Protocollo SCIA con richiesta contestuale di atti presupposti
MUSICA CONTESTUALE. CENTRALITAÕ DEL RAPPORTO …
Transcript of MUSICA CONTESTUALE. CENTRALITAÕ DEL RAPPORTO …
LIBERA UNIVERSITA’ DI LINGUE E COMUNICAZIONE IULM
Facoltà di Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo
Corso di Laurea in Scienze e Tecnologie della Comunicazione
MILANO
MUSICA CONTESTUALE. CENTRALITA’ DEL
RAPPORTO CON L’AMBIENTE NEL PROCESSO
CREATIVO DEL COMPOSITORE: “FOTO-MUSICA
CON FOTO-SUONI”® DI RICCARDO PIACENTINI
Docente che ha assegnato l’argomento della prova finale
Chiar.ma Prof.ssa Gaia VARON
Prova finale di:
Victor ANDRINI
Matr. n. 150898
Anno Accademico 2004-2005
1
A mia nonna Erminia
Al M° Gianfranco Bottino
2
3 Premessa
5 Capitolo I – MUSICA DAL CONTESTO
1.1 Alla conquista dell’abbondanza 5
1.2 L’allargamento dei confini 7
1.3 Il risveglio della città: il rumore intonato 11
1.4 La musica concretamente 20
33 Capitolo II – MUSICA PER IL CONTESTO
2.1 Alla conquista dell’equilibrio 33
2.2 Organizzazione della totalità acustica 38
2.3 In equilibrio tra arte e vita 40
47 Capitolo III – MUSICA A 360°. “Foto-musica con foto-suoni”®
di Riccardo Piacentini
3.1 Musica nel contesto. Alla conquista dell’identità 47
3.2 “Foto-musica con foto-suoni”® 53
- 3.2.1 Strumenti 59
- 3.2.2 Paratassi 63
- 3.2.3 Sintassi 66
3.3 Sonorizzazioni d’ambiente: Musiche dell’aurora 68
74 Appendice I – Seminario sulla “foto-musica con foto-suoni”®
114 Appendice II – Riccardo Piacentini
117 Bibliografia
3
Premessa
Musica contestuale non indica un genere musicale definito: sottolinea più che
altro un approccio al materiale acustico. Da più di un secolo la musica “colta”
occidentale si è aperta con curiosità allo sviluppo delle proprie potenzialità
timbriche; la musica concreta, ad esempio, ha coinvolto in musica la complessità e il
rumore. Oggi più che mai il termine contestuale applicato in musica indica un livello
di coinvolgimento maggiore, di problematizzazione delle questioni artistiche e
musicali: la stessa percezione acustica è cambiata relativamente ai mutamenti nelle
consuetudini di ascolto musicale.
Il concetto di ascolto musicale (chiamato anche fruizione musicale) sembra
inadeguato alla contemporaneità, considerato il proliferare (spesso incontrollato)
della musica elettroacustica in molteplici contesti di vita quotidiana. La musica si
lega sempre più ai contesti reali, complice l’utilizzo “di massa” che ne fanno i media,
divenendo componente dei contesti stessi. L’esperienza musicale è quindi il nuovo
paradigma con il quale il compositore contemporaneo si trova ad avere a che fare.
Musica contestuale è innanzitutto un processo di ricerca che pone in gioco
l’identità stessa del compositore: ridefinire musicalmente i vari contesti di vita
sociale richiede una nuova sensibilità nell’accogliere gli stessi contesti acustici in
musica, nel ricercarne un’armonizzazione: alla conquista di un equilibrio.
Il compositore Riccardo Piacentini, ideatore della “foto-musica con foto-
suoni”®, si occupa da alcuni anni di sonorizzazioni d’ambiente. Il suo approccio
compositivo è inteso ad una piena reintegrazione del contesto ambientale in musica.
Piacentini organizza le sue “foto-musiche” seguendo una logica sintattica che, pur
4
avendo solide radici nella secolare cultura occidentale, pone al centro della sua
attività di compositore l’esperienza musicale stessa.
5
1. MUSICA DAL CONTESTO
1.1 Alla conquista dell’abbondanza
La ricerca della realtà che ha accompagnato la crescita della civiltà occidentale ha
svolto un ruolo importante nel processo di semplificazione del mondo. In genere la
si presenta come qualcosa di positivo, o come un’impresa capace di scoprire nuovi
oggetti, nuovi aspetti, nuove relazioni. Si dice che allarga il nostro orizzonte e rivela
i principi sottostanti ai fenomeni più comuni. Ma tale ricerca ha anche una forte
componente negativa. Non accetta i fenomeni come sono: li cambia, o nel pensiero
(astrazione) o interferendo attivamente con essi (esperimento). Entrambi questi due
cambiamenti implicano delle semplificazioni. Le astrazioni rimuovono i particolari
che distinguono un oggetto dall’altro, insieme a qualche proprietà generale come il
colore e l’odore. Gli esperimenti rimuovono, o tentano di rimuovere, i legami che
vincolano un qualsiasi processo all’ambiente circostante: ne creano uno artificiale,
in qualche modo impoverito, esplorando poi le sue peculiarità. In entrambi i casi le
cose sono estrapolate, o “bloccate”, dalla totalità che ci circonda. Ed è interessante
notare come ciò che resta sia definito “realtà”, venendo così considerato più
importante della stessa totalità. Inoltre, tale totalità viene ora descritta come se
consistesse di due parti: un mondo reale nascosto e parzialmente distorto e un velo
che lo occulta, circondandolo e deformandolo. La dicotomia non è presente solo
nella filosofia e nella scienza d’Occidente, ma anche in contesti religiosi, dove può
combinarsi con la dicotomia tra Bene e Male.1
Comporre in rapporto all’ambiente. Niente di più semplice e di più complesso
allo stesso momento: non si tratta di definire una nuova tecnica compositiva. Non si
tratta neanche di un’attività di sintesi tra le varie prospettive del “pensare la musica”.
E’ qualcosa che va oltre la dicotomia “pensare” e “fare” musica.
1 Feyerabend, Paul – Conquista dell’abbondanza. Storie dello scontro fra astrazione
e ricchezza dell’Essere – Raffaello Cortina Editore, Milano 2002, pp. 5-6
6
Ambiente, nel suo significato letterale “ciò che ambisce”, ciò che sta attorno,
ha varie chiavi di lettura: contesto naturale (percepito dai nostri sensi come “realtà”),
involucro reattivo alle nostre attività, crocevia di relazioni sociali e culturali.
Questi tre rapporti, presi singolarmente, definiscono in modo schematico le
relazioni che un compositore si trova ad assecondare nella sua attività, i fili della
ragnatela che formano la sua identità come organizzatore di suoni. E’ pur vero che
frazionare questa necessità relazionale in base a qualsivoglia criterio di
classificazione significa etichettare qualcosa che si avvicina più ad un continuum
senza soluzione di continuità. Stiamo parlando di una totalità da cui estrapolare
alcune prospettive, alcune realtà.2
Se un compositore non partirà mai da categorie schematizzate nell’atto pratico
del comporre, è pur vero che la percezione del sé, della propria identità di musicista e
compositore, non può essere confinata su un pentagramma o su qualsiasi supporto
analogico o digitale che ne faccia le veci (o che lo integri). La ricerca della propria
identità è un’esigenza che qualsiasi compositore sente e cerca di risolvere.
Sintetizzare è limitante, seppur necessario nell’uso di qualsiasi linguaggio.
Rischia di consumare la spinta innovativa dei concetti che tratta in un accostamento
di oggetti spesso inaspettatamente “interdipendenti”: è un’attività implosiva. La mia
ambizione più grande sarebbe quella di suggerire un modo di intendere la propria
ricerca di compositore, andando oltre i singoli particolari. Un piccolo scatto
evolutivo, alla conquista dell’abbondanza tra il “pensare” e il “fare” musica.
2 Secondo Feyerabend la dicotomia sta ad indicare la propensione alla
semplificazione dell’abbondanza tramite i processi di astrazione ed esperimento
7
1.2 L’allargamento dei confini
Il termine “musica” non esiste, così come la cultura occidentale lo intende, in
tutto il mondo. Spesso vi sono termini affini, che coprono parte del significato; in
determinate culture si tratta invece di un concetto limitato, parziale.
L’etnomusicologia si è occupata, sopratutto negli ultimi cinquant’anni, di registrare
ed analizzare la produzione musicale dei più disparati gruppi etnici: una ricerca tra
l’antropologia e la musicologia che pone grande attenzione alla relazione con la
cultura autoctona e alle reciproche influenze che le pratiche di produzione sonora
hanno avuto entrando in contatto tra loro. Alcuni studiosi si sono spinti oltre: il
canadese R. Murray Schafer ha rivalutato la percezione musicale in rapporto al
“contesto acustico” di riferimento. A tale proposito Schafer ha coniato un
neologismo dalla fusione di “sound” (suono) e “landscape” (paesaggio):
“soundscape” (paesaggio sonoro).3
Gli eventi acustici più comunemente udibili in un determinato soundscape,
originati sia dagli eventi naturali che dalle attività umane, hanno un valore anche
simbolico: sono profondamente legati al senso di appartenenza al luogo o alla
comunità dei singoli individui che vi abitano. Schafer quindi propone di considerare,
nello studio dell’evoluzione musicale, il valore che ogni cultura ha attribuito a
determinati eventi acustici presenti nel contesto: i suoni del mare, il vento, le
campane, i suoni del traffico, le sirene…
3 Nella terminologia elaborata dal World Soundscape Project, fondato da Schafer
negli anni Settanta, “soundscape” indica “qualsiasi parte dell’ambiente dei suoni
considerata come campo di studio e di ricerca”. Vedi Schafer, R. Murray – Il
paesaggio sonoro – BMG Ricordi, Roma 1985, p. 372
8
Un fatto sonoro è simbolico quando suscita in noi emozioni o pensieri che
vanno oltre la meccanicità delle sensazioni o la funzione di segnale che può
esercitare, quando possiede un che di soprannaturale o di riverberante che
risuona attraverso i più profondi recessi della psiche.4
Il termine giapponese “ongaku” viene solitamente tradotto con “musica”, ma
significa più appropriatamente “gioia dei suoni”; un significato diverso da quello
elaborato dalla cultura occidentale: il nostro concetto di musica è solo una parte di un
insieme di pratiche che, nella cultura tradizionale giapponese, comprendono il teatro,
il canto, la danza e il rituale sacro. A proposito dell’ongaku Schafer parla di una
forma d’arte che “apre l’esperienza dell’ascolto tanto al mondo naturale quanto alle
invenzioni umane”.5 Considerando la diversa sensibilità della cultura orientale nel
rapporto con l’ambiente (visibile nella ritualità come nell’architettura,
globalizzazione permettendo…) l’affermazione di Schafer risulta molto appropriata:
la percezione acustica può essere ampliata al di là di ciò che noi culturalmente
chiamiamo “musicale” (John Cage ha parlato di questo “spostamento delle frontiere”
in termini di “ascolto poetico”).
Schafer riconduce l’evoluzione del concetto di musica anche alla stretta
relazione con gli ambienti fisici in cui le varie culture hanno tentato di confinare la
diffusione delle pratiche musicali.
4 Ibidem, p. 2375 Schafer, R. Murray – Musica / non musica, lo spostamento delle frontiere – in
Nattiez, Jean-Jacques (a cura di), Enciclopedia della Musica, Einaudi, p. 348
9
L’astrazione e sterilizzazione della musica occidentale potrebbe essere
direttamente collegata al passaggio dalla vita in spazi aperti a quella in spazi
chiusi. L’ascolto dei suoni in un ambiente protetto è diventato un’esperienza
esclusiva che richiede silenzio e concentrazione. Le pareti spesse
dell’architettura europea hanno dato forma alla musica dal canto gregoriano alla
dodecafonia, tant’è vero che sarebbe possibile scrivere l’intera storia della
musica del continente in termini di pareti, dimostrando non solo come il variare
dei materiali e dei luoghi di esecuzione abbia influito sui tempi, timbri e
armonie, ma anche come il carattere sociale del far musica e dell’ascoltarla si
sia modificato col modificarsi di questi spazi.6
Questa riflessione porta a considerare come l’evoluzione del pensiero estetico
abbia solide fondamenta in una distinzione di tipo “spaziale”: da una parte lo spazio
dell’opera d’arte, dall’altra lo spazio del suo contesto.7
Si tratta di due spazi separati solo virtualmente: una semplificazione,
un’astrazione. La percezione musicale, pur sforzandosi di “mettere a fuoco” lo spazio
acustico del testo (o dell’astanza)8, sarà infine determinata dalla realtà prospettica
dell’ascolto: una realtà ricca di sfumature più o meno intense.
6 Ibidem, p. 3497 A tale proposito Cesare Brandi ha parlato di “spazio dell’ astanza”. L’ astanza,
differenziandosi dalla flagranza, “presuppone una struttura sottostante, un darsi del
reale come insieme di relazioni e, quindi, di differenze reciproche”. La flagranza “è il
darsi della realtà come puro momento percettivo” (il testo tra virgolette è preso da
Prestinenza Puglisi, Luigi – Commento del libro di Cesare Brandi Teoria generale
della critica – http://www.prestinenza.it/scrittibrevi/articoliDomus/Brandi.htm). Vedi
Brandi, Cesare – Teoria generale della critica – Editori Riuniti, Roma 19988 Rifacendomi liberamente al pensiero di Cesare Brandi, con la locuzione spazio
acustico del testo (o dell’astanza) intendo determinare lo spazio simbolico in cui la
nostra percezione delinea il testo acustico in relazione al suo contesto (spazio
acustico del contesto)
10
L’astrazione che si fa della totalità acustica9 non deve essere implosiva, ma
funzionale allo sviluppo della propria ricerca, così come, in una suggestiva metafora,
la prospettiva dell’occhio destro sommata a quella del sinistro darà il senso di
profondità degli oggetti.
Con la nascita e lo sviluppo dell’estetica, l’opera d’arte ha guadagnato un suo
spazio “a parte”, iniziando a vivere “al di la” delle singole esecuzioni. E’ avvenuta
una sorta di sublimazione in un’“esecuzione perfetta”, che può essere ammirata di
riflesso attraverso la partitura del compositore. Una Sinfonia di Beethoven si ritrova
così a vivere in una dimensione a-contestuale: indifferentemente potrebbe essere
eseguita in un teatro, in una chiesa, in un centro commerciale, in una galleria di arte
contemporanea, in riva al mare.
Uno dei primi passi per staccarsi da un approccio acritico al contesto è stato il
tentativo futurista di inserire il “rumore in musica”.
9 Ovvero dello spazio fisico contrapposto allo spazio simbolico
11
1.3 Il risveglio della città: il rumore intonato
Noi futuristi abbiamo tutti profondamente amato e gustato le armonie dei grandi
maestri. Beethoven e Wagner ci hanno squassato i nervi e il cuore per molti
anni. Ora ne siamo sazi e godiamo molto più nel combinare idealmente rumori
di tram, di motori a scoppio, di carrozze e di folle vocianti, che nel riudire, per
esempio, l’Eroica o la Pastorale… Ci divertiremo a orchestrare idealmente
insieme il fragore delle saracinesche dei negozi, le porte sbatacchianti, il brusio
e lo scalpiccio delle folle, i diversi frastuoni delle stazioni, delle ferrovie, delle
filande, delle tipografie, delle centrali elettriche, delle ferrovie sotterranee. Non
bisogna dimenticare i rumori assolutamente nuovi della guerra moderna…10
Luigi Russolo costruì nella sua casa di via Stoppani a Milano diversi strumenti
musicali, da lui chiamati “intonarumori”. In pochi anni ideò e brevetto, con l’aiuto
dell’amico e collaboratore Ugo Piatti, un insieme di strumenti discretamente
eterogeneo, la cosiddetta ”orchestra futurista”.
Gli intonarumori sono strumenti che sfruttano principi di tipo meccanico,
azionati tramite manopole e leve: la partitura di Risveglio della città11
prevede un
organico composto da ululatori, rombatori, crepitatori, stropicciatori, scoppiatori,
ronzatori, gorgogliatori e sibilatori.
Trovato il principio meccanico che dà il rumore, si potrà mutarne il tono
regolandosi sulle stesse leggi generali dell’acustica. Si procederà per esempio
con la diminuzione e l’aumento della velocità, se lo strumento avrà un
10
Russolo, Luigi – Lettera a Balilla Pratella dell’11 marzo 1913 – in Prieberg, Fred
K. – Musica ex machina – Einaudi, Torino 1963, pp. 28-2911 Uno dei brani eseguiti al Teatro Dal Verme nel 1914, in un happening futurista che
destò grande clamore,
12
movimento rotativo, o con una varietà di grandezze e di tensione delle parti
sonore, se lo strumento non avrà un movimento rotativo.12
Gli intonarumori imitavano i caratteri salienti di un complesso sistema di
eventi acustici: la città, intesa come soundscape metropolitano. La città moderna era
il contenitore di riferimento dei suoni che, secondo l’ottica futurista, avevano la
vitalità e l’effettiva attualità per rivoluzionare la musica. Questi suoni venivano
quindi selezionati, imitati dagli intonarumori ed organizzati su partitura, come
qualsiasi strumento acustico.
Russolo, sintetizzata una casistica degli eventi acustici caratteristici
dell’ambiente metropolitano, costruiva strumenti che ne imitavano il timbro: “noi
vogliamo intonare e regolare armonicamente questi svariatissimi rumori”.13
Nell’ambiente culturale italiano (e non solo) i concerti per intonarumori destavano
grande scandalo e non di rado si risolvevano in risse tra sostenitori e “critici
conservatori”: l’atteggiamento dei futuristi era molto aggressivo, soprattutto
nell’esporre la necessità di una rottura totale con il passato.
Non si trattava di una rivoluzione così inaspettata, almeno nei contenuti:
compositori come Wagner, Musorgskij, Debussy e Mahler (solo per citarne alcuni)
avevano fatto un utilizzo delle dissonanze sempre più difficile da spiegare attraverso
le convenzioni tonali, parallelamente all’utilizzo di nuovi accostamenti d’organico e
12 Russolo, Luigi – L’arte dei rumori – in Maffina, G. F. – Luigi Russolo e l’arte dei
rumori – Martano Editore, Torino 1978, p. 13413 Ibidem, p. 132
13
alla ricerca di nuove soluzioni timbriche.14
In quegli stessi anni, tra il 1909 e il 1911,
Schönberg avrebbe scritto il suo celebre Manuale d’armonia15
: il primo trattato a
porre le “premesse per il superamento dell’armonia classica, demitizzandola col
mettere in luce la sua relatività storica”.16
Russolo formulò una classificazione degli eventi acustici del contesto
metropolitano determinando “6 famiglie di rumori dell’orchestra futurista”:
1. Rombi – Tuoni – Scoppii – Scrosci – Tonfi – Boati
2. Fischi – Sibili – Sbuffi
3. Bisbigli – Mormorii – Borbottii – Brusii – Gorgoglii
4. Stridori – Scricchiolii – Fruscii – Ronzii – Crepitii – Stropiccii
5. Rumori ottenuti a percussione su metalli, legni, pietre, terrecotte, ecc.
6. Voci di animali e di uomini: Gridi, Strilli, Gemiti, Urla, Ululati, Risate,
Rantoli, Singhiozzi.17
Secondo Russolo ogni evento acustico facente parte della famiglia dei “rumori”
(secondo la definizione che li contrappone alle “altezze”) poteva essere ricostruito ed
“intonato” da un intonarumori.18
14 Gli stessi concetti di “suono” e “rumore”, per certi aspetti culturalmente opposti,
perdevano la loro identità distintiva: la pratica musicale legittimava sempre più
rumori in musica, ovvero suoni complessi non ancora accettati dalle convenzioni.
Per evitare malintesi parlando delle caratteristiche “fisiche” di un evento acustico,
raggrupperò i suoni in altezze e rumori (un sistema più complesso di altezze esatte)15 Schönberg, Arnold – Manuale d’armonia – Il Saggiatore, Milano 196316 Fubini, Enrico – L’estetica musicale dal Settecento a oggi – Einaudi, Torino 1964,
p. 23317 Russolo, Luigi – L’arte dei rumori – in Maffina, G. F. – Luigi Russolo e l’arte dei
rumori – Martano Editore, Torino 1978, p. 13318 Nella concezione di Russolo rimane comunque la contrapposizione suono/rumore.
A mio avviso questo modo di pensare rilega inconsapevolmente il “rumore” alla
condizione paradossale di essere un “non-suono”, un evento acustico di serie B.
14
Vediamo, anzitutto, come vengono definiti, solitamente, i suoni ed i rumori. Si
chiama suono quello dovuto ad una successione regolare e periodica di
vibrazioni; rumore, invece, quello dovuto a movimenti irregolari tanto per il
tempo, quanto per l’intensità.
<<Una sensazione musicale, dice Helmoltz [Helmholtz], appare all’orecchio
come un suono perfettamente calmo, uniforme, invariabile>>.
Questo carattere di continuità che ha il suono rispetto al rumore, il quale appare
invece frammentario e irregolare, non è però un elemento sufficiente per poter
fare una distinzione netta fra suono e rumore.
Noi sappiamo che perché si produca un suono è necessario che un corpo vibri
regolarmente non solo, ma che queste vibrazioni siano tanto rapide, da far
persistere nel nervo uditivo la sensazione della prima vibrazione fino all’arrivo
della vibrazione seguente: allora le impulsioni periodiche si fonderanno insieme
per formare un suono musicale continuo. Occorre, per questo, che le vibrazioni
siano non meno di 16 al minuto secondo.
Ora se riesco a riprodurre un rumore con questa rapidità, ottengo un suono fatto
dall’insieme di tanti rumori, o meglio un rumore il cui successivo ripetersi sarà
sufficientemente rapido per dare una sensazione di continuità pari a quella del
suono.19
Il rapporto che Russolo ha stabilito con l’ambiente ha una connotazione
imitativa,20
ma in senso univoco. Imita dei rumori per farne dei “suoni” (inteso come
“altezze”): l’imitazione si limita quindi all’aspetto timbrico.
Solo alcuni aspetti dell’evento acustico idealmente selezionato dal contesto
vengono presi in considerazione; basti pensare a ciò che ne viene generalmente
19 Russolo, Luigi – L’arte dei rumori – in Maffina, G. F. – Luigi Russolo e l’arte dei
rumori – Martano Editore, Torino 1978, p. 14020 E’ importante precisare che non stiamo parlando della musica come “imitazione
della natura”, a livello di sintassi musicale: Russolo stesso afferma che
l’organizzazione degli eventi acustici è la chiave di svolta tra la materia acustica e
l’arte. Il concetto di imitazione deve essere considerato a monte come processo di
appropriazione della materia acustica da parte del compositore, quindi come una
libera scelta, una selezione dell’artista.
15
escluso quando viene imitato dagli intonarumori: la riverberazione nell’ambiente, la
spazialità della percezione acustica, le differenze di percezione conferite dalla
posizione dell’ascoltatore (ad esempio ascoltare un tram in transito è notevolmente
differente dall’ascoltare lo stesso dal suo interno), l’influenza che altri eventi acustici
inscindibili dal manifestarsi del primo avranno sulla percezione generale.
La percezione acustica non coincide con ciò che noi solitamente chiamiamo
“evento acustico” o “suono”, che la nostra cultura ci indica come elemento
idealmente decontestualizzato. Riccardo Piacentini definisce la percezione di un
evento acustico in relazione al contesto definendolo “bagnato” dall’ambiente: è
impossibile estrarre “asciutto” un qualsiasi evento acustico dal suo ambiente (quasi si
trattasse di un ambiente amniotico).
[…] Immaginiamo di immergerci nell’acqua e di riemergere successivamente
senza essere bagnati. I suoni buoni sono sempre bagnati.21
L’intonarumori di Russolo non imita ciò che noi ascoltiamo in un contesto
metropolitano, la realtà prospettica della percezione acustica; imita solo alcuni
aspetti di ciò che noi isoliamo dal nostro ambiente: imitazione nel senso di astrazione
e sintesi (ovvero risultato di processi culturali e quindi “particolari”).
Se da un lato Russolo pone grande attenzione all’ascolto del contesto e sembra
auspicarne l’ingresso in musica come parametro, dall’altro riduce questa forte
innovazione teorica ad un semplice arricchimento della tavolozza timbrica. Il timbro
21 Piacentini, Riccardo – “Foto-musica con foto-suoni”® – sito internet
www.arpnet.it/rgauche/RICCARDOPIACENTINI.HTML#foto-musica%20riccardo,
p. 2
16
era il parametro di riferimento della ricerca rumorista, piegato poi alle esigenze di
un’architettura musicale abbastanza convenzionale: gli intonarumori variavano
enarmonicamente la propria altezza con dei glissandi continui (tramite lo
spostamento di una leva), mentre la dinamica veniva impartita dallo strumentista
seguendo le indicazioni su partitura.22
Gli intonarumori si suonano impugnando con la mano sinistra la leva e con la
destra facendo girare la manovella, o premendo il bottone [alcuni intonarumori
erano alimentati da una batteria o da un accumulatore].
Regolando la leva si muta il tono come si vuole, con qualsiasi possibilità di salti
di tono, di toni e di semitoni non solo, ma si può anche ottenere il passaggio
graduale enarmonico fra un tono e l’altro. Per ottenere questo, basta muovere
gradatamente in su o in giù la leva. La rapidità di questo movimento determina
la durata del passaggio enarmonico.
Il movimento della manovella più o meno rapido, dà una maggiore o minore
intensità al rumore: così si ottengono i piani e i forti.
In alcuni strumenti esistono delle leve supplementari, o meglio dei registri, che
modificano il timbro del rumore, permettendo di ottenere delle variazioni
interessanti e curiose.23
Il linguaggio musicale di Russolo e dei rumoristi paradossalmente si rifaceva
molto alle convenzioni della tradizione per quanto riguarda l’organizzazione
sintattica. La partitura stessa era formata da tradizionali pentagrammi sui quali i
glissandi venivano annotati in “linee-note”.
22 Per il funzionamento degli intonarumori vedi i brevetti di Russolo in Maffina, G.
F. – Luigi Russolo e l’arte dei rumori – Martano Editore, Torino 1978, p. 178 e
seguenti23 Russolo, Luigi – L’arte dei rumori – in Maffina, G. F. – Luigi Russolo e l’arte dei
rumori – Martano Editore, Torino 1978, p. 167
17
Da Risveglio di una città – Luigi Russolo24
Russolo ha iniziato la poetica rumorista ad una nuova forma di ascolto del
soundscape senza abbandonare però la concezione estetica dominante: il concetto di
imitazione veniva inteso come appropriazione dei caratteri salienti di un evento
idealmente decontestualizzato. L’imitazione degli eventi acustici del contesto veniva
quindi subordinata alla concezione dualistica che contrapponeva il Compositore alla
Materia. La rigidità dialettica tra l’opera d’arte e il suo contesto ne è una
conseguenza facilmente intuibile.
Il rapporto di Russolo con l’ambiente si sublima nella “lotta continua
dell’artista contro la materia”.25
Se pensiamo invece all’imitazione come ad un
24 Ibidem25 Ibidem, p. 176
18
procedimento aperto, risultato di un ascolto prospettico, possiamo immaginare una
reciproca influenza tra artista e materia; l’allargamento della materia musicale
(Piacentini parlerà di “allargamento della paratassi”) tramite l’evoluzione dei
parametri atti a definirla (ovvero a “pensarla”).
Russolo, a lungo considerato solo come esponente del Futurismo e da questo
inglobato (nonostante le divergenze che lo porteranno ad abbandonare i futuristi a
causa delle successive implicazioni politiche), lascia alcune riflessioni sull’ascolto
che testimoniano una grande sensibilità al contesto acustico ed una lungimiranza che,
considerata l’evoluzione del “far musica” nel corso del XX secolo, sembra limitata in
gran parte dall’arretratezza tecnologica della sua epoca.
[…] Talora il vento dirige, domina e dà il suo ritmo allo scrosciare dell’acqua,
sbattendola con violenza contro i muri, le finestre, i vetri, e l’acqua assume i
timbri propri ai muri, alle finestre, ai vetri. Talora invece sembra che la pioggia
per cadere tranquilla e perpendicolare, aspetti le pause del vento. Allora
predominano i timbri metallici dei tetti, delle grondaie, e quello monotono della
terra, con un ritmo che è soltanto il ritmo della pioggia, ma che ha però tutti i
crescendo e i diminuendo d’intensità per il crescere o il diminuire della quantità
d’acqua che cade.26
Alcune osservazioni anticipano di una sessantina d’anni gli studi del “World
Soundscape Project” di R. Murray Schafer sulle relazioni tra gli eventi acustici del
paesaggio sonoro.27
26 Russolo, Luigi – L’arte dei rumori – in Maffina, G. F. – Luigi Russolo e l’arte dei
rumori – Martano Editore, Torino 1978, p. 14427 Vedi i concetti di tonica e segnale in Schafer, R. Murray – Il paesaggio sonoro –
BMG Ricordi, Roma 1985
19
Un’osservazione generale che serve per studiare i rumori in città è questa:
generalmente nei luoghi dove si producono dei rumori continui (strade molto
frequentate, officine, ecc.) esiste sempre un rumore basso continuo,
indipendente fino a un certo punto , dai vari rumori ritmici che si producono.
Questo rumore è come un basso continuo tenuto, che fa da pedale a tutti gli altri
rumori. […] Sopra questo rumore continuo che muta, come tono, da strada a
strada (e che rappresenta in modo non dubbio il tono di ogni strada) sono poi
analizzabili i vari rumori che sono le modulazioni armoniche e ritmiche sopra
quel basso tenuto e continuo.28
28 Russolo, Luigi – L’arte dei rumori – in Maffina, G. F. – Luigi Russolo e l’arte dei
rumori – Martano Editore, Torino 1978, pp. 146-147
20
1.4 La musica concretamente
A seconda del contesto, si è parlato di “musica concreta” tanto per l’impiego di
suoni di diversa origine, compresi i rumori captati tramite un microfono, quanto
per l’atteggiamento compositivo da essa rappresentato, che si fonda
sull’osservazione delle caratteristiche concrete di un suono ancor prima che esso
venga incluso entro una composizione (contrapposto ad un atteggiamento
“astratto”, il quale definisce una struttura prima di realizzarla sotto forma
sonora).29
Per discutere di “musica concreta” senza cadere in facili malintesi è necessario
fare prima una breve premessa. Come fa giustamente notare il musicologo francese
François Delalande il termine “concreto” (coniato da Pierre Schaeffer) è invalso in
musica sia per indicare la tecnica compositiva che, grazie all’utilizzo di una
determinata tecnologia, è alla base del movimento battezzato Musique concrète, sia
per sottolineare l’atteggiamento più responsabile e consapevole dei
compositori/tecnici del suono nei confronti della materia acustica.30
La musica concreta, teorizzata da Pierre Schaeffer nel suo Traité des objets
musicaux, ha posto l’oggetto sonoro al centro della ricerca musicale. Per tentare un
approccio all’argomento vorrei citare un’osservazione di Schaeffer su Webern:
Per Webern la partitura è necessaria sul piano della costruzione, ma non è più in
grado di rendere conto dell’opera, è soltanto un mezzo per poterla realizzare.
29 Delalande, François – Il paradigma elettroacustico – in Nattiez, Jean-Jacques (a
cura di) – Enciclopedia della Musica – Einaudi, p. 38130 “Musica concretamente” vuole proprio sottolineare questo aspetto. La locuzione è
tratta da Chion, Michel – L’arte dei suoni fissati o La Musica Concretamente –
Edizioni Interculturali, Roma 2004
21
Webern ha bisogno della sua partitura per dare delle indicazioni agli
strumentisti […]. Cosa chiede loro? Essenzialmente di realizzare degli oggetti
musicali. Infatti, ciò che conta in quelle brevi composizioni, ciò che vi si sente,
non sono più le relazioni fra altezza e durata che potrebbero leggersi nella
partitura, ma il suo straordinario affinamento nello sfruttamento del materiale
sonoro ottenuto mediante sottigliezze esecutive, trattamento dell’archetto,
strofinamenti, ecc.31
L’oggetto musicale (od oggetto sonoro), così definito, non esiste al di fuori del
momento percettivo: le relazioni interne, l’aspetto morfologico del suono, si
esplicitano nel momento della percezione, senza l’utilizzo di un’architettura astratta.
I primi esperimenti di Pierre Schaeffer con gli eventi acustici registrati
iniziarono alla fine degli anni Quaranta. Schaeffer era impiegato presso la Radio
Diffusion Française (RDF), con sede a Parigi. Fondato nel 1946 il Club d’essai,
Schaeffer divenne direttore dei Servizi artistici per la creazione radiofonica,
iniziando a sperimentare montaggi e manipolazioni con materiale preregistrato. Vi
erano intere collezioni di suoni, pronti all’utilizzo per le sonorizzazioni dei
radiodrammi. Un vero e proprio prontuario degli eventi acustici più svariati, registrati
in studio o all’aperto: passi di persone, latrati di cane, clacson di automobile,
sgocciolii d’acqua, fischi di treno, campanelli, etc.
Le prime sperimentazioni di musica concreta al Club d’essai avvennero
utilizzando dischi in vinile. Dopo i primi successi, il gruppo di Schaeffer, divenuto
GRMC (Groupe de Recherche de Musique Concrète), ottenne nel 1951 le
sovvenzioni necessarie per dotarsi di una tecnologia più avanzata dei giradischi:
31 Schaeffer, Pierre, cit. in Nattiez, Jean-Jacques – Il discorso musicale – Einaudi,
Torino 1987, p. 29
22
ottenne così “un proiettore in rilievo, un magnetofono con variatore di velocità, due
phonogène”.32
La musica concreta inizialmente era stata concepita solo per la radiodiffusione:
il musicologo tedesco Fred K. Prieberg faceva notare come essa non abbia “una sede
che le sia propria, poiché, grazie alle onde elettriche della stazione trasmittente,
raggiunge quasi tutti gli ascoltatori purché siano vicini a un altoparlante”. Il pensiero
di Prieberg era condiviso dalla maggior parte della critica dell’epoca: i primi concerti
di musica concreta venivano visti come un’occasione per “farsi pubblicità”.
L’esperienza insegna che le trasmissioni radiofoniche di musica trovano
soltanto una scarsa risonanza; la stampa non se ne interessa. Il lavoro del Club
d’Essai era esposto al costante pericolo di venir dimenticato o di passare
inosservato. I compagni di Schaeffer soffrivano di questa solitudine. Volevano
trovare risonanza, anche se non era favorevole. Non volevano più gridare nel
deserto, senza ricevere una risposta.33
Non stupisce che le avanguardie musicali europee degli anni Quaranta /
Cinquanta si siano sviluppate intorno agli enti radiofonici, dotati di una tecnologia
praticamente impossibile da adottare da coloro che non avevano un ritorno
economico considerevole. Una delle attività più vivaci degli studi radiofonici
32 “Il primo, il phonogène a tastiera, permetteva una trasposizione per intervallo di
semitono su una o due ottave, controllata dai tasti; il secondo, il phonogène a
coulisse, consentiva una trasposizione lineare (glissando) mediante un controllo
continuo della variazione di velocità”. Vedi Lasio, Beatrice – Pierre Schaeffer e gli
altri. La ricerca musicale – sito internet www.conservatorio.trieste.it/mnt/analisi.asp33 Prieberg, Fred K. – Musica ex machina – Einaudi, Torino 1963, p. 93
23
dell’epoca era la produzione di radiodrammi: le prime sperimentazioni di musica
concreta sono indissolubilmente legate a queste esperienze.
I radiodrammi godevano di ottimo successo nella programmazione radiofonica,
fatto che permise investimenti considerevoli nelle nuove tecnologie di registrazione34
da parte degli enti radiofonici. Produrre un radiodramma prevede essenzialmente tre
fasi di lavoro: la registrazione degli attori, l’editing del materiale registrato e la
sonorizzazione musicale e rumoristica (ovvero il sound-design). Questo “artigianato
acustico” fu fondamentale nella formazione dei primi compositori “concreti”. Pierre
Schaeffer iniziò a sperimentare alcuni accostamenti, sovrapposizioni e manipolazioni
di eventi acustici grazie alla facilità con cui poteva accedere agli archivi sonori:
poteva anzi registrare egli stesso tutti i suoni che desiderava.
Le prime opere di musica concreta permisero la sperimentazione di una nuova
forma di organizzazione musicale indipendente dal sistema di notazione tradizionale.
Questo infatti era del tutto inadatto ad esprimere i delicati “equilibri di timbri e
sonorità”. Nel quadro più generale della musica contemporanea, come nota
Delalande, tali parametri continuano “ad essere delegati allo strumentista ovvero al
direttore entro il quadro aleatorio delle prove”.35
34 I primi nastri in PVC furono prodotti dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.
In pochi anni s’imposero come supporto standard per la registrazione professionale,
sostituendo quelli in acetato di cellulosa (inventati in Germania nel 1935) e la
registrazione a filo metallico35 Delalande, François – Il paradigma elettroacustico – in Nattiez, Jean-Jacques (a
cura di) – Enciclopedia della Musica – Einaudi, p. 387
24
La possibilità di fissare36
il suono (e maneggiarlo agevolmente) porterà ad una
piena equiparazione tra gli eventi acustici fissati ed elaborati dal compositore sul
nastro e l’intenzionalità espressa dallo stesso tramite la tradizionale notazione su
carta. Proprio l’intenzionalità d’espressione sonora, quantizzata37
per secoli
attraverso segni convenzionali come note, pause, chiavi, legature, indicazioni
dinamiche e agogiche, sembrerà liberata dalle catene della cultura permettendo una
comunicazione non intermediata del compositore con gli ascoltatori.
I problemi delle scale temperate e non temperate, le nozioni di verticale e di
orizzontale non hanno più alcun senso: si giunge alla figura sonora, l’oggetto
più generale che possa presentarsi all’immagine del compositore; figura sonora
– o anche, con le nuove tecniche compositive – oggetto sonoro.38
Se inizialmente ci si doveva limitare ad alcuni accostamenti e giustapposizioni,
grazie alle nuove tecnologie (e soprattutto alla malleabilità del nastro magnetico
rispetto al vinile) la composizione del materiale registrato poteva spingersi sempre
più in profondità, manipolando l’evento fissato fino alla possibilità di renderne
irriconoscibile la fonte originaria.39
36 Riprendo la terminologia utilizzata da Chion, che usa spesso il concetto di
fonofissaggio per intendere la registrazione acustica. Vedi Chion, Michel – L’arte dei
suoni fissati o La Musica Concretamente – Edizioni Interculturali, Roma 2004, p. 1737 Il termine quantizzazione è preso a prestito dal mondo dei sequencer MIDI.
Quantizzare significa riallineare per approssimazione gli impulsi MIDI in una griglia
ritmica “più o meno fitta”. In questo caso indica il livello di approssimazione che
ogni segno convenzionale mantiene nei confronti della relativa espressione sonora38 Boulez, Pierre, cit. in Delalande, François – Il paradigma elettroacustico – in
Nattiez, Jean-Jacques (a cura di) – Enciclopedia della Musica – Einaudi, p. 39639 Invertendo ad esempio un segmento di nastro su cui inizialmente è stato registrato
il suono di un campanello, si può giungere alla percezione di un lentissimo crescendo
culminante con una sorta di risucchio improvviso. L’evento acustico viene ri-
25
Con l’avanzamento delle tecnologie che permettevano la registrazione e la
manipolazione del suono vi fu anche un’evoluzione del concetto di musica: un nuovo
modo di pensare la musica, un nuovo modo di percepire l’evento acustico. La
situazione di “ascolto acusmatico”40
invitava l’ascoltatore a concentrarsi sul suono in
quanto tale, sulle caratteristiche timbriche, sulla consistenza morfologica. Pierre
Schaeffer ha definito tale modalità di percezione “ascolto ridotto”41
:
Pierre Schaeffer ha battezzato “ascolto ridotto” l’ascolto rivolto alle qualità e
alle forme proprie del suono, indipendentemente dalla sua causa e dal suo
senso; e che considera il suono – verbale, strumentale, aneddotico o qualunque
– come oggetto di osservazione, invece di attraversarlo mirando ad altro
(l’aggettivo “ridotto” è tratto dalla nozione fenomenologica di riduzione in
Husserl).42
Uno degli errori commessi dai primi compositori “concreti”, frutto anche di
un’interpretazione critica spesso troppo superficiale, è stato quello di attribuire la
possibilità di ascolto ridotto solo alla situazione acusmatica (e quindi alla musica
concreta). Questo malinteso (che Schaeffer stesso successivamente cercherà di
chiarire) va interpretato nel panorama musicale degli anni Cinquanta: il tentativo di
plasmato in uno nuovo, separato dalla sua causa e non più facilmente riconducibile
ad essa40 Acusmatico è un parola di derivazione greca: si riferisce ad un evento acustico del
quale non si può vederne la fonte (il termine si riconduce a Pitagora: si racconta
infatti che tenesse le sue lezioni nascosto dietro a una tenda). Il vocabolo, recuperato
da Jerôme Peignot e teorizzato da Pierre Schaeffer, è particolarmente adatto a
definire la musica registrata e diffusa da altoparlanti (per approfondire il concetto di
acusmatico vedi Chion, Michel – L’audiovisione. Suono e immagine nel cinema –
Lindau, Torino 2001, p. 65 e seguenti)41 La definizione è stata ripresa e completata da Michel Chion42 Chion, Michel – L’audiovisione. Suono e immagine nel cinema – Lindau, Torino
2001, p. 32
26
essere rivoluzionari, se portato all’eccesso, diviene sterile appartenenza a posizioni
radicali.
Nella tradizione colta occidentale, prima dell’avvento del fonofissaggio,
l’evento acustico era percepito esclusivamente in relazione alla relativa fonte sonora.
Questo tipo di ascolto viene classificato da Chion come “ascolto causale”.43
Ascoltare un suono di violino, ad esempio, è un’operazione che rimanda alla fisicità
della sua fonte: il violino. Ciò non significa assolutamente che prima di Schaeffer
non si ponesse attenzione all’evento acustico in sé (ascolto ridotto): l’identità di un
suono si sovrapponeva però ad un concetto che comprendeva l’emissione fisica dello
strumento e l’interpretazione dell’esecutore.44
Chion identifica un ulteriore
disposizione di ascolto: l’“ascolto semantico”: un suono può essere ascoltato tramite
un “sistema di opposizioni e differenze”. Contrapporre in musica, ad esempio, un
pianissimo ad un fortissimo è un’operazione portatrice di significato.
L’ascolto causale e l’ascolto semantico, naturalmente, possono esercitarsi
parallelamente e indipendentemente in una stessa catena sonora. Sentiamo al
tempo stesso ciò che qualcuno ci dice e il modo in cui lo dice.45
Questo tipo di classificazione delle tipologie d’ascolto va interpretata come
“sintesi” di alcune peculiarità della percezione acustica: è necessario ricercare
sempre l’interdipendenza di questi concetti perché l’ascolto musicale non sia mai
un’attività implosiva.
43 Ibidem, p. 2944 Ciò portava ad analizzare le qualità “ridotte” del suono unicamente come risultato
di una “buona o mediocre”, “corretta o scorretta” emissione da parte dell’interprete45 Ibidem, p. 31
27
La manipolazione di un suono fissato ha dato per la prima volta la possibilità di
nascondere la fonte originaria alla percezione, rendendo un qualsiasi evento acustico
“opaco” all’“ascolto causale” (o meglio, deviando l’“ascolto causale” ad un referente
virtuale). Schaeffer ha posto molta attenzione alla purezza dell’oggetto sonoro,
descrivendo tale stato in due diverse accezioni: purezza antropologica, ovvero
l’oggetto sonoro non deve richiamare nessuna sovrastruttura culturale; purezza “in
relazione alla fonte che lo emette”.46
Quest’ultima osservazione è stata a lungo interpretata come necessità di una
denaturazione dell’evento acustico originale. In quest’ottica vi è il rifiuto
dell’oggetto sonoro come portatore di significato: nascondere la causa di un suono
tramite una consistente manipolazione è stato visto come la soluzione per favorire
l’ascolto ridotto dell’oggetto sonoro. Prieberg a tale proposito ha affermato: “il
ricordo è la morte della musica assoluta, libera da immagini”.47
Paradossalmente
potrei affermare che, ascoltando un pianoforte in una situazione acusmatica (sia esso
registrato o semplicemente “non visibile”), l’immagine mentale dello stesso è
dannosa alla percezione musicale.
Questa contraddizione nasce da un malinteso, alimentato dallo stessa etichetta
“musica concreta”: una questione di status. L’aggettivo “concreto” è stato a lungo
inteso esclusivamente in riferimento all’origine dei suoni, e non al loro trattamento.
Così la musica concreta è stata considerata da gran parte della critica e dell’opinione
pubblica come rumori di casseruole, “motori, picchiate aeree, tappi di champagne,
46 Santarcangelo, Enzo – Oggetti ed attenzione estetica: il caso della “ Musique
Concrete” – sito internet http://www.filosofico.net/musiqueconcreteenzo.htm47 Prieberg, Fred K. – Musica ex machina – Einaudi, Torino 1963, p. 86
28
martelli pneumatici ecc…”.48
Lo stesso Schaeffer, interrogato da Chion
sull’argomento nel 1975, tenne a chiarire questa ambiguità di fondo:
La parola “concreta” non designava una fonte. Voleva dire che si prendeva il
suono nella totalità dei suoi caratteri. Così un suono concreto è per esempio un
suono di violino, ma considerato in tutte le sue qualità sensibili e non soltanto
nelle sue qualità astratte che sono notate sulla partitura. Riconosco che il
termine “concreto” è stato velocemente associato all’idea di “rumori di
casseruole”, ma nella mia mente questo termine voleva dire prima di tutto che
erano presi in considerazione tutti i suoni, non riferendosi alle note della
partitura, ma in rapporto a tutte le qualità che contenevano.49
Molti musicisti e critici sono stati bloccati da una sorta di “imbarazzo” per
degli eventi acustici ricavati da oggetti di “serie B” (e non dagli strumenti blasonati
della tradizione): da qui il malinteso che la musica concreta necessiti di non avere
elementi riconducibili a una fonte per essere “arte”. Molto appropriata a questo
riguardo è un’osservazione di Chion:
Nell’ascolto acusmatico tutto inizia, in effetti, con il rinvio alla questione di una
fonte, reale o immaginaria. Un suono di violino che nessuno, nella situazione
classica del concerto, troverebbe aneddotico diviene, attraverso l’altoparlante,
iconico… di un violino. Ci si può accanire a nascondere la fonte tramite
manipolazioni ma queste non faranno che creare altri suoni, a loro volta
evocatori di nuove fonti, così affascinanti benché immaginarie. Più ispirati sono
i compositori i quali, come ha giustamente rilevato il critico David Rissin,
48 Rostand, Claude – Dizionario della musica contemporanea (1970) – cit. in Chion,
Michel – L’arte dei suoni fissati o La Musica Concretamente – Edizioni
Interculturali, Roma 2004, p. 2649 Chion, Michel – L’arte dei suoni fissati o La Musica Concretamente – Edizioni
Interculturali, Roma 2004, p. 27
29
hanno compreso che, invece di lasciarsi ossessionare dalla fonte sonora da
nascondere, si può “attraversare lo specchio che ci riflette l’immagine causale di
un suono” – da intendere: lasciando eventualmente riconoscibile una causa,
reale o no, mettere in evidenza la forma, la dinamica, la materialità del
fenomeno sonoro.50
Un suono può essere veramente percepito senza che l’ascoltatore ne ricerchi la
causa, comunque? La referenzialità di un suono alla fonte (il suo essere indice di
qualcosa) a mio avviso dovrebbe essere considerato come un ulteriore parametro
nelle mani del compositore, un parametro simbolico.
La possibilità di fissare un evento acustico su supporto deve portare
innanzitutto a una riflessione da estendere oltre la musica concreta.51
L’immagine
acustica di un violino, separata dal violino stesso e dalle capacità tecnico/espressive
dell’esecutore, ci racconta di sé molte cose: la realtà prospettica di quel suono,
determinata dal compositore alla ricerca di un suo equilibrio tra lo spazio acustico
del testo (o dell’astanza) e lo spazio acustico del contesto.
L’ascolto musicale è sempre relativo all’ascolto prospettico. Uno stesso evento
acustico potrebbe essere ascoltato in prospettive diverse a seconda della posizione
dell’ascoltatore e della reciproca influenza con l’ambiente, alla cui determinazione
l’ascoltatore partecipa attivamente. Un approccio concretamente musicale dovrebbe
tener conto del valore simbolico di un suono colto in un contesto.
Prendiamo in considerazione uno dei contesti più ovvi di interazione acustica
nella musica colta occidentale: la sala da concerto. L’evento acustico prodotto da un
violino non esiste se non nella riverberazione in un determinato contesto, ricco di
50 Ibidem, p. 3051 Parafrasando Chion, una riflessione concretamente musicale…
30
elementi acustici che interagiscono tra loro. L’ascolto di un brano per violino in una
determinata sala da concerto, oppure in riva al mare, oppure in alta montagna, oppure
ancora in una piazza affollata non equivalgono affatto: è innegabile che le nostre
orecchie percepiscano quattro realtà prospettiche diverse. Questo avviene non solo
nel caso di un evento strumentale dal vivo: una realtà prospettica fissata su supporto
e diffusa dallo stesso sistema di amplificazione è percepita in maniera diversa
relativamente al contesto di implementazione.52
Il piano della realtà prospettica accoglie in sé sia l’esperienza dell’ascoltatore,
sia il processo creativo del compositore: entrambi interagiscono tramite le loro
“prospettive sul mondo”.53
L’ascolto prospettico del compositore prevede una riformulazione del concetto
di “imitazione”: appropriazione della materia acustica secondo un punto di vista
variabile. La registrazione comporta un’appropriazione (fissazione) della totalità
acustica tramite l’ascolto prospettico determinato dai microfoni e dalle scelte del
compositore/tecnico di ripresa (ovvero la sua “influenza reciproca con la materia”).
La selezione del materiale acustico è un momento creativo; tale selezione, scelta dal
compositore a seconda delle sue possibilità di azione, determina una certa realtà
prospettica. Il compositore deve essere innanzitutto un attento ascoltatore, non
esclusivamente un ideatore di strutture astratte.
Il processo di fissazione comporta innanzitutto la scelta dei microfoni: uno o
più microfoni, mono, stereo, dinamici, a condensatore, cardioidi, etc. Poi vi è il
52 Diviene, a sua volta, parte della totalità acustica (parte dell’ambiente fisico).
L’ascoltatore la percepirà in una nuova realtà prospettica.53 Per dirla alla Feyerabend, tramite il loro ascolto prospettico dell’ abbondanza
acustica.
31
posizionamento, l’altezza e l’angolazione. Poi ancora la scelta del tipo di supporto:
nastro, DAT, minidisc, etc. Sono tutte variabili che il tecnico di ripresa, o il
compositore stesso, tiene in considerazione nel procurarsi il materiale acustico delle
sue composizioni. Il compositore sceglie e determina una prospettiva di ascolto, o
meglio, di fissazione. In questo egli partecipa attivamente e creativamente nel trovare
un “suo” equilibrio (non è detto che sia il “migliore”54
) tra spazio acustico del testo
(o dell’astanza) e spazio acustico del contesto. Considerando quindi la fissazione
acustica come evoluzione del concetto di imitazione, poiché pone in stretta relazione
la totalità acustica con la “visione del mondo” del compositore, possiamo
considerare legittimamente coinvolte in questo processo anche le successive
manipolazioni.55
La realtà prospettica è quindi materiale plasmabile dal
compositore, un blocco di marmo nelle mani di uno scultore: ciò che ne consegue, la
composizione, rimane pur sempre una realtà prospettica (rifacendomi alla metafora
dello scultore, la statua scolpita è pur sempre di marmo).
Vi è una grande affinità tra “oggetto sonoro” e realtà prospettica, ma anche
una grande differenza: l’oggetto sonoro si pone come un frammento acustico
analizzabile in sé; la realtà prospettica esplicita anche la relazione percettiva (e
quindi simbolica) tra testo e contesto, poiché qualsiasi evento idealmente isolabile si
manifesta solo nel rapporto con l’ambiente in cui è stato colto. Nella fissazione
54 Il tecnico di ripresa, se non istruito diversamente, tende generalmente ad una ideale
decontestualizzazione del suono, concepita come la condizione migliore di ascolto.
In realtà questa situazione estrema non è quasi mai raggiunta, poiché provocherebbe
un senso di alienazione nell’ascoltatore: il tecnico pone quindi, nel migliore dei casi,
un microfono più distante dalla fonte acustica per coglierne la riverberazione; oppure
userà successivamente un effetto che ricrei una spazialità, e quindi un contesto
virtuale.55 L’equalizzazione, ad esempio, esalta alcune frequenze riducendone altre. Seleziona
e mette in evidenza alcuni aspetti della totalità acustica.
32
questo rapporto diviene una nuova unità: “non si combinano più delle unità, ma si fa
svolgere un’unità”.56
Avremo una prospettiva sulla totalità acustica che metterà “a
fuoco” un determinato elemento lasciando, a seconda delle scelte del compositore,
più o meno “sfocato” il contesto: la realtà prospettica fissata dal compositore o, nella
poetica di Riccardo Piacentini, il “foto-suono”.
56 L’osservazione di François Delalande si riferisce alla ricerca del “suono unico”: “la
musica come organismo, formata non di atomi classificabili mediante parametri, ma
che nasce dall’evoluzione vivente di un suono” (Wilson, P. N.) cit. in Delalande,
François – Il paradigma elettroacustico – in Nattiez, Jean-Jacques (a cura di) –
Enciclopedia della Musica – Einaudi, p. 398
33
2. MUSICA PER IL CONTESTO
2.1 Alla conquista dell’equilibrio
Se la musica è in grado di accettare i suoni dell’ambiente senza venirne per
questo interrotta, allora abbiamo un pezzo di musica moderna. Ma se, come nel
casso di una composizione di Beethoven, un bambino piange, o qualcuno tra il
pubblico tossisce e interrompe la musica, allora sappiamo che non è moderna.
Penso che il modo attuale per decidere se qualcosa è utile in quanto arte è quello
di chiedersi se viene interrotta dalle azioni altrui, oppure se le è possibile invece
armonizzarsi con quelle azioni. Ho poi esteso questi concetti al di fuori del
campo dei materiali dell’arte, applicandoli anche a ciò che si potrebbe chiamare
“il materiale della società”. Se, ad esempio, creassimo una struttura sociale
suscettibile di essere interrotta dalle azioni delle persone che non ne fanno parte,
sapremmo che questa non sarebbe una struttura adeguata.57
Comporre musica per un ambiente significa innanzitutto ricercarne l’identità.
Ogni ambiente è caratterizzato da specifici suoni e una sua acustica: un suo profumo
sonoro.58
Questi elementi sono tutti influenzabili dall’uomo che, se non ricerca una
situazione di equilibrio, rischia di far degenerare l’ambiente in un contesto
acusticamente alienante e potenzialmente dannoso. L’orecchio musicale dovrebbe
aiutare a progettare un ambiente, non per coprire il tutto con un tappeto di musica
continua, ma per trovare un equilibrio acustico armonizzato.
Progettare acusticamente, comporre un soundscape, non significa solo
immettere suoni nell’ambiente: significa anche toglierli (o attutirli), progettare un
57 Cage, John, in Kostelanetz, Richard (a cura di) – John Cage. Lettera a uno
sconosciuto – Edizioni Socrates, Roma 1996, p. 29058 John Cage, ricordando il regista Oscar Fischinger: “Mi disse che ogni cosa
esistente al mondo possiede uno spirito che viene sprigionato attraverso il suo suono,
e questo, per così dire, mi accese una lampadina”, Ibidem, p. 36
34
determinato “silenzio”. Un ambiente potrebbe essere isolato tramite l’utilizzo di
materiali fonoassorbenti posti alle pareti; oppure, disponendo alcuni pannelli, sarebbe
possibile modificare la rifrazione acustica.
Questa “sensibilità” potrebbe essere sviluppata su più livelli: una buona
amministrazione locale, ad esempio, dovrebbe ridurre il disequilibrio acustico nei
centri storici delle città limitando l’accesso delle autovetture; in secondo luogo
dovrebbe preservare i suoni tipici di un determinato luogo, ciò che R. Murray
Schafer definisce impronte sonore: “il termine impronta sonora indica un suono
comunitario che possieda caratteristiche di unicità oppure qualità tali da fargli
attribuire, da parte di una determinata comunità, valore e considerazione
particolari”.59
Se la musica fosse considerata come organizzazione di una sintassi da far
interagire con la totalità acustica di un determinato ambiente non parleremmo più di
fruizione musicale, ma più appropriatamente di esperienza musicale.
Uno degli ambienti più ricettivi all’idea di esperienza sono i musei e le gallerie
d’arte. Si tratta infatti di “luoghi di pubblica frequentazione che, in più, hanno un
loro proprio coefficiente culturale che li configura come crocevia di messaggi
continuamente rinnovabili”.60
La letteratura disponibile sull’organizzazione degli spazi museali è molto
ampia ed eterogenea, poiché molteplici sono gli approcci attuati in ogni singolo
59 Schafer, R. Murray – Il paesaggio sonoro – BMG Ricordi, Roma 1985, p. 2260 Piacentini, Riccardo – “Foto-musiche” per l’ambiente – “Rassegna Musicale
Curci”, settembre 2003, Milano, in Piacentini, Riccardo – “Foto-musica con foto-
suoni”® – sito internet
www.arpnet.it/rgauche/RICCARDOPIACENTINI.HTML#foto-musica%20riccardo,
p. 18
35
spazio espositivo. Vi sono però alcune considerazioni che, a mio avviso, sono
fondamentali per intendere il significato che la cultura occidentale ha attribuito a
questi spazi.
Il concetto di museo nasce tra Quattrocento e Cinquecento, è quindi un
prodotto della modernità. L’esigenza di conservare ed esporre manufatti d’interesse
artistico, storico o scientifico nasce con il Rinascimento, affermandosi pienamente
con la fine del Settecento: per la prima volta veniva organizzato uno spazio adibito a
“raccogliere le reliquie laiche da consegnare al futuro”.
Il pubblico viene posto per la prima volta al centro dell’attenzione, a differenza
delle collezioni d’arte antica delle famiglie aristocratiche. Il museo è quindi uno
spazio pubblico sottratto all’appropriazione privata, che tuttavia non si uniforma
pienamente allo spazio urbano: entrare in un museo è come varcare un confine.
[…] Gli oggetti vivono in una dimensione sospesa tra ciò che non sono più e ciò
che rischiavano di divenire. […] Il museo è uno spazio laicizzato in cui non
cessa di esistere un’aura di sacralità.61
L’interazione tra musica e arte visiva all’interno di uno spazio museale
introdurrebbe un ampio discorso: cosa aggiunge la percezione acustica alla
percezione visiva di un’opera d’arte?
John Cage parlava della modernità in arte definendola in base al grado di
interazione col contesto, anche per quanto riguarda l’arte visiva:
La prima volta che mi venne chiesto, lo feci in riferimento alla pittura. Dissi che
un dipinto era moderno se non era interrotto dall’effetto dell’ambiente che lo
61 Il sociologo Marco Revelli, in un recente convegno tenutosi a Torino. Trascrizione
e adattamento a cura dello scrivente.
36
circondava, così se ci sono delle ombre o dei riflessi che cadono sulla superficie
del dipinto e che ne possono disturbare la visione, non si tratterà di un dipinto
moderno, ma se ci cadono e sono, per così dire, in sintonia con esso e ne
diventano parte integrante, allora si tratterà davvero di un dipinto moderno.62
Il rapporto di un qualsiasi oggetto con la sfera acustica è un rapporto obbligato,
poiché non vi può essere esperienza di un ambiente senza che vi sia anche una
componente di percezione acustica. Le variabili contestuali a tale riguardo sono
innumerevoli: la presenza di pubblico, la riverberazione prodotta dall’ambiente, gli
eventi atmosferici, la vicinanza a strade trafficate, eventi acustici più o meno
caratteristici del luogo, etc. Alcuni eventi, più costanti, potrebbero essere ricondotti
al concetto di tonica63
proposto da Schafer: ad esempio il brusio di una strada
trafficata, o il continuum emesso dai condizionatori d’aria.64
L’esperienza di un qualsiasi ambiente non può essere astratta in un tipo di
percezione idealmente decontestualizzata (ad esempio unicamente la “percezione
visiva”), ma può essere ricondotta solo alle molteplici esperienze “concrete”,
ricercando un equilibrio nell’esperienza prospettica65
di ogni visitatore. Separare
62 Cage, John, in Kostelanetz, Richard (a cura di) – John Cage. Lettera a uno
sconosciuto – Edizioni Socrates, Roma 1996, p. 28763 […] “Le toniche non vengono necessariamente percepite in modo cosciente; esse
sono sovrascoltate. Ma non per questo debbono venire trascurate, perché tali suoni
diventano, nonostante la loro caratteristica, delle abitudini di ascolto”. Vedi Schafer,
R. Murray – Il paesaggio sonoro – BMG Ricordi, Roma 1985, pp. 21-2264 Piacentini prende spunto dai suoni di condizionatori d’aria a Palazzo Bricherasio
(Torino) per Arie Condizionate, sonorizzazione della IX Biennale Internazionale di
Fotografia, Palazzo Bricherasio, Torino 200165 L’ esperienza prospettica non è altro che una realtà prospettica della totalità,
mediata dai nostri sensi.
37
nettamente la percezione visiva da quella acustica sarebbe come voler disgiungere
gusto e olfatto (e vista) nell’attività di un sommelier.66
Accettare che un’esperienza come quella museale metta in relazione opere
d’arte e manufatti (spesso pensati per tutt’altri contesti) ad un contesto organizzato
sia visivamente (disposizione delle opere, dimensione degli spazi espositivi,
illuminazione, etc.) sia acusticamente, porterà ad una sorta di interpenetrazione
equilibrata di queste “unità”: una fruizione consapevole e stimolante non solo delle
singole opere esposte, ma dell’intera esperienza museale.
Il nostro atteggiamento nei confronti dell’arte e l’uso che ne facciamo ci sono
stati tramandati. Adesso c’è stato un arricchimento della nostra esperienza, ma
non a spese del vecchio, poiché il nuovo non prende mai il posto del vecchio.
Stiamo scoprendo un altro uso dell’arte e delle cose che precedentemente non
consideravamo arte. Ciò che sta avvenendo in questo secolo, che lo si accetti o
meno, è che la distanza tra arte e vita sta diminuendo sempre di più. Penso che
la storia dell’arte sia semplicemente una storia della liberazione dal brutto, e
questo avviene entrando in esso e usandolo. Dopo tutto, il concetto in base al
quale giudichiamo brutto ciò che è esterno a noi, non è al fuori di noi, ma è
dentro di noi. Ed è proprio questa la ragione per cui continuo a dire che stiamo
lavorando con le nostre menti. Ciò che stiamo cercando di fare è aprirle in modo
tale da non vedere più le cose come brutte o belle, ma di vederle esattamente
come sono.67
66 L’esempio del sommelier mi è stato suggerito dal musicologo Franco Fabbri, in un
recente convegno tenutosi a Torino.67 Cage, John, in Kostelanetz, Richard (a cura di) – John Cage. Lettera a uno
sconosciuto – Edizioni Socrates, Roma 1996, p. 291
38
2.2 Organizzazione della totalità acustica
Comporre per un ambiente significa sviluppare una composizione
contestualmente all’ambiente stesso: alla sua acustica, alla distribuzione degli spazi,
agli eventi acustici caratteristici, agli elementi che vi si trovano all’interno. Il
contesto acustico “di partenza” non va considerato come qualcosa da coprire, da
edulcorare. Spesso coloro che si occupano di sonorizzazioni d’ambiente tendono a
“mascherare” i suoni di quest’ultimo, ponendosi in modo antagonistico ad essi: la
musica viene letteralmente sovrapposta al contesto di implementazione.
Frequentemente si tratta di composizioni preesistenti che niente hanno a che fare con
il contesto, se non per un esplicito rimando culturale. Tiziana Scandaletti, a proposito
della sonorizzazione per l’VIII Biennale Internazionale di Fotografia di Torino,
Musiche dell’aurora, ha fatto notare:
L’operazione voleva andare oltre il semplice accostamento: non si tratta di
diffondere musica cubana nella sezione cubana, o musica francese nella sezione
francese. Contestualizzare l’ambiente non significa pensare al significato delle
fotografie in sé, ma ricostruire un percorso molto più sottile in cui la fotografia
acquisti un senso. […] Ci sono diversi livelli che andrebbero fatti rientrare in
una sonorizzazione, oltre alla pura evocazione culturale della provenienza della
fotografia. Si tiene conto del rumore dell’ambiente stesso, della fotografia come
fatto fisico, come materiale cartaceo, della fotografia come messaggio
culturale…68
68 Scandaletti, Tiziana; in Cappelletto, Sandro; Piacentini, Riccardo; Scandaletti, Tiziana –
Seminario sulla “foto-musica con foto-suoni”® – Vigliano Biellese, 15 settembre 2004,
trascrizione e adattamento a cura dello scrivente. Vedi Appendice I, p. 86
39
Alcune sonorizzazioni d’ambiente ricercano unicamente un effetto di
spettacolarizzazione, operando prevalentemente sulla dimensione emotiva della
percezione acustica. Questo atteggiamento, a mio avviso, non considera la
sonorizzazione parte integrante dell’esperienza museale: la considera ornamentale.
Penso che quest’uso della musica che intende sopraffare il pubblico, e lo fa in
modo così esplicito, sia esattamente l’opposto di quello che a me sembrerebbe
un autentico approccio rivoluzionario, perché accetta lo status quo e ci si
adegua, e quindi non assolve alla funzione che secondo me è propria della
musica: rendere la gente più forte, e cambiarla.69
Una composizione sviluppata indipendentemente dal contesto di
implementazione risulterebbe decontestualizzata all’ambiente. Ciò non significa che
sovrapporre una musica preesistente ad un contesto non determini alcun significato: è
importante però essere consapevoli che questa musica determinerebbe un significato
“altro” da quello per cui era stata composta.
Per quale motivo un dipinto di Friedrich dovrebbe essere commentato da una
musica di Schubert? Una dialettica del genere allontana il visitatore dalla realtà del
museo, obbliga a decontestualizzare le due opere per porle in uno spazio astratto,
all’interno della nostra mente. Tutto il resto, il contesto, sarebbe percepito come
disturbo, come rumore.
69 Cage, John, in Kostelanetz, Richard (a cura di) – John Cage. Lettera a uno
sconosciuto – Edizioni Socrates, Roma 1996, p. 315. La considerazione di Cage è,
più genericamente, da riferirsi a qualsiasi composizione che ricerchi in musica
unicamente la dimensione emozionale. La domanda dell’intervistatore era: <<Ma
non è possibile che una musica così forte – una musica così “toccante” come si suol
dire – abbia una sua giustificazione religiosa o politica?>>
40
2.3 In equilibrio tra arte e vita
Quando una società manipola i suoni in modo maldestro o non rispetta i principi
della moderazione e dell’equilibrio nella loro produzione, quando si ignora che
esiste un tempo per la produzione e un tempo per il silenzio, allora il paesaggio
sonoro scivola da una condizione hi-fi a una condizione lo-fi e finisce con
l’autoconsumarsi nella sua cacofonia.70
Il concetto di equilibrio nell’organizzazione/composizione di un ambiente
deriva dallo sviluppo di una particolare sensibilità in termini di sviluppo sostenibile.
L’ecologia acustica è stata materia d’attenzione di alcuni gruppi di ricercatori che, da
una trentina d’anni a oggi, hanno posto i paesaggi sonori e la loro evoluzione al
centro dei loro studi. Uno dei più famosi gruppi di ricerca si è sviluppato attorno a R.
Murray Schafer alla Simon Fraser University di Vancouver, il World Soundscape
Project.71
L’attività di questi ricercatori può essere sintetizzata in vari studi sulla
percezione acustica dei paesaggi sonori legata allo sviluppo del senso d’identità e di
appartenenza al territorio delle persone che vi abitano. Queste ricerche consistono
principalmente in registrazioni, descrizioni verbali, interviste agli abitanti dei luoghi
studiati e nello sviluppo di una teoria relativamente alla percezione del contesto
acustico72
.
70 Schafer, R. Murray – Il paesaggio sonoro – BMG Ricordi, Roma 1985, p. 32771 Dall’esempio del WSP sono nati gruppi di ricerca come l’ Acoustic Environments
in Change (AEC), il Centre de Recherche sur l’Environment Sonore (CRESSON) e il
World Forum for Acoustic Ecology (WFAE); quest’ultimo raccoglie diversi gruppi
di ricerca a livello nazionale.72 Per approfondire si veda il testo di riferimento fondamentale: Schafer, R. Murray –
Il paesaggio sonoro – BMG Ricordi, Roma 1985
41
Da questo approccio nasce la volontà di determinare una disciplina che
permetta di lavorare attivamente per un miglioramento dei paesaggi sonori:
l’acoustic design.
Rifacendosi alla psicologia della Gestalt, Schafer parla del rapporto
figura/sfondo73
, introducendo poi il concetto di campo per designare il “luogo”
dell’osservazione. Il concetto di spazio acustico del testo (o dell’astanza) potrebbe
essere ricondotto al termine figura. Vi è però una sottile ambiguità in questo termine,
che non credo di aver risolto ma semplicemente messo sotto un’altra luce: la figura,
nel significato che si è venuto a formare nella cultura occidentale, intende
determinare ciò che “si impone” alla percezione principalmente per delle
caratteristiche fisiche rilevanti che lasciano lo sfondo in secondo piano.
Sempre applicando questo rapporto figura/sfondo alla percezione uditiva,
occorrerà stabilire l’istante (o gli istanti) in cui una figura acustica si dissolve
fino a trasformarsi in uno sfondo impercettibile o quando uno sfondo emerge
all’improvviso e diventa figura, o impronta sonora, facendosi evento sonoro
[…].74
Il concetto di spazio acustico del testo (o dell’astanza), a mio avviso,
restituisce all’ascoltatore la facoltà di determinare cosa sia testo e cosa non lo sia:
non solo condizionato dalle caratteristiche fisiche che una determinata cultura
73 “[…] la figura è il punto focale dell’interesse, mentre lo sfondo è il contesto,
l’inquadramento generale”. Schafer, R. Murray – Il paesaggio sonoro – BMG
Ricordi, Roma 1985, p. 21274 Ibidem, pp. 212-213
42
considera rilevanti nell’ascolto, ma anche relativamente al tipo d’ascolto che si ha
(ascolto prospettico), all’interesse e alla sensibilità particolare dell’ascoltatore.75
La selezione degli stimoli e delle informazioni si effettua sulla base dei modelli
mentali dell’ambiente che ci circonda; hanno un’importanza fondamentale sul
nostro processo decisionale. Affrontare una situazione ed applicare il modello
mentale competente, tramite il centramento, sono eventi istantanei ed
avvengono inconsciamente.
L’applicazione di schemi alla percezione è un fatto inconsapevole che ci
inganna sulla nostra obiettività; infatti la perdiamo nel momento in cui abbiamo
inconsciamente applicato i nostri modelli mentali. Il mondo lo vediamo da un
punto di vista parziale e difficilmente riusciamo a superare la frammentazione, a
vedere l’intera globalità.76
L’ascolto prospettico, per certi versi simile al concetto di campo, si differenzia
da questo principalmente per non voler essere un concetto statico, ma dinamico.
Vorrei quindi esplicitare fin dal termine ascolto prospettico un “processo
esperienziale di percezione acustica” che determina la realtà prospettica, definendola
di volta in volta dal punto di vista dell’ascoltatore attraverso la sua “reciproca
influenza con l’ambiente”.
75 Pur non sviluppando una nuova terminologia, Schafer aveva posto attenzione al
fatto che culture diverse da quella occidentale tendono a vivere il rapporto
testo/contesto in maniera diversa dalla nostra, sia per quanto riguarda la percezione
visiva che quella acustica. Vedi Schafer, R. Murray – Il paesaggio sonoro – BMG
Ricordi, Roma 1985, p. 22076 Zanardi, Anna – Il coaching automotivazionale – FrancoAngeli, Milano 2000, p.
33
43
La “reciproca influenza con l’ambiente” è alla base dell’acoustic design: è una
“possibilità compositiva che coinvolge tutti, non solo i compositori”.77
Volendo definire alcuni aspetti essenziali di quest’approccio al paesaggio
sonoro, Schafer descrive alcuni brevi principi:
1. Rispetto per l’orecchio e per la voce: quando l’orecchio soffre d’uno
spostamento di soglia e quando la voce non riesce più a farsi sentire,
l’ambiente è nocivo.
2. Consapevolezza del valore simbolico del suono: un suono è sempre
qualcosa di più di un segnale funzionale.
3. Conoscenza dei ritmi e dei tempi del paesaggio sonoro naturale.
4. Comprensione dei meccanismi di equilibrio grazie ai quali è possibile
correggere un paesaggio sonoro compromesso.78
Schafer affronta l’importante questione che concerne la diffusione acustica
della musica registrata: l’immissione indiscriminata nell’ambiente di eventi acustici
registrati può condurre l’ascoltatore a un senso di alienazione dalla realtà. Si tratta di
un’aperta critica alla moozak79
e a tutta la musica composta per sovrapporsi (per
imporsi) ad un ambiente sonoro, coprendone le peculiarità distintive.
77 Barry Truax, parlando dell’approccio di R. Murray Schafer. Vedi Truax, Barry –
Electroacustic Music and the Soundscape: The Inner and Outer World – in
Companion to Contemporary Musical Thought, volume 1, Routledge, London 1992,
p. 376. Traduzione a cura dello scrivente.78 Schafer, R. Murray – Il paesaggio sonoro – BMG Ricordi, Roma 1985, p. 32879 La moozak (o muzak) è una tipologia di musica organizzata per un ascolto di
sottofondo nei luoghi di lavoro e nei negozi, centri commerciali, ristoranti, etc.
Le caratteristiche dei brani, il loro arrangiamento e la loro successione temporale
(uno dei parametri adottati è lo stimulus progression, che consiste nel far succedere
brani ai quali sono stati attribuiti “valori” sempre maggiori di “vivacità”) sono criteri
organizzati per ottenere sottofondi sonori efficaci alla massimizzazione degli acquisti
e della produttività dei dipendenti. Per approfondire si veda Marconi, Luca – Muzak,
44
Questo utilizzo indiscriminato della musica “da sottofondo” fu ricondotto da
Schafer al termine schizofonia80
: la moozak non è altro che un edulcorante acustico, o
come direbbe Schafer, un “audioanalgesico”.
Barry Truax definisce la moozak ed ogni forma di costipazione musicale in
termini di assuefazione ad un “ambiente surrogato” (surrogate environment81
).
Volendo perseguire un approccio più operativo, Truax approfondisce a sua
volta il concetto di schizofonia, cercando di chiarirne il significato. Individua
anzitutto come negli eventi registrati vi sia sempre un significato, un valore
simbolico, che riproposto tramite gli amplificatori in un altro ambiente entra in
contraddizione con esso. Questa contraddizione, che in Schafer costituiva l’elemento
alienante della schizofonia, viene anzitutto posta da Truax in relazione ai mutamenti
della sfera sociale.
Oggi la continua esposizione al suono elettroacustico […] ha diminuito il senso
di magia rendendo le contraddizioni convenzionali, se non addirittura banali.
[…] Quando i suoni conosciuti vengono riprodotti diventano convenzionali
piuttosto velocemente; i nuovi suoni elettronici sembrano strani quando sono
introdotti per la prima volta (ad esempio le suonerie che sostituiscono il
campanello del telefono), ma anche essi vengono velocemente accettati
jingle, videoclips – in Nattiez, Jean-Jacques (a cura di) – Enciclopedia della Musica
– Einaudi, Torino 2001, p. 675 e seguenti80 “Termine derivato dal greco schizo, separazione e phoné, voce, suono”. Il termine
sta ad indicare “la frattura esistente tra un suono originale e la sua riproduzione
elettroacustica. […] Mi servo di questo vocabolo, mediato dalla terminologia
“clinica”, per sottolineare l’effetto aberrante di questo sviluppo, proprio del nostro
secolo”. Vedi Schafer, R. Murray – Il paesaggio sonoro – BMG Ricordi, Roma
1985, p. 37481 Vedi Truax, Barry – Electroacustic Music and the Soundscape: The Inner and
Outer World – in Companion to Contemporary Musical Thought, volume 1,
Routledge, London 1992, p. 379
45
presumibilmente perché il loro significato viene presto condiviso. Tuttavia la
musica elettroacustica non-derivativa viene accettata molto più lentamente
poiché richiede lo sviluppo di una nuova cornice di referenza, un nuovo
linguaggio, in breve, un nuovo sistema di comunicazione.
Ciò che è stato accettato con notevole facilità è il suono elettroacustico come
ambiente della vita quotidiana.82
Il termine schizofonia resta comunque ad indicare l’uso indiscriminato (spesso
a fini commerciali) di “ambienti surrogati”: questi “non alleviano il problema reale,
creano dipendenza psicologica al loro antidoto”.83
L’accettazione di una nuova complessità acustica porterà inevitabilmente ad
un’evoluzione della musica stessa e della sua sintassi.
La musica di una nuova complessità che io auspico trova radici nei contesti
unici del mondo reale. Questi ultimi comprendono gli attributi fisici (spazio e
tempo, acustica, ambiente), le situazioni sociali (gli individui, le istituzioni e le
eredità culturali) e le realtà psicologiche (emozioni, archetipi, immaginario,
metafore, miti e simboli). La composizione e l’esecuzione di una musica di una
nuova complessità non può esistere senza un suo radicamento in tutti questi
aspetti della realtà. In gran parte della musica d’oggi, i riferimenti al mondo
reale sembrano superficiali, aneddotici o dovuti a una moda passeggera. Il
nostro primo compito è di riconoscere la legittimità che il processo compositivo
sia profondamente influenzato da questi rapporti, in modo che potrebbero
mutare la nostra concezione stessa di cos’è la musica e come funziona.
L’insegnamento accademico della composizione e dell’esecuzione dovrà
cambiare mentalità perché ciò accada. L’altra sfida è quella di equilibrare la
complessità esterna con quella dei rapporti interni. Tracciare una sull’altra è
insufficiente, come lo è subordinare una all’altra. Il particolare deve riflettere il
generale e viceversa. Questo movimento simultaneo verso l’interno e verso
82 Ibidem, p. 381. Traduzione a cura dello scrivente83 Ibidem, p. 382. Traduzione a cura dello scrivente
46
l’esterno offre la possibilità di integrare suono e struttura ove siano inscindibili,
ma può anche portare alla reintegrazione di musica e contesto, di compositore e
fruitore.84
84 Truax, Barry – La complessità interna ed esterna della musica – in Musica/Realtà,
1994 15 43, p. 153
47
3. MUSICA A 360°. “Foto-musica con foto-suoni”® di Riccardo Piacentini
3.1 Musica nel contesto. Alla conquista dell’identità
John Cage ha introdotto un termine interessante per definire l’influenza del
compositore sulla sua opera artistica: “musica della contingenza”85
. Il compositore,
secondo Cage, è necessario allo sviluppo della composizione poiché è lui stesso a
scegliere quali elementi utilizzare. Questi elementi esistono già nell’ambiente, sono
elementi indipendenti dal suo intervento: il ruolo del compositore sta nell’ascoltarli,
nel selezionarli e nel dare ad essi una forma (in Cage si risolve in una “forma
aperta”).
Il problema della forma, nel definire l’influenza del compositore sul materiale,
era molto sentito anche da Pierre Boulez:
Boulez parla allora di “assorbire il caso” all’interno dei “campi di incontro”
[…]. Si tratta […] di ricorrere “ad una nuova nozione di sviluppo che sarebbe
sostanzialmente discontinua; ma di una discontinuità comunque prevedibile e
prevista”.86
Riccardo Piacentini, discutendo su quale atteggiamento un compositore
dovrebbe tenere nei confronti del materiale acustico, mi ha raccontato un breve
aneddoto a titolo esemplificativo: <<Comporre è come colpire una biglia, assestarle
85 vedi Kostelanetz, Richard, a cura di – John Cage. Lettera a uno sconosciuto –
Edizioni Socrates, Roma 1996, p. 6586 Albèra, Philippe – Modernità: la forma musicale – in Nattiez, Jean-Jacques (a cura
di) – Enciclopedia della Musica – Einaudi, p. 143
48
un colpetto e stare a vedere dove va a finire>>. In questa metafora è racchiuso, a mio
avviso, il fulcro dell’approccio contestuale alla musica: una semplice biglia sarà
influenzata nel suo moto dalla morfologia del terreno, dalla sua pendenza e dagli
ostacoli che incontrerà. Il compositore quindi determina una “direzionalità”,
applicando una sintassi al materiale acustico a sua disposizione (qualunque esso sia),
ma non può prevedere l’esito musicale della sua operazione fino a quando non si
porrà egli stesso come ascoltatore.
I “foto-suoni” (Piacentini li definisce metaforicamente come “fotografie dei
suoni d’ambiente quotidiani”, o anche “fotografie dei suoni trasmessi dall’aria che
respiriamo e che ascoltiamo”87
) non sono musica in sé: sono elementi paratattici che
il compositore ha a sua disposizione per comporre. Si tratta di moduli non più
riconducibili direttamente ai suoni di cui sono formati, determinati da altezze, durate,
dinamiche e timbri. Il “foto-suono” coinvolge modularmente una certa parte della
totalità acustica che viene selezionata dal compositore tramite una vera e propria
interazione (ascolto prospettico), mentre il concetto di suono (nella tradizione colta
occidentale) tende a perdere questa valenza modulare, poiché nell’organizzarlo il
compositore lo sintetizza ai minimi termini: questo tipo di astrazione fa parte di un
processo culturale legato alla società occidentale.
La stessa idea di silenzio, contrapposta all’idea di suono, ha radici molto
profonde nella nostra cultura. Potrebbe essere ricondotta ad una struttura mentale che
tende a ragionare dualisticamente: bianco o nero, giusto o sbagliato, Bene o Male.
87 Piacentini, Riccardo – “Foto-musica con foto-suoni”® – sito internet
www.arpnet.it/rgauche/RICCARDOPIACENTINI.HTML#foto-musica%20riccardo,
p. 1
49
Il silenzio nella nostra cultura è assenza di suoni, una condizione che in realtà
non esiste, non può essere “ascoltata” da nessun essere vivente. L’astrazione che la
cultura ci porta a fare della totalità tende a separarci dall’abbondanza dell’ascolto e
dall’esperienza. La nostra natura assertiva ci rende spesso sordi all’ambiente: non ci
rendiamo conto che non esiste un “silenzio” uguale ad un altro. Il “silenzio” è il
respiro percettivo dell’ambiente, ovvero del contesto. In altre culture vi è molta più
sensibilità al contesto, anche in ambiti extramusicali: la Muraglia Cinese, una delle
opere più imponenti costruite dall’Uomo, rispecchia nel suo andamento la
conformazione del territorio, vi si adegua, vi si adatta.
I “foto-suoni” di Piacentini sono innanzitutto realtà prospettiche fissate,
elementi paratattici che il compositore organizza in una sintassi musicale. Questa
sintassi dispone le sue “unità” in una duplice relazione: relazione interna agli
elementi della paratassi, relazione esterna con gli eventi acustici del contesto di
implementazione. In questa seconda relazione sta l’aspetto più innovativo della
“foto-musica con foto-suoni”® di Piacentini. Diffondere in un ambiente una realtà
prospettica fissata porta l’ascoltatore ad avere un coinvolgimento maggiore nel
contesto d’implementazione del quale fa parte. Non si tratta solo di diffondere suoni
nell’ambiente: le “foto-musiche” utilizzano suoni colti a loro volta in un determinato
ambiente acustico. L’interazione tra lo spazio acustico del contesto, determinato dal
compositore nella fissazione della realtà prospettica, e lo spazio acustico del
contesto percepito dall’ascoltatore nell’ambiente di implementazione, determina
un’interpretazione di tipo intercontestuale.88
88 Con il termine intercontestualità mi rifaccio liberamente all’ intertestualità
descritta da Gérard Genette come “relazione di compresenza fra due o più testi”,
50
Denis Smalley, trattando l’ascolto musicale dei suoni registrati dei quali sia
possibile riconoscere il contesto originario (suoni aneddotici, secondo la
terminologia sviluppata in Francia da Luc Ferrari), aveva avanzato l’ipotesi di
un’interpretazione transcontestuale della musica.
Nel momento in cui i suoni raccolti dalle attività culturali o dalla natura sono
utilizzati come originariamente registrati, o quando le manipolazioni non
distruggono l’identità del contesto originario, l’ascoltatore può essere coinvolto
in un processo di interpretazione transcontestuale. Dovremmo quindi includervi
ogni evento acustico registrato in cui possiamo simultaneamente riconoscere
due (o più) contesti. […] Nei transcontesti [transcontexts] il compositore
presume che l’ascoltatore sia consapevole del doppio significato di una fonte. Il
primo significato deriva dal contesto originario dell’evento, naturale o culturale;
il secondo significato deriva dal nuovo contesto musicale, creato dal
compositore.89
Ciò che differenzia l’intercontestualità dalla transcontestualità descritta da
Smalley è la relazione con l’ambiente d’implementazione. Un’interpretazione
intercontestuale conduce l’ascoltatore a considerare lo stesso contesto
d’implementazione come parte integrante dell’esperienza musicale: il contesto, come
portatore di significato, assume la stessa dignità del testo. Spesso nelle
sonorizzazioni museali di Riccardo Piacentini vengono utilizzati “foto-suoni”
ovvero “la presenza effettiva di un testo in un altro”. Vedi Genette, Gérard –
Palinsesti. La letteratura al secondo grado – Einaudi, Torino 1997, p. 489 Smalley, Denis – The listening imagination: listening in the electroacustic era – in
Companion to Contemporary Musical Thought, volume 1, Routledge, London 1992,
p. 542. Traduzione a cura dello scrivente
51
prelevati dallo stesso museo per cui le sonorizzazioni sono state composte, siano esse
toniche, segnali o impronte sonore.90
Questo lavoro [la registrazione dei “foto-suoni”] ci permette di selezionare un
suono “contestualizzato” nell’istante in cui viene registrato nel suo ambiente,
ma “decontestualizzato” nel momento in cui a Torino viene sbobinato e inserito
nel computer, divenendo materiale sonoro che può essere utilizzato in musica. Il
primo aspetto della foto-musica è quindi la registrazione. Il secondo elemento è
sempre legato al concetto di ambiente, ma in modo diverso, perché il tipo di
composizione che viene fatto è concepito per tornare in un ambiente.
L’ambiente ritorna tramite un’altra strada, poiché tutto il materiale che viene
scelto da Riccardo [Piacentini] in collaborazione con Sandro [Cappelletto]
viene riutilizzato per costruire un altro ambiente…91
La definizione di musica fatta da Varèse, un sistema di “suoni organizzati”,
acquista nuovo significato quando si è disposti ad uscire da una determinata ottica
per osservare l’evoluzione dell’identità compositiva, evitando schemi mentali troppo
definiti. Ogni epoca musicale trova la sua chiave di lettura in una determinata
“prospettiva”, che mette di volta in volta il compositore in relazione con diverse
variabili: una tra le più importanti è determinata dal rapporto del compositore con la
tecnologia.
Sospetto che la nostra antica ammirazione per la tecnologia (“age-old
fascination with technology”) abbia molto a che vedere con l’interazione tra il
90 Vedi Schafer, R. Murray – Il paesaggio sonoro – BMG Ricordi, Roma 198591 Scandaletti, Tiziana; in Cappelletto, Sandro; Piacentini, Riccardo; Scandaletti,
Tiziana – Seminario sulla “foto-musica con foto-suoni”® – Vigliano Biellese, 15
settembre 2004, trascrizione e adattamento a cura dello scrivente. Vedi Appendice I,
p. 85
52
mondo interno ed esterno che essa rappresenta. La tecnologia è l’incarnazione
del sapere […], lo specchio della conoscenza umana. Siamo simultaneamente
portati ad essa e spaventati da cosa potremmo trovare; non sorprende che il
computer oggi provochi una così forte reazione ambivalente.
Il computer è un potente strumento di controllo della complessità. […] Il
problema del controllo riflette verosimilmente i nostri preconcetti, insieme alle
implicazioni psicologiche. Abbiamo bisogno del computer per controllare la
complessità, ma ci dispiace perdere il controllo su di essa.92
Questo rapporto, insieme alle condizioni socio-economiche e alle influenze
extra-musicali (letterarie, religiose, scientifiche, ecc.), è determinante nello sviluppo
di una identità compositiva, poiché tende ad esplicitare la strettissima sinergia tra il
pensare e il fare musica. L’identità compositiva si forma nello stretto rapporto del
compositore con l’ambiente, termine inteso nella sua accezione più vasta di “ciò che
sta attorno”.
La musica contestuale pone al centro della sua attenzione l’esperienza
dell’ambiente acustico nella sua complessità, aiutando il compositore a pensare la
propria attività come ad un moto bidirezionale, “centrifugo verso la società e
centripeto verso noi stessi”.93
92 Truax, Barry – Electroacustic Music and the Soundscape: The Inner and Outer
World – in Companion to Contemporary Musical Thought, volume 1, Routledge,
London 1992, pp. 386-387. Traduzione a cura dello scrivente93 Piacentini, Riccardo – Musica contestuale – in “NC News”, gennaio 2002, Roma.
In Piacentini, Riccardo – “Foto-musica con foto-suoni”® – sito internet
www.arpnet.it/rgauche/RICCARDOPIACENTINI.HTML#foto-musica%20riccardo,
p. 17
53
3.2 “Foto-musica con foto-suoni”®94
[…] La cultura del CD, audio e rom, ci porta ad anestetizzare il suono, a
pensarlo in modo asettico. Io parlo spesso per parafrasi e metafore: questo è un
pianoforte… se dovessi spiegare a qualcuno cos'è un pianoforte potrei
paragonarlo a qualcos'altro o anche farne un disegno (che è sempre un
qualcos'altro...). Con il computer ci sono poi delle tecniche grafiche
meravigliose: magari riuscirei a crearci un effetto di ombreggiatura o altri effetti
grafici molto gradevoli, ma queste rimarrebbero operazioni virtuali e in qualche
misura sempre illusorie. Mi troverei dinnanzi a un pianoforte per così dire
anestetizzato sotto una campana di vetro… ma neanche sotto una campana,
perché almeno ci sarebbe il contesto della campana… avrei il pianoforte nudo e
crudo. Ma quando mai avete visto un pianoforte in queste condizioni, privato di
ciò che gli sta intorno? […] Se noi avessimo le orecchie educate una minima
percentuale di quanto lo sono gli occhi nella cultura dell'arte visiva, nel cinema,
nella fotografia, probabilmente saremmo più consapevoli del suono che ci
circonda. Non è ancora “suono organizzato”, come direbbe Varèse, ma è una
realtà davvero incredibile da scoprire. Noi siamo abituati ad ascoltare un violino
o un pianoforte “scontornati” (come direbbero i grafici), ma in realtà ascoltiamo
nello stesso tempo non solo il violino, così come nella realtà non vediamo solo
il pianoforte: ascoltiamo e vediamo anche ciò che gli sta intorno, perlomeno con
la coda dell'occhio (e dell'orecchio), ascoltiamo e vediamo ciò che è per noi
rilevante sia a livello conscio sia inconscio. […] Questo è il “contesto” in cui
nasce la foto-musica con foto-suoni: in altri termini si tratta di comprendere, nel
vero senso etimologico, e usare i suoni del contesto, tant'è che io in origine non
parlavo di foto-musica, ma di “musica contestuale”.95
94 La locuzione “foto-musica con foto-suoni” è stata depositata al Ministero dell'Industria,
del Commercio e dell'Artigianato - Ufficio Italiano Brevetti e Marchi di Roma - Domanda
di Brevetto per Marchio d'Impresa e Deposito Riserve. Il!Verbale di deposito e Numero di
domanda corrisponde alla sigla TO2001C002625 del 3 agosto 2001. Alla voce
“descrizione” è scritto: FRASE “FOTO-MUSICA CON FOTO-SUONI” IN QUALSIASI
CARATTERE.95 Piacentini, Riccardo; in Cappelletto, Sandro; Piacentini, Riccardo; Scandaletti, Tiziana –
Seminario sulla “foto-musica con foto-suoni”® – Vigliano Biellese, 15 settembre 2004,
trascrizione ed adattamento a cura dello scrivente. Vedi Appendice I, pp. 78-79
54
La poetica della foto-musica ha radici ben salde nell’attitudine artigianale che
un artista dovrebbe sempre tenere presente. A tale proposito Piacentini mi ha
raccontato un curioso aneddoto su Stravinskij. Vedendo che sua moglie non
dipingeva da un po’ di tempo (era sposato con una pittrice), il compositore chiese per
quale motivo non riuscisse a lavorare: lei rispose che avrebbe ripreso a lavorare non
appena le fosse venuta l’ispirazione. Sembra che lui le abbia risposto: “Strano,
cara…a me l’ispirazione viene quando lavoro”. Questa semplice storiella,
raccontatami come un divertente pettegolezzo sulla vita privata di Stravinskij, porta
con sé una riflessione tutt’altro che banale sull’identità dell’artista. Per prima cosa
problematizza la stessa dimensione artistica: il contesto nel quale un compositore si
trova ad operare non è meta-sociale96
, ma è pragmaticamente legato alle relazioni
sociali, alle committenze, agli organici a disposizione, alla tecnologia, al materiale
acustico, alla finalità delle sue opere, alle influenze culturali, ecc. In secondo luogo,
ironizzando sul concetto d’ispirazione, mette in luce l’inattualità (e l’inutilità) della
concezione di artista come “essere illuminato da una forza soprannaturale”.
Piacentini utilizza la parola poetica nel dichiarare l’identità della foto-musica:
egli auspica in musica, contrapponendosi al concetto di musica pura, una
“concezione di servizio, applicazione, funzionalità”97
:
96 “ Che trascende la società” : vorrei sottolineare come la deificazione della figura
del compositore e, più in generale, dell’artista possa essere nociva agli artisti stessi97 Piacentini, Riccardo – Musica contestuale – in “NC News”, gennaio 2002, Roma.
In Piacentini, Riccardo – “Foto-musica con foto-suoni”® – sito internet
www.arpnet.it/rgauche/RICCARDOPIACENTINI.HTML#foto-musica%20riccardo,
p. 17. I corsivi sono dell’autore.
55
[…] Perché non applicare sempre, e dico sempre, la poiesi musicale, così come
si faceva prima dell’avvento dell’Estetica fino al primo ‘700, alle situazioni
ordinarie della vita, non diversamente che a quelle rituali? In altre parole:
perché non pensare tutta la musica, e sottolineo tutta, quale musica contestuale,
applicata cioè, o applicabile, a precise situazioni, musica che acquisisce senso in
quanto rapportata o rapportabile ad esse. Questa capacità di flessibile (e
intelligente) adeguamento non sembra una delle doti emergenti della nostra
musica. Un esempio tra i molti perfettamente attual(izzabil)i: la sonorizzazione
pensata o, se più piace, l’animazione controllata di suoni di un qualunque
ambiente frequentato dall’uomo, non solo gallerie o musei, ma anche chiese,
strade, stazioni... con la modesta e insieme grandiosa pretesa di risultare utili e
funzionali, diciamo pure una sonorizzazione bella semplicemente perché
funzionale e segno tangibile e auspicabile di civiltà.98
Piacentini introduce la “foto-musica con foto-suoni”® con una metafora
evocativa, più precisamente con un’equazione:
“foto-musica : arti musicali = fotografia : arti visive”99
Con questa equazione intende sottolineare il valore contestuale della sua
attività artistica. Il suono “fotografato” è un suono colto nel suo ambiente, una
prospettiva della totalità acustica. Vi è una sostanziale differenza tra il concetto di
“foto-suono” e l’oggetto sonoro di Pierre Schaeffer, seppur Piacentini riconosca
apertamente il suo debito alla Musique Concrète. L’ascolto ridotto100
prevede
un’oggettivazione dell’evento acustico che, una volta fissato e manipolato, è
considerato unicamente per le sue caratteristiche intrinseche e per il suo timbro “in
divenire”. Il “foto-suono” pone l’ascoltatore in grado di percepirne la “profondità”, la
98 Piacentini, Riccardo – “Foto-musica con foto-suoni”® – sito internet
www.arpnet.it/rgauche/RICCARDOPIACENTINI.HTML#foto-musica%20riccardo,
p. 17.99 Ibidem, p. 1100 Per un’attenta definizione di ascolto ridotto vedi quella riportata da Chion, p. 25
56
dimensione prospettica di un suono selezionato dal compositore come testo
all’interno di un contesto. Come nella fotografia il suono/testo può essere messo più
o meno “a fuoco”, può essere ripreso da angolazioni e distanze diverse: tutto ciò
influisce notevolmente sul “foto-suono”, che prende forma in una imitazione
prospettica della totalità acustica.
Riflettiamo su quanto sia ovvio, in fotografia, considerare scelte creative del
fotografo la selezione del soggetto, la messa a fuoco, l’angolazione, la scelta di un
momento preciso della giornata (per coglierne la luce), la scelta della macchina
fotografica, della pellicola, dell’obbiettivo, del tempo di esposizione, ecc.
Parafrasando l’equazione introduttiva della “foto-musica” di Piacentini:
“Imitazione prospettica della totalità acustica : arti musicali = imitazione
prospettica della totalità visiva : arti visive”.
In questa relazione, “influenza reciproca con la materia”, prende forma
l’ascolto prospettico. Un tipo di percezione che ricerca, come ulteriore parametro
musicale, la “filigrana simbolica” di ogni suono bagnato dal contesto.
Sotto questo aspetto la “foto-musica con foto-suoni”® ha diverse affinità con
compositori “concreti” come Pierre Henry, con la Musica Aneddotica di Luc Ferrari
e, in particolar modo, con la Soundscape Composition di Barry Truax. Questi
compositori fanno molta attenzione al valore simbolico, contestuale, dei suoni
utilizzati nelle loro composizioni.
Ciò che differenzia la “foto-musica” è l’applicazione per la quale viene
composta. La “foto-musica” è funzionale alla sonorizzazione di un contesto,
composta quindi in relazione ai suoni tipici di un ambiente, quelli che R. Murray
Schafer ha chiamato impronte sonore (soundmarks).
57
I mezzi, gli strumenti, sono certo importanti, anzi essenziali, ma non sono il
risultato. Paul Feyerabend, parafrasando una sua acuta osservazione a una tesi
espressa da Albert Einstein, direbbe: “Essere immersi in un labirinto di
sensazioni non genera attivismo, ma paralisi”. In sintesi: il compositore si serve
di “oggetti” verso i quali è chiamato a operare con spirito critico e selettivo
(Stravinsky, nella sua Poetica, sosteneva che il compositore è tanto più libero
quanto più si vincola a scelte precise e quantitativamente limitate), ma è
soltanto dopo questa prima selezione, possibilmente non troppo dispersiva, che
comincia il suo lavoro più impegnativo, che è quello di porre in sintattica
relazione gli oggetti che ha ritenuto di mettere da parte. E se questi oggetti
vanno a sommarsi o, meglio, a moltiplicarsi con altri oggetti che già preesistono
“sul campo”, così come sempre avviene nella musica d’ambiente, allora i
problemi sintattici si moltiplicano in maniera esponenziale. Non parliamo qui di
una semplice addizione di elementi, sia pure interessanti e pertinenti, ma di un
vero e proprio prodotto, aspetto basilare e irrinunciabile per la foto-musica.101
Sovrapporre una composizione ad un ambiente acustico, coprire i suoni di un
contesto con un ambiente surrogato102
, agire perciò esclusivamente secondo una
logica additiva, porta l’ascoltatore ad uno stato di passiva accettazione.
Comporre contestualmente, ricercando una reciproca influenza con il contesto,
pone invece l’ascoltatore al centro dell’esperienza musicale.
101 Piacentini, Riccardo – “Foto-musiche” per l’ambiente – “Rassegna Musicale
Curci”, settembre 2003, Milano. In Piacentini, Riccardo – “Foto-musica con foto-
suoni”® – sito internet
www.arpnet.it/rgauche/RICCARDOPIACENTINI.HTML#foto-musica%20riccardo,
p. 19102 Truax, Barry – Electroacustic Music and the Soundscape: The Inner and Outer
World – in Companion to Contemporary Musical Thought, volume 1, Routledge,
London 1992, p. 379
58
Quando la musica d’ambiente, intesa come musica per l’ambiente, concepita
quindi ai fini di una nuova e funzionale ridefinizione acustica di uno specifico
contesto ambientale, si propone di agire sulla percezione di ascolto di chi si
trova immerso in un luogo (visioni, profumi, suoni...), quasi sempre accade che
operi in senso additivo, non facendo altro che aggiungere in buona sostanza
suoni a suoni, con il rischio implicito che l’inquinamento acustico, anziché
trarne beneficio, finisca in una impasse di sempre più ardua soluzione. Ma la
complicazione maggiore nasce quando si tenti la messa in atto (utopica?) di una
sintassi linguistica che si prefigge di agire sui fenomeni acustici già presenti
nell’ambiente (musica dell’ambiente, in senso univocamente oggettivo) così
come accadrebbe in un contrappunto fiammingo, dove ogni voce interferisce
con le altre modificandone il tipo di percezione e, insieme, salvandone lo stato
originario insieme all’autonomia di comportamento. Essere consapevoli di
questa duplice angolatura – giustappositiva e sintattica – costituisce a nostro
avviso il nodo centrale di tutta la musica d’ambiente, salvo che, se non ci si
formalizza (termine più che mai legittimo) su quella che potrebbe apparire una
“ossessione sintattica”, le tappezzerie di Satie come pure quelle di molte
musiche che si giustappongono a situazioni ambientali già in sé definite non
rivestono alcun grado di problematicità e stanno laddove vengono fatte stare
alla maniera appunto di una tappezzeria che copre più o meno puritanamente le
crepe del muro che non si vuole spudoratamente nudo: il muro, è chiaro, si
reggerebbe lo stesso, ma è pur vero che la tappezzeria, dal canto suo, potrebbe
comunicare calore, senso di accoglienza e insomma ammansire e/o
benevolmente predisporre, se non ingannare, la nostra percezione, cosa che
costituirebbe un importante fattore di senso.103
103 Piacentini, Riccardo – “Foto-musiche” per l’ambiente – “Rassegna Musicale
Curci”, settembre 2003, Milano.
In Piacentini, Riccardo – “Foto-musica con foto-suoni”® – sito internet
www.arpnet.it/rgauche/RICCARDOPIACENTINI.HTML#foto-musica%20riccardo,
p. 19
59
3.2.1 Strumenti
La “foto-musica con foto-suoni”® è legata indissolubilmente ad un certo
bagaglio tecnologico, dal quale si evidenzia il computer per la sua centralità. Il
computer, secondo il compositore canadese Barry Truax, permette di “cambiare il
processo di pensare con i suoni. Diviene un nuovo strumento per il pensiero
musicale, non soltanto per (creare) suoni nuovi”.104
La tecnologia attraversa
trasversalmente l’intero processo compositivo, in tutta la sua eterogeneità:
dall’appropriazione dei suoni, alla diffusione nell’ambiente per il quale la
composizione è stata pensata.
Un registratore e un microfono sono strumenti indispensabili per appropriarsi
dei suoni dell’ambiente. Considerato che il supporto sul quale andranno riversati è
digitale, i registratori DAT o i più economici minidisk (meno sensibili poiché hanno
un diverso sistema di compressione del suono) sono quanto di meglio il mercato
offra attualmente. A tale riguardo bisogna tener presente che le condizioni nelle quali
ci si trova ad operare non sono sempre le più agevoli: i “foto-suoni” registrati nel
mercato popolare di Tashkent,105
in Uzbekistan, o quelli prelevati nei pressi delle
Cascate del Niagara106
, in Canada, impongono l’utilizzo di una tecnologia portatile,
on the road; i suoni dei condizionatori d’aria di Palazzo Bricherasio107
, a Torino,
104Truax, Barry – Electroacustic Music and the Soundscape: The Inner and Outer
World – in Companion to Contemporary Musical Thought, volume 1, Routledge,
London 1992, p. 387. Traduzione a cura dello scrivente105 Utilizzati in Musiche dell’aurora , sonorizzazione dell’VIII Biennale
Internazionale di Fotografia106 Utilizzati in XXIV, opera commissionata dal Conservatorio di Rovigo107 Utilizzati in Arie Condizionate, sonorizzazione dell’IX Biennale Internazionale di
Fotografia
60
sono stati invece incisi con l’ausilio di un tecnico e di strumentazione
professionale.108
Il microfono varia, come il registratore, a seconda del contesto. Piacentini
preferisce, quando possibile, registrare senza farsi notare.
Tiziana Scandaletti: L’idea da cui parte la foto-musica è in realtà molto
semplice. Noi viaggiamo parecchio e come Duo Alterno è dal 1997 che
lavoriamo insieme studiando ed eseguendo in giro per il mondo il repertorio da
camera del Novecento italiano. Durante i viaggi Riccardo [Piacentini] continua
a registrare suoni: i suoni delle persone che camminano, i suoni dei treni, degli
autobus, i suoni dei risciò… Ci piace molto andare nei mercati popolari,
soprattutto nei paesi dove non esiste il concetto di supermercato, dove il
mercato è soprattutto un luogo di incontro…
Riccardo Piacentini: In queste situazioni registro con un DAT camuffato da
macchina fotografica… Vado con un microfono “a cimice”, di quelli che si
mimetizzano senza dare troppo nell’occhio, e l'apparenza è proprio quella di un
apparecchio fotografico, per cui la gente crede che io sia un turista o qualcosa
del genere… come quella volta in India in cui siamo entrati in una moschea e ci
hanno chiesto “Cameras?”…“Yes, two cameras!” ho risposto senza esitare. E
avrei potuto aggiungere: una con obiettivo, l’altra con microfono.
Tiziana Scandaletti: Le persone non si accorgono quasi mai di essere registrate.
Ci piace questa “clandestinità” nel cogliere furtivamente i suoni…109
108 L’elenco dei foto-suoni archiviati da Piacentini è disponibile in Piacentini,
Riccardo – “Foto-musica con foto-suoni”® – sito internet
www.arpnet.it/rgauche/RICCARDOPIACENTINI.HTML#foto-musica%20riccardo,
pp. 27/30109 Cappelletto, Sandro; Piacentini, Riccardo; Scandaletti, Tiziana – Seminario sulla
“foto-musica con foto-suoni”® – Vigliano Biellese, 15 settembre 2004, trascrizione
ed adattamento a cura dello scrivente. Vedi Appendice I, p. 84
61
Altri strumenti essenziali alla foto-musica sono i programmi di gestione ed
elaborazione del suono. Si tratta di software specifici che, una volta “riversato” il
materiale registrato sull’hard disk del computer, consentono di agire direttamente sul
suono.110
La peculiarità di questi software è quella di operare virtualmente sui suoni:
il compositore decide di intervenire sul materiale acustico con una determinata
azione, un taglio ad esempio. Questo taglio viene innanzitutto simulato: il software
procederà a “leggere” il file (o i file) nel quale il materiale sonoro è immagazzinato
digitalmente “saltando” la lettura della selezione che è stata “tagliata”. Il taglio vero e
proprio risulterà solo quando il compositore deciderà di generare un nuovo file
(master): a quel punto il software è in grado di produrre il nuovo file eseguendo
automaticamente tutte le azioni che il compositore ha determinato virtualmente.111
Questo modo di operare ha cambiato radicalmente l’approccio del compositore
al materiale acustico. Il compositore può operare molto più liberamente che su
nastro, senza prestare la minima attenzione all’usura che questo subirebbe nella
manipolazione.112
110 Gli interventi sono molteplici, legati alle possibilità offerte dai software specifici.
Si va dal tradizionale “taglia e incolla” (che su nastro veniva eseguito fisicamente),
all’applicazione di filtri (ad esempio l’equalizzazione, che è in grado di enfatizzare
determinate frequenze, riducendone altre). Altri interventi frequentemente usati sono
l’applicazione di “effetti” (ad esempio ricreare una riverberazione artificiale più o
meno “naturale”) e l’inversione dei campioni (una determinata selezione viene
“letta” dalla fine all’inizio). Le piattaforme multitraccia (mono o stereo) permettono
poi la manipolazione della disposizione delle tracce sul fronte spaziale (ciò che in
gergo viene chiamato panpottaggio. Da “panpot”, panoramic potentiometer) e il
tradizionale missaggio delle tracce111 Sarà sempre possibile, in caso di errori o ripensamenti, riprendere ex novo il file
precedente.112 Questo non è il contesto più adatto ad approfondire ulteriormente gli aspetti più
tecnici che, comunque, rimangono fondamentali nello sviluppo dell’identità
compositiva in relazione all’ambiente.
62
Fondamentale strumenti di composizione della foto-musica sono, secondo lo
stesso Piacentini, “carta, matita e gomma”, un editor di notazione musicale ed un
sequencer MIDI. La foto-musica può prevedere infatti interventi di origine
strumentale o vocale (organizzati anche su pentagramma), campionamenti e suoni
MIDI; tutti elementi che andranno ad interagire a livello sintattico con i “foto-suoni”.
63
3.2.2 Paratassi
“Foto-suoni” registrati alla Reggia di Venaria Reale113
L’imitazione prospettica, tramite l’utilizzo dei microfoni, del registratore e del
computer114
, permette di giungere alla selezione degli elementi paratattici
fondamentali della “foto-musica”: i “foto-suoni”.
113 Per gentile concessione di Riccardo Piacentini114 La manipolazione che viene attuata (più o meno in modo invasivo) dal
compositore tramite i software è parte integrante del processo di imitazione
prospettica poiché coglie ed esalta alcuni aspetti della totalità acustica che il
compositore stesso ritiene salienti.
64
Per me è fondamentale che nella fase di selezione ci sia una visione
“grandangolare” delle possibilità fenomenologiche del suono. Non a caso uso
termini appartenenti al mondo della fotografia, perché la foto-musica nasce a
Torino grazie anche alla collaborazione della Fondazione Italiana per la
Fotografia, che mi ha permesso di frequentare fotografi, mostre […]: una certa
ottica, un certo modo di vedere che non è quello del musicista in senso stretto o
del compositore così come si è abituati a intenderlo e inquadrarlo. Musica
grandangolare vuol dire musica contestuale, il che significa foto-suono,
fotografia sonora o, in senso più lato, immagine sonora […]115
Il “foto-suono”, innanzitutto, è “qualunque materiale sonoro registrato e colto
in una situazione sonora reale”.116
Piacentini definisce la dimensione contestuale del
suono partendo dall’analisi degli strumenti acustici. Vi sono due punti di vista
fondamentali: il primo esplicita come la stessa emissione sonora di uno strumento
acustico, essendo composta da un insieme di altezze più o meno complesse, abbia in
sé una dimensione contestuale (“i suoni contestuali intesi come i rumori che
accompagnano l’emissione del suono”117
). Il secondo chiarisce come l’emissione di
un qualunque suono in un ambiente (o la presenza stessa di un evento acustico
selezionato come testo) sia indissolubilmente legata ai suoni dello stesso ambiente.
I “foto-suoni” possono essere intesi sia come foto-altezze che come foto-
rumori. Questa differenza è solo funzionale alla loro successiva organizzazione: non
esiste infatti un confine tra altezze intonate ed eventi acustici non intonati. “I rumori
115 Piacentini, Riccardo; in Cappelletto, Sandro; Piacentini, Riccardo; Scandaletti,
Tiziana – Seminario sulla “foto-musica con foto-suoni”® – Vigliano Biellese, 15
settembre 2004, trascrizione e adattamento a cura dello scrivente. Vedi Appendice I,
pp. 82-83116 Piacentini, Riccardo – “Foto-musica con foto-suoni”® – sito internet
www.arpnet.it/rgauche/RICCARDOPIACENTINI.HTML#foto-musica%20riccardo,
p. 2117 Ibidem
65
contengono molte altezze esatte (i rumori SONO molte altezze esatte combinate tra
loro) e, d’altro canto, le stesse altezze esatte contengono sempre delle componenti
rumoristiche. […] Le altezze non sono mai pure, contenendo senza eccezione suoni
di natura contestuale”.118
Nella fase di registrazione avremo, grazie alle scelte del compositore, una
prima definizione della morfologia interna del “foto-suono”.
118 Ibidem
66
3.2.3 Sintassi
Piacentini descrive cinque livelli fondamentali di organizzazione sintattica
della “foto-musica”. Sintetizzerò brevemente le caratteristiche di ognuno di questi:119
Primo livello sintattico: i “foto-suoni” sono utilizzati come “texture”, sfondo di
un evento acustico di origine strumentale o vocale. Vi è un semplice processo
additivo che pone in evidenza i rimandi associativi. La percezione di un evento
acustico preesistente, ad esempio una linea di flauto, si determina in relazione ad un
particolare contesto acustico, ad esempio il foyer di un aeroporto.
Secondo livello sintattico: la “texture” interagisce musicalmente con l’evento
acustico strumentale o vocale. Ne risulterà un nuovo “timbro organico”, ad esempio
un contrappunto tra una linea di oboe ed alcuni foto-suoni registrati in un bosco, la
cui interazione verrà determinata dal compositore.120
Terzo livello sintattico: l’evento acustico preesistente interagisce con più
“texture(s)”, che possono succedersi e/o sovrapporsi, creando eventualmente dei
“contesti conflittuali”.
119 Per approfondire vedi Piacentini, Riccardo – “Foto-musica con foto-suoni”® –
sito internet www.arpnet.it/rgauche/RICCARDOPIACENTINI.HTML#foto-
musica%20riccardo, pp. 3-4-5120 “La sintassi potrebbe richiedere regole del tipo: il continuum attacca e finisce
laddove attacca e finisce l’oboe oppure il flauto; ogni volta che l’oboe o il flauto
toccano una particolare altezza, il continuum aumenta la sua intensità per due secondi
oltre la durata dell’altezza; viceversa, non appena il continuum lancia un preciso
segnale, l’oboe aumenta la sua intensità per due secondi oltre la durata del segnale
stesso; e così via...”. Vedi Piacentini, Riccardo – “Foto-musica con foto-suoni”® –
sito internet
www.arpnet.it/rgauche/RICCARDOPIACENTINI.HTML#foto-musica%20riccardo,
p. 3
67
Quarto livello sintattico: i “foto-suoni”, che nei precedenti livelli venivano
percepiti sempre come contesti (organizzati) rispetto all’evento acustico strumentale
o vocale, assurgono ad un livello più propriamente testuale. Non più un continuum
ma “elementi con un alto grado di definizione” che vengono composti, sovrapposti e
manipolati (in modo più o meno invasivo) a seconda delle scelte del compositore.
Quinto (trasversale) livello sintattico: prevede un “contrappunto di elementi
campionati”. Possono essere utilizzati suoni MIDI o qualunque altro materiale
campionato. Si tratta di una sintassi trasversale poiché va integrata con uno dei livelli
precedenti.
La sintassi è l’aspetto più propriamente musicale della “foto-musica”, poiché
organizza gli elementi paratattici mettendoli in relazione tra loro. La “foto-musica”,
musica composta per un contesto, agisce sui suoni dell’ambiente interferendo con
essi: modifica la percezione di essi pur rispettandone l’indipendenza
comportamentale. La sintassi della “foto-musica” viene sviluppata nell’ottica di una
reciproca influenza con i suoni dell’ambiente di implementazione, coinvolgendo
l’ascoltatore in un processo d’interpretazione intercontestuale. Piacentini raccoglie
così l’invito espresso da John Cage: l’utilità artistica va ricercata nell’armonizzazione
con il contesto.
68
3.3 Sonorizzazioni ambientali: Musiche dell’aurora
La sonorizzazione, scritta per l’VIII Biennale Internazionale di Fotografia, è
stata ospitata nelle stanze di Palazzo Bricherasio, a Torino. Una composizione per
flauto basso, voce di soprano e foto-suoni, scritta da Piacentini per una mostra
fotografica dal titolo “L’Occidente imperfetto”. Musiche dell’aurora è innanzitutto
un percorso di ricerca che prende vita dalle problematiche proposte dalla mostra,
l’identità del mondo occidentale attraverso le sue conflittualità. Ricerca di una
speranza che compensi l’alienazione, la nuova forma di decadenza in cui il mondo
occidentale sembra essere caduto.
Il titolo dell’VIII Biennale Internazionale di Fotografia, L’Occidente imperfetto,
ha suggerito all’autore la retrogradazione del suo più immediato significato.
L’imperfezione non è un limite; è l’unica possibilità di redenzione. Solo
l’imperfezione può consentire al nostro Occidente di attingere a nuova vita, di
scoprire una volta di più la sua aurora. Questo è il prodigio dei nostri giorni: che
il sole, malgrado tutto, sorge ancora.121
Musiche dell’aurora si divide in due parti. Musica prima (Shahar), per flauto
basso, con voce di soprano e supporto digitale, prevede l’utilizzo di foto-suoni
registrati su supporto DAT in diversi contesti: nel mercato popolare di Tashkent
(Chorsu Bazar) (aprile 1999); nel foyer dell’aereoporto di Francoforte (aprile 1999);
a Torino, nel mercato popolare di Porta Palazzo (maggio 1999); per le strade di
Napoli e in riva al mare (giugno 1999). In Musica seconda (Chorsu bimbo), per
121 Piacentini, Riccardo – Booklet del cd Musiche dell’aurora – FIF e Rive-Gauche
Concerti, RG 00005, Torino 1999, p. 3
69
supporto digitale con voce e azioni di bimbo, Piacentini utilizza foto-suoni registrati
per le strade di Napoli, nel mercato di Tashkent e mentre gioca con il figlio
Leonardo, nella sua casa di Torino (giugno 1999). I testi sono tratti da Nadar, uno tra
i più celebri pionieri della fotografia, ricordato tra l’altro per aver immortalato, grazie
alla luce artificiale (suo brevetto), il ventre di Parigi, le fogne e le catacombe.
Piacentini si ispira al libro “Quand j’étais photographe”, scritto da Nadar nel 1900,
“liberamente tradotto, citato e frainteso”.
Dalla partitura di Musiche dell’aurora122
122 Per gentile concessione di Riccardo Piacentini
70
Un ambiente senza luce, ovattato, anestetizzato. Fin dalle prime battute il flauto
basso avvolge l’ascoltatore in un bozzolo di seta, muovendo le sue trame ora con la
delicatezza del soffio, del respiro, della leggera rumoristica propria dello strumento,
ora con una gestualità più marcata, quasi violenta, mossa dalla necessità di trovare
spazi più ampi, alla ricerca di una via d’uscita. Così, alla stessa maniera, i vocalizzi
del soprano si muovono alla scoperta delle proprie capacità vocali, come i primi
fonemi di un neonato che scopre la capacità d’espressione sonora con il gusto della
scoperta. Attraverso questi suoni primordiali, un nuovo concetto viene partorito dalla
coscienza cosmica di questo primo Uomo, una sorta di prima parola, Shahar, in
ebraico l’aurora.
“Datemi uno spago, un gomitolo di spago, in ricordo di Teseo, l’uomo del
labirinto”. Immagini dal sapore antico, suggerite dalla voce del soprano processata su
supporto digitale, in un delicato equilibrio tra flauto, cantato, recitato e “ambienti
sonori”.
Affreschi di vita quotidiana s’inseguono, ora ben riconoscibili, ora sfumati
come acquerelli, dando “vita” alla trama musicale. E’ possibile scorgerli nella
semioscurità mentre prendono vita sulle pareti di questo “labirinto di cunicoli”; come
incisioni rupestri i foto-suoni si animano al passare della luce delle torce. Passi
risonanti e cadenzati di tacchi femminili, brevi conversazioni rubate tra le strisce
pedonali, il rullio di una valigia che si muove lentamente sul fronte stereo, il rapido
sfrecciare di un’automobile, il canto accompagnato di un suonatore di strada: non si
tratta solo di suoni contestuali, sono testimonianze di una realtà tutta umana che vive
e brucia nel presente, sono la volontà di lasciare un segno, una traccia. Volontà del
71
compositore organizzata in una sintassi musicale, utilizzando tracce dei paesaggi
sonori che Piacentini ha inciso sul DAT, con l’intento di restituire delle fragranze
musicali.
Ciascun foto-suono può suggerire un particolare “profumo musicale” e questo
profumo può trasformarsi, velocemente o lentamente, in un altro profumo. La
catena di “foto-suoni” (che è catena di “profumi sonori”) si fa tramite di una
ricerca di relazioni sintattiche riferite alle durate, all’ordine delle ripetizioni, alle
specifiche manipolazioni elettroniche etc.123
Nadar traduce in parole le gelide atmosfere sotterranee delle fogne e delle
catacombe di Parigi, in cui “l’umidità arrugginisce la pietra”. Dilatazione degli spazi
e del tempo, perdita dei punti di riferimento: sono le emozioni che il fotografo riporta
con lo stupore di attingere per la prima volta, grazie all’occhio/diaframma delle
nuove tecniche fotografiche, alle radici più intime della città di Baudelaire:
“l’obiettivo farà a meno della luce del giorno, si aprirà allo scuro, o al debole
chiarore di uno spioncino, o alla luce artificiale, o all’aurora”.
Shahar diviene il “punto di fuga” verso cui la “prospettiva” della composizione
s’indirizza; una prospettiva in divenire, mutevole e friabile, umana e imperfetta:
luogo di transito, come gli ambienti sonori che si succedono. I gesti flautistici si
fanno insistente ricerca tensiva, contrappuntati dalla voce del soprano. Tiziana
Scandaletti gioca nei suoi vocalizzi con le componenti fonematiche della parola
123 Piacentini, Riccardo – “Foto-musica con foto-suoni”® – sito internet
www.arpnet.it/rgauche/RICCARDOPIACENTINI.HTML#foto-musica%20riccardo,
p. 4
72
shahar: si sofferma sulle esse sibilanti, si appoggia all’enfasi delle acca aspirate,
scandisce ritmicamente le erre in un “consonantizzo”, imitando il frullato del flauto.
La ricerca risolutiva, innescata dall’aver concepito per la prima volta il
concetto della rinascita, l’aurora, trova la sua tonica in un suono ad altezza
determinata, un si bemolle: un ostinato che sul finale di Musica prima (Shahar) si
ripresenta più volte, dal timbro puro e cristallino, accompagnato da un nitido
tintinnare metallico [si tratta di suoni di forchette, uno dei soggetti della mostra
fotografica]. “Rapidi, sempre più rapidi, l’atmosfera è fredda e gelida, l’umidità
arrugginisce la pietra, basterebbe uno squarcio istantaneo per essere inghiottiti senza
scampo…ma lontano, molto lontano davanti a noi si accende una luce, un punto
luminoso, una luce insistente: shahar…”.
L’aurora simbolizza la rinascita del mondo occidentale attraverso la
consapevolezza della propria identità imperfetta. Il sole sorge su un nuovo mondo,
una terra bagnata dalla “rugiada notturna” dei suoni del mercato di Tashkent.
Se Musica prima (Shahar) si pone come percorso di ricerca che trova la sua
soluzione nel concetto d’aurora, luminosa rinascita, Musica seconda (Chorsu bimbo)
resta impresso nella percezione dell’ascoltatore come la luce dell’aurora su un
negativo fotografico. La metafora non è casuale: il testo è ricco di riferimenti alla
fotografia e ai suoi significati più profondi. La luce, raggiunta attraverso un “labirinto
di cunicoli”, ricercata dalla farfalla nella sua liberazione dal bozzolo (squarciando gli
strati vivi della nostra realtà, densi dei suoni dei mercati, delle strade, degli
aeroporti…) è solo un istante. Poi non rimarrà nient’altro che un ricordo, il cui senso
si potrà comprendere solo nella ciclicità della vita. Shahar, termine evocativo per le
73
sue stesse componenti fonetiche, rimane come un’istantanea impressa nella coscienza
dell’Uomo, dai chiaroscuri indefiniti, i colori dei ricordi. Utilizzando appunto il
linguaggio dei ricordi, denso di flashback e immagini che si succedono per
associazioni, Piacentini organizza foto-suoni che raccontano le azioni e le parole
recitate per gioco di un bambino di cinque anni, suo figlio Leonardo. In un gioco di
echi, riverberi, ripetizioni e movimenti spaziali sul fronte stereo, le parole di Nadar
vengono organizzate in una nuova logica, contrappuntate dallo sciabordio dell’acqua
(un rumore carico di valenze ancestrali, come il rifluire del liquido amniotico nel
ventre materno) e dai suoni mediati da un campionatore. Nel subconscio dell’Uomo
una nuova voce prende vita, una voce di bambino. Una profonda riflessione sul senso
dell’esistenza: “solo il tempo dell’esposizione ha il diaframma per aprirsi”.
74
Appendice I
Seminario sulla “foto-musica con foto-suoni”®
Riccardo Piacentini, Tiziana Scandaletti e Sandro Cappelletto sono i principali
protagonisti dei vari progetti di “foto-musica con foto-suoni”® finalizzati alla
sonorizzazione di spazi museali. Hanno collaborato alle sonorizzazioni dell’VIII e
della IX Biennale Internazionale di Fotografia di Torino, del Museo Ferroviario
Feralp di Bussoleno, della miniera di Traversella e della Reggia di Venaria Reale (da
cui, rispettivamente, i CD Musiche dell’aurora, Arie condizionate, Treni persi, Mina
miniera mia e Musiche della Reggia di Venaria Reale).124
Tiziana Scandaletti, diplomata in Canto e laureata in Storia della Musica,
forma con Riccardo Piacentini (pianoforte) il Duo Alterno, specializzato nella musica
del Novecento e contemporanea. Ha diverse collaborazioni al suo attivo, tra le quali
quelle con il Teatro alla Scala di Milano e la Fondazione Arena di Verona. Ha curato
incisioni di musica contemporanea per diverse etichette italiane e straniere. Insegna
“Musica vocale da camera” al Conservatorio di Rovigo.
Sandro Cappelletto, laureato in Filosofia, ha studiato armonia e composizione.
Scrittore e storico della musica, ha scritto testi per numerosi compositori italiani
(Ambrosini, Corghi, D’Amico, Lupone, Morricone e Piacentini). Critico musicale
dei quotidiani La Stampa e Le Monde, ha curato diverse pubblicazioni di carattere
musicologico. E’ docente al corso di laurea in “Economia e gestione delle arti”
dell’Università di Ca’ Foscari.
124 Sandro Cappelletto inizierà la sua collaborazione con la sonorizzazione della IX Biennale
Internazionale di Fotografia, Arie condizionate.
75
Tutti e tre fanno parte del progetto Nuovi Linguaggi Museali, curato dalla Rive-
Gauche Concerti di Torino.
Vigliano Biellese, 15 settembre 2004
Il seminario si svolge in una sala di Villa Era, sede dell’Accademia Lorenzo
Perosi. L’adattamento che ne faccio in questa sede omette parti che, pur risultando
interessanti nel contesto del seminario, deviano l’attenzione ad altre problematiche
non direttamente pertinenti alle sonorizzazioni d’ambiente e alla “foto-musica con
foto-suoni”®.
[Parte introduttiva sulla letteratura librettistica]
Riccardo Piacentini: […] La collaborazione con Tiziana Scandaletti e Sandro
Cappelletto è stata fondamentale nello sviluppo della foto-musica. La locuzione foto-
musica con foto-suoni è un marchio brevettato la cui prima applicazione risale al
1999, anno in cui mi fu commissionata la sonorizzazione dell’VIII Biennale
Internazionale di Fotografia a Torino. Nell’occasione escogitai le Musiche
dell’aurora su testi di Nadar, celebre fotografo francese che per primo scattò
fotografie dal sottosuolo e dal cielo. [Fa passare la partitura].
76
Nella mia attività di compositore ferveva già una certa insoddisfazione per certi
stereotipi che vedevo ancora imperversare in me stesso e in altri compositori: c’è chi,
esercitando la composizione, cerca in qualche modo di vivere con questa che ritiene
malgrado tutto una professione, cerca di trovare un’applicazione, un senso, una
funzione che vada oltre quella che Goffredo Petrassi definiva la sindrome del
“rubinetto che perde” […]. Ho avuto sempre la tendenza, prima latente e poi sempre
più manifesta, a trovare forme di applicazione nel comporre […].
Il discorso potrebbe partire da lontano... C’è un testo, che ha cambiato il mio
modo di vedere la composizione, di uno storico dell’arte che non si occupò
direttamente musica, Ananda Coomaraswamy: morto nel 1947, oggi pressoché
sconosciuto, mi fu fatto conoscere da Franco Donatoni, poiché suo figlio Roberto ne
aveva curato l’edizione italiana. Questo testo si chiama Il grande brivido. Saggi di
simbolica e arte, edizioni Adelphi […]. Pur essendo morto quasi sessant’anni fa,
Coomaraswamy individua quello che in sintesi è il vero problema dell’arte
contemporanea: il problema delle committenze che vengono a mancare, collegato al
problema dell’applicazione dell’arte alle situazioni di “sociale utilità”. Il termine
“estetica”, come sapete, è un’invenzione del Settecento. Nella musica di Bach non si
parla mai di estetica applicata all’arte: il problema del bello in musica diviene tale
con i primi trattati di estetica applicati all’arte della musica, e cioè all’inizio del
XVIII secolo […].Coomaraswamy sostiene che, da quando in arte (lui parla di arti
visive perché si occupa di arti visive) si vuole a tutti i costi applicare il parametro
estetico, il parametro del bello, c’è stato un progressivo declino.
Coomaraswamy è dichiaratamente reazionario, eppure è curioso come nei suoi
scritti si ritrovino posizioni davvero irriverenti, singolarmente vicine a quelle delle
77
avanguardie degli anni Sessanta […]. Se l’arte si riduce a un puro fenomeno di
“àistesis”, che in Greco significa “sensazione” o “percezione dei sensi”, è inevitabile
che ci sia un declino: l’“àistesis” da sola non è sufficiente a confezionare un buon
prodotto artistico. L’arte si impoverisce enormemente se tende alla semplificazione
emotiva e, così facendo, non sa guardare oltre la “pelle” delle emozioni […]. Ricordo
Nanni Moretti che in un’intervista affermava che al cinema si va per vivere delle
emozioni… certo, per vivere delle emozioni... ma anche un pugno in faccia è
un’emozione, e l’arte è un’altra cosa.
Donatoni, con il quale ho studiato quattro anni, non a caso rifiutava il termine
“estetica”, preferendovi “poetica”: il lavoro del compositore e dell’artista è un lavoro
di “pòiesis” che tradurrei con “poesia e artigianato”. La poesia ingloba l’aspetto
emotivo e vola molto più alta. Il lavoro del poeta-compositore non dovrebbe essere
né di tipo puramente estetico, né di tipo puramente artigianale. Dovrebbe essere
“pòiesis” applicata. In musica si rischia di applicare l’artigianato al nulla, si rischia
cioè di scrivere musica per metterla in un cassetto, giusto per assecondare un
“rubinetto che perde” e non si pensa che sarebbe meglio chiamare l’idraulico.
Bisogna a mio avviso cercare di collegare il più possibile ciò che si fa come
compositori a situazioni “ordinarie” della vita individuale e sociale. E’ questo
l’atteggiamento che nel corso degli anni mi ha portato a maturare una concezione
della musica che non disdegna di utilizzare materiali in certo senso “poveri” […].
L’arte popular è nata negli anni Sessanta: in musica, però, raramente vedo pensare in
termini di arte popular. La musica viene sempre vista, bene o male, come un
fenomeno di intrattenimento. […]. Mi sembra riduttivo concepire la cultura come un
materasso su cui sdraiarsi e rilassarsi: la cultura, al contrario, deve sollecitare
78
reazioni, possibilmente reazioni forti. La nostra cultura museografica, contro cui si
scaglia Coomaraswamy tra le altre cose, è una cultura che gode della contemplazione
del prodotto artistico, ma se noi prendiamo una statua del Buddha – e qui arrivo al
punto centrale di ciò che volevo dirvi in questa parte introduttiva – e la togliamo dal
suo contesto, la estirpiamo dall’ambiente per il quale era nata, quale senso le rimane?
Questo è il punto: quella statua perde la funzione originaria, la sua utilità applicativa,
il senso... e così lo perde un brano di musica da camera che viene eseguito in un
ambiente che gli è estraneo.
E’ vero che l’approccio filologico è divenuto ormai una delle costanti della
nostra civiltà musicale e non solo. Ma, per essere coerente fino in fondo, la filologia
dovrebbe restaurare anche le orecchie dell’epoca e ogni aspetto della sua sensibilità.
Cosa impossibile. Come minimo, dovrebbe preoccuparsi non soltanto di adeguare gli
strumenti musicali alla prassi esecutiva dell’epoca, ma anche al contesto acustico e
psicoacustico nel quale la musica del passato veniva eseguita. Allora questo potrebbe
essere, forse, un cammino interessante per recuperare il senso dell’opera. Se
eseguiamo un brano seguendo gli stilemi della prassi barocca, o quelli che riteniamo
tali dopo approfonditi studi, dentro a un museo di arte moderna e contemporanea, che
senso avrebbe questo? Il contesto le sarebbe alieno, a meno di non volere stabilire
consapevolmente, e per qualche ragione che trascende il pezzo, un ponte tra passato e
presente, contesto incluso.
Se un meraviglioso artefatto artistico viene tolto dal suo luogo, se si smonta a
pezzi il Partenone e lo si porta al British Museum, viene a mancare la dimensione
vitale del contesto. E qui arrivo al punto che spiega, almeno per un aspetto
importante e anzi decisivo, la nascita della foto-musica. […]. La cultura del CD,
79
audio e rom, ci porta ad anestetizzare il suono, a pensarlo in modo asettico. Io parlo
spesso per parafrasi e metafore: questo è un pianoforte… se dovessi spiegare a
qualcuno cos'è un pianoforte potrei paragonarlo a qualcos'altro o anche farne un
disegno (che è sempre un qualcos'altro...). Con il computer ci sono poi delle tecniche
grafiche meravigliose: magari riuscirei a crearci un effetto di ombreggiatura o altri
effetti grafici molto gradevoli, ma queste rimarrebbero operazioni virtuali e in
qualche misura sempre illusorie. Mi troverei dinnanzi a un pianoforte per così dire
anestetizzato sotto una campana di vetro… ma neanche sotto una campana, perché
almeno ci sarebbe il contesto della campana… avrei il pianoforte nudo e crudo. Ma
quando mai avete visto un pianoforte in queste condizioni, privato di ciò che gli sta
intorno? […]
Se noi avessimo le orecchie educate una minima percentuale di quanto lo sono
gli occhi nella cultura dell'arte visiva, nel cinema, nella fotografia, probabilmente
saremmo più consapevoli del suono che ci circonda. Non è ancora “suono
organizzato”, come direbbe Varèse, ma è una realtà davvero incredibile da scoprire.
Noi siamo abituati ad ascoltare un violino o un pianoforte “scontornati” (come
direbbero i grafici), ma in realtà ascoltiamo allo stesso tempo non solo il violino, così
come nella realtà non vediamo solo il pianoforte: ascoltiamo e vediamo anche ciò
che gli sta intorno, perlomeno con la coda dell'occhio (e dell'orecchio), ascoltiamo e
vediamo ciò che è per noi rilevante sia a livello conscio sia inconscio.
Giorni fa sono andato a visitare la mostra di Medardo Rosso, alla GAM di
Torino […]. Nelle arti figurative questi concetti erano già stati compresi alla fine
dell’Ottocento e forse prima. [Citando una didascalia] <<Quando io faccio un
ritratto non posso limitarlo alle linee della testa, perché questa testa appartiene a un
80
corpo, si trova in un ambiente che esercita un’influenza su di lei, fa parte di un tutto
che non posso sopprimere. […] Niente a questo mondo può staccarsi dall’intorno>>
[sic]. Questo è il “contesto” in cui nasce la foto-musica con foto-suoni: in altri
termini si tratta di comprendere, nel senso etimologico del termine (cum-prendere), i
suoni del contesto in musica, tant'è che io in origine non parlavo di foto-musica, ma
di musica contestuale.
Vi cito due affermazioni, una di Varèse e una di Stravinskij. Varèse, uno dei
“franchi tiratori” (come li chiamava Boulez) della cultura musicale del Novecento,
ha scritto un testo che forse voi conoscerete: Il suono organizzato. Tra le varie
affermazioni che ci sono nel libro, parafraso questa: <<Il compositore deve essere
irriverente verso il passato perché, se non lo fosse, non scriverebbe più nulla>> [sic].
Il compositore è quel personaggio che cerca di organizzare i suoni, compresi i
rumori. L’orchestra sinfonica della tradizione brulica di rumori, non solo quando gli
esecutori spostano intenzionalmente o meno la loro sedia o quando qualcuno tossisce
sul palco o in sala (anche questo fa parte della musica): alcuni suoni, come gli
schiocchi di frusta o il rullo spietato di una cassa con corda, verrebbero senza
complimenti definiti “rumori” se non fosse che sono riconosciuti come il risultato
acustico di strumenti sufficientemente blasonati.
Quando Varèse parla di “suono organizzato” vuol dire anche questo: musica è
sì organizzazione, ma di un suono inteso a trecentosessanta gradi. Qualunque evento
acustico voi possiate sentire intorno a voi, quello è un suono! Ed è un suono che, se
viene inserito opportunamente all’interno di una sintassi musicale, serve alla musica
e della musica diventa parte integrante e insostituibile. […].
81
Includendo all’interno della mia rosa di suoni anche suoni non blasonati, io
certo mi prendo le mie responsabilità: accetto questo gioco, questa concezione di
fondo che anima il mio modo di pensare la musica, e decido che cosa fare con gli
elementi che ho scelto, come utilizzarli per dire qualcosa nel linguaggio proprio della
musica.
Stravinskij diceva che un uccello che canta non fa musica: solo nel momento in
cui l’uomo interviene, può nascere la musica. Alla base di questa osservazione c’è
una riflessione formidabile: noi siamo immersi in un mondo di suoni. E’ musica
questa? Siamo d’accordo che non lo sia: è un grande bacino di oggetti sonori. Non so
esattamente quando questo diventi musica, non ho la risposta.
Stravinskij sottolinea che, se non c’è l’intervento della creatività umana, non si
può ancora parlare di musica. Gli elementi morfologici che abbiamo a disposizione,
coscientemente o meno (poiché molti suoni non ci rendiamo neppure conto di
ascoltarli), hanno bisogno di un intervento di tipo sintattico. Il suono è qualcosa che
ci attornia a trecentosessanta gradi: suono è, ad esempio, il suono del violino, ma
anche qualunque elemento, e sottolineo qualunque, che produca vibrazioni nell’aria.
Secondo quale livello sintattico io metto in relazione questi elementi
morfologici? Generalmente io ho bisogno di qualcuno o qualcosa che mi solleciti
degli stimoli, ad esempio un testo. [Disegna uno schema]
Morfologia
Sintassi
I semiologi utilizzano a volte questa terminologia:
Paratassi, o selezione
Sintassi, o composizione
82
Comincerei a chiarire un punto per me essenziale: una cosa è selezionare,
tutt’altra cosa è comporre.
Ricordo quando Donatoni mi diceva: <<…tu non ripeti mai esattamente la
stessa cosa!>>. Era il periodo del “tabù” per cui la stessa cosa… [suona una breve
frase al pianoforte] non dovevi ripeterla una seconda volta... niente refrain dunque,
niente ritornelli e neppure ripetizioni testuali di brevi frammenti... ogni volta si
trattava di inventare qualcosa che non fosse geometricamente congruente. Ad
esempio… [suona]. La “congruenza” no, ma la “coerenza” quella sì era sempre
richiesta, una coerenza senza congruenza. Era molto stimolante, e anche divertente,
seguire le lezioni di Donatoni, perché riusciva a comunicarti indicazioni tecniche di
estrema precisione senza essere tecnico nell’esprimerle. Parlava spesso per metafore
e rimandi alla più banale delle quotidianità. Ti diceva con spirito di contraddizione:
<<No, no… se a me una cosa piace la faccio eccome e anche tante volte! >>. Chi
non lo conosceva non capiva chiaramente cosa volesse dire: se a te piace un suono
che hai selezionato (paratassi), lo usi, e anche tante volte; ma la ripetizione identica a
sé stessa è tutt’altra cosa e, se in lui c’era contraddizione, non c’era mai incoerenza.
A questo punto, se io faccio una campionatura di suoni che mi piacciono, che
mi garbano… come li metterò insieme, come li com-porrò? Per me è fondamentale
che nella fase di selezione ci sia una visione “grandangolare” delle possibilità
fenomenologiche del suono. Non a caso uso termini appartenenti al mondo della
fotografia, perché la foto-musica nasce a Torino grazie anche alla collaborazione
della Fondazione Italiana per la Fotografia, che mi ha permesso di frequentare
fotografi, mostre […]: una certa ottica, un certo modo di vedere che non è quello del
musicista in senso stretto o del compositore così come si è abituati a intenderlo e
83
inquadrarlo. Musica grandangolare vuol dire musica contestuale, il che significa foto-
suono, fotografia sonora o, in senso più lato, immagine sonora […].
Quando Donatoni si poneva il problema della selezione e della sintassi,
ragionava in termini di procedure. Ricordo che all’epoca, oltre che in Conservatorio,
insegnavo all’Università Popolare di Torino, dove mi trovavo regolarmente a parlare
di musica contemporanea con persone tra i diciotto e i settant’anni. Alcuni mi
chiedevano (e c’era una certa sottigliezza in queste osservazioni): <<Certo, le
procedure… però alla fine cosa arriva al pubblico di queste procedure?>>. Nel
momento in cui il compositore ha giocato con le sue più o meno ingegnose
“permutazioni intervallari”... che messaggio arriverà dall’altra parte?
Se si è abituati ad ascoltare una linea melodica associandola ad una certa
concezione tonale, il messaggio sembra arrivare quasi inconsciamente. Sembra o
quanto meno si presume... Ma cosa rimane quando non ci sono più queste
associazioni? Le procedure, di per sé, sono come il “disseccamento” di qualcosa che
in realtà ha un significato che le trascende. Il “disseccamento” in sé stesso non
significa nulla. Si va alla ricerca dello scheletro all’interno della costruzione
musicale, ma questo scheletro non diventa “essere umano” finché non viene
ricoperto.
Sempre Donatoni parlava di “figura” e di “gesto”: chi ascolta musica
contemporanea, un certo tipo di musica contemporanea, non può aspettarsi la linea
melodica costruita secondo certi criteri ricorrenti nella tonalità, come il tema. Deve
iniziare a ragionare in termini di gestualità. Faccio un esempio: se io mi inchino, sto
facendo un gesto che traduce un qualche significato. Se io mi inchino più volte sto
sottolineando un certo comportamento. Il gesto organizzato diventa, forse, senso.
84
Perché se io dopo l’inchino dico: <<Buongiorno!>>… oppure se dopo l’inchino mi
siedo, apro un libro e mi metto a leggere, trasmetto significati diversi, dando un
senso piuttosto che un altro al discorso dei miei gesti. In musica non è diverso; solo
che i gesti sono gesti musicali.
Tiziana Scandaletti: L’idea da cui parte la foto-musica è in realtà molto
semplice. Noi viaggiamo parecchio e come Duo Alterno è dal 1997 che lavoriamo
insieme studiando ed eseguendo in giro per il mondo il repertorio da camera del
Novecento italiano. Durante i viaggi Riccardo [Piacentini] continua a registrare
suoni: i suoni delle persone che camminano, i suoni dei treni, degli autobus, i suoni
dei risciò… Ci piace molto andare nei mercati popolari, soprattutto nei paesi dove
non esiste il concetto di supermercato, dove il mercato è soprattutto un luogo di
incontro…
Riccardo Piacentini: In queste situazioni registro con un DAT camuffato da
macchina fotografica… Vado con un microfono “a cimice”, di quelli che si
mimetizzano senza dare troppo nell’occhio, e l'apparenza è proprio quella di un
apparecchio fotografico, per cui la gente crede che io sia un turista o qualcosa del
genere… come quella volta in India in cui siamo entrati in una moschea e ci hanno
chiesto “Cameras?”…“Yes, two cameras!” ho risposto senza esitare. E avrei potuto
aggiungere: una con obiettivo, l’altra con microfono.
Tiziana Scandaletti: Le persone non si accorgono quasi mai di essere registrate.
Ci piace questa “clandestinità” nel cogliere furtivamente i suoni…
85
Riccardo Piacentini: L’operazione non avviene sempre così di fortuna: quando
le condizioni lo consentono, chiamiamo un’equipe tecnica che registri con microfoni
e apparecchiature altamente professionali. Diversamente utilizziamo comunque una
strumentazione di buon livello professionale o semiprofessionale … dipende... anche
perché guastare un microfono del valore di duemila euro sotto gli spruzzi delle
cascate del Niagara, o in condizioni altrimenti rischiose, non è raccomandabile.
Tiziana Scandaletti: Questo lavoro ci permette di selezionare un suono
“contestualizzato” nell’istante in cui viene registrato nel suo ambiente, ma
“decontestualizzato” nel momento in cui a Torino viene sbobinato e inserito nel
computer, divenendo materiale sonoro che può essere utilizzato in musica. Il primo
aspetto della foto-musica è quindi la registrazione. Il secondo elemento è sempre
legato al concetto di ambiente, ma in modo diverso, perché il tipo di composizione
che viene fatto è concepito per tornare in un ambiente. L’ambiente ritorna tramite
un’altra strada, poiché tutto il materiale che viene scelto da Riccardo [Piacentini] in
collaborazione con Sandro [Cappelletto] viene riutilizzato per costruire un altro
ambiente…
Riccardo Piacentini: Viene utilizzato “artificiosamente” per divenire arte…
Tiziana Scandaletti: Lo scopo finale del lavoro è la sonorizzazione di un
ambiente. Il primo lavoro concepito in quest’ottica sono state le Musiche dell’aurora,
composte per l’VIII Biennale Internazionale di Fotografia di Torino. Il pubblico,
86
entrando a Palazzo Bricherasio per vedere le fotografie, ascoltava queste musiche
durante il percorso.
L’operazione voleva andare oltre il semplice accostamento: non si tratta di
diffondere musica cubana nella sezione cubana, o musica francese nella sezione
francese. Contestualizzare l’ambiente non significa pensare al significato delle
fotografie in sé, ma ricostruire un percorso molto più sottile in cui la fotografia
acquisti un senso. […] Ci sono diversi livelli che andrebbero fatti rientrare in una
sonorizzazione, oltre alla pura evocazione culturale della provenienza della
fotografia. Si tiene conto del rumore dell’ambiente stesso, della fotografia come fatto
fisico, come materiale cartaceo, della fotografia come messaggio culturale…
I tre CD che fino ad ora hanno segnato la collaborazione fra noi tre [Musiche
della Reggia di Venaria Reale non era stato ancora pubblicato] determinano un
percorso dettato dai diversi contesti. Questo ci riporta a Palazzo Bricherasio con le
Arie condizionate, composte per la IX Biennale Internazionale di Fotografia.
Quando andammo a fare un sopralluogo a Palazzo Bricherasio, Riccardo
[Piacentini] rimase colpito dal rumore dei condizionatori d’aria: il visitatore subito
non ci fa caso, ma, una volta che ne prende coscienza, si tratta di un sottofondo di
notevole disturbo. Le Arie Condizionate si rifacevano a questo suono di fondo che
determinava una delle caratteristiche specifiche di questo ambiente.
I Treni persi nascono per un ambiente completamente diverso, il Museo
Ferroviario di Bussoleno. Non dobbiamo immaginarci un museo asettico dove il
pubblico entra nel silenzio totale: sono delle vecchie officine, ci sono ancora tutti i
montacarichi perché ancora aggiustano, riparano queste vecchie locomotive che
87
hanno bisogno di manutenzione. E’ un ambiente pieno di olio, di macchine, di
utensili…
Riccardo Piacentini: E’ un luogo vivo…
Tiziana Scandaletti: Il terzo CD è Mina Miniera Mia, realizzato per la
sonorizzazione delle miniere di Traversella. Queste miniere sono state chiuse da
ormai una trentina d’anni, quando i costi dell’estrazione del ferro furono tali che non
conveniva più estrarlo. Adesso alcune parti delle gallerie, e anche il luogo chiamato
“opificio”, sono state attrezzate come museo ed è possibile visitarle. La
commissione, della Provincia di Torino, è stata quella di sonorizzare proprio queste
parti.
Il prossimo lavoro, che uscirà a ottobre, è stato pensato per la sonorizzazione
della Reggia di Veneria Reale […].
[Intervento sul rapporto del compositore con il pubblico]
Riccardo Piacentini: [Fa ascoltare un frammento di Shahar, versione per
flauto basso solo, 1996] Questo pezzo per flauto basso solo, composto nel 1995, è
stato “innestato” con un canto popolare uzbeko che avevo registrato al Chorsu Bazar
di Tashkent. Questo canto popolare, eseguito da un suonatore di tambora (così credo
che si chiami, una sorta di grande mandolino uzbeco), insisteva sulle note di un
tetracordo: [suona al pianoforte] mi bemolle – fa – sol bemolle – la bemolle.
88
Bisognerebbe ascoltarlo tutto… vi basti questo per capire in che modo abbia
tentato un mix tra qualcosa che è nato in Occidente (e non era stato “pensato per”) e
qualcosa che invece è stato preso da un altro contesto [fa ascoltare un frammento di
Musica prima (Shahar), per flauto basso, soprano, supporto audio-digitale125
]. Gli
ambienti [di Palazzo Bricherasio a Torino] non erano molto riverberanti, un aspetto
di cui ho dovuto tener conto. Se l’ambiente fosse stato molto riverberante avrei agito
diversamente. Con un ambiente che ha poco riverbero, più o meno come questo [la
sala dove si tiene il seminario], si può percepire senza difficoltà il suono di ogni
parola e dunque da un lato l’uso esplicito di parole e, dall’altro, l’uso di un riverbero
artificiale abbastanza consistente sono aspetti da prendere in seria considerazione.
Il contesto era l’VIII Biennale Internazionale di Fotografia, a Palazzo
Bricherasio; per chi di voi non lo conoscesse, Palazzo Bricherasio è composto da
stanzette più o meno grandi come questa. L’idea era di partire da un pezzo scritto
“alla occidentale” per innestarvi elementi musicali estratti da un contesto orientale.
Vi fu una curiosa coincidenza: quel pezzo scritto nel 1995 era giocato su questa
pseudotonalità di mi bemolle minore, esattamente come il canto popolare uzbeco
basato sul tetracordo mib-fa-solb-lab ed eseguito dalla voce del viandante cieco e
dalla sua tambora […].
Da un po’ di tempo a questa parte non scrivo più pezzi sapendo come andranno
a finire: inizio, cerco e poi vado. Ho cercato un brano che potesse coniugarsi al
materiale che avevo, scoprendo progressivamente molte affinità tra i due. Schönberg,
in Analisi e pratica musicale, una raccolta di saggi pubblicata da Einaudi, dice tra le
altre una cosa che mi ha colpito: quando un compositore lavora seriamente, lavora
125 Dal CD Musiche dell’aurora – FIF e Rive-Gauche Concerti, RG 00005, Torino 1999
89
con impegno, all’interno della composizione a cui sta lavorando si svelano delle
relazioni involontarie per cui non solo i musicologi vanno a cercare quello che “non
c’è” nel pezzo, ma anche il compositore va a cercare e trova quello che… a volte c’è!
Chiaramente l’abbinamento dei due elementi dà luogo a un artefatto. Non
posso dire di avere scelto a caso quel pezzo; però, onestamente, la scelta non è dipesa
dal fatto che il tetracordo in qualche modo corrispondesse. L’ho scoperto dopo. Il
pezzo si conclude proprio con un mi bemolle e ruota spesso, soprattutto nella parte
finale, su altezze che ricadono sulla “pseudotonica” di mi bemolle, privilegiando
inoltre il sol bemolle al sol naturale.
Il lavoro, come dicevo, è stato un lavoro d’innesto: io sono nemico delle
giustapposizioni, perché ritengo che il compositore debba “comporre” e non
“giustapporre”. In una concezione come quella della foto-musica sarebbe troppo
semplice piazzare la testura di fondo e poi, sopra, avvenga pure qualunque cosa o
quasi… Ci deve essere una continua relazione. [...]
Nell’ascolto di un’opera di foto-musica bisogna sempre considerare
l’interazione con l’ambiente. Prendiamo ad esempio le Arie condizionate [f a
ascoltare un frammento di “Mano mobile clic”, per voce femminile, mani e “foto-
suoni”126
]. Bisogna chiaramente relazionare questo brano all’ambiente per il quale è
stato composto: dovete immaginarvelo in un ambiente in cui quelle “arie” c’erano
già. L’idea è di creare un equivoco costante tra ciò che proviene dagli altoparlanti e
ciò che invece è parte dell’ambiente.
126 Dal CD Arie condizionate – FIF e Rive-Gauche Concerti, RG 00009, Torino 2001
90
Tiziana Scandaletti: I suoni registrati in quell’ambiente, sovrapposti a suoni di
altri ambienti, a musiche che interagiscono con i rumori reali dell’ambiente, in quel
momento...
Riccardo Piacentini: Si potrebbe a questo punto fare un’importante
osservazione: posso legittimamente inserire questo CD nel mio lettore di casa e
ascoltarmelo? Posso ascoltarlo in un contesto che non sia quello per cui è stato
composto? Questo CD ha innanzitutto un senso: è l’esemplificazione di un lavoro
fatto. Ne parleremo alla luce degli altri ascolti che faremo: è una domanda che
potrebbe prevedere una risposta non univoca…
Pubblico: Quali sono le sue relazioni, come compositore, con il mercato?
Riccardo Piacentini: Questi sono tutti lavori realizzati su commissione, nati
quindi a seguito di una specifica richiesta […]. Noi abbiamo un obiettivo: realizzare
prodotti d’arte. Il prodotto d’arte è collegato al mercato: uno dei problemi è
determinare in quale misura il mercato può condizionare la nostra attività. Questi
lavori non sono nati per essere messi in un cassetto… E’ il mercato che li ha richiesti
e ha accettato di supportarli.
Questo non significa che siano prodotti confezionati nell’ottica del
supermercato o nati per un consumo massificato. La cultura e così pure l’arte
dovrebbero essere qualcosa di più di un pacchetto di patatine.
91
Sandro Cappelletto: [Disegna lo schema del “diamante culturale”127
]
Mondo sociale
Creatore Pubblico
Oggetto culturale
Wendy Griswold ha messo a punto questo schema sul mercato culturale.
Secondo questa visione un’opera d’arte, una produzione artistica, è oggetto culturale
solo se diventa pubblica. Se io scrivo una poesia e la metto in un cassetto non avrò un
oggetto culturale: se qualcuno la troverà e la pubblicherà diverrà tale. Tra questi
quattro elementi [Creatore, Mondo sociale, Pubblico, Oggetto culturale] si generano
sei relazioni […]. Riccardo [Piacentini] ha composto Arie condizionate, che è entrato
nel contesto della Biennale Internazionale di Fotografia a Palazzo Bricherasio, che ha
avuto il suo pubblico: si è verificato il “corto circuito” fondamentale perché un’opera
d’arte diventi un oggetto culturale che possa essere discusso, criticato, apprezzato,
considerato e sul quale il pubblico possa avere una reazione. Generare questo “corto
circuito” è fondamentale per qualsiasi artista: significa vivere il proprio tempo,
sentirsi parte integrante del mondo nel quale si opera […].
Questo schema è utile a ricordarci come funzionano le relazioni tra il
compositore ed il mercato culturale. E’ applicabile a qualsiasi opera del presente e
del passato e ci indica gli elementi necessari a capire se e quanto un’opera ha subito
l’influsso del proprio tempo e a sua volta lo ha influenzato.
127 Vedi Griswold, Wendy – Sociologia della cultura – Il Mulino, 1997, p. 31
92
Pubblico: In questo caso possiamo dire che il “corto circuito” si sia verificato,
no?
Sandro Cappelletto: Penso di sì. C’era il pubblico, c’era il committente, c’era il
giudizio della gente: c’era un impulso dato da Riccardo [Piacentini] che è diventato
qualcosa.
[Intervento sul rapporto librettista / compositore]
Riccardo Piacentini: Le nostre collaborazioni, dopo le Arie Condizionate, sono
proseguite con Sine nomine [per soprano, voce recitante, 13 archi e “foto-suoni”],
che non ascolteremo oggi ma che vorrei citarvi: sono andato nella risiera di San
Sabba, a Trieste, a registrare i “suoni del silenzio”, ovvero i suoni che si possono
reperire lì, all’interno degli oggetti che ancora ci sono.
L’esperienza successiva è stata Treni persi, sonorizzazione del Museo
Ferroviario Feralp di Bussoleno, dove il testo di Sandro Cappelletto è
quantitativamente più esteso rispetto a Mano mobile clic di Arie condizionate […].
In questo caso la scelta iniziale è stata più faticosa, perché rapportarsi ad un
contesto vuol dire essenzialmente rapportarsi ai contorni del testo. Alla Biennale di
Fotografia sapevo che sarebbe venuto un pubblico misto, vario, senza delle
aspettative definite: mi sono posto, per così dire, meno problemi sull’effettiva
fruibilità di ciò che scrivevo e sull’effettiva “facilità” di ascolto. Qui invece mi
rivolgevo a un pubblico di ferrovieri e di persone che avevano la passione dei treni.
93
Come scrivere? Se io avessi scritto un pezzo di musica “contemporanea” tout court
gran parte del pubblico non avrebbe capito nulla; bisognava coinvolgere direttamente
questi signori, trovare una sorta di mediazione.
Con Sandro Cappelletto si è cercato già nel testo l’ambientazione giusta;
abbiamo pensato di intervistare due ferrovieri: uno è un ex-dirigente in pensione,
l’altro è un ferroviere tuttora operativo. Fatte alcune domande, ho consegnato a
Sandro [Cappelletto] le registrazioni.
Lui ha elaborato un libretto articolato in tre treni (abbiamo chiamato così le tre
sezioni), intitolando l’intero lavoro Treni persi. In buona sostanza è la storia di una
viaggiatrice disperata perché, perdendo la coincidenza ferroviaria a causa di un
ritardo, non riuscirà a raggiungere il suo amore…
Tiziana Scandaletti: Questo museo fa parte della rete degli ecomusei della
Provincia di Torino; ogni struttura ha un’associazione di volontari che gestisce il
museo: noi ci siamo posti il problema se dare a dei volontari un’immagine del treno
(purtroppo) così realistica avesse potuto ferire gli animi. Alla storia della viaggiatrice
abbiamo accostato il racconto di un vecchio ferroviere, che ha invece un’immagine
evocativa del treno. Il risultato è stato bene accolto.
Sandro Cappelletto: Io ho ricevuto diversi materiali: innanzitutto l’intervista ai
due ferrovieri, che raccontavano il loro amore per il treno; poi una descrizione
“amorosa” della linea Cuneo – Ventimiglia (non so se l’avete mai fatta, è una linea
meravigliosa, con delle magnifiche gallerie elicoidali, ridisegnata e riaperta negli
anni Settanta dopo essere stata bombardata durante la guerra). Avevo questa
94
descrizione proprio affettuosa, scritta a mano da un ferroviere. Il terzo materiale…
ero io, perché ormai faccio parte del materiale rotabile delle Ferrovie Italiane
[ridendo]. Io da alcuni anni sono praticamente un vagone, viaggio sulla linea Roma-
Firenze, conosco gli orari a memoria e purtroppo conosco a memoria anche tutti gli
annunci degli Eurostar, che accompagnano ossessivamente il viaggio […]. Il
passeggero Eurostar è accompagnato da questi continui annunci, insieme
naturalmente agli annunci dei ritardi che poi arrivano all’estasi orgiastica del ritardo
imprecisato.
Tutto ciò lo abbiamo immaginato per una viaggiatrice che, un po’ controvoglia
(però lui è stato così insistente), parte per il week-end con l’Eurostar da Roma a
Firenze, dove il suo amore l’aspetta per poi andare in treno a sciare. Naturalmente il
treno è in ritardo e lei non riesce a contattarlo (il cellulare è scarico): comincia a
rendersi conto che lui, maniaco dello sci, sarebbe partito comunque e che questo
viaggio sarebbe stato un disastro…
Si trattava di mettere insieme una vicenda originale, i foto-suoni ferroviari e
l’affetto dei ferrovieri che raccontano il loro rapporto con il treno: un rapporto di
memorie raccontato sia attraverso ricordi diretti, sia leggendo questa descrizione così
bella della linea Cuneo – Ventimiglia. Treni persi: il treno che perde la nostra
viaggiatrice protagonista è il treno che in qualche modo hanno “perso”, perché ormai
appartiene ai loro ricordi, i ferrovieri che lo raccontano.
Riccardo Piacentini: Una cosa relativa ai foto-suoni: sono tutti rigorosamente
ferroviari e li ho registrati personalmente. Questa è una delle condizioni
fondamentali della foto-musica con foto-suoni: che sia il compositore che lavora alla
95
foto-musica a registrare, per sapere dove e quando ha registrato. Così mi sono fatto il
viaggio con mio figlio Leonardo sulla Torino – Ventimiglia, godendoci il tragitto. In
un giorno siamo andati avanti e indietro e abbiamo registrato i foto-suoni che
sentirete qui.
Vediamo ora gli elementi; nel sottotitolo c’è scritto: <<Cantata per voce
viaggiante, voce che ha viaggiato, archi, percussioni e “foto-suoni”>>. La voce
viaggiante è quella del soprano, Tiziana [Scandaletti], la nostra protagonista; la voce
che ha viaggiato è la voce del ferroviere che racconta le meraviglie della linea Cuneo
– Ventimiglia; gli archi e le percussioni sono l’Orchestra Milano Classica [diretta da
Massimiliano Caldi], con un organico limitato a quindici elementi; i foto-suoni sono
il materiale ferroviario che ho registrato […].
[Sandro Cappelletto legge il testo]
Riccardo Piacentini: Vorrei darvi alcune informazioni sulle indicazioni della
partitura: il brano inizia con Svelto, al tempo del ticchettio su nastro. C’è il foto-
suono di una locomotiva degli anni Trenta: un ticchettio meraviglioso… (a proposito
della selezione dei suoni che piacciono). E’ una sorta di metronomo a
centoquarantaquattro battiti al minuto, l’ho misurato… Si tratta della parte in cui la
viaggiatrice sta perdendo la pazienza: segue un Accelerando sempre più […] per poi
arrivare a un Sorprendendo. […] [Fa ascoltare la terza traccia di Treni persi128
]
128 Dal CD Treni persi – Rive-Gauche Concerti, RG 00012, Torino 2003
96
Sandro Cappelletto: […] Questo pezzo che abbiamo sentito è stato eseguito
anche come brano a sé; sempre all’interno di un contesto appropriato, il Museo
Ferroviario, è stato eseguito in un’esecuzione concertistica…
Riccardo Piacentini: In questo caso la sonorizzazione era legata non solo alla
produzione del CD, ma anche allo spettacolo di son et lumière, suoni e luci, che è
stato realizzato il 20 giugno 2003 negli spazi del Museo Feralp di Bussoleno […].
Sandro Cappelletto: Questa in fondo era un’istallazione, o meglio una
performance dentro un’installazione: una forma di teatralità molto diffusa oggi.
Tiziana Scandaletti: Richiede però un coinvolgimento del pubblico, che
diventa attore entrando nello spazio “scenico”.
Sandro Cappelletto: Questo apre un altro discorso: è necessario ripensare alla
forma del concerto. La forma del concerto è una formula che nasce con il teatro
moderno, nel 1638. Il pubblico andava per sentire, non per partecipare.
Ora è chiaro che lo spettatore contemporaneo si domandi se questa formula
abbia ancora una sua validità, se possa essere applicata tale e quale alla tradizione
nuova. Berio insisteva molto sulla negazione dello spazio tradizionale, come pure sta
facendo Stockhausen: è necessaria una reinvenzione del luogo dove va ad agire
questo “teatro dell’ascolto”. Il ragionamento deve essere fatto in base anche alle
nuove possibilità tecnologiche di cui disponiamo, tecnologie di diffusione e
spazializzazione del suono […].
97
Il contesto e il luogo tornano ad essere di nuovo molto importanti. Questa volta
rispetto a Mano mobile clic, dove le arie condizionate funzionavano “staticamente”
all’interno di Palazzo Bricherasio, c’è un’interazione maggiore tra creazione
musicale, luogo e percorso del pubblico.
Riccardo Piacentini: Il fatto che si trattasse di un’opera che poteva essere
finalizzata ad uno spettacolo ha influenzato profondamente la scrittura del brano. Se
io avessi dovuto lavorare sui testi di Sandro [Cappelletto] soltanto per il CD,
probabilmente avrei lavorato in modo diverso. Chiunque scriva musica sa che
scrivere musica non è un atto “eroico”, ma un atto profondamente pratico che si
relaziona costantemente con gli stessi esecutori che la suoneranno. In questa
situazione, chi ha visto la partitura di Treni persi avrà notato una certa “linearità” di
scrittura, non sono andato a ricercare soluzioni complesse. Questa condizione, in
sostanza, mi è stata imposta dalla Milano Classica: bisognava fare in modo che il
brano fosse il più scorrevole possibile dal punto di vista della preparazione tecnica,
senza particolari difficoltà esecutive. Questa sorta di “contingenza” per cui non
dovevo solo incidere il disco, ma anche preparare lo spettacolo, è stata fondamentale
per la composizione del brano: dovevo tener conto di una certa “immediatezza di
studio” da parte degli esecutori […]. [Ascolto di alcuni estratti di Treni persi]
Questa è l’esperienza con Treni persi: ci si doveva confrontare con lo
spettacolo dal vivo nonostante l’esperienza nascesse, come nel lavoro precedente, per
una situazione, per un contesto ben preciso […].
Proseguiamo fino ad arrivare alla nostra ultima esperienza, la sonorizzazione
della miniera di Traversella.
98
Sandro Cappelletto: Rimane costante la commissione, la sollecitazione che
Riccardo [Piacentini] riceve di “animare” attraverso i suoni “l’operazione della
memoria”: far rivivere attraverso i suoni, le parole e il contesto questa miniera,
questo luogo che l’amministrazione locale cerca di non far sparire dalla memoria
collettiva.
Riccardo [Piacentini] come al solito inizia con le sue registrazioni ambientali.
La miniera è un mondo simbolico, straordinario e tragico allo stesso tempo: la
campana dell’inizio del lavoro, la campana della fine del lavoro, il rumore dei
vagoncini che portano giù i minatori, quello dei vagoncini che li riportano in
superficie […]. La miniera intesa come luogo di lavoro, quindi di fonte di guadagno
e di vita, la miniera come paura (magari quella vissuta dalle mogli e dalle madri), la
miniera come sfida di andare dentro le viscere della terra (è questo il suo fascino), la
miniera come morte, la miniera come pericolo costante, la miniera come sfida
continua: tutto questo noi lo troviamo riascoltando le registrazioni dei minatori che,
sollecitati da Riccardo [Piacentini], ricordano quello che il lavoro era stato lì.
Non c’è stato un mio intervento “autonomo” di scrittura. Mi sembrava così
bello, così immediato e così profondo il racconto dei minatori, la loro parlata
dialettale, il colore diverso delle voci: la voce più dolce, la voce più grave, la voce
più emotiva, la voce di chi è più abituato a ragionare…
Si stava creando, momento dopo momento, testimonianza dopo testimonianza,
una “realtà”…
99
Riccardo Piacentini: Dovete immaginarvi questi cinque minatori, ora sono
settantenni, ottantenni… sembrano usciti da un libro dell’Ottocento…
Sandro Cappelletto: […] Dopo aver ascoltato queste registrazioni ho pensato
che un mio intervento autonomo di scrittura avrebbe rovinato questo materiale. Si
trattava di elaborare un’opera con i foto-suoni della miniera (un universo acustico
meraviglioso), i racconti dei minatori, gli interventi vocali evocativi di Tiziana
[Scandaletti] e un coro popolare. Quest’ultimo intervento (un coro bravissimo),
deciso all’ultimo momento da Riccardo [Piacentini], si è rivelato essere un elemento
drammaturgico e musicale fondamentale.
Il mio lavoro è stato di montaggio, di creazione di un percorso: lo stesso
principio alla base di un documentario televisivo. Se voi ricordate i documentari di
qualche anno fa c’era una voce che narrava; adesso questa tecnica non si usa più, la
storia è ricomposta con gli interventi degli stessi protagonisti. Sono loro che
impostano la vicenda, di qualsiasi cosa parlino: inchiesta giornalistica, documentario
d’arte, documentario su un musicista. Il “luogo” del narratore e dell’intervistatore
viene sostituito dal “luogo” dell’intervistatore che sollecita le memorie dei
protagonisti, le loro verità e i loro racconti; poi le domande spariscono e nasce un
racconto fatto dalle testimonianze di quelli che sono stati i protagonisti.
Abbiamo adottato questa tecnica, l’abbiamo arricchita di altri elementi che
interagiscono tra di loro, ottenendo un lavoro di drammaturgia, di “mediazione” tra
documentario sonoro e creazione autonoma. Abbiamo portato alle sue estreme
conseguenze la poetica del foto-suono: la possibilità di “entrare” in un luogo. Questa
volta si è entrati nei suoni di quel luogo e nelle voci dei suoi protagonisti, di quelli
100
che hanno trasformato la miniera in un fatto vivo: la miniera che c’era e che adesso
non c’è più. Hanno età diverse, hanno storie diverse, facevano lavori diversi
all’interno della miniera e ognuno di loro racconta il proprio punto di vista.
Riccardo Piacentini: Vi sono elementi di natura diversa: la voce del soprano
che vocalizza, il coro popolare, le voci dei minatori che raccontano le loro storie e i
foto-suoni. Si può dire che le voci dei minatori e i foto-suoni siano in fondo della
stessa famiglia: se anche non capiste il loro dialetto, non è così importante…
Sandro Cappelletto: Non stiamo tanto a preoccuparci della comprensibilità
delle parole dei cinque protagonisti: secondo me, anche se non si capisce parola per
parola, arriva perfettamente il senso di quello che era il mondo della miniera […].
Riccardo Piacentini: L’intervento sulle due melodie popolari è avvenuto in un
modo molto semplice: ho trattato il materiale melodico attraverso una lettura in
codice. Questa lettura in codice, che non ha toccato gli originali canti popolari che
voi sentirete “annegati” in questi foto-suoni, è stata tradotta in un vocalizzo di
Tiziana [Scandaletti]. Questo vocalizzo avviene utilizzando lo stesso codice su
entrambe le melodie. Si tratta di meccanismi molto lineari; devo dire che più passa il
tempo più credo nei codici non troppo elaborati, non troppo complessi: si tratta solo
di individuare il codice funzionale per ottenere un certo risultato, facendosi anche
influenzare dal codice stesso, di cui non si conosce esattamente l’esito.
In sostanza, se la linea melodica è la seguente… [suona al pianoforte una
breve frase], io ho lavorato in modo tale che all’interno delle “campate” (trattandosi
101
di una struttura popolare è difficile tradurla in termini classici) potessero essere
estrapolate le note estreme. Il vocalizzo ricalca con una sorta di sinopia il canto
popolare.
Cercate ora, in via sperimentale, di giustapporre la melodia originale con
questa lettura in croce di Tiziana [Scandaletti] ricercando delle sincronie (notate, io
non amo sovrapposizioni e giustapposizioni). Soltanto in via sperimentale, tramite
l’ascolto, si possono ottenere, con un riverbero corretto e un trattamento appropriato
della voce, degli esiti sorprendenti dal punto di vista emotivo.
Nella seconda traccia di Mina minera mia ascolterete un canto popolare
eseguito con lievi stonature, che non sappiamo fino a che punto siano volontarie.
Abbiamo sentito un’altra esecuzione dello stesso canto che non le aveva, ma
abbiamo trovato questa molto più suggestiva e interessante. Su questo canto,
immerso nei foto-suoni, sentirete ad un certo punto la voce di Tiziana [Scandaletti]
intonare le stesse altezze che si sentono all’inizio. E’ necessario pensare in termini
contrappuntistici, in modo tale che ogni singola linea sia autonomamente funzionale,
potendo comunque interagire con le altre: una seconda, una terza, una quarta…
quante voci il compositore decida di aggiungere.
In questo caso ce ne sono due: quella del coro e quella di Tiziana [Scandaletti]
[…].
Il materiale inizialmente è stato ordinato secondo una successione
drammaturgica da Sandro [Cappelletto]. Quello che ho fatto è stato applicare i foto-
suoni secondo questa scaletta stabilita. Si tratta di un’operazione nuova rispetto a
quella del testo.
102
La seconda traccia si chiama Quattrocentoventi metri questo pozzo. Ascolterete
foto-suoni di pietre che rotolano in queste voragini che si sono create nelle gallerie
della miniera, sentirete sgocciolii d’acqua e la voce di Tiziana [Scandaletti] colta in
lontananza.
Il Coro Bajolese intona un canto popolare in cui si raffigura una donna che sta
aspettando il proprio uomo di ritorno dalla miniera, con tutta l’apprensione che si
può immaginare […]. [Fa ascoltare un frammento di Quattrocentoventi metri questo
pozzo129
]
Sandro Cappelletto: Si tratta di un’operazione colta effettuata su materiale in
gran parte popolare. Ad esempio il canto corale, con la sua forza evocativa
straordinaria, a maggior ragione se preceduto dalla rievocazione della malattia (che
ha la forza del compianto): se non fosse stato preceduto dal racconto della silicosi,
del polmone che si secca, avrebbe avuto un altro valore semantico. L’operazione
colta avviene nel montaggio di questi interventi e nella creazione di nuovi, come il
canto di Tiziana [Scandaletti], che apre questo segmento del percorso.
Credo che ci sia molta confusione oggi, quando s’invitano i compositori colti
ad essere più popolari e i compositori popolari ad essere un pochino più colti. Il
compositore colto lo è comunque, anche se tratta materiali popolari: li trasforma, li
elabora e restituisce qualcosa che prima non c’era.
Un esempio molto calzante è quello della Ciaccona di Bach: la Ciaccona è una
vivacissima danza centroamericana, portata in Europa attraverso i conquistadores
129 Dal CD Mina miniera mia – Rive-Gauche Concerti, RG 00014, Torino 2004
103
spagnoli. Arrivata in Germania è diventata una danza di corte molto formale, sulla
quale Bach costruisce la sua Ciaccona […].
La trasformazione è la metamorfosi semantica che questi materiali subiscono
grazie ad un lavoro compositivo e drammaturgico.
Riccardo Piacentini: Vorrei dirvi una cosa per me molto importante: non so se
vi è mai capitata l’esperienza che ho avuto leggendo certi libri, come quello di
Coomaraswamy, di cui vi parlavo prima. Non è tanto il singolo brano che può
colpirvi o meno, ma il complesso di un’operazione che può lasciare “in bocca” un
gusto piuttosto che un altro. Leggendo quel libro per la prima volta tante cose mi
sfuggivano, non riuscivo bene ad afferrarle; alla fine, letta l’ultima pagina, mi era
rimasto comunque qualcosa dentro, che nel tempo ho imparato ad apprezzare,
riprendendo immagini e luci.
Oggi non abbiamo il tempo di ascoltare tutto il CD; certamente da un ascolto
complessivo si potrebbe capire meglio il tipo di operazione […]. Sarebbe utile
seguire l’intero percorso di questi racconti dei minatori, invece di un solo
frammento…
Sandro Cappelletto: Ogni solco è un affetto suscitato dalla miniera, come
direbbe un compositore barocco. Vi leggo solo i titoli, sono tutte frasi dette dai
cinque minatori. La prima traccia è I minatori arrivavano al primo lavoro e poi…: la
scansione della giornata lavorativa. La seconda è quella che abbiamo appena
ascoltato, intitolata Quattrocentoventi metri questo pozzo. La terza si chiama Ecco un
104
colpo solo; a seconda dei rintocchi di campana vi erano diversi significati: un colpo
voleva dire “si parte”, due colpi “fermi”, tre colpi era il segnale d’allarme.
La quarta si chiama Si facevano tre turni: il lavoro era continuo, giorno e notte.
La quinta è Il manovale prendeva due e quarantotto, ovvero la paga che si prendeva.
La sesta è In tempo di guerra facevano anche il carbone, mentre l’ultima traccia è
intitolata …e il giorno dopo bisognava tirar fuori la testa, qualunque cosa fosse
successa.
Riccardo Piacentini: Considerate che di tutto questo non esistono altro che dei
canovacci di partitura: la partitura è il disco. I canovacci servono a chi ha fatto la
propria parte, a Tiziana [Scandaletti] e al coro. [Fa ascoltare la quinta e la sesta
traccia di Mina miniera mia130
]
A questo punto forse è il caso di lasciare spazio a voi, se ci sono delle domande
e osservazioni da porre…
Pubblico : Lei prima parlava di processo di composizione e non di
giustapposizione. A livello di sintassi, i foto-suoni come si rapportano con la musica
che scrive per strumenti tradizionali?
Riccardo Piacentini: In modo analogo a come si rapportano gli strumenti tra di
loro. Per me un foto-suono è un suono che si può trattare alla stregua di quelli della
tradizione, tanto più se si considera che tra questi abbiamo una miriade di suoni di
intonazione non fissa. Si tratta di stabilire dei codici, una logica interna, una sintassi.
130 Dal CD Mina miniera mia – Rive-Gauche Concerti, RG 00014, Torino 2004
105
Nei Treni persi, ad esempio, c’è un tipo d’organizzazione interessante, di cui non vi
ho parlato…
Col tempo ho definito diverse tecniche a livello sintattico d’utilizzo dei foto-
suoni. Se prendo una tastiera MIDI, non importa che lo faccia di fatto oppure agendo
direttamente sul computer, mi posso permettere di assegnare ad ogni altezza, ogni
tasto, un qualsiasi campione io decida […]. Posso a questo punto affidare ad un
determinato tasto un certo foto-suono, di durata variabile. Al tasto adiacente potrei
affidare lo stesso foto-suono shiftato131
, ed è la cosa più banale, oppure un altro foto-
suono; procedendo così potrei assegnare ad ogni tasto un foto-suono diverso.
Per evitare di fare solo un grande caos, una cosa senza senso, cominciamo
prima a fare una selezione di questi foto-suoni. Ad esempio, decido che i foto-suoni
assegnati ad una determinata ottava siano tutti della medesima “natura”: se sto
trattando foto-suoni ferroviari potrebbero essere tutti sbuffi di locomotive degli anni
Trenta. Se provo ad applicare una “linea melodica” a questo gioco di foto-suoni tra
loro organici, otterrò una serie di sbuffi più o meno variabili tra di loro…
Ora tutto questo a prima vista non è musica; chi ha però un punto di vista un
po’ più flessibile si chiederà se da tutto questo può venir fuori qualcosa di
interessante. Pensate a Donatoni quando diceva: <<Se una cosa mi piace la faccio, la
rifaccio e la ripeto…>>. Immaginiamo che a me piacciano gli sbuffi delle locomotive
elettriche degli anni Trenta: vado allora a cercarne di tutti i tipi immaginabili, ne
trovo mettiamo quaranta, mi interessano, li ritaglio uno a uno e li applico ad una mia
soluzione. Quest’ordine è già un primo principio di sintassi: otterrò uno strumento
131 Suono di cui è stata modificata elettronicamente l’altezza.
106
MIDI che chiamerò “Sbuffo”, o “Locomotiva anni Trenta”. Oppure decido di mixare
questi insieme ad un altro tipo di foto-suono: provo, faccio, insisto…
La sintassi che ne risulta è arbitraria; d’altra parte però, non vorrei apparire
troppo radicale, in qualsiasi partitura tonale c’è un bagaglio di convenzioni che
nessuna natura ha mai imposto, che è stato l’uomo a decidere. L’uomo ha fatto si che
quell’organismo risultasse funzionante, accettando che una grande accozzaglia di
suoni potesse funzionare sulla base di abitudini, sulla base di consuetudini che si
sono radicate nel tempo […]. Qualche giorno fa eravamo in India ed ascoltavamo,
all’interno di una scuola di musica, i ragazzi che ripetevano ciò che l’insegnante
suonava loro. Noi eravamo in grado di riconoscere se le ripetizioni erano abbastanza
simili, però non eravamo in grado di capire se l’insegnasse facesse o meno qualcosa
di perfetto.
Se decido di organizzare secondo un codice il materiale selezionato, ho
possibilità di ottenere qualcosa di musicale: posso selezionare il codice che funziona
meglio rispetto agli altri anche in via sperimentale, provando e riprovando, sulla base
dell’esperienza.
Ascoltiamo l’ultima traccia dei Treni persi: in questo caso c’è l’inizio dei Treni
persi a cui ho provato ad applicare un trattamento di foto-suoni ferroviari campionati.
Non sono arrivato immediatamente a questo risultato, ci sono arrivato in via
sperimentale. [Fa ascoltare Sinfonia II132
]
Sono consapevole che questo meccanismo sia molto banale; mi sembra però
che sia anche estremamente funzionale per ottenere un certo risultato. Dipende
132 Dal CD Treni persi – Rive-Gauche Concerti, RG 00012, Torino 2003
107
naturalmente dalla scelta del materiale: è per questo che do molta importanza alla
selezione iniziale.
Questo è un modo di creare una sintassi di foto-suoni. Prendiamone in
considerazione un altro: voi sapete che uno dei meccanismi fisiologici più elementari
è quello di causa – effetto.
Vi farò due esempi, uno speculare all’altro: rappresentando graficamente una
successione di foto-suoni [traccia un grafico], i picchi potrebbero rappresentare
un’intensità, o una densità di frequenze, non importa… Mettiamo che questa [l’asse
x] corrisponda all’asse del tempo, mentre questa [l’asse y] corrisponda alla densità
delle frequenze presenti. Potete vedere che questi picchi sono disposti secondo un
ordine, secondo una sommaria distanza. Se io decido che nei punti culmine accade
qualcos’altro, Tiziana [Scandaletti] fa un determinato intervento vocale, mentre qui
[indica i punti più bassi] il minatore inizia a parlare, io sto applicando un percorso
compositivo che va già oltre la selezione dei singoli materiali: organizzo la
disposizione di questi materiali secondo una logica, un codice.
Tutto ciò potrebbe suonare a qualcuno meccanico. La mia opinione è che la
musica occidentale sia essenzialmente meccanica. La quantità di meccanicismo che
risulta da un’opera potrà essere variabile, ma, di fatto, nella nostra tradizione
occidentale la musica ha una componente meccanica, rigida, schematica. Pensate alla
preoccupazione di dover sincronizzare i singoli strumenti. Questa è una di quelle
“follie” in cui ci siamo messi in occidente e che non riguarda, ad esempio, la musica
orientale: se due strumenti della tradizione indiana devono suonare insieme, non
sono ossessivamente preoccupati dalle coincidenze verticali, come accade nella
nostra musica.
108
Vediamo l’altro esempio: se questa linea non corrispondesse più all’andamento
dei foto-suoni, ma ad esempio ad una linea melodica cantata, io posso far intervenire
un certo tipo di foto-suoni in corrispondenza dei picchi, oppure in corrispondenza di
un altro evento ricorrente.
C’è un proverbio tedesco che dice, tradotto in italiano: <<Ciò che avviene una
volta sola è come se non fosse mai avvenuto>>. Si potrebbe dire, molto
schematicamente, che un evento debba ripetersi almeno tre volte per riuscire più
credibile. Si potrebbe fare un esempio a tale riguardo: è un esempio che mi fece
Franco [Donatoni], un po’… alla Salvator Dalì. Eravamo seduti al bar e mi disse:
<<Se qui, adesso, entrasse un dromedario e chiedesse una Coca Cola… tutti
saremmo quantomeno disorientati. Se però domani fossimo ancora qui ed entrasse di
nuovo il dromedario, e così dopodomani, e il giorno dopo ancora… Ah! Eccolo qua,
il nostro amico che viene a prendersi la Coca Cola!>>. E’ paradossale questo
esempio, si capisce.
In musica sono convinto che se un evento si ripropone più volte, finisce per
diventare credibile. Chi si occupa di composizione sa bene che il senso del far
musica è qualcosa di inafferrabile. Stravinskij diceva: <<Tutta la musica tonale è
musica di danza>>. Quindi, se vogliamo schematicamente semplificare, da prima di
Bach a Stravinskij compreso, tutta la musica colta può essere ricondotta a una
marcia, ad un valzer, ad una struttura quaternaria, ecc.
Ci si potrebbe a questo punto domandare se la musica non tonale è obbligata ad
essere musica di danza. Prendiamo un brano degli anni Sessanta di Ligeti, Lux
Aeterna: nessuno mai ricondurrebbe questa musica alla danza, perché è costruita in
modo tale che i principi metrici sono volutamente infranti. Le quintine sono
109
costantemente sfasate in modo che nelle prime misure non si ritrovi nessun battere.
Tutto questo darà come risultato un senso d’instabilità ed una totale ametricità del
brano.
Se questa ametricità non viene rinnegata dopo poche battute, l’ascoltatore entra
in una dimensione “gestuale”: è il gesto ad interessare, il gesto dell’inchino, non la
sua manifestazione particolare. La comprensibilità del gesto si riconduce alla
ripetizione dello stesso, ad una serie di inchini. La domanda di prima è questa: qual è
la sintassi che regola l’insieme di questi inchini? Nella vita quotidiana ci sarà una
finalità a tutto questo; in musica è inafferrabile, difficile da raccontare. Se io però
cerco dei codici troverò delle ricorrenze e potrò dire: <<Ecco, quando il mio inchino
tocca terra succede questo…>>. Chi ascolta musica intende (o si spera che intenda)
che c’è una logica interna che porta avanti il discorso.
Pubblico: Mi risulta più semplice capire la sintassi applicata ai foto-suoni se
immagino un’organizzazione di frammenti brevi, riconducibili a suoni percussivi.
Nel caso di cellule estese, la sintassi rimane invariata?
Riccardo Piacentini: Il principio è lo stesso. Posso avere delle entità
puntiformi, oppure, ad esempio, di forma rotonda […]. Possono esserci delle cellule
più grandi e altre più piccole, delle entità più formate e altre minime. E’ il principio
della frattalità…
Riprenderei ora quell’osservazione che si è fatta precedentemente sulla
decontestualizzazione. Tutto ciò che nasce contestualizzato, a mio avviso, ha una
probabilità di vivere anche al di fuori del contesto; tutto ciò che non nasce
110
contestualizzato è destinato a rimanere in un cassetto. Qualunque oggetto culturale,
non solo artistico, che nasca all’interno di un contesto, nasce con una sua ragione
d’essere, una sua vitalità. In mancanza di questa ci potrà essere la necessità intrinseca
dell’artista di esprimersi, ma finché non andrà oltre sé stesso non ci sarà interazione.
Ciò che nasce contestualizzato deve però trovare anche le condizioni per vivere
al di fuori del contesto. In fondo la sala da concerto, così come la intendiamo, è una
situazione che ha permesso a molta musica di sopravvivere. La sala da concerto è
stata il contesto capace di accogliere e far sopravvivere una Cantata o una Passione
di Bach, nate per essere eseguite all’interno di una chiesa.
Che senso ha fare questo? Se vogliamo essere radicali nelle posizioni, come
Coomaraswamy, non ha nessun senso. Il fatto curioso è che Coomaraswamy si
dichiara reazionario, critico nei confronti dell’arte contemporanea perché non vi
trova nessuna ragione d’essere. In realtà un’alternativa la offre: <<Per quale motivo,
anziché essere uomini che recuperano il passato, non viviamo il presente?>>. Questo
in passato avveniva, ma dalla nascita dell’estetica in poi è andato gradatamente
morendo. Il compositore occidentale è diventato, dall’Ottocento in poi, un
intellettuale; facendo in questo modo si è progressivamente estraniato dal sociale.
Tiziana Scandaletti: Oggi l’arte non è solo la musica colta: il cinema, ad
esempio, è un’arte perfettamente integrata. La nostra sfida è contestualizzare nella
contemporaneità un certo modo di pensare che si evolve da quattrocento,
cinquecento anni a questa parte.
111
Sandro Cappelletto: […] Stiamo entrando in un discorso in bilico tra la
necessità creativa e la tutela di un patrimonio. Sono tutte domande che altre forme
artistiche non si pongono perché vivono con una costante verifica del mercato; molto
spesso i soldi che le finanziano sono soldi privati, non finanziamenti pubblici,
arrivano o non arrivano a seconda delle regole del mercato.
Io non ho chiaramente a fuoco in che periodo siamo: se siamo in un lungo
declinare, o se siamo in un periodo creativamente molto stimolante che però deve
ancora trovare i suoi luoghi, le sue forme rappresentative adatte… un cibo nuovo
sacrificato in un contenitore vecchio. Sono più propenso a credere quest’ultima
soluzione e quindi a ribadire il ruolo fondamentale degli organizzatori artistici della
politica culturale, per permettere a queste forme nuove, a questo cibo nuovo, di
vivere e mettersi alla prova, però in contesti favorevoli…
E’ chiaro che oggi la funzione sociale del compositore è molto dubbia da
stabilire. Questa domanda non riguardava Mozart. Ogni corte e molte case private
avevano il loro compositore e la loro orchestra; la produzione e il consumo di musica
era frequente in molte occasioni private, sociali, mondane: compleanni, matrimoni,
funerali, feste, etc. Il musicista era chiamato a fornire un prodotto che doveva
rispettare certi canoni, immediatamente riconoscibili dal pubblico.
Chiaramente all’interno di questi canoni c’è un musicista liberissimo, ma il
canone era stabilito. E’ Mozart che comincia a porre il problema, vissuto poi da
Beethoven, di un’autonomia creativa, di una non dipendenza dalle occasioni
compositive. In fondo Bach scriveva una Cantata ogni domenica: questo era il suo
compito; lui protestava perché gli davano musicisti troppo giovani o poco seri,
112
pretendeva di più… chiedeva più soldi come qualsiasi lavoratore. Il suo ruolo sociale
era chiaro, la sua necessità sociale lo legittimava.
Poi è nato l’artista. Mozart certamente si sentiva artista, ma non era considerato
in questo modo: era considerato un artigiano della musica che doveva fare quello che
gli veniva commissionato. Questo, nonostante creasse problemi sulla sua
individualità creativa, gli garantiva un ruolo sociale riconosciuto. […]
Riccardo Piacentini: Io ho l’impressione che oggi si dia al prodotto artistico
una valenza che non è l’unica possibile. Ricreare le condizioni favorevoli per
ospitare in un contesto odierno un prodotto artistico nato duecento anni fa non è
l’unica soluzione possibile. Faccio un esempio: ascoltare dei monaci che cantano
canti gregoriani in una chiesa ha un significato totalmente diverso dall’ascoltare gli
stessi in una sala da concerto. Io personalmente preferisco ascoltarli all’interno di
una chiesa, perché l’ascolto in una sala da concerto toglierebbe il senso al canto
stesso. Verrebbe tolto un aspetto imprescindibile, un certo tipo di “riverbero” […].
Pubblico: Non pensa che la musica possa veicolare delle sensazioni, dei
messaggi anche al di fuori dal suo contesto?
Riccardo Piacentini: Certo, io naturalmente sarò contento se la mia musica
avrà la vitalità per uscire dal contesto per cui è stata composta, per essere ascoltata
altrove. Dico solo che il punto di partenza è contestuale, è nel suo contesto che si
coglie il senso originario del lavoro, io lo dichiaro esplicitamente: dal mio punto di
vista quello che ho fatto per quel contesto è qualcosa in cui ho creduto […].
113
E’ un fatto prima di tutto di conoscenza culturale sapere che una determinata
musica è nata per un determinato contesto, e che io estrapolandola da quel contesto
sto facendo un’operazione che ne altera il significato. Questo è un passo che sta
dietro a tutto e mi pare che nella maggior parte dei casi non si faccia […].
Se un ente concertistico commissionasse un pezzo ad un compositore, il pezzo
verrebbe scritto per una specifica situazione, per un’orchestra, per un esecutore, per
un contesto con un determinato pubblico. Il pezzo sarebbe vivo, nascerebbe per
qualcosa di preciso […]. Se gli organizzatori degli enti concertistici ragionassero di
più in questo senso sarebbe molto vantaggioso per tutti i musicisti e tutti i
compositori.
Sandro Cappelletto: Grazie a tutti!
114
Appendice II
Riccardo Piacentini
Riccardo Piacentini è nato a Moncalieri il 3 luglio 1958. Laureato in Lettere
con una tesi sui Concerti per orchestra di Goffredo Detrassi, è diplomato in
Composizione e in Pianoforte. Ha studiato con Carlo Pinelli e Roberto Cognazzo,
seguendo corsi di perfezionamento e seminari con Franco Donatoni (dall’84 all’87),
Sylvano Bussotti, György Ligeti, Ennio Morricone, André Richard (per la musica
elettronica al Centro Strobel di Freiburg), Karlheinz Stockhausen e nell’88 ha
partecipato agli Internationalen Ferienkurse für Neue Musik di Darmstadt. I suoi
lavori sono stati premiati da giurie internazionali (Accademia Chigiana di Siena,
Radio-France e Conservatoire National Superieur de Paris, Concorso Zafred, SIMC e
Presteigne International Festival, I.C.O.N.S., Nuove Sincronie, Franco
Evangelisti...). Regolarmente eseguito in Italia e all’estero, nel febbraio ’97 è stato
invitato, insieme a Giacomo Manzoni, quale compositore ospite al Festival of Italian
Contemporary Music di Vancouver, dove ha avuto luogo la prima rappresentazione
del suo dramma spirituale in un atto e tre quadri "Mal’akhim" e dove ha tenuto
seminari presso la Simon Fraser University, la UBC. e la Vancouver Academy of
Music. Ha inoltre tenuto concerti e master-class sulle sue musiche all’Accademia
Sibelius di Helsinki (febbraio ‘98), al Conservatorio e al III e IV Festival di Musica
Nuova di Tashkent (aprile ‘98, aprile ‘99), al Centro Cultural San Martìn di Buenos
Aires (ottobre ‘98), in diverse Università americane (settembre 2000, Rutgers State
University of New Jersey, Bowling Green State University of Ohio, UMBC etc.), al
Conservatorio di Almaty, alla Arts Academy di Jakarta, alla Joong Ang University di
115
Seoul e al Conservatorio Centrale di Pechino... Nel dicembre ‘98 "Mal’akhim" è
stato ripreso in prima italiana con l’allestimento del Teatro Regio di Torino e l’idea
di regia di Sylvano Bussotti e radiodiffuso integralmente dalla RAI, e ancora nel
2000 in occasione delle Manifestazioni per l’Ostensione della Sindone. Nel febbraio
‘99 il suo spettacolo per bambini "7x7+7" è stato programmato dall’Accademia
Nazionale Santa Cecilia di Roma e, nell’aprile dello stesso anno, dal Teatro Ilkhom
di Tashkent in lingua russa. Nello stesso anno ha composto le "Musiche dell’aurora",
raccolte in due cd per la prima sonorizzazione della Biennale Internazionale di
Fotografia di Torino (Palazzo Bricherasio, settembre-ottobre 1999), prima
testimonianza compiuta di "foto-musica con foto-suoni"®, cui fanno seguito, due
anni dopo, le "Arie condizionate", su testi originali di Sandro Cappelletto, in un cd
per la seconda sonorizzazione, e "Sine nomine", sempre su testi di Cappelletto, per la
commemorazione della Shoa’ al Teatro Carlo Felice Genova, nel 2003 il cd di
sonorizzazione del Museo Ferroviario di Bussoleno "Treni persi" e nel 2004 quelli
per le Miniere di Traversella "Mina miniera mia" e la Reggia di Venaria Reale
"Musiche della Reggia di Venaria Reale". Pubblicazioni da Curci, Edipan, Agenda e
Rugginenti. Incisioni per Radio-France, RAI, RSI, Radio Nazionale Uzbeca, Radio
Vaticana, Curci, Datum, DDT, Edipan, Happy New Ears, Nuova Era, Rainbow,
Rivoalto, Stradivarius. Di recente uscita per le Edizioni Curci il testo ad uso dei
Conservatori "Armonia tonale". Dal 1980 è docente di Conservatorio, ora titolare
della cattedra di Armonia, Contrappunto, Fuga e Composizione presso il
Conservatorio di Alessandria. Come pianista collabora in modo stabile con il soprano
Tiziana Scandaletti, con cui nel 1997 ha formato il Duo Alterno (tournée in
Argentina, Australia, Belgio, Canada, Cina, Corea, Danimarca, Finlandia, Francia,
116
India, Indonesia, India, Indonesia, Kazakhstan, Norvegia, Olanda, Russia, Singapore,
Svezia, Turchia, USA, Uzbekistan... con prima incisione di "Du Dunkelheit" di
Giacomo Manzoni per la Curci, di quattro CD monografici dedicati a Giorgio
Federico Ghedini, Alfredo Casella e Franco Alfano per l’etichetta Nuova Era e di un
CD dal titolo "La voce contemporanea in Italia" per la Stradivarius). E’ fondatore e
dal 1986 direttore artistico dell’Associazione musicale Rive-Gauche Concerti di
Torino, attiva per la promozione e diffusione della musica del Novecento e
contemporanea.133
133 La biografia è a cura di Riccardo Piacentini. Vedi sito internet
http://www.arpnet.it/rgauche/RICCARDOPIACENTINI.HTML
117
Bibliografia
- Albèra, Philippe – Modernità: la forma musicale – in Nattiez, Jean-Jacques (a
cura di) – Enciclopedia della Musica – Einaudi, Torino 2001
- Bassetti Sergio; Bandirali Luca (a cura di) – FOCUS ON SOUND 1°.
Introduzione all’ascolto dei suoni non musicali nel cinema – Segnocinema –
Rivista cinematografica bimestrale, n. 130 (novembre, dicembre 2004)
- Bassetti, Sergio; Bandirali, Luca (a cura di) – FOCUS ON SOUND 2°.
Introduzione all’ascolto dei suoni non musicali nel cinema – Segnocinema –
Rivista cinematografica bimestrale, n. 131 (gennaio, febbraio 2005)
- Bianchi, Stefano – La musica futurista: ricerche e documenti – Libreria
Musicale Italiana Editrice,1995
- Boivin, Jean – Musica e natura – in Nattiez, Jean-Jacques (a cura di) –
Enciclopedia della Musica – Einaudi, Torino 2001, pp. 322/347
- Brandi, Cesare – Teoria generale della critica – Editori Riuniti, Roma 1998
- Cappelletto, Sandro; Piacentini, Riccardo; Scandaletti, Tiziana – Seminario
sulla “foto-musica con foto-suoni”® – Vigliano Biellese, 15 settembre 2004,
trascrizione e adattamento a cura dello scrivente
- Chion, Michel – L’arte dei suoni fissati o La Musica Concretamente –
Edizioni Interculturali, Roma 2004
- Chion, Michel – L’audiovisione. Suono e immagine nel cinema – Lindau,
Torino 2001
- Delalande, François – Il paradigma elettroacustico - in Nattiez, Jean-Jacques
(a cura di) – Enciclopedia della Musica – Einaudi, Torino 2001, pp. 380/403
118
- Feyerabend, Paul – Conquista dell’abbondanza. Storie dello scontro fra
astrazione e ricchezza dell’Essere – Raffaello Cortina Editore, Milano 2002
- Fubini, Enrico – L’estetica musicale dal settecento a oggi – Einaudi, Torino
1964
- Genette, Gérard – Palinsesti. La letteratura al secondo grado – Einaudi,
Torino 1997
- Griswold, Wendy – Sociologia della cultura – Il Mulino, 1997
- Kostelanetz, Richard (a cura di) – John Cage. Lettera a uno sconosciuto –
Edizioni Socrates, Roma 1996
- Lasio, Beatrice – Pierre Schaeffer e gli altri. La ricerca musicale – sito
internet www.conservatorio.trieste.it/mnt/analisi.asp
- Lévi-Strauss, Claude – Il crudo e il cotto – Il Saggiatore, Milano 1966
- Maffina, G. F. – Luigi Russolo e l’arte dei rumori – Martano Editore, Torino
1978
- Marconi, Luca – Muzak, jingle, videoclips – in Nattiez, Jean-Jacques (a cura
di) – Enciclopedia della Musica – Einaudi, Torino 2001
- Mayr, Albert (a cura di) – Musica e suoni dell’ambiente – CLUEB, Bologna
2001
- Nattiez, Jean-Jacques – Il discorso musicale – Einaudi, Torino 1987
- Palomba, Cristina - Pierre Schaeffer: alla ricerca dell’oggetto sonoro – sito
internet http://users.unimi.it/
- Piacentini, Riccardo – “Foto-musica con foto-suoni”® – sito internet
www.arpnet.it/rgauche/RICCARDOPIACENTINI.HTML#foto-
musica%20riccardo
119
- Piacentini, Riccardo – Booklet del cd Musiche dell’aurora – FIF e Rive-
Gauche Concerti, RG 00005, Torino 1999
- Prieberg, Fred K. – Musica ex machina – Einaudi, Torino 1963
- Santarcangelo, Enzo – Oggetti ed attenzione estetica: il caso della “Musique
Concrete” – sito internet http://www.filosofico.net/musiqueconcreteenzo.htm
- Schafer, R. Murray – Il paesaggio sonoro – BMG Ricordi, Roma 1985
- Schafer, R. Murray – Musica / non musica, lo spostamento delle frontiere –
in Nattiez, Jean-Jacques (a cura di), Enciclopedia della Musica, Einaudi, pp.
348/359
- Schönberg, Arnold – Manuale d’armonia – Il Saggiatore, Milano 1963
- Smalley, Denis – The listening imagination: listening in the electroacustic
e r a – in Companion to Contemporary Musical Thought, volume 1,
Routledge, London 1992
- Truax, Barry – Electroacustic Music and the Soundscape: The Inner and
Outer World – in Companion to Contemporary Musical Thought, volume 1,
Routledge, London 1992
- Truax, Barry – Genres and techniques of Soundscape Composition, as
developed at Simon Fraser University – Published in Organised Sound, 7(1),
5-14, 2002 – sito internet www.sfu.ca/~truax/
- Truax, Barry – La complessità interna ed esterna della musica – in
Musica/Realtà, 1994 15 43, pp. 137-154
- Xenakis, Iannis – Musica, architettura – Spirali, Milano 2003
- Zanardi, Anna – Il coaching automotivazionale – FrancoAngeli, Milano 2000
120
Ringrazio di cuore tutti quelli che mi hanno aiutato e consigliato nella stesura
di questo lavoro: Gaia Varon, Nicola Pedone, Maria Maddalena Novati, Giovanni
Belletti, Luca Bandirali, Enrico Terrone, Pierluigi Basso, Barry Truax.
Un particolare ringraziamento a: Riccardo Piacentini, per essere stato sempre
disponibile ed avermi offerto preziosi suggerimenti; ai miei genitori e ad Elena, per
avermi aiutato nella trascrizione del seminario; a tutto il gruppo di ricerca del
progetto Nuovi Linguaggi Museali, per avermi fornito interessanti spunti di
riflessione.