MUSEO CIVICO ARCHEOLOGICO DI CASTELFRANCO ......5 Il nostro Museo Archeologico, in dalla sua...

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MUSEO CIVICO ARCHEOLOGICO DI CASTELFRANCO EMILIA “A.C. SIMONINI” GUIDA a cura di Diana Neri con la collaborazione di Giulia Mannino

Transcript of MUSEO CIVICO ARCHEOLOGICO DI CASTELFRANCO ......5 Il nostro Museo Archeologico, in dalla sua...

  • MUSEO

    CIVICO ARCHEOLOGICO

    DI CASTELFRANCO EMILIA

    “A.C. SIMONINI”

    GUIDA

    a cura di Diana Neri

    con la collaborazione di Giulia Mannino

  • © Ante Quem 2019

    Ante QuemVia Senzanome 10, 40123 Bologna tel. e fax + 39 051 4211109 - www.antequem.it ISBN 978-88-7849-141-0

    Crediti fotografici delle schede di catalogo:Fabio Lambertini, per IBC (l’età del Bronzo, la prima età del Ferro, la seconda età del Ferro, l’età Romana, Medioevo ed età Moderna);Erica Filippini, Università di Bologna, e Paolo Terzi (La documentazione numismatica);Roberto Macrì, SABAP-BO-MO-RE-FE, e Manuela Mongardi, Università di Bologna (La documen-tazione epigrafica).

  • IndIce

    Presentazioni (Maurizia Cocchi Bonora, Giuseppe Guberti) 5

    Introduzione (Diana Neri) 7

    Dalla Raccolta Civica al Museo Civico Archeologico “A.C. Simonini” (Giulia Mannino) 9

    Preistoria (Maurizio Cattani, Giulia Mannino) 11

    La prima età del Ferro (Diana Neri, Riccardo Vanzini) 23

    La seconda età del Ferro (Sara Campagnari, Giacomo Mancuso) 39

    L’età Romana (Francesca Foroni) 53

    La documentazione numismatica (Erica Filippini) 65

    La documentazione epigrafica (Manuela Mongardi) 77

    La via Emilia (Silvia Pellegrini) 89

    Medioevo ed età Moderna (Mauro Librenti) 97

    I nuovi pannelli museali (Giulia Mannino, Paola Calace) 111

    La sezione interattiva (Giacomo Mancuso) 117

    Bibliografia 121

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    Il nostro Museo Archeologico, fin dalla sua fondazione avve-nuta nel lontano 1999, è motivo di vanto e fiore all’occhiello in tutta la Regione, configurandosi come polo culturale in grado di essere sempre al passo coi tempi e in continua crescita. È in questo contesto che il Museo si pregia di aver organizzato mo-stre tematiche e pubblicazioni incentrate sulla valorizzazione e la promozione della storia del nostro territorio, in stretta collabo-razione con le Istituzioni. Basti pensare alla mostra archeologica del 2017 “Alle soglie della romanizzazione. Storia e archeologia di Forum Gallorum”, inserita nell’ampio filone di eventi previsto per la celebrazione di Mutina splendissima – l’antica città di Mo-dena fondata 2200 anni fa –, e parte integrante del progetto “2200 anni lungo la via Emilia”, un progetto nato da una forte collabo-razione delle Amministrazioni locali, unite nello sviluppo comu-ne. La mostra, fortemente voluta in una prospettiva di riscoperta del territorio dell’antica città di Castelfranco Emilia, espose al pubblico reperti archeologici di inestimabile valore, sottolinean-do l’importanza della nostra città sin dall’epoca romana, ombeli-co dei traffici commerciali fra le colonie di Mutina e Bononia.

    Altra iniziativa pregevole è la recente mostra “Una sosta lungo la via Emilia. La mansio di Forum Gallorum a Castelfranco Emilia”, legata alla scoperta archeologica sul nostro territorio di un’antica mansio romana, stazione di posta per viaggiatori, ritrovata dopo un attento lavoro di archeologia preventiva nei pressi di via Val-letta ai bordi della via Emilia. L’evento ha testimoniato l’impor-tanza di Castelfranco sin dall’antichità, da sempre una direttrice di traffico rilevante che aggancia una rete viaria e i centri princi-pali della regione; una terra ricca di acque e terre rigogliose e un popolamento generato dall’incontro di diverse etnie e tradizioni culturali.

    È grazie alle illustri collaborazioni, alle nuove scoperte e all’esigenza di essere sempre al passo coi tempi che nasce la nuova guida museale proprio nel ventennale anniversario del-la fondazione del museo. Sebbene la società viva un periodo di incertezza, è necessario, anche se a volte difficile, investire nella cultura, perché solo attraverso una piena conoscenza della pro-pria storia, delle tradizioni e delle potenzialità del territorio la nostra comunità potrà elevarsi, affinché il patrimonio culturale possa diventare parte della vita di ogni cittadino.

    Quanto abbiamo fatto non sarebbe stato possibile se non gra-zie alle Istituzioni Pubbliche, alla Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara, all’Istituto per i

    Presentazioni

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    Beni Artistici e Culturali e Naturali dell’Emilia-Romagna, alle Università di Bologna, Modena e Reggio Emilia e alla collabo-razione dell’Associazione di volontariato Forum Gallorum, che ringrazio infinitamente.

    Maurizia Cocchi BonoraVicesindaco, Assessore alla Cultura

    Forum Gallorum è un’associazione di volontariato che nasce nel 1999 a seguito dell’apertura del Museo Civico “A.C. Simoni-ni” del comune di Castelfranco Emilia.

    Lo scopo di questa associazione culturale è la valorizzazio-ne della storia del nostro territorio. Collaboriamo alla gestione del Museo Civico Archeologico provvedendo alla sua apertura e garantendo ai visitatori l’assistenza di personale qualificato con visite guidate.

    Per quanto attiene alla didattica, uno dei progetti più amati e seguiti, laureati in storia o archeologia tengono lezioni nelle scuole del territorio provocando così la curiosità degli alunni per il nostro passato, per le popolazioni che hanno vissuto nel nostro territorio e per i nostri monumenti.

    A seguito degli scavi archeologici più recenti, l’occasione del ritrovamento di un edificio e di spazi annessi di età romana, che era una stazione di posta a nord-ovest di Castelfranco Emilia lungo la via Emilia, ha permesso di organizzare una mostra che ha avuto grande successo, all’allestimento della quale abbiamo fortemente partecipato: anche questo è uno dei compiti che la nostra associazione mantiene sin dalla sua costituzione, in quan-to concerne la promozione dei beni culturali anche con apparati divulgativi. E a proposito di promozione culturale, questa nuova guida del Museo Civico Archeologico ci pare un utile strumento di lettura per apprezzare il nostro patrimonio.

    Fino a quando ci saranno persone amanti della storia, dell’ar-cheologia e della cultura in generale, l’Associazione Culturale Forum Gallorum continuerà a dare il suo contributo.

    Giuseppe GubertiPresidente dell’Associazione Culturale Forum Gallorum

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    A vent’anni dalla fondazione del Museo Civico Archeologico, da qualche anno dedicato all’eclettico artista locale Anton Ce-leste Simonini – appassionato di storia antica e di archeologia che organizzò la prima raccolta civica del Comune –, la scelta di realizzare una nuova guida museale è sorta per offrire al fruitore l’idea della nascita, dello sviluppo, della storia e dell’identità di Castelfranco Emilia, una città da sempre luogo di frontiera che raccoglie in sé differenti tradizioni e culture.

    Denso popolamento sin dalla preistoria, fertili terre, ricchezza di acque e centralità nei traffici grazie all’asse della via Emilia sono il punto di forza della nostra cittadina: prima per villaggi e per piccoli centri sparsi sul territorio, poi con un centro cittadino e un borgo medievale, senza soluzione di continuità fino all’età moderna grazie anche al forte presidio sulle attività produttive locali, si va generando nel corso dei decenni a Castelfranco Emi-lia una grande potenzialità dei commerci e degli scambi anche a lungo raggio.

    Questa caratteristica si riflette nelle evidenze che vecchi e nuo-vi scavi archeologici hanno portato alla luce: è così che il Museo Civico Archeologico conserva attestazioni antichissime, con i ri-trovamenti dei primi nuclei abitativi e di antichi villaggi, come quelli terramaricoli e villanoviani nonché della civiltà etrusca af-fiorata con caratteristiche “urbane” con il rinvenimento del sito “al Forte Urbano”, fino alle testimonianze di epoca romana, con la fondazione dell’antico centro Forum Gallorum presumibilmen-te sotto al Borgo Franco medievale, oggi centro storico.

    La cultura materiale ci parla oggi anche dei Celti, che un vero unico centro non dovevano avere, essendo riuniti sul territorio in più zone e per villaggi.

    Grazie a quest’importante patrimonio archeologico, frut-to della continua ricerca sul nostro territorio, il Museo Civico Archeologico ciclicamente organizza mostre archeologiche che vantano illustri collaborazioni con la Soprintendenza Archeolo-gia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara, con l’Istituto per i Beni Artistici Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna e con le Università di Bologna, di Modena e Reggio Emilia.

    Esempio lampante della fervente attività culturale museale è stata ad esempio la mostra “Alle soglie della romanizzazione. Storia e archeologia di Forum Gallorum”, esposizione nata nel 2017 e inserita nell’ampio filone di eventi previsto per la celebrazione di Mutina splendissima e nel più ampio progetto di valorizzazione

    Introduzione

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    della via Emilia “2200 anni lungo la via Emilia”, testimonianza dell’importante collaborazione delle Istituzioni Pubbliche.

    La mostra sottolineò il prestigio di Forum Gallorum, centro ne-vralgico posto fra le colonie di Mutina e Bononia sin dalle pri-me fasi della romanizzazione, dove la vita rurale conviveva con un’intensa attività commerciale. Valorizzando le attestazioni numismatiche, epigrafiche e geomorfologiche, accompagnate dall’analisi delle fonti storiche, dei materiali archeologici e dei dati stratigrafici degli scavi, è stato restituito il quadro storico della piccola cittadina romana, Forum Gallorum.

    A quella esposizione, che diede molto lustro al nostro Museo, ne seguì una seconda in linea di continuità e appena terminata: “Una sosta lungo la via Emilia, tra selve e paludi. La mansio di Forum Gallorum a Castelfranco Emilia”, esposizione nata dal-le recenti scoperte archeologiche dovute alla verifica preventiva dell’interesse archeologico (D.Lgs. 50/2016), condotta dal Museo sotto l’egida della Soprintendenza a lato della via Emilia nei pres-si di via Valletta, in cui è venuta alla luce un’antica mansio romana.

    Questa scoperta ha sottolineato ancora una volta la centralità di Castelfranco Emilia sin dall’antichità e ha gettato luce sull’ot-tima collaborazione fra le Istituzioni e le diverse figure profes-sionali, capaci di rendere fruibile nel più breve tempo possibile l’immenso patrimonio venuto alla luce nel corso degli scavi, arri-vando così alla mostra e alla pubblicazione degli studi.

    La fervente attività di promozione e valorizzazione dell’archeo-logia locale, l’attenzione alla didattica, le importanti collaborazioni con le Istituzioni Pubbliche e le maggiori realtà culturali regionali hanno reso il nostro Museo un vanto per la città, tanto da esse-re insignito dalla Regione Emilia-Romagna del premio Museo di Qualità.

    Diana NeriDirettrice del Museo Civico Archeologico

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    I materiali archeologici rinvenuti nel territorio di Castelfranco Emilia furono esposti per la prima volta al pubblico negli anni ’70 del Novecento, in locali in uso all’Amministrazione Comunale presso un edificio in Corso Martiri.

    Il materiale era costituito da reperti ritrovati, durante numero-se attività di raccolte di superficie, dal pittore locale appassiona-to di antichità e antiquaria, Anton Celeste Simonini (1927-2007).

    Questo primo nucleo della raccolta civica venne organizzato dallo stesso Simonini insieme ad alcuni collaboratori, quali Adolfo Bicocchi e Arnaldo Dallolio.

    L’allestimento e lo studio scientifico dei diversi materiali fu invece opera del dott. Valerio Manfredi, che scrisse diversi con-tributi su alcuni dei ritrovamenti, in particolare sulle epigrafi se-polcrali romane.

    Inoltre, con queste prime raccolte, che comprendevano mate-riali di diverse epoche, dall’età del Bronzo al Medioevo, insieme ad altri oggetti sulle arti e i mestieri del mondo “contadino”, ven-nero organizzate diverse mostre didattiche per far conoscere alla comunità le origini del paese e la storia del territorio.

    I reperti vennero poi spostati e conservati in alcuni locali co-munali, insieme a oggetti di genere diverso, ovvero libri, quadri, collezioni e oggetti di antiquariato.

    Successivamente, venne creato uno spazio espositivo nei pres-si dell’ex oratorio di Santa Croce, oggi sede della Credem Banca, e in seguito la raccolta fu nuovamente spostata nei locali al di sopra dell’attuale Cinema multisala nuovo, in via Don Roncagli.

    A fine anni ’80 l’Amministrazione Comunale decise di avviare attività di catalogazione e sistemazione dei materiali archeologi-ci, attraverso un progetto scientifico diretto dalla dott.ssa Nico-letta Giordani, allora funzionario della Soprintendenza archeo-logica dell’Emilia-Romagna, e attuato dalla dott.ssa Diana Neri.

    Il prosieguo dei ritrovamenti di superficie e i numerosi sca-vi archeologici condotti dalla Soprintendenza tra fine anni ’80 e metà degli anni ’90, tra cui quelli in via Peschiera (1986), nell’area del Galoppatoio (1988-1992), nel Forte Urbano (1991-1996), in piazza Aldo Moro (1993) e nelle aree Cuccoli ed Ex Fiammiferi (1996), portarono a un notevole incremento del materiale della Raccolta Civica.

    Di conseguenza, l’Amministrazione Comunale acquistò i locali dell’ex canonica in Palazzo Piella su Corso Martiri e li recuperò ar-chitettonicamente per creare un nuovo spazio espositivo perma-nente. Il contenitore dei reperti archeologici è quindi esso stesso un bene culturale da valorizzare e da preservare per la comunità.

    Dalla Raccolta Civica al Museo Civico Archeologico

    “A.C. Simonini”

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    Si tratta infatti di un palazzo storico posto sulla via Emilia che fin dal XVI secolo fu di proprietà della famiglia bolognese Piella.

    La tradizione lo vede come il luogo in cui l’imperatore Carlo V nel 1529 e 1530, nel corso del suo viaggio verso Bologna per farsi incoronare dal Papa, si affacciò per passare in rassegna le truppe.

    Nel 1806 fu infine acquistato e convertito in canonica da Mon-signor Sammarchi e lasciato in eredità ai parroci successivi.

    Il nuovo Museo Civico Archeologico, intitolato ad Anton Celeste Simonini, venne inaugurato nel 1999 come frutto del-la collaborazione tra la Soprintendenza per i Beni Archeologi-ci dell’Emilia-Romagna, l’Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali (IBC) e l’Amministrazione Comunale di Castelfranco Emilia.

    Nel corso degli anni intervennero alcuni cambiamenti nell’al-lestimento dell’esposizione museale, a seguito anche di diverse attività di scavo archeologico e di ricerca, i quali dimostrano la costante vitalità del museo, che tra il 2009 e il 2011 conseguì an-che il prestigioso titolo di “Museo di qualità” dall’IBC/Regione Emilia-Romagna.

    Inoltre, vennero e vengono tuttora realizzate diverse mostre su contesti e tematiche relative alla storia del territorio, grazie anche alla collaborazione di diversi enti, come Università e So-printendenza. Queste iniziative sono il frutto dell’intensa attivi-tà di ricerca e valorizzazione attuata dal museo civico in questi anni, che ha sempre mantenuto come obiettivo la fruizione dei beni culturali locali per l’intera comunità.

    Infine, attraverso le convenzioni con gli enti sopra citati, il mu-seo è diventato anche sede di studio e formazione per molti gio-vani ricercatori e tirocinanti universitari.

    Giulia Mannino

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    La conquista della pianura. L’età del Bronzo nel territorio di Castelfranco Emilia

    Delle fasi più antiche della Preistoria nel territorio di Castel-franco Emilia si conosce ben poco. Le divagazioni fluviali del Pa-naro e dei tributari appenninici hanno eroso o sepolto le superfici dove si potrebbero trovare le tracce del popolamento antico. Gra-zie alle informazioni acquisite, sappiamo comunque che nelle re-gioni limitrofe gran parte della pianura era abitata e frequentata nelle diverse epoche dal Paleolitico all’età del Rame.

    Meglio noto è invece il momento in cui aumenta in modo si-gnificativo il popolamento corrispondente alla diffusione degli abitati durante l’età del Bronzo.

    Tra la fine del III e il II millennio a.C. si vennero a formare in Europa nuovi modelli sociali e organizzativi che permisero di attivare grandi abitati di lunga durata con comunità ben struttu-rate, capaci di trasformare il territorio e controllare le risorse con strategie più funzionali rispetto alle epoche precedenti.

    Palafitte, terramare e altri tipi di abitati individuati nelle re-gioni dell’Italia settentrionale sono occupati da centinaia di indi-vidui che adottano nuove tecniche agricole, sanno gestire ampie masse di animali domestici e attivano abbondanti produzioni artigianali con manufatti di ceramica, metallo (rame e in seguito bronzo), osso, corno e legno. Non mancano le evidenze di scambi di beni preziosi (ambra, metallo), che denotano una società carat-terizzata dall’aumento della complessità, con figure emergenti e ruoli differenziati all’interno della comunità.

    Proprio nell’area che gravita sul Po, l’espansione demografica raggiunge i massimi livelli con la costruzione delle terramare, abitati arginati da terrapieni e fossati, spesso connessi ai corsi d’acqua. Prodotto di un processo di colonizzazione o sviluppo locale avvenuto con intensità e modalità diverse per aree regio-nali, questa nuova densità demografica costituisce uno degli aspetti di maggiore interesse negli studi di Preistoria.

    Nell’area emiliana orientale e in Romagna le forme del popo-lamento sembrano essere diversificate, con adattamenti locali che mettono in luce un quadro regionale molto differenziato. La cul-tura materiale e le forme dell’insediamento mostrano complesse articolazioni, con una variazione sfumata da ovest verso est: il modello terramaricolo attestato più sistematicamente nelle pro-vince di Parma e Reggio Emilia si modifica e si alterna sempre più verso il bolognese, con diversi caratteri noti tradizionalmente nelle facies archeologiche dell’Italia centrale, prima alla cd. facies

    PreistoriaMaurizio Cattani

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    Maurizio Cattani

    di Grotta Nuova (Bronzo Medio 1 e 2), poi alla cultura Appennini-ca (Bronzo Medio 3) e infine al Subappenninico (Bronzo Recente).

    Nell’area della pianura tra Panaro e Samoggia (superficie di circa 200 km2) l’elevata densità demografica è ben testimoniata da circa 20 abitati con dimensioni superiori all’ettaro e oltre 30 attestazioni minori non ben determinabili (fig. 1). Nel territorio di Castelfranco Emilia sono segnalati 6 abitati, e la presenza delle comunità di villaggio – alquanto sottostimata per l’impossibili-tà di riconoscere tracce nel comparto lungo il torrente Samog-gia fortemente alluvionato nelle epoche successive – permette di comprendere lo schema del popolamento antico e di ricostruire le strategie di sfruttamento delle risorse1.

    Le ricerche condotte negli abitati di Gaggio, Podere Pradella e Rastellino hanno messo a disposizione degli studiosi abbondanti informazioni sulle condizioni ambientali e sull’organizzazione economica delle comunità dell’età del Bronzo. Possiamo affer-mare che fruissero di una discreta prosperità, grazie soprattutto alle nuove forme di coltivazione supportate da pratiche che per-mettevano di mantenere la redditività dei suoli e di ottenere un raccolto consistente (uso dell’aratro trainato da buoi, rotazione periodica delle aree destinate a colture, alternanza con specie ve-getali più adatte alla conservazione della redditività e gestione delle risorse idriche). La gestione del territorio si riflette anche nell’allevamento, con ampia disponibilità di mandrie di bovini, greggi di caprovini e maiali che integravano la dieta alimentare.

    Le ricerche archeologiche mostrano un consistente popola-mento già ampiamente attestato nel Bronzo Medio 1 (1650-1550 a.C.), con un aumento demografico progressivo nel Bronzo Me-dio 2 (1550-1450 a.C.) e nel Bronzo Medio 3 (1450-1350 a.C.), che sembra arrestarsi nel corso del Bronzo Recente 1 (1350-1250 a.C.). In questo momento l’inversione di tendenza nella crescita demo-grafica indica l’attivarsi di una crisi che porterà a un completo spopolamento di gran parte della pianura padana nel Bronzo Re-cente 2 (1250-1150 a.C.) e nella successiva fase del Bronzo Finale.

    L’illustrazione degli abitati dell’età del Bronzo nel territorio di Castelfranco Emilia seguirà l’evoluzione cronologica, mettendo in risalto le caratteristiche del processo di espansione nel corso della media età del Bronzo e le dinamiche del collasso alla fine dell’età del Bronzo Recente.

    Non ci sono informazioni disponibili per la fase dell’antica età del Bronzo (2300-1650 a.C.), ma si ritiene che il territorio fosse già occupato da piccoli insediamenti che avevano attivato forme di coltivazione (in particolare dei cereali) e di allevamento (buoi, capre, pecore e maiali). I dati ricavati dai dati pollinici negli strati precedenti la fondazione delle terramare rilevano una discreta presenza di cereali, interpretabile solo con forme di sfruttamento agricolo già attivato all’interno dell’estesa foresta planiziaria, te-stimoniata dalla preponderante percentuale di pollini delle spe-cie arboree. Presenze di questo periodo sono note lungo l’attuale alveo del Panaro, nel territorio del comune di San Cesario2.

    Nella fase successiva della media età del Bronzo (BM1 avan-zato, 1600-1550 a.C.) si osserva l’attivazione di piccoli abitati che

  • PreIstorIa

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    proprio nell’area di Castelfranco Emilia sembrano corrispondere a una vera e propria pianificazione di disboscamento e di tra-sformazione dei terreni per lo sfruttamento economico partico-larmente intenso lungo le direttrici fluviali e presumibilmente in prossimità di risorgive (fig. 2). Che il fenomeno non sia limitato, ma già diffuso in un’ampia area, è suggerito dal rinvenimento durante uno scavo di archeologia preventiva a Ponte Samoggia di Crespellano, che mostra caratteri simili nell’estensione e nella cultura materiale3.

    Il percorso di espansione verso una capillare occupazione del territorio sembra completarsi nel BM2 (1550-1450 a.C.) con veri e propri abitati strutturati delimitati da una palizzata o più fre-

    Carta dell’area tra Panaro e Samoggia con localizzazione dei siti della media età del Bronzo, fase iniziale (BM1)

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    quentemente da un terrapieno e un fossato. Si tratta nella mag-gior parte dei casi indagati di terramare di circa 1 ha di estensione con una popolazione che può arrivare a superare i 200 individui.

    Esemplificativo il caso della terramara di Gaggio, estesa ca. 1,5 ha4. Fondato in prossimità di un ramo del fiume Panaro fra la fine del XVII e la prima metà del XVI secolo a.C., l’abitato presenta un terrapieno e un fossato con caratteristiche difensive. Il fossato, lar-go ca. 6 m e profondo fino a 2,50 m è alimentato da un canale di derivazione collegato al Panaro e mostra solo un’interruzione di alcuni metri, dove gli scavi hanno messo in luce le tracce del ter-rapieno e una porta di ingresso al villaggio. Il sistema difensivo è costituito da una complessa struttura lignea sopraelevata costru-ita con una struttura a cassoni lignei autoportanti (Blockbau), un sistema ben noto dalla terramara di Castione Marchesi, ipotizzato anche per la terramara di Poviglio e recentemente individuato an-che nella terramara di Pragatto di Crespellano.

    L’abitato subisce un incendio nel corso del BM2 e la fortifica-zione viene ricostruita con un terrapieno realizzato con consi-stenti riporti di terra, in cui non si riconoscono più le strutture lignee di cassonatura.

    L’interno dell’abitato è scandito da due modelli di capanna: nelle prime due fasi di vita del villaggio le abitazioni a pian-ta rettangolare absidata sono costruite con il pavimento a ter-ra, mentre nella fase successiva sono presenti capanne a pian-ta rettangolare su impalcato ligneo secondo il classico modello palafitticolo-terramaricolo. La prima fase è ben testimoniata da caratteristiche forme ceramiche che trovano ampi confronti sia nelle terramare più occidentali sia nei materiali dell’Emilia orientale e della Romagna. La fase di abbandono dell’abitato è invece attribuita alla fine del BM3-inizi del BR (ca. 1350-1300 a.C.), accertata dalla presenza di indicatori ceramici come le

    Planimetria della terramara di Gaggio (da BalIsta et al. 2008)2

    Maurizio Cattani

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    anse con sopraelevazioni a corna falcate, a corna con apici ogi-vali e a corna bovine.

    Anche gli altri villaggi del territorio di Castelfranco mostrano caratteristiche simili. Non sono disponibili tuttavia informazioni relative alle strutture abitative e ancora poco si conosce delle rea-li estensioni degli abitati, rilevate ad oggi solo dalle osservazioni delle tracce delle strutture perimetrali nelle foto aeree.

    La terramara del Podere Pradella, che nasce nel corso del BM1 con un caratteristico impianto quadrangolare circondato da un terrapieno, sembra indicare il processo di trasformazione del po-polamento nel corso del BM3 (1450-1340 a.C.) e presumibilmente fino al BR1 (1340-1230 a.C.), quando l’abitato di ca. 2 ettari di esten-sione viene ampliato fino a raggiungere una superficie di oltre 10 ha, anch’esso delimitato da un terrapieno presumibilmente lungo un corso d’acqua o un fossato. Il fenomeno dell’ampliamento com-porta un aumento della popolazione e una maggiore complessità delle relazioni sociali. Il contemporaneo abbandono di alcuni dei piccoli abitati di 1 ettaro che si verifica in altri territori suggerisce un vero e proprio intervento di concentrazione della popolazione, forse suggerito da una maggiore praticità nella gestione economi-ca o forse imposto dalla presenza di un’élite sociale.

    I materiali provenienti dalle raccolte effettuate nell’800 e nel secolo scorso indicano che l’abitato è stato occupato per un lungo periodo dalla fase iniziale della media età del Bronzo fino all’età del Bronzo Recente avanzata. Recenti sondaggi nell’area setten-trionale dell’abitato hanno permesso di individuare materiali ce-ramici esclusivamente databili all’età del Bronzo Recente confer-mando l’ampliamento del villaggio.

    I materiali attribuiti alle fasi iniziali dell’abitato provengono prevalentemente da vecchie raccolte e pertanto non sono precisa-mente ubicabili. Recenti ricerche di superficie hanno evidenziato la loro presenza nell’area del primo abitato, mentre i frammen-ti ceramici databili tra Bronzo Medio 3 e Bronzo Recente sono stati individuati in entrambe le fasi. Nella prima fase si confer-ma la fusione di componenti culturali tipicamente terramaricole dell’area occidentale con elementi più frequentemente attestati in Emilia orientale e in Romagna. La continuità di vita dell’abita-to è attestata con le caratteristiche sopraelevazioni terramarico-le a corna brevi tronche, decorate frequentemente da cuppelle e solcature e dalle maniglie con estremità espanse, che conferma le frequenti relazioni con l’area orientale emiliano-romagnola.

    Le fasi di vita dell’abitato perdurano fino al Bronzo Recente, testimoniate da anse cilindro rette e da altre tipologie del Subap-penninico.

    La terramara di Rastellino è localizzata al confine tra le Pro-vince di Bologna e Modena a est della strada di Rastellino: solo la porzione meridionale del villaggio si trova nel comune di Castel-franco Emilia. Già nota nell’800, la terramara venne esplorata ne-gli anni ‘40 del secolo scorso da Ferdinando Malavolti e Renato Scarani, che visitarono più volte il sito con l’intento di recuperare informazioni per la compilazione della carta degli insediamenti preistorici emiliani.

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    L’area era riconoscibile da una serie di lievi ondulazioni di terreno più scuro, composto da argille grigiastre e caratterizza-to da grandi concentrazioni di materiali, che vengono raccolti in superficie5. Sulla base di queste raccolte e sfruttando le notizie storiche, Scarani propone un’estensione della terramara di Ra-stellino di ca. 3,5 ha (fig. 3).

    Recenti ricerche aerofotogrammetriche hanno proposto una prima interpretazione delle anomalie visibili nelle foto aeree6

    (fig. 4), delineando un complesso quadro di tracce relative a forme fluviali e a un impianto dell’abitato costituito da diversi nuclei insediativi affiancati e attraversati da un canale. Il pale-oalveo, immediatamente dopo essere fuoriuscito dalla seconda terramara, genera una diramazione che circoscrive un’ulteriore area quadrangolare di ampie dimensioni, per poi proseguire ver-so nord fino a raggiungere la terramara di Sant’Agata Bologne-se. Un’ulteriore traccia che delimita uno spazio quadrangolare è inoltre visibile nell’area nord-occidentale dei due nuclei insedia-tivi principali. Di tutte queste tracce non è possibile proporre una corretta interpretazione senza indagini stratigrafiche.

    Le strutture connesse all’abitato, dove sono stati raccolti ma-teriali dell’età del Bronzo, sembrano essere i due nuclei più meri-dionali. Sono di forma approssimativamente quadrangolare con angoli arrotondati, rispettivamente con assi di 95 x 80 m e 140 x 130 m e una superficie calcolata all’interno delle tracce di for-me fluviali di 7400 e 21700 m2. Le altre evidenze richiedono ul-teriori accertamenti per garantire l’origine antropica, ma potreb-bero non essere semplici forme fluviali meandriformi e riferirsi piuttosto a recinti o ad altre tipologie di strutture periferiche. La traccia a ovest misura 220 x 180 m con una superficie di 3,8 ha,

    Immagine da Google Earth con particolare dell’area di Rastellino3

    Maurizio Cattani

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    mentre la traccia più orientale è di 220 x 200 con una superficie di poco oltre 4 ha.

    Lo studio dei reperti permette di stabilire una lunga durata dell’abitato dalle fasi avanzate del BM1 al BR, in cui è maggior-mente rappresentata la fase centrale e avanzata del Bronzo Me-dio (BM2-BM3), con una scarsa presenza della fase precedente e una serie di attestazioni presunte per il Bronzo Recente. Pro-prio la scarsità degli indizi relativi al BR potrebbe corrispondere a una riduzione dell’area insediata, circoscritta forse a uno solo dei nuclei identificati dalle foto aeree.

    Nell’età del Bronzo Recente il sistema insediativo sembra ar-rivare alla massima espansione per poi entrare precocemente in crisi e collassare definitivamente verso la metà del XII secolo a.C., quando nell’area della pianura padana centrale rimangono rare tracce del popolamento precedente.

    Nelle fasi iniziali si assiste ancora a una tendenza di sfrutta-mento capillare del territorio, con la fondazione di nuovi abitati e con l’ampliamento di alcuni siti, fino a superare le dimensio-ni di 10 ettari. Alcuni siti precedentemente occupati da lungo tempo vengono abbandonati, ma questo processo sembra cor-rispondere a una sistematizzazione del controllo delle risorse che riflette forse anche un cambiamento nella struttura sociale7. Nella finestra territoriale l’abitato di Gaggio viene abbandonato, mentre quello di Redù sembra raggiungere la massima estensio-ne. Simile anche il comportamento dell’abitato di Castelfranco Emilia (Pradella), di cui tuttavia non conosciamo la possibile area di influenza a causa della scarsa leggibilità del territorio verso est, sepolto oggi da alluvioni del Samoggia di età romana e medievale.

    Restituzione grafica delle tracce individuate nelle foto aeree (sulla base delle tracce individuate da S. Luglietti)

    4

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    In contrasto con la tendenza all’accorpamento della popola-zione sono le attivazioni di nuovi siti nel BR1 come Crocetta di Sant’Agata e forse San Gregorio di San Cesario, che potrebbero corrispondere a strategie locali di aree da destinare a particolari attività (pascolo nei terreni perifluviali del fiume Panaro).

    Per meglio delineare le fasi finali dell’età del Bronzo e per ca-ratterizzare le dinamiche del collasso del popolamento sarebbe necessario poter disporre di dati e di stratigrafie archeologiche conservate.

    Nonostante la scarsità di elementi certi, si vuole proporre una sequenza del Bronzo Recente in tre fasi, in cui un’ultima fase, denominata BR3, sarebbe individuata da tipologie di reperti ce-ramici come quelli rinvenuti nel sito di San Giovanni in Persi-ceto, diffusi in altri abitati dell’Italia settentrionale e centrale e che cronologicamente potrebbe occupare la seconda metà del XII secolo a.C. o almeno i decenni attorno alla metà del secolo. Solo gli abitati di Podere Pradella, Redù di Nonantola e Zenerigolo di San Giovanni in Persiceto sembrano essere attivi in questa fase.

    La rarefazione degli insediamenti sembra corrispondere a un tentativo di far rimanere in vita un sistema che aveva dovuto affrontare diverse difficoltà negli ultimi 150 anni, tra cui un de-terioramento climatico con lunghi periodi di siccità8. In questo caso si vuole vedere una strategia di sopravvivenza del sistema che adotta una strategia di selezione degli abitati per collettore fluviale, molto simile a quanto evidenziato in altre aree della Pia-nura padana e delle Prealpi venete9. Non è impensabile supporre che ogni sito potesse controllare le risorse lungo il corso prin-cipale fino alle aree vallive in Appennino, dove risorse idriche, forestali e di pascolo dovevano essersi mantenute.

    1 cattanI 2010.2 FerrarI, steFFè 2009.3 cattanI, PalmIerI c.s.4 BalIsta et al. 2008; scacchettI 2018.5 scaranI 1963.6 BottazzI 1991; 1997; luglIettI 2004-2005.7 cardarellI 2009.8 cardarellI 2010; cremaschI 2010.9 leonardI 2006.

    Maurizio Cattani

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    Ansa con sopraelevazione

    Castelfranco Emilia, località Rastellino.Inv. 232265.BM2. Altezza 10 cm; larghezza 5,5 cm.

    Ansa a nastro con sopraelevazione a cor-na tronche con appendici laterali a botto-ne, appartenente a una tipologia vascola-re identificabile come tazza. Per la sua morfologia, l’impasto fine, che presenta pochi inclusi, e il trattamento accurato delle superfici (caratterizzate da lisciatura e da un colore arancio) è ipotiz-zabile la sua funzione come vaso potorio. La tipologia è assai frequente in area ter-ramaricola, ma anche romagnola, ed è un indicatore della piena età del Bronzo.

    Maniglia

    Castelfranco Emilia, raccolta di superficie dal territorio.Inv. 166460E.BM2.Altezza 8,5 cm; larghezza 8,5 cm.

    Maniglia di forma quadrangolare a mar-gini laterali appiattiti con apici a lobo; presenta un impasto fine e le superfici li-sciate di colore nero. Doveva impostarsi sulla vasca di una cio-tola, quindi a una ceramica “da mensa”.Questo tipo di maniglia, ben documenta-ta in area terramaricola, sembra originar-si in area orientale emiliano-romagnola, diffondendosi anche più a nord, fino alle Grandi Valli Veronesi, e a sud fino al ter-ritorio laziale.

    Dolio

    Castelfranco Emilia, località Pradella.Inv. 232252.BM-BR.Diametro orlo 30 cm; altezza 8 cm.

    Frammento di dolio con orlo a tesa de-corato a serie di solcature; anche sulla

    SchedeGiulia Mannino

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    Giulia Mannino

    spalla presenta decorazioni a solcature orizzontali e verticali.Le superfici sono lisciate e di colore aran-cio, mentre l’impasto presenta inclusi di medie dimensioni.Si ipotizza che questo tipo di forma va-scolare fosse impiegato per lo stoccaggio e la conservazione di derrate alimentari o altri beni. La decorazione a solcature è tipica del mondo terramaricolo.

    Tazza carenata

    Castelfranco Emilia, località Pradella.Inv. 232246.BM2.Diametro orlo 18 cm; altezza 8 cm.

    Tazza a parete breve concava dritta e ca-rena arrotondata. L’impasto è fine e la superficie di colore bruno è lisciata. Si tratta probabilmente di una forma “da mensa”, ovvero legata ipoteticamente al consumo di cibi e bevande.

    Ansa con sopraelevazione

    Castelfranco Emilia, località Pradella.Inv. 232256.BM3-BR.Altezza 9 cm; larghezza 8 cm.

    Ansa con sopraelevazione a corna lun-ghe, appiattite, con apice ovale.Presenta una superficie di colore nero, li-sciata e lucidata; l’impasto è fine.Il tipo è associabile a una tazza, ovvero una forma utile per il consumo di bevan-de. L’ipotesi potrebbe essere confermata anche dalle caratteristiche tecnologiche del reperto.Si tratta infine di un indicatore preciso di una fase avanzata dell’età del Bronzo in area terramaricola.

    Sopraelevazione

    Castelfranco Emilia, raccolta di superficie.Inv. 232261.BM3-BR1.Lunghezza 10 cm; larghezza 4,5 cm.

    Frammento di sopraelevazione ad espan-sioni verticali lunghe con profilo laterale ovale con bugnetta e decorato a solcature parallele trasversali. La superficie è nera, lisciata e lucidata; l’impasto è fine.

  • PreIstorIa

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    Il tipo è riscontrabile in anse pertinenti a tazze, ben diffuse in area terramaricola e a nord del Po.

    Ansa con sopraelevazione

    Castelfranco Emilia, raccolta di superficie.Inv. 166367D.BR.Altezza 8,5 cm; larghezza 5 cm.

    Ansa con sopraelevazione cilindro-retta a sommità convessa. La superficie, di colore bruno chiaro, è li-sciata e l’impasto è fine.Il tipo sembra non essere esclusivo di un unico recipiente, ma si ritrova molto spesso nelle tazze.Questa particolare sopraelevazione si dif-fonde in un territorio che comprende la Romagna e il Bolognese, parte dell’area terramaricola, ma anche in Veneto e nelle Marche, attestando ampie relazioni cul-turali tra aree lontane.

    Ansa con sopraelevazione

    Castelfranco Emilia, raccolta di superficie.Inv. 166371.BR.Altezza 8,5 cm; larghezza 4 cm.

    Ansa a corna di lumaca con bracci a V.La superficie lisciata è di colore bruno-arancio, mentre l’impasto è fine.Solitamente si imposta su anse di tazze.Questo tipo è caratteristico dell’area ter-ramaricola nel Bronzo Recente.

    Ansa a bastoncello sopraelevato

    Castelfranco Emilia, raccolta di superficie.Inv. 166458A.BR2.Altezza 9,5 cm; larghezza 5 cm.

    Ansa a bastoncello sopraelevato decora-to con costolature e apofisi laterali alla sommità.La superficie è sia lisciata che lucidata e presenta una colorazione nerastra.Il tipo, caratterizzato da una forte sopra-elevazione rispetto all’orlo della tazza, è estremamente diffuso in tutta l’Italia cen-tro-settentrionale nel periodo avanzato del Bronzo Recente.Inoltre, le apofisi laterali potrebbero mostrare un intento di rappresentazione zoomorfa.

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    Olla con maniglia

    Castelfranco Emilia, località Pradella.Inv. 166458F.BR avanzato.Altezza 5 cm; larghezza 7,5 cm.

    Olla con parete rientrante decorata a segmenti di solcature verticali nell’orlo interno e con maniglia eretta decorata a solcature.La superficie è lisciata e lucidata e pre-senta un colore grigio scuro.La sua diffusione copre una vasta area dell’Italia centro-settentrionale del Bron-zo Recente avanzato.

    Ascia ad alette

    Castelfranco Emilia, località Pradella.Inv. 200815.BM3-BR.Lunghezza 17,3 cm; larghezza 5 cm.

    Ascia in bronzo con alette mediane brevi con lati leggermente convergenti verso il basso; tallone distinto semicircolare con incavo rettangolare; lama di forma stretta e allungata e taglio arrotondato.Questo tipo di ascia si sviluppa nelle fasi finali del Bronzo Medio, in particolare in area padana, poi si diffonderà nel Bronzo Recente nel territorio peninsulare.

    Giulia Mannino

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    Brevi cenni introduttivi1

    La cultura villanoviana designa la più antica manifestazione della civiltà etrusca e interessa sostanzialmente il IX e l’VIII se-colo a.C., mentre per il VII secolo a.C., data la forte influenza allogena dovuta ai contatti con il bacino Mediterraneo e le coste orientali, si parla di periodo Orientalizzante (e non solo per la civiltà etrusca).

    L’estensione geografica delle manifestazioni riferibili alla cul-tura villanoviana concerne diversi comprensori geografici, dal bo-lognese a quello toscano, dal Lazio settentrionale alla Campania, con principali episodi in Romagna e nelle Marche, mentre l’Orien-talizzante si sovrappone talvolta alle medesime aree territoriali, con particolare riferimento ai centri costieri (tirrenici e adriatici).

    Questo quadro è stato individuato anche dalle fonti letterarie antiche: secondo Servio2 e Livio3 ci fu un tempo in cui quasi tutta l’Italia era sotto il controllo etrusco, mentre Polibio4 precisa che gli Etruschi possedevano le due pianure più fertili d’Italia: la pa-dana e la campana.

    È la documentazione archeologica funeraria con le caratteri-stiche sepolture a cremazione entro cinerario biconico che ci par-la dell’omogeneità di usanze e costumi che si estendono dalla ti-pologia della struttura tombale alla decorazione delle ceramiche, alla diffusione di tipi comuni di fibule, ornamenti, armi difensive e offensive. Al contrario, la carenza di indagini estensive degli in-sediamenti non consente analoghe considerazioni sulle strutture abitative, anche se è possibile cogliere in generale l’instaurarsi di processi di aggregazione che preludono alla nascita di centri protourbani5.

    Per il IX sec. a.C. in Emilia Romagna è stato segnalato che gli insediamenti, rarefatti a occidente del Reno, sono topografica-mente eccentrici rispetto al principale nucleo regionale identifica-to soprattutto nel settore immediatamente a oriente di Bologna; i rinvenimenti archeologici in area reggiana possono tuttavia sug-gerire un collegamento diretto con l’Etruria propria, di cui gli insediamenti protovillanoviani di Bismantova6 e San Michele di Valestra7 costituiscono importanti precedenti.

    Il quadro degli insediamenti più antichi intorno a Bologna si è invece arricchito di nuove scoperte8 tuttora per la gran parte inedite, che portano un’ulteriore conferma dell’occupazione di questa zona già a partire dal IX sec. a.C.

    Con l’inizio dell’VIII sec. a.C. le testimonianze villanoviane aumentano in modo consistente e si dispongono in particolare

    Diana Neri

    La prima età del Ferro

  • 24

    Diana Neri

    nel settore tra Reno e Panaro, mentre Bologna assurge a ruolo di grande centro primario a livello protourbano. I centri mino-ri, come ad esempio Casalecchio di Reno, Crespellano, San Gio-vanni in Persiceto, Bazzano, Castelfranco Emilia e Savignano sul Panaro, in questo quadro assumono un ruolo di insediamenti intermedi a controllo del territorio, occupando delle posizioni strategiche. In questa fase la composizione sociale, organizzata per gruppi a carattere famigliare, vede l’emergere di una élite locale, che successivamente con l’età Orientalizzante avrà in al-cune situazioni, ad esempio a Casalecchio di Reno, considerevoli aspetti suntuari.

    I primi segnali di un sistema di relazioni e scambi sono infat-ti già identificabili nella presenza nei corredi funerari più ricchi a

    Distribuzione dei siti di VIII e VII sec. a.C. nel territorio di Castelfranco Emilia (elaborazione grafica di R. Vanzini)

    1

  • la PrIma età del Ferro

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    partire dalla seconda metà dell’VIII sec. a.C. con oggetti di artigia-nato specializzato che provengono dai centri maggiori: l’impres-sione è che questo sistema sia gestito da Bologna, che pare accen-trare i processi innovativi e redistribuirli nel territorio circostante.

    Nel corso del VII sec. a.C. si assiste a un aumento demografico in tutto il comprensorio etrusco-padano e mentre alcuni centri prima attivi (come Castelfranco Emilia) attestano qualche con-trazione, altri siti (come ad esempio Casalecchio di Reno, Bazza-no, San Giovanni in Persiceto) esibiscono una documentazione funeraria che getta luce sulla nuova articolazione sociale indi-cativa della nascita di una aristocrazia terriera. A Casalecchio di Reno si segnala ad esempio una tipologia tombale (“a piccolo tumulo”) che secondo alcuni studiosi ha i suoi lontani antece-denti nella tradizione architettonica vicino orientale in uso per le sepolture regali.

    Per quanto attiene alla suppellettile funeraria (parure perso-nali, set ceramici e bronzei per banchetto) si nota in questa fase e per tutta l’Etruria l’adesione a repertori figurativi e l’uso di tec-niche produttive e decorative prese a prestito dal Vicino Oriente.

    Il territorio di Castelfranco Emilia: aspetti topografici e archeologici

    Il territorio

    Dall’attuale Comune di Castelfranco Emilia provengono sia attestazioni archeologiche frammentarie, sparse sul territorio, sia un nucleo insediativo strutturato nella località “al Galoppatoio”9.

    Per quanto attiene ai dati sporadici dal territorio relativi alla fase villanoviana, va premesso che concernono soprattutto l’area a nord-ovest e a nord-est dell’attuale Comune, intorno alle fra-zioni di Recovato e Manzolino.

    Alla fine dell’800 nella frazione di Recovato furono scoperte principalmente delle suppellettili da tombe a cremazione, quali fibule a navicella con perline in pasta vitrea e ad arco ingrossato, anellini, bracciali, tintinnabuli. Nella stessa località si rinvennero altre suppellettili fittili e bronzee fra cui coppe, fibule, un manico di attingitoio, frammenti di situla in bronzo. Purtroppo non è tuttora possibile risalire al numero esatto delle sepolture, ma la quantità di materiale rinvenuto fa pensare a una piccola area a destinazione funeraria dell’età del Ferro avanzata. È probabile che questa fosse una delle zone di popolamento minori attorno al capoluogo, identificabile oggi grazie ai recenti scavi con il sito strutturato “al Galoppatoio” in via Canale/del Villanoviano. La cronologia delle tombe risale al Villanoviano III e all’inizio del Villanoviano IV.

    In frazione di Manzolino e dintorni, alcuni rinvenimenti spo-radici documentano l’importanza dell’area del popolamento nella prima età del Ferro e questo rinvenimento è più prossi-mo al sito del Galoppatoio; nel 1876, nel fondo Cuccoli, si sco-prirono fortuitamente due sepolture villanoviane e nel 1892 nel

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    Diana Neri

    podere Garagnani si rinvenne una fibula ad arco serpeggiante. È del tutto probabile che queste ultime attestazioni non lonta-ne dalla necropoli “al Galoppatoio” vadano intese a corollario dell’insediamento principale, quello costituito appunto dal vil-laggio e dalla necropoli di via Canale. Peraltro poco più lontano verso est, in Podere Pradella, nel 1876 fu scoperta una sepoltura a dolio che conteneva morsi di cavallo con elementi a pelta che consentono di individuare una tomba di livello aristocratico di età Orientalizzante; fra i reperti si annoverano anche una situ-la in bronzo, fibule ad arco rivestito di pasta vitrea, altre fibule con elementi in osso e ambra, un’ascia ad alette, frammenti di coltello e di ceramica. In merito alla sepoltura di Podere Pra-della resta il dubbio che i materiali conservati appartengano ad almeno due sepolture distinte. La descrizione sulla scoperta dei gruppi di materiali che sarebbero stati rinvenuti in due punti diversi potrebbe essere compatibile con la distinzione di tipo cronologico che si può in essi notare: mentre le fibule apparten-gono a tipologie di pieno VII sec. a.C., i morsi di cavallo, l’ascia ad alette tipo Caprara e il coltello rientrano invece nel reperto-rio bolognese a partire dall’ultimo quarto dell’VIII secolo. Po-trebbe pertanto trattarsi di due tombe – riferibili a un uomo e una donna – di uno stesso gruppo famigliare, al primo dei quali apparterrebbe la sepoltura più antica, connotata dall’ascia. In merito al dolio adibito a contenitore di tutto il corredo secondo il rituale tipico delle sepolture bolognesi di età Orientalizzante, è stato rilevato che la descrizione fornita dalle pareti di impasto rinvenute potrebbe essere compatibile anche con la presenza di uno o più cinerari.

    Si tratta di pochi ma preziosi elementi che attengono alla fase Orientalizzante locale, per ora attestata solo in modo sporadico.

    L’importanza dell’acqua: i fontanili e i primi insediamenti

    Sul piano topografico, alla base dei centri organizzati nell’area emiliana centrale, disposti intorno ai fiumi Samoggia e Panaro, emerge una comune organizzazione insediativa:

    - l’ubicazione in prossimità di pianori e di passaggi per l’itine-ranza e la vicinanza ai corsi d’acqua;

    - l’occupazione del territorio non lontano dai principali assi di comunicazione e con scopi prevalentemente agricoli.

    Tali caratteristiche vengono riferite alla prima età del Ferro fino allo scadere dell’VIII sec. a.C., quando l’assetto topografico si va modificando: i siti occidentali, in particolare quelli sul fiume Panaro, sembrano in fase di declino, mentre quelli sul Samoggia, più vicini a Bologna, risultano in fase di espansione.

    Come già rilevato10 anche gli insediamenti più antichi del ter-ritorio di Castelfranco Emilia, finora archeologicamente docu-mentati, sono correlati alla presenza di acque:

    - gli abitati terramaricoli di podere Pradella, Gaggio e Rastel-lino (età del Bronzo)11;

    - l’abitato villanoviano del Galoppatoio (VIII sec. a.C.)12;- il villaggio del Forte Urbano (V-IV sec. a.C.)13.

  • la PrIma età del Ferro

    27

    I suddetti insediamenti archeologici risultano distribuiti in modo allineato su quella finestra di pianura padana che mette in comunicazione il territorio che, in epoca romana, è di Bononia con quello che appartiene a Mutina. Tali insediamenti sono orga-nizzati a nord di quel tracciato battuto nei secoli, che sarà la via Emilia in età romana: emerge una disposizione degli elementi costituenti la struttura dell’abitato (fossato, argine e canali inter-ni) in direzione grosso modo perpendicolare rispetto all’asse di via Emilia e in prossimità di corsi d’acqua o risorgive. In partico-lare, per quanto attiene all’insediamento villanoviano del Galop-patoio, il canale di San Giovanni prendeva origine dai numerosi e rigogliosi fontanili presenti al Prato dei Monti, località posta a sud della via Emilia, e superando Manzolino, raggiungeva più a nord San Giovanni in Persiceto e il ferrarese.

    All’osservazione della cartografia storica locale e del censi-mento dei fontanili pubblicato nel 2000, si conferma la massima concentrazione di risorgive in località Prato Monti, Sant’Anna e Fondo Fontana: è evidente la necessità della comunità di sfrutta-re e regimare adeguatamente le acque e di organizzare il nucleo abitativo in posizione tale da evitare, al contempo, impaluda-menti che i copiosi fontanili potevano generare.

    Questa caratteristica morfologica del territorio, abbondante di acque fin dalla Preistoria, fa sì che anche successivamente, in epoca romana, la comunità tenesse debitamente conto della “miglior scelta” possibile dal punto di vista della collocazione dell’abitato: come altimetria e come punto di snodo, la scelta da parte dei colonizzatori romani di collocare il centro principale (Forum Gallorum) ricadde presumibilmente sotto all’attuale cen-tro cittadino su cui si sviluppa un paleodosso, peraltro in prossi-mità dell’asse della via Emilia14.

    La necropoli “Al Galoppatoio”

    La necropoli villanoviana fu scoperta fortuitamente nel 1988, durante alcuni lavori agricoli per l’impianto di un vigneto, nella località conosciuta col nome “al Galoppatoio” data la vicinanza di un circolo ippico. Il rinvenimento – da parte dello studioso di storia locale Anton Celeste Simonini – di numerosi frammenti ceramici ed elementi bronzei attribuibili alla fase villanoviana spinse i funzionari della Soprintendenza a indagare in manie-ra più approfondita quella che appariva una necropoli piuttosto estesa. Lo scavo fu condotto dapprima per trincee ma, per sonda-re meglio il sito, si decise di scavare l’intera area interessata, che risultò essere gravemente danneggiata dai lavori di aratura. Tali operazioni, infatti, hanno causato la perdita e il deterioramento di numerosi oggetti, mentre lo stato frammentario della maggior parte del materiale recuperato impose la presenza di un restau-ratore sul campo15.

    Le indagini archeologiche durarono circa un mese, al termine del quale lo scavo venne chiuso, nonostante l’ipotesi che la necro-poli si estendesse ancora più a nord. Tutti i reperti recuperati fu-rono poi restaurati nei laboratori del Museo Civico Archeologico

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    Diana Neri

    Etnologico di Modena e della Soprintendenza e sono ora esposti in parte nelle sale del Museo locale e del Museo di Modena.

    L’esame del corredo delle tombe segnala un arco di utilizzo temporale che può estendersi quantomeno dai decenni centrali della prima metà dell’VIII sec. a.C. fino agli anni attorno al 700 a.C. Il termine iniziale non sembra al momento suscettibile di es-sere innalzato prima dell’inizio del Villanoviano II e l’impressio-ne è che alla fine dell’VIII secolo la necropoli non fosse in fase di esaurimento, perché le sepolture databili in questo periodo sono varie; si può pensare che in altri settori del sepolcreto vi fossero anche tombe di VII sec. a.C., come lasciano supporre i vicini rin-venimenti di Podere Pradella e di Manzolino.

    Le tombe rinvenute al Galoppatoio sono disposte in modo piuttosto fitto e concentrate in gruppi, con tutta probabilità di carattere famigliare, secondo il modello evidenziato per la mag-gior parte delle necropoli villanoviane: ogni gruppo sembra ave-re avuto un’estensione cronologica di un paio di generazioni.

    In base ai dati noti è parso possibile affermare che l’utilizzo delle diverse tipologie tombali non sia da porre in relazione con fattori di natura cronologica o sociale: tutte le modalità di sepol-tura compaiono infatti in maniera abbastanza indifferenziata nel corso sia della prima che della seconda metà dell’VIII sec. a.C., fatta eccezione forse per quelle a cassetta lignea, che sembra ca-ratterizzare soprattutto la fase più antica, e probabilmente anche un settore topograficamente circoscritto, quello meridionale della zona di scavo e forse in antico collocato in posizione centrale ri-spetto a tutta l’area della necropoli. Intorno alle sepolture entro cassetta lignea, che contengono indifferentemente corredi ma-schili e femminili, e non particolarmente ricchi, sembrano infat-ti disporsi le tombe a pozzetto rivestito, variamente intercalate con quelle entro pozzetto semplice. Anche in questo caso non si nota una relazione stretta tra apprestamento più accurato della tomba e volontà di connotare situazioni socialmente emergenti: si veda ad esempio la tomba 43, con ricco apparato di vasellame da mensa e con oggetti probabilmente importati e/o alludenti forse a ruoli sociali particolari, il tutto deposto entro pozzetto privo di rivestimento, anche se connotato all’esterno da un ciottolo fluvia-le itifallico utilizzato come segnacolo.

    In linea generale, i corredi della necropoli del Galoppatoio ap-paiono di tenore medio; sono infatti rari i casi in cui si va oltre la caratterizzazione del sesso del defunto mediante la presenza del rasoio e della fusaiola, accompagnati da una non cospicua parure di oggetti di ornamento (solitamente qualche fibula e uno spil-lone). Le emergenze sono rappresentate sostanzialmente da una moltiplicazione di tali oggetti di ornamento, in un solo caso an-che da un numero più consistente di vasi alludenti al rituale del banchetto funebre e da oggetti dal presumibile valore simbolico e rappresentativi di un ruolo sociale particolare, come la paletta in bronzo della tomba 43; è significativa la coincidenza del ritua-le funerario, inclusa la documentazione materiale, con quello di Bologna, come ad esempio la fibula a drago tipo San Francesco ancora dalla tomba 43.

  • la PrIma età del Ferro

    29

    Le sepolture che presentano un corredo maggiormente com-plesso, tutte databili nell’ultimo quarto dell’VIII secolo, dimostra-no l’avvio di processi di differenziazione sociale anche a livello periferico, secondo una linea evolutiva che è sostanzialmente contemporanea a nord degli Appennini nel periodo che prelude all’Orientalizzante.

    È possibile talvolta riscontrare sui reperti divergenze sia sul piano formale che su quello della sintassi decorativa, che potreb-bero indurre a riflettere circa la possibilità di fenomeni di riela-borazione locale dovuti all’attività di centri produttivi in ambito emiliano-occidentale. È il caso ad esempio del tintinnabulo pro-veniente da Recovato o dei boccali monoansati con decorazione a falsa cordicella delle tombe 37 e 43 della necropoli del Galoppa-toio, ritenuti di importazione probabilmente per considerazioni legate alla fine decorazione presente sui pezzi, ma si può suppor-re anche che si tratti dell’esistenza di produzioni artigianali locali che imitavano la produzione bolognese, e con attardarmenti tec-nologici e formali dovuti alla loro perifericità rispetto al centro ispiratore.

    Non mancano i riferimenti, anch’essi usuali nelle sepolture degli ultimi decenni dell’VIII secolo a.C., al possesso e all’uso del cavallo, rappresentati dai morsi equini tipo Ronzano di Podere Pradella, dal pungolo e dal coltello di tipo Ronzano di Savigna-no-Doccia e da due reperti dalla zona di Recovato che si possono interpretare rispettivamente come parte di un pungolo e come un anello di bardatura equina. Si tratta di oggetti tipici dei corre-di del villanoviano evoluto bolognese, che sembra rappresentare l’orizzonte di riferimento immediato sia sul piano tipologico che su quello rituale e ideologico.

    L’abitato “Al Galoppatoio”16

    Nel 1992, a poche decine di metri a sud-est della necropoli, durante lavori stradali vennero scoperte alcune buche di palo ad andamento pseudocircolare che sembravano delimitare strutture abitative.

    Con lo scavo archeologico, organizzato dalla Soprintendenza e finanziato dal Comune di Castelfranco Emilia, si scoprirono al-tre buche, più profonde e allineate, che sembravano tracciare una linea di demarcazione del villaggio, al di là della quale (ossia ver-so la necropoli villanoviana che venne tutelata di preciso decreto di vincolo ex L. 1089/39) gli strati di occupazione sembravano venir meno.

    Si decise di splateare l’area per l’intera larghezza su cui si sa-rebbe impostata la nuova strada provinciale (si tratta della strada provinciale che conduce ora verso il Comune di San Giovanni in Persiceto) e per una lunghezza di alcune decine di metri in dire-zione nord a partire da via Canale.

    Lo scavo consentì di distinguere la presenza di un abitato co-stituito da alcune capanne, che dovevano essere di forma ovale e costruite in legno e graticcio, di cui restavano solo le tracce, e da altre strutture di carattere di servizio connotanti un livello di in-

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    Diana Neri

    sediamento di dimensioni medio-piccole. La stratigrafia di scavo non appariva molto complessa, poiché si passava dai suoli ascri-vibili al periodo romano a quelli di fase villanoviana (si tratta di una stretta fascia compresa fra Samoggia e Panaro, risparmiata delle esondazioni dei due fiumi che come noto migrarono il pri-mo verso E, il secondo verso O).

    Le strutture abitative conservate sono due: una è stata indivi-duata nel settore meridionale dello scavo, in un’area di circa 25 metri quadrati, compresa tra una decina di buche di palo, che potrebbero disegnare il perimetro di una capanna rettangolare con abside verso occidente e fronte a sud-est, con allineamento di pali al centro che può presupporre una copertura a capriata, ma sopravvive solo un allineamento di tre buche di palo, per una lunghezza di circa 4 m; la capanna prosegue in sezione e non è possibile individuarne la pianta.

    Nell’area più settentrionale dello scavo è stato individuato un percorso acciottolato con direzione est-ovest, della larghezza me-dia di circa 3 m: era affiancato sul lato meridionale da un canale a pareti verticali. La strada sembrava congiungere l’abitato e la necropoli e al centro sono stati rinvenuti due fori di palo delimi-tati da ciottoli, affiancati e distanti l’uno dall’altro circa un metro; essi sono allineati con quattro fosse poste più a sud e con una quinta più a nord, di maggiori dimensioni rispetto ai fori dei pali delle abitazioni. Si è pensato a un ingresso al villaggio in corri-spondenza della strada, che doveva avere probabile funzione di delimitazione.

    Tenuto conto degli elementi a disposizione provenienti dall’in-tero insediamento villanoviano (numero di tombe del sepolcreto, capanne, dimensioni e cronologia dell’insediamento), si può af-fermare che in questa zona visse un gruppo di genti etrusche per qualche generazione dall’inizio dell’VIII sec. a.C.; stando ai dati della necropoli, si trattava di nuclei familiari dediti principal-mente all’attività agricola e appartenenti a un ceto medio-basso, anche se dai corredi funerari si evidenzia almeno un personag-gio emergente (la tomba 43, che per il tipo di corredo venne at-tribuito a un personaggio di alto lignaggio con “competenze” in ambito religioso).

    Relazioni e scambi

    I dati scaturiti dalle ricerche condotte sul Villanoviano a Ca-stelfranco Emilia17 potrebbero spiegare, oltre alle motivazioni della scelta da parte dei colonizzatori di organizzarsi in questa area, una possibile linea di sviluppo del popolamento villanovia-no in regione e, in quest’ottica, il ruolo di Bologna.

    L’insediamento di Castelfranco Emilia riveste notevole signifi-cato perché offre una documentazione rara, essendo costituita da dati sepolcrali e abitativi provenienti da uno scavo archeologico recente (1988 e 1991).

    Sul piano socio-demografico, è stato segnalato18 l’accenno sempre più consistente nel corso dell’VIII sec. a.C. nelle tombe scoperte a una differenziazione sociale (nei corredi funebri rap-

  • la PrIma età del Ferro

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    presentata dalla molteplicità dei reperti e dalla presenza di og-getti particolari): tale differenziazione anche a Castelfranco Emi-lia si spinge talvolta al punto tale da ravvisare la presenza di famiglie elitarie, di un ceto aristocratico emergente. Tuttavia, il tipo di aristocrazia dei centri minori posti a corollario di Bologna non ha esattamente le medesime caratteristiche: mentre Castel-franco Emilia cresce nell’VIII sec. a.C. e non sembra avere grandi manifestazioni nel corso del VII sec. a.C., altri centri (San Gio-vanni in Persiceto, Crespellano, Casalecchio di Reno e Bazzano) nel corso del VII sec. a.C. presentano i fasti di un’aristocrazia ter-riera quasi urbana19.

    I materiali provenienti da Castelfranco Emilia attribuibili con certezza al VII sec. a.C. e provenienti da contesti sicuri sono i po-chi piccoli bronzi della necropoli “al Galoppatoio” e la tomba a dolio da Podere Pradella contenente morsi di cavallo con montan-ti a pelta, ascrivibile forse alla fase finale del VII sec. a.C.20: questo dato è importante ai fini dell’ipotesi sull’espansione bolognese che alla fine dell’VIII secolo sembra limitata alla linea rappresen-

    Recovato. Materiali dalla necropoli. VIII-VII sec. a.C. (da Atlante 2009, p. 52)

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    Diana Neri

    tata dalla valle del Samoggia, anche se forse proprio nell’intento di arrivare in successione a controllare anche la via del Panaro, quest’ultima più strategica in relazione ai collegamenti tra il Po e l’area transappenninica. In ogni caso, a partire dal VII sec. a.C. le testimonianze lungo l’asse del Panaro non mostrano particolari elementi di frattura con il periodo precedente.

    L’assetto del popolamento nella zona di Castelfranco Emilia sembra nel VII sec. a.C. accentuare la tendenziale proiezione verso la bassa pianura che già si era andata prefigurando allo scorcio dell’VIII sec. a.C., organizzandosi lungo un allineamento che può trovare una continuità nelle testimonianze della zona di Nonantola, e nella ipotetica ulteriore prosecuzione di questa direttrice fino al Po puntando verso Bondeno, dove la necropo-li di Santa Maddalena dei Mosti significativamente restituisce materiali che prospettano un orizzonte culturale composito, con confronti che spaziano dall’ambiente villanoviano bolognese all’ambito veneto21.

    Recovato, C. Canale, Podere Canale (1890). Materiali dalla necropoli. VIII-VII sec. a.C. (da Atlante 2009, p. 53)

    3

  • la PrIma età del Ferro

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    1 Si suggerisce la lettura almeno di: per la cultura villanoviana cfr. Introdu-zione all’Etruscologia 2012; per l’Etruria Padana Bologna 2005; dore 2015, pp. 10-15; malnatI, sassatellI 2008; Pianura bolognese 1994; santocchInI gerg 2015. Per la cronologia in uso si veda dore 2005, pp. 255-292: Villanoviano I (900-820 a.C.), Villanoviano II (820-770 a.C.), Villanoviano III A (770-750 a.C.), III B (750-720 a.C.), III C (720-680 a.C.). Per l’Orientalizzante in rela-zione agli aspetti generali e anche per l’Etruria padana cfr. Principi Etruschi 2000; marchesI 2011. Il quadro del Villanoviano a occidente di Bologna è stato riassunto dapprima in malnatI, nerI 1994, p. 153 s., poi in locatellI 2009a, pp. 59-75 con bibliografia di riferimento. Inoltre, Atti Bazzano 2002; Bazzano 2010; per Castelfranco Emilia fra VIII e VII secolo a.C. si veda nerI 2012.

    2 Servio, Aen. XI, 567. 3 Liv. I, 2. 4 Polibio II, 17, 1. 5 Ad esempio per Bologna si segnala il contributo di ortallI 2013, pp. 7-50,

    in relazione alla scoperta di importanti apprestamenti della città, quali le mura e altre strutture abitative e di servizio. Per l’abitato di Bologna si veda taglIonI 1999.

    6 catarsI, dall’aglIo 1978.7 mIarI 2004, pp. 153-157.8 Negli ultimi anni la Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio

    per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara ha condotto diversi scavi nell’area ad est di Bologna e a Bologna stessa (Imola, Bologna-Fiera, San Lazzaro, Villanova a titolo d’esempio) confermando l’occupazione del territorio in epoca molto an-tica. Per Bologna-Fiera si veda malnatI, cornelIo, mengolI 2010 e VanzInI 2018 con bibliografia.

    9 Nel 2009 è stato approntato il censimento delle evidenze archeologiche, cfr. Atlante 2009. Questi dati sono confluiti nella Carta di Potenzialità Ar-cheologica del Comune (approvata nel 2018). Si veda anche nerI 2012, pp. 119-138.

    10 nerI 2000.11 cattanI 1997, p. 236 e il contributo di M. Cattani infra.12 malnatI, nerI 2001; nerI 2012, pp. 111 ss.13 Forte Urbano 2008. 14 Alle soglie della romanizzazione 2017; Una sosta lungo la via Emilia 2019.15 Storia del rinvenimento in nerI 2012.16 nerI 2012, pp. 111-118.17 Nell’ultimo decennio le ricerche si sono tuttavia concentrate sulla seconda

    età del Ferro e sulla Romanità sia per casualità delle scoperte, che per ulte-riore filone di studio rispetto al principale, appunto sul Villanoviano.

    18 locatellI 2009a.19 Si veda ad esempio Donne dell’Etruria padana 2015, con bibliografia; Bazzano

    2010.20 Si aggiunga anche una piccola ascia con inciso un graffito proveniente dal

    Podere Pradella, cfr. sassatellI 1981-1982, n. 432.21 saronIo 1988, pp. 140-141.

  • Tomba 43

    Castelfranco Emilia, necropoli “Al Galoppa-toio”.Fine VIII-inizio del VII sec. a.C.

    La tomba 43 è senza dubbio la sepoltura con il corredo più ricco di tutta la necro-poli. Accanto al cinerario biconico tro-vavano posto i numerosi vasi accessori, fra cui un secondo biconico, un boccale decorato con meandri a falsa cordicella e cerchielli sulla spalla e sull’ansa, due sco-delle-coperchio, due scodelle e due piat-telli. Si tratta di forme attestate in contesti funerari del Villanoviano III, momento in cui si registra in tutta l’area bolognese un cambiamento nel rituale funerario, che vede appunto la comparsa nelle tombe di numerosi vasi legati al consumo di cibi e bevande. Questi recipienti dovevano probabilmente essere evocativi dello sta-tus del defunto e del banchetto funebre che si svolgeva in suo onore, ma anche contenere offerte a lui destinate. Gli altri oggetti del corredo concorrono a deter-minare il livello di prestigio della sepol-tura: una paletta in bronzo e uno spillone tipo San Vitale B sono elementi distintivi delle sepolture elitarie maschili di que-sto periodo. L’importanza del defunto è confermata dalla presenza di una lesina e soprattutto di una fibula a drago con piccole antenne e segno alfabetico a chi. Si tratta di un ornamento tipico dell’area bolognese e solitamente appannaggio di individui eminenti di sesso maschile. Un ciottolo fungeva da segnacolo funerario della tomba e contribuiva a evidenziare la sepoltura di un individuo preminen-te di questo gruppo sociale. Il confronto più stringente si può istituire con la tom-ba 4 Benacci-Caprara, in cui ricorrono le

    SchedeRiccardo Vanzini

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  • la PrIma età del Ferro

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    associazioni boccale decorato, paletta, spillone, fibula a drago e lesina, data-ta verso la fine dell’VIII sec. a.C. Altro termine di paragone può essere la tom-ba 39 Benacci-Caprara, datata all’ultimo quarto dell’VIII sec. a.C., in cui sono state rinvenute due fibule a drago rivestite di elementi in ambra, alcune palette, uno spillone, una spada ad antenne, morsi da cavallo e un ricco set da banchetto in bronzo. In generale dunque il defunto della tomba 43 del Galoppatoio mostra la volontà di connotarsi in senso elitario, e nel farlo guarda ovviamente alla coeva aristocrazia felsinea e alle sue modalità di autorappresentazione.

    Tomba 31

    Castelfranco Emilia, necropoli “Al Galoppa-toio”.Ultimo quarto dell’VIII sec. a.C.

    La tomba 31, una sepoltura a pozzetto con pareti e fondo rivestiti di ciottoli, con-servava all’interno di un vaso biconico i resti cremati di un individuo di sesso maschile, connotato come “cavaliere”. Fanno parte del suo corredo una punta bronzea di pungolo per cavallo, un anel-lo, una borchia e una fettuccia che potreb-bero essere parte di elementi di bardatura equina, ben attestati nelle coeve necropoli bolognesi, come ad esempio nella tom-ba 53 Benacci-Caprara, datata all’ultimo quarto dell’VIII sec. a.C. A sottolineare il sesso del defunto vennero poi deposti un rasoio tipo Benacci, con decorazione a denti di lupo e tracce di restauro avvenu-to in antico, databile nella seconda metà dell’VIII sec. a.C., e uno spillone forse at-tribuibile al tipo San Vitale A. Infine è at-testata anche una fibula a sanguisuga con arco decorato da linee incise a zig-zag.

    Spillone in bronzo con perla in paSTa

    viTrea

    Castelfranco Emilia, necropoli “Al Galoppa-toio”, tomba 9.Inv. 128828.Seconda metà dell’VIII sec. a.C.Lunghezza 13 cm; spessore 0,2 cm.

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    Riccardo Vanzini

    Spillone tipo San Vitale in bronzo con sommità decorata da una doppia fascia di solcature parallele separate da un ele-mento a sezione quadrata, in cui era infi-lata una perlina in pasta vitrea blu a tre occhi con inserti in pasta vitrea gialla. Questo genere di spillone è tipico dell’area bolognese per tutto l’VIII sec. a.C. e rap-presenta uno dei tipi più documentati nelle necropoli felsinee. L’associazione all’interno della tomba 9 con una serie di fibule e un ossuario biconico privo di de-corazione ha portato a ipotizzare per que-sta sepoltura femminile una cronologia entro la seconda metà dell’VIII sec. a.C.

    Fibula ad arco riveSTiTo

    Castelfranco Emilia, necropoli “Al Galoppa-toio”, tomba 33.Inv. 128865.Metà dell’VIII sec. a.C.Lunghezza 4,3 cm.

    Fibula ad arco rivestito di nove perle in pasta vitrea blu, fermate da spiraline in bronzo, con molla a doppio avvolgimen-to, mancante della staffa.Si tratta di un tipo molto comune nelle necropoli bolognesi a partire dal Villano-viano III A (770-750 a.C.), in particolare nelle tombe femminili. È spesso rinvenu-ta in associazione con altre fibule ed ele-menti per la filatura, ad esempio fusaio-le, come in questo caso. La tomba 33 del Galoppatoio si configura infatti come la sepoltura di una donna di rango elevato, confermato dalla presenza di ben cinque fibule e due armille, databile intorno alla metà dell’VIII sec. a.C.

    raSoio in bronzo

    Castelfranco Emilia, necropoli “Al Galoppa-toio”, tomba 11.Inv. 128830.Prima metà dell’VIII sec. a.C.Lunghezza 11,8 cm; larghezza 9 cm; spessore 0,15 cm; lunghezza manico 2,6 cm; larghezza manico 1,8 cm.

    Rasoio tipo Grotta Gramiccia A, caratte-rizzato da una lama lunata, dorso a curva interrotta con apofisi profilata alla base e decorazione a tre solcature con serie di triangoli pendenti, manico ad anello con protomi ornitomorfe. Si tratta di un tipo di rasoio ben attestato in Etruria meridio-nale, in particolare a Tarquinia e a Veio, ma anche nel bolognese, in cui è presente

  • la PrIma età del Ferro

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    in 15 tombe. La sua datazione rientra nel corso del Villanoviano III A-B, portando a ipotizzare per la tomba 11 una cronolo-gia fra 770 e 720 a.C. circa.

    oSSuario biconico

    Castelfranco Emilia, necropoli “Al Galoppa-toio”, tomba 22.Inv. 200825.Prima metà dell’VIII sec. a.C.Altezza 41,2 cm; diametro orlo 14,1 cm; dia-metro fondo 11,6 cm.

    Ossuario biconico caratterizzato da un labbro svasato, alto collo a profilo ricur-vo, spalla pronunciata posta nella parte centrale del corpo e ventre lievemente rigonfio, ansa a tortiglione obliqua impo-stata sulla spalla. È decorato sul collo con una serie di meandri complessi realizzati a pettine, da cui scendono verso il corpo alcuni segmenti paralleli desinenti a cer-chielli impressi. La tomba 22 è una delle sepolture femminili più ricche di questa necropoli. Del suo corredo fanno parte ben 11 fibule, di cui alcune bruciate nel rogo insieme al corpo, diversi anellini e saltaleoni (fermatrecce), nonché un brac-cialetto in bronzo e una fusaiola, che do-veva richiamare le attività della filatura e della tessitura, svolte in vita dalla de-funta. Le numerose fibule, in particola-re quelle ad arco rivestito di dischetti in osso, ambra o pasta vitrea attestano il suo elevato status sociale.

    boccale

    Castelfranco Emilia, necropoli “Al Galoppa-toio”, tomba 37.Inv. 200856.Ultimo quarto dell’VIII sec. a.C.Altezza 7,1 cm; diametro orlo 7,5 cm; diame-tro fondo 3,6 cm.

    Boccale monoansato con labbro svasato, spalla breve, corpo troncoconico, fon-do piano e ansa a nastro. Decorato sul-la spalla a falsa cordicella con una fascia campita a linee oblique parallele tra fa-sce orizzontali, al di sotto denti di lupo a incisione. L’ansa presenta due fasce pa-rallele a falsa cordicella. Questo boccale risulta ben attestato in area bolognese, ad esempio è presente nelle tombe 27, 56, 58 Benacci-Caprara e nella tomba 425 San Vitale, ma si confronta anche con quello della tomba 43 del Galoppatoio, segno forse della presenza di relazioni con Fel-

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    sina. La tomba 37, femminile e di livel-lo abbastanza elevato, si data pertanto all’ultimo quarto dell’VIII sec. a.C.

    olleTTa

    Castelfranco Emilia, necropoli “Al Galoppa-toio”, tomba 38.Inv. 200861.Fine VIII sec. a.C.Altezza 15,8 cm; diametro fondo 7,8 cm.

    Piccola olla priva della parte sommitale, caratterizzata da un corpo tronco-ovoide e da un fondo lievemente concavo. Pre-senta una decorazione a denti di lupo realizzati con la tecnica della falsa cordi-cella, con al vertice inferiore dei cerchielli concentrici impressi. Si tratta di un tipo di sintassi decorativa ampiamente diffu-so nel mondo etrusco, che trova nume-rosi confronti anche con alcuni reperti di questa necropoli, come ad esempio con i biconici delle tombe 6, 18, 36 o con i boc-cali delle tombe 37 e 43. Anche in que-sto caso la presenza nella tomba di un recipiente atto a contenere liquidi si può collegare con azioni rituali di libagione in onore della defunta o di offerte di liquidi.

    anForeTTa Troncoconica

    Castelfranco Emilia, abitato “Al Galoppatoio”.Inv. 221410.VIII sec. a.C.Altezza 18,5 cm; diametro orlo 17,4 cm.

    Anforetta biansata con breve labbro sva-sato, corpo troncoconico, ansa a nastro impostata sull’orlo. Questo reperto rap-presenta l’unico vaso integro pertinente all’abitato a cui faceva riferimento la ne-cropoli “Al Galoppatoio”. La semplicità del contenitore e l’assenza di decorazio-ni rende difficoltosa la datazione, tutta-via forme analoghe a questa sono note nel bolognese sia in contesti di abitato che necropolare. In particolare si posso-no istituire alcuni confronti con l’anfora della tomba 2 Benacci-Caprara, datata alla seconda metà dell’VIII sec. a.C., e con un esemplare rinvenuto all’interno di un pozzo nel villaggio della Fiera di Bologna, databile alla prima metà dell’VIII sec. a.C. La presenza di recipienti atti a contenere liquidi è assai frequente in contesti abita-tivi. In questo caso le ridotte dimensioni di questo vaso potrebbero essere messe in relazione con un uso legato al consumo diretto, piuttosto che alla conservazione.

    Riccardo Vanzini

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    La seconda metà del VI secolo a.C. è contraddistinta da una im-portante fase di ristrutturazione politica e topografica dell’Etru-ria padana e in primo luogo della città di Felsina, indicata dalle fonti come princeps Etruriae, il centro più antico e più importante. Come confermano i dati archeologici, si legge una forte cesura tra l’ordinamento politico e sociale di fase orientalizzante, fon-dato sul sistema gentilizio, e il futuro nuovo assetto cittadino di Felsina, che si compirà pienamente nel secolo successivo1. Nel corso del V secolo al vertice della società stanno le magistrature cittadine, capeggiate dallo zilath, il magistrato supremo. Opliti e cavalieri costituiscono i ranghi dell’esercito, ma l’elemento trai-nante della società consiste nel ceto mercantile e imprenditoriale, che garantisce un alto e generalizzato livello di ricchezza.

    Questa fase viene indicata dalle fonti come una “seconda co-lonizzazione”, attribuita a Ocno, il mitico fondatore di Perugia. Vengono fondati ex novo numerosi centri urbani che costituiran-no i cardini del sistema economico padano incentrato su Felsina e caratterizzati da impianti urbanistici rigorosamente pianificati e orientati astronomicamente: Marzabotto/Kainua nella valle del Reno, Adria e Spina nel Delta del Po, Mantova alla confluenza tra Po e Mincio, Servirola di San Polo d’Enza nel Reggiano2.

    La motivazione di tale nuovo assetto è duplice: da un lato si ristrutturano le grandi vie di comunicazione verso l’Etruria tir-renica, le genti celtiche transalpine e verso la Grecia, grazie alla creazione di nuovi centri disposti sulle principali vie di comuni-cazione terrestri, fluviali e marittime. Dall’altro viene riorganiz-zato il sistema produttivo del comparto padano, intensificando il tradizionale sfruttamento agricolo del territorio che costituisce il fertile retroterra delle città.

    In questa fase il quadrante a occidente di Bologna/Felsina ri-sulta capillarmente occupato, attraverso una consistente opera di disboscamento e bonifica, che verrà superata in estensione e sistematicità solo dall’assetto centuriale conferito al territorio in epoca romana. Qui sono presenti sia centri dalla vera e propria caratterizzazione urbana, posti lungo direttrici transappennini-che, sia insediamenti rurali, che vanno a costituire un vasto area-le pienamente etruschizzato, esteso fino al Parmense, ma aperto agli influssi culturali e ai rapporti commerciali col mondo ligure e golasecchiano3.

    Anche il popolamento gravitante sull’asse del Panaro viene profondamente ristrutturato, continuando a gravitare solo in parte attorno ai centri di fase villanoviana come Savignano sul Panaro, posto allo sbocco a valle del fiume, a controllo delle di-

    Sara Campagnari

    La seconda età del Ferro

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    Sara Campagnari

    rettrici di traffico lungo l’asse pedemontano e verso il Po. Dalla fine del VI sec. a.C. infatti il popolamento del territorio di Castel-franco Emilia abbraccia un vasto areale posto a nord della via Emilia, ma non più coincidente con l’abitato villanoviano del Ga-loppatoio, ubicato lungo una pista di percorrenza che attraversa la regione in senso est-ovest4.

    Tale nuovo assetto è rivelato da un alto numero di siti, identi-ficati in occasione di ricognizioni di superficie effettuate con un diverso grado di sistematicità o grazie a rinvenimenti sporadici. Sugli oltre novanta siti etruschi dell’età del Ferro censiti per il territorio di Castelfranco Emilia nell’Atlante dei Beni Culturali della Provincia di Modena, la metà abbraccia un arco cronologico che si estende dalla fine del VI a quella del III sec. a.C. (fig. 1). Tali siti sono stati individuati nella metà dei casi all’interno o in prossimi-tà di aree di affioramento di reperti di epoca romana, riferibili a ville o fattorie, in gran parte datate al II sec. a.C. e contemporanee alle prime fasi della romanizzazione del Modenese, in continuità con il popolamento di fase preromana5.

    La quasi totalità dei siti non è stata oggetto di scavi sistema-tici, a eccezione delle indagini stratigrafiche effettuate in località Gaggio e al Forte Urbano, ma è possibile ugualmente proporre un modello insediativo, sulla scorta di altri confronti con il Mo-denese e con il Bolognese6.

    Il territorio si presenta punteggiato da fattorie o piccoli vil-laggi, con funzione satellite rispetto ai centri urbani addensati in due macro aree poste a nord-ovest e a nord-est di Castelfranco Emilia, rispettivamente in località Gaggio e nelle località Riolo-Rastellino, la prima gravitante sull’asse del Panaro, l’area di Rio-lo ipoteticamente collegata a un asse viario diretto al Po. A Riolo, Podere Ariosto e Podere Bosco nel 1996 è stato infatti individuato in superficie un tratto di strada, lungo quasi tre chilometri, carat-terizzato da un piano inghiaiato, che ha restituito anche nume-rosi frammenti ceramici databili alla seconda età del Ferro. La strada, in direzione sud-ovest/nord-est metteva in relazione tra loro i numerosi siti che su essa si affacciavano e costitutiva una probabile via di penetrazione verso nord e l’area del Po7.

    Già nella prima età del Ferro il tracciato itinerario sostanzial-mente coincidente con quello della futura via Emilia giocava un ruolo di primaria importanza nelle comunicazioni interregionali in direzione est-ovest. Lo testimoniano chiaramente anche per la seconda età del Ferro sia i numerosi siti posti a breve distanza dalla pista, sia le fonti – in particolare Tito Livio – che almeno a partire dalla fine del III sec. a.C. riferiscono di un percorso stra-dale utilizzato per rapidi spostamenti da Piacenza a Modena8.

    Strettamente legato all’esistenza di tali importanti vie di co-municazione e ai correlati traffici a lungo raggio, doveva essere anche il ripostiglio di novantanove lingotti di bronzo contenuti in un dolio, scoperto nel 1897 in località Riolo, Podere Cappel-la (fig. 1, CE 546). Del rinvenimento fortuito diede conto l’anno successivo l’archeologo Edoardo Brizio, allora direttore del Mu-seo Civico di Bologna. Il contesto si frammentò nel tempo in tre diverse sedi, constando attualmente di 91 elementi attualmente

  • la seconda età del Ferro

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    presenti nel Museo, sei al Museo Civico di Bologna e due al Mu-seo Civico Archeologico Etnologico di Modena9.

    I reperti, dal peso complessivo di 83.099,34 g, costituiscono il ripostiglio più considerevole di pani di bronzo etruschi di area padana e sono suddivisibili in 59 lingotti parallelepipedi realiz-zati mediante fusione in matrice, contrassegnati dal segno del “ramo secco” su una o entrambe le facce, il cosiddetto aes signa-tum (61291 g); 21 barre, ovvero frammenti di lingotto privi di segno (20.707 g) e 19 porzioni di aes rude, piccoli frammenti di bronzo non riconducibili a forme peculiari (2.935 g)10.

    I lingotti di aes signatum11, a partire dai primi rinvenimenti nel Reggiano del 1864 ad opera di Don Gaetano Chierici, furono al centro di un ampio dibattito sulla loro funzione, ancora oggi non approdato a una soluzione condivisa12. Se in una prima fase degli studi iniziata dal paletnologo Luigi Pigorini nel 1871 i lingotti erano considerati l’esito di un sistema di stoccaggio del metallo da rifondere in officina, agli inizi del XX secolo si iniziò a consi-derare tali lingotti come un mezzo di scambio, fino a giungere a identificarli anche come oggetti portatori di valore in relazione al loro rinvenimento in depositi votivi13. Le analisi archeometri-che su un cospicuo campione di esemplari di aes signatum hanno evidenziato in molti casi l’adulterazione del lingotto, mediante l’addizione volontaria di notevoli percentuali in ferro o piombo, finalizzata sostanzialmente a riservarli a una funzione non pra-tica14. Tale azione, volta a sottrarre il lingotto alla possibilità di essere rifuso, potrebbe rendere plausibili entrambi i significati: quello simbolico, di tipo premonetale, e di conseguenza – asso-dato il valore simbolico – quello sacrale.

    Distribuzione dei siti della seconda età del Ferro nel territorio di Castelfranco Emilia: CE 2 - Gaggio, Casa Buonvino; CE 15 - Gaggio, Possessione di Mezzo; CE 30 - Forte Urbano; CE 110 - Pod. Pradella Vecchia; CE 546 - Pod. Cappella; CE 120 - Prato dei Monti (da camPagnarI, nerI 2017, p. 48, fig. 2)

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    Sara Campagnari

    L’analisi della distribuzione dei rinvenimenti del nuovo più avanzato strumento di scambio, l’aes signatum, in Etruria tirreni-ca, ma soprattutto in Emilia occidentale e in Veneto, è da ricon-durre probabilmente ai rapporti tra queste due aree in un mo-mento di trasformazione dell’assetto politico del mondo etrusco a sud e a nord dell’Appennino. La cosiddetta “seconda coloniz-zazione” interessa anche tutta l’Emilia, con particolare riferimen-to al territorio oltre il Secchia, aperto agli influssi culturali dei popoli vicini e dell’area etrusca settentrionale e contraddistinto da numerose peculiarità che lo differenziano da quello bologne-se e più in generale etrusco-padano15. L’aes signatum viene usato e, non a caso, tesaurizzato in una fase contraddistinta dall’insta-bilità politica che caratterizza l’Emilia. Come racconta Tito Livio, nel 600 a.C. si svolge la battaglia del Ticino tra Etruschi e Insubri. Questi, una popolazione celtica proveniente dalla Gallia, guidati da Belloveso, invasero la Valle Padana, fondando quale loro ca-pitale Milano/Mediolanum. Gli Etruschi padani non riuscirono a fermarne l’avanzata, ma furono sconfitti non lontano dal Ticino e si ritirarono oltre il Po. Probabilmente avevano richiesto aiuto alle città dell’Etruria tirrenica, come attestano i due cippi iscritti da Rubiera16, segnacoli funerari che testimoniano la presenza in loco di uno zilath, la più alta carica magistratuale a presidiare l’Emilia occidentale. Al momento l’aes signatum non risulta pre-sente a Bologna/Felsina e nel territorio romagnolo, forse più in-teressati a un rapporto diretto con il mondo Veneto e l’Adriatico. L’aes signatum di Este e di Oppeano nel Veronese può spiegarsi con contatti in ambito veneto e verso Mantova17.

    Poste immediatamente a oriente di Castelfranco Emilia, ri-spettivamente a sud e a nord della pista protostorica che verrà ricalcata dalla via Emilia nel 187 a.C., le ampie zone di risorgive di Prato dei Monti e di Riolo, via Quaresima, si connotano come aree di culto a partire almeno dal V sec. a.C. Da Prato dei Monti provengono due bronzetti votivi schematici: una figura di de-voto attribuibile al gruppo Marzabotto, insieme a una figurina femminile databile al IV sec. a.C. (fig. 1, CE120)18. Dal medesimo areale provengono anche tredici statuette fittili, nove delle quali femminili, un gruppo di lucerne databili dal III sec. a.C. al IV sec. d.C. e un tesoretto di monete del quale si darà conto più avan-ti19. In via Inferno, a nord della via Emilia è stato rinvenuto un bronzetto identificato in Giove Ammone, il quale insieme a una perduta testa marmorea dal podere Asmara, rimanda a un oriz-zonte di III-II sec. a.C. Nel complesso, l�