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Anno XXXIII 2 15 Febbraio 2010 € 1,00 Redazione: piazza Duomo, 12 Brindisi E-mail: [email protected] tel. 340.2684464 | fax 0831.524296 Spedizione in A.P. - art. 2 - c.20 - L.662/96 Primo Piano Il giovane abbraccio al Successore di Pietro Mercoledì 10 febbraio 1500 giovani della Diocesi hanno partecipato all’udienza generale con il Santo Padre nella’aula Paolo VI. «Ricordo la festosa accoglienza che mi avete riservato in occasione della mia Visita Pastorale a Brindisi» - ha detto il Papa salutando i giovani al termine dell’udienza dedicata alla figura di Sant’Antonio da Padova. Servizi a pagina 2 Un sogno da realizzare Angelo Sconosciuto L’ affermazione circa la ne- cessità «di seguire il bene comune» formulata dai vescovi italiani è rimasta nella mente di molti per la chiarezza esemplare, con la quale è stata espressa. «Se questa deve essere la prima preoccupazione di chi amministra la cosa pubblica – è stato detto – la prima preoccu- pazione dei cittadini deve essere quella di eleggere persone che meglio rispondano al persegui- mento di questo obiettivo». Certo, i vescovi ci hanno ri- volto «un appello alla respon- sabilità, a vivere con grande coscienza civica e credente questo momento importante di partecipazione», ma soprattut- to hanno disvelato un sogno: quello di una nuova genera- zione di «italiani e cattolici», che hanno «la persona» come «centro dell’azione politica». In un momento difficile per la nostra comunità civile – non è la crisi economica l’unico problema – tra poche settima- ne ci recheremo alle urne per rinnovare assemblee elettive importanti quali sono le assise regionali ed alcune assise civi- che «cadute» prima del tempo. In questi giorni frenetici si redi- gono liste e schieramenti: poco abbiamo sentito sui program- mi, ancora meno su alcuni nodi fondamentali che riguar- dano il nostro vivere, eccezion fatta per la questione dell’ener- gia e delle nuove fonti energeti- che, nucleare incluso. È vero. Anche il Papa in que- ste settimane ha parlato in nu- merose occasioni della tutela del creato proprio in relazione allo sviluppo delle comuni- tà, ma non è difficile notare il vuoto nel confronto politico su questioni davvero prioritarie e che vedono proprio le Regio- ni protagoniste: parliamo di famiglia, parliamo di sanità, parliamo dell’inizio e della fine della vita. Settimane addietro, proprio a Brindisi la vicenda di Mirna, la donna affetta da Sla, ha fatto riflettere tutti, non solo sulle vicende bioetiche, ma anche su quelle dei servizi offerti a chi soffre e alla sua fa- miglia. Per noi è anche questo è bene comune ed è questione meridionale e su tali problemi attendiamo convincenti anali- si e conseguenti risposte. EDITORIALE PRIMO PIANO Quaresima il primato della Parola sulle parole Zecca a pag. 3 ATTUALITÀ Immigrazione fenomeno da approfondire Alle pagg. 20-21 SPECIALE Il mese della pace a cura dell’Azione Cattolica Ragazzi Servizi a pag. 17 180.000 morti già sepolti, 200.000 ancora sotto le macerie, 195.000 feriti, 1 milione di senza tet- to, 1 milione e mezzo di sfollati che cercano ri- paro verso l’interno, Port-au-Prince distrutta al 75% e Legane al 90%. E all’interno della Chiesa cattolica, oltre a chiese, scuole e ospedali com- pletamente distrutti, 30 seminaristi diocesani, 20 seminaristi religiosi e 45 suore tra le vittime, più l’arcivescovo di Port-au-Prince mons. Ser- ge Miot e il rettore del seminario diocesano. In totale 3 milioni di persone che hanno bisogno di aiuto umanitario. È il tragico bilancio della distruzione portata dal terremoto, fornito da mons. Pierre Dumas, presidente di Caritas Haiti e vescovo di Anse-À-Veau et Miragoâne. Mons. Dumas ha incontrato il 3 febbraio Benedetto XVI in Vaticano, al quale ha chiesto un aiuto per «ricostruire con urgenza chiese e spazi di accoglienza per le persone». Immagine falsata sui media. «Le persone sono traumatizzate dai lutti e dalla paura - ha raccontato il vescovo - e ancora si feriscono e rompono braccia e gambe a causa dell’after choc, cioè le reazioni incontrollate ad ogni sussulto. Il Paese è bloccato, collassato sotto il peso di un dram- ma incredibile. Ma non è vero che gli haitiani sono un popolo violento come è stato spesso rappresenta- to dai media. Nonostante le carceri siano andate distrutte e 5.000 carce- rati siano ora liberi, non è vero che il tasso di violenza è più alto di pri- ma.». Adozioni solo se in regola. «Non fare adozioni senza documenti ma aspettare le leggi». È l’altro appello di mons. Dumas. «È vero che il governo è diventato mol- to debole - ha precisato - ma si può contattare il ministero sociale. Nessuno può approfittare di questo popolo per fare traffici, sarebbe una grande pazzia. Bisogna rispettare la dignità di questi bambini. È importante sostenere anche le famiglie ad Haiti se i bambini hanno ancora dei familiari o parenti invece di portarli fuori». Anche la nostra Diocesi sta contribuendo all’emergenza. Finora alla Caritas diocesana sono giunte offerte pari a circa 35000 euro. Chi volesse può continuare a contribuire inviando le proprie offerte a Caritas Diocesana Brindisi- Ostuni tramite C/C POSTALE n. 10994721 Offerte sono possibili anche tramite c/c ban- cario: Banco di Napoli, Filiale Brindisi 2, Via Ammiraglio Cagni n. 2 IBAN IT06 K010 1015 9020 0002 7000 060 Terremoto di Haiti. Aiutiamoli a riscostruire la speranza Mons. Talucci in Diocesi da 10 anni. Mons. Todisco Vescovo da 40 anni Giorni lieti Servizi a pag. 3 e 10 - 14

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Anno XXXIII n° 2 15 Febbraio 2010 € 1,00Redazione: piazza Duomo, 12 Brindisi

E-mail: [email protected]. 340.2684464 | fax 0831.524296 Spedizione in A.P. - art. 2 - c.20 - L.662/96

Primo Piano

Il giovane abbraccioal Successore di Pietro

Mercoledì 10 febbraio 1500 giovani della Diocesi hanno partecipato all’udienza generale con il Santo Padre nella’aula Paolo VI. «Ricordo la festosa accoglienza che mi avete riservato in occasione della mia Visita Pastorale a Brindisi» - ha detto il Papa salutando i giovani al termine dell’udienza dedicata alla figura di Sant’Antonio da Padova.

Servizi a pagina 2

Un sogno da realizzare

Angelo Sconosciuto

L’ affermazione circa la ne-cessità «di seguire il bene comune» formulata dai

vescovi italiani è rimasta nella mente di molti per la chiarezza esemplare, con la quale è stata espressa. «Se questa deve essere la prima preoccupazione di chi amministra la cosa pubblica – è stato detto – la prima preoccu-pazione dei cittadini deve essere quella di eleggere persone che meglio rispondano al persegui-mento di questo obiettivo».

Certo, i vescovi ci hanno ri-volto «un appello alla respon-sabilità, a vivere con grande coscienza civica e credente questo momento importante di partecipazione», ma soprattut-to hanno disvelato un sogno: quello di una nuova genera-zione di «italiani e cattolici», che hanno «la persona» come «centro dell’azione politica».

In un momento difficile per la nostra comunità civile – non è la crisi economica l’unico problema – tra poche settima-ne ci recheremo alle urne per rinnovare assemblee elettive importanti quali sono le assise regionali ed alcune assise civi-che «cadute» prima del tempo. In questi giorni frenetici si redi-gono liste e schieramenti: poco abbiamo sentito sui program-mi, ancora meno su alcuni nodi fondamentali che riguar-dano il nostro vivere, eccezion fatta per la questione dell’ener-gia e delle nuove fonti energeti-che, nucleare incluso.

È vero. Anche il Papa in que-ste settimane ha parlato in nu-merose occasioni della tutela del creato proprio in relazione allo sviluppo delle comuni-tà, ma non è difficile notare il vuoto nel confronto politico su questioni davvero prioritarie e che vedono proprio le Regio-ni protagoniste: parliamo di famiglia, parliamo di sanità, parliamo dell’inizio e della fine della vita. Settimane addietro, proprio a Brindisi la vicenda di Mirna, la donna affetta da Sla, ha fatto riflettere tutti, non solo sulle vicende bioetiche, ma anche su quelle dei servizi offerti a chi soffre e alla sua fa-miglia. Per noi è anche questo è bene comune ed è questione meridionale e su tali problemi attendiamo convincenti anali-si e conseguenti risposte.

edItorIale

❑ PrImo PIanoQuaresima il primato della Parola sulle parole

Zecca a pag. 3

❑ attualItàImmigrazione fenomeno da approfondire

Alle pagg. 20-21

❑ SPecIale Il mese della pace a cura dell’Azione Cattolica Ragazzi

Servizi a pag. 17

180.000 morti già sepolti, 200.000 ancora sotto le macerie, 195.000 feriti, 1 milione di senza tet-to, 1 milione e mezzo di sfollati che cercano ri-paro verso l’interno, Port-au-Prince distrutta al 75% e Legane al 90%. E all’interno della Chiesa cattolica, oltre a chiese, scuole e ospedali com-pletamente distrutti, 30 seminaristi diocesani, 20 seminaristi religiosi e 45 suore tra le vittime, più l’arcivescovo di Port-au-Prince mons. Ser-ge Miot e il rettore del seminario diocesano. In totale 3 milioni di persone che hanno bisogno di aiuto umanitario. È il tragico bilancio della distruzione portata dal terremoto, fornito da mons. Pierre Dumas, presidente di Caritas Haiti e vescovo di Anse-À-Veau et Miragoâne. Mons. Dumas ha incontrato il 3 febbraio Benedetto XVI in Vaticano, al quale ha chiesto un aiuto per «ricostruire con urgenza chiese e spazi di accoglienza per le persone».

Immagine falsata sui media. «Le persone sono traumatizzate dai lutti e dalla paura - ha raccontato il vescovo - e ancora si feriscono e rompono braccia e gambe a causa dell’after

choc, cioè le reazioni incontrollate ad ogni sussulto. Il Paese è bloccato, collassato sotto il peso di un dram-ma incredibile. Ma non è vero che gli haitiani sono un popolo violento come è stato spesso rappresenta-to dai media. Nonostante le carceri siano andate distrutte e 5.000 carce-rati siano ora liberi, non è vero che il tasso di violenza è più alto di pri-ma.».

Adozioni solo se in regola. «Non fare adozioni senza documenti ma aspettare le leggi». È l’altro appello di mons. Dumas. «È vero che il governo è diventato mol-to debole - ha precisato - ma si può contattare il ministero sociale. Nessuno può approfittare di questo popolo per fare traffici, sarebbe una grande pazzia. Bisogna rispettare la dignità di questi bambini. È importante sostenere anche le famiglie ad Haiti se i bambini hanno ancora dei familiari o parenti invece di portarli fuori».

Anche la nostra Diocesi sta contribuendo

all’emergenza. Finora alla Caritas diocesana sono giunte offerte pari a circa 35000 euro. Chi volesse può continuare a contribuire inviando le proprie offerte a Caritas Diocesana Brindisi-Ostuni tramite C/C POSTALE n. 10994721

Offerte sono possibili anche tramite c/c ban-cario: Banco di Napoli, Filiale Brindisi 2, Via Ammiraglio Cagni n. 2

IBAN IT06 K010 1015 9020 0002 7000 060

Terremoto di Haiti. Aiutiamoli a riscostruire la speranza

Mons. Talucci in Diocesi da 10 anni. Mons. Todisco Vescovo da 40 anni

Giorni lieti

Servizi a pag. 3 e 10 - 14

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Primo Piano2 15 febbraio 2010

“Quanti frutti buoni ha porta-to la mia visita a Brindisi!”. Una frase che racchiude

in sé la sintesi di una storia, quella tra la Diocesi di Brindisi-Ostuni ed il Santo Padre Benedetto XVI, e che parte da una Visita Pastorale e conti-nua con un legame fortissimo ed un ricordo sempre vivo nelle menti e nei cuori.

Quella di mercoledì 10 febbraio 2010, sarà un’altra data da segnare, da met-tere nello zaino dei ricordi per oltre 1500 giovani delle vicarie della diocesi, che sono partiti alla volta della capitale per rincontrare il successore di Pietro e c’è chi come Ivana D’Addario, Iolan-da Milone e Fabio D’Adamo di certo non dimenticheranno mai. Sì, perché, come rappresentanza dei giovani han-no potuto salutare personalmente Sua Santità.

I giovani sono partiti martedì sera, 9 febbraio, a bordo di 30 pullman con quella parola che lo stesso Papa aveva lasciato loro il 14 giugno 2008, nell’in-contro in piazzale Lenio Flacco acco-gliendolo all’arrivo a Brindisi per la Vi-sita Pastorale alla città.

Tante ore di viaggio, il freddo, la piog-gia, non li ha di certo fermati o non convinti a partire, anzi il desiderio è stato ancora più forte. Durante il cam-mino la preghiera li ha accompagnati ma anche la gioia dei canti, dei con-fronti, delle amicizie strette tra i sedili.

L’arrivo a Roma alle sei del mattino, colazione e sistemazione e poi pronti per cominciare a vivere una significa-tiva esperienza. Tutti fuori la porta del Perugino, in Vaticano, sotto la pioggia, si sono ritrovati in 1500 per vivere il momento di comunione con l’Arcive-scovo sua eccellenza Rocco Talucci e monsignor Filoni. Infatti, alle ore 7 e 30 tutti erano in Basilica di San Pietro nelle panche antistanti l’altare della Cattedra per la liturgia eucaristica e per prepararsi a vivere l’incontro con il pontefice.

Finita la celebrazione, direzione Aula Paolo VI. Ecco, l’attesa, i canti, gli inni e poi l’ingresso da una piccola porta di Benedetto XVI. L’ovazione è partita automaticamente, voci di giovani in un unico coro per il Santo Padre.

Una sorpresa all’improvvisa è giunta per tre dei 1500 giovani accompagnati dal responsabile diocesano della Pa-storale Giovanile, don Dino Scalera. Avrebbero incontrato il Papa! Avrebbe-

ro potuto portare a lui il saluto di tutti quei ragazzi e di chi non ha potuto es-serci.

L’atmosfera e le parole del Santo Pa-dre hanno fatto il resto: “Saluto i pel-legrini di lingua italiana, in particolare saluto i giovani guidati dal loro Arcive-scovo monsignor Rocco Talucci ed au-spico che ciascuno possa essere per i coetanei testimone di fede ed esempio di onestà e bontà”.

Il boato è stato inevitabile, anche per-chè un terzo della grande assemblea presente era formato proprio dai gio-vani della diocesi.

“Ricordo molto volentieri la festosa accoglienza che mi avete riservato in occasione della mia Visita Pastorale a Brindisi. Fu un momento il cui gioioso ricordo resta inciso nella memoria di noi tutti”.

L’esultanza non ha avuto fine, il suc-cessore di Pietro a fatica è riuscito a continuare con le sue parole, ma la sua gioia è stata evidente ed il suo saluto con la mano continuo.

Alla fine dell’udienza, il saluto dap-prima tra sua eccellenza l’arcivescovo e Benedetto XVI. Le mani ben strette ed un importante colloquio.

Mons. Talucci, ha riferito al Papa del riconoscimento del Porto di Brindi-si come monumento di Pace.“Quanti frutti buoni ha portato la mia visita a Brindisi!” è stata la risposta compiaciu-ta di Benedetto XVI al vescovo.

“Grazie per aver voluto oggi ricam-biare quella Visita!”, ha concluso il suc-cessore di Pietro.

Poi la grande emozione. Il Vescovo è sceso dai tre ragazzi scelti per l’incon-tro e li ha condotti da Sua Santità, lì il saluto da parte dei giovani assenti ed ammalati e gli sguardi intensi di chi ama i suoi giovani.

«Per noi è stata una sorpresa, non im-maginavamo neanche di dover saluta-re di persona il Santo Padre. Di certo non si può esprimere a parole quello che abbiamo provato, sembrava un nonno dagli occhi dolcissimi e quello che possiamo dire è che portandogli i saluti di tutti i giovani assenti e amma-lati ha annuito in silenzio ma guardan-doci fissi e tenendoci strette strette le mani per lungo tempo».

Antonella Di Coste

l’evento� Il 10 febbraio 1500 giovani hanno partecipato all’udienza generale nell’Aula Nervi

Il giovane abbraccio al Successore di Pietro

Come giovani ci siamo preparati, per quest’esperienza con diver-se iniziative partendo dal libretto

“Santi giovani per giovani santi” scritto dall’Arcivescovo e consegnato personal-mente, durante i diversi incontri vicariali, dove ha riaffermato che anche noi, giova-ni d’oggi, siamo chiamati a incamminarci sulla strada della santità. Solo se la Parola e l’insegnamento di Gesù è collocata al centro della nostra vita e del nostro cuore possiamo realizzare il bene e raggiunge-re l’obiettivo di ogni cristiano. Nella bre-ve, ma intensa riflessione al Vangelo nel corso della celebrazione nella Basilica di San Pietro, l’Arcivescovo ha sottolineato che non c’è nulla fuori dall’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro (Mc 7,15-16), è nell’inti-mo che si fanno i progetti, i sogni, il luogo da dove emana il bene, se è un cuore che ama Dio, non potrà non produrre sen-timenti belli, di gioia; è nel cuore che si ha la capacità di valutare se ciò che viene

dal mondo è consono alla volontà di Dio. Se il nostro cuore non è illuminato dal Vangelo, a causa di agenti esterni lontani dagli insegnamenti cristiani, così come produce il bene, emanerà il male. Chi rifiuta l’incontro con la Parola rischia di cadere in peccato e di vivere la vita senza significato. Il Vescovo ha invitato noi gio-vani ad essere lieti cristiani e ad aprire le porte del cuore all’amore di Dio perché solo così saremo santi, e a confermare la fede in Dio e a metterlo al primo posto nella nostra vita. Solo obbedendo a Lui si può veramente essere liberi, e capaci di dire un “no” convinto e consapevole al male. La Chiesa invita a dire “si” alle cose belle, alla pace e alla giustizia per rinno-vare quotidianamente dinanzi alla storia e agli uomini le nostre scelte di giovani cristiani, sull’esempio di Maria che disse di no al demonio, e Sì a Dio e alla sua ca-rità, per aprirci all’amore, un amore che riempie di speranza.

Mariapaola Chimienti

La Celebrazione

L’udienza

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto con affetto i giovani

dell’Arcidiocesi di Brindisi-Ostuni, guidati dal loro Arcivescovo Mons. Rocco Talucci, ed auspico

che ciascuno possa essere per i coetanei testimone di fede ed esempio di onestà e di bontà. Ricordo molto

volentieri la festosa accoglienza che mi avete riservato in occasione della mia Visita Pastorale a Brindisi. Fu un momento il cui gioioso ricordo resta inciso nella memoria di noi tutti. Grazie per aver voluto oggi

ricambiare quella Visita!Benedetto XVI all’Udienza Generale del 10 febbraio 2010

© Pamela Quarta

© Pamela Quarta

© Antonella Di Coste

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Primo Piano 315 febbraio 2010

il ricordo Nuove riflessioni e un singolare retroscena del febbraio 2000

Mons. Rocco Talucci da dieci anni con noi

“Mentre le campane suonano a distesa il mezzogiorno, io co-munico ai sacerdoti e ai fedeli

convenuti in Cattedrale la lieta notizia della nomina di S. E. Mons. Rocco Talucci ad ar-civescovo di Brindisi-Ostuni. [. . .] Continua così la serie degli Arcivescovi di Brindisi-Ostuni, nella continuità della gerarchia apo-stolica e nella stabilità e crescita di una Chie-sa antica e nobile che ha le sue radici in S. Leucio e in S. Oronzo.

Per questo l’evento che si compie quest’og-gi esce subito dalla cronaca, in ordine cioè alla pura successione nell’ufficio, ed entra già nella storia della nostra gente e del terri-torio e si apre alla parola del Signore: Io sono il buon pastore (Gv 10,11), Vi darò pastori se-condo il mio cuore (Ger 3,15)”.

Con queste parole, il 5 febbraio del 2000, Mons. Settimio Todisco annunziava l’evento della successione episcopale nell’Arcidioce-si di Brindisi-Ostuni da parte di Mons. Roc-co Talucci che veniva inviato da Sua Santità Giovanni Paolo II a subentrargli alla guida della Chiesa salentina.

Da allora sono passati esattamente dieci anni.

A molti potrà sembrare una ricorrenza di normale portata se non fosse per il fatto che questo tempo è stato caratterizzato da un lavoro instancabile alla guida di una Chie-sa che, già arricchita dalla feconda saggezza

conciliare di Mons. Todisco, si presentava all’appuntamento desiderosa di realizzare nuove stagioni di vita ecclesiale.

L’attesa del nuovo Vescovo, accompagna-ta alla commossa gratitudine per chi lascia-va, sono stati i sentimenti vissuti dal popolo dell’Arcidiocesi. A questo è subentrata ben presto la piacevole consapevolezza di un Pa-store che nell’amabilità e cordialità dei tratti aveva il suo punto di forza aggregante. Nel-le sue parole e nelle scelte avviate emergeva con sempre più chiarezza il desiderio pro-fondo di un rapporto improntato alla pater-nità.

“Non li conosco ancora, ma li amo paterna¬mente perché mi sono affidati dal Si-gnore” - così Mons. Rocco Talucci ebbe a dire ad un quotidiano locale riferendosi ai fedeli della nuova Diocesi cui era destinato -“vor-rei entrare nella loro storia per proclamare la parola di Dio con particolare attenzione alla carità, ai giovani, ai sacerdoti, alle famiglie e al laicato”.

Oggi, in attesa di festeggiare il decimo an-niversario della presenza di Mons. Talucci tra noi (8 aprile p.v.), la Chiesa di Brindisi-Ostuni si stringe intorno al suo Pastore augu-randogli pace, salute ed ogni bene per con-tinuare a gettare le sue reti nella Parola del Signore.

Mons. Giuseppe SatrianoVicario Generale

Era il 30 gennaio 2000, quando una te-lefonata “riservata” dalla Nunziatura Apostolica in Italia, annunciava a S.E

Mons. Settimio Todisco la scelta del succes-sore alla Chiesa di Brindisi-Ostuni nella per-sona di S.E. Mons. Rocco Talucci, Vescovo di Tursi-Lagonegro.

La data stabilita per l’annuncio ufficiale, ai Sacerdoti e al popolo di Dio, era stata fissata per il 5 febbraio.

Mentre Mons. Todisco redigeva il testo del messaggio “mentre le campane suonano in festa” con il quale avrebbe annunciato la no-mina del suo successore, un fax giunse alla Segretaria Arcivescovile dall’Arcivescovo eletto, Mons. Rocco Talucci. Fu questo il mio primo contatto avuto con l’Arcivescovo dopo la telefonata del Nunzio in Italia, S.E.Mons. Andrea Cordero Lanza di Montezemolo, oggi Cardinale di Santa Romana Chiesa.

I giorni che precedettero la notizia ufficiale furono giornate di intenso lavoro e di impo-sta segretezza anche perché tra i nomi che circolavano per una la successione alla guida della Chiesa di Brindisi-Ostuni non compa-riva, secondo il vociferare della gente, quello del Vescovo di Tursi-Lagonegro. In episcopio intanto si respirava un clima di agitazione e fermento in vista della convocazione al clero e al popolo.

Il pomeriggio del 4 febbraio, dalla Curia Arcivescovile, venne inviato un fax alle par-rocchie, con il quale l’Arcivescovo Mons. To-disco invitava per le ore 12.00 del giorno se-guente ad un incontro “straordinario” nella Basilica Cattedrale.

Naturalmente tutti compresero il perché della convocazione. Il telefono in episcopio quel pomeriggio non ebbe tregua, un pò per la curiosità un pò per la sorpresa.

L’Arcivescovo, intanto, fece preparare dei plichi da distribuire ai Sacerdoti e all’interno del quale c’era, oltre il testo del suo messag-gio, anche il saluto autografo che giungeva dalla Curia Vescovile di Tursi-Lagonegro, a firma dell’Arcivescovo eletto.

Sentimenti di paternità e di sorpresa per la nomina a Brindisi, erano espressi nel mes-saggio da Mons. Talucci chiamato dal Papa, il Servo di Dio Giovanni Paolo II, a compiere questo salto da una riva all’altra del mare.

Ma ricordo con nostalgia Mons. Todisco poco prima delle ore 12.00, quando dalla fi-nestra del suo ufficio guardava i Sacerdoti e il popolo che giungevano lì in Piazza Duomo e, con voce commossa, intanto si accertava che in Cattedrale tutto fosse stato predisposto.

Questa convocazione avrebbe segnato da lì a poco, una svolta per la Chiesa diocesana e per la sua persona che, non posso dimentica-re, dal primo momento ha voluto bene al suo successore. Ai Sacerdoti riuniti in Cattedrale invitava da quel momento a pronunciare nel canone della Messa il nome del nuovo Ve-scovo, Rocco; era questo il primo segno di quel mezzogiorno di inizio febbraio.

Anche i giorni che seguirono il 5 febbraio furono giornate intense di lavoro ma si cer-cava di fare tutto in vista dell’attesa dell’even-to ancora più grande che avrebbe vissuto la Chiesa di Brindisi-Ostuni, quando il pome-riggio dell’8 aprile 2000, in Piazza Santa Te-resa, si sarebbe stretta attorno al suo nuovo Pastore che, privatamente, aveva raggiunto la sede brindisina pochi giorni prima dell’in-gresso ufficiale.

A distanza di dieci anni da quei memora-bili momenti, esprimiamo all’Arcivescovo i migliori auguri per un proficuo ministero pastorale nella nostra chiesa brindisina che, accanto al dono della sua Visita Pastorale del 2006 e all’indimenticabile Visita Aposto-lica del Santo Padre Benedetto XVI del 14 e 15 giugno 2008, nonché alle innumerevoli iniziative che hanno segnato questo tempo sta vivendo, ora, uno spazio privilegiato di comunione e scommessa, quale è il Sinodo Diocesano.

Ad multos annos, Eccellenza. Auguri!

Don Giuseppe Pendinelli

C’è una frase di Mario Pomilio che mi accompagna in questo periodo: “Oggi abbiamo perso

l’abitudine al silenzio, perché abbiamo paura di confrontarci con la verità. Così non possiamo crescere: siamo condan-nati alla mediocrità”.La mediocrità di cui parla Pomilio è frut-

to di una mancanza di ascolto nei con-fronti della Verità; una vita senza spessore spirituale, infatti, è una vita mediocre. È lo spessore che dà resistenza e solidità alle cose. Lo spessore dell’uomo è dato dal-la profondità, cioè dalla sua vita interio-re. Oggi c’è molta esteriorità, molta cura dell’immagine, una forte ostentazione di sé ma poco spes-sore spirituale. La Parola ci aiuta a dare consistenza alla vita per evitare che diventi pula che si disperde al vento. L’uomo di oggi, prostituito alle tante verità, non riesce più a trovare la verità di sé.

Siamo in un tempo in cui l’orecchio dell’uomo è ostruito dal “cerume” di rumori, da parole di ogni genere, da urla che stordiscono, da frammenti di verità ritagliati su misura. In questo contesto la forza della Parola di Dio appare insi-gnificante, crocifissa dai chiodi delle nostre parole, flagella-ta dalle nostre presunte verità, tradita dalle nostre ipocrisie, schiaffeggiata dalle nostre idolatrie. Eppure quella Parola è necessaria come il pane. Possiamo rilanciare la profezia di Amos: “Verrà una giovane generazione che non sarà soddi-sfatta del pane e dell’acqua soltanto, ma avrà bisogno di un altro cibo” (Am 8, 11).

La Quaresima appare allora come un tempo per cercare questo cibo, un tempo per celebrare la forza della Parola di Dio sulle chiacchiere, ossia sulle parole vuote.

Scrive mons. Gianfranco Ravasi: “L’italiano ha almeno tra i 130 e i 150 mila vocaboli secondo le catalogazioni della

Crusca; l’inglese, che permette continue varianti all’interno della propria lingua, veleggia ormai verso il mezzo milione di vocaboli. Siamo quindi in presenza di lingue grandiose. Quella biblica, invece, è una lingua povera che esprime però con una potenza straordinaria un messaggio altissi-mo”.

La Quaresima è un tempo prezioso per nutrirsi di silenzio e di ascolto, vivendo la solidarietà e la sobrietà. Il silenzio è l’utero della Parola. È nel silenzio del deserto che emerge la forza e la verità di quel “Sta scritto …” che per ben tre volte Gesù ripete al tentatore che vuol distrarlo dal Padre.

Ecco allora il luogo per far emergere la Parola: il deserto. Qui emergono gli appetiti dei nostri egoismi. Qui la lotta tra la Verità portata dalla Parola e la menzogna delle tentazioni si fa aspra e spesso siamo tentati di abbandonare il campo di battaglia, preferendo la schiavitù dei nostri vizi.

Il silenzio è il luogo che ci ricuce con la vita, è il luogo in cui possiamo ritrovare noi stessi. Nel silenzio si prega e si cerca Dio. La paura del silenzio ci fa rifugiare in un mondo fatto di immagini, pieno di relazioni spesso virtuali e affa-stellato di azioni. Trovare un momento di silenzio dentro

il rumore dei giorni permette di abbando-narci a qualcosa o meglio a qualcuno so-pra di noi, in grado di dare significato alla vita, alle nostre emozioni, alle nostre fra-gilità. La Quaresima si apre proprio nel se-gno della fragilità: l’imposizione delle ce-neri sul nostro capo. Un invito a guardare con fiducia a quello che noi siamo perché la Parola ci converta in ciò che possiamo diventare.

Scopo della Quaresima, allora, è un lavo-ro di purificazione, di ascesi, di disciplina per far emergere la vera immagine di uomo che è stata deposta in noi, ma incrostata dal peccato. Questo richiede che ognuno

di noi si ritagli tempi di silenzio per creare intimità con se stessi e con Dio. Occorre applicarsi con assiduità all’ascolto della Parola di Dio facendo tacere le parole che soffocano la nostra vita. Un silenzio svuotato dal frastuono di parole inutili e riempito della Parola di vita che la Chiesa ci propo-ne nei quaranta giorni della Quaresima; un silenzio in cui si possa percepire il soffio dello Spirito che parla al nostro cuore, un silenzio che sia anche purificazione degli occhi dalle immagini, silenzio che sia digiuno dalle cose inutili per un ritorno all’essenzialità e alla solidarietà. L’uomo di oggi conosce le diete ma ha perso il valore del digiuno.

Il tempo di Quaresima è un tempo per l’uomo, affinché illuminato dalla Parola, possa ritrovare il significato di ciò che fa e il senso del suo camminare. È un tempo propizio perché ognuno possa tornare all’autenticità del vissuto del-la propria fede riscoprendo l’efficacia della preghiera.

La Quaresima è un regalo che la Chiesa ci fa. Il regalo di un tempo per ammirare l’umanità nuova di Gesù e per rinsaldare l’unione con lui, affinché la sua umanità nuova possa luccicare anche in noi.

Don Cosimo Zecca

riflessioni Con il Mercoledì delle Ceneri prende il via un tempo che invita al silenzio e alla preghiera

Quaresima, il primato della Parola sulle paroleC’è una frase di Mario Pomilio

che mi accompagna in questo periodo: “Oggi abbiamo perso

l’abitudine al silenzio, perché abbiamo paura di confrontarci con la verità. Così non possiamo crescere: siamo condan-nati alla mediocrità”.La mediocrità di cui parla Pomilio è frut-

to di una mancanza di ascolto nei con-fronti della Verità; una vita senza spessore spirituale, infatti, è una vita mediocre. È lo spessore che dà resistenza e solidità alle cose. Lo spessore dell’uomo è dato dal-la profondità, cioè dalla sua vita interio-re. Oggi c’è molta esteriorità, molta cura dell’immagine, una forte ostentazione di sé ma poco spes-sore spirituale. La Parola ci aiuta a dare consistenza alla vita per evitare che diventi pula che si disperde al vento. L’uomo di oggi, prostituito alle tante verità, non riesce più a trovare la verità di sé.

Siamo in un tempo in cui l’orecchio dell’uomo è ostruito dal “cerume” di rumori, da parole di ogni genere, da urla che stordiscono, da frammenti di verità ritagliati su misura. In questo contesto la forza della Parola di Dio appare insi-gnificante, crocifissa dai chiodi delle nostre parole, flagella-ta dalle nostre presunte verità, tradita dalle nostre ipocrisie, schiaffeggiata dalle nostre idolatrie. Eppure quella Parola è necessaria come il pane. Possiamo rilanciare la profezia di Amos: “Verrà una giovane generazione che non sarà soddi-sfatta del pane e dell’acqua soltanto, ma avrà bisogno di un altro cibo” (Am 8, 11).

La Quaresima appare allora come un tempo per cercare questo cibo, un tempo per celebrare la forza della Parola di Dio sulle chiacchiere, ossia sulle parole vuote.

Scrive mons. Gianfranco Ravasi: “L’italiano ha almeno tra i 130 e i 150 mila vocaboli secondo le catalogazioni della

Crusca; l’inglese, che permette continue varianti all’interno della propria lingua, veleggia ormai verso il mezzo milione di vocaboli. Siamo quindi in presenza di lingue grandiose. Quella biblica, invece, è una lingua povera che esprime però con una potenza straordinaria un messaggio altissi-mo”.

La Quaresima è un tempo prezioso per nutrirsi di silenzio e di ascolto, vivendo la solidarietà e la sobrietà. Il silenzio è l’utero della Parola. È nel silenzio del deserto che emerge la forza e la verità di quel “Sta scritto …” che per ben tre volte Gesù ripete al tentatore che vuol distrarlo dal Padre.

Ecco allora il luogo per far emergere la Parola: il deserto. Qui emergono gli appetiti dei nostri egoismi. Qui la lotta tra la Verità portata dalla Parola e la menzogna delle tentazioni si fa aspra e spesso siamo tentati di abbandonare il campo di battaglia, preferendo la schiavitù dei nostri vizi.

Il silenzio è il luogo che ci ricuce con la vita, è il luogo in cui possiamo ritrovare noi stessi. Nel silenzio si prega e si cerca Dio. La paura del silenzio ci fa rifugiare in un mondo fatto di immagini, pieno di relazioni spesso virtuali e affa-stellato di azioni. Trovare un momento di silenzio dentro

il rumore dei giorni permette di abbando-narci a qualcosa o meglio a qualcuno so-pra di noi, in grado di dare significato alla vita, alle nostre emozioni, alle nostre fra-gilità. La Quaresima si apre proprio nel se-gno della fragilità: l’imposizione delle ce-neri sul nostro capo. Un invito a guardare con fiducia a quello che noi siamo perché la Parola ci converta in ciò che possiamo diventare.

Scopo della Quaresima, allora, è un lavo-ro di purificazione, di ascesi, di disciplina per far emergere la vera immagine di uomo che è stata deposta in noi, ma incrostata dal peccato. Questo richiede che ognuno

di noi si ritagli tempi di silenzio per creare intimità con se stessi e con Dio. Occorre applicarsi con assiduità all’ascolto della Parola di Dio facendo tacere le parole che soffocano la nostra vita. Un silenzio svuotato dal frastuono di parole inutili e riempito della Parola di vita che la Chiesa ci propo-ne nei quaranta giorni della Quaresima; un silenzio in cui si possa percepire il soffio dello Spirito che parla al nostro cuore, un silenzio che sia anche purificazione degli occhi dalle immagini, silenzio che sia digiuno dalle cose inutili per un ritorno all’essenzialità e alla solidarietà. L’uomo di oggi conosce le diete ma ha perso il valore del digiuno.

Il tempo di Quaresima è un tempo per l’uomo, affinché illuminato dalla Parola, possa ritrovare il significato di ciò che fa e il senso del suo camminare. È un tempo propizio perché ognuno possa tornare all’autenticità del vissuto del-la propria fede riscoprendo l’efficacia della preghiera.

La Quaresima è un regalo che la Chiesa ci fa. Il regalo di un tempo per ammirare l’umanità nuova di Gesù e per rinsaldare l’unione con lui, affinché la sua umanità nuova possa luccicare anche in noi.

Don Cosimo Zecca

riflessioni Con il Mercoledì delle Ceneri prende il via un tempo di silenzio e preghiera

Quaresima, il primato della Parola sulle parole

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Speciale Anno Sacerdotale4 15 febbraio 2010

“Cogliere con saggezza le singolari opportunità offerte dalla moderna comunicazione” per essere “annun-

ciatori appassionati della buona novella anche nella nuova ‘agorà’ posta in essere dagli attuali mezzi di comunicazio-ne”. È “l’invito” che Benedetto XVI “rinnova” ai sacerdoti nel messaggio per la 44ª Giornata mondiale delle comuni-cazioni sociali (16 maggio 2010), dal titolo “Il sacerdote e la pastorale nel mondo digitale: i nuovi media al servizio della Parola”

Questo tema – spiega il Papa nel testo, “s’inserisce felice-mente nel cammino dell’Anno sacerdotale, e pone in primo piano la riflessione su un ambito pastorale vasto e delica-to come quello della comunicazione e del mondo digitale, nel quale vengono offerte al sacerdote nuove possibilità di esercitare il proprio servizio alla Parola e della Parola”. Il Pontefice ricorda che “i moderni mezzi di comunicazione sono entrati da tempo a far parte degli strumenti ordinari, attraverso i quali le comunità ecclesiali si esprimono, en-trando in contatto con il proprio territorio ed instaurando, molto spesso, forme di dialogo a più vasto raggio, ma – nota Benedetto XVI – la loro recente e pervasiva diffusione e il loro notevole influsso ne rendono sempre più impor-tante ed utile l’uso nel ministero sacerdotale”.

Una “storia nuova”. “Con la diffusione” del mondo di-gitale, sottolinea il Papa, “la responsabilità dell’annuncio non solo aumenta, ma si fa più impellente e reclama un impegno più motivato ed efficace”. Al riguardo, prosegue il Santo Padre, “il sacerdote viene a trovarsi come all’inizio di una ‘storia nuova’, perché, quanto più le moderne tec-

nologie creeranno relazioni sempre più intense e il mondo digitale amplierà i suoi confini, tanto più egli sarà chiama-to a occuparsene pastoralmente, moltiplicando il proprio impegno, per porre i media al servizio della Parola”. Tut-tavia, evidenzia Benedetto XVI, “la diffusa multimedialità e la variegata ‘tastiera di funzioni’ della medesima comu-nicazione possono comportare il rischio di un’utilizzazio-ne dettata principalmente dalla mera esigenza di rendersi presente, e di considerare erroneamente il web solo come uno spazio da occupare”. Invece, spiega il Papa, ai sacer-doti “è richiesta la capacità di essere presenti nel mondo digitale nella costante fedeltà al messaggio evangelico, per esercitare il proprio ruolo di animatori di comunità che si esprimono ormai, sempre più spesso, attraverso le tante ‘voci’ scaturite dal mondo digitale, e annunciare il Vangelo avvalendosi, accanto agli strumenti tradizionali, dell’appor-to di quella nuova generazione di audiovisivi (foto, video, animazioni, blog, siti web), che rappresentano inedite oc-casioni di dialogo e utili mezzi anche per l’evangelizzazio-ne e la catechesi”.

Il “cortile dei gentili”. Benedetto XVI delinea anche il “compito di chi, da consacrato, opera nei media”: “Spiana-re la strada a nuovi incontri, assicurando sempre la qualità del contatto umano e l’attenzione alle persone e ai loro veri bisogni spirituali; offrendo agli uomini che vivono questo nostro tempo ‘digitale’ i segni necessari per riconoscere il Signore; donando l’opportunità di educarsi all’attesa e alla speranza e di accostarsi alla Parola di Dio, che salva e fa-vorisce lo sviluppo umano integrale”. La Parola, aggiunge il

Papa, “potrà così prendere il largo tra gli innumere-voli crocevia creati dal fitto intreccio delle autostra-de che solcano il cyberspazio e affermare il diritto di cittadinanza di Dio in ogni epoca”. Il Pontefice ricorda quindi l’“incoraggiamento” a “promuove-

re una cultura di rispetto per la dignità e il valore della persona umana”, rivolto nel messaggio dello scorso anno ai “responsabili dei processi comunicativi”. Per Benedetto XVI, “è questa una delle strade nelle quali la Chiesa è chia-mata ad esercitare una ‘diaconia della cultura’ nell’odierno ‘continente digitale’”. Infatti, “una pastorale nel mondo di-gitale è chiamata a tener conto anche di quanti non credo-no, sono sfiduciati e hanno nel cuore desideri di assoluto e di verità non caduche, dal momento che i nuovi mezzi consentono di entrare in contatto con credenti di ogni re-ligione, con non credenti e persone di ogni cultura. Come il profeta Isaia arrivò a immaginare una casa di preghie-ra per tutti i popoli, è forse possibile ipotizzare che il web possa fare spazio – come il ‘cortile dei gentili’ del Tempio di Gerusalemme – anche a coloro per i quali Dio è ancora uno sconosciuto?”.

Prospettive nuove e sconfinate. “I nuovi media – affer-ma ancora il Papa – offrono ai presbiteri prospettive sem-pre nuove e pastoralmente sconfinate, che li sollecitano a valorizzare la dimensione universale della Chiesa, per una comunione vasta e concreta; ad essere testimoni, nel mon-do d’oggi, della vita sempre nuova, generata dall’ascolto del Vangelo”. Però, conclude, “non bisogna dimenticare che la fecondità del ministero sacerdotale deriva innanzi-tutto dal Cristo incontrato e ascoltato nella preghiera; an-nunciato con la predicazione e la testimonianza della vita; conosciuto, amato e celebrato nei Sacramenti, soprattutto della Santissima Eucaristia e della Riconciliazione”.

riflessioni Uomini consacrati al servizio dell’Amore misericordioso

Il Sacerdote, ministro del perdono e testimone della misericordia“Padre, beneditemi perché ho peccato”. È l’umile ri-

chiesta del penitente dal cuore contrito al Sacerdo-te, ministro del perdono e testimone della divina

misericordia. Gesù, il Figlio dell’Altissimo, sommo ed eterno Sacerdote, il quale più volte nel racconto evangelico si rivela come “Colui che rimette i peccati”, invia i suoi, che ha scelto a percorrere le vie del mondo per annunciare la Buona no-vella, a dare il perdono dei peccati.

“A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi”. Al Sacerdote Gesù affida il servizio del perdono. L’uomo ha bisogno di pace; ha bisogno di pace del cuore per essere operatore di giustizia; ha bisogno di pace, riconoscendosi figlio di tanto Padre.

Nell’autunno 2009 ad Ars, in sintonia con l’Anno Sacerdo-tale indetto da Papa Benedetto XVI, il Cardinale Christoph Schönborn, Arcivescovo di Vienna, ha tenuto un corso di esercizi spirituali a circa mille sacerdoti prevenuti in loco da più parti del mondo. Quasi in risposta ad un’urgenza dei no-stri tempi e avvalendosi della testimonianza del Santo Cura-to d’Ars, il Cardinale ha esortato con forza quei mille ad es-sere “i testimoni della misericordia”. Riporto alcune parole: «Solo alla luce della misericordia di Dio possiamo guardare in faccia la nostra miseria. Se non c’è percezione della mi-sericordia di Dio, gli uomini non sopportano la verità. In un mondo senza misericordia tutti tendono ad autogiustificar-

si o ad accusare gli altri». Misericordia, l’immenso amore di Dio, quell’«amore con viscere materne» che tutto sa e tutto perdona.

Misericordia, giustizia di Dio, infinitamente più grande del-la giustizia degli uomini, giustizia che fa rinascere.

Misericordia divina, che presuppone uomini che la doman-dino, che non ritengano di essere autosufficienti e di non averne dunque bisogno. Nell’orizzonte della misericordia c’è da non perdere di vista la memoria di una eredità cristiana in cui ci si sa capaci di male, e dunque peccatori, ma altrettan-to si sa che nessun male è così grande che Dio non lo possa perdonare.

Da penitente e da Sacerdote dico grazie al Signore. Mi ha colmato di grazia. Ha messo sui miei passi santi Sacerdoti, operatori di pace e di perdono; mi ha consacrato Sacerdo-te e subito mi ha affidato il ministero di Padre Spirituale nel Seminario minore diocesano, poi di Parroco e di educatore dei giovani nella scuola per tanti anni; in tarda età di nuovo Padre Spirituale in Seminario minore ed ora Amministratore parrocchiale. Sempre, in ogni attività, ho percepito forte la vocazione a servire l’Amore misericordioso, di esso benefi-ciando e, nel limite dell’umano, facendone dono nel sacra-mento della Penitenza, in particolare.

Mi piace concludere riportando le parole di Papa Giovanni Paolo II di v.m., scritte nella esortazione apostolica Pastores

Dabo Vobis al n. 26: “Una parola speciale voglio riservare per il sacramento della penitenza del quale i sacerdoti sono i ministri ma anche devono esserne i beneficiari, divenendo testimoni della compassione di Dio per i peccatori. La vita spirituale e pastorale del sacerdote […] dipende, per la sua qualità e il suo fervore, dall’assidua e coscienziosa pratica personale del Sacramento della Penitenza”.

Mons. Cosimo Palma

approfondimento Il messaggio del Papa per la Giornata delle Comunicazioni

Preti nell’era digitale: i nuovi media al servizio della Parola

"Esplorare il 'sogno di Chiesa' che i preti stanno coltivando e le 'cose nuove' che stanno realizzando". È

l'obiettivo di un progetto di ricerca promos-so dalla Facoltà teologica pugliese e svilup-pato, in due anni di lavoro, da un'équipe multidisciplinare coordinata da don An-gelo Sabatelli, docente di psicopedagogia all'Istituto teologico di Molfetta. I risultati del progetto, realizzato con una metodolo-gia di ricerca-formazione, sono stati pub-blicati su un testo dal titolo "Sogni da prete" (da poco pubblicato da Edb). Come stru-menti sono stati utilizzati "focus group", in-terviste e "workshop" residenziali. Nelle di-verse iniziative sono stati coinvolti circa 450 presbiteri; hanno partecipato tutti i Consigli presbiterali delle 19 diocesi pugliesi. Nei "focus group" sono stati indagati 871 "sogni" espressi da 353 preti partecipanti e sono state raccontate 512 "primizie" dei loro so-gni; prevalgono le esperienze che racconta-no "la vita stessa dei presbiteri", "l'area del-la testimonianza" e "l'area dell'annuncio".

Abbiamo chiesto a don Angelo Sabatelli di spiegare il significato di questo progetto.Perché una ricerca sui "sogni da preti"?"I preti, con la loro presenza e il loro mini-stero, occupano un posto di grande rilievo nella vita delle Chiese di Puglia. Con que-sta ricerca abbiamo voluto esplorare il loro immaginario, ascoltare e analizzare i loro sogni di Chiesa del futuro; il progetto si si-tua nell'orizzonte del discernimento e nella prospettiva del cambiamento". Quali sono le principali attese e speranze dei sacerdoti pugliesi?«Dai risultati emerge che i preti dei Consi-gli presbiterali delle Chiese di Puglia stan-no sognando la Chiesa del futuro soprat-tutto con la categoria della “comunione”, una Chiesa luogo di comunione accogliente, maggiore comunione e corresponsabilità tra laici presbiteri e religiosi, maggiore fra-ternità e comunione fra presbiteri. Accanto a questi risultati a livello di 'contenuti' ab-biamo constatato risultati anche sul piano dei 'processi'. Il coinvolgimento dei presbi-

teri nell'immaginare la Chiesa del futuro ha portato frutti nell'area personale degli stessi partecipanti alla ricerca e nell'ambito ec-clesiale. Sul piano formativo l'esperienza di 'sognare' e il riconoscere nel presente alcu-ne anticipazioni dei propri sogni ha favorito processi di empowerment. Tale guadagno formativo appare particolarmente prezioso se confrontato con i vissuti di impotenza, di rassegnazione e di passività spesso presenti nei presbiteri. Sul piano ecclesiale la ricerca ha voluto sperimentare un approccio di ri-cerca-azione i cui elementi principali sono stati il diretto coinvolgimento dei soggetti, il discernimento comunitario, il dialogo in-traecclesiale, il contributo degli esperti e la restituzione dei risultati attraverso la pub-blicazione». Nel progetto di ricerca sono state anche raccolte 512 esperienze-primizie che "in qualche modo anticipano alcuni aspetti" dei sogni…«Abbiamo chiesto di raccontare le espe-rienze-primizie per verificare la qualità e la funzione che i sogni di Chiesa hanno nella vita dei presbiteri: sogni utopici? regressivi? sogni che anticipano il futuro? Le primizie raccontate manifestano un atteggiamento di fiducia verso il futuro e un concretizzarsi

della dimensione della comunione soprat-tutto nelle esperienze riguardanti la vita dei presbiteri e nelle esperienze che rac-contano iniziative a favore dei poveri. Vor-rei segnalare un'iniziativa denominata Gap (Gruppo di autoformazione presbiteriale): coinvolge liberamente un gruppo di preti che scommettono sull'autoformazione. Si tratta di un'esperienza significativa perché, come raccontano gli stessi partecipanti, vede i presbiteri protagonisti di un'esigenza avvertita, quella della formazione perma-nente».Quali le prospettive future delle Chiese di Puglia?«Pensiamo che questo lavoro sperimentato con i Consigli presbiterali debba essere este-so. Tutta la comunità ecclesiale è chiamata a diventare un grande cantiere di ascolto e di riflessione a partire da quello che acca-de e nella prospettiva del discernimento. I frutti di un biennio d'intenso lavoro vengo-no offerti nella speranza che possano esse-re un piccolo contributo a grandi domande (dove va la Chiesa? come può essere pensa-ta la Chiesa del futuro? quale l'apporto dei presbiteri? a che punto siamo?) e nella spe-ranza che possano suscitare ulteriori ricer-che sul campo».

indagine Coinvolti 450 sacerdoti pugliesi

Ricerca sui sogni del prete

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Speciale Caritas in veritate 515 febbraio 2010

Economista e consacrata: è un’energia giovane ed en-tusiasta nella nostra Chiesa italiana. Suor Alessandra Smerilli è Docente Aggiunto di Economia Politica

presso la Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione «Au-xilium» di Roma ed insegna Economia della cooperazione nell’Università cattolica del Sacro Cuore. Ha 36 anni appe-na, Suor Alessandra, e vanta numerose pubblicazioni, tra le quali l’ultima, «Benedetta economia», scritta assieme a Luigino Bruni, ha riscosso numerosi ed unanimi consensi. Componente del comitato scientifico e organizzativo delle Settimane Sociali dei Cattolici, promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana, Suor Alessandra ha risposto volentieri alle domande di «Fermento»: sono il commento di un’eco-nomista e di una consacrata alle sollecitazioni che l’Encicli-ca di Papa Benedetto XVI ha posto a tutti noi.

Suor Alessandra, quale, secondo lei, l’autentica novità della Caritas in Veritate nell’ambito della dottrina socia-le della Chiesa?

«La Caritas in Veritate, prima enciclica sociale di Benedet-to XVI, si pone in continuità con la tradizione della dottrina sociale della Chiesa, e in particolare con la Populorum Pro-gressio, della quale vuole essere una celebrazione. Benedet-to XVI, infatti, riprende il principio dello sviluppo umano in-tegrale come “sviluppo di tutto l’uomo e di tutti gli uomini”, e nel riproporre quanto affermato da Paolo VI, arricchisce e completa il discorso, lanciando sfide attuali e impegnative per la persona e per la società. Laddove, per esempio, Paolo VI con grande lungimiranza, intravvedeva nella mancanza di volontà e di pensiero le vere cause del sottosviluppo, Be-nedetto XVI rilancia sostenendo che accanto a queste cause, oggi sta assumendo rilievo la mancanza di fraternità, come il nodo cruciale che non permette lo sviluppo umano inte-grale. Scrive, infatti: “Questa fraternità, gli uomini potranno mai ottenerla da soli? La società sempre più globalizzata ci rende vicini, ma non ci rende fratelli. La ragione, da sola, è in grado di cogliere l’uguaglianza tra gli uomini e di stabili-re una convivenza civica tra loro, ma non riesce a fondare la fraternità”.E il principio di fraternità, nell’enciclica è legato a quello di gratuità. È forse questa la vera novità dell’enciclica: l’affer-mare con forza che il principio di gratuità può essere la base anche dei rapporti sociali ed economici. In questo senso l’economia viene descritta da Benedetto XVI come una del-le dimensioni umane, che può far fiorire la persona e nello stesso tempo fiorire in se stessa portando frutti di sviluppo, se e solo se è animata al suo interno dal principio di gratuità. Nell’enciclica, infatti, in più punti si ribadisce il concetto che la gratuità non deve essere solo alla base dei rapporti uma-ni e sociali, ma deve essere al cuore dell’economia. È questa un’operazione di portata rivoluzionaria: se c’è una dimen-sione che generalmente si pensa non abbia nulla a che fare con il mercato e con le imprese è proprio la gratuità».

“Mi sembra che gli apporti metodologici più significati-vi forniti dall’Enciclica siano due: il luogo teologico della fede apostolica e la collocazione della Dottrina Sociale della Chiesa nella Tradizione”, ha scritto mons. Crepaldi circa le novità di ordine epistemologico. Cosa ne pensa?

«Sono d’accordo con Mons. Crepaldi, ma credo anche che un importante apporto, come sottolineato dal cardinal Angelo Bagnasco, nella sua lectio Magistralis del 9 Settembre, sia quello di aver ricondotto la questione sociale alla questio-ne antropologica, mostrando come non si possa affrontare l’una senza l’altra. In questo senso l’etica della vita e l’etica sociale sono legate: non può “avere solide basi una società – che mentre afferma valori quali la dignità della persona, la giustizia e la pace – si contraddice radicalmente accettando e tollerando le più diverse forme di disistima e violazione della vita umana, soprattutto se debole ed emarginata”» (n. 15).

Annunciata per il 40° della Populorum progressio, que-sta enciclica è stata pubblicata a ridosso di una riunione

del G8, che invece affrontava le questioni della crisi eco-nomica mondiale che ora giunge al suo secondo anno di vita. E’ stata considerata, da una lettura frettolosa, indi-rizzata ai grandi della terra, mentre papa Benedetto l’ha inviata a “tutti gli uomini di buona volontà”. Quali impe-gni questi ultimi traggono da quelle pagine?

«L’enciclica era in preparazione da anni, e il ritardo della sua uscita è dovuto proprio alla contingenza della crisi finanzia-ria ed economica: sarebbe stato criticato un documento che non facesse menzione della crisi in atto. Nello stesso tempo la crisi non è il fulcro dell’enciclica: come appare nel titolo, essa è una lettera sullo sviluppo umano integrale. Le impli-cazioni e gli impegni che si possono trarre dalla lettura di queste pagine sono talmente tanti, che non si possono enu-merare tutti. Mi limito a qualche sollecitazione. Innanzitutto, oltre che all’economia, nell’enciclica il principio di gratuità è associato anche alla finanza. Infatti, mentre da una parte si evidenziano, come positive, alcune esperienze di finanza etica (n.45), dall’altra parte il Papa, si spinge oltre: “Occorre adoperarsi... non solamente perché nascano settori o seg-menti ‘etici’ dell’economia o della finanza, ma perché l’intera economia e l’intera finanza siano etiche, e lo siano non per un’etichettatura dall’esterno, ma per il rispetto di esigenze intrinseche alla loro stessa natura” (ib.). L’enciclica ci pone così di fronte alla sfida di superare lo steccato tra economia e finanza ordinarie da una parte e forme alternative dall’altra. Anzi, credo che alla luce dell’enciclica non si possa più par-lare di economia alternativa, semplicemente perché, come anche le recenti crisi ci mostrano, o l’economia e la finanza

sono animate dal principio di gratuità, o, semplicemen-te, non sono. Per far sì che l’intera econo-mia e l’intera finanza diven-tino etiche, e perché il prin-cipio di gratuità possa essere diffuso, l’enciclica propone la strada della democrazia economica: il primo passo da fare è quello di favorire la pluralità di attori, all’interno del mercato e della finanza, riconoscendo dignità economi-ca, e non solo sociale, a tutte quelle tipologie di imprese che considerano il profitto come un mezzo per realizzare finalità umane e sociali. Esse, infatti possono richiamare, con il loro esempio, tutti gli altri attori al loro dover essere. È solo, infat-ti dalla coesistenza di soggetti diversi sul mercato, e quindi dalla presenza di democrazia economica che tutto il mercato e tutta la finanza possono evolvere verso forme più civili.Poi è interessante, e rivolto davvero a tutti gli uomini di buo-na volontà, il discorso sugli stili di vita. I nuovi stili di vita proposti dall’enciclica, infatti, sono quelli “nei quali la ricer-ca del vero, del bello e del buono e la comunione degli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che de-terminano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli inve-stimenti” (n.51). Anche in questo caso, il Papa, come per la finanza etica, ci spinge al superamento delle dicotomie, fa-cendoci notare che i nuovi stili di vita non sono per alcuni, ma per tutti, nella misura in cui il nostro star bene in società dipende dalla qualità delle relazioni interpersonali. Se im-pariamo a saper convivere, a rispettare noi stessi e gli altri, spinti dall’anelito della fraternità, non potremo non mostrar-ci responsabili nei confronti dell’ambiente, sobri nelle scel-te dei consumi: è perché tu mi stai a cuore, che limito i miei consumi».

Alcuni media hanno parlato dell’enciclica della crisi eco-nomica. Poniamo che sia anche così, quando invece, ci si spende espressamente per lo “sviluppo umano integrale nella verità e nella carità”. Ma passata questa crisi eco-nomica, che rappresenta il contingente, cosa resterà di queste pagine, quale patrimonio perenne?

«Sono tante le angolature, e molti sono i punti di vista dai quali si può leggere questa enciclica. A me piace vederla come l’enciclica che ci offre spunti e strumenti per “amare” nella vita sociale ed economica, per prendere sul serio il si-gnificato vero di gratuità (e non di buonismo, che il Papa cri-tica come il risultato dello svuotamento di senso che la paro-la carità ha avuto e sta avendo). Sicuramente la gratuità non è il “gratis” (prezzo zero), semmai è da associare a un valore infinito, ma non va neanche identificata con il regalo, magari con il gadget o gli sconti. Essa è la dimensione di ogni azio-ne umana, di ogni impresa, e per questo sarebbe un errore molto grave associare la gratuità al solo volontariato, all’eco-nomia sociale. Il Papa, infatti, invita a superare la distinzione tra mondo del non-profit e quello del for-profit, e lancia una sfida, che tutti gli uomini di buona volontà possono e devo-no raccogliere: “La grande sfida che abbiamo davanti a noi… è di mostrare, a livello sia di pensiero che di comportamenti, che …nei rapporti mercantili il principio di gratuità e la logi-ca del dono come espressione della fraternità possono e de-vono trovare posto entro la normale attività economica” (CV 36). Per far questo bisogna che si aprano spazi sul mercato per chi vuole fare impresa senza voler mirare al solo profit-to. E che questo sia possibile, è dimostrato, secondo il Papa dalle tante iniziative religiose e laicali in atto, tra le quali cita l’Economia di Comunione. L’enciclica, a mio parere, apre orizzonti di speranza, per tutti coloro che desiderano vivere i grandi valori e i principi della Dottrina Sociale, non in nic-chie ristrette, ma nella “normale attività economica”».

Angelo Sconosciuto

intervista A colloquio con suor Alessandra Smerilli, docente di Economia

Strumenti per “amare” nella vita sociale

Benedetto XVI firma la Caritas in veritate

Una donna sottosegretario

del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace

«Le donne in Vaticano ci sono sempre state, forse in modo non tanto visi-

bile, ma certo la novità è il riconoscimen-to istituzionale. Io ho sempre esercitato il mio ruolo con grande libertà e sono stata ascoltata con attenzione, la Chiesa per esprimere un giudizio completo ha bisogno della componente femminile». E’ quanto affermato dal nuovo sottosegretario del

Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, Flami-nia Giovanelli, che da molti anni lavora al dicastero vaticano. Una laica e una donna, due qualità che hanno attirato su di lei l’at-tenzione dei media. «Ora ho una maggio-re responsabilità che può diventare anche un’opportunità positiva, e darò il mio con-tributo anche come donna». «Non credo – ha aggiunto a Radio Vaticana - che ci sia un lavoro altrettanto appassionante come quello che abbiamo qui, in cui abbiamo ve-ramente il polso delle gioie e delle sofferen-ze di tutto il mondo, minuto per minuto. E’ una ricchezza enorme quella che si può avere da questo punto di osservazione».In questi mesi , del resto, il Papa ha rinno-

vato tutto il vertice di “Iustitia et pax”, dal nuovo presidente del Pontificio consiglio, il cardinale africano del Ghana, Peter Tur-kson, al Segretario, Mons. Mario Toso, già consultore del dicastero. Poi naturalmente è stata nominata Flaminia Giovanelli come sottosegretario. Dunque squadra nuova. «Penso che fra le nostre priorità - spiega Giovanelli - ci sia quella di far conoscere sempre di più, di tradurre in un linguaggio sempre più comprensibile, l’ultima enciclica del Papa, la Caritas in veritate». «E’ un testo - prosegue il sottosegretario- che costringe a pensare in un mondo stretto dall’efficienti-smo che non è più in grado di farlo. C’è bi-sogno di tornare a pensare per riscoprire la

fede, il senso dell’uomo, il senso della vita. Si tratta, inoltre, di affrontare i grandi temi sociali che interessano l’uomo e il mondo». Riguardo alle altre sfide che stanno parti-colarmente a cuore al dicastero vaticano, Giovanelli ha parlato del «grande proble-ma che vivono i cristiani in Medio Oriente, in Terra Santa ed anche in Oriente», della questione della libertà religiosa e delle ca-tastrofi di tutti i giorni.Fra l’altro il dicastero, con i nuovi vertici, si dovrà riorganizzare, a partire da un attivi-tà: rimettersi ad ascoltare le varie voci della Chiesa nel mondo per stabilire le strategie future.

Suor Alessandra Smerilli

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15 febbraio 20106 Vita Diocesana

pastorale della salute All’incontro annuale ha partecipato con Andrea Manto

La Chiesa a servizio dell’amore per i sofferenti Come ogni anno, da dieci, si

svolge in gennaio il Corso di base degli operatori di

Pastorale della Salute/Sanità (re-ferenti ed animatori parrocchiali, ministri straordinari della santa comunione, visitatori degli infermi, volontari, cappellani, religiosi…). L’incontro annuale, svolto nei gior-ni 14 e 15 gennaio scorsi presso il salone del Santuario di Jaddico, ha visto la partecipazione di don An-drea Manto, Direttore dell’Ufficio nazionale della C.E.I. per la Pasto-rale Sanitaria.

Quest’anno gli interventi del cor-so hanno inteso presentare e svi-luppare il tema della 18ª Giornata Mondiale del Malato che recita: “La Chiesa a servizio dell’amore per i sofferenti”.

Il corso è stato introdotto dall’Ar-civescovo il quale ha ricordato il tema delle Linee pastorali annua-li Il Volontariato per una civiltà dell’amore, ribadendo come il vo-lontario ha nel «buon Samaritano la sua icona…che sceglie l’uomo

che ha bisogno di lui, che allieva le soffe-renze, che lo porta in un luogo per essere curato». Mons. Talucci ha ricordato, inoltre, come il cammino si-nodale, che è nella sua fase finale, ha indica-to nella «parrocchia il soggetto pastorale per eccellenza nella qua-le tutti i laici, e quindi anche i volontari, sono chiamati a vivere e testimoniare la carità, af-finché la città de- gli uomini diven-ti la civiltà dell’amore».

Il Direttore dell’Ufficio nazionale della Cei, nel presentare la Giorna-ta Mondiale del Malato, ha consi-derato un evento positivo che, per la prima volta, il tema scelto dal Pontefice coincida con quello della Chiesa italiana. Inoltre, quest’anno, si celebrano i 25 anni di istituzio-ne del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari (comunemente definito il Ministero della Sanità del

Vaticano) che ha giustificato la sede del Vaticano (Roma) come luogo delle celebrazione della Giornata.

«Benedetto XVI – ha esordito don Manto - già nell’enciclica “Spe Sal-vi” aveva presentato la sofferen-za come luogo di apprendimen-to della speranza. Nel Messaggio predisposto per la Giornata dell’11 febbraio il Papa ha ribadito che la malattia può diventare una scuola di speranza».

Il relatore, però, non ha voluto nascondere che «quando qualcu-no, purtroppo, vive l’esperienza

del limite, della sof-ferenza, del dolore, del fallimento si trova veramente spiazzato, disorientato e non ca-pace di tirar fuori tut-te quelle risorse che solo la vita sa dare nel momento della soffe-renza. La vita ha una grande forza che il cri-stiano deve testimo-niare nel proprio quo-

tidiano così come ha fatto il buon Samaritano». Perché la malattia, la sofferenza, la disabilità, che ri-schiano di far soffrire ancora di più le persone, quando queste vivono in situazione di emarginazione, ab-bandono, possano diventare “scuo-la di speranza” è necessario «la presenza di una comunità eccle-siale attenta e capillare accanto al malato capace di illuminare la sof-ferenza di ogni uomo dando spe-ranza. Inoltre, quando c’è la capa-cità di essere accanto, di consolare, di esserci… anche senza fare cose

straordinarie,la malattia diviene abitata da una presenza di condi-visione, di comunione che suscita, essa stessa, la speranza».

Infine, don Andrea, ha letto il bra-no dello scritto del Papa, il quale «si è rivolto ai sacerdoti (nell’anno a loro dedicato) definendoli “ministri degli infermi” ricordando di non ri-sparmiarsi nel dare ai malati cura e conforto, ricordando che il tempo a loro dedicato è un tempo investito per la crescita spirituale sia dei sa-cerdoti che delle comunità a loro affidate, è un tempo prezioso per l’edificazione della Chiesa».

La presenza in diocesi del Diret-tore dell’Ufficio CEI per la Pasto-rale Sanitaria ha visto la sua parte-cipazione, anche, ad Ostuni in un incontro vicariale, nonché al Polo Universitario dei Corsi di Laurea nelle Professioni Sanitarie, con una lezione agli studenti, ed un breve intervento con il clero diocesa-no nell’ambito del ritiro spirituale mensile.

L’Ufficio e Consulta diocesana

Le Pontificie Opere Missionarie hanno scelto Ostuni come luogo deputato ad ospitare nel 2010 il campo nazionale di formazione missionaria per adolescenti.

Dal 30 giugno al 4 luglio centinaia di giovanissimi prove-nienti da tutta Italia si daranno appuntamento nella Città Bianca, presso la storica Villa della Speranza, per parlare di Missione e soprattutto per fare esperienza dell’incontro con Gesù Cristo, che sconvolge e coinvolge l’uomo chiamando-lo ad annunciare a tutte le genti il suo messaggio di pace, di giustizia, di riconciliazione e di amore.

A partire proprio dal 2010 l’annuale campo di formazione missionaria per adolescenti, che ha sempre avuto luogo a Loreto, si svolgerà ciclicamente nelle varie regioni italiane. In quest’ottica la scelta della Puglia, nella fattispecie di un luogo tanto importante dell’Arcidiocesi di Brindisi-Ostuni, come prima tappa non è assolutamente casuale, come ha dichiarato Alessandro Zappalà, nuovo segretario nazionale del Movimento Giovanile Missionario (MGM).

Negli appuntamenti degli anni passati la Puglia si è sem-pre distinta per il numero dei suoi partecipanti e l’espe-rienza missionaria maturata nel tempo dall’Arcidiocesi di Brindisi-Ostuni si è rivelata preziosissima, perché oltre a vantare la presenza di ben due Arcivescovi - di cui uno emerito - nella “Commissione Episcopale per l’evangelizza-zione dei popoli e la cooperazione tra le chiese”, dal 1983 ha saputo avviare un progetto di cooperazione missionaria con la Diocesi di Marsabit in Kenya, che tuttora continua a portare molti frutti e ad impegnare moltissimi giovani.

Sull’importanza di questo progetto hanno avuto modo di discutere il 16 gennaio scorso, presso i Missionari Combo-niani di Lecce, i rappresentanti della pastorale missiona-ria delle Diocesi di Brindisi-Ostuni, Castellaneta, Lecce, Nardò-Gallipoli, Oria, Otranto, Taranto e Ugento-Santa Maria di Leuca, coordinati da don Savino Filannino, che si sono incontrati per fare il punto della situazione riguardo al Movimento Giovanile Missionario, al fine di formulare un cammino di formazione unitario per tutta la Chiesa di Pu-glia. Nel corso dell’incontro è emersa l’importanza del pro-getto di sostentamento missionario adottato dall’Arcidio-cesi di Brindisi-Ostuni in favore della Diocesi di Marsabit e in particolare della Parrocchia di Laisamis: un progetto che rappresenta una delle più felici e delle più efficaci strategie missionarie mai realizzate nella Chiesa di Puglia.

Un legame tra due realtà tanto diverse e tanto lontane che si dovrà dunque sempre più difendere e rafforzare, senza lasciarsi intimorire dalle difficoltà, e che ha tratto nuova lin-fa dalla recente visita a Brindisi di S.E.R. Mons Peter Kihara, Vescovo di Marsabit.

Le Pontificie Opere Missionarie ad Ostuni potranno avva-lersi della collaborazione dei protagonisti di questo nostro progetto, permettendo ai tanti adolescenti italiani di riflet-tere sull’importanza dell’annuncio ad gentes e di confron-tarsi con chi nella propria vita si è proposto di «annunciare il Vangelo fino agli estremi confini della terra». I giovanissi-mi potranno fare tesoro dell’esperienza di S.E.R. Mons Roc-co Talucci, Arcivescovo di Brindisi-Ostuni, di S.E.R. Mons

Settimio Todisco, Arcivescovo Emerito di Brindisi-Ostuni, e dei sacerdoti Fidei donum Mons. Giuseppe Satriano, don Fernando Pa-ladini e don Donato Panna.

La segreteria nazionale del Movimento Gio-vanile Missionario in questi giorni sta appron-tando il programma dell’incontro, che già si preannuncia un successo, soprattutto per-ché cade nell’anno in cui ricorre il 150° anni-versario della nascita al cielo di San Giustino de Jacobis, Vescovo missionario vincenziano in terra etiope, ordinato presbitero proprio nella Cattedrale di Brindisi.

Alessandro Zappalà, Segretario nazionale dell’MGM, ha voluto scrivere un breve co-municato per Fermento, il periodico dell’Ar-cidiocesi di Brindisi-Ostuni: «Le esperien-

ze estive, da sempre, rappresentano per i giovani, quel traguardo atteso tutto l’anno, durante il cammino con la comunità a cui si appartiene. Per altri, invece, può essere l’inizio di una strada che si percorrerà insieme ad altri. In ambedue i casi, il “campo estivo” diventa occasione di cre-scita, di dialogo, di apertura al mondo. A volte basta anche recarsi in luoghi già conosciuti, in località del proprio stes-so territorio, mentre altre volte occorre allontanarsi da casa per vivere un tempo, seppur breve, di missionarietà. Ma, certamente in entrambi i casi, non è solo il luogo che fa la differenza, quanto più la gente con cui condividere l’espe-rienza: giovani che condividono i tuoi stessi sogni, il tuo stesso percorso, che ti fanno gustare la bellezza dello stare insieme, in comunione universale.

Noi, giovani di Missio, quest’anno abbiamo voluto iniziare un campo itinerante per i giovani e giovanissimi in diverse regioni d’Italia. Anzitutto per vivere e conoscere il territorio che ci ospita, poi per riscoprire quella missione quotidia-na che si vive in casa, in famiglia, in parrocchia, nel pro-prio quartiere. Abbiamo scelto la Puglia per gli adolescenti, Ostuni, presso Villa della Speranza, per conoscere la terra che ogni anno, da diversi anni, manda tanti giovani ai no-stri campi e alle nostre esperienze. Saremo lì dal 30 giugno al 4 luglio. Per qualsiasi informazione è possibile consultare il sito: www.mgm.operemissionarie.it o scrivere alla nostra mail: [email protected] Vi aspettiamo numerosi… con la missione nel cuore!»

Teodoro De Giorgio

missioni Ad Ostuni il campo nazionale 2010 delle Pontificie Opere Missionarie

Giovani energie per l’incontro con Cristo

Page 7: Mons. Talucci in Diocesi da 10 anni. Mons. Todisco Vescovo ... · legrini di lingua italiana, in particolare saluto i giovani guidati dal loro Arcive-scovo monsignor Rocco Talucci

715 febbraio 2010 Vita Diocesana

Pubblicazione quindicinaleReg. Tribunale Brindisi n. 259 del 6/6/1978

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Con lo stesso spirito fraterno che ha animato la visita di papa Benedetto XVI nella Sinagoga di Roma nel po-

meriggio di domenica 17 gennaio, quasi in continuità con questo grande “momento di grazia”, la sera di lunedì 18 gennaio presso l’aula della Biblioteca del nostro Monaste-ro in occasione della“Giornata di riflessione ebraico-crisitana”, il prof. Marco Morselli, filosofo e saggista ebreo, ha trattato il tema di quest’anno: “Ricordati del giorno di sa-bato per santificarlo” (Esodo 20,8). Mar-co Morselli, che è consigliere dell’Amicizia Ebraico-Cristiana di Roma, è attualmente impegnato ad elaborare una teologia ebraica del cristianesimo. «L’ebraismo – egli ha detto riprendendo un testo di Abrahm J. Heschel - è definito una religione del tempo che ten-de alla santificazione del tempo. Più che allo spazio sacro (il tempio) la fede israelitica ha attribuito importanza al tempo e il sabato è la grandiosa cattedrale d’Israele. La stessa immagine del tempio è derivata dall’archi-tettura del tempo, perché in Israele è stata primaria l’esigenza di un “Santo dei santi” nel tempo, il giorno dell’espiazione (Jom Kippur), rispetto a quella di un “Santo dei santi” spaziale all’interno del tempio. Nella tradizione rabbinica santificazione del tem-po e santificazione dello spazio sono com-plementari e rimandano entrambe all’amore di Dio. “Ricordati” e “osserva”: i due impera-tivi riguardanti il sabato sono stati pronun-ciati in unico comando. “Osservare” il giorno di shabbat significa accettare la sovranità di Dio. “Ricordarsi” è attenderlo con ansia e ciò implica l’attesa messianica. Il sabato è in-scritto all’interno della creazione».

Egli ha citato in proposito una pagina di F. Rosenzweig tratta dall’opera La stella del-la redenzione, nella quale l’autore dice che “shabbat è il giorno in cui si celebra la festa della creazione, ma di una creazione avve-nuta in vista della redenzione: è il sacramen-to del tempo redento, del tempo liberato, il

tempo in cui si cerca di vivere la pace, l’ar-monia con Dio.

Oltre il tema, il prof. Morselli ci ha comu-nicato che quest’anno ricorre il V centenario dell’espulsione degli ebrei dall’Italia meri-dionale (1510-2010), evento che andrebbe ricordato.

Sabato 23 gennaio, per la “settimana di pre-ghiera per l’unità dei cristiani”, P. Germano Marani sj, docente di Teologia Dogmatica al Pontificio Istituto Orientale e alla Pontificia Università Gregoriana, consultore presso la Congregazione per le Cause dei Santi e pro-fondo conoscitore della spiritualità orienta-le, ha trattato il tema: “Voi sarete testimoni di tutto ciò” (Luca 24,48), che ispira la riflessione e la preghie-ra per l’unità dei cristiani di quest’anno.

La scelta è legata alla ricor-renza del centenario della Conferenza Missionaria In-ternazionale di Edimburgo (1910). In quella conferenza fu posto il problema della divisione dei cristiani nel contesto della missione. «Il movimento ecumenico – ha affermato P. Marani - na-sce per motivi di missione: è missionario». La comune testimonianza cristiana è condizione essenziale per l’efficacia della missione del-la Chiesa. Come migliorare allora la testimonianza dei cristiani nel nostro tempo? Per “attrazione” e “contagio” – ha affermato il padre. Noi cioè siamo chiamati ad es-sere testimoni del Cristo vi-vente nella gioia. I discepoli di Emmaus “tonarono a Ge-rusalemme e trovarono gli

Undici riuniti con i loro compagni” (Lc 4,33). Ad essi così riuniti Il Signore risorto diede il mandato di rendergli testimonianza “tra tutte le genti” (Lc 24,48). E’ nell’unità che vengono inviati a proclamare quanto hanno visto e sentito. Tutti noi cristiani siamo chia-mati ad essere testimoni del Cristo vivente con la parola e con la vita, assistiti dalla forza dello Spirito Santo che illumina, fortifica e dà consistenza alla parola annunciata.

Le Suore Oblate Benedettine di San Vito dei Normanni

17 febbraio 2010Mercoledì delle CeneriInizio Quaresima

18 febbraio 2010Vicaria di LocorotondoStazione Quaresimale

18 febbraio 2010Brindisi - Chiesa AnimeAdorazione della Croce

19 febbraio 2010Santuario di JaddicoRitiro del clero

19 febbraio 2010Vicaria di OstuniConsegna della Croce

20 febbraio 2010Centro diocesano VocazioniRitiro spirituale

20-21 febbraio 2010Pastorale della FamigliaWeekend di spiritualità Loreto

22 febbraio 2010Brindisi - S.Maria del CasaleSinodo diocesano

24 febbraio 2010Brindisi Convegno UCIIM

25 febbraio 2010Vicaria di San VitoStazione Quaresimale

26 febbraio 2010Consiglio Pastorale Diocesano

27 febbraio 2010Auditorium “E.Antelmi”Scuola socio-politica

1 marzo 2010Salice-Guagnano-CellinoIncontro Pastorale della Salute

4 marzo 2010Seminario ArcivescovileAdorazione Eucaristica per giovani

6 marzo 2010Azione CattolicaAssemblea Diocesana

8 marzo 2010San DonaciIncontro Pastorale della Salute

10 marzo 2010Vicaria di MesagneConsiglio Pastorale Vicariale

11 marzo 2010Stazione Quaresimale

12 marzo 2010Incontro sacerdoti giovani

13 marzo 2010Auditorium “E. Antelmi”Scuola socio-politica

15 marzo 2010San PancrazioIncontro Pastorale della Salute

18 marzo 2010Stazione Quaresimale

22 marzo 2010LeveranoIncontro Pastorale della Salute

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eCUMeNISMO Significativa celebrazione nel Tempio valdese

In preghiera per l’unità dei cristianiOrtodossi, cattolici e protestanti si in-

contrano per pregare insieme per l’unità dei cristiani. Solitamente, la

chiesa padrona di casa, nel nostra caso quel-la cattolica, invita rappresentanti delle altre grandi confessioni cristiane in una delle par-rocchie brindisine per celebrare insieme la liturgia con tre omelie a cura di ciascuna di esse durante questo tradizionale ma sempre nuovo ed importante appuntamento della “Preghiera per l’Unità dei Cristiani”.

Quest’anno, la cristianità ricorda i primi 100 anni dalla nascita del “moderno” mo-vimento ecumenico. Nacque appunto nel 1910 durante un’assemblea della missione di chiese protestanti ed anglicana in Scozia, presente anche un ortodosso. Il dialogo ecu-menico nasce dunque in ambito protestante. Quest’anno è stata la chiesa valdese ad invi-tare le chiese sorelle.

Martedì 19 gennaio 2010 ore 19, nel piccolo tempio valdese in via Della Congregazione 14, si sono riuniti circa 70 fedeli delle tre con-fessioni insieme ai loro pastori: l’Arcivesco-vo, l’Arcimandrita e il Consiglio della chiesa evangelica valdese. Una visita storica.

I valdesi sparirono dalla Calabria e dalle Puglie nel 1560 ad opera dell’Inquisizione che nel 1536 fu riorganizzata e resa effica-ce da Pietro Carafa (poi Papa Paolo IV), già arcivescovo di Brindisi (dal 1518) proprio durante gli anni decisivi che portarono alla condanna di Lutero e alla divisione della cri-stianità occidentale. Una visita storica.

La chiesa evangelica valdese riapparse a Brindisi nel 1879: quattordici persone fan-no una petizione al Comitato d’Evangeliz-zazione (oggi Tavola Valdese) chiedendo di mandare un pastore per la predicazione dell’Evangelo. Solo negli anni venti del ‘900 la comunità cresceva e raggiunse nel 1925

più di 60 membri. Nello stes-so anno fu costruito il tem-pio e l’instancabile anziano evangelista Pietro Varvelli (1919-1926) dà in omaggio a quasi tutti i preti della città una copia del Nuovo Testa-mento edizione “Fides et Amor”.

I più anziani della chiesa ri-cordano ancora l’ostilità an-ti-protestante e anti-clericale del clima preconciliare. Oggi, davvero con un altro spirito, tutti insieme uniti in una co-mune missione daremmo la Bibbia a chi ne ha bisogno!

Una visita storica. Per la quale siamo dav-vero riconoscenti e di cui ricordo rimanga impresso nella memoria non solo dei valdesi di Brindisi.Un terreno coltivato. Un gesto storico che al momento stesso non ci pareva neanche tale. Talmente naturale e amichevole da sem-brare il consueto studio biblico ecumenico del martedì sera arricchita dalla presenza di molte altre persone tra cui molti sacerdoti e naturalmente l’Arcivescovo Mons. Rocco Talucci (l’Arcimandrita era già venuto altre volte). Un terreno già coltivato. Si sentiva un clima caldo di fiducia. Un canto forte di fede. Sentite parole bibliche da membri delle tre chiese proclamate dall’alto del pulpito, come la pioggia che annaffia la terra… Una predicazione a tre voci. Come omelia abbiamo meditato insieme sul Risorto tra i discepoli di Emmaus. Non ci sono state tre omelie. Ma un’unica omelia a tre voci. Un sermone si suddivide solitamente in tre pun-ti. Orbene, quella sera nel tempio valdese, ognuno di noi era solo un punto, una par-

te. Nessuno pretende di essere tutto il testo. Tutti siamo una parte, anzi, tutti siamo parte del testo. Uno prepara la strada all’altro. Uno passa il testimone all’altro. Non conto solo io, non conti solo tu. Conta quel che è in mez-zo a noi. Di questo saremo testimoni. Non a caso Gesù manda i primi in missione à due. Laddove due o tre sono riuniti nel mio nome, là sono io in mezzo a loro (Mt 18,20).

La voce protestante ha posto la domanda di Gesù (Lc 24,17): Di che discorrete fra di voi lungo il cammino? La voce cattolica ha dato la risposta in forma di preghiera (Lc 24,29): Rimani con noi, perché si fa sera e il giorno sta per finire. E la voce ortodossa ha conclu-so (Lc 24,32): Non sentivamo forse ardere il cuore dentro di noi mentr’egli ci parlava per la via e ci spiegava le Scritture?

L’andata dei discepoli da Gerusalemme a Emmaus è una lenta e difficile “omelia” tra loro come il cammino ecumenico. Ma il ri-torno è una spedita, gioiosa e condivisa mis-sione, una potente predicazione evangelica per il mondo.

Winfrid Pfannkuche

SAN VITO Due incontri promossi dalla Comunità delle Oblate benedettine

Dialogo ed ecumenismo, impegni cogenti

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Periodica Italiana

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8 15 febbraio 2010Vita di Chiesa

Un’enciclica è sempre un dono per l’intera vita della Chiesa. Scritta su un argomento, illumina tanti aspetti.

Così “Caritas in veritate”, l’enciclica sociale, alimenta vari ambiti ecclesiali, persino quel-lo dell’amministrazione della giustizia. Vi ha fatto riferimento Benedetto XVI, ricevendo il 29 gennaio i componenti del Tribunale della Rota Romana; per loro ha approfondito i rap-porti tra la giustizia, la carità e la verità. Non di rado, si assiste alla diffusa e radicata tendenza, anche se non sempre manifesta, che porta a contrapporre la giustizia alla ca-rità, quasi che una escluda l’altra. In questa linea, riferendosi più specificamente alla vita della Chiesa, «alcuni ritengono – ha detto il Papa – che la carità pastorale potrebbe giu-stificare ogni passo verso la dichiarazione della nullità del vincolo matrimoniale per venire incontro alle persone che si trovano in situazione ma-trimoniale irregolare». La stessa verità, pur invocata a parole, tenderebbe così ad essere vista in un’ottica strumentale, che l’adatterebbe di volta in volta alle diverse esigenze che si pre-sentano.

Ai membri del Tribunale della Rota Roma ha ricordato che il loro è essenzialmente un ministero di giustizia, che consi-ste nella costante e ferma volontà di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto. Espressione di questa giustizia e stru-mento per applicarla è il Codice di diritto canonico. Questo, talvolta, è sottovalutato, come se fosse un mero strumento tecnico al servizio di qualsiasi interesse soggettivo, anche non fondato sulla verità. «Occorre invece che tale diritto venga sempre considerato nel suo rapporto essenziale con la giustizia, nella consapevolezza che nella Chiesa l’attività giu-ridica ha come fine la salvezza delle anime».

Le parole del Papa possono essere utilmente ascoltate da tutti coloro che, anche fuori dalla Chiesa, amministrano la giustizia. Egli ha spiegato come ci sia una dimensione og-

gettiva, che conduce al pronunciamento di una sentenza, secondo, appunto, la giustizia. Anche gli avvocati hanno una grave responsabilità: non soltanto quella di porre ogni atten-zione al rispetto della verità delle prove, ma anche quella di evitare con cura di assumere, come legali di fiducia, il patro-cinio di cause che, secondo la loro coscienza, non siano og-gettivamente sostenibili.

Accanto alla dimensione oggettiva della giustizia, ve ne è un’altra inseparabile, che si potrebbe definire soggettiva. Ri-guarda direttamente gli operatori del diritto, coloro, cioè, che rendono possibile la giustizia. Giudici, avvocati, procuratori, tutti coloro che esercitano il diritto, devono come lasciar-si raggiungere e plasmare dall’esercizio delle virtù umane e cristiane: dalla prudenza, dalla giustizia e anche dalla fortez-za. Le virtù, è la definizione classica, rendono più buono chi le possiede, secondo una particolare prospettiva. Talvolta, sono indispensabili. Il Papa ha fatto allusione alla fortezza, che «diventa più rilevante quando l’ingiustizia appare la via più facile da seguire, in quanto implica accondiscendenza ai

desideri e alle aspettative delle parti, oppure ai condizionamenti dell’ambiente sociale».

Ancora, l’azione di chi amministra la giusti-zia non può prescindere dalla carità. «L’amo-re verso Dio e verso il prossimo – ha spiegato il Papa – deve informare ogni attività, anche quella apparentemente più tecnica e buro-cratica». Lo sguardo e la misura della carità aiuteranno a non dimenticare che si è sempre davanti a persone segnate da problemi e da sofferenze. Di conseguenza, l’approccio alle persone, pur avendo una sua specifica mo-dalità legata al processo, deve calarsi nel caso concreto per facilitare alle parti, mediante la delicatezza e la sollecitudine, il contatto con il competente tribunale.

«L’amore – caritas – è una forza straordina-ria, che spinge le persone a impegnarsi con coraggio e generosità nel campo della giu-

stizia e della pace» (“Caritas in veritate”, n. 1). «Chi ama con carità gli altri è anzitutto giusto verso di loro. Non solo la giu-stizia non è estranea alla carità, non solo non è una via alter-nativa o parallela alla carità: la giustizia è inseparabile dalla carità, intrinseca ad essa» (“Caritas in veritate”, n. 6). La ca-rità senza giustizia – ha detto ancora il Papa – non è tale, ma soltanto una contraffazione, perché la stessa carità richiede quella oggettività tipica della giustizia, che non va confusa con disumana freddezza.

Nello stesso tempo, sia la giustizia sia la carità comportano l’amore alla verità e la ricerca del vero. In particolare, la cari-tà rende il riferimento alla verità ancora più esigente. Difen-dere la verità, proporla con umiltà e convinzione e testimo-niarla nella vita sono pertanto forme esigenti e insostituibili di carità. Questa, infatti, si compiace della verità. Senza veri-tà la carità scivola nel sentimentalismo. L’amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. È il fatale rischio dell’amore in una cultura senza verità.

Marco Doldi

il papa alla rota Il discorso di apertura dell’anno giudiziario

Giustizia, carità e verità in dialogo

sinagoga di roma La visita di Benedetto XVI 24 anni dopo quella di Giovanni Paolo II

Parole, gesti, silenzi per un dialogo che continuaI primi gesti di papa Benedetto alla Si-

nagoga di Roma non hanno bisogno di parole. Lascia un cesto di fiori davanti la

lapide che ricorda la deportazione dal ghetto di 1.022 ebrei romani: tornarono in 15, una sola donna e 14 uomini. C’erano donne in attesa di un figlio, anziani, 200 bambini: “E non cominciarono neppure a vivere”.

Dopo un tratto di strada percorso a piedi, si ferma davanti la lapide del piccolo Stefano Tachè morto a due anni, vittima di un atten-tato terroristico. Ci sono i genitori e il fratel-lo. Preghiera silenziosa, intensa.

Infine il saluto all’anziano rabbino Elio To-aff, che è voluto scendere per salutare il Papa in questa visita che fa memoria dell’altra sto-rica di 24 anni fa: allora ad accogliere il Papa, Giovanni Paolo II, è stato proprio lui, il rab-bino Toaff, l’unico citato da papa Wojtyla nel suo testamento. Lo ricorda nel breve scam-bio di saluti con Benedetto XVI, sottolinean-do la continuità di un cammino di dialogo che è irreversibile. E ricorda quel silenzio e poi quel lungo applauso di commozione, di speranza, di sentimento fraterno.

C’è un ultimo gesto prima delle parole, il Papa che si alza, applaude e si inchina rivol-to agli ex deportati. Tornano alla mente le parole che ha pronunciato a Auschwitz: non potevo non venire qui, come uomo, come Papa, come figlio del popolo tedesco.

Quindi l’atteso momento dei discorsi, li-mati fino all’ultimo. Ma non sono discorsi di circostanza: se la visita di papa Wojtyla la possiamo chiamare storica – ci sono voluti duemila anni per compiere quei pochi chilo-metri dal Vaticano a Lungotevere Cenci – la tappa di Benedetto XVI è ancora importante e complessa. Si tratta di proseguire la via del dialogo, coinvolgendo anche l’islam nell’im-pegno delle religioni per la pace. Si tratta soprattutto di superare differenze e incom-prensioni, cresciute in questi ultimi tempi, dal caso del vescovo negazionista William-son, alla proclamazione delle virtù eroiche di Pio XII.

Papa Benedetto inizia già all’Angelus: fa ca-

pire che la sua visita sarà un’ulteriore tappa nel cammino di concordia e di amicizia tra cattolici ed ebrei: “Malgrado i problemi e le difficoltà – dice – tra i credenti delle due re-ligioni si respira un clima di grande rispetto e di dialogo, a testimonianza di quanto i rap-porti siano maturati e dell’impegno comu-ne di valorizzare ciò che ci unisce: la fede nell’unico Dio, prima di tutto, ma anche la tutela della vita e della famiglia, l’aspirazione alla giustizia sociale e alla pace”.

Quel guardare più a ciò che ci unisce è tutto di Giovanni XXIII, il Papa che diede un for-te impulso al dialogo, grazie a quell’incontro con Jules Isaac, 20 minuti assieme a Castel-gandolfo. “Parlo a nome dei martiri di tutti i tempi”, gli dirà Isaac consegnando un dossier e chiedendo se può nutrire qualche speran-za. “Avete diritto più che alla speranza”, gli ri-sponde Roncalli. Moriranno prima di vedere il testo della Dichiarazione conciliare “No-stra aetate”.

All’interno del Tempio maggiore, il primo a prendere la parola è il presidente della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Paci-fici. Nell’aula ci sono il vice primo ministro di Israele, Silvan Shalom, gli ambasciatori di Israele, il presidente della Camera, Gian-franco Fini, il sottosegretario, Gianni Letta, il sindaco di Roma, Gianni Alemanno; e poi il patriarca di Gerusalemme, Fouad Twal, il custode Pizzaballa, e ci sono rappresentanti della comunità islamica di Roma. Un segno anche questo dell’attenzione con la quale è seguita la visita del Papa alla Sinagoga della più antica comunità d’Occidente.

Riccardo Pacifici ricorda che se oggi può parlare e salutare il Papa è perché suo padre e lo zio Raffaele trovarono rifugio nel Con-vento delle suore di Santa Marta a Firenze. Non si è trattato di un caso isolato, «per que-sto il silenzio di Pio XII di fronte alla Shoah duole ancora come un atto mancato. Forse non avrebbe fermato i treni della morte, ma avrebbe trasmesso un segnale, una parola di estremo conforto, di solidarietà umana».

«Il silenzio di Dio, o la nostra incapacità di

sentire la sua voce davanti ai mali del mon-do, sono un mistero imperscrutabile», affer-ma il rabbino capo Riccardo Di Segni. “«Ma il silenzio dell’uomo è su un piano diverso, ci interroga, ci sfida…» Ma i problemi aperti e le incomprensioni non devono essere messi in primo piano: «L’immagine di rispetto e di amicizia che emana da questo incontro deve essere un esempio per tutti coloro che ci os-servano» afferma ancora Di Segni.

Papa Benedetto afferma che la sua visita si inserisce in un cammino teso a superare in-comprensione e pregiudizi. La Shoah, dram-ma singolare e sconvolgente, rappresenta «il vertice di un cammino di odio che nasce quando l’uomo dimentica il suo creatore e mette se stesso al centro dell’universo». Ri-corda gli ebrei romani «che vennero strap-pati da queste case, davanti a questi muri, e con orrendo strazio vennero uccisi ad Au-schwitz». Come è possibile, afferma, «dimen-ticare i loro volti, i loro nomi, le lacrime, la disperazione di uomini, donne e bambini». E aggiunge: «Purtroppo, molti rimasero in-differenti, ma molti, anche fra i Cattolici ita-liani, sostenuti dalla fede e dall’insegnamen-

to cristiano, reagirono con coraggio, aprendo le braccia per soccorrere gli Ebrei braccati e fuggiaschi, a rischio spesso della propria vita, e meritando una gratitudine perenne. Anche la Sede Apostolica svolse un’azione di soccorso, spesso nascosta e discreta. La me-moria di questi avvenimenti deve spingerci a rafforzare i legami che ci uniscono perché crescano sempre di più la comprensione, il rispetto e l’accoglienza».

Cristiani ed Ebrei hanno una grande parte di patrimonio spirituale in comune, afferma ancora il Papa: «Pregano lo stesso Signore, hanno le stesse radici, ma rimangono spesso sconosciuti l’uno all’altro. Spetta a noi, in ri-sposta alla chiamata di Dio, lavorare affinché rimanga sempre aperto lo spazio del dialogo, del reciproco rispetto, della crescita nell’ami-cizia, della comune testimonianza di fronte alle sfide del nostro tempo, che ci invitano a collaborare per il bene dell’umanità in que-sto mondo creato da Dio, l’Onnipotente e il Misericordioso».

Fabio Zavattaro

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915 febbraio 2010 Vita di Chiesa

Si è tenuto sabato 23 gennaio pres-so la sala sinodale dell’arcidiocesi di Bari - Bitonto un incontro di prepara-

zione al convegno Nazionale della Chiesa italiana“Testimoni digitali” che si svolgerà a Roma dal 22 al 24 aprile prossimo, mo-mento di riflessione e di approfondimento riguardo alle nuove tecnologie come stru-menti a servizio dell’evangelizzazione e della missione della Chiesa.

L’incontro, organizzato dalla Commis-sione regionale per la Cultura e le Comu-nicazioni sociali, dal Servizio regionale di Pastorale giovanile e dall’Unione Cattolica Stampa Italiana di Puglia, è stato modera-to da mons. Domenico Pompili, direttore dell’Ufficio nazionale per le Comunicazio-ni Sociali della Cei, alla presenza di nume-rosi giornalisti, ma anche di tanti operatori delle comunicazioni delle Diocesi di Puglia.

Ha aperto l’incontro Vito Falco, webmaster del sito inter-net della diocesi di Bari-Bitonto che ha evidenziato come il sito web stia diventando sempre più strumento di collega-mento e di interazione anche nella vita delle diocesi, attra-verso la diffusione di materiale pastorale, ma anche di noti-zie e informazioni utili. Costruire un sito web, non è quindi solo un lavoro tecnico e di grafica, ma è anche un mettersi al servizio della comunione e della condivisione della vita pastorale della diocesi.

Altra riflessione riguardo al ruolo innovatore dei media è stata offerta da Vito Bruno, giornalista della RAI che ha raccontato come internet abbia notevolmente influito an-che nel modo di riportare le notizie vere o verosimili. Sem-pre più spesso, infatti, si sceglie di lanciare notizie in ante-prima sui canali di internet, pensiamo all’annuncio delle materie per gli esami di maturità che il ministro Gelmini ha voluto fare su youtube, oppure alle campagne elettora-li combattute nel web. Non sono più solo la TV o la radio i mezzi privilegiati attraverso cui far giungere in tempo reale le notizie, ma tutto passa con sempre maggiore frequenza

attraverso la rete. Inoltre proprio per questo motivo ad internet viene attri-

buito un valore aggiunto nell’attendibilità del reperimento di notizie, ma, come è possibile immaginare, non sempre è così. Diventa quindi ancora più importante educare ad un uso critico di internet proprio per evitare il lasciarsi sopraf-fare da quello che deve essere solo uno strumento al servi-zio della comunicazione.

Ma l’impronta di internet è ancor più visibile nel nuovo modo di comunicare della cosiddetta generazione digitale, nel modo di ricercare informazioni ma soprattutto nel lin-guaggio e nell’impostazione dei rapporti; non pochi esem-pi ha riportato, a tal proposito, la professoressa Patrizia Ca-lefato, semiologa dell’Università di Bari, parlando di una vera e propria rivoluzione digitale in ambito linguistico e relazionale.

«Incontrarsi, dialogare, riflettere, coinvolgere ed operare». Sono questi, secondo Enzo Quarto, incaricato regionale della Puglia, gli snodi «fondamentali nella preparazione territoriale» a “Testimoni digitali”. Il «passaggio epocale che stiamo vivendo nella comunicazione massmediale», riflette

Quarto, «impone a tutte le persone di buo-na volontà una presenza consapevole e un impegno quotidiano nel promuovere i va-lori della vita di relazione. Bisogna abban-donare le proprie ‘navigazioni’ individuali, per condividere e coinvolgere in progetti di vita sui nuovi strumenti digitali della comu-nicazione, che sono un’opportunità educa-tiva e orientativa delle nuove generazioni e dell’intera società». Questo percorso «può riunificare generazioni apparentemente lontane sull’incontro tra domanda di rela-zione ed offerta di conoscenza ed esperien-za». La preparazione al convegno naziona-le, continua l’incaricato, «deve coinvolgere tutti i comunicatori sociali e gli operatori culturali della Chiesa, perché sappiano es-sere essi stessi per primi testimoni e pro-tagonisti del cambiamento e riscoprire il

coraggio della testimonianza del Vangelo nella comunica-zione massmediale. Con un’attenzione particolare al lin-guaggio». Perché, evidenzia Quarto, «il cambiamento parte anche da qui: bisogna preferire il linguaggio della relazione a quello dominante della persuasione imposto dal sistema ‘pubblicità’ nella televisione degli ultimi decenni».

L’incontro si è concluso con l’intervento di S. E. mons. Domenico Padovano vescovo di Conversano–Monopoli, delegato della Conferenza Episcopale Pugliese per le comu-nicazioni sociali, che ha ricordato come risuoni ancora più appropriato in un contesto come internet, l’invito evange-lico “quello che ascoltate all’orecchio predicatelo sui tetti.” (Mt 10,27). Tale invito è in particolare rivolto ai giovani che sono coloro che abitano lo spazio virtuale e che sono capaci di farlo con protagonismo e con discernimento. Ecco allora che testimoni digitali sono proprio coloro che non possono tacere, non possono rimanere semplici spettatori di quanto accade, ma si fanno annunciatori del Vangelo anche attra-verso il digitale, nuovo areopago del terzo millennio.

Iolanda Milone

convegno La Puglia si prepara al convegno nazionale del 22-24 aprile

Testimoni digitali, una sfida per i giovani ma non solo

C’è una parola-chia-ve che scandisce la prolusione del

card. Angelo Bagnasco al Consiglio permanente della Cei: generazione. È una pa-rola di antica radice biblica, che diventa oggi cruciale, nell’analisi, nell’impegno, nel progetto.

C’è un problema di rappor-ti inter-generazionali e intra-generazionali, argomenta il presidente della Cei, se-guendo la recente enciclica sociale del Papa, di fronte alle sfide globali di oggi. Non si può più scaricare sul do-mani i problemi, in partico-lare quelli ambientali e nello stesso tempo è necessaria una solidarietà vera tra Pa-esi ricchi e Paesi poveri, che permette a tutti di godere delle risorse disponibili.

Ma non solo. Di fronte ad una delle più rilevanti sfide di oggi, in Italia ma in tutti i Paesi avanzati, la cosiddetta emergenza educativa, c’è il venir meno della “cura tra le generazioni”. Tutto si schiac-cia sul dato immediato, tutto

si relativizza, vengono meno i fondamenti, dunque quella ricerca e quel senso della ve-rità, dell’amore, che sostan-zia l’educazione, ma che dà senso anche al tessuto socia-le, al futuro.

Ecco, allora, il terzo punto, sempre intorno al tema del-la generazione. È il sogno, l’appello finale del cardinal Bagnasco: “Vorrei che que-sta stagione contribuisse a far sorgere una generazione nuova di italiani e di cattoli-ci”. È l’appello ad una leva di uomini e donne, “italiani e credenti”, perfettamente ca-paci di muoversi nella cultu-ra odierna, affinché coltivino una elevata e franca voca-zione politica. Una nuova generazione capace di riaf-fermare “i valori che costru-iscono il fondamento della civiltà” in una nuova capaci-tà di proposta. Occorre non appiattirsi sull’oggi, sulle ne-vrosi del presente, bisogna ritrovare la capacità, la vo-glia, il tessuto morale e spi-rituale per operare in modo progettuale, per investire.

Questo appello ad una “ulte-riore impresa”, fatta di uomi-ni e donne motivati e aperti allo Spirito, rilancia, con più lunga e concreta prospettiva, l’appello alla “riconciliazione degli animi” a proposito del-la politica corrente. Tutti de-vono fare la loro parte, a par-tire dal sistema dei media, “da cui provengono a volte deviazioni e intossicazioni”. Bisogna uscire dalla spirale del conflitto, della contrap-posizione fine a se stessa, riflettere sulla sindrome che porta al “sistematico disfatti-smo o all’autolesionismo di maniera”.

Al contrario “il Paese ha bisogno di uscire dalle pro-

prie pigrizie mentali”, deve essere meglio consapevole di se stesso, delle proprie ri-sorse e dei propri successi. E di qui muovere per realiz-zare quelle riforme neces-sarie ed attese, fino ad “una riforma urgente del nostro sentirci nazione”, a centocin-quant’anni dall’Unità.

Ritorna l’appello ad una nuova generazione, ma an-che a quella solidarietà inter-generazionale, cioè tra pre-sente, passato e futuro, che nell’identità cristiana e nella pratica operosità dei cattoli-ci in Italia ha una radice es-senziale, sempre feconda di nuovi frutti.

Francesco Bonini

ceI� La prolusione di Bagnasco al Consiglio Episcopale Permanente

Una nuova generazione per il futuro del PaeseTEOLOGIA E WEB: UN NUOVO SITO PERCHÉ “VIVA IL CONCILIO”

“Viva il Concilio” è “un’espressione di ringra-ziamento, una memoria da onorare e una scommessa promettente per l’oggi e per il futuro della nostra Chie-sa”. Un’espressione che dal 25 gennaio segnala anche un nuovo sito, Vivailconci-lio.it, con testi, riflessioni, materiali, foto e video de-dicati all’evento ecclesiale. Marco Vergottini, teologo milanese, vicepresidente dell’Ati (Associazione teo-logica italiana), spiega dove nasce questo impegno. «Vorremmo contribuire a far conoscere e valorizza-re la lezione del Vaticano». Tra i promotori figurano sei

teologi - Piero Coda, pre-sidente Ati, Giacomo Ca-nobbio, Severino Dianich, Gilles Routhier, Massimo Nardello e lo stesso Vergot-tini – «e tre eminenti figure della gerarchia, i cardinali Carlo Maria Martini e Ro-berto Tucci, e il vescovo Luigi Bettazzi. E si stanno già aggiungendo tante al-tre persone: c’è un nutrito drappello di cardinali e ve-scovi che hanno dichiarato consenso per l’iniziativa e un buon numero di gruppi ecclesiali, centri culturali e comunità religiose». «Sia chiaro – aggiunge Marco Vergottini -, il Concilio Va-ticano II è vivo». Esso è un «evento straordinario nei cui confronti – ce lo ha ri-chiamato Benedetto XVI – noi tutti siamo debitori».

Nella foto (da sinistra): Vito Bruno, mons. Domenico Pompili e il Vescovo Domenico Padovano

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Attualità10 15 febbraio 2010

Giornata della Memoria tra ricordi e nuovi progetti di ricerca

L’8 settembre 1943 800.000 militari italiani vengono catturati e 600.000 deportati nei lager tedeschi: l’eser-

cito è sbandato per la resa senza condizioni agli anglo-americani, gli armamenti vecchi, i quadri non efficienti, la forte sensazione del fallimento del regime fascista. Inizial-mente vivono con sofferenza e rifiuto la loro denomina-zione come Imi, Internati militari italiani, termine esem-plificato dallo stesso Hitler che li sottrae alla Convenzione della Croce Rossa del 1929, successivamente sono gli stessi prigionieri a rivendicare la qualifica di Imi come deno-minazione della loro particolare vicenda e resistenza. Un capitolo misconosciuto della guerra di liberazione italiana e della deportazione di uomini e donne nel Terzo Reich durante la Seconda Guerra mondiale, una sorta di “storia minore non meritevole di attenzione autentica e di ricer-che sistematiche, ma solo di un qualche riconoscimento”, afferma Giorgio Rochat,. Un buco storiografico, un ritardo imbarazzante dovuto forse al fatto che l’esercito italiano nel dopoguerra si porta dietro il fardello di aver combat-tuto le “guerre fasciste”: la guerra civile spagnola, la guerra d’Etiopia e la Seconda Guerra mondiale al fianco dei na-zisti. Inizia così una guerra ma senza armi, fatta di resi-stenza alla fame, al freddo, alle violenze e al lavoro coatto, fatta di sopraffazione fisica, morale e spirituale. Ogni loro storia ha un comune denominatore: il ritorno alla “nor-malità” una volta liberati i campi di concentramento. La scelta della prigionia e del lavoro coatto rifiutando l’offerta di libertà legata all’obbligo di indossare la divisa tedesca o della repubblica fascista è motivata da diversi percorsi: stanchezza, sfiducia, paura, imitazione, sentimenti anti-tedeschi tramutati in rancore dopo le esperienze tragiche della ritirata dalla Russia. Qualunque sia stata la ragione del rifiuto il no non è stato facile per una generazione abi-tuata al “sissignore”, al “credere, obbedire e combattere”. Nei lager è concesso loro scrivere su appositi stampati no-tizie di carattere personale che però non possono superare il numero di venticinque parole. Mussolini accetta questa disposizione considerandola una positiva azione di propa-ganda per un miglioramento dei rapporti italo-tedeschi e proprio a dispetto della censura sono proprio le lettere dai lager che, tenendo in vita un filo di dialogo tra i deportati e i loro cari a casa, chiariscono in tutta evidenza la realtà delle cose. La continua richiesta di cibo e di vestiario, sia pure accompagnata da frasi di circostanza, “io sto bene e così spero di voi”, è la dimostrazione di una sofferenza fi-sica e psicologica. La memoria degli Imi è caduta “in un sorta di limbo della memoria”, come dice Silvio Romano, da qui parole ancora più forti del Prefetto di Brindisi, dott. Domenico Cuttaia, che il 27 gennaio scorso consegnando

le medaglie d’onore conferite dal Presidente Giorgio Napo-litano a sei uomini, originari della provincia di Brindisi, de-portati ed internati nei lager nazisti dopo il settembre del 1943, ricorda che il giorno della memoria è stato istituito “in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti”. Tra i sei Giuseppe Brancasi arrestato l’11 settem-bre 1943 dai tedeschi e deportato con il n. 164576 in un campo di concentramento vicino ad Amburgo. Impiegato nei lavori forzati in una fabbrica di gas situata a Rabum-vechg rimane prigioniero in condizioni tragiche tra stenti, freddo e privazioni fisiche e morali (come ben racconta Nuccio Carriero nel libro, Sul filo della memoria, Ediz. Arco-baleno, San Vito dei Normanni 2009) fino al maggio 1945, quando viene liberato dagli alleati e lo trasferiscono nel vi-cino campo di Wietzendorf (Soltau). Solo nell’ottobre 1945 riesce a rientrare a San Vito dei Normanni, sua città natale e qualche decennio dopo a raccontare i terribili anni della prigionia trascorsi a lottare contro il freddo e i morsi della fame, quando, come sostiene Vittorio Giuntella, si defini-sce “una diabolica volontà di annullare la dignità morale” assestando una resistenza di sopravvivenza.

Katiuscia Di Rocco

La tragedia ignorata degli internati militari italiani dopo il settembre 1943 ha il diritto di essere narrata nel det-

taglio più profondo e “insignificante” attraverso una rifles-sione storiografica di più ampio respiro e ad una ricostru-zione storica che ancora oggi sconta un consistente deficit di risorse documentali. Tale ritardo è in parte dovuto agli ostacoli burocratici, ai limiti della privacy che gravano su molte pratiche individuali che la storiografia ha sopperito affidandosi solo alla memorialistica e alle testimonianze successive passate al vaglio della revisione individuale. Da qui l’intento primo del progetto della Fondazione Biblio-teca Pubblica Arcivescovile “A. De Leo” di Brindisi “La normalità…un archivio degli internati militari pugliesi” finanziato dal- la Cassa di Risparmio di Puglia che ha permesso l’istituzione di una borsa di studio, concessa alla d o t t . s s a Annarita Fran- cavilla, che ha già prodot- to i primi risultati da in- dagini svol-te negli archi- vi di stato di Brindisi e Lec- ce. L’intento è quello di ac- corpare, tu-telare, custodi- re e studiare d o c u m e n t i fino a que-sto momento inediti. Non si farà riferimento solo a quello che il territorio conserva, ma sarà fondamentale l’utilizzo incrociato di varie fonti conservate presso altri archivi nazionali pubblici e privati anche attraverso l’effettivo coinvolgimento degli archivi di privati cittadini, vena aurifera per la ricostruzione storica. Creando una rete di rapporti tra l’Associazione Nazionale Partigiani Italiani, la Fondazione Memoria della Deporta-zione (Biblioteca Archivio Pina e Aldo Ravelli. Centro Studi e Documentazione sulla Deportazione nei lager nazisti), Museo Diffusa della Resistenza, Teatri della Resistenza, etc. si sta costituendo pressa la biblioteca arcivescovile di Brindisi un archivio della memoria storica territoriale che motiva gli studiosi, i giovani e tutta la comunità ad un senso di appartenenza e alla ricerca della propria storia, e consentendo di lavorare sui documenti originali motiva ad una consapevolezza forte e decisa. Un dovere morale, un imperativo categorico al quale non ci si può sottrarre in un momento in cui parafrasando Oriana Fallaci “tacere diven-ta una colpa e parlare diventa un obbligo”. L’intento è pubblicare i documenti ritrovati come lettere o diari all’interno di un’antologia ragionata dando priorità all’inedito e segnalando l’edito conservando la memoria di uomini ed eventi che fanno parte a tutti gli effetti della Grande Storia attraverso la cronaca vera scritta dall’interno di un sistema.

K.D.R.

Brindisi, “monumento testimone di una cultura di pace”: il tanto atteso riconoscimento, la cui richiesta fu avan-zata dall’Amministrazione Comunale qualche mese

fa, è stato finalmente accordato dall’UNESCO, secondo il programma lanciato nel 2000, anno per la “Cultura di Pace”.L’annuncio della notizia giunta da Firenze con una lettera della Federazione italiana dei Club e Centri UNESCO, è stato dato il 29 gennaio in conferenza stampa, presso Palazzo Gra-nafei-Nervegna, dal Sindaco di Brindisi Domenico Mennitti e dal Presidente del Club UNESCO di Brindisi dott.ssa Clori Ostillio Palazzo.

“Sulla base delle testimonianze storiche, artistiche e uma-ne, che mettono in luce la vocazione di pace del porto di Brindisi, confermata nei momenti drammatici e in quelli gioiosi che si è trovato a vivere- si legge nella lettera inviata dal Presidente dell’UNESCO- è stata valutata con attenzione la richiesta da parte della città di ottenere il riconoscimento, proprio per il grande bagaglio storico del porto, teatro di epi-sodi che hanno segnato la sua storia”.

Brindisi, luogo di incontro tra Oriente e Occidente, ha sem-pre svolto un ruolo fondamentale nei secoli passati con il suo porto che ha visto la riconciliazione fra Ottaviano e Marco nel 40 a.C., la partenza di tanti soldati per la Terra Santa e di San Francesco d’Assisi per il suo pellegrinaggio in Palestina. Una città filia solis (figlia del sole), come la definì Federico II, il quale si sposò a Brindisi e da qui guidò la VI Crociata nel 1227.

Centro di confronto fra popoli diversi per cultura, lingua e religione, Brindisi, crocevia di traffici e commerci che uni-scono Europa e Asia, ha dimostrato una grande capacità di accoglienza e di impegno per la pace, con l’arrivo, nel 1991, di oltre 20 mila albanesi in fuga dal loro paese, sbarcati nel porto e accolti così come negli anni successivi. Immagini che rimarranno nella memoria di tutti e che fecero del suo porto, un porto di speranza.

Fu proprio in quel contesto che tre anni dopo, nel 1994, la città divenne sede della prima Base di Pronto Intervento

Umanitario delle Nazioni Unite gestita dal Programma Ali-mentare Mondiale dell’ONU (PAM), per tutte le missioni di pace nel mondo.

Per giungere al giugno 2008, quando dopo quasi mille anni, un Pontefice ha fatto ritorno a Brindisi in Visita Pastorale. Benedetto XVI, nell’incontro con la città e i giovani, a ridosso della banchina del Seno di Ponente del porto interno, ha ri-volto il suo saluto esaltando il ruolo di una città “chiamata a proiettarsi al di là del Mare Adriatico per comunicare con al-tre città ed altri popoli…Brindisi, un tempo luogo d’imbarco verso l’Oriente per commercianti, legionari, studiosi e pellegri-ni, resta una porta aperta sul mare”, ha detto il Santo Padre.

«Una città di frontiera che ha vissuto esperienze di epoche diverse verso le quali si è manifestata la capacità di solida-rietà che i brindisini e la città esprimono - ha dichiarato il primo cittadino in conferenza stampa. Una richiesta avan-zata quasi in concomitanza con la venuta del Santo Padre che rimase affascinato dalle immagini del porto della città, e che quel giorno, sulla banchina di Sant’Apollinare, svolse una lezione potremmo dire geopolitica stabilendo il ruolo e la funzione del porto di Brindisi». Un altro patrimonio acqui-sito in una corsa, insieme ad altre città, per la candidatura di Brindisi a Capitale della Cultura Europea per il 2019. Grande soddisfazione per l’Amministrazione comunale che intende rafforzare il ruolo del capoluogo pugliese attraverso alcune iniziative che saranno intraprese nei prossimi giorni, tra cui la promozione di alcuni incontri con la Spagna per esaltare il prodotto del vino, in virtù del fatto che la cultura è insita anche in ciò che si produce. E a completamento di questo importante passaggio che la città sta vivendo, si punterà al recupero del rapporto con l’Albania, con la quale Brindisi ha vissuto uno dei primi momenti di una nuova fase di apertura per aver dato apporto ad un popolo alla ricerca della propria libertà.

Soddisfatto e lieto per il riconoscimento ottenuto anche Mons. Rocco Talucci, soprattutto perché, tra le motivazio-ni che sono state prese in esame, ha trovato spazio anche la

Visita di Benedetto XVI, un auspicio di pace per tutti. «Un riconoscimento- ha detto l’Arcivescovo- non legato al caso. Siamo nel tempo della rinascita della nostra città, in cui an-diamo scoprendo le sue più naturali vocazioni…da Brindisi e solo da Brindisi c’è lo sguardo verso il mondo intero con la possibilità di un contatto in tempo reale per scoprire le esi-genze di tanti popoli. Il porto che si collega al mondo intero ci fa davvero protagonisti di pace. E da questa vocazione di pace- ha concluso Mons. Talucci- deve derivare la vocazione nostra di cittadini per promuoverla a tutti i livelli per le gio-vani generazioni».

La conferenza stampa si è conclusa con la proiezione del cortometraggio che ha accompagnato la richiesta del rico-noscimento dall’UNESCO, con le immagini dei momenti più salienti che la città ha vissuto e che ha fatto del porto di Brin-disi, monumento e sito messaggero di una Cultura di pace. Come scrisse Henry Swinburne, scrittore e viaggiatore bri-tannico, definendolo il più significativo dell’Adriatico: “Nulla vi è di più bello di questo porto interno, o di più comodo per qualsiasi genere di navigazione e commercio”.

Daniela Negro

annuncio� Importante riconoscimento ottenuto dall’Unesco. La notizia resa nota il 29 gennaio

Porto di Brindisi monumento di pace

© M. Matulli

© M. Matulli

© M. Matulli

Un’immagine di Brindisi © 84° CSAR

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Dossier

Un Pastore, un confratello,

un amico

Ho conosciuto un Pastore, ho ap-prezzato un Confratello, ho in-contrato un Amico.

Sono gli aspetti che sintetizzano il mio rapporto con l’Arcivescovo emerito della diocesi a me affidata, il carissimo Mons. Settimio, con cui condivido la gioia del lungo Episcopato nel quale il Signore della vita lo conserva ad edificazione della nostra Chiesa.

La conoscenza risale alla consacrazio-ne episcopale di Mons. Armando Franco, che diveniva mio Vescovo nella diocesi di Melfi-Rapolla-Venosa. Ero prete e mi impressionò tanto il Pastore brindisino che presentava alla comunità il suo Vi-cario diventato Vescovo con grande gioia personale e con passione pastorale.

L’apprezzamento è legato al mio inse-rimento tra i Vescovi della CEI mentre Mons. Todisco era Presidente della Com-missione episcopale per l’Evangelizza-zione. L’interesse e la visite missionarie di cui riferiva in aula suscitavano in me, diventato suo confratello, sentimenti e prospettive di largo respiro. Con queste premesse sono diventato suo successore sulla cattedra di San Leucio. La sua acco-glienza, improntata alla cordialità e alla chiarezza, si è manifestata come amici-zia per sua iniziativa.

Ha voluto che ci chiamassimo per nome, che usassimo il tu confidenziale, che parlassimo nell’interesse della Chie-sa in un passaggio di consegne, che era una trasmissione di servizio nell’amore per assicurare quella continuità che, se anche non esclude la diversità, garanti-sce un cammino sereno.

Ho ereditato l’attenzione alla città e alla gente, la piena consapevolezza per la fede adulta e per un laicato maturo. Ho cercato di camminare su questo solco già segnato coltivando una amicizia che dice vicinanza e condivisione, autono-mia e rispetto, presenza e discrezione.

E’ una testimonianza questa che può essere un “modello” per tutte le succes-sioni per assicurare la serenità di una storia di Chiesa di cui ognuno di noi se-gna un segmento non a sé stante ma solo parte di una medesima e lunga linea, nella quale opera lo Spirito di Dio.

Se la diocesi ricorda i 40 anni di vita episcopale di Mons. Todisco, io contem-plo 10 anni di vita Paterna tra un Arcive-scovo emerito e un Arcivescovo ordina-rio, amando un popolo già amato, anzi amandolo insieme con responsabilità diverse. In questo ultimo anno abbia-mo condiviso due esperienze grandi: la compresenza nella Commissione epi-scopale missionaria, nella quale è stato chiamato per la sua esperienza e la Visi-ta del Santo Padre che con la sua auto-rità pastorale ha benedetto un cammino di Chiesa guidato da Pastori diversi, ri-cordando eventi di un’unica storia come l’accoglienza degli albanesi, coordinata con carità aperta e decisa da Mons. To-disco, e il Sinodo diocesano da me con-vocato per rendere più stabile e meglio proiettata l’identità della nostra Chiesa.

Continua la condivisione nella amici-zia. Continua con fraternità che può es-sere stimolo per ogni forma di fraternità sacerdotale.

+ Rocco TalucciArcivescovo

“Passiamo all’altra riva” era il titolo di una mia pubblicazione in occasione del ven-ticinquesimo di episcopato di Mons. Set-

timio Todisco. Il versetto di Marco 4,35 rende molto bene il senso dell’azione pastorale di don Settimio, che ha “traghettato” la chiesa diocesana brindisina verso le sponde del Concilio.

Si può dire che il motivo ispiratore del suo magi-stero sia stato quello di far maturare nella comunità diocesana una coscienza conciliare, puntando sui processi educativi, per formare una mentalità in gra-do di cogliere le novità non come fatto esteriore, ma quale maturazione pastorale in vista di una fede adulta, capace di coniugare evan-gelizzazione e promozione umana, evangelizzazione e comunione, evangelizza-zione e testimonianza della carità.

Ciò ha comportato l’acqui-sizione di una ecclesiologia più aperta e più sensibile alla dimensione storica, la com-prensione di una presenza della Chiesa nel mondo non in termini di condanna o di isolamento, ma di presenza e di dialogo, una Chiesa che ha nella Eucaristia il proprio fondamento e nella missio-narietà il proprio dinami-smo. Una Chiesa, inoltre, che ha il difficile compito di rendere operative categorie come ministerialità, comu-nione e partecipazione, riconoscendo il ruolo pro-prio e insostituibile dei laici.

Per realizzare questa “inversione di rotta” è stata necessaria la “pazienza pedagogica” di un Pastore che “corde et fide” ha sempre avuto rispetto dei tem-pi di maturazione di chi gli stava vicino, anche quan-do la forza dello Spirito l’avrebbe portato a spiccare il volo verso vette pastorali che egli profeticamente intravedeva.

Punto nodale del magistero di don Settimio è stato il Progetto pastorale degli anni ‘80 Per una comuni-tà ecclesiale adulta nella fede, caratterizzato da due note di fondo, la missionarietà e la ministerialità.

La direttrice della missionarietà - una costante di tutto il suo magistero - ha comportato un cambia-mento di mentalità, passando da una missionarietà intesa come invio di offerte ai lontani, ad una mis-sionarietà come modo d’essere dei cristiani all’inter-no di una società sempre più secolarizzata.

L’attenzione al territorio e al servizio alla gente è stata un’altra linea portante del magistero di mons. Todisco, sviluppatasi in modo particolare nel corso degli anni ’90, sulla scia del progetto pastorale della CEI su Evangelizzazione e testimonianza della ca-

rità e che ha trovato ulteriore approfondimento nel triennio di preparazione al Giubileo, all’insegna del progetto pastorale diocesano Dentro la storia e tra la gente: mi sarete testimoni.

L’annuncio del Vangelo della carità, in riferimento a concrete situazioni ed emergenze sociali con cui don Settimio si è sempre misurato con spirito eccle-siale, ha costituito il naturale coronamento dell’evan-gelizzazione missionaria.

La Chiesa diocesana, guidata da don Settimio in linea con il Concilio, ha avvertito il compito di pro-muovere e di fermentare le diverse sfere in cui si

esplica l’esistenza dell’uomo, da quella educativa a quella sociale, da quella economi-ca a quella politica, facendo proprie le istanze degli ulti-mi, dei poveri, dando voce a chi non aveva voce.

Non è stato per tutti facile accettare una pastorale che, nello spirito della Gaudium et Spes, si apriva al mondo per fare proprie, in termini di servizio, le esigenze del-la storia e specie di chi dalla storia veniva emarginato, escluso; una Chiesa che su-perava l’immagine della so-cietà perfetta per riscoprirsi popolo di Dio in cammino lungo gli incerti sentieri del-la storia.

Don Settimio ci ha fatto prendere coscienza che per il cristiano - che in virtù del

Battesimo partecipa della triplice funzione di Cristo - è peccato di omissione stare alla finestra della sto-ria; ci ha fatto sperimentare il senso della correspon-sabilità e della partecipazione, evitando ogni forma di clericalizzazione dei laici e di laicizzazione dei preti; ci ha insegnato il senso della partecipazione al sociale e al politico come testimonianza della carità cristiana e che quindi l’unità dei cristiani in politica doveva riguardare il riferimento ai valori e non l’as-solutizzazione degli strumenti di mediazione.

Egli ha inoltre “traghettato” la diocesi alle soglie del terzo millennio, lasciando una comunità adulta nel-la fede, consapevole dei compiti che la nuova evan-gelizzazione richiedeva.

L’occasione del quarantesimo di ordinazione epi-scopale di don Settimio diventa, pertanto, un ren-dere grazie a Dio che, attraverso il suo Pastore, ha riversato lo Spirito del rinnovamento conciliare sulla comunità diocesana e, nello stesso tempo, auspicio che le reti gettate nel mare della storia del terzo mil-lennio possano continuare a produrre copiosi frutti.

Antonello Micia

Una lezione sulla libertà

«Mi sono sempre sentito libero»,

affermò in un’intervi-sta del 1995 ed è stato sempre questo il metro con il quale, chi ha avu-to modo di spiegare sui media il suo episcopato, ha analizzato scritti e decisioni di mons. Setti-mio Todisco, vescovo da 40 anni.

La ricorrenza è oppor-tuna non solo per rin-graziare il Buon Dio per il pastore che ha donato alla Chiesa di Brindisi-Ostuni, ma per vedere come, con quali forze e quale itinerario ha per-corso questa Comunità.

La bussola del Conci-lio (se non ci fosse sta-to nemmeno Fermento sarebbe qui) ha guidato questo cammino, sor-retto dalla Parola e dal Pane eucaristico. Ma c’è uno stile che va evi-denziato. Immaginiamo questa Chiesa come un treno. Ecco: i binari sono stati sicuri. «Mi sono sempre sentito libero» diceva mons. Settimio; «La Verità vi farà liberi», confermava il magiste-ro pontificio di Giovan-ni Paolo II. E così nasce una Chiesa missionaria e aperta all’accoglienza; una Chiesa che sente di non dover tacere: «Se amassimo di più questa città», ha scritto il pre-sule, che più volte ha ricordato di cosa real-mente avesse bisogno il territorio.

Una Chiesa che ha sen-tito di essere accanto all’uomo, soprattutto quando è stato in diffi-coltà evidente. Una ce-lebrazione eucaristica nella fabbrica che chiu-de ha significato porta-re il Dio-con-noi lì dove la dignità dell’uomo sta per cedere; e una chiesa aperta di notte ad acco-gliere chi veniva a frotte dal mare, ha avuto lo stesso effetto di riveder-si nel volto dell’altro. È anche questa la vera li-bertà, quella che mons. Todisco ha dimostrato andando avanti al greg-ge lungo i sentieri della vita, in ascolto di chi lo seguiva, pronto a spie-gare le ragioni di un cammino che conduce all’incontro che non de-lude.

(a. scon.)

«Don Settimio ci ha fatto prendere coscienza che

per il cristiano è peccato di omissione stare alla

finestra della storia; ci ha fatto sperimentare il senso

della corresponsabilità e della partecipazione

evitando ogni forma di clericalizzazione dei laici e di laicizzazione dei preti»

Mons. Settimio Todisco Vescovo da 40 anni “corde et fide” protagonista della storia

Mons. Talucci, il Card. Bertone e Mons. Todisco © Enzo Neve

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12 15 febbraio 2010Dossier 1315 febbraio 2010 DossierMons. Todisco Vescovo da 40 anni “corde et fide” protagonista della storia

Il bel traguardo del 40° anniversario di ordinazione episcopale di Mons. Settimio Todisco è felice circostan-

za per riandare il nostro cammino di Chiesa Diocesana sui sentieri del Con-cilio Ecumenico Vaticano II.

Dire Riforma Liturgica infatti è evoca-re integralmente il Concilio. Di questo infatti essa è il frutto più maturo. Certo, la Riforma stabilita dal Concilio e pro-mulgata da papa Paolo VI (04.XII. 1963) ha solo avviato il Rinnovamento Litur-gico che, nonostante i suoi 47 anni, è ancora troppo giovane.

Gli esperti ci ricordano che sono sem-pre medio-lunghi i tempi richiesti alla applicazione-ricezione di un Concilio, e solo dopo almeno 70 anni si può co-minciare a valutare qualcosa in propo-sito.

Ma torniamo ai 40 anni di episcopato di Mons. Todisco. Essi corrono proprio lungo i vasti orizzonti del Concilio chiu-so da qualche anno (1965) e nel pieno del fervore della pubblicazione dei li-bri liturgici della Riforma. Il Messale Romano di papa Paolo VI viene pro-mulgato con la costituzione apostolica dello stesso pontefice nell’aprile 1969 e verrà pubblicato nella settimana santa del 1970. Sono i giorni dell’elezione (15.XII.1969) e dell’ordinazione episcopale (15.II.1970) di Mons. Todisco.

I 25 anni (1975-2000) nei quali Egli è alla guida della nostra Chiesa registrano tut-to l’impegno, la fatica e l’en-tusiasmo del lungo cammino della Riforma, la cui attua-zione passa non solo dall’os-servanza delle indicazioni e dei princìpi strettamente celebrativi, ma dall’adesione cordiale e di fede alla visione di Chiesa che il Concilio ha riscoperto e promosso.

Una Chiesa-Mistero di san-tificazione e di lode (Sacro-sanctum Concilium), al di sotto della Parola del Signore (Dei Verbum), come un sa-cramento in Cristo per tutta l’umanità (Lumen Gentium), aperta al mondo amato da Dio (Gau-dium et Spes).

La Riforma Liturgica è in qualche modo seme e frutto di questa visione di Chiesa. A Mons. Todisco ciò non è sfuggito. E solo in tal senso quello della Liturgia a norma del Concilio Vaticano II è stato il filo rosso di tutto il suo ma-gistero e ministero episcopale.

La Comunità adulta nella fede (pro-getto pastorale per gli anni ‘80) ha ap-punto la via maestra nella liturgia.

Così espressamente scrive in quel progetto: “La forma prima con cui la Chiesa evangelizza è la celebrazione li-turgica. Nella liturgia, ‘culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e insieme la fonte da cui promana tutta la sua vir-tù’ (SC, 10) noi cristiani nasciamo, cre-sciamo e ci riconosciamo.

Il mistero di Cristo continua nella Chiesa, che deve essere considerata come sacramento primordiale e plena-rio, ‘cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano’ (LG, 1), e si manifesta in maniera specifica attraverso i sacra-menti, con cui Gesù Cristo dona il suo Spirito ai fedeli facendone il suo popolo santo.

Particolarmente all’Eucaristia, centro di tutta la sacramentalità della Chiesa, attingiamo le energie necessarie per es-sere testimoni del Signore morto e risor-to, per la crescita della comunità eccle-siale.

I segni sacramentali ‘hanno poi anche

la funzione di istruire. Non solo suppon-gono la fede, ma con le parole e gli ele-menti rituali la nutrono, la irrobustisco-no e la esprimono’ (SC, 59).

Molta cura va riservata perciò alla ce-lebrazione liturgica … una celebrazione che sia collegata con la vita e che porti il credente a un costante rinnovamento personale, interiore ed esteriore, e comu-nitario, nella Chiesa e nella società (pp. 65-66)”.

In questo stesso progetto non è assen-te l’attenzione alla pietà popolare, alle feste religiose e alle devozioni. Realtà – Egli dice - che vanno ricomprese, ri-ordinate, purificate e orientate alla cen-tralità di Cristo (cfr pp. 77-78).

Un lavoro che ha fatto solo i primi passi, sempre a rischio di vanificarli, o peggio, di smentirli con le nostre im-provvide indulgenze e soprattutto con il nostro mancato discernimento pa-storale, anche rispetto ai tempi che vi-viamo (certamente diversi da quelli nei quali sono nate certe forme di pietà e di feste religiose).

In quegli anni l’arcivescovo Settimio volle un primo convegno liturgico dio-cesano proprio sulla celebrazione eu-caristica. Fedele al dettato conciliare che indica nella liturgia il “culmine ver-so cui tende l’azione della Chiesa e, in-sieme, la fonte da cui promana tutta la

sua verità” (SC, 10), Egli ha indicato so-prattutto nell’Eucaristia la forma della Chiesa: “la Chiesa nasce dalla Pasqua di Cristo ed è viva per l’effusione che Cri-sto risorto fa continuamente del suo Spi-rito… Conseguentemente, possiamo dire che la Chiesa nasce dall’Eucaristia, vive dell’Eucaristia e sull’Eucaristia modella il suo essere e il suo operare”(Messa Cri-smale, 1982).

Nella liturgia, che il Concilio ha ri-consegnato alla Chiesa, sobria, bella e sgombra da tanti elementi cadùchi, Egli ha visto e indicato alle nostre co-munità “la prima e per di più necessaria sorgente dalla quale i fedeli possano at-tingere uno spirito veramente cristiano” (SC, 14).

Riferendosi ancora all’Eucaristia pre-sentava tutta la forza plasmatrice della vita spirituale cristiana: “L’Eucaristia richiama continuamente all’aspetto pasquale della vita cristiana cioè alla santità. Lo Spirito di Gesù, presente e at-tivo nei sacramenti della Chiesa, opera in modo tutto speciale nell’Eucaristia non solo in ordine all’efficacia dei segni sacramentali, ma per fare di noi un sa-crificio perenne a Dio gradito (Messa Crismale 1986).

Nella stessa Eucaristia egli vede la forza propulsiva della missione del-la Chiesa: “La missione non deriva da una somma di sforzi, tensioni e inizia-tive, ma nasce nell’intimo di ciascuno dall’incontro fecondo con lo Spirito che si fa parola, carità, preghiera, aiuto e

servizio. L’Eucaristia è l’azione missio-naria per eccellenza perché contiene ed esprime in se stessa la missione totale di Cristo e della Chiesa” (Ibidem).

Nell’ultimo decennio del suo servizio episcopale in mezzo a noi, Mons. Todi-sco ha indicato proprio nella lode, nella preghiera, nella vita secondo lo Spirito santo il segreto dell’autenticità e della riuscita della vita cristiana dei discepo-li e del servizio pastorale della Chiesa. Nell’assemblea degli Operatori Pasto-rali del maggio 1989 così si esprimeva: “…è davvero brutto segno per noi e per le nostre comunità se il fare finisce con il prevalere sulla lode al Signore e sulla intimità con il Padre, il Figlio e lo Spiri-to, trascurando l’interiorità del cuore e la coralità della preghiera pubblica. In questo senso occorre ricuperare la fun-zione completa della liturgia che non è solo strumento di grazia e di salvezza, ma insieme espressione prima della glo-ria di Dio nella comunione con la co-munità orante”.

E’ degli anni novanta il Convegno Regionale Liturgico tenuto a Brindisi sulla Domenica “festa di Cristo e della Chiesa” (1991), per una riscoperta del giorno del Signore che avviò il lavoro dell’ULD completamente rinnovato, a compimento del desiderio dell’arcive-scovo di dare forte incremento alla vita

liturgica della Diocesi secondo i detta-mi della Riforma Conciliare.

Nel 1993, presentando un sussidio preparato dall’ULD per celebrare il XXX anniversario della Riforma Liturgi-ca, don Settimio ci consegnava quasi la sintesi del lavoro fatto e di quanto rima-ne ancora da fare per l’attuazione della stessa Riforma: “La liturgia è il luogo sacramentale nel quale si prolunga la potenza della Pasqua di Cristo, salvezza di quelli che si aprono, nella fede, alla chiamata di Dio per la costruzione del Regno (…)

La Riforma Liturgica ha determinato una svolta ecclesiologica per un Rinno-vamento totale della Comunità Cristia-na. Essa ha mirato essenzialmente alla ‘partecipazione attiva, consapevole e fruttuosa’ al Mistero della Salvezza da parte di tutti i discepoli di Cristo, nella varietà dei carismi e ministeri propri. Non è vano ritornare agli ‘altiora prin-cipia’ cioè ai fondamentali principi orientativi e operativi, contenuti nella Sacrosanctum Concilium.

Vi troveremo la teologia della Liturgia e, quindi, la sua imprescindibile funzio-ne, nel cammino dei “pellegrini-testimo-ni del Regno”.

Proprio quello che dobbiamo ancora perseguire con il cuore e con la fede, senza soluzione di continuità.

don Antonio Valentino

L’attuazione della riforma liturgica

Nella foto in alto ospiti della mensa Caritas. Nella foto qui sopra la presentazione del IX Rapporto Caritas-Zancan

15 Dicembre 1969. Le campane di Ostuni suonarono a festa. In un baleno la notizia della elevazio-

ne alla dignità episcopale del Vicario gene-rale della diocesi di Ostuni Mons. Settimio Todisco si diffuse nella città.

Dopo 12 anni dalla nomina di Mons. Ora-zio Semeraro a Vescovo di Cariati, un Suo degno allievo veniva nominato dal Papa Amministratore Apostolico “sede plena” della diocesi di Molfetta, Terlizzi e Giovi-nazzo.

Mons. Todisco, impostosi all’attenzione dell’opinione pubblica delle allora due Dio-cesi di Brindisi e Ostuni nelle varie e sempre più importanti mansioni man mano assun-te, fu riconosciuto unanimemente degno della nomina ricevuta, nonostante la giova-ne età di 45 anni. Non è comune infatti es-sere elevati alla dignità episcopale a tale età, specie se non si dispone di titoli accademi-ci acquisiti presso università pontificie o di esperienze apostoliche in sedi prestigiose.

Il brillante seminarista di Molfetta, dopo l’ordinazione sacerdotale nel 1947, ave-va continuato a formarsi autonomamente nelle due diocesi sotto la guida dei vescovi succedutesi nel tempo: Mons. De Filippis, Mons. Margiotta, Mons. Semeraro; aveva assolto con dignità e competenza i compiti che gli erano stati man mano affidati: Ret-tore del seminario minore, Assistente della FUCI di Brindisi, docente di religione nelle scuole superiori di Brindisi ed Ostuni, Vi-cario generale della diocesi di Ostuni, Assi-stente del gruppo laureati cattolici di Ostu-ni, Consulente ecclesiastico del Villaggio SOS di Ostuni.

Don Settimio è stato sempre accettato con simpatia da tutti; la sua modestia, il tratto sorridente e signorile, la pronta disponibili-tà ad ogni richiesta di aiuto, la gentilezza nei modi, uniti alla intransigenza nella difesa dei principi e nella osservanza delle norme canoniche, lo hanno sempre caratterizzato.

La familiarità dei rapporti con tutti con-sentiva a quanti lo accostavano di rivol-gerGlisi con il prefisso “Don” anziché con

quello di “Monsignore”, la consuetudine si è mantenuta tale anche dopo la nomina epi-scopale, e persiste tuttora.

La dignità assunta non ha fatto cambiare a Don Settimio la cerchia delle Sue frequen-tazioni. Gli amici della Sua giovinezza sono sempre rimasti tali.

Una considerazione siffatta aveva deter-minato, alla notizia della nomina, una gio-ia unanime in una popolazione che visse l’evento come una considerazione che i ver-tici della chiesa avevano avuto verso l’intera comunità diocesana.

La consacrazione avvenne il 15 Febbraio 1970 nella cattedrale di Ostuni per mano del Cardinale Corrado Ursi, Rettore del semina-rio regionale di Molfetta negli anni in cui Don Settimio si era colà formato, brillando negli studi e meritandosi la considerazione e la stima di tutti, come lo stesso Officiante

fece con affetto rilevare nell’omelia.Concelebrarono gli Arcivescovi Mons.

Margiotta e Mons. Semeraro; erano presenti numerosi Vescovi della regione.

Il popolo di Ostuni partecipò in massa alla cerimonia, vivendo un momento di gioia che si è ripetuto all’atto del trasferimento di Don Settimio nel 1975 dalla diocesi di Mol-fetta e il ritorno nelle diocesi di Brindisi e Ostuni come titolare, ricevendo il testimone dal Suo maestro Mons. O. Semeraro, ritira-tosi a vita privata per motivi di salute. Giova ricordare, in proposito, l’affetto con il quale Don Settimio ha assistito il Suo predecesso-re e maestro nel corso degli ultimi anni che costui ha trascorso in Ostuni, ponendoGli a completa disposizione il palazzo vescovile e non facendoGli mancare mai ogni aiuto e sostegno.

Nel corso del Suo ministero a Brindisi e Ostuni l’Arcivescovo Todisco ha fermamente voluto che i fedeli affidati alla Sua cura pa-storale facessero un percorso di formazione culturale permanente per una fede pensata e coerentemente praticata in tutti gli ambiti della vita, al fine di essere in grado di poter assumere, in piena libertà da “ adulti nella fede “, responsabilità varie nella vita eccle-siale e civile, nell’esercizio di quei carismi che il Concilio ha definito come propri dei laici nella Chiesa

Per finire, è doveroso porre in risalto la di-screzionalità con la quale ha continuato a vivere Don Settimio dopo il pensionamen-to, nel ritiro di Villa Specchia in Ostuni, nel rispetto incondizionato dell’autonomia del Suo successore Mons. Rocco Talucci, pur nel rimpianto di molti che non riescono a dimenticare la signorilità del suo compor-tamento, l’affabilità dei modi e la continua disponibilità all’ascolto di chiunque; costo-ro, nella cerimonia di ricorrenza del 40° di ordinazione episcopale il 15 Febbraio p.v., non faranno mancare a Don Settimio il ca-lore dell’affetto che si è sempre meritato.

Pietro Lacorte

consacrazione episcopale La testimonianza di chi era presente

Una ricorrenza che ridesta la memoria

Laici protagonisti nella vita della Chiesa e della società In questa dimensione abbiamo vissuto la nostra parteci-

pazione, convinta ed entusiasta, alla vita di Chiesa e della società, respirando il clima di rinnovamento che il Conci-

lio ecumenico Vaticano II aveva portato alla Chiesa universa-le e che l’Arcivescovo Settimio Todisco, in piena comunione con il Papa e i Vescovi, proponeva, con vigore e lungimiran-za, alla nostra Comunità diocesana, perché diventassimo tutti insieme “ Adulti nella fede”.

Che il nostro Arcivescovo avesse a cuore la presenza e l’azione dei Laici nella Chiesa e nel mondo, lo dimostra tutta la sua opera educativa e di guida spirituale, già prima della consacrazione episcopale. Nel 1975, in occasione del suo in-gresso come Pastore nella Diocesi di Brindisi, presentando il modello di Chiesa da realizzare, ebbe a dire: «Nella chiara di-stinzione dei ruoli, intendo dare ai laici tutto lo spazio che ad essi compete, non solo nella fase esecutiva della Pastorale, ma nella programmazione e nella verifica,e tutta la respon-sabilità nei Consigli Pastorali diocesano e parrocchiale». Tale orientamento è stato sempre presente nel suo magistero. Frequenti sono state le sollecitazioni ad una maggiore sog-gettività e protagonismo dei laici nella partecipazione e nella ministerialità, caloroso il richiamo a giovani, adulti e fami-glie, a vivere e a far vivere nella comunità parrocchiale e ol-tre, insieme ai Pastori e a tutto il Popolo di Dio, una concreta esperienza di fraternità, di accoglienza e valorizzazione della diversità, nella reciprocità e nella corresponsabilità. In que-sto cammino di Chiesa, la nostra presenza nelle Associazio-ni, nei Gruppi e nei Movimenti doveva essere, e così è stata, pur con i limiti che la condizione umana comporta, “labora-torio di esperienza” di relazioni umane coinvolgenti, vissute nel “culto dell’amicizia”, di itinerari esigenti di vita spirituale a livello personale e comunitario, di percorsi formativi volti a promuovere maturità umana e cristiana e a far maturare una viva coscienza ecclesiale e missionaria, di studio, apertura e impegno per conoscere le linee portanti e i bisogni emergen-ti del nostro tempo, ed animare, con la forza derivante dal Vangelo, la realtà sociale, culturale, economica e politica, at-tenti “alla tipicità della nostra gente, alle tradizioni e alle pro-

spettive”, per uno sviluppo integrale autentico e condiviso.Parlando del Convegno Ecclesiale di Palermo (1995), il no-

stro Arcivescovo ci ricordava che «per la nuova evangelizza-zione e per il rinnovamento della società, la risorsa prima e necessaria sono uomini e donne nuovi, immersi nel mistero di Dio e inseriti nella società, santi e santificatori».

Nella vita delle nostre “Associazioni”, noi abbiamo cercato di rispondere a questo invito a vivere la vocazione alla san-tità, accogliendo il dono e i doni dello Spirito Santo, testimo-niando l’amore “dentro la storia e tra la gente”, in cammino e dialogo con tutti e in modo particolare con i più poveri, sollecitando nelle sedi opportune risposte adeguate ai loro bisogni e assumendo uno stile di vita di condivisione, quali operatori di pace e di speranza.

La nostra gratitudine al Signore, all’Arcivescovo Settimio Todisco, a tutti coloro che ci hanno aiutati e ci aiutano a vive-re con passione e con gioia la nostra appartenenza alla Chie-sa e al mondo.

Teresa Legrottaglie

L’abbraccio di pace tra il Card. Bertone e Mons. Todisco (18 novembre 2007) © Enzo Neve

© Archivio “Lo Scudo”

Don Settimio per meUna testimonianza

“M i dispiace vederti partire - dice mio padre - ma all’università come assistente straordinario ti danno una miseria e a Brindisi ti offrono un lavo-

ro che non ti piace, ma con uno stipendio superiore al mio, e sto insegnando da una vita!”Eccomi a Brindisi. Il mio stato d’animo è tale che non mi dice niente la bellezza del mare e della città, quasi mi fa rabbia vedere gente serena come se tutti fossero amici.Entro in una chiesa per ricevere un po’ dì coraggio, casual-mente leggo, su un avviso scritto a mano che la riunione della Fuci è spostata al giorno.........alle ore...presso…Mi accorgo che è oggi, guardo l’ora, mancano venti minuti e non ho niente di meglio da fare e nessuno mi aspetta, deci-do di andare. Ad un signore di mezza età,c he sta uscendo di chiesa, chiedo come raggiungere il posto indicato. “Se vuole l’accompagno” mi dice; resto colpito da quella gentilezza inaspettata e accetto ringraziando. Ed eccomi in una sala piena dì studenti dove un giovane sacerdote alto e magro sta parlando, mi siedo in fondo da una parte, dall’attenzio-ne dell’uditorio penso che dica cose interessanti. Ma la mia menta e il mio cuore sorto altrove; penso agli amici e alla Fuci di Pisa, alle dispute verbali e di ping pong, alle illusioni sfumate, a qualche simpatia.La riunione finisce tutti escono accennandomi un saluto; re-sto solo, la loro serenità quasi mi urta. Ed ecco quel giovane prete mi si avvicina, si presenta porgendomi la mano “Sono don Settimio, l’assistente” e cominciamo a parlare come se ci fossimo conosciuti da tempo. Mi sento sciogliere quel groppo che avevo dentro da quando ero arrivato in Puglia. “Ti aspet-to la prossima settimana, così conoscerai anche il presidente

che oggi era impegnato in ospedale”, mi dice nel salutarmi.Brindisi mi sembra più bella! “accatto” un cartoccio di semi salati e rispondo con un sorriso a chi mi dice “signurì l’accat-tiamo uno mulone”, ne prendo un fetta.Attendo con ansia il giorno stabilito; arrivo un po’ prima dell’ora fissata, mi si fanno incontro fucine e fucini che mi accolgono come un vecchio amico - capisco che qualcuno gli aveva parlato di me.Certo bisogna soffrire per avere la vera gioia! Ascolto la lezio-ne di don Settimio, mi sembrano parole nuove tutte per me. Mi sento dentro più sereno. Alla fine chiacchiero con tutti , usciamo all’imbrunire, seguito a parlare, mi ascoltano un po’ per quello che dico, un po’per il mio accento toscano.Mi presentano il presidente Pierino (pardon il dottor Pietro La Corte), mi dicono, tra l’altro che - cosa preziosa - gira con una “lussuosa topolino di quarta mano” e accetto la sua of-ferta di accompagnarmi.In macchina partiamo e sento subito quale spessore di for-mazione abbia questo giovane medico.In breve tempo faccio anche amicizia con fucini e “apprezza-bili “fucine e percepisco, pur nella allegrezza dell’ambiente, una visione umana e seria della vita con una rara aspirazio-ne a portare agli altri questa ricchezza interiore per migliora-re la società circostante e dare testimonianza di Fede.In tutto questo vedo l’impronta di Don Settimio. Ora leggen-do dell’opera del giovane. Karol Wojtyla nella formazione e preparazione alla vita e alla società dei giovani - opera rive-latasi incisiva nella ricostruzione della Polonia - mi è venu-to in mante Don Settimio e mi sono chiesto “esistono ancora uomini capaci di formare simili testimoni? Coraggio Giorgio - mi sono detto - i sogni possono realizzarsi – lo sogna anche il Cardinale Bagnasco.Grazie Don Settimio per quanto mi hai dato, per quanto ci hai dato. Auguri.

Giorgio Dumminuco (Pavia)

© Archivio “Lo Scudo”

© Archivio “Lo Scudo”

© Archivio “Lo Scudo” © Archivio “Lo Scudo” © Archivio “Lo Scudo”

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14 15 febbraio 2010Dossier

Non sono aduso a rituali celebrazioni, ma l’occasione mi pare propizia per sciogliere pubblicamente un debito di riconoscenza

nei confronti di S.E. Mons. Settimio Todisco.Il mio primo incontro con S.E. è del lontano 1977, quando un amico sacerdote mi condusse nell’epi-scopio di Brindisi per un colloquio su una situazione che mi toccava personalmente. L’incontro non sortì l’effetto sperato, lasciandomi un velo di delusione!

Passarono degli anni. Rividi Mons. Todisco sotto i portici dell’Istituto Salesiano di Brindisi in un in-contro di gruppi ecclesiali Ero uno tra tanti: mi sentii chiamare per nome!

Negli anni i miei successivi incontri con S. E. sono legati ad una originalissima esperienza: la Scuola di Formazione all’impegno sociale e politico. L’ini-ziativa poneva interrogativi che sottintendevano ti-mori, come in ogni scommessa innovativa. Lo stesso Arcivescovo osservava: «Quando abbiamo pensato alla Scuola di Formazione all’impegno sociale e poli-tico e deciso di metterla in atto, eravamo consapevoli di rispondere, sia pure con uno strumento modesto, ai bisogni reali delle nostre popolazioni e istituzioni. Avvertiamo la sfida nei riguardi delle Comunità di Chiesa: ce l’avremmo fatta a porre in essere una me-diazione scientifica pratica di tutto rigore ed effica-cia? Avvertiamo pure la sfida nei riguardi dei giovani a cui rivolgevamo le attenzioni : avremmo trovato ascolto e , soprattutto, risposta assidua?».

Eravamo negli anni Novanta quando la realtà glo-bale italiana e , di conseguenza , anche la nostra pre-sentavano criticità che interpellavano ovviamente anche le Comunità ecclesiali. Inviterei a leggere le lucide analisi del Vescovo, tra i più acuti conoscitori del Territorio, volte a tratteggiare gli snodi critici del contesto brindisino: tra gli altri, lo sviluppo distorto ed esogeno, la situazione di marginalità, di zona a rischio sociale oltre che ambientale, la diffusa disoc-cupazione ed il vuoto culturale e politico.

Sempre attento all’oggi della storia, Mons. Todisco affermava: «Il compito primo dei cristiani e delle loro comunità è quello della partecipazione: contro l’abbandono e il declino della politica, contro lo Stato

accentratore e le oligarchie economiche e politiche, contro il dirigismo dei mezzi di comunicazione; per uno Stato sociale invece come stato dei cittadini e dei soggetti intermedi in un quadro garantito di solidarietà, nel rispetto delle autonomie legittime e con l’attenzione alle fasce più deboli». Così a com-mento della Nota Stato Sociale ed Educazione alla socialità della Commissione Giustizia e Pace della CEI del 1° maggio 1995.

E ancora, riferendosi al Documento della CEI Le comunità cristiane educano al sociale ed al politico del 1998: «Siamo a conoscenza della debolezza e contraddittorietà del nostro mondo politico, ma a scavare dentro ci si accorge che siamo di fronte ad una crisi della cultura, che si presenta consumisti-ca, privatistica , frammentaria, a cui spesso manca-no i riferimenti di valore e di senso».

E senza infingimenti chiosava con certa amarezza: «L’attenzione alla città dell’uomo, cui presiede la ri-flessione e l’impegno politico, è connaturato al mi-nistero ecclesiale; ma non è sufficientemente den-tro la coscienza delle stesse comunità di Chiesa».

Osserverò, per incidens, che, chiamato a dirigere la Scuola di Formazione all’impegno sociale e poli-tico, ponevo a S.E. un interrogativo: “Ma la Scuola è un’esigenza avvertita della Diocesi di Brindisi-Ostuni?”. Saggiamente mi ribatteva: «Un’esigenza la si può anche far avvertire!». Ed io, che sono fonda-mentalmente un uomo di scuola , dove l’azione for-mativa ha bisogno di lunga e paziente gestazione, capii la lezione ed accettai l’incarico.

In buona sostanza, a me è parso che non sempre la sensibilità umana e l’acume sociale di Mons. To-disco abbiano avuto attento ascolto ed adeguato se-guito dentro e fuori gli ambienti della Chiesa che è in Brindisi: un’annotazione che dovevo per gratitu-dine, anche in considerazione del dono fattomi con l’invito a partecipare al Convegno nazionale di Pa-lermo nel novembre 1995: un’esperienza che resta, nonostante il passare degli anni, tra le più coinvol-genti della mia vita

Domenico Casale

Mons. Settimio Todisco Vescovo da 40 anni “corde ed fide” protagonista della storia

L’impegno sociale e politico dei cattolici “adulti nella fede”

Spiritualità presbiterale e vita consacrata Don Settimio, sacerdote da

sessantatre anni e vescovo da quaranta, è tra noi una

presenza paterna, che accresce la ricchezza del dono della sacramen-talità presbiterale nell’anno sacer-dotale. L’anno donatoci da papa Be-nedetto XVI per marcare l’identità di fede e di grazia dell’essere «sacer-dote per sempre» nell’estasi di toc-care il cuore di Cristo nel pane che consacriamo e nello stesso istante sentire che Egli tocca il nostro cuo-re. E in questo itinerario del cuore del prete nel cuore di Cristo vedo la linea direzionale del ministero del vescovo Settimio verso i seminari-sti, i sacerdoti e i consacrati. Nobile sentire del pastore nell’accompa-gnare la comunità presbiterale nel servizio di guida del popolo di Dio, coinvolgendo i «chiamati» al disce-polato vero e proprio.

Ha fortemente privilegiato la spi-ritualità, non solo nel Seminario di Ostuni ristrutturato, ma anche con i “teologi” a Molfetta, Siena, Anagni. Ha dato inizio, dopo gli esercizi spi-rituali nella Casa S. Paolo di Marti-na Franca da ospiti, ai corsi dioce-sani nell’Oasi Madonna della Nova, finalmente in casa nostra.

Ha privilegiato l’accorrere premu-roso accanto ai sacerdoti infermi o anziani e la vicinanza ai confratelli per prevenire il rischio della solitu-dine del prete. A tal fine ha caldeg-giato la vita comunitaria dei sacer-doti come antidoto alla difficoltà del cammino solitario nell’espe-rienza pastorale e non sono manca-te le esperienze realizzate in alcune parrocchie. In tal senso consigliava

ai sacerdoti di riservarsi un giorno della settimana dedicato alla vita in-teriore, per crescere nell’intimità di Cristo.

Nell’attenzione continua alle vo-cazioni si rifletteva la lunga e illu-minata esperienza di Rettore del Se-minario diocesano, che congiunta al solerte servizio di Vicario generale, ha avuto felice coronamento nel carisma dell’episcopato, offerto in dono alla nostra comunità ecclesia-le. Contestualmente, sulla scia della spiritualità del clero, ha promosso la vita consacrata e la Chiesa particola-re si è arricchita dell’Ordine dei Car-melitani Scalzi, della Fraternità mo-nastica di Bose e dei Servi del Cuore Immacolato di Maria, dei Missionari Ardorini, delle Suore Dorotee, delle Suore Missionarie dell’Incarnazione.

Non intendo dare valenza biogra-fica o cronachistica a questo breve gesto di ammirata vicinanza nella sua ricorrenza giubilare, pur avendo condiviso per oltre tre lustri l’ufficio di suo primo collaboratore. L’impe-gno apostolico dell’Arcivescovo To-disco si riflette nella metafora della Sentinella che, con occhi aperti e an-cor più a cuore aperto, veglia nell’at-tesa del mattino, foriero di luce e di speranza per edificare una comunità in comunione di fraternità sacerdo-tale, guida e modello nel cammino di maturazione di un laicato adulto nella fede, sempre alimentato dagli interventi magisteriali delle annua-li Linee Pastorali. Alcune luci che splendono sull’evento giubilare. Auguri carichi di affetto e di ricordo nella preghiera.

Angelo Catarozzolo

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Nel secondo incontro di formazione per le famiglie tenutosi il 24 gennaio scorso, don Giuseppe Satriano ci ha

dapprima invitato ad assistere ad una parte del film “Non è mai troppo tardi” (una frase che pronunciata dal protagonista e riferita ad un altro personaggio potrebbe sintetizza-re il film: “Quando è morto i suoi occhi erano chiusi, ma il suo cuore era aperto”).

Dopo, ci ha guidato mediante delle slide, ad una riflessione sulla sofferenza e sulla re-lazione tra il malato e gli altri.

L’impatto con la sofferenza è drammatico. Oggi ci si domanda se la sofferenza abbia un senso, e la risposta è negativa. La sofferenza è sempre combattuta da Dio, non desidera-ta da Lui. Che cosa è allora la sofferenza? E’ la conseguenza di un disordine che la vita giustifica come una realtà di peccato. Se-condo la Bibbia fa capolino con le scelte fat-te che si manifestano con l’interruzione di un rapporto con se stesso, con l’ingresso in una terra straniera, che è come un deserto. Si fa esperienza della solitudine, del dolore, della incomunicabilità. L’uomo attribuisce a Dio il compito di voler orientare la vita me-diante la sofferenza. Se mi comporto male mi fa soffrire...e quindi: “che male ti ho fatto per farmi soffrire?” Secondo gli esseri uma-ni solo chi pecca dovrebbe soffrire, questa è l’immagine della nostra cultura. Non è così. Quale è allora l’immagine vera della soffe-renza? Quella della compagnia, che San Pa-olo traccia nella lettera ai Filippesi: “Abbia-te gli stessi sentimenti che furono in Gesù Cristo, il quale pur essendo di natura divina non considerò un tesoro geloso la sua ugua-glianza con Dio, ma spogliò se stesso, assu-mendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini... facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” Bisogna partire dalla morte di Gesù, dunque, pen-sare alla morte di Cristo in croce e pensare alla nostra morte, trovare un senso della vita che illumina la vita. La morte non è un tema politicamente corretto, essa dà fastidio, non se ne deve parlare perché disturba, fa paura all’uomo. Nella società dell’immagine e del benessere si tende alla rimozione e all’occul-tamento della morte, alla fuga dall’idea della propria morte, alla negazione ed al rifiuto, alla privatizzazione della morte. Si tende, quindi, all’allontanamento dei morenti dal-

la vita quotidiana, al rifiuto della sofferenza ed all’edonismo. Invece, sarebbe necessario accompagnare il dolore, attraversare il do-lore; per fare questo sarebbe necessario che qualcuno fosse vicino al malato. La morte viene ospedalizzata. In ospedale il malato viene curato e l’attenzione si concentra alla rimozione del male, ma il malato terminale è infelice perché gli manca la memoria della propria morte, sente che la morte è vicina e si sposta sul versante oggettivo e soggettivo, la terminalità è in parte fisica ed in parte psi-cologica. Esiste un dilemma tra il dovere di difendere la vita fisica e il dovere di allevia-re le sofferenze, salvaguardando la dignità umana. Il dilemma sembra sciogliersi se si riesce a distinguere tra cure proporzionate e cure sproporzionate. Agire o non agire? Il di-lemma si ripropone all’interno della pratica del contesto relazionale. Accompagnando il malato gli si restituisce dignità e vulnerabi-lità. Anche i compiti del medico cambiano. Tra inguaribilità ed incurabilità si deve pen-sare ad un approccio olistico, farsi carico del paziente anche quando sembra una partita persa e dargli le cure palliative, ossia quel-le cure che lo coprono come un mantello sia pure corto che avvolge, che copre. Ma la prima forma di cura palliativa e forse la più importante è rappresentata da una relazio-ne con il malato terminale. Prendersi cura dell’altro è considerare l’alterità come valo-re, prendersi cura è capacità di co-esistere, con-vivere, ri-costruire il proprio essere at-traverso comunione di relazioni. La malat-tia è drammatica epifania del limite umano. Mentre cerchiamo di esorcizzare questi li-miti, la vita ci invita a prenderli con noi, non prenderli è come vivere una vita utopica, la vita di una famiglia che non esiste nella re-altà ma solo nella pubblicità. La relazione e l’incontro diventano il luogo privilegiato dove ciascuno, partendo dal riconoscimen-to del proprio limite, riconosce la povertà dell’altro. Dunque, non dimentichiamo che” la persona del malato” va accompagnata in tutti i campi, medico, psicologico-affettivo, religioso. Per fare questo occorrono valide motivazioni, bisogna sapersi relazionare in modo appropriato con se stessi, relazionarsi con gli altri; ci vuole comprensione empatia, confronto, compassione.

Nicola De Santis

formazione� Tra Giornata per la Vita e altri momenti di educazione

Quel bene supremo da affermare ogni giorno

Per il terzo anno consecutivo la Consul-ta per il Laicato,in collaborazione con la Commissione famiglia e con il Mo-

vimento per la Vita, ha organizzato in Brindi-si la celebrazione della Giornata della Vita.

Nella serata del 7 febbraio scorso il teatro della Parrocchia san Vito ha ospitato un folto ed attento pubblico, che ha assistito alla pro-iezione, in anteprima assoluta sul territorio brindisino, del film “Bella”, del regista Eduar-do Verastegui, messicano.

Il film è stato prodotto circa due anni fa dal-la Metanoia Films (Metanoia, in greco, vuol dire,significativamente, cambio di mentalità) ma è giunto in Italia solo il 26 gennaio 2010, distribuito in circa mille sale nazionali,nelle città più importanti, all’interno di un circuito comunque caratterizzato, quello dell’ACEC (esercenti cattolici cinema).

Questo perché le logiche cinematografiche, che sono quelle di qualsiasi industria, orien-tate solo al profitto, hanno sconsigliato la vi-sione al grande pubblico.

Il film narra una storia semplice, quella di una giovane che rimane incinta di un uomo che non ama (e che non ama lei), è stata da poco licenziata, è sostanzialmente priva di una famiglia e la disperazione la induce a meditare di rinunziare al figlio che porta in grembo. Un suo collega, interpretato dallo stesso regista-attore, la sostiene nel momen-to della sofferenza e del dubbio, tralascia il suo lavoro per stare vicino alla donna finché non la convince ad accettare la vita nascen-

te. Il protagonista, al contrario della donna, proviene da una solida famiglia messicana di provata fede, in cui i valori dell’accetta-zione e della solidarietà sono largamente praticati (un suo fratello è stato adottato). In sostanza,il film lancia un preciso messag-gio: con l’aiuto, la comprensione, l’assenza di pregiudizi, la solidarietà umana, tutti i pro-blemi si superano e l’aborto può essere evi-tato. Ma perché questo accada è necessario avere un’educazione alla condivisione, che solo la famiglia può dare (magari in sinergia con la scuola).

Al termine della proiezione si è svolto un breve ma ricco e significativo dibattito.

La serata è stata degnamente conclusa dall’intervento di Padre Arcivescovo, che ha evidenziato come la trama del film ben si iscrivesse all’interno del messaggio del Con-siglio Permanente della CEI, che quest’anno fa esplicito riferimento alla crisi economica come fattore che può rendere più difficile ac-cogliere la vita. Ma poiché il benessere eco-nomico è solo un mezzo ma non un fine, su tutto prevale la ricchezza di vita, l’umanità che si apre all’altro, la consapevolezza che la vita è degna di essere vissuta anche in situa-zioni di povertà e sofferenza.

Un coro di bambini del catechismo par-rocchiale, magistralmente diretti dalle loro maestre, ha ulteriormente allietato la serata, contribuendo a sottolineare la speranza di vita che promana dalla fanciullezza.

Salvatore Amorella

“I diritti dell’infanzia”. Questo il tema della XIX

assemblea plenaria del Pon-tificio Consiglio per la fami-glia, riunitosi intorno al tema dei diritti dell’infanzia, nel XX anniversario della Convenzione interna-zionale sulle misure a tutela del bambino, adottata dalle Nazioni Unite il 20 novem-bre 1989. Il Papa ha ricevuto in udienza, l’8 febbraio, i partecipanti ai lavori rivolgendo loro un discorso inaugurale, nel quale ha richiamato alcuni temi centrali nella rifles-sione odierna sulla famiglia.Promuovere il vero bene della famiglia. I fanciulli, ha detto Benedetto XVI, «vogliono essere amati da una madre e da un padre che si amano, ed hanno bisogno di abita-re, crescere e vivere insieme con ambedue i genitori, perché la figura materna e pater-na sono complementari nell’educazione dei figli e nella costruzione della loro persona-lità e della loro identità». Per il Papa, «è im-portante che si faccia il possibile per farli crescere in una famiglia unita e stabile». Benedetto XVI ha quindi aggiunto che «un ambiente familiare non sereno, la separa-zione con il divorzio non sono senza con-seguenze per i bambini, mentre sostenere la famiglia e promuovere il suo vero bene, i

suoi diritti, la sua unità e stabilità è il modo migliore per tutelare i diritti e le autentiche esigenze dei minori». Una risorsa per la Chiesa e la società. Dopo aver ricordato il VI incontro mondiale delle famiglie celebrato a Città del Messico nel 2009, il Papa ha parlato del prossimo appuntamento costituito dal VII incontro mondiale delle famiglie, in programma a Milano nel 2012. Ha quindi fatto riferimen-to ad alcune iniziative del Pontificio Consi-glio per la famiglia, tra cui il progetto “La famiglia soggetto di evangelizzazione” con cui – ha detto – «si vuole predisporre una raccolta, a livello mondiale, di valide espe-rienze nei diversi ambiti della pastorale familiare, perché servano di ispirazione ed incoraggiamento per nuove iniziative». Ha richiamato anche un altro progetto, deno-minato “La famiglia risorsa per la società”, «con cui si intende porre in evidenza presso l’opinione pubblica i benefici che la famiglia reca alla società, alla sua coesione e al suo sviluppo». Parlando poi della preparazione

al matrimonio, «più che mai necessaria ai giorni nostri», ha citato la redazione di un “Vademecum” a cura del dicastero, in cui si delineeranno «tre tappe dell’itinerario per la formazione e la risposta alla vocazione coniugale». Tali tappe sono una “prepara-zione remota”, che – ha detto – «coinvolge la famiglia, la parrocchia e la scuola, luoghi nei quali si viene educati a comprendere la vita come vocazione all’amore”, nelle “mo-dalità del matrimonio e della verginità per il Regno dei Cieli».Diritti non rispettati. La seconda tappa della preparazione al matrimonio è quella che papa Benedetto XVI ha definito “pros-sima” da configurarsi «come un itinerario di fede e di vita cristiana» che «preveda gli interventi del sacerdote e di vari esperti, come pure… di qualche coppia esemplare di sposi cristiani». Infine il Papa ha citato la preparazione «immediata, che ha luogo in prossimità del matrimonio», parlando di «catechesi sul Rito del matrimonio», di riti-ro spirituale, di cura perché la celebrazio-

ne sia percepita «come un dono per tutta la Chiesa». A proposito del tema generale dell’assemblea plenaria, Benedetto XVI ha richiamato il fatto che «la Chiesa, lungo i secoli, sull’esempio di Cristo, ha promosso la tutela della dignità e dei diritti dei mino-ri e, in molti modi, si è presa cura di essi. Purtroppo – ha aggiunto – in diversi casi, alcuni dei suoi membri, agendo in contra-sto con questo impegno, hanno violato tali diritti: un comportamento che la Chiesa non manca e non mancherà di deplorare e di condannare». Circa la Convenzione sui diritti dell’infanzia, ha poi ricordato che «è stata accolta con favore dalla Santa Sede, in quanto contiene enunciati positivi circa l’adozione, le cure sanitarie, l’educazione, la tutela dei disabili e la protezione dei pic-coli contro la violenza, l’abbandono e lo sfruttamento sessuale e lavorativo».

rifle�ssioni Il Papa al Pontificio Consiglio per la Famiglia

Figli, risorsa per la Chiesa e la società

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Speciale Mese della Pace Acr 1715 febbraio 2010

L e nostre educatrici ci hanno parlato, come ogni anno, dell’arrivo della festa della Pace, celebrata il 31 gen-

naio e che aveva come tema il messaggio del Papa per la Pace: “Se vuoi coltivare la pace custodisci il creato”. Visto che il nostro slogan di quest’anno è “SIAMO IN ONDA”, prima della festa sono venuti dei ragazzi ad in-tervistarci per Radio Frate Sole e noi abbiamo cercato di spiegare quello che pensiamo sulla pace. Tutti siamo stati d’ accordo nel dire che la pace è molto importante e di-pende da ognuno di noi. Chi vuole la pace deve cercare di non litigare, di stare bene con gli altri, avere rispetto del-le persone, anche se diverse da noi, e anche della natura e delle cose che ci circondano.

Tutti noi possiamo lavorare ogni giorno per la Pace an-che se non comandiamo Stati o persone.

Finalmente è arrivato il giorno della festa. La mattina ci siamo incontrati tutti noi ragazzi e le nostre educatrici sul piazzale della nostra parrocchia e da lì siamo andati in villa dove ci dovevamo incontrare con gli altri. Men-tre camminavamo, abbiamo cantato e gridato il nostro inno per far sentire alle altre persone che passavamo di lì. Quando siamo arrivati in villa ci siamo presentati con i ragazzi delle altre parrocchie e insieme abbiamo canta-to, giocato e andavamo in onda “in collegamento diretto” con la Radio Frate Sole.

Dopo abbiamo fatto un corteo per andare alla chiesa di Mater Domini, cantando ancora a squarciagola il nostro inno. Quando siamo arrivati eravamo tutti molto stanchi ma contenti ed abbiamo concluso la festa con la celebra-zione della Messa. La Messa è stata animata da tutti noi ragazzi dell’ACR: abbiamo cantato, letto le preghiere e portato le offerte all’ altare. E’ bello quando, come ACR, possiamo trascorrere un po’ di tempo tutti insieme, non solo con la propria comunità ma anche con le altre par-rocchie del paese. Ed ancora di più, quando con una festa cerchiamo di imparare come si può costruire un mondo migliore nella pace e nell’ Amore.

Lorenzo DellimauriGruppo Giramondo, Mater Domini Mesagne

Siamo in onda

Gennaio è per i cattolici il mese della Pace e tante sono le ini-ziative proposte nelle varie dio-

cesi. Il 28 gennaio scorso si è tenuto a Ostuni, presso la Biblioteca Comunale, un importante incontro pubblico sul tema della 43ª Giornata Mondiale della Pace: “Se vuoi costruire la Pace, custo-disci il creato”, in cui è intervenuto in qualità di relatore il Prof. Luigi Fusco Girard, ordinario di Economia ed Esti-mo Ambientale presso l’Università di Napoli e già Presidente Nazionale del MEIC. L’incontro è stato promosso dal Centro di Cultura “Donato Cirignola” in collaborazione con le associazio-ni MEIC, ACR, AIMC, UCIIM, AIFO, la Consulta per la Pastorale Giovanile, l’Unitre, la Biblioteca Diocesana e ha ricevuto una ampia adesione di pubbli-co, fra cui tanti giovani.

Generale è stato l’apprezzamento sia per i contenuti che per lo stile del-la conversazione di Fusco Girard che, da tempo, è impegnato nella ricerca di una nuova via per coniugare economia, ecologia, giustizia e pace. Impegno che

è emerso sin dall’inizio della conferen-za del professore, quando ha subito precisato che il concetto di sviluppo umano integrale (che comprende an-che quello di sviluppo sostenibile), può essere inserito fra i contenuti essenziali del messaggio evangelico e del magi-stero della Chiesa (dalla Populorum Progressio alla Caritas in Veritate).

Il relatore ha quindi sottolineato quali sono i principi su cui si deve basare lo sviluppo: dignità della persona; prio-rità dell’essere sull’avere; relazionalità; bene comune come bussola; creatività; inclusione; unità fra umanità e creazio-ne. C’è bisogno di una nuova consape-volezza, per cui sono senza dubbio ne-cessarie tutte quelle iniziative virtuose che già vengono portate avanti in varie città del mondo; ma è fondamentale anche cambiare i paradigmi cultura-li e un nuovo modello di sviluppo, in modo da rendere più “resilienti” i si-stemi complessi (resilienza culturale). Un modello di sviluppo poggiato sulle ‘4R’: risparmio – recupero – rigenera-zione – rinnovabili; prendendo atto

che il sistema capitalistico che ha prodotto l’economia globa-lizzata ha esaltato concorrenza e competizione nel produrre e consumare di tutto, a scapito dei legami sociali e delle risorse

del Pianeta.Dopo l’ampia relazione del prof. Gi-

rard, l’incontro è stato arricchito dalla brillante comunicazione del dott. Gian-franco Ciola (naturalista) che, suppor-tato da immagini e video, ha mostrato ai presenti alcune originali iniziative a salvaguardia dell’ambiente portate avanti nel nostro territorio: dal Parco delle Dune costiere (area protetta) di Lido Morelli con annesso impianto di acquacoltura biologica, alle camminate su percorsi in cui si mescolano natura, storia e tradizioni.

Fra gli interventi successivi si segnala-no in particolare quelli di alcuni giova-ni: la responsabile diocesana dell’ACR, Cecilia Farina, che ha illustrato le ini-ziative fatte con i ragazzi nella “settima-na della pace” e il giovane Luca Dell’Atti che, a nome del gruppo di studenti del Liceo Scientifico, ha illustrato il proget-to (premiato a livello nazionale) relativo al disegno di legge approdato in Senato su “Incentivi alle politiche ambientali per gli istituti scolastici”.

Salvatore Triarico

convegno Incontro con il prof. Fusco Girard

Comprendere per agire

È l’urlo dei ragazzi in festa per la diretta di Radio Frate Sole a lasciare il segno del Mese della Pace 2010: “Carica la

Pace” non è solo lo slogan lanciato dalle di-verse piazze collegate durante la festa, ma è anche la parola d’ordine di questa tappa così colorata dell’Iniziativa Annuale targata ACR.

Il Mese della Pace rappresenta uno degli appuntamenti più significativi dell’impianto educativo dell’ACR. La missione si coniuga con la testimonianza, che per i ragazzi signi-fica portare a chi è vicino, e anche a chi vici-no non è, la bellezza dell’amore incondizio-nato di Gesù; testimoniare significa anche

tradurre in gesti concreti l’insegnamento a spendersi per l’altro, appreso dai ragazzi nel tempo di catechesi.

Per dare concretezza a questo itinerario, il Centro Diocesano ha suggerito alle associa-zioni parrocchiali di vivere intensamente una Settimana della Pace. L’invito è stato accolto con fervore, in sinergia con altre associazioni interessate alle tematiche della Pace e dando vita a una serie di iniziative che hanno aperto gli occhi della cittadinan-za sulla concretezza del tema della pace e del rispetto per l’ambiente. L’evento clou della settimana è stato la Festa della Pace

del 31 gennaio. Una festa in cui gli oltre 2000 ragazzi dell’Associazione, insieme ai giovani e gli adulti, si sono impegnati a eliminare le interferenze che disturbano la pace (guerre, distruzione del creato, scarsa attenzione all’altro, disagi familiari). Due sono state le particolarità di questa festa: il Messaggio dei ragazzi a tutta la cittadinanza, consegnato simbolicamente ai Sindaci delle città, che ha espresso il loro punto di vista autenti-co e diretto sulle tante problematiche che caratterizzano le nostre cittadine. Inoltre i ragazzi si sono anche resi protagonisti e cavalcatori dell’onda mediatica attraverso

il collegamento in diretta con Radio Frate Sole. Questa collaborazione è nata proprio in occasione del Mese della Pace e ha reso i ragazzi veri annunciatori della pace nella striscia giornaliera gestita dalle diverse realtà associative nel corso della Settimana. La gioia derivante da questo cammino fa dire a tutti, piccoli e grandi, quanto sia bello impegnarsi insieme per costruire qualcosa di buono. Un impegno che certamente non si esaurisce allo scadere del Mese della Pace, ma continuerà a coinvolgere tutta l’associa-zione per una presenza viva sul territorio.

Matteo Sabato

Carica la Pace. Impegno e riflessione per i ragazzi dell’ACR

Scrive Benedetto XVI nel recente messaggio per la Pace: “I dove-ri verso l’ambiente derivano da

quelli verso la persona considerata in se stessa e in relazione agli altri”. È come se il Papa parafrasasse il comandamen-to evangelico: “fai al Creato quello che vorresti fosse fatto a te”, richiamandoci ad un legame strettissimo tra l’uomo e la terra. La Settimana della Pace 2010, per noi dell’AC di San Pancrazio Sa-lentino, ha declinato questo messaggio nelle parole “ambiente”, “comunione” e “giustizia”.

Il calendario ha promosso due gior-nate impegnative. Sabato 16 Gennaio presso la Cantina Cooperativa (luogo simbolo del legame con l’ambiente), una collaborazione con Retinopera ci ha permesso di fare il punto sulla “que-

stione ambientale” e quindi sui pro e i contro delle nuove forme di energia rinnovabile. Nella seconda parte l’in-tervento della pedagogista ha delineato i “nuovi stili di vita” che dovrebbero ca-ratterizzare le scelte quotidiane. I ragaz-zi dell’ACR hanno aperto il convegno presentando il lavoro fatto precedente-mente nei gruppi: il “mondo-colorato” così come Dio ce lo ha consegnato e il “mondo-grigio” così come l’uomo lo sta rendendo. La loro riflessione è poi continuata sugli elementi del cosmo – aria, terra, piante, acqua – individuan-do per ciascuno caratteristiche-utilità, sfruttamento e impegni di pace. Al con-vegno ha partecipato il Presidente della provincia di Brindisi Massimo Ferrare-se che ha sottolineato l’importanza del tema soprattutto per un territorio che

della terra fa la sua identità. Domenica 31 gennaio la riflessione si

è fatta festa e preghiera di Pace: Festa in Piazza con i ragazzi dell’ACR, preghiera durante la celebrazione Eucaristica con i gruppi, movimenti e associazioni cit-tadine. Sì, perché una delle parole che il Papa acutamente ha sottolineato nel suo messaggio è “comunione”: comune cammino, comune responsabilità, bene comune e poi sforzo, crescita, ricono-scimento, impegno. Ritornano le parole profetiche di don Tonino bello: “da soli non si cammina più”. Chiedere insieme la Pace nelle relazioni, col creato e con Dio è l’espressione più bella della fami-glia Chiesa.

Francesco Carrozzo

Le iniziative parrocchiali a San Pancrazio

Questo mese della pace è stato più intenso degli altri: più intense le emozioni, più intensa la comprensione

del messaggio, più sentito il tema. Sì, perché la radio è qualcosa di molto vicino alla realtà

di noi ragazzi 12/14. La radio è attrazione, invito all’ascol-to... calza a pennello con il Mese della Pace!

Sintonizzarsi sulla giusta frequenza spesso non é facile. Bisogna conoscere se stessi e l’altro, con le sue e nostre interferenze, limiti, pregi. Apprezzare ciò che l’altro ha da dare e prestarci al suo ascolto.

E allora...mettiamoci in ascolto dei ragazzi di Betlemme, che vorrebbero un posto dove poter crescere insieme! Il progetto di solidarietà che l’AC ha pensato per quest’anno è proprio quello di costruire un auditorium!

I benefici che saranno tratti da ciò sono molteplici: aiu-teranno i bambini a stare insieme e fare attività extrasco-lastiche (senza differenze di religioni!), mentre gli adulti ne trarranno dei posti di lavoro.

Parlavamo di radio, dunque. Quante volte ci capita di sentire in auto una canzone che amiamo? Subito cor-riamo a scaricarla e salvarla, per esempio in una pen-drive... E se quella pen-drive potesse servire al progetto Betlemme? Sarebbe bello avere qualcosa di utile a noi e agli altri... Beh, ora si può: infatti, con il guadagno della vendita di alcune penne USB, finanziamo il progetto per ristrutturare la CAB di Betlemme... Bello, vero?! Allora fai anche tu come noi! Carica la Pace!!!

Alessandro e Chiara parrocchia SS. Giovanni e Irene, Veglie

La voce dei ragazzi

Quando lo scorso settembre il mio parroco mi ha chiesto di mettere a disposizione della

comunità la mia esperienza di edu-catrice ACR, l’entusiasmo per questa “chiamata” ha travolto me e mia sorel-la, tanto che ci siamo immediatamente buttate a capofitto in questa nuova av-ventura, piene di idee e voglia di fare.

Abbiamo iniziato con un piccolo grup-po di bambini di 7 anni, le cui famiglie ci hanno subito affiancate ed appoggia-te e con le quali abbiamo vissuto inten-samente la prima fase del cammino.

In occasione del Mese della Pace ci siamo ritrovati insieme agli altri educa-tori di Brindisi per organizzare insieme il cammino in vista della Festa. Que-

sto ci ha onorato e riempito il cuore di gioia! Abbiamo più volte incontrato gli educatori delle altre Parrocchie per or-ganizzare la festa seguendo le linee che la diocesi ci aveva indicato, ma soprat-tutto scambiandoci opinioni e proposte per far vivere questa esperienza ai ra-gazzi in maniera forte e unica.

La collaborazione e la complicità nata tra noi educatori ci ha fatto capi-re quanto sia importante e prolifico il lavoro di squadra e ci ha fatto sentire membri di una grande famiglia.

I nostri accierrini hanno vissuto in-tensamente il fervore dei preparativi, e a dire il vero anche noi ci siamo sentite emozionate e trepidanti per la buona riuscita del nostro lavoro.

Particolarmente emozionante è stato l’incontro con Suor Giovanna, Vincen-ziane, intervistata per la trasmissio-ne dell’ACR su Radio Frate Sole, la cui testimonianza ci ha arricchito e ci ha fatto capire che la vera Pace va cercata prima in noi stessi e poi nel servizio e nell’amore verso gli altri.

Il giorno della festa si è svolto nella gioia di tutti i partecipanti, educatori e ragazzi, facendo conoscere un volto nuovo della Chiesa alla nostra Parroc-chia. Con il canto “ SIAMO IN ONDA!” gli oltre 100 ragazzi hanno portato una ventata di freschezza e il loro messag-gio di Pace è rimasto scolpito nel cuore di tutti..

Mariella Petrosino

Le iniziative parrocchiali a San Giustino

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Parrocchie18 15 febbraio 2010

MESAGNE Iniziativa della Parrocchia S.Antonio

Un’intera giornata all’insegna della gioia

Domenica 17 genna-io 2010 la Comunità Parrocchiale S. An-

tonio di Mesagne, guidata da Padre Angelo Muri, ha festeggiato la “Giornata della Gioia”.Questa giornata, che si in-serisce tra le iniziative per il mese della Pace, è stata pre-parata e vissuta con la gio-ia della fede in Cristo e con l’amore di comunicare Cristo agli altri e, in particolare, ai nostri fratelli diversabili.

La “giornata della Gioia” è iniziata con la celebrazione della Santa Messa, attor-no a Cristo, tutti bisognosi di ascoltarlo, di riceverlo nell’eucarestia, di celebrare

la vera comunione avendo Gesù centro del cuore uma-no.

Dopo la Santa Messa, circa 200 persone, si sono ritrova-te presso la sala ricevimen-ti del ristorante Carbrun di Carovigno, per accogliere, graditi ospiti, 21 diversabili, a cui è dedicata questa gior-nata, e condividere con essi, tutti insieme, “la gioia di sta-re insieme”.

Questo desiderio di aprir-si all’accoglienza dell’altro attraverso un momento di fraternità si concretizza ap-punto nella “Giornata della Gioia”. Canti, balli e giochi hanno fatto sì che la giorna-ta si svolgesse in un clima di

serena armonia e felicità. «La gioia c’è, se l’amore mi

spinge a cercare gli altri e ad arricchirli della mia sereni-tà» ha detto Padre Angelo Muri durante un momento di riflessione.

Lo sforzo organizzativo per preparare questa iniziativa, che si ripete ormai da più di 20 anni e che vede coinvol-ta l’intera comunità parroc-chiale, è stato ripagato pro-prio dalla felicità nel vedere, sui volti dei nostri fratelli meno fortunati, quella gioia che ha arricchito il cuore di tutti.

Maurizio Carmelo Iaia

Forte interesse e partecipazione ha riscosso fra i fedeli del rione Minnuta il Triduo celebrato dal parroco del-la comunità di San Leucio, don Claudio Macchitella,

in onore della festa del santo patrono. Tre giornate, quelle del 7, 8 e 9 gennaio dedicate alla preghiera, alla meditazio-ne, alla festa. L’evento è stato reso straordinario il 7 gennaio con la splendida presenza nella nostra chiesa, della statua di San Leucio, assieme ad una reliquia dello stesso (l’osso di un braccio), gentilmente concessi dal Capitolo Cattedrale di Brindisi.

San Leucio in mezzo a noi è stata presenza viva e imponen-te, capace di attirarci in unità, comunione e speranza.

Le celebrazioni del 7, 8 e 9 gennaio sono state presiedute dal segretario dell’Arcivescovo. Don Giuseppe Grassi ha pia-cevolmente condotto la comunità all’ascolto, arricchendo le nostre conoscenze. Ci ha reso più chiara la figura di San Leu-cio. È stato una guida utile per la nostra riflessione.

Il 10 gennaio non poteva mancare l’Arcivescovo il quale ha presieduto la celebrazione rimarcando l’importanza che ha avuto San Leucio primo vescovo nella nostra terra fondatore della Chiesa brindisina. La presenza del Vescovo ci ha fatto vivere la giornata con un’intensità maggiore, ci siamo sentiti “importanti insieme” e parte viva di comunità.

Dopo la celebrazione è seguita la processione col santo portato in spalle, dall’attuale chiesa, percorrendo tutte le zone della Minnuta, fino al terreno della “speranza”dove at-tualmente è eretta la croce di legno, e dove sorgerà la nostra sede parrocchiale. Dal momento della conoscenza a quello della meditazione, al momento del raccoglimento e del “sen-tirsi parte del tutto”, fino al momento della commozione. Su

quello spoglio terreno, dinanzi a quella semplice croce di le-gno (che attira e accoglie gli sguardi di chi passa di lì casual-mente con le auto; per noi simbolo che ci siamo, simbolo di speranza) e dinanzi alla bellissima statua del santo sostenuta dal corteo, centinaia i fedeli, anche tanti curiosi. Don Clau-

dio ha benedetto per il secondo anno consecutivo quel luo-go.

Non era difficile cogliere negli occhi di ciascuno una luce particolare, la stessa per tutti, e quello era il momento del-la’anima.

I fuochi pirotecnici hanno colorato quel cielo sulle nostre teste e quel terreno spoglio sotto i nostri piedi. La cadenza dei tamburi ha riacceso la forza, il nostro coraggio. È come essersi risvegliati, con la consapevolezza della nostra condi-zione umana. I giochi degli sbandieratori del gruppo “Rione Castello” di Carovigno ci hanno divertiti.

La processione non si è sciolta subito. Il corteo sempre più numeroso è tornato in chiesa dove abbiamo assistito alla benedizione del pane che voleva ricordarci il pane di quella Parola di vita che per la prima volta il Santo ha fatto risuona-re in questa nostra Terra brindisina.

Ai numerosi bambini presenti il parroco, dopo averli bene-detti, li ha voluti affidare alla protezione del Santo Patrono imponendo al loro collo l’abitino di San Leucio, un segno che ricorda quell’Abito che è Cristo con cui siamo stati rivestiti il giorno del Santo Battesimo.

Conclusi i festeggiamenti in Parrocchia, l’11 gennaio ci sia-mo ritrovati attorno alla cattedra di San Leucio con il Pastore, che oggi siede su quella cattedra: Mons. Rocco Talucci con i Canonici ancora una volta per onorare il Santo Patrono del-la Diocesi e per esprimere la comunione ecclesiale intorno al successore degli apostoli. Il tutto è stato un bel modo di festeggiare ritornando alle nostre case più ricchi di prima e alimentati nella speranza.

Marianna Guadalupi

Il gruppo dei partecipanti con il Parroco Padre Angelo Muri

BriNdiSi La Parrocchia di San Leucio e il quartiere Minnuta in festa per il Santo patrono

La viva memoria del nostro protovescovo

La Famiglia del Cuore Immacolato di Maria, in occasione della memoria liturgica dei due piccoli Pastorelli di Fatima, i beati Francesco e Giacinta Marto, organizza per domenica 21 febbraio la “Festa dei Bambini” presso l’Opera N.S. di Fatima, sita in Ostuni. Nel pomeriggio, a partire dalle ore 16.00, si alterneranno giochi, canti e preghiere.

San Leucio

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Associazioni & Movimenti 1915 febbraio 2010

Il 22 gennaio 2010 il Convegno di Cultura “Maria Cristina di Savoia” di Brindisi ha realizzato, nel Salone di Rappresentanza

della Provincia di Brindisi, una conferenza sul tema”Emergenza educativa: ruolo della Famiglia e della Scuola” tema di gran rilie-vo affidato a relatori davvero eccezionali: la dr.ssa Marcella Reni , Notaio, Direttore Ge-nerale del Rinnovamento nello Spirito Santo e il Prof. Silvano Marseglia Presidente Inter-nazionale Associazione Europea Insegnanti (AEDE). Le conclusioni sono state dell’Arci-vescovo di Brindisi-Ostuni, Mons. Rocco Ta-lucci.

Dopo l’introduzione della dr.ssa Elide Cri-scuolo Carrino, Presidente del “Convegno”, che ha portato il benvenuto e il ringrazia-mento a tutti gli intervenuti, ha preso la pa-rola la dr.ssa Marcella Reni, che ha incantato letteralmente la platea con la sua vena nar-rativa autobiografica che individua il nucleo centrale nell’importanza della famiglia, ri-spettosa dei sentimenti di autoaffermazio-ne e di autoscelta dei figli, pur rimanendo sempre vigile e ferma nella sua posizione di depositaria del compito educativo. Ed è que-sta famiglia, sempre salda nei suoi principi morali e religiosi, che ha il riscontro positi-vo quando la relatrice, leggendo profonda delusione nello sguardo del padre per un consenso non condiviso, ha deciso di fare un percorso all’indietro per condividere le gio-ie di una famiglia che ricrea nella sua. Lì in-sieme al marito e ai tre figli una domenica al mese trovano spazio in un incontro “Family Day”diverse generazioni e qualche amico che non gode dello stesso clima sereno.

Al Prof. Silvano Marseglia è spettato il

compito di subentrare con leggi e doveri ad una conversazione molto accattivante, quale sa essere una testimonianza diretta.

Egli, già dirigente scolastico e presidente AEDE, vede nella scuola un elemento fonda-mentale di educazione, ma solo nella misura in cui è continuo e interlocutorio il rapporto con la famiglia del discente per capire, attra-verso la conoscenza dell’ambito familiare in cui lo stesso vive, l’eventuale disagio a rap-portarsi con gli altri o a registrare lo scarso interesse all’apprendimento.

Ma tutto ciò richiede ,oltre che una buona preparazione da parte del docente, anche e,forse, soprattutto, molta sensibilità e tanta disponibilità a trattare l’alunno non soltanto dal punto di vista didattico, ma insieme alla famiglia, o in sostituzione se questa se ne di-sinteressa, a formare il ragazzo per la vita. In sintesi avere disponibilità all’ascolto per far riaffiorare quello che di buono c’è nei ragaz-zi e risolvere problemi a volte più grandi di loro.

Mons. Talucci ha sottolineato come l’ini-ziativa del Convegno “Maria Cristina di Savoia” di Brindisi, affronta un tema che è all’attenzione della Chiesa, infatti il decennio che è appena cominciato (2010-2019) sarà dedicato all’approfondimento e allo studio delle cause dell’emergenza educativa che si sta avvertendo nel nostro vivere quotidiano, nonché alla ricerca di soluzioni che richiede-ranno l’impegno di tutti: Chiesa, istituzioni, associazioni, forze politiche e semplici citta-dini, perché l’educazione è un bene pubblico che riguarda tutti.

convegni di cultura� Presso il Palazzo Provinciale

Emergenza educativa, il ruolo di famiglia e scuola

Nell’ambito della Scuola Dioce-sana di Formazione al’Impe-gno Sociale e Politico, il prof.

Pietro Samperi, Presidente Nazionale UCITecnici , ha relazionato, lo scorso 16 gennaio, sul tema: “La città sostenibile: sviluppo del ter-ritorio e questione ambientale”.

Nel suo intervento il prof. Samperi ha rilevato coma la difesa dell’am-biente, legata all’inizio all’azione di associazioni serie nei confronti del paesaggio, dei beni storici e culturali, con significativi successi, è stata suc-cessivamente monopolizzata da alcu-ne forze politiche e strumentalizzata per costituire la base di una nuova ideologia.

Questa sorta di esclusiva della salva-guardia ambientale ha trovato presto una seria, quanto discreta, concor-renza nella Chiesa Cattolica, cui non è stato dato il necessario risalto nean-che all’interno della stessa Chiesa.

Con Giovanni Paolo II il rispetto e la cura dell’ambiente entrano come temi forti nella Dottrina Sociale della Chiesa, egli riferì sempre il rispetto per l’ambiente naturale allo sviluppo della persona, facendone una fonte di ispirazione per la sua cultura. Af-frontò il tema anche in una Enciclica (Sollicitudo Rei socialis), nella quale afferma “la maggior consapevolezza dei limiti delle risorse disponibili, la necessità di rispettarne l’integrità e i ritmi della natura e di tenerne conto nella programmazione dello sviluppo”.

Il prof. Samperi, concludeva l’in-tervento rilevando come in tutti i pronunciamenti dei Pontefici, si sia sempre evitata ogni forma di cata-strofismo, di terrorismo, di accusa,

ma predominino invece gli incorag-giamenti a operare con saggezza e prudenza, rivolti non a qualche parti-colare responsabile, ma a tutti gli uo-mini e donne.

Dopo alcuni interventi, l’Arcivesco-vo, presente dall’inizio all’incontro, ha portato i saluti finali.

La lezione del prof. Samperi, richia-ma le parole del Santo Padre all’ome-lia di Pentecoste 2009: “Quello che l’aria è per la vita biologica, lo è lo Spi-rito Santo per la vita spirituale; e come esiste un inquinamento atmosferico, che avvelena l’ambiente e gli esseri vi-venti, così esiste un inquinamento del cuore e dello spirito, che mortifica ed avvelena l’esistenza spirituale”.

Nella nostra città, sede della più grande centrale a carbone d’Europa, e perciò della più grande fonte di in-quinamento da CO2, tali parole meri-terebbero una seria riflessione ed un reale approfondimento.

Ancora, nel messaggio per la Gior-nata della Pace 2010, Benedetto XVI afferma: “Il degrado della natura è, in-fatti, strettamente connesso alla cultu-ra che modella la convivenza umana, per cui «quando l’ecologia umana è ri-spettata dentro la società, anche l’eco-logia ambientale ne trae beneficio»….I doveri verso l’ambiente derivano da quelli verso la persona considerata in se stessa e in relazione agli altri...”

Un aspetto, che merita di essere sot-tolineato, è il nesso che Benedetto XVI stabilisce tra le questioni ecolo-giche, propriamente dette, e la cosid-detta “ecologia umana”. Infatti Bene-detto XVI incoraggia l’educazione a una responsabilità ecologica, che si ponga come obiettivo principale la

salvaguardia di un’autentica “ecolo-gia umana”. Il nesso di Benedetto XVI rinvia alla questione antropologica, infatti tale prospettiva antropologica appare ancora più evidente quando il Pontefice afferma: “se il Magistero del-la chiesa esprime perplessità dinanzi a una concezione dell’ambiente ispira-ta all’ecocentrismo e al biocentrismo, lo fa perché tale concezione elimina la differenza ontologica e assiologica tra la persona umana e gli altri esseri viventi…Si dà adito, così, a un nuovo panteismo con accenti neopagani che fanno derivare dalla sola natura, inte-sa in senso puramente naturalistico, la salvezza per l’uomo”.

Nella sostanza, il Santo Padre, nel sottolineare il nesso strettissimo tra l’ecologia della natura e l’ecologia dell’uomo, se da un lato traccia la strada per “discernere” tra la salva-guardia del Creato e certo ambienta-lismo “etero-diretto”, dall’altro tocca un nervo scoperto di molto “cattoli-cesimo-adulto” che antepone acriti-camente le “marce-arcobaleno” alla Fede e, spesso privilegia il “fare la ca-rità” sulla Verità.

La questione ecologica diviene quin-di questione antropologica che, nel nostro cammino sinodale, diviene an-che pro-vocazione a riconoscere che non può esserci una vera “sostenibi-lità ambientale” se dimentichiamo di “sostenere” l’uomo fatto a immagine di Dio.

Forse questa è la principale “emer-genza educativa” che la nostra chiesa locale deve affrontare nel prossimo decennio.

Donato Caiulo

Sostenibilità ambientale e questione antropologica

Un incontro tra festa e profezia

Domenica 10 gennaio scorso ci siamo incontrati, noi giovani di Azione cat-

tolica di alcuni anni fa, per vivere insieme una giornata all’insegna dell’amicizia, della festa, della gratitudine e della fraternità.Da San Vito dei Normanni, Locorotondo, Carovigno, Cisternino e Ostuni, ci siamo ritrovati, tutti insieme con le nostre fami-glie, presso la chiesa di San Luigi intorno alla mensa della parola e del pane, fonda-mento della nostra giovinezza di allora e della vita familiare, professionale e sociale di ora.

Nell’omelia Don Franco Blasi ha sottoline-ato come da esperienze di fede forti e si-gnificative vissute da giovani scaturiscono, nella maggior parte dei casi, amicizie salde e durature nel tempo.

Dopo la Messa abbiamo vissuto alcune ore di serena e gioiosa convivialità accolti da un augurio speciale per il nuovo anno, quello di essere una “vetrata” con 365 co-lori che, illuminata dal di dentro dalla luce e dal fuoco dello Spirito, può far intravede-re in trasparenza il volto di DIO.

Quindi ci è stato consegnato un sacchet-tino, anch’esso con valore augurale: vivere quest’anno all’insegna del “dono “ da dare e da accogliere.

La logica del dono, però, ci chiede di co-niugare alcuni verbi: accorgersi dei doni

che riceviamo; accoglierli e custodirli dentro di noi; ringraziare per i doni rice-vuti; donare, anzi donarsi nella gratuità e con gioia; condividere storie e situazioni in un clima di fraternità che parte dal cuo-re e diventa stile di vita capace di dare la giusta dimensione alla vita familiare, socia-le, economica e politica.

E’ stato emozionante per ciascuno di noi ripercorrere gli anni dalla nostra adole-scenza ad oggi ricordando i campi-scuola vissuti a Villa S. Oronzo e gli esercizi spiri-tuali a Villa Specchia e scoprire quanta ca-rica di amicizia c’è ancora dentro di noi.

Seppure un po’ tutti provati dalle varie vicende della vita, abbiamo mantenuto la nostra vivacità e comunicativa e ci siamo proposti di incontrarci più frequentemente per rinsaldare il nostro rapporto di amici-zia e aprirci a nuove possibili realtà.

Questa esperienza ha in sé profezia e spe-ranza: è possibile essere sempre giovani nel cuore, guardarsi negli occhi con since-rità, attingere la forza e l’entusiasmo della vita all’unica sorgente dell’Amore, tenersi per mano e camminare verso tutti, atten-ti ai bisogni di ciascuno, specialmente dei piccoli e dei poveri, perché tutti siano mes-si in grado di sentirsi costruttori di pace e di speranza.

Maria Epifani e Franca Tanzarella

E’ stato presentato il 28 gennaio, presso il mu-

seo provinciale di Brindi-si, il “Rapporto Nazionale 2009 sulle condizioni ed il pensiero degli anziani, una scelta diversa”, realizzato da Ageing Society, Osservatorio della terza età in collabora-zione con la Provincia.

Si tratta di un documento utile a tracciare possibili sce-nari di approfondimento per nuove strategie di program-mazione sanitaria e sociale, uno strumento aggiornato sulle condizioni della popo-lazione anziana, un’analisi scientifica dei dati, dei pro-blemi e degli interventi da attuare.

«Oggi deve essere conside-rata anziana la persona in base alle aspettative di vita- ha detto il Presidente di Ageing Society Emilio Mor-tella- la Puglia è una regio-ne giovane perché ha solo il 18,3% di anziani rispetto al dato nazionale, ma è una Regione carente di strutture e di servizi destinati agli an-ziani disabili». Nel volume vengono considerati tutti gli aspetti della vita di una fa-scia della popolazione che in Italia aumenta sempre di più per il numero e per il peso che ha sui servizi sani-tari e sociali, senza contare

che l’allungamento della vita ha effetti anche sul lavoro, sulle condizioni abitative e sul turismo. «E’ un rapporto che mette a nudo la società che avremo nel nostro fu-turo», ha dichiarato il vice presidente della Provincia Francesco Mingolla. «Nella provincia di Brindisi ci sono delle condizioni che bisogna migliorare nel senso dell’as-sistenza che non può esse-re più ospedaliera ma deve andare sul territorio»- ha aggiunto Mingolla. «Si do-vrà puntare sul rapporto tra ospedale e territorio e quest’ultimo dovrà offrire forme di assistenza ai malati cronici”.

E’ necessaria, quindi, una strategia per fronteggiare il problema “invecchiamento” non solo nell’ambito sanita-rio e assistenziale ma in tut-ti gli altri settori. «In Puglia mancano Rsa, case di ripo-so, hospice - ha affermato il vice presidente della Provin-cia- e se pensiamo che nel 2050 gli anziani saranno il 35% di tutta la popolazione mondiale, dovremo pensare di migliorare oggi per doma-ni penso che le condizioni e la qualità della vita».

Daniela Negro

inda�gine A cura di Ageing Society e Provincia di Brindisi

Gli anziani oggi

Page 18: Mons. Talucci in Diocesi da 10 anni. Mons. Todisco Vescovo ... · legrini di lingua italiana, in particolare saluto i giovani guidati dal loro Arcive-scovo monsignor Rocco Talucci

Speciale immigrazione20 15 febbraio 2010 2115 febbraio 2010 Speciale immigrazione

Nel nostro territorio non esiste un’emergenza lega-ta al fenomeno dell’immigrazione. A chiarirlo è il dott. Domenico Cuttaia, dal 20 agosto 2008 Prefetto

della Provincia di Brindisi. E i motivi di questa “tranquil-lità”, a parere del rappresentante territoriale del governo, sono molteplici: «il numero degli stranieri presenti nelle nostre città non è particolarmente elevato date le scarse possibilità occupazionali; non si sono mai verificati episodi di razzismo e intolleranza data la secolare tradizione che fa dei brindisini un popolo accogliente e solidale; il fenomeno dell’immigrazione clandestina è tenuto sotto stretta sorve-glianza dalle forze dell’ordine grazie ad una puntuale, co-stante e capillare opera di controllo del territorio».

«Quando parliamo di immigrazione – tiene a precisare il dottor Cuttaia – occorre distinguere fra tre categorie di stra-nieri: ci sono immigrati perfettamente inseriti nel tessuto economico e sociale del territorio (1200 nella sola Brindisi, 4000 in tutta la Provincia), immigrati che, invece, si trovano in situazioni di provvisorietà (per esempio i richiedenti asi-lo) e, infine, immigrati che, entrati clandestinamente, sfug-gono ad attività di controllo non consentendo quindi una valutazione di carattere numerico. A proposito di quest’ul-timo aspetto – evidenzia il Prefetto – posso affermare, sulla scorta delle attività di controllo svolte dalla polizia, che il numero dei clandestini sia ridotto al minimo».

«La nostra attività – ci spiega ancora il dottor Cuttaia - si concentra soprattutto verso coloro che, pur entrati in Italia in maniera irregolare, provengono da Paesi in cui non sono rispettate le libertà fondamentali dell’essere umano: que-sti possono richiedere lo stato di rifugiato o l’asilo. Il nostro compito, attraverso un’apposita commissione che avvia un’istruttoria, è quello di valutare ogni singola situazione e di dare una risposta a questa gente. Poi ci occupiamo delle situazioni di irregolarità, di coloro cioè che non possono ri-manere sul territorio nazionale e che , dopo attività di iden-tificazione a volte non semplice, vengono espulsi. Anche nel trattare queste situazioni, sottolinea il Prefetto, teniamo presente il rispetto per la dignità umana.

Gli immigrati (quelli in situazione di provvisorietà e quel-li irregolari) vengono ospitati nel centro di accoglienza di Brindisi Restinco dove sono istituite due sezioni: il Cara (Centro per l’accertamento dei richiedenti asilo) nel quale gli ospiti, pur entro certe regole, hanno piena libertà di mo-vimento e il Cie (Centro di identificazione ed espulsione): in questo caso gli stranieri che non godono della libertà concessa ai primi, devono attendere solo di essere identi-ficati per poi essere espulsi. «Restinco – tiene e precisare il dottor Cuttaia - non è una struttura carceraria, ma solo un

luogo protetto dove gli immigrati, ciascuno secondo le pro-prie aspettative, vengono ospitati in attesa che siano com-pletate le procedure previste per la legge. Teniamo molto a salvaguardare la dignità delle persone».

A quali uffici si rivolgono gli immigrati per regolarizza-re la loro posizione?

«Presso la Prefettura è istituito un organismo preposto all’istruzione e al rilascio delle procedure autorizzative (sportello unico dell’immigrazione, ndr). È diretto dal vice prefetto Pietro Massone, ma si avvale anche di personale della Questura e della Direzione provinciale del lavoro e opera a stretto contatto con i sindacati, i patronati e le asso-ciazioni di volontariato. La finalità è anche quella di favori-re il ricongiungimento familiare. Non abbiamo arretrato di pratiche, il nostro scopo è garantire la massima celerità nel-le procedure di regolarizzazione e avviamento al lavoro».

Condivide l’affermazione secondo la quale “maggiore immigrazione corrisponde ad un aumento della crimi-nalità”?

«Quella è un’affermazione valida in linea di principio, per-ché la clandestinità fa sì che molti immigrati, per procac-ciarsi da vivere, o vengono sfruttati, oppure si danno alla criminalità. Sono le condizioni che li spingono ad essere criminali».

La Chiesa ha espresso il suo dissenso sull’introduzione nell’ordinamento del reato di clandestinità. Cosa pensa in proposito?

«È giusto che la Chiesa esprima le sue valutazioni che sono di carattere universale, ma compito di un governo che ope-ra su un piano territoriale è quello di evitare un ingresso non controllato e indiscriminato; è necessario selezionare gli ingressi in modo che chi entra possa avere la possibilità di lavorare e l’opportunità di sentirsi a pieno componente della comunità».

Quando sarà possibile dare una sistemazione migliore agli immigrati ospiti del dormitorio gestito dalla Cari-tas? Cosa hanno fatto, e cosa fanno ancora oggi le isti-tuzioni locali per aiutare questa gente?

«Mi risulta che la Regione stia per disporre i finanziamen-ti. Ritengo possibile, grazie alla sensibilità degli enti locali, addivenire al miglioramento di queste strutture pur consi-derando le loro difficoltà economiche. Dobbiamo dare un segnale di speranza a questa gente, favorendo al meglio l’integrazione di chi soggiorna regolarmente».

Cosa fanno le istituzioni in favore dei piccoli migranti?«La normativa prevede un diritto all’accoglienza, special-mente se si tratta di minori non accompagnati dai genitori. L’unico problema è che le spese per l’ospitalità dei picco-li sono a carico dei comuni e sappiamo delle difficoltà di questi ultimi».

Cosa significano, per il Prefetto di Brindisi, i termini ac-coglienza, solidarietà, integrazione?

Accoglienza significa, anche nel caso in cui sia finalizzata a provvedimenti negativi come l’espulsione, mantenere sem-pre il rispetto della dignità personale.Solidarietà deve tradursi in impulso e impegno etico da parte di tutti, perchè non può essere solo un espressione di carattere istituzionale, ma anche di tipo umano. Se c’è so-lidarietà i problemi di queste persone possono trovare più facile soluzione.Circa l’integrazione, occorre favorire la piena responsabi-lizzazione di queste persone perché si sentano parte della comunità nella quale vivono. Chi viene nel nostro territorio è comunque portatore di abitudini, tradizioni e culture non sempre conformi al nostro stile di vita: vedi, per esempio, la grande conquista della parità tra uomini e donne. Confido nel fatto che il nostro sistema scolastico sappia coinvolgere i bambini, i ragazzi e i giovani ad una educazione all’inte-grazione. Oltre che agire sul presente, bisogna proiettarsi nel futuro immediato».

Giovanni Morelli

intervista A colloquio col dottor Domenico Cuttaia, Prefetto di Brindisi

Occorre rispetto per la legge e per la dignità del migrante

G iovani con un passato alle spalle il più delle volte tragico, unico bagaglio verso un viaggio fatto di speranza, di deside-

ri, di aspettative chissà... per un futuro migliore. Sono tanti gli immigrati che giungono in Italia e che è facile incontrare anche tra le strade di Brin-disi e della Provincia. Accolti come fratelli senza distinzioni di razza, né di colore, né tantomeno di religione dalla nostra Caritas diocesana, al servi-zio non solo degli immigrati stranieri ma anche di numerose famiglie italiane in difficoltà. Fermen-to, da questo numero, approfondirà da più punti di vista il fenomeno dell’immigrazione.

Conosciamo meglio la realtà della nostra Ca-ritas diocesana grazie all’aiuto del direttore, Rino Romano, e quello di Adele Tundo, coordi-natrice dei servizi.

Direttore, quali sono i servizi che offre la Caritas?

«Abbiamo il servizio mensa a cui par-tecipano tutte le Caritas parrocchiali; il servizio accoglienza; il centro di alfabe-tizzazione; lo sportello dei legali per le pratiche degli ospiti e per il prestito del-la speranza; il Servizio Civile; il servizio guardaroba e il servizio doccia; inoltre vi è lo sportello medico per l’assistenza sanitaria; offriamo anche i pacchi per la distribuzione per tutti coloro che hanno bisogno, inviati anche alle parrocchie di appartenenza; abbiamo anche il Cen-tro d’ascolto che è il primo approccio in Caritas per capire le problematiche delle persone».

C’è un buon lavoro sinergico con le par-rocchie della diocesi e le istituzioni con le quali collaborate?

«C’è un ottimo rapporto con entrambe: grazie alla collaborazione di tutte le Ca-ritas parrocchiali provvediamo al pasto ogni giorno, pranzo e cena, attraverso le vicarie ci incontriamo con tutti nella provincia; ed anche con le istituzioni c’è sempre stato un buon dialogo, noi pun-tiamo sempre al massimo, perché voglia-mo che l’accoglienza sia al meglio, e nel tempo riceviamo, da parte delle istituzio-ni, la risposta. Ci sono sempre stati vici-ni, ci sostengono, anche la realizzazione del dormitorio nel 2003, in Via Provin-ciale per San Vito, è stato un segno del-la collaborazione che ci offrono. Soprat-tutto con la Questura abbiamo rapporti molto stretti per le pratiche burocratiche

degli immigrati».

Qual è l’asse cardine attorno a cui ruota tutta l’opera della Caritas diocesana?

«Ogni servizio è segno che vogliamo edu-care, quindi è molto importante la va-lenza pedagogica, per dare stimolo a chi contribuisce nel nostro operato, come le istituzioni, a farlo nel modo migliore.Il bene si fa ma lo si deve fare in tanti, dobbiamo coinvolgere tutti e navigare insieme verso la stessa direzione. La Ca-ritas diocesana è crocevia di animazione al senso della carità, educando a fare il bene. E infatti, è facile entrare in questo meccanismo che contagia tutti; lo vedia-mo giornalmente da quanti si rivolgono a noi venendo incontro a quelle che sono le nostre necessità dovendo accogliere tanti ospiti».

Cosa ne pensa degli episodi accaduti a Rosarno che hanno visto protagonisti tanti giovani immigrati?

«Penso che si sarebbe potuto evitare una degenerazione. Si è sfruttata una situa-zione di disagio sociale e ciò che occor-re più di ogni altra cosa, è una grande attenzione da parte di chi ne risponde, un maggior coinvolgimento di massa per non ledere quelli che sono i diritti dell’uomo, anche di un immigrato che lavora in condizioni pessime, come ab-biamo avuto modo di vedere. L’opinione pubblica si sta sforzando di considerar-le persone ma ciò che dobbiamo sempre ricordare è che anche noi italiani siamo stati immigrati, dobbiamo avere il mas-simo rispetto e porci in ascolto dell’altro, facendoci carico anche dei suoi proble-mi».

Daniela Negro

Il Prefetto Domenico Cuttaia © M. Gioia

Signora Adele, in che modo la Caritas aiuta un immigrato non solo nei suoi bisogni materiali ma anche nell’integrarsi evi-tando che prenda strade tendenti alla delinquen-za?

«Accompagniamo ognuno di loro dal momento in cui en-trano in Caritas fino alla fine quando vanno via. Lo stra-niero ha diritto all’assistenza sanitaria, anche se clandesti-no, quindi offriamo tutto ciò di cui ha bisogno; è impor-tante seguirlo in tutto, anche per l’inserimento abitativo e lavorativo. La prima cosa che consiglio sempre quan-do arrivano è la conoscenza della lingua italiana perché è fondamentale: questo è un ostacolo che spesso non per-mette di comprendere tante cose. In questo modo si cerca di evitare lo sfruttamento del lavoro. Cerchiamo di seguirli nelle pratiche burocratiche e di aiutarli per far sì che non prendano altre strade».

Quanti di loro hanno re-golare permesso di sog-giorno e quanti sono im-piegati?

«Attualmente gli immigrati presenti nel territorio pro-vengono per la maggior parte dall’Africa, in partico-lare da Eritrea, Sudan, Costa d’Avorio, Senegal, Gambia, Mali, Niger, Nigeria, Kenya, Somalia; nei mesi passati an-che dall’Iraq, Iran, e Afgha-nistan. Tutti uomini con età media compresa tra i 20-21 anni e con permesso di sog-giorno provvisorio in attesa che le procedure burocrati-che siano definitive. Essendo in attesa di ciò ed essendo tutti richiedenti asilo politi-co, possono lavorare, infat-ti, la maggior parte di loro è

impiegata nelle campagne, nell’edilizia e nella pastori-zia, ma anche nell’ambito della ristorazione, nei casei-fici, nella carrozzeria.Laddove giungano clandesti-ni, anche se raramente ciò si è verificato a Brindisi, prov-vediamo ad indirizzarli in Questura, soprattutto se pro-vengono da stati in guerra».

Qual è la difficoltà mag-giore che si deve affronta-re giornalmente?

«Il problema principale sono i documenti, tutti loro vor-rebbero che le pratiche pro-cedessero velocemente per inserirsi, in qualche modo, nel mondo del lavoro. Ognu-no di loro vorrebbe che si accelerassero i tempi ma in questo occorre molta pa-zienza».

Quanti pasti al giorno e quanti posti letto offrite?

Provvediamo a 170-180 pasti caldi che vengono preparati ogni giorno, serviti a turni di 30 per volta sia a pranzo che a cena. Tra questi sono com-presi anche quelli per il ser-vizio a domicilio, attraverso

i Servizi sociali o le famiglie stesse che ritirano il pasto per consumarlo in casa. 80 sono i posti letto presso il dormitorio sito in Via Pro-vinciale per San Vito».

Che tipo di rapporto si viene a creare tra gli ope-ratori e gli ospiti della Ca-ritas?

«Loro non si confidano e non si affidano subito, sono diffi-denti e non sanno di chi po-tersi fidare, ma noi cerchia-mo di creare un rapporto e un clima di serenità, ecco perché ripeto è importante la conoscenza della lingua italiana, in quanto permette di comunicare e stabilire un contatto migliore. Sono tutti bravi ragazzi, e la cosa più bella che nasce proprio da questo clima che si instaura tra loro e noi, è che, anche dopo, nel tempo, i rapporti si mantengono. Anche quando partono e vanno via, mante-niamo sempre un contatto, ci raccontano magari di aver trovato casa, di essersi siste-mati e questo è bello per noi che operiamo qui per loro».

Da. Ne.

Immigrati a Brindisi, chi sono, cosa fanno, chi li accoglie...

Lamin Trawally è un giovane di 23 anni, africano originario del Gambia, uno dei tanti ospiti della Caritas diocesana

che lo ha accolto facendolo sentire come a casa.

La storia di Lamin è una storia difficile e drammatica ma allo stesso tempo di grande coraggio, che aiuta a comprendere e a riflet-tere la scelta di fuggire dal proprio paese alla ricerca di una vita diversa senza, tuttavia, ca-dere nella trappola della delinquenza. La vita di questo giovane ragazzo, dallo sguardo dol-ce e pieno di speranza, ci insegna che non è sempre così.

«Sono venuto in Italia per la prima volta nel 2007 - racconta Lamin- mentre i miei fratelli e sorelle sono rimasti in Gambia; nel mio Pa-ese c’è una dittatura militare, hanno fatto un colpo di stato e la situazione è molto difficile. Facevo parte di un gruppo po-litico giovanile ma ad un certo punto ci sono stati problemi con altri gruppi presenti, alcuni di noi sono stati arrestati, io sono stato anche ferito e dopo due giorni in ospedale sono fuggito, prima in Senegal dove sono rimasto per 6 mesi, e poi ho deciso di andare in Spagna dove vivevo con mio nonno. Se non fosse accaduto tutto questo non sarei mai andato via dal mio paese dove stavo bene».

Proprio in Spagna Lamin si rende presto conto che non poteva continuare a vivere senza un lavoro e quindi gravare economicamente sulle spalle di suo nonno, non contribuen-do alle spese da sostenere. «Ho capito che dovevo trovare un posto dove poter stare e, appena arrivato a Brindisi, sono venuto qui in Caritas diocesana dal primo giorno; non vole-

vo però stare come gli altri, vagando senza far nulla e da qui sono andato in Austria per poi essere rimandato nuovamente a Brindisi- continua Lamin. Qui mi sento a casa, non è come il mio Paese dove per ora non posso tornare, sto bene e sono anche fortunato perché sono tra i più vicini a tutti coloro che operano qui. Lavoro alla giornata, seguo il corso di italiano e assisto anche un anziano accompagnandolo nelle passeg-giate o passando qualche ora in casa a fargli compagnia». Alla domanda su quale progetto o sogno abbia da realizzare, risponde che vorrebbe diventare un musicista perché ama il canto e prima di ogni cosa vorrebbe proseguire con gli studi medi superiori, anche se le possibilità sono poche in quanto gli istituti della città non accettano studenti con età superio-re ai 18 anni.

Lamin è molto legato affettivamente alla Caritas diocesana

e soprattutto a quanti lo hanno accolto e gli sono stati vicino aiutandolo a costruire la sua nuova vita qui in Italia, lonta-no dalla realtà del Gambia. «Forse il governo fa poco per noi, ma la gente ci accoglie bene, ci è vicina, conosce la nostra storia, se c’è questa accoglienza si sta bene, è sempre meglio che stare per strada e fare tutt’altro», ci dice ancora Lamin. E riguardo agli episodi accaduti in Calabria nei giorni scor-si, che hanno visto protagonisti tanti giovani come lui, ci ri-sponde così: «Non so a chi dare ragione, non è bello quello che succede, purtroppo è la vita, è la gente, ma come qui tra voi, anche da noi ci sono i cattivi e soprattutto i buoni».

Daniela Negro

La storia del giovane Lamin «A Brindisi mi trovo bene grazie al loro aiuto»

Presso la Caritas diocesana operano, nell’arco di un mese, 150 volontari oltre ai ragazzi del Servizio Civi-le. Tra di loro abbiamo raccolto la testimonianza di

due giovani, entrambi di Mesagne, Federica Caramia, 20 anni, e Ludovico Tenore, 25 anni, impegnati in Caritas dal settembre 2009.«Lavorando qui tocchiamo tutti gli ambiti, dall’accoglien-za alla mensa, dall’ascolto alla scuola- racconta Federica - sono cose nuove per me, quando ho presentato domanda per il Servizio Civile non immaginavo a cosa potevo andare incontro e cosa dovevo fare, ma in tutto questo mi ci ritro-vo, è un riscontro per come sono effettivamente. Servendo anche in refettorio gli ospiti che pranzano qui da noi, tutti mi conoscono e mi chiamano per nome, parliamo e ci ri-spettiamo reciprocamente, come io rispetto loro anche loro rispettano me, non c’è mai stato un momento in cui hanno mancato in questo».Operare in un contesto come quello della Caritas, a con-tatto con tante problematiche a volte difficili da gestire e da prendere in carico, induce ad una riflessione e ad una maggiore attenzione verso tali realtà, e a questo proposito Federica aggiunge: «Tutto questo mi spinge ad essere più sensibile a queste problematiche, anche attraverso alcune iniziative in parrocchia, perché sto toccando veramente con mano questa realtà. Ciò che viene a mancare a volte, da parte nostra, è la valenza pedagogica, è molto difficile dire no ad uno dei nostri utenti, che ci richiedono tanti favori,

ma bisogna rispettare delle regole perché tutto funzioni al meglio».Un’esperienza nuova e significativa anche per Ludovico che esprime ciò che il servizio in Caritas gli sta insegnando: «Sto assimilan-do tanto da questa esperienza, ritrovandomi faccia a faccia ogni giorno con tante pover-tà, non solo quella del pasto che riusciamo a colmare, ma con tante altre che i nostri utenti hanno. Si tratta di farsi carico di tutte queste povertà con le difficoltà che si incon-trano: spesso questi ragazzi sono diffiden-ti, avendo anche una cultura diversa non è semplice comunicare con loro e spiegare determinate cose. Sicuramente non c’è mo-notonia qui in Caritas, ogni giorno c’è qual-cosa di nuovo». Come per Federica, anche per Ludovico si è creato un buon rapporto con tutti gli ospiti della Caritas nonostante, occupandosi dell’accoglienza, ci sia sempre qualche rischio, soprattutto nel momento in cui chiedono dei favori e purtroppo, pro-prio per far valere la funzione pedagogica, è necessario a volte dire no. «Non tutti comprendono questo, alcuni sono ostili, è difficile spiegare che bisogna rispettare delle regole, come l’orario del pranzo per esempio, anche se ciò può far-ci apparire meno caritatevoli» - ci spiega Ludovico.Tra difficoltà unite alla sensibilità e all’attenzione dei ragaz-

zi del Sevizio Civile, non viene meno, tuttavia, un reciproco scambio tra chi opera in Caritas e gli stessi utenti: «Nel mo-mento in cui vogliamo risolvere i loro problemi, sono pro-prio loro a farci dono e a toglierci le tante povertà che anche noi abbiamo: sapendo cosa significa anche solo un pasto al giorno, dall’esperienza quotidiana che facciamo, si apprez-za e si rispetta ancora di più ciò che la vita offre a noi».

Da.Ne.

Una storia: volontari in servizio civile con i nostri fratelli stranieri

Il direttore della Caritas diocesana La coordinatrice dei servizi Caritas

Lamin Trawally © S. LicchelloAdele Tundo © S. Licchello

Rino Romano © S. Licchello

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Chiesa & Arte - Carovigno22 15 febbraio 2010

La Chiesa Madre di Carovigno è situata in pieno cen-tro storico sulla via Cattedrale, la stessa strada che congiunge Porta Ostuni a Porta Brindisi.

Incerta è la data di costruzione della Chiesa, anche se attraverso scritti dell’epoca si riesce a risalire ai tempi di costruzione dell’allora Majore Ecclesia, da individuare tra il XIV e il XV secolo. La Chiesa sin dal suo inizio presen-tava l’ingresso principale situato in via Raffaele Sanzio e sovrastato da un grande rosone realizzato in pietra loca-le. L’interno si presentava ad un’unica navata con l’altare maggiore dedicato a Sant’Antonio da Padova, a cui la chie-sa era intitolata. L’edificio venne poi ampliato agli inizi del 1500, rispettando gli orientamenti tipici dell’architettura sacra medievale, con portale situato a ovest e zona absida-le a oriente.

L’impianto originario della Chiesa fu completamente stravolto tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo, allor-quando i fedeli crebbero di numero e si sentì la necessità di ampliare la chiesa per offrire un luogo di preghiera più ampio. Fu murato l’ingresso principale e ne fu aperto uno, quello attuale, in via Cattedrale; anche l’interno subì cam-biamenti, tali da conferire alla chiesa una pianta particola-re, quella di una L rovesciata. Sulla facciata principale due iscrizioni ricordano i lavori di ampliamento: la prima cele-bra il contributo del re Ferdinando II di Borbone nel 1833, la seconda ricorda che nel 1897 altre opere di restauro fu-rono rese possibili dalla vendita degli ori della Madonna.

Quindi, dell’impianto originario della chiesa di Sant’An-tonio da Padova restano solo due elementi visibili: il roso-

ne e il campanile con la sua scala a chiocciola, il resto è tutto da ascrivere a rifacimenti posteriori. All’interno si nota subi-to la grande cupola che sovrasta l’ingresso principale con sui pennacchi sottostanti gli affreschi dei quattro Evangelisti. Al termine della navata è posto l’altare maggiore, alle spalle del quale una grande tela, realizzata dal Franceschini, rappre-senta l’Ultima Cena. Ai lati della zona absidale due nicchie raccolgono le statue dei SS. Filippo e Giacomo, santi patroni della cittadina. I lati della navata ospitano due altari per lato, a sinistra quelli dedicati al Sacro Cuore di Gesù e alla Ma-donna del Rosario, a destra i due intitolati a Santa Lucia e a Gesù Eucarestia. Sulla destra, dove prima era l’ingresso prin-cipale, l’altare che ospita la statua della Madonna del Belve-dere, protettrice del paese e tanto venerata dalla popolazio-ne; alla destra dell’altare la statua di Santa Rita e sulla destra una nicchia che accoglie la statua lignea di san Giuseppe con Bambino, realizzata da Giacomo Colombo. Sul lato destro dell’ingresso il fonte battesimale avente base in pietra e parte superiore in legno e una statua di San Giovanni Battista, una delle più antiche della Chiesa; mentre alla sinistra dell’in-gresso un’acquasantiera a forma di conchiglia e una nicchia con la statua di San Francesco. Di fronte all’altare della Ma-donna di Belvedere, a commemorare l’antica chiesetta me-dievale, lo splendido altare dedicato a Sant’Antonio da Pado-va, costituito da varie nicchie con fregi a forma di conchiglia, in ognuna delle quali sono rappresentate scene della vita del Santo.

Giuditta Lanzillotti

“Una grotta ed una Vergine, il silenzio e la religione di un popolo”. Così Salvatore Morelli

coglie il senso del santuario: luogo di cul-to, dove fede e tradizione trovano perfetto connubio. Il santuario attuale è il risultato dell’elaborazione ottocentesca, voluta dai principi di Frasso: la chiesa si presenta con un’unica navata con abside semicir-colare, che accoglie il simulacro della Ver-gine di Belvedere. Particolare rimane la pavimentazione maiolicata che riprende, in un gioco di incastri, la croce latina e la croce greca, quasi a voler indicare proprio in quel luogo la vicinanza tra i due culti. A lato dell’aula, una scala scavata nella roccia permette l’accesso al luogo di culto originario. Essa si presenta ancora con tracce di pittura che, in antico, dovevano ricoprirla per intero: tema ricorrente è la Vergine Maria, onorata in questo luogo sin dal IX-XI secolo dai monaci che nelle grotte naturali si erano insediati.Giunti alla prima grotta, si ritrova un pic-colo altare voluto dai Loffreda nel 1501, che incornicia la parete su cui è rappre-sentata la Vergine: in questa tipologia vie-

ne detta dell’Odegitria ed è rappresentata con la sinistra che regge il Bambino, che a sua volta ha tra le dita un uccellino. Que-sta immagine è da riferirsi ai lavori di ab-bellimento della chiesa, partiti col rinno-vamento del culto da parte dei Loffreda, che hanno in qualche modo nascosto le pitture originali. In effetti già il De Giorgi, nel 1932, evidenziava “nulla di stile greco, ma pare che la pittura sia stata rinnovata nel XVI secolo”. Nello stesso antro è pos-sibile rilevare il culto originario: il luogo era anticamente dedicato a San Michele Arcangelo, di cui rimangono sulle pareti a malapena i profili, dato il pessimo stato di conservazione: questo luogo veniva in effetti detto Sant’Angelo in Luco.Il nero fumo delle candele sulla roccia, ex- voto di fedeli da secoli accorsi in questo luogo, ci guidano più nel profondo. Qui vi è un altro altare, pienamente barocco, con affresco della Vergine con Bambino, questa volta coronati d’argento.Accanto a questo, un’altra Vergine, antica-mente nascosta dalla calce, sembra essere ascrivibile alla scuola senese del XIV secolo e si presenta con il volto gentile e

universalmente bello della Santa Madre in un gesto di estrema dolcezza verso il Figlio. Altri affreschi lungo le pa-reti testimoniano l’impor-tanza del luogo, la cui de-vozione è viva e attiva nella mente e nel cuore della popolazione. Numerosi sono i miracoli riconosciuti alla Vergine di Belvedere, il primo tra tutti sarebbe alla base del ritrovamento stes-so della grotta. Si racconta che, a seguito di un sogno, un ammalato proveniente da Conversano si recò alla ricerca della Vergine nei dintorni di Carovigno; qui giunto, non trovando notizie di Nostra Signora, prestò aiuto a un pastore che aveva perso una giovenca. Fu nel ritrovarla che comparve loro la grotta con le immagini miracolose: il malato allora guarì e in segno di gioia si lanciò in aria un fazzoletto multicolore le-gato a un bastone, quello stesso fazzoletto

che, a distanza di secoli, viene sventolato come una preghiera muta alla Vergine, una richiesta di protezione mossa da due battitori, ma che coglie in se lo sguardo e la fede di un’intera cittadinanza: la ‘Nzegna.

Antonia Barillà

Seminascosta nei vicoli del borgo antico e a pochi pas-si dal castello Dentice di Frasso sorge l’antica chiesa di

Sant’Angelo. Ad avallare la probabile origine normanna l’attestazione della presenza di due bifore in un testo di fine ottocento del De Giorgi e l’intitolazione a San Michele Arcangelo. Tuttavia non si hanno notizie della chiesa sino a metà cinquecento; nel secolo successivo nuovamente si-lenzio. Tale fatto fu causato dalla mancanza di fondi che permettessero un sostanzioso restauro ma anche dal cre-scente interesse per la Chiesa Matrice da parte dei religiosi locali che preferirono professare in quest’ultima divenuta ormai più capiente. Solo intorno al 1721 inizieranno i lavori di restauro e di edificazione della volta a tavole lignee per opera della confraternita dell’Immacolata e si concluderan-no intorno al 1726. Inoltre, è attestato che i restauri fosse-ro avvenuti anche perché Papa Benedetto XIII, con breve del 1719, aveva concesso, a tutti coloro i quali si fossero recati presso Sant’Angelo nel giorno dedicato a San Miche-le Arcangelo, l’indulgenza plenaria. Nel 1844 vennero fatti nuovi interventi sempre per volontà della Confraternita e ce ne rimane testimonianza nella lapide posta l’anno suc-cessivo sull’attuale porta di ingresso al tempio. L’iscrizione

cita testualmente: “Questo umile tempietto sacro al glorioso Arcangelo Michele quando era la feudalità normanna tenne luogo di chiesa parrocchiale di Carovigno regnando la casa d’Aragona essendo cresciuti gli abitatori e fatto di essi non più capace stette deserto e decadde per le ingiurie del tempo i pii confratelli di nostra Donna la Immacolata lo rialzarono dalle

sue rovine a proprio denaro e nell’anno MDCCCXLV essendo priore Giovanni Padalino il quale pose questa lapide a miglior forma lo portarono e ridussero”. Nel 1875, poi, furono fatti dei lavori di ampliamento e venne posta una nuova lapide rivolta verso oriente ed oggi ancora visibile. Dall’esterno, la chiesa appare quasi un edificio laico se non fosse per il piccolo campanile e le due lapidi che la distinguono dal-le abitazioni circostanti. L’ingresso odierno è in posizione opposta a quello originale. L’interno si presenta ad aula unica con volte a crociera; alle spalle del moderno altare marmoreo, un Crocifisso posto in una cornice di legno ed in due nicchie ai lati di esso, le statue dell’Immacolata e di Santa Lucia. Nella lunetta in alto vi è un dipinto parieta-le rappresentante il Calice con sopra la Colomba, due put-ti che reggono una fascia con l’iscrizione “Tutta bella sei o Maria” e le dodici Stelle. Sulla destra vi sono le statue di Madonna con Bambino e San Rocco, facilmente riconosci-bile dal tipico bastone da pellegrino, dalla conchiglia e dal cane che viene rappresentato spesso accanto al santo. Sulla parete opposta, infine vi è lo stendardo della Confraternita dell’Immacolata in cornice.

Pietro Cicerone

La chiesa di Sant’Angelo all’ombra del castello

majore ecclesia La chiesa di Sant’Antonio poi Chiesa madre

Un gioiello in pieno centro storico

fuori città Il Santuario Santa Maria di Belvedere

La Vergine e la tradizione della ‘Nzegna

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Libri & Cultura 2315 febbraio 2010

Il grande poeta Trilussa, dialettale ma universale, prendeva in giro le stati-

stiche affermando che se uno mangia due polli e un altro sta a digiuno, per la statisti-ca ciascuno dei due ha mangiato un pollo a testa. Però neanche il più critico può ne-gare che i polli esistano.

Non si parla di polli, purtroppo, ma di de-litti, nel Rapporto Italia 2010 dell’istituto di ricerca Eurispes, stimato al pari dell’ISTAT per il rigore e per l’approfondimento delle sue analisi, anche se, perfino nelle stati-stiche, occorre un po’ di creatività. Nei 61 capitoli, estremamente variegati, del Rap-porto, il centro di ricerche presieduto da Gian Maria Fara prova a capirci qualcosa nel quadro, poco rassicurante, dell’Italia di oggi. Uno di questi paragrafi esamina l’ “indice di penetrazione mafiosa, nel ten-

tativo di concorrere ad un ulteriore appro-fondimento del fenomeno e di sviluppare nuove direttrici scientifiche per l’analisi delle dinamiche nelle regioni di tradiziona-le insediamento mafioso”, cercando di evi-denziare “il grado di fragilità e di permea-bilità dei territori rispetto ai tentacoli della ‘ndrangheta, della camorra, della mafia e della sacra corona unita”.

A questo fine ‘”è stato creato uno stima-tore ad hoc, l’indice IPM (Indice di Pene-trazione Mafiosa), in grado di indicare, per quanto possibile, i recenti sviluppi del fe-nomeno e le dimensioni che lo stesso sta assumendo. Per determinare una classifica del livello di penetrazione mafiosa delle organizzazioni criminali nelle 24 province delle quattro regioni maggiormente in-teressate, è stato predisposto un sistema

di attribuzione dei punteggi sulla base di alcuni indici che scaturiscono dalla valu-tazione quantitativa dei reati commessi ed assimilabili alle associazioni mafiose: attentati, stragi, ricettazioni, rapine, estor-sioni, usura, sequestri di persona a scopo estorsivo, associazione a delinquere di tipo mafioso, riciclaggio di denaro, contrabban-do, produzione e traffico di stupefacenti, sfruttamento e favoreggiamento della pro-stituzione, omicidi per motivi di mafia, ca-morra e ‘ndrangheta”.

Alla provincia di Napoli, con un punteggio pari a 65,4, va la maglia nera del territo-rio provinciale più permeabile ai tentacoli della criminalità organizzata. A seguire, le province di Catania (52,4 punti), Caserta (51 punti) e Brindisi (51 punti). L’attribuzione di questo quarto posto ha scatenato vive

proteste su molti organi di stampa locali e nelle istituzioni (il Presidente della Provin-cia, Ferrarese, ha ipotizzato una richiesta di risarcimento danni nei confronti dell’Eu-rispes per la lesione dell’immagine del ter-ritorio brindisino, il Sindaco Mennitti, più pacatamente, ha sostenuto che nessuno deve tirarsi fuori dal problema). In con-clusione, se si vogliono chiedere i danni, si chiedano ai vari personaggi del sottobosco criminale che circolano, talvolta indistur-bati, nelle nostre città, e collaboriamo tutti con la ricerca della legalità e della libertà dal crimine. Così le prossime statistiche ci saranno favorevoli e non faremo, noi, la fi-gura dei polli.

Ferdinando Sallustio

almanacco Brindisi malavitosa e i polli di Trilussa

Gli archivi privati sono destinati a svolgere nel futuro un ruolo centrale per la conservazione della me-moria e ad assumere una grandissima importanza

in particolare per la storia d’Italia, sia che si tratti di archi-vi di famiglie signorili e nobiliari del Medioevo e dell’Età moderna, sia di archivi di personalità del mondo religioso, politico, culturale, industriale in età contemporanea. Gli archivi di persone e di famiglie fanno parte di quella vasta realtà complessa e dinamica che sono gli archivi non statali sui quali lo Stato e gli Enti privati esercitano la vigilanza e la tutela per la loro salvaguardia, con l’intento di promuover-ne la valorizzazione e la pubblica fruizione, nel rispetto dei diritti costituzionalmente garantiti ai proprietari. Compito non facile considerata l’enorme mole e vastità di questo materiale, la cui importanza è ormai giustamente ricono-sciuta e sempre più al centro di una intensa attività storio-grafica. Sono miniere di documenti che vengono ad inse-rirsi e a completare l’ingentissimo patrimonio archivistico conservato in biblioteche ed archivi pubblici.

In questi ultimi anni l’aumentato interesse per gli studi di storia locale e la microstoria, e l’accrescersi delle ricerche in questo ambito, ha evidenziato la necessità di fornire in modo sempre più dettagliato informazioni sulla consisten-za di questo patrimonio documentario non statale, in modo da permettere, prima di tutto, la conoscenza dei luoghi e delle istituzioni che conservano questi archivi.

Ciò ha portato al fiorire di un insieme di iniziative di ri-ordinamenti, inventariazioni, pubblicazioni degli inventari prodotti, di guide ed altri mezzi di corredo, mostre, con-vegni, seminari di studio, per avere un panorama di tutto il patrimonio documentario che si trova fuori dagli istituti statali. Da qui l’importanza del lavoro svolto dall’avv. Ste-fano Cavallo sulle carte di mons. Orazio Semeraro (1906-1991) conservate presso il palazzo vescovile di Ostuni. In modo capillare e scientifico è stata esaminata carta su car-ta, documento su documento con un lavoro puntuale e pre-ciso durato due anni.

Dopo aver esaminato i faldoni è nata poi la necessità di pubblicare un’ampia sintesi dei discorsi, omelie, lettere pastorali, corrispondenza di mons. Semeraro nel testo cu-rato dallo stesso avv. Cavallo (Orazio Semeraro sacerdote educatore vescovo, Ediz. Lo Scudo, Ostuni 2009) stampato in occasione del 50° anniversario della consacrazione epi-scopale dello stesso vescovo (il testo infatti si apre con la presentazione di S. E. mons. Rocco Talucci e continua con la commemorazione di mons. Settimio Todisco, un ricordo di don Angelo Ciccarese ed una prolusione di Rosario Jur-laro). L’importanza dell’opera sta nella consapevolezza che gli archivi storici personali e familiari sono un patrimonio molto fragile, essi hanno però una preziosa caratteristica che deriva dalla innata capacità di fare sistema tra di loro, ed in tal modo rendere possibili ricerche e ricostruzioni ba-sate anche soltanto su indizi parziali. Da qui l’esigenza di pubblicare inventari, libri, atti di convegni per agevolare la canalizzazione delle informazioni e l’incrocio tra archi-vi privati e archivi di pubbliche istituzioni, specialmente quando si tratti di personaggi che hanno svolto pubbliche funzioni, ma anche semplicemente quando hanno comun-que intessuto rapporti con pubbliche amministrazioni, per motivi giuridici, economici o religiosi.

Ed è questo il caso evidente di mons. Semeraro che l’avv.

Cavallo con grande lucidità ha compreso e analizzato attra-verso l’importanza data alla conservazione, ordinamento e valorizzazione della documentazione: storia personale è anche storia sociale; il valore delle carte travalica la sto-ria del singolo individuo per indicare importanti aspetti religiosi, storici e culturali di una terra e di un’epoca. Nel-la storiografia degli ultimi decenni il genere biografico è diventato un tema di ricerca centrale soprattutto nell’ap-profondimento e nella diffusione degli studi di sociologia, antropologia e demografia storica, ed è evidente che non può non giovarsi immensamente degli archivi personali e di famiglia.

Il discorso sulle biografie e sulle autobiografie si è arric-chito moltissimo in questi ultimi anni non solo di ricerche e pubblicazioni, ma anche di considerazioni metodolo-giche. Infatti, attraverso l’organizzazione dei dati desunti dall’indagine documentaria del materiale conservato da e su mons. Semeraro emergono a volte notizie sorprendenti, che possono magari modificare la versione ufficiale della cosiddetta “grande storia”. Ad esempio dall’analisi del car-teggio è possibile sia assumere un significativo grado di co-noscenza sulla sua personalità sia ricavare notizie sul Con-cilio Vaticano II, sull’Azione Cattolica e sui sistemi educativi presenti nel seminari.

Il rischio da correre è che non di rado gli archivi personali e familiari perdano una certa loro spontaneità originaria, e siano stati oggetto di interventi di riordinamento ispirati o a nuove esigenze funzionali, oppure a nuove preoccupazioni ideologiche, oppure ancora a causa di controversie succes-sorie. Per fortuna per le carte di mons. Semeraro questo ri-schio è stato evitato grazie al lavoro lungimirante, delicato e preciso dell’avv. Stefano Cavallo che ne ha compreso e dif-fuso il valore.

Katiuscia Di Rocco

ORAZIO SEMERARO. SACERDOTE, EDUCATORE, VESCOVO

È stato presentato il 16 gennaio scorso, dal presidente nazionale

dell’UCITecnici, prof. Pietro Samperi, il corso di alta for-mazione “La chiesa parroc-chiale nella città moderna”, che inizierà nel prossimo mese di maggio. Tale cor-so post-laurea è promosso dall’UCITecnici della sezio-ne di Brindisi, dall’Istituto Superiore di Scienze Religio-se di Brindisi e dall’Ufficio per i Beni Culturali Eccle-siastici della Diocesi, con il patrocinio dell’Ordine degli Architetti Pianificatori e Pa-esaggisti e dell’Ordine degli Ingegneri della provincia di Brindisi e del Dipartimento di Architettura e Urbanistica del Politecnico di Bari.

Scopo del corso di alta formazione è di consentire l’approfondimento delle te-matiche della progettazione di nuovi edifici in rapporto al contesto urbano alla co-munità insediata, e dell’ade-guamento tipologico, statico e artistico di edifici esisten-ti, nonché della gestione del processo realizzativi e dell’iter amministrativo.

Il corso, attraverso le sue lezioni, vuole proporre uno sguardo, e di conseguenza un atteggiamento critico-progettuale, attento a valo-rizzare il buono, il bello e il vero nelle realizzazioni delle nuove chiese parrocchiali, cercando di esplicitare la ri-flessione critica e sistemati-ca sul progetto da parte dei progettisti nella ricerca della forma più adeguata ad espri-mere le esigenze liturgiche nel luogo, nel tempo e con la reale comunità insediata, in rapporto al Mistero della Presenza di Cristo, da rende-re tangibile e riconoscibile.

A partire da tali riflessio-ni, il corso è finalizzato, in particolare, a sviluppare nei partecipanti quella cultura e

quelle conoscenze tecniche necessarie a svolgere la loro attività professionale e uma-na in tale ambito di interes-si. Il corso che risponde alla domanda d’alta formazione presente e potenziale, colle-gata allo sviluppo della ricer-ca relativa alla progettazione ed all’adeguamento degli edifici di culto ed al loro in-serimento in un contesto ur-bano con particolare atten-zione allo “spirito del luogo” ed alla comunità insediata, trova fondamento all’inter-no del vasto programma di iniziative che la Conferenza Episcopale Italiana ha pro-mosso in seguito alla pubbli-cazione nel 1966 della Nota pastorale “L’adeguamento delle chiese secondo al ri-forma liturgica” che segue i documenti sui Beni cultura-li ecclesiastici (1992) e sulla Progettazione di nuove chie-se (1993). L’interesse per il rapporto tra arte, architettura urbanistica e liturgia si può cogliere nelle iniziative del-le diverse diocesi e consulte regionali, delle università e degli ordini professionali ed è motivato dal fatto che gli edifici di culto esistenti, nel corso del tempo sono stati, in gran parte, adeguati alle mutate esigenze della litur-gia, ciò soprattutto nell’arti-colazione funzionale dello spazio sacro. Inoltre a livello di dibattito scientifico nel settore architettonico e ur-banistico si parla sempre più spesso del ruolo e del valore simbolico dell’edificio chiesa in rapporto alla funzione di spiritualità insita in esso e ad un contesto sociale e urbano in mutamento quale quello delle periferie urbane, dove spesso la nuova parrocchia rischia di rimanere, inconsa-pevolmente, l’unico punto di riferimento “materiale” oltre che spirituale

Donato Caiulo

UCITeCnICI pUglIa Al via a maggio un corso di alta formazione per i progettisti

La chiesa parrocchiale nella città moderna