato ed è ancora imprevistonel mondo contemporaneo: l’intelligenzadi donne che sovvertono le indicazioni e

di Annarosa Buttarelli

Verso la prima scuola di politicaper donne di governo

1 “l’Espresso”, n.41. anno LXI, 15 ottobre 2015, pp. 18-27.

SGUARDI E TRAGUARDI

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i paradigmi che stringono i tempi in unacodificazione ancora rivolta alla presenzaresiduale del patriarcato-fratriarcato.Perciò resta valida l’indicazione di CarlaLonzi, una madre di tutte noi, che va ria-scoltata sempre di nuovo quando indicanell’“eterna istanza del femminismo” lalotta incessante contro l’assimilazione, losfruttamento, lo scivolamento e il perver-timento delle ragioni avanzate dalledonne. La formulazione “eterna istanzadel femminismo” è la correzione, daparte femminista radicale, necessaria persostenere l’impossibile inclusione femmi-nile nelle istituzioni patriarcali, dellafamosa battuta di spirito di Hegel:“donna, eterna ironia della comunità”.L’eterna istanza del femminismo correggee capovolge quella che era l’intuizione diHegel di non poter trovare nelle donne,radicate nel loro sesso, una collaborazio-ne per l’edificazione della vita dellacomunità politico-istituzionale, per l’edi-ficazione e il mantenimento in vita delleistituzioni patriarcali. In realtà, questaparticolare indisponibilità delle donneconfigura l’eterna istanza del femmini-smo, ed è la radice cui fare sempre riferi-mento anche nei tempi presenti.L’ultimo numero della seconda serie dellarivista della Libreria delle donne di Mila-no, “Via Dogana”, ha per titolo “Le donnesono ovunque” e conclude anche la secon-da serie stessa, una chiusura spartiacqueo, così l’ho intesa, come l’indicazionedella ricerca di un nuovo inizio del cammi-no del femminismo radicale dopo l’esitodella seconda ondata. Quella in corso oche si sta avviando, si dice sia la terzaondata, caratterizzata dal protagonismofemminile nella vita pubblica. Ma forsemolte donne non si rendono conto chebisogna riportare questo protagonismogenerale in una fondazione, in una genea-logia, perché molto spesso si presenta

senza una radice e senza una genealogia,e sconta probabilmente il fatto che non èavvenuta una trasformazione soggettivaprofonda in molte femministe non radica-te nel pensiero politico della differenzasessuale. Ma la prima cosa da perseguire èla trasformazione profonda di una donna,affinché possa entrare in una genealogiadi donne pensanti e fedeli a se stesse. L’eterna istanza del femminismo nonriguarda solo la vigilanza sui diritti, nonriguarda l’uguaglianza di trattamento eco-nomico, anche se non le esclude, mariguarda il conflitto tra forme dellamente, tra ordini simbolici. Questo è illivello, il punto in cui ci si deve collocare. Non riguarda più lo scontro tra uomini edonne, che pure c’è ancora, ma siccomele coordinate di questo conflitto ci sonochiare, il livello da un po’ di tempo è unaltro: è il conflitto tra le forme dellamente, tra gli ordini simbolici che si stan-no contendendo il mondo tra loro.Ho ascoltato tutti questi motivi che, datempo, bussano alla porta del camminodelle donne pensanti nel mondo e la scrit-tura di Sovrane si è fatta da sé. Nel libroc’è l’invito alle donne a fare un passoavanti d’autorità nel mondo che le vedeprotagoniste, ma senza genealogia e senzacoscienza dei saperi e delle sapienze cheabbiamo costruito pazientemente neltempo. C’è anche un invito fermo agliuomini affinché si convertano e abbando-nino l’esclusività della loro tradizione edel loro stereotipato virilismo, cosicchétrovino finalmente nel pensiero delledonne un suggerimento per la fuoriuscitada tutte le crisi che li travolgono, insiemealle loro istituzioni.Il pellegrinaggio al seguito di Sovrane haoriginato una rete di relazioni (tra ammi-nistratrici locali, sindacaliste, imprenditri-ci, donne di governo domestico e informa-le, mediche, parlamentari, dirigenti di

istituzioni culturali, ecc.) che sta soste-nendo la fondazione di una “Scuola di poli-tica per donne di governo”. L’impegnodella Scuola, la prima nel suo genere, saràdi offrire un percorso in alta formazioneper acquisire competenze professionali,amministrative, politiche e culturali perevitare i pericoli dell’inclusione nellemodalità di tradizione maschile; per svi-luppare il radicamento nell’autorevolezzae nel merito femminile laddove una donnaoccupa un posto decisionale, sia per lavo-ro sia per vocazione o per posizione nellerelazioni duali o di contesto.Vi si creeranno le condizioni soggettive erelazionali perché la differente esperienzafemminile generi nuove istituzioni per laconvivenza. Questa Scuola sarà apertaanche a uomini che intendano formarsialle pratiche politiche proposte dallagenealogia femminile di governo.Per sostenere la nascita della Fondazioneche genererà la Scuola, il 22 giugno scorsosi è costituito a Roma un Comitato Promo-tore le cui presidenti sono Luana Zanella(ex-deputata e attuale presidente dell’Ac-cademia di Belle Arti di Venezia) e TizianaCoccoluto (magistrata e vice capo gabinet-to del Ministero dei Beni Culturali).Il Comitato ha il compito di costituire ilfondo economico necessario per realizzarela Fondazione dedicata a Sovrane. Possonochiedere di aderire Associazioni, singole,singoli, aziende, sindacati, enti locali,chiunque desideri che la Scuola si faccia.Allo stesso scopo si è costituita a Miranoun’Associazione nazionale non profit,“Preziose”, presieduta da Luisella Conti,ex-presidente della Provincia di Venezia,che si è data il compito di coordinare lalibera rete di relazioni creatasi attorno aSovrane, e di realizzare iniziative didiscussione politica e culturale che possa-no anche ampliare le forme economiche disostegno, in modo che il cammino verso laScuola di politica per donne di governo siail più possibile veloce.

(Se si vogliono ulteriori informazioni si puòtelefonare a Luisella Conti: 338 997 3937).

Annarosa Buttarelli insegna Filosofiadella storia all’Università di Verona edal 1988 fa parte della Comunità filo-sofica Diotima. Impegnata da anninel pensiero e nella politica della dif-ferenza, è autrice di numerosi saggie curatele, tra cui Duemilaeuna.Donne che cambiano l’Italia, (Prati-che 2000); Una filosofa innamorata.María Zambrano e i suoi insegnamen-ti (Bruno Mondadori 2004); Il pensie-ro dell’esperienza, con FedericaGiardini (Baldini Castoldi Dalai 2008).

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Sguardi e traguardi

In questi giorni di lutto e di orrore per l’ennesima strage compiu-ta dai terroristi dell’isis che mirano a colpire e annientare tuttociò che non corrisponde al loro folle disegno, un’altra strageviene commessa, sotto traccia, evidenziata come cronaca neranelle pagine dei quotidiani, quella esercitata contro le donne,uccise silenziosamente, sparite per sempre.Donne senza più ipotesi, futuro, madri, figlie, sorelle, amiche cheun attimo prima erano, un attimo dopo non più.Chi uccide non è un terrorista spinto da una fanatica visione delmondo mascherato dietro una religione volutamente distorta, maun uomo. Un uomo qualsiasi come quelli che ci camminano accan-to per strada, al lavoro, solitamente definito un bravo uomo, com-pagno premuroso, padre attento, così buono e attento da accoltel-lare, bruciare, sparare, strangolare, massacrare di botte quella cheera o è la propria compagna, spesso madre dei propri figli. Nella sottocultura che ancora persevera le donne hanno in questianni fatto enormi passi verso l’autodeterminazione, la libertà discegliere aldilà di un uomo progetti di vita; troppi uomini no.In un paese in cui un gruppo di ragazzini violenta ripetutamenteuna loro coetanea senza che il tessuto sociale intorno s’indigni,nessuno pensi alle ferite del corpo e nell’anima di quella giovanedonna e chiami quei giovani futuri uomini per quello che sono:violentatori e stupratori, c’è un profondo problema.È il retroterra culturale, la mancanza di una solida base delrispetto della dignità dell’altro, della sua intimità, dell’amarelasciando andare si tratti di donne, uomini, qualunque sia l’ap-partenenza religiosa, sessuale, etnica.Da qui bisogna partire, dal prendere coscienza che le leggi da solenon bastano, che vi è la necessità di un rinnovato modello cultu-rale basato sulla reciprocità, dove chiunque sia l’altro da noi èinviolabile.Non sono bravi ragazzi quelli che violentano, non sono uominimalati quelli che picchiano e minacciano, non sono l’attimo difollia quelli che uccidono; sono violentatori, prevaricatori eassassini, figli di un immaginario mai sradicato che vede le donne

come oggetti da possedere e gettare quando nel gioco si rischiadi perdere e l’immagine non corrisponde più ai propri desiderata.È un dramma reiterato nel susseguirsi dei giorni che investe e tra-volge le nostre coscienze, con pesantissime ricadute sull’interosistema familiare delle vittime e dei carnefici, una ferita nonrimarginabile che faticherà a cicatrizzarsi ancor più quando dimezzo ci sono dei bambini.È una ferita sociale aperta che necessita di cure immediate, solu-zioni, risposte. Occorrono più cultura del riconoscimento dell’altro in ogni scuo-la di ordine e grado, più centri antiviolenza, finanziamenti chepossano garantire autonomia alle donne che segnalano e intra-prendono percorsi di allontanamento da soggetti prevaricatori eviolenti, l’obbligatorietà per gli uomini che manifestano compor-tamenti violenti di percorsi mirati pena la detenzione.Occorre che a livello istituzionale non sia più consentito scherni-re il genere femminile, che si tratti di Rosy Bindi, Maria ElenaBoschi o Virginia Raggi…, troppo spesso sbeffeggiate non per ilmerito o il demerito ma per la loro fisicità, che tradisce un atteg-giamento profondamente sessista.Le donne non sono un corpo. Sono idee, sogni, progetti che nes-suno può permettersi di spezzare.“Donna come un mazzo di fiori se sei sola ti fanno fuori…..”cantava Mia Martini contro la violenza sulle donne; non so perchéma Sally di Vasco Rossi è l’immediata associazione nell’inviolabi-le diritto di esistere, emozionarsi, amare, vincere e sbagliare.Quello che più di sessanta donne dall’inizio dell’anno, grazie adun uomo, non possono e non potranno più fare.Non chiamatelo amore!

di Nadia Ferracini

Vite volutamente spezzate

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Paolo Virzì per il suo ultimo film, La pazzagioia, ha scelto come titolo la citazionedi un modo di dire (darsi alla pazzagioia), per utilizzarlo con efficacia inmodo paradossale: nella storia che rac-conta, più che di gioia si narra dell’ango-scia e del disagio psichico di due donnesole, sconfitte dalla vita.Beatrice Morandini Valdirana – di origininobili, come si evince dal doppio cognome– moglie separata di un legale dell’entou-rage di Berlusconi, e Donatella Morelli, excubista di un locale di Viareggio, s’incon-trano nella campagna toscana, a VillaBiondi, una comunità terapeutica perdonne che sono state oggetto di sentenzada parte di un tribunale e che devono sot-tostare a una terapia di recupero.È difficile immaginare due donne piùdiverse e distanti fra loro: Beatrice (inter-pretata da Valeria Bruni Tedeschi) si pre-senta come una mitomane dalla loquelainarrestabile, affetta da sindrome bipola-re, isolata nel suo mondo mentale fatto dicharme ostentato e indifferenza verso gliinterlocutori; Donatella (interpretata daMicaela Ramazzotti) è una giovane quasianoressica, tatuata da coatta, chiusa nelmutismo della sua angoscia, nelle orecchiegli auricolari con cui ascolta sempre lastessa canzone, Senza fine di Gino Paoli.Eppure le loro storie hanno alcuni tratti incomune: entrambe provengono da famigliedistanti, madri chiuse nelle loro storie,padri assenti. Entrambe sono state travol-te dall’amore per due poco di buono: Bea-trice con Renato, un immobiliarista truffa-tore agli arresti domiciliari; Donatella conMaurizio, suo ex datore di lavoro in disco-teca, uomo sposato con il quale ha fattoun figlio e che non ha mai neppure volutovedere il bambino.Nasce fra loro una strana intesa e, approfit-tando di un momento di distrazione del per-sonale di Villa Biondi, fuggono insieme su un

autobus di passaggio, senza una meta.Portano tuttavia con sé le loro angosce.Comincia così un road movie nel quale com-media e tragedia si rincorrono: riso e com-mozione s’intrecciano nelle avventure esventure delle due protagoniste, ormaidivenute amiche. Non hanno danaro, siappropriano di un fuoristrada, vanno a Mon-tecatini, in un ristorante di lusso e si allon-tanano senza pagare. Mano a mano si chia-riscono le loro storie: Beatrice ha lasciato ilmarito per l’immobiliarista truffatore, chel’ha coinvolta nel suo fallimento, mettendoa rischio il patrimonio di famiglia; Donatel-la, respinta dal padre del bambino, cadutain depressione ha tentato il suicidio, get-tandosi in mare con il bimbo in braccio. Ilfiglio le è stato dunque sottratto ed è statodato in adozione a una famiglia: lei non sadov’è, vorrebbe vederlo, non si dà pace.La pazza gioia dovrebbe voler dire dimenti-care, ma non ci riescono: vanno dallamadre di Donatella e le portano via deisoldi, che però Beatrice perde al gioco.Donatella si arrabbia, la aggredisce e fini-sce arrestata. È portata in una clinica psi-chiatrica dove la raggiunge il padre: è unuomo assente, gravemente malato, musici-sta da pianobar in bolletta. Non è in gradodi aiutarla, avrebbe lui bisogno di aiuto.Donatella va da suo marito, che vive conun’altra in una villa sontuosa con piscina.Torna a letto con lui, poi gli ruba dei gioiel-li e scappa. Riesce a sapere dove vive ilfiglio di Donatella e glielo comunica nellaclinica dove è trattenuta. Le manda unbracciale da trentacinquemila euro e laaiuta a fuggire. Donatella raggiunge Beatri-ce nella villa della madre di quest’ultima,che le racconta come la figlia abbia dilapi-dato il patrimonio, per cui sono costretti adaffittare la villa nobiliare come set perfilm. Stanno appunto girando un filmambientato negli anni cinquanta e Beatricee Donatella fuggono con una decapottabile

d’epoca, per andare in cerca del figlio diDonatella. I genitori adottivi, però, sioppongono all’incontro. Le due donne sitrovano sole sul lungomare, con il caricodei loro errori e senza via di scampo: sonostanche. Cercavano solo amore, quello chenon avevano avuto dalle loro famiglie, ederano entrambe incappate in uomini senzascrupoli. Così diverse per estrazione socia-le, così simili nella loro debolezza, tutt’edue travolte dalla vita. Ma il film non fini-sce qui. Forse stanno trovando ora l’atten-zione che cercavano nella reciproca com-prensione umana. Il finale, commovente, èvenato di speranza. Insieme troverannoforse il coraggio di ricominciare.Il film – scritto egregiamente da Paolo Virzìe da Francesca Archibugi (la regista del filmIl grande cocomero) – forse i due miglioriallievi di Ettore Scola e di Furio Scarpelli, siricongiunge alla grande commedia italianadegli anni sessanta, intrecciando, come neifilm di Scola, riso e pianto: le protagonisteinterpretano due personaggi difficili inmodo magistrale e lo spettatore è coinvol-to nelle loro follie. La comprensione umanafa da filo conduttore del film: quella deglioperatori sanitari, anzitutto, che rincorro-no le due pazze e non si danno per vinti finoa quando non riescono a riportarle a VillaBiondi per cercare di rimetterle in strada,questa volta nella vita vera.Raramente il tema del disagio psichico èstato trattato al cinema con tanta delica-tezza. Virzì mostra inoltre una sensibilitàspiccata per i personaggi femminili, firman-do un film intenso, da non perdere.

La gioia didimenticaree il coraggiodi ricominciaredi Osvaldo Cisternino

La pazza gioia(Italia 2016)

Regia di Paolo Virzì.Con Valeria Bruni Tedeschi, Micaela Ramazzotti,

Valentina Carnelutti, Tommaso Ragno, Bob Messini.Commedia drammatica, colore, 118 min.

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Adagiate su un tappeto di piante grasse“marine” ai piedi di un monolite ricopertodi licheni dalle sfumature giallo oro, seiesili rose – quattro rosse e due bianche – silasciano accarezzare dalla fresca brezzaproveniente dall’Oceano Atlantico. Cosasignificano? Chi le ha portate? E perché? Lacelebrazione di un ricordo o la testimo-nianza di una storia d’amore? Lo scenario è sicuramente fra i più sugge-stivi. Dall’alto di una scogliera, dominatada un faro bianco-vermiglio e da una can-dida torre di segnalazione edificati tra lerovine di un’abbazia dell’XI secolo, sisente il fragore della risacca e lo stridiourlato dei gabbiani che volteggiano nelcielo blu cobalto decorato da pennellatedi nuvole bianche, sopra un mare che siestende a perdita d’occhio. “Penn ar bed”, “finisterrae”, “au bout dumonde”: è questa “la fine del mondo”?Forse no, oggi non lo è certamente più maci fu un tempo in cui questo luogo rappre-sentò uno degli antichi confini della cono-scenza umana. Oltre … l’ignoto. Point Saint Mathieu, è l’avamposto di ter-raferma più avanzato di quello speronegranitico che dalla Francia si proiettaverso l’infinito del mare. Una stele di pie-tra ricorda la sua distanza da Santiago diCompostela, “finisterre” d’Europa.È la Bretagna, il luogo incantato e selvag-gio costellato di foreste, di menhir, dol-men, cromlech – giganteschi quanto miste-riosi monumenti di pietra - abitato nell’an-

tichità dai Celti e dai Druidi, i loro sapien-tissimi sacerdoti e sacerdotesse custodi diuna cultura magica e misteriosa; è lapatria di Merlino e Morgana antesignanidel mondo di Excalibur; è la terra che haalimentato alcune delle più grandi leggen-de della nostra storia, quella di Camelot,di Ginevra e Lancillotto, dei Cavalieri dellaTavola Rotonda e del Sacro Graal per fini-re con Tristano e Isotta. Ma è anche il maredei corsari francesi di stanza a Saint-Malo,“corona di pietre posate sulle onde” comela definì Gustave Flaubert; delle basinavali dei temibili U-Boot, i sommergibilitedeschi della 2^ Guerra Mondiale; di stra-ordinari velisti come Eric Tabarly protago-nista di temerarie traversate transoceani-che o di intrepidi equipaggi di pescatoriimbarcati sulle numerose flotte di pesche-recci; delle maree più imponenti delmondo con dislivelli fino a 12 metri chefanno di Mont St. Michel uno degli spetta-coli naturali più affascinanti; delle immen-se “coltivazioni” e “allevamenti” di ostri-che sistemati lungo ordinati filari che lemaree coprono e scoprono ritmicamente.Difficile dire se la Bretagna è circondatadal mare o se invece – e probabilmente aragione – lo divide.A Nord delimita il Canale della Manicachiamato in bretone con il nome di From-veur, “il Grande Torrente”, dalle acqueimpetuose e rabbiose che plasmano glianfratti e le piccole insenature dellacosta. A Sud si affaccia sull’immenso

Oceano Atlantico dove un altro GrandeFiume nascosto, la “Corrente del Golfo”,porta le sue acque più calde a lambire conlunghe onde questo tratto di litorale fran-cese attenuando i fronti di aria fredda pro-venienti dall’Artico e rendendo mite ilclima dell’intera regione. Pioggia, vento, acque burrascose, costafrastagliata e posizione strategica dellaBretagna lungo le rotte commerciali con leAmeriche e le antiche Indie hanno genera-to la più alta concentrazione mondiale difari e segnalazioni luminose che garanti-scono la sicurezza della navigazione. Migliaia di navi hanno fatto naufragio inquelle acque violente, un numero indefini-to di imbarcazioni ha trovato scampo gra-zie alla presenza di queste sentinelle delmare abitate nei secoli da uomini e donnecoraggiosi, che hanno fatto della solitudi-ne e della lontananza dal mondo le lorocompagne di vita. Ogni faro potrebbe raccontare un’infinitàdi storie, di salvataggi o di navi colate apicco, di mari placidi, voli d’uccelli marinie tramonti infuocati o di onde furiose altecome montagne cui possono opporre solola propria solidità costruttiva.

Fino alla fine del mondo

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RESPONSABILE DI REDAZIONE Vittoria SCORDO GRUPPO DI REDAZIONE Guido BARCUCCI, Luca STANZIONEPROGETTO GRAFICO ORIGINARIO Armando Artibio FANFONI - RESTYLING URAKEN GraphixRedazione Via Morgagni 27 - 00161 Roma - Tel. 06.440761 Contatti mail: [email protected] - I numeri arretrati sono consultabili su: www.filtcgil.itSupplemento al n°5 giugno 2016 de “Il lavoro nei trasporti” Mensile della FILT-CGIL nazionale Direzione/Amministrazione EDITRICE EDITRASPORTIVia Morgagni 27 - 00161 Roma Iscritto al n°92/82 del Registro Pubblicazioni periodiche del Trib. di Roma il 10/3/82 Testata registrata presso il RegistroNazionale della Stampa Direttore Responsabile Paolo Serventi Longhi Sped. in abb. postale c26 art.20 lett. B art.2 della legge 23/12/96 n° 662 RomaChiuso in tipografia: 12 luglio 2016 BINE EDITORE - Corso di Porta Vittoria 43, MilanoVideoimpaginazione e fotolito PRG Via Gaffurio 2, Milano - [email protected] - Graphic Artist: Roberto Ambrosioni

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Molti sono stati costruiti sulla terraferma, tanti altri edificati supiccole isole o addirittura su scogli solitari. Ciascuno è calatodentro scenari naturali incantevoli, tra scogliere di granito rosa odistese d’erba salmastra dove riescono a pascolare anche le peco-re, ma che, in situazioni meteorologiche estreme, si trasformanoin visioni apocalittiche, da vera “fine del mondo”.Oggi però nessuno li abita più, o quasi. La moderna tecnologiapermette il comando a distanza sotto lo stretto controllo dellaMarina Militare, sostituendo ed eliminando per sempre la roman-tica figura del “guardiano del faro”: solo le necessità manutenti-ve o la visita di sempre più numerosi turisti regalano loro unanuova presenza umana. Una suggestiva “via dei fari” consente la visita guidata di gran partedi queste mitiche costruzioni, in giorni e orari da consultare preven-tivamente. C’è anche un interessante “Museo del faro” sull’isola diOuessant, piazzata nel tratto di mare più impetuoso e sede di benquattro fari, raggiungibile quotidianamente dal porto di Brest.Ripenso a quel mazzo di rose deposte da qualche mano gentile inquesto angolo di mondo. Ma non cerco più spiegazioni, accontentandomi della bellezza diun gesto così nobile che mi ha sorpreso e regalato un’inaspettatae piacevole emozione. Penn ar bed in bretone può anche voler dire “in cima, all’iniziodel mondo”: e questo in fondo è stato il mio finistère.

© testo e fotografie di Franco Mammana

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