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CAPITOLO IV L’etica negli affari internazionali Caso: NIKE Nike è l’archetipo dell’impresa multinazionale. Fondata nel 77 da Phil Knight, Nike è uno dei leader mondiali del mercato delle scarpe e degli indumenti sportivi (10 miliardi di fatturato/annuo in 140 paesi). Nike non possiede nessuna attività produttiva, si limita solamente a progettare e commercializzare i suoi prodotti. Per la produzione si serve di una rete di terzisti (600 fabbriche – 550.000 persone). Nonostante il successo Nike è stata accusata di sfruttamento dei lavoratori, condizioni pericolose e lavoro sottopagato. Molti la considerano quindi il simbolo dei mali della globalizzazione “ricca multinazionale occidentale che sfrutta i paesi poveri in via di sviluppo”. Numerose trasmissioni negli anni ’90 denunciarono questa situazione tramite reportage e indagini che evidenziarono come i terzisti non rispettassero nessuna legge e sfruttassero qualunque mezzo per produrre. La forte pressione dell’opinione pubblica spinse Nike a riesaminare le sue scelte attuando alcune iniziative: - al primo posto: definizione di codice di condotta per i terzisti - istituzione di un sistema di monitoraggio dei terzisti tramite società esterne - regole ferree per il lavoro Nike comprese l’importanza dell’etica che prevalicava la semplice legalità, nonostante tutte queste operazioni, nel 2001 le organizzazioni umanitarie dichiararono come l’impegno di Nike fosse legato più agli aspetti pubblici che a veri cambiamenti sostanziali. 4.1 Introduzione Il termine etica si riferisce ai principi del giusto e sbagliato che governano la condotta id una persona, i membri di una professione o le azioni di una organizzazione. L’etica degli affari si riferisce ai principi del giusto e dello sbagliato che governano la condotta dei managers e delle imprese, una strategia etica è una strategia (o corso di azioni) che non viola questi principi morali condivisi. Nel caso Nike la produzione è stata appaltata a terzisti di paesi in via di sviluppo i quali, per assicurarsi un maggior profitto, non rispettano nessuna legge di sicurezza e di tutela. In questo caso il management è stato ingenuo o disinteressato non preoccupandosi delle possibili ricadute in termini di immagine, fatturato, opinione pubblica REPUTAZIONE. 4.2 ASPETTI ETICI NEGLI AFFARI INTERNAZIONALI Molti problemi di questo tipo derivano dalle diversità tra sistemi politici, legislativi, livello di sviluppo economico e culture tra diversi paesi. IMPIEGO DELLA FORZA LAVORO Preoccupazioni di natura etica possono emergere rispetto le condizioni di impiego della forza lavoro quando in un paese estero sono molto peggiori di quelle vigenti nel paese di origine della multinazionale. E’ difficile stabilire la giusta remunerazione e le condizioni di impiego che dovrebbero essere applicate, dopo una lunga parentesi di sfruttamento molte multinazionali stanno affrontando politiche migliorative (almeno in apparenza) in molti aspetti del loro operato complessivo.

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CAPITOLO IVL’etica negli affari internazionali

Caso: NIKENike è l’archetipo dell’impresa multinazionale. Fondata nel 77 da Phil Knight, Nike è uno dei leader mondiali del mercato delle scarpe e degli indumenti sportivi (10 miliardi di fatturato/annuo in 140 paesi).Nike non possiede nessuna attività produttiva, si limita solamente a progettare e commercializzare i suoi prodotti.Per la produzione si serve di una rete di terzisti (600 fabbriche – 550.000 persone). Nonostante il successo Nike è stata accusata di sfruttamento dei lavoratori, condizioni pericolose e lavoro sottopagato. Molti la considerano quindi il simbolo dei mali della globalizzazione “ricca multinazionale occidentale che sfrutta i paesi poveri in via di sviluppo”. Numerose trasmissioni negli anni ’90 denunciarono questa situazione tramite reportage e indagini che evidenziarono come i terzisti non rispettassero nessuna legge e sfruttassero qualunque mezzo per produrre. La forte pressione dell’opinione pubblica spinse Nike a riesaminare le sue scelte attuando alcune iniziative:

- al primo posto: definizione di codice di condotta per i terzisti- istituzione di un sistema di monitoraggio dei terzisti tramite società esterne- regole ferree per il lavoro

Nike comprese l’importanza dell’etica che prevalicava la semplice legalità, nonostante tutte queste operazioni, nel 2001 le organizzazioni umanitarie dichiararono come l’impegno di Nike fosse legato più agli aspetti pubblici che a veri cambiamenti sostanziali.

4.1 IntroduzioneIl termine etica si riferisce ai principi del giusto e sbagliato che governano la condotta id una persona, i membri di una professione o le azioni di una organizzazione.L’etica degli affari si riferisce ai principi del giusto e dello sbagliato che governano la condotta dei managers e delle imprese, una strategia etica è una strategia (o corso di azioni) che non viola questi principi morali condivisi.Nel caso Nike la produzione è stata appaltata a terzisti di paesi in via di sviluppo i quali, per assicurarsi un maggior profitto, non rispettano nessuna legge di sicurezza e di tutela. In questo caso il management è stato ingenuo o disinteressato non preoccupandosi delle possibili ricadute in termini di immagine, fatturato, opinione pubblica REPUTAZIONE.

4.2 ASPETTI ETICI NEGLI AFFARI INTERNAZIONALIMolti problemi di questo tipo derivano dalle diversità tra sistemi politici, legislativi, livello di sviluppo economico e culture tra diversi paesi.

IMPIEGO DELLA FORZA LAVOROPreoccupazioni di natura etica possono emergere rispetto le condizioni di impiego della forza lavoro quando in un paese estero sono molto peggiori di quelle vigenti nel paese di origine della multinazionale.E’ difficile stabilire la giusta remunerazione e le condizioni di impiego che dovrebbero essere applicate, dopo una lunga parentesi di sfruttamento molte multinazionali stanno affrontando politiche migliorative (almeno in apparenza) in molti aspetti del loro operato complessivo.

DIRITTI UMANIOltre alle condizioni dei lavoratori è importante che i diritti umani di base siano rispettati nel paese in cui avviene una parte del processo economico.Negli anni 90 nel Sud Africa era presente il sistema dell’apartheid e molte multinazionali collaboravano con questo governo finchè, comprese le possibili ripercussioni economiche che il legame con questo sistema poteva portare, iniziarono ad attuare diverse politiche di resistenza passiva e successivamente di disinvestimento, contribuendo alla caduta del regime.I quesiti fondamentali in questo caso per una MN sono:

- Qual è la responsabilità nel caso si operi in un paese dove i diritti umani sono repressi?

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- Dobbiamo operare in questo paese?- Possibili misure adottabili per “reagire” a questa situazione.

INQUINAMENTO AMBIENTALESpesso nei paesi in via di sviluppo mancano normative in merito, facendo sì che le attività economiche siano spesso grande fonte di inquinamento. Le MN sono spesso le principali fonti di problematiche in questo ambito poiché sfruttano le mancanze di norme (che nel loro paese sarebbero solitamente presenti) per minimizzare spese e procedure di smaltimento e problemi correlati.Tralasciando gli evidenti vantaggi economici e logistico-gestionali, procedure che inquinino l’ambiente risultano essere danneggianti per l’intera popolazione e per l’ambiente tutto. Inoltre l’abuso o/e il cattivo uso, provocano la drastica riduzione di risorse spesso sensibili e delicate.Caso: Unocal in MyanmarUnocal, azienda petrolifera californiana, con 30% di partecipazione in una Joint Venture con la compagnia francese Total e compagnie pubbliche del Myanmar.La dittatura del paese sfrutta ambiente, popolazione e risorse in cambio di un elevato corrispettivo economico da parte dell’azienda Unocal, questa citata nel Tribunale USA, viene alla fine riconosciuta legalmente innocente ma la sua reputazione risulta gravemente danneggiata e compromessa.

CORRUZIONEQuesta pratica risulta storicamente diffusa: tramite pratiche poco corrette è sempre stato possibile acquisire importanti guadagni o posizioni vantaggiose (caso LOCKHEED = CEO americano paga bustarelle a ministri giapponesi per la commessa di un ordine di aerei, scoperto afferma sia pratica abituale del paese orientale scandalo in entrambi i paesi).Nel 97 i paese dell’OCSE adottano la cosiddetta “Convention on combating bribery of foreign public officials”; entrata in vigore nel 99 obbliga i firmatari a dichiarare reato penale la corruzione dei funzionari pubblici stranieri, senza punire pagamenti facilitanti con l’intento di velocizzare la burocrazia (per essere valida deve essere convertita in legislazione nazionale). Contrastanti molte teorie economiche che supportano o detraggono in merito ai benefici che la corruzione possa portare agli investimenti di MN nel paese in questione. Alcuni sostengono come la corruzione velocizzi numerose procedure burocratiche mentre altri individuano come la presenza di corruzione sia una spesa in più che gli investitori devono sostenere. Uno studio sul legame tra corruzione e crescita economica in 70 paesi afferma come essa abbia un impatto significativamente negativo sul tasso di crescita di un paese.

DOVERI MORALILe MN hanno un potere notevole che deriva loro dal controllo delle risorse e dalla capacità di muovere la produzione da un paese all’altro; nonostante sia limitato da leggi e da altre dinamiche, esso rimane comunque notevole.Negli anni il concetto di RESPONABILITA’ SOCIALE DI IMPRESA - CSR - si è diffuso ampiamente nelle principali imprese.Esso consiste nella convinzione che gli uomini d’affari dovrebbero considerare le conseguenze sociali delle loro decisioni di natura economica e che bisognerebbe individuare, tra le diverse alternative, le decisioni che hanno conseguenze positive sia economiche che sociali, ed oggi anche ambientali.

4.3 DILEMMI ETICIL’approccio con paesi, culture, associazioni diverse può spesso portare nei quali la scelta più giusta risulti oggettivamente difficile da individuare e da intraprendere. Molti dilemmi morali esistono perché molte decisioni sono complesse da prendere in una realtà difficile ed hanno conseguenze a diversi livelli che sono difficili da quantificare.

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4.4 RADICI DI UN COMPORTAMENTO IMMORALEComprendere perché i manager si comportano in maniera immorale è difficile perché le cause sono complesse, rimane possibile fare alcune generalizzazioni.L’etica delle imprese non è separata da quella delle persone che vi lavorano e queste sono guidate da principi che governano la loro condotta.Spesso alcune figure che lavorano all’estero sono sottoposte più di altre a pressioni che le costringono a violare la loro etica. Molti studi confermano questo fatto e sottolineano come molti manager non si rendano conto del loro agire scorretto perché non si chiedono se le decisioni prese siano morali o meno; essi ragionano solo in termini economici e di profitto, seguendo processi decisionali che non tengono conto degli aspetti etici.

Caso: ENRON. Il Top Management agiva in funzione solamente del profitto personale, operando in maniera cinica e orientando l’intera l’azienda al raggiungimento di obiettivi singoli e di breve periodo, influenzando l’intera organizzazione fino al livello più basso. Il collasso della Enron insegna come la cultura dell’organizzazione possa incentivare un comportamento immorale, particolarmente quando si vogliono raggiungere obiettivi irrealistici.Fondamentale è quindi il contributo dei capi dell’azienda e la loro leadership nella definizione di una cultura basata su valori e su elementi qualificanti l’impresa anche a livello morale.

4.5 APPROCCI FILOSOFICI ALL’ETICA- La dottrina di Friedman afferma che l’unica responsabilità sociale di un’impresa è aumentare i profitti nei

limiti definiti dalle leggi. Il relativismo culturale afferma che bisognerebbe adottare l’etica della cultura nella quale si fa affari. Il moralismo virtuoso sostiene il rispetto degli standard etici del paese di origine nelle attività estere, mentre l’immoralità innocente afferma che i manager di una multinazionale non sono tenuti a rispettare l’etica nelle loro attività in un paese estero se le altre imprese che vi operano non lo fanno.

- L’approccio utilitarista all’etica afferma che la validità delle azioni e delle procedure di pende dalle loro conseguenze, le decisioni migliori sono quelle che producono il più grande beneficio per il più alto numero di persone.

- L’etica Kantiana afferma che le persone sono sempre il fine e mai solamente il mezzo. Le persone non sono strumenti come le macchine,le persone hanno dignità e devono essere rispettate come tali.

- Le teorie dei diritti riconoscono che gli esseri umani hanno diritti fondamentali e privilegi che trascendono i confini nazionali e le culture. Questi diritti stabiliscono i limiti di un comportamento moralmente accettabile.

- Il concetto di giustizia sviluppato da John Rawl suggerisce che una decisione è giusta se chi la prende la sceglierebbe anche sotto un velo di ignoranza.

4.6 UN PROCESSO DECISIONALE ETICOPrincipi etici di base da inserire nel processo decisionale di una MN:

1) Favorire l’assunzione e la promozione in carriera di personale che abbia un forte senso di etica2) Promuove una cultura dell’organizzazione che attribuisce alto valore a comportamenti etici3) Enfatizzare l’importanza di un comportamento etico e comportarsi coerentemente4) Definire un meccanismo decisionale che consideri la dimensione etica5) Avere il coraggio morale e spingere gli altri ad averne

1 – Favorire questa pratica porta ad implementare all’interno della propria organizzazione un sistema auto-alimentante di personale etico. Le imprese possono sottoporgli questionari psicologici volti a quantificare la predisposizione etica. Inoltre è possibile richiedere (se presenti) ai datori di lavoro precedenti lettere di referenza o di informazione sulla reputazione.

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Questi sistemi portano a depurare l’impresa da elementi poco etici e non coerenti con la stessa. L’impresa d’altra parte deve preoccuparsi di sviluppare questi meccanismi e di monitorare costantemente i successi ottenuti al fine di promuoversi positivamente in sede di colloquio con i candidati più promettenti.

2 – Tre aspetti sono particolarmente importanti per creare una cultura organizzativa ed una leadership etica:- Le MN devono esplicitamente codificare i lavori che caratterizzano il comportamento etico (spesso sviluppati

in forma di CODICI ETICI essi attingono a documenti internazionali riconosciuti e ad elementi di filosofia che sostengono l’agire positivo dell’impresa).

- Enfatizzare ripetutamente l’importanza del codice etico ed agire coerentemente (cogliere ogni opportunità di uniformare l’agire aziendale rafforzando la coerenza delle singole azioni verso un unico obiettivo etico. Esempio: Nike e società di revisori esterni per il controllo dei terzisti).

- Promozione cultura aziendale etica tramite incentivi e benefici per gli elementi che rispettano e promuovono il codice etico ed applicazione di sanzioni nei casi negativi. Esempio: General Electrics e Presidente Jack Welch che valutava i manager dividendoli in 7 gruppi, uno specifico per chi si era distinto per comportamenti etici.

3 – Oltre a promuove l’etica i manager devono implementare questo concetto in maniera sistematica anche nei processi decisionali che portano ad individuare le scelte da intraprendere. Oltre alle teorie tradizionali sulla morale gli esperti di etica hanno stilato una guida pratica di semplice applicazione “un algoritmo etico”.Una decisione è eticamente accettabile se colui che la prende risponde affermativamente alle seguenti domande:

- La mia decisione rispetta i valori e gli standard etici vigenti nella mia organizzazione?- Vorrei che la decisione fosse comunicata a tutti quelli che ne subiranno le conseguenze, rendendola di

pubblico dominio attraverso i canali di informazione?- Le persone con cui ho una relazione di valore (famiglia, amici, manager di altre imprese) approverebbero

questa decisione?

Altri esperti individuano un processo a 5 stadi per valutare le conseguenze etiche delle decisioni intraprese:a) Individuazione soggetti aventi interesse sull’attività dell’organizzazione, su cui la decisione avrà delle

conseguenze (shareholders suddivisi in interni ed esterni). Tramite un processo di immedesimazione bisogna analizzare le conseguenze su questi soggetti.

b) Valutare l’etica della decisione strategica proposta attraverso le informazioni ottenute al primo livello. Comprendere se vengono violati i diritti degli shareholders, immedesimandosi in questi ultimi. La valutazione deve essere guidata da principi morali ed etici articolati nel codice etico dell’impresa ed in altri documenti, in collaborazione con una regola decisionale capace di evidenziare le diverse alternative possibili.

c) I manager devono stabilire un obiettivo morale sottolineando la sua maggiore importanza rispetto ad altri aspetti. Il ruolo del Top Management deve essere di particolare valore, forte leadership e di ispirazione per il resto dell’organizzazione.

d) Porre in essere un comportamento etico da parte della MNe) Revisione delle decisioni intraprese per assicurarsi che siano consistenti e coerenti con i principi etici

affermati. Come altri processi la misurazione e la valutazione risulta essere uno dei momenti fondamentali in quanto porta alla comprensione dei risultati raggiunti ed eventualmente alla attivazione di nuovi processi riparatori od implementanti.

4 – Al fine di assicurare il rispetto dei principi stabiliti le imprese hanno al loro interno individuato dei soggetti che svolgono il ruolo di “garanti”. I garanti dell’etica possono anche essere responsabili della revisione delle decisioni prese per verificarne la conformità al codice etico.Esempio: United Technologies, compagnia aerospaziale internazionale, profitti oltre 28 miliardi di dollari, codice etico già dagli anni novanta. 160 dipendenti sono responsabili di assicurare che il codice etico sia rispettato. Inoltre è stato sviluppato un programma di Difensori Civici che garantisca la possibilità di esprimere le eventuali problematiche in maniera anonima.

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5 – Per sviluppare questi programmi etici è necessaria una forte dose di coraggio morale. Al fine di tutelare queste importanti qualità all’interno dell’organizzazione è fondamentale assicurare l’impunità dei soggetti che promuovono azioni di denuncia, sviluppando all’interno del codice etico, specifiche norme a tutela di questi soggetti.Esempio: Unilever

CAPITOLO VLa teoria del commercio internazionale

Caso: Elettronica USA e delocalizzazione.Le aziende USA hanno inventato la maggior parte della tecnologia di oggi fin dagli anni 60/70. Inizialmente i componenti erano prodotti in territorio americano finchè a partire dagli anni 80 alcune parti vennero prodotte in paesi orientali e assemblate insieme agli altri componenti in USA.Nonostante alcune politiche sfociate in accordi col Giappone (principale produttore di componenti ai tempi) l’esportazione dei processi produttivi non si fermò ma si spostò solamente in altri paesi con un costo ancora più basso. Questa delocalizzazione era fortemente criticata in quanto considerata responsabile della perdita di posti di lavoro e di introiti per le imprese americane, le analisi condotte però dagli anni 90 in poi hanno contrariamente dimostrato che queste procedure (che hanno ridotto i costi e quindi aumentato la diffusione dei prodotti tecnologici) hanno invece portato grandi benefici economici in termini di PIL e di tasso di produttività aumentando il numero di posti di lavoro complessivi nell’industria e incrementando la domanda di prodotti/servizi complementari.Questo fenomeno ha quindi avuto un impatto positivo sull’economia statunitense che ha più che bilanciato la perdita dovuta al trasferimento della produzione.

5.1 INTRODUZIONEIl dibattito in merito ai vantaggi del libero commercio ha influenzato le politiche economiche di molti paesi fin dagli anni 50 ed è la ragione alla base della costituzione di alcune delle più importanti Organizzazioni Mondiali del Commercio (OMC) Unione Europea (UE) e North American Free Trade Agreement (NAFTA). In particolare gli anni 90 sono stati un periodo di forte spinta verso la liberalizzazione degli scambi.

5.2 VISIONE GENERALE SULLE TEORIE DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE- nel 1500/1600 il mercantilismo afferma che un paese dovrebbe simultaneamente sostenere le esportazioni e

sfavorire le importazioni.- teoria del vantaggio assoluto proposta da Adam Smith nel 1776, prima spiegazione del perché il libero

commercio fosse vantaggioso per un paese (“la mano invisibile dell’economia” = situazione che si verifica quando un paese non influenza attraverso quote/dazi ciò che i cittadini possono comprare dall’estero o che possono produrre e vendere ad un altro paese. Politica del laissez-faire come miglior agire di una nazione).

- teoria del vantaggio comparato di David Ricardo enunciata nel XIX secolo.- rivisitazione della teoria Ricardiana ad opera di Heckscher e Ohlin.

I VANTAGGI DEL COMMERCIOLe teorie di Smith, Ricardo, Heckscher e Ohlin spiegano come un paese possa godere di effetti positivi se i suoi consumatori acquistano da altre nazioni prodotti realizzabili al suo interno. Infatti il commercio internazionale consente ad un paese di specializzarsi nella importazione ed esportazione di quei beni che possono essere prodotti più efficientemente, mentre esso può importare quelli che possono essere prodotti con più efficienza all’estero.Limitare le importazioni (come ad esempio fece il governo Bush per tutelare i produttori di acciaio USA) è quasi sempre nell’interesse dei produttori locali e molto raramente va a vantaggio dei consumatori.

I FLUSSI INTERNAZIONALI DI COMMERCIODopo aver applicato per anni le teorie classiche (quelle sopra menzionate) negli anni 80 Paul Krugman del MIT ha sviluppato la teoria come NUOVA TEORIA DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE (New Trade Theory, NTT) da questa Michael Porter della Harvard Business School ha definito una teoria, chiamata teoria del vantaggio competitivo

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nazionale, con la quale cerca di spiegare perché alcune nazioni raggiungono il successo internazionale in alcuni settori industriali, grazie ad alcuni fattori classici e alcune dimensioni innovative.

Nonostante tutte le teorie affermino il vantaggio del libero commercio, difficilmente esse sono concordi nella definizione delle politiche corrette da intraprendere. Ognuna di esse infatti individua diverse azioni che un governo deve intraprendere per ottenere determinati vantaggi, sebbene esse non si escludano a priori, risulta molto complesso agire in maniera coordinata per raggiungere diversi obiettivi.

5.3 MERCANTILISMOPrima teoria sul commercio internazionale che nacque in UK a metà del XVI secolo. Il fulcro di questa teoria consiste nell’opinione che oro e argento fossero alla base della ricchezza di una nazione e fossero fattori fondamentali per un commercio vigoroso (questo perché entrambi i metallo erano le principali valute per il commercio internazionale).Questa teoria promulgava l’importanza dell’avere un bilancia commerciale maggiore per le esportazioni che per le importazioni, accumulando così molto oro e argento in cambio dei beni esportati = maggiore ricchezza, potere e prestigio. Coerente con questo pensiero gli studiosi di questa disciplina promulgavano l’intervento statale nelle questioni commerciali, attraverso l’imposizione di dazi e quote per ridurre le importazioni mentre le esportazioni venivano supportate con sussidi.Questa disciplina presenta alcune incongruenze, infatti adottando questa politica si aumenta la domanda di bene e il quantitativo di moneta procurando prezzi più alti e una maggiore richiesta di beni importati, mentre il paese importatore ha dei benefici in quanto importa di più.Il critico Hume sottolinea come nessun pese può sopportare una bilancia commerciale in surplus e quindi accumulare oro e argento in maniera ininfluente per l’economia, questo no era possibile perché il sistema si basava su un assunto sbagliato. Infatti l’errore risiedeva nel ritenere il commercio estero come un gioco a somma nulla (ovvero dove il guadagno di un paese ha un corrispettivo nella perdita di un altro paese). Adam Smith e David Ricardo dimostrarono la limitatezza di questo ragionamento e provarono che il commercio è un gioco a somma positivo, ovvero una situazione in cui tutti i paesi possono guadagnare.Se dal punto di vista tecnico non risulta essere corretta questa dottrina risulta essere comunque riscontrabile in molte situazioni reali.

5.4 ADAM SMITH – IL VANTAGGIO ASSOLUTONel 1776 Adam Smith con “La ricchezza delle nazioni” contrasta fortemente la visione mercantilista del commercio. Egli afferma che i paesi si contraddistinguono per l’efficienza con la quale sono in grado di produrre beni diversi. Un paese ha un VANTAGGIO ASSOLUTO nella produzione di un prodotto quando è più efficiente di qualsiasi altro paese nella sua produzione. Le nazioni dovrebbero specializzarsi nella produzione di beni nella quale hanno un vantaggio competitivo e scambiare questi beni con quelli prodotti dagli altri paesi. Il punto cardine della teoria di Smith è che un paese non dovrebbe mai produrre beni che possono essere acquistati ad un prezzo minore all’estero.Specializzandosi nella produzione di beni in cui ciascuno ha un vantaggio competitivo, entrambi i paesi hanno un beneficio dal commercio.Esempio (applicazione della teoria alla produzione e commercio del cacao e riso ai paesi del Ghana e Corea del Sud. Si noti come il risultato della specializzazione e del commercio sia un aumento della produzione totale di riso e cacao e che i consumatori di entrambi i paesi siano in grado di consumare di più. E’ possibile così comprendere come il commercio internazionale sia un gioco a somma positiva, esso produce guadagni netti per tutti i soggetti coinvolti).

5.5 DAVID RICARDO - IL VANTAGGIO COMPARATORicardo sviluppa la teoria di A. Smith considerando l’eventualità di un paese che abbia vantaggio assoluto nella produzione di tutti i beni. Secondo Smith questo paese non avrebbe interesse ad intrattenere relazioni commerciali con il resto del mondo. Secondo Ricardo e la sua teoria del VANTAGGIO COMPARATO questo invece avviene poiché il paese si specializza nella produzione di beni che produce più efficientemente in termini relativi rispetto agli altri e compra quelli che esso produce meno efficientemente in termini relativi da altri paesi anche se li produrrebbe in maniera più efficiente in termini assoluti.

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Negando qualsiasi forma di commercio ogni singolo paese (anche quello più efficiente) consuma ciò che produce, tramite invece relazioni commerciali essi possono aumentare la produzione combinata e i consumatori possono beneficiare di un maggior quantitativo di entrambi i prodotti (riprendiamo il caso del Ghana e Corea del Sud). Il concetto fondamentale della teoria è che la produzione totale è maggiore con il libero commercio rispetto a quando questo è impedito e che i consumi siano maggiori se non vi sono restrizioni. Questo anche per quei paesi che non godono di vantaggio assoluto nella produzione di qualunque bene.

Questa teoria non tiene però conto di numerosi fattori che possono modificare i risultati ottenuti dalla applicazione tecnica del modello (i paesi e i prodotti sono più di 2, sono presenti costi di trasporto, tassi di cambio, tassi di scambio, diversi costi dei fattori produttivi, possibili impedimenti delle risorse nello spostamento dalla produzione di un bene ad un altro, non sono sempre presenti rendimenti costanti di scala, ecc. ecc.). Questa teoria risulta valida anche se estesa a modelli più complessi che prendono in esame gli elementi qui citati, gli studi confermano la sua validità ma ne sottolineano la fragilità congenita tant’è che Samuelson afferma come questa teoria – se applicata con un regime di libero commercio tra un paese ricco e un paese povero – possa diminuire la ricchezza del primo nei confronti del secondo.Confermando l’estendibilità del modello ricardiano, presentiamo le diverse possibilità che si avranno andando a modificare alcuni elementi caratteristici della teoria del vantaggio composto.

- Fattori della produzione mobili: tenendo conto della difficoltà di mobilità dei fattori produttivi nella realtà possiamo comprendere come il processo di trasferimento sia in verità ostacolato da frizioni intrinseche al sistema economico e che inoltre questo processo sia fonte di sofferenze per i soggetti umani che ne subiscono le conseguenze. Nonostante la teoria dimostri come i vantaggi siano marginalmente significativi rispetto agli svantaggi è impossibile pensare che questo possa recare conforto ai “soggetti che sostengono i costi del trasferimento”.

- Rendimenti decrescenti : (avendo presente che si intende il rendimento marginale decrescente all’aumento di una unità di fattore produttivo) questo concetto rappresenta una dimensione reale del fenomeno, per cui non è possibile che un paese si specializzi, nella misura estrema indicata dalla teoria, ma che esso si fermi prima dell’ultimo grado di specializzazione possibile. Questo poiché molti paesi non si specializzano del tutto ma in realtà producono una gamma di prodotti.Comunque viene definito dalla teoria come sia vantaggioso specializzarsi fino al punto in cui i vantaggi derivanti dal commercio sono superiori ai rendimenti decrescenti.

- Effetti dinamici della crescita economica : il modello ricardiano esclude una qualsiasi modifica all’efficienza del sistema produttivo senza tenere conto di possibili modifiche dovute al commercio. Il commercio invece può portare a due vantaggi: a) Può aumentare lo stock di risorse, poiché l’offerta di lavoro e di capitale possono essere utilizzati per la produzione domestica.b) Può aumentare l’efficienza con cui un pese utilizza le sue risorse, a partire da diverse cause.Entrambe le due possibilità contribuiscono ad aumentare verso l’alto la “Frontiera delle Possibilità Produttive”.

Si conclude così come l’apertura al commercio porti sia guadagni statici, sia guadagni dinamici.

LA CRITICA DI SAMUELSON alla teoria ricardiana: oltre alla delocalizzazione delle funzioni produttive si arriverà (in realtà già ora) alla delocalizzazione di gran parte delle attività ad alti costi e spesso ad alto contenuto di valore aggiunto in paesi in via di sviluppo che offriranno le stesse competenze e possibilità a costi inferiori e medesima qualità , senza che vi siano ritardi grazie all’evoluzione rapida delle ICT. Questa critica sebbene perfetta in teoria, nella pratica si deve scontrare con altre variabili sociali economiche e contestuali che ne vanno ad inficiare parte della sua veridicità (il vero problema è stabilire quantitativamente gli effetti di questo processo delocalizzatore).Resta assolutamente comprovato da numerosi studi come l’apertura al commercio estero abbia notevoli ripercussioni positive sui tassi di crescita del paese, quindi di conseguenza sul reddito e sugli standard di vita.

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5.6 LA TEORIA DI HECKSCHER E OHLINI due studiosi svedesi spiegano in maniera differente l’origine del Vantaggio Comparato, rispetto a Ricardo, essi affermano come il VC emerga dalla differente dotazione relativa dei fattori della produzione tra paesi.Per dotazione dei fattori della produzione si intende la dotazione di un pese per quanto riguarda risorse quali terra, lavoro e capitale. La differenza che esiste tra le dotazioni dei diversi paesi spiega il differente costo dei fattori produttivi (più un fattore è abbondante, più il suo costo è basso).La teoria spiega come i pesi esporteranno quei beni che sfruttano più intensamente il fattore della produzione abbondante e importeranno quei beni che sfruttano più intensamente quei fattori risultanti scarsi nel paese.Nonostante si giunga alla stessa conclusione della teoria di Ricardo, le motivazioni risultano essere differenti, causa del vantaggio del commercio stavolta sono le diverse dotazioni di fattori della produzione che inducono i paesi ad scambiare merci ed ottenere reciproci vantaggi.Questa teoria, sulla carta estremamente funzionante nella realtà risulta essere poco esplicativa, in quanto si verifica il cosiddetto “Paradosso di Leontief”, ovvero quello strano fenomeno che dimostra come gli USA nonostante siano dotati di molto capitale rispetto agli altri paesi, fattore che li renderebbe esportatori di beni ad alta intensità di capitale, siano in realtà esportatori di beni meno intensivi di capitale di quello delle importazioni.Questo avviene poiché il modello non tiene in conto del fattore cruciale dell’Innovazione che risulta essere determinate sia singolarmente che riferito a tutte le implicazioni tecnologiche questo può portare. Tenendo conto di questo fattore la teoria degli economisti svedesi acquista potere esplicativo.

5.7 LA TEORIA DEL CICLO DI VITA DEL PRODOTTOTeoria proposta da Vernon negli anni ’60, basandosi sull’osservazione che la maggior parte del XX secolo una vasta gamma di prodotti lanciata sul mercato fosse stata sviluppata (non necessariamente prodotta) da industrie USA e qui commercializzata prima che in altri paesi. Vernon spiega tutto ciò tramite l’ampiezza del mercato statunitense che rappresentava per le aziende nazionali un forte incentivo allo sviluppo di nuovi prodotti di consumo, e come l’alto costo di manodopera incrementasse lo sviluppo di sistemi innovati di produzione.Viene dimostrato come negli USA la crescita della domanda sia molto più ripida rispetto alle altre economie avanzate contribuendo così a far proporre dalle aziende nuovi prodotti inizialmente solo negli Stati Uniti. Poi una volta che la domanda aumenta anche negli altri paesi sviluppati, diventa opportuno per le imprese localizzare le diverse manifatture, abbassando l’esportazione del bene dagli USA. Una volta che i pesi avanzati acquisiscono la padronanza del bene si sviluppa una serrata competizione che vede lo spostarsi della produzione nei paesi in via di sviluppo trasformando la competizione in un discorso solamente legato a logiche di costo. Si può quindi verificare una situazione che veda altri paesi stranieri avere maggior forza e convenienza all’esportazione del bene in USA, facendo si che quest’ultimi perdano il loro vantaggio fin’ora mantenuto. Gli Usa si trasformano da esportatori ad importatori di quel prodotto quando la produzione di un bene si concentra in località dove i costi di produzionesono sensibilmente più bassi.Esempio: Xerox e l’export di stampanti verso il Giappone e l’UE, una volta scaduto il brevetto che proteggeva la loro posizione dominante, si vide la nascita di diverse soluzioni alternative via via equiparabili e prodotte a prezzi sempre più bassi.Una critica alla validità della teoria di Vernon è rappresentata dalla sua sostanziale limitatezza temporale, essa infatti risulta sostanzialmente valida per il periodo di dominio tecnologico Usa (’45 – ‘75) ma difficilmente sostenibile per i decenni successivi in cui si è visto diventare epicentro di numerose innovazioni i paesi asiatici ed europei.Inoltre con le nuove strategie globali molti prodotti sono ormai introdotti in maniera simultanea in diversi paesi del mondo, spesso accoppiata ad una produzione sparsa globalmente solamente assemblata in un luogo prestabilito (oppure anche in diversi luoghi == massima globalizzazione).La teoria di Vernon può essere utile per spiegare i flussi del commercio internazionale durante l’egemonia USA ma difficilmente avrà considerazione al di fuori di quel periodo.

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5.8 LA NUOVA TEORIA DEL COMMERCIO INTERNAZIONALETeoria sviluppata verso la fine degli anni ’70 quando alcuni economisti notarono i possibili benefici che trarrebbe il commercio internazionale se le imprese sfruttassero economie di scala (al crescere del volume de l prodotto diminuiscono i costi unitari di produzione). Queste sono generate da possibili diversi fattori ma tutte hanno il risultato ultimo di diminuire i costi di un industria.Questa teoria fornisce due nuovi contributi:

- Attraverso il suo impatto sulle economie di scala, il commercio può aumentare la varietà dei prodotti disponibili ai consumatori e diminuire il costo medio di produzione degli stessi.

- In quelle industrie in cui la produzione necessaria per ottenere delle economie di scala è una porzione significativa della domanda mondiale il mercato può essere capace di sostenere soltanto un piccolo numero di imprese . Quindi il commercio internazionale di alcuni prodotti può essere dominato solo da alcuni paesi le cui imprese sono state le prime a iniziare la produzione di quei prodotti.

Il commercio internazionale permette di bypassare alcune limitazione tipiche dei modelli fondati sulle economie di scala; tenendo conto di come alcuni paesi, a causa delle ridotte dimensioni che non permette una grande varietà di prodotti o a causa delle scarsità di domanda, non possono raggiungere nel loro mercato situazioni di economie di scala, si comprende facilmente come grazie ad un mercato globale più vasto sia possibile anche per questi paesi superare le difficoltà tipiche della propria situazione.Quindi seguendo questa teoria è possibile che ciascun pese si specializzi in una più piccola gamma di prodotti e e che acquisti i rimanenti dagli altri paesi attraverso il commercio internazionale, che quindi permetterà di aumentare simultaneamente sia la varietà di prodotti che di abbassarne il costo (sia in situazioni di paesi con diversa dotazione di fattori produttivi sia in situazioni di uguaglianza di fattori).La NTT quindi consente la specializzazione della produzione, la realizzazione di economie di scala, la maggiore varietà e prezzi più bassi. QUESTA TEORIA SI ADATTA PERFETTAMENTE PER LA SPIEGAZIONE DI COMMERCI INTRA-INDUSTRIALI , mentre le teorie di Ricardo e Hecksher – Ohlin spiegano meglio il commercio INTER-INDUSTRIALE.La NTT inoltre approfondisce l’importanza del raggiungere economie di scala se queste rappresentano una sostanziale porzione della domanda globale e soprattutto se questa azione risulta essere la prima del suo genere nell’industria.Naturalmente le difficoltà di entrata saranno tanto più elevate tanto più saranno elevate le barriere all’ingresso; quindi è possibile affermare come i flussi commerciali osservati siano i vantaggi della “first move”, ovvero il dominio di alcuni paesi è dovuto al fatto che le sue imprese hanno raggiunto per prime economie di scala.Ulteriore implicazione della nuova teoria (oltre a quelle già citate) è da ricercare nel rapporto tra gli interventi governativi e le politiche commerciali strategiche. Gli economisti facenti parte di questa scuola di pensiero sottolineano come il ruolo della fortuna, dell’imprenditorialità e della innovazione siano alla base per dare ad un’impresa i vantaggi della prima mossa. Ma che queste qualità debbano essere sostenute con ruolo attivo dal governo del pese tramite interventi e azioni mirate atte a supportare e implementare il sistema che l’impresa sta sviluppando, con questo essi non affermano che i governi possano cambiare radicalmente il destino di un progetto ma che però possano contribuire sostanzialmente al suo successo. Si nota quindi una certa contraddizione con le politiche del libero commercio fin qui esposte, ma è da notare come anche i principali sostenitori di questa politica interventista indichino come deleterio l’abuso delle politiche di sostegno da parte di un governo.

5.9 IL VANTAGGIO COMPETITIVO NAZIONALE: IL DIAMANTE DI PORTERNel 1990 Michel Porter pubblicò uno studio riguardo il successo di alcuni paesi rispetto ad altri, vennero presi in esami 100 industrie in 10 paesi diversi e furono confrontati tra loro. Alla base del lavoro vi era la convinzione di Porter che le teorie del commercio esistenti spiegassero solo in parte i flussi commerciali reali.Porter afferma che sono 4 le caratteristiche di un paese che influiscono sulla concorrenza tra le imprese nazionali e che queste caratteristiche promuovono o impediscono la creazione di un vantaggio competitivo nazionale, esse sono:

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1- La dotazione dei fattori della produzione (es. lavoratori qualificati o infrastrutture necessarie)2- La natura della domanda interna (le caratteristiche della domanda interna rivolta ai prodotti e ai servizi

realizzati dalla industri considerata)3- La presenza di industrie collegate (per una determinata attività può essere importante la presenza di

industrie a supporto che siano internazionalmente competitive) 4- La strategia d’impresa, la struttura e la concorrenza (in quel settore industriale)

Porter sostiene che queste 4 caratteristiche costituiscono il DIAMANTE, ovvero un modello figurato che può indicare con maggior chiarezza in quali industrie le aziende possono competere con successo, ovvero in quelle industrie dove il diamante risulta essere più favorevole.Il modello è di tipo auto rafforzante in quanto l’effetto di una delle quattro caratteristiche sopra elencate dipende dalla presenza o meno e dalla natura delle altre.

Porter individua altre 2 variabili che possono influenzare il diamante: il CASO e l’AZIONE del GOVERNO.Infatti eventi casuali, come l’introduzione di una innovazione radicale, o l’intervento del governo possono cambiare l’industria e stravolgere la situazione competitiva e aumentare/diminuire il vantaggio nazionale e quindi il successo di un impresa.

LA VISIONE DI PORTER

1) DOTAZIONE DEI FATTORI DI PRODUZIONELo studioso prende in considerazione la dotazione di fattori produttivi della teoria di Heckscher-Ohlin e nella sua analisi riconosce fra di essi una precisa gerarchia. Egli individua due livelli:

- Fattori di base (quali risorse naturali, clima, geografia e demografia..)- Fattori avanzati (infrastrutture per la comunicazione, lavoratori altamente qualificati, strutture di R&D,

disponibilità di tecnologie..) Questi sono più importanti per ottenere un vantaggio competitivo in quanto sono il frutto dell’investimento da parte di individui, società, governi.

La relazione fra le due tipologie è molto complessa, infatti i primi possono assicurare un vantaggio iniziale che può essere incrementato dall’investimento nei fattori avanzati.

2) LA NATURA DELLA DOMANDA INTERNAPorter pone l’accento sul ruolo della domanda interna nel migliorare il vantaggio competitivo di una nazione, in quanto le imprese sono maggiormente interessate ai bisogni dei consumatori del proprio paese che quindi risultano determinanti per definire le caratteristiche dei prodotti realizzarti e dare origine a pressioni per l’innovazione e la qualità. Porter afferma che le imprese di un paese acquisiscono un VC se i loro consumatori sono sofisticati ed esigenti, in quanto incentivano le imprese a raggiungere standard più elevati.Esempio: Nokia e Ericsson coi rispettivi cittadini svedesi e finlandesi.

La dotazione dei fattori della produzione

La strategia d’impresa, la struttura e la

concorrenza

La natura della domanda interna

La presenza di industrie collegate

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3) LE INDUSTRIE COLLEGATE E DI SUPPORTOI benefici dell’investimento nei fattori avanzati realizzati in settori industriali collegati e di supporto possono estendersi a un’altra industria aiutandola così a migliorarla la sua competitività internazionale .Le aziende di successo tendono ad essere parte di di gruppi (CLUSTER) di industrie collegate. Questi raggruppamenti sono importanti perché conoscenze di un certo valore possono diffondersi tra le imprese all’interno di un raggruppamento di una determinata regione. Questi trasferimenti avvengono quando i lavoratori si muovono tra le imprese e quando si verificano incontri di categoria tra dipendenti di diverse aziende/organizzazioni.Esempio: Cluster tessile/abbigliamento in Germania che si costituiva sia di aziende forti nel filato della lana che di aziende forti nelle macchine da cucire, eccecc.

4) STRATEGIA DI IMPRESA STRUTTURA E CONCORRENZALa mentalità manageriale è differente da cultura a cultura quindi nei diversi paesi si avranno stili gestionali differenti, che possono essere di supporto o meno rispetto ad una determinata industria.Esempio: Germania e Giappone alta percentuale di ingegneri dovuta alla alta predisposizione all’innovazione dei processi e dei prodotti. In USA alta concentrazione di dirigenti finanziari proprio a causa della ridotta predisposizione nella innovazione di processo e di prodotto.Inoltre Porter sottolinea come quest’ultima ottica porta ad dare un eccessivo valore alla massimizzazione dei ritorni finanziari a breve termine. Questa visione è alla base della relativa perdita di competitività delle imprese Usa in quei settori industriali in cui sono molto importanti le competenze ingegneristiche.Il secondo punto che sottolinea è inoltre il legame forte che esiste tra la competizione domestica e la creazione e la persistenza di un Vantaggio competitivo in un settore industriale. Maggiore è la competizione interna maggiore è la ricerca di efficienza in tutte le attività dell’impresa, ovvero pratiche che la portino al successo sia a livello domestico che internazionale.Esempio: competizione interna tra le aziende giapponesi, ha portato ad un dominio delle imprese del giappone in alcuni settori molto forte.

Caso: Nokia e la telefonia mobile, raggiungimento della vetta della piramide competitiva causato dalla particolare conformazione del contesto competitivo (moltissimi provider telefonici fissi con dirigenza eletta pubblicamente e prezzi determinati da referendum), conformazione geografica (necessità di reti mobili per superare le difficoltà di collegamento tramite metodi tradizionali), domanda interna con percentuali di sviluppo molto rapide e predisposte alla ricezione della nuova tecnologia, necessità di contenere i costi e di mantenere elevata qualità.Oggi Nokia dopo il dominio degli anni 2000 sta attraversando un periodo di enorme crisi a livello di telefonia dovuto al fatto di non aver saputo scorgere le avvisaglie del cambiamento intrapreso prima con iOS (Apple) e poi con Android (Google).

Tutti e 4 i fattori fin qui presentati collaborano a costruire il setting nel quale opera l’impresa, definendo un preciso e ben delineato “diamante” che dovrebbe indirizzare le strategie e assicurare il successo di una determinata impresa.Oltre alle forze principali abbiamo visto come siano presenti altri due elementi che contribuiscono alla definizione del diamante: il CASO e il GOVERNO.Questi elementi influenzano il sistema e la situazione reale, purtroppo non sia hanno conferme di nessun tipo in quanto non è mai stata effettuata una verifica delle intuizioni di Porter.

QUINDI RESTA ANCORA DA CAPIRE QUALE TEORIA, FRA QUELLE PRESENTATE, POSSA ESSERE UTLIZZATA COME BASE ED ELEMENTO CENTRALE PER UNA NUOVA E PIU’ ATTINENTE TEORIA DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE CHE SPIEGHI UNA PORZIONE MAGGIORE DEI FLUSSI COMMERCIALI OSSERVATI.