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MODULO
LE PAROLE
COSTRUZIONI NARRATIVE (ROMANZO, RACCONTO)
SU TEMATICHE LEGATE AL RAPPORTO DEI
GIOVANI CON LE NUOVE TECNOLOGIE USATE
COME STRUMENTI DI COMUNICAZIONE
PON FSE 10862 - Inclusione sociale e lotta al
disagio - Obiettivo specifico 10.1 - Azione 10.1.1
PRESENTAZIONE
Nel presente libretto sono contenuti i lavori finali realizzati dagli allievi che hanno partecipato al
modulo PON dal titolo “LE PAROLE”. Quest’ultima attività laboratoriale è parte del progetto
sull’inclusione sociale che la nostra scuola ha realizzato grazie ai fondi europei FSE; il titolo “VENGO
ANCH’IO”, che tiene insieme i diversi moduli di cui si compone il nostro piano, è esemplificativo
dell’obiettivo condiviso dall’intera comunità scolastica: accogliere e promuovere tutti ed ognuno.
Le criticità individuate nel RAV, in riferimento alle dimensioni relazionali tra pari e con il contesto e
quelle evidenziate in specifiche personalità dei ragazzi, hanno costituito il punto da cui partire per
implementare opportunità formative. Queste, particolarmente attente a potenziare il livello
comunicativo e quello dello stare bene a scuola degli allievi, hanno offerto contenuti propri della
linguistica e della scrittura creativa; quest’ultimo aspetto ha permesso di esaltare, poi, eccellenze
che pure si sono manifestate con la scrittura.
Alla tutor, prof.ssa Giuseppina Luongo, ed all’esperto, dott. Crescenzo Aliberti, la mia riconoscenza
per la professionalità messa a disposizione della nostra comunità scolastica.
Continuare a cogliere le opportunità provenienti dalla Comunità Europea, attraverso i fondi FSE,
per qualificare sempre più l’offerta formativa per il nostro territorio: è il mio personale impegno.
Giugno 2018.
Il dirigente scolastico
Prof. Ernesto Piccolo
INTRODUZIONE
Un percorso intenso di trenta ore, svolte nel periodo marzo-maggio 2018 con un modulo dal titolo
“LE PAROLE”, ha rappresentato l’occasione formativa offerta ad oltre venti allievi delle terze classi
della scuola secondaria di primo grado.
I contenuti, strutturati intorno al tema del rapporto tra gli adolescenti, la rete ed i social, sono stati
sviluppati attraverso un permanente intreccio con elementi di linguistica e di tecniche di scrittura
creativa.
Superate iniziali diffidenze di quasi tutti gli allievi, registrato qualche “disperso”, la fatica del
conoscere e del fare ha attratto e conquistato i più. Il risultato del tutto è compendiato nella
presente pubblicazione che esemplifica molto bene il livello elevato raggiunto dagli allievi nel
“maneggiare le parole”. Quelle per sviluppare il tutto, sono state ricavate anche da testi di autori
importanti, quali Paolo Crepet, Umberto Garimberti, studiosi ed analisti che hanno particolarmente
a cuore i temi del mondo giovanile e dei ragazzi.
Per la discreta ed efficace professionalità, ringrazio Giuseppina, tutor del percorso.
Merito ed onore al preside Ernesto Piccolo, sempre attento a cogliere le opportunità da offrire agli
allievi, alla comunità scolastica ed a quella cittadina.
Giugno 2018.
L’esperto
Prof. Crescenzo Aliberti
Costruite un struttura narrativa (romanzo, racconto) delineate personaggi
e vicende (cosa fanno e chi) mettere a punto il vostro progetto di racconto
o romanzo sui temi legati al rapporto dei giovani con le nuove tecnologie
gli strumenti di comunicazione. Inserite digressioni di primo e secondo
grado
Era l’ultima ora di lezione di sabato e tutti aspettavano che finisse presto, così
potevamo riposare la domenica. Sembrava che non finisse mai perché c’era l’ora di
storia e la prof. Parlava sempre da far diventare la lezione pesante. Mentre qualcuno
dormiva e qualcuno ascoltava, finalmente suonò la campanella. Eugenio prese il
cellulare. Eugenio è un ragazzo di 16 anni che vive a Venezia e frequenta il 3° anno del
liceo scientifico G. B. Benedetti. Pratica il nuoto che gli piace molto, è un ragazzo
educato, simpatico, gentile e divertente. Ha i capelli castani, un po’ mossi e luminosi
come la seta. Ha un viso luminoso e sorridente e non ha traccia di barba o baffi. I suoi
occhi, azzurri come il cielo, infondono fiducia e simpatia. Veste in modo semplice e
sportivo: comodi jeans e t-shirt e in inverno con caldi maglioni di lana bianca. I suoi
genitori lavorano nel settore dell’informatica, ha una sorella più grande di lui di 24
anni, che ora non vive più in famiglia perché convive con un ragazzo, e un fratellino
più piccolo di 9 anni. Durante il tragitto scuola-casa usa tutto il tempo il cellulare.
Arrivò a casa salutò con un “ciao, sto a casa!” e se ne andò nella sua cameretta. Di
quella stanza ti colpisce il lampadario con strisce azzurre che vanno a sfumare nel
bianco e di nuovo nell’azzurro; questi colori richiamano molto il mare. Il lampadario
ha la forma di una” lampada gigantesca”. A destra ci sono due piccole scrivanie di
colore beige e con due sedie girevoli di colore arancione. Sotto alla seconda scrivania,
che è un mobiletto appeso con tre cassetti il primo beige, il secondo bianco e il terzo
arancione, invece sopra le scrivanie ci sono mensole e scaffali con libri da leggere,
anche se li ha letti pochissimi, affianco tiene appese 131 medaglie vinte a nuoto. Sul
muro centrale ci sono quattro belle finestre che fanno passare la luce nella cameretta
così da illuminarla, avanti ci tiene una tastiera che però non sa suonare. A sinistra c’è
un puffo marrone e dietro un letto con il copriletto arancione. Eugenio entrato in
cameretta lanciò lo zaino per terra e si precipitò subito sul letto, usando sempre il
cellulare. E lo continua a usare per un altro bel po’ di tempo stando sui social network
o giocava a qualche gioco che aveva scaricato sul suo cellulare. La mamma, che è una
signora sulla quarantina, di carnagione chiara, con occhi celeste e capelli castano
chiaro. Indossa degli occhiali neri e ha un neo sulla guancia sinistra, nel suo tempo
libero va in palestra dove pratica pilates, lo chiamò dicendogli che era pronto il pranzo
e lo stavano aspettando tutti giù. Il ragazzo si rifiutò di scendere perché era preso dai
social e dai giochi. Dopo pranzo la madre gli portò in cameretta la sua porzione di
pranzo visto che era il suo preferito. Cioè, la lasagna per primo e per secondo la
cotoletta con patatine. A Eugenio come tutti i ragazzi piace la pizza, la salsiccia e
friarielli, il gelato nocciola e pistacchio. Non gli piacciono tanto i legumi come ceci,
fagioli e come verdura gli piace l’insalata, zucchine, melanzane, spinaci e non gli piace
il cavolfiore, i piselli e le patate. A lui piacciono ogni tipo di frutta soprattutto della
campagna del nonno. La madre entrò dicendogli che gli aveva portato da mangiare,
lui sollevò gli occhi dal telefono e annuì anche se in verità non ascoltò quello che gli
disse la madre perché stava ascoltando la musica e teneva gli auricolari. Si fecero le
16:30 e Matteo e Marco i suoi amici lo andarono a chiamare, come era loro solito.
Matteo ha 15 anni, è più piccolo di Eugenio, frequenta anche lui il liceo G.B. Benedetti.
È biondo, ha gli occhi verdi, e il colore della pelle è molto chiaro ed è abbastanza alto
per l’età. È un ragazzo molto allegro, ha molti amici. Marco invece è un ragazzo di 17
anni che frequenta da 4 anni il liceo G. B. Benedetti. Ha un carnagione chiara, gli occhi
marroni e i capelli neri, e ha una voglia di caffè sul naso, anche lui praticava nuoto con
Eugenio. Lo avevano chiamato per farlo scendere e stare un po’ con lui e altri. Da
parte di Eugenio ci fu una risposta negativa. Marco e Matteo rimasero di stucco
perché di solito rispondeva positivamente. Nel frattempo Eugenio non aveva ancora
mangiato niente. Si fecero le 21:30 e doveva cenare e anche questa volta non scese
in cucina. Così, rimanendo tutta la giornata digiuno, e restò tutta la notte col cellulare.
E così passò anche la domenica arrivando a lunedì stanco, si addormentò durante le
lezioni. Pian piano Eugenio divenne dipendente da internet così da non uscire più con
gli amici, essere scontroso, non mangiare e non dormire. Incomincia a subire anche
atti di cyber bullismo. I genitori incominciarono a preoccuparsi dei comportamenti di
Eugenio, dei voti negativi che stava prendendo a scuola, visto che lui andava bene.
Preoccupati andarono a parlare a scuola con i loro professori ma anche questi non
sapevano il motivo dei comportamenti del ragazzo; fino a quando una compagna di
classe andò dai genitori e gli spiegò tutto quello che stava succedendo. Furono i
genitori che andarono a denunciare gli atti di cyber bullismo subiti dal figlio alla
polizia.
Rosa D’Avino
C'era una volta, in una piccola casetta un ragazzo di nome Ugo. Aveva 13 anni ed era molto timido e introverso. Per tale motivo lui non aveva tanti amici anzi neanche uno. A scuola veniva sempre preso in giro dai suoi compagni e il suo unico svago era il computer. Giorno dopo giorno però i genitori capirono che questo stava diventando un vero problema. Ugo passava le ore intere senza staccarsi un attimo dal suo computer. Una vera e propria dipendenza. Allora i genitori decisero di intervenire in qualche modo e iniziarono a decorare la sua cameretta con più colori e quadri in modo tale da rendere l'aria più felice. Fortunatamente era l'ultimo anno di scuola media con quei compagni, Ugo, non li avrebbe mai più visti. Ugo a scuola era uno dei ragazzi più bravi, on voti sempre alti e all'interrogazioni sempre preparato. Questo era il motivo per il quale veniva preso in giro e sempre visto come uno "diverso" dagli altri. Passa in fretta però l'estate e Ugo piano piano, con i suoi genitori cerca allontanarsi da quel computer m le cose non sembrano cambiare molto. Il paesino dove abitava era piccolo ma pieno di negozi e tanti ragazzi della sua età. Esso però vedeva sempre il mondo attraverso uno schermo e non voltava mai gli occhi su quella che era la realtà. Il primo giorno Delle superiori era per Ugo uno dei giorni più attesi; sperava in compagni migliori e in Delle giornate più serene. Fortunatamente dopo, vari mesi, Ugo cambiò e ritrovò tantissimi amici.
Federica Ficaccia
Era un giorno come tanti per Giovanna, stava passeggiando per le strade della sua
città, quando a d’un tratto sentì un lamento di un neonato, andò per avvicinarsi e
trovò una piccola creatura appoggiata su di una panchina, aveva i capelli arruffati e
dei vivaci occhi azzurri e le guance rosee. Non poteva abbandonare una povera
creatura indifesa, allora decise di portarla a casa sua. Nono sapeva come avrebbe
potuto reagire la madre verso questa sua decisione, ma era l’ultimo dei suoi problemi.
Appena varcò la soglia della porta, la madre rimase con uno sguardo perplesso e
confuso, Giovanna a quel punto disse che l’aveva trovata su una panchina mentre
camminava e che non avrebbe avuto il coraggio di abbandonarla, la madre le rispose
che era troppo giovane per occuparsi di una bambina. Infatti non aveva torto;
Giovanna aveva solo 16 anni non era abbastanza matura per crescere e accudire una
bambina. Giovanna non si arrese, avrebbe fatto di tutto per non portare la bambina
al orfanotrofio, sicuramente lì non avrebbe avuto un’infanzia come tutti i bambini:
crescere senza avere una figura materna e paterna. La madre alla fine decise di essere
comprensiva e di aiutare la figlia a crescere quella bambina e quindi farla rimanere a
casa. Giovanna era al settimo cielo e aveva un sorriso che nessuno le poteva togliere.
Abbracciò forte la madre e le disse grazie per il sostegno che le avrebbe dato. Prese
la bambina in braccio per cullarla e osservandola meglio notò sul vestitino rosa con le
maniche bianche e il coletto alto con un nome cucito sopra Alice. Pensò che forse era
il nome della bambina, rifletté per un po’ e decise che quello sarebbe stato il nome di
sua figlia. Il giorno dopo Giovanna andò a scuola; aspettando le sue amiche fuori dal
cancello e pensava a come avrebbe potuto raccontare la nuova notizia. Appena le
incontrò, suonò la campanella e quindi doveva entrare in classe. All’ora di ricreazione
tutti erano usciti fuori dalle classi, quello era il momento buono per dire; avvicinò
tutte e due e iniziò a raccontare quello che era accaduto e vide che rimasero con una
faccia sconvolta e le dissero anche loro che non era stata una buona idea portarla a
casa, ma quella era la sua decisione e che quindi l avrebbero rispettata. Uscita da
scuola Giovanna, andò dritto verso casa sua perché era impaziente di vedere Alice.
Entrata in casa notò delle carte sul tavolo, chiese alla madre cosa fossero e le rispose
che erano delle carte che certificavano che Alice era sua figlia, e aveva anche scoperto
chi erano i genitori biologici e avevano detto che non volevano vedere la bambina e
sapere niente di lei, Giovanna ci rimase male, di certo non si aspettava questa
reazione da parte loro. Da quel giorno, ormai sono passati 16 anni Alice diventò una
ragazza bellissima: alta, magra, capelli castani e occhi azzurri, ora però doveva
affrontare un altro ostacolo cioè quello di dirle che non è veramente sua figlia, non
poteva ingannarla per tutta la sua vita perché prima o poi la verità sarebbe venuta a
galla perché ormai Alice stava iniziando a farsi delle domande a cui la madre
rispondeva in modo vago. Decise di dirglielo quando appena sarebbe tornata da
scuola, era ora che Alice usciva da scuola, appena varcato la soglia di casa fu fermata
dalla madre, si sedette sulla sedia in cucina, e Giovanna iniziò a raccontarle tutto con
un nodo alla gola, Alice aveva una faccia delusa e triste e gli occhi piene di lacrime, si
alzò dalla sedia e corse dritto in camera sua, dove si chiuse per tutto il resto della
serata. Il mattino seguente Alice scese in cucina ma non le rivolgeva nemmeno la
parola, uscita di casa abbassò lo sguardo, e iniziarono a scendere delle lacrime sul suo
viso, a pensare che era stata chiuse per tutto il resto della serata. Il mattino seguente
Alice scese in cucina ma non le rivolgeva nemmeno la parola, uscita di casa abbassò
lo sguardo, e iniziarono a scendere delle lacrime sul suo viso, a pensare che era stata
abbandonata dalla nascita. Mentre pensava a tutto ciò una macchina non vedendola,
la travolge investendola. Il signore al volante prese subito il cellulare e chiamò
l’autoambulanza, prese il cellulare di Alice e chiamò anche la madre. Arrivati
all’ospedale il signore si scusò con la madre per l’accaduto, Giovanna era disperata e
si accasciò a terra in mezzo al corridoio, non sopportava l’idea che avrebbe potuto
perdere sua figlia, che l’ha tanto amata e cresciuta. Entrò dentro la stanza, Alice era
svenuta dal colpo, si avvicinò al suo letto e abbracciandola le sussurro che per lei era
come una figlia e che ha fatto tutto per lei per farle vivere un’infanzia felice, Alice
sentendo tutto abbracciò la madre e le chiese perdono perché anche se non era uscita
dal suo grembo, è stata lei che l’ha accudita e cresciuta.
Francesca Esposito
Era il 7 novembre del 2005,la classica sera tempestosa d’autunno, quando la vita di
Johanna cambiò. Johanna era la tipica ragazza timida che aveva difficoltà a
socializzare con le persone. Nella scuola si stava diffondendo un’applicazione che
bisognava scaricare dal PC, dove si aveva la possibilità di dialogare con persone
provenienti da altri luoghi. Più della metà dei ragazzi che frequentavano quella scuola
la utilizzavano e Johanna con l’ingenuità di un’adolescente ebbe la terribile di
cimentarsi anch’essa nel mondo delle tecnologie. Non aveva mai avuto a che fare con
questo tipo di oggetti, come l o smartphone o il PC, proprio per questo motivo non
era a conoscenza dei rischi a cui andava incontro. Andò a dormire, con la speranza
che il giorno seguente avrebbe ricevuto un’email da parte di qualcuno e di
conseguenza avrebbe potuto iniziare una conoscenza. La mattina, come anche le
successive, Johanna accendeva il PC per controllare se le fosse arrivato qualche
messaggio, fin quando un ragazzo di nome Kevin Stuart le inviò un’email chiedendole
se avesse voluto scambiare qualche messaggio con lui per iniziare a conoscersi e
raccontare un po’ le loro vite. Ovviamente Johanna, euforica e facendo salti di gioia
nella sua cameretta, accettò la proposta senza pensarci due volte. La sua cameretta
era interamente ricoperta dal colore rosa, con peluche dappertutto e foto incorniciate
che ritraevano lei e la sua famiglia. Questo lasciava intendere anche quanto dentro di
lei fosse rimasta ancora una bambina che non era mai riuscita a staccarsi dai genitori,
avendo paura del mondo esterno. Quelle foto incorniciate le ricordavano anche i
viaggi e i luoghi fantastici che aveva visitato ma anche il fatto che sentiva una parte
mancante, un’amica con cui avrebbe potuto condividerli. Come per tutti i giovani,
spesso passare del tempo solo ed esclusivamente con la famiglia diventa noioso e si
preferisce trascorrerlo con gli amici andando a divertirsi con loro. Purtroppo, non
avendoli, doveva accontentarsi di trascorrere il sabato sera guardando dei film o
documentari sul divano del salotto di casa con sua madre e suo padre. Era figlia unica
e questo fu un punto dolente poiché sognava di avere un fratellino o una sorellina in
modo da prendersene cura. Ce n’era stata anche la possibilità poiché tre anni fa sua
madre rimase incinta, ma sfortunatamente al quarto mese di gravidanza ebbe un
aborto naturale e questo fu un brutto colpo per tutta la famiglia dal punto che per
evitare di riprovare un dolore simile, decisero di accontentarsi di una sola figlia.
Ritornando al sito d’incontri, Johanna e Kevin iniziarono a scriversi quotidianamente,
raccontando anche cosa avevano fatto durante la giornata e nacque una certa
confidenza, al punto tale che Johanna gli confidò la sua vita privata, parlando anche
degli episodi che l’avevano portata a chiudersi in sé stessa che nessuno conosceva.
Kevin sembrava un ragazzo affidabile e anche molto carino, almeno così dimostravano
le foto pubblicate sul suo account. Era il classico ragazzo modello, aveva gli occhi
verdi, i capelli neri, alto, gentile e intraprendente con le ragazze, tanto da portare
Johanna a innamorarsi letteralmente di lui, anche solo attraverso lo schermo.
Johanna, essendo una ragazza, aspettava che fosse lui a fare il primo passo
proponendole di incontrarsi di persona, ma di questa richiesta non si vedeva
nemmeno la traccia. Stanca dell’attesa fu lei chiedere di potersi incontrare in un bar
del paese di lui, dicendogli che sarebbe stata disposta anche a prendere il treno da
sola per raggiungerlo. Egli disse che nell’ultimo periodo non aveva molto tempo a
disposizione poiché era impegnato in alcune faccende. Lei gli credette e sperò che
avrebbero potuto incontrarsi in un secondo momento. Continuarono a chattare, fin
quando qualcosa fece rimanere Johanna senza parole. Le conversazioni fra lei e Kevin
erano state rese pubbliche sul sito. Ora tutti, soprattutto le persone che
frequentavano la sua stessa scuola, erano a conoscenza dei suoi segreti più nascosti
che erano stati riferiti solo a Kevin. Dopo la diffusione delle chat, le arrivarono
tantissime email dove le venivano rivolte offese molto pesanti che la ferivano
moralmente. Questa offese la portarono a vergognarsi e a piangere
ininterrottamente. Chiese subito spiegazioni a Kevin, ma le sue domande non ebbero
una risposta. Si arrivò alla conclusione che il ragazzo modello di nome “Kevin Stuart”
in realtà non era chi diceva di essere e inoltre le foto pubblicate sul suo profilo non
appartenevano a lui. Johanna si era fidata di una persona che nemmeno esisteva. Gli
aveva raccontato cose che nessuno sapeva, al di fuori di lei stessa. Si sentiva presa in
giro e oltre ad essere insultata sul PC, veniva offesa anche a scuola. Quando passava
per i corridoi della struttura scolastica, i compagni la guardavano, la indicavano e
ridevano rumorosamente e lei a testa bassa, con la faccia rossa dalla vergogna non
diceva una parola. Arrivò al punto di non voler frequentare più nemmeno la scuola,
cosa alquanto strana poiché ci era sempre andata con piacere. Visto che i suoi genitori
non sapevano nulla dell’accaduto, Johanna finse di avere problemi con lo stomaco per
non andare a scuola. Sua madre e suo padre insospettiti e soprattutto preoccupati
ebbero l’idea di controllare il PC, dato che nell’ultimo periodo Johanna lo utilizzava
più del dovuto. Scoprirono l’esistenza di quell’applicazione, videro di cosa si trattava
e capirono la causa del “malore” della figlia. Decisero di andare immediatamente dalla
polizia per denunciare tutto, ma le venne riferito dalla polizia stessa, che non c’era
nessuna legge che proibisse il bullismo in rete che prende il nome di cyberbullismo.
La mamma di Johanna indignata si chiedeva come fosse possibile che tanta cattiveria
nei confronti di una persona non doveva essere punita in nessun modo. Purtroppo
non era possibile modificare la leggi e si rassegnò poiché non le restava altro da fare.
La mamma rientrata a casa andò subito nella stanza di Johanna, pensando che così
facendo l’avrebbe trovata, ma l’unica cosa che trovò fu il letto disfatto e i peluche al
di sopra di esso. Preoccupata prese le chiavi dell’automobile, chiuse la porta di casa,
ma quando alzò la testa vide che sul bordo della terrazza si trovava Johanna dal viso
ricoperto di lacrime e che evidentemente stava trovando il coraggio per lanciarsi nel
vuoto per poi schiantarsi al suolo e non continuare a vivere. Da quell’ immagine
terribile sua madre, quasi morta dallo spavento, si diresse subito verso la terrazza per
fermarla e ci riuscì e fortunatamente ci riuscì, dopo di che la portò in ospedale per
accertarsi che fosse tutto a posto. Fortunatamente il suo tentativo di suicidio non fu
portato a termine. Johanna era quasi irriconoscibile, il forte dolore provato le aveva
fatto perdere il senno e l'aveva portata a non farle comprendere quanto in realtà il
dono della vita fosse importante e togliersela da soli è da sciocchi e che bisogna
affrontare i problemi proprio perché la morte non ne è la soluzione. I genitori decisero
di tenerla sotto controllo 24 ore su 24 e pensarono che fosse una buona idea farle
frequentare un centro dove c’erano persone che stavano attraversando una
situazione simile alla sua per parlarne e spronarla a cercare qualche modo di farla
liberare da tutto quello che aveva dentro e che non era mai riuscita a sprigionare.
Inizialmente Johanna era un po’ scettica sul fatto di dover raccontare i suoi problemi
e sentimenti ad altre persone poiché l’unica volta che finalmente ci era riuscita, le
cose non erano andate come pensava. Avendo vari incontri con queste persone scoprì
che non era l’unica ad essere stata vittima di cyberbullismo, ma che contrariamente
c’erano state altre migliaia di vittime che però erano riuscite ad uscirne vittoriose.
Fortunatamente, dopo circa un mese, Johanna sembrava rinata. Non aveva più
difficoltà a socializzare, anzi iniziò anche a stringere un rapporto d’amicizia con alcune
persone del suo stesso centro, cominciò ad andare di nuovo a scuola e imparò a
rispondere agli insulti semplicemente con un sorriso, non dandogli importanza, ma
soprattutto imparò a camminare sempre a testa alta!
Nancy Schiano
Era un giovedì quando Sara ricevette un messaggio. Era inviato da una persona
sconosciuta da lei, su un sito che, ad oggi, conoscono molte persone e, se non si fa
attenzione ad usarlo, si rischia di far divulgare i propri dati che, possono finire in mani
sbagliate. Sara aveva solo sedici anni, era una ragazzina semplice. Una di quelle
sedicenni alle prese con le prime cotte, incosciente di quello che stava per accedere.
Quel messaggio domandava: “Ci vogliamo conoscere?” Sara, prima di rispondergli,
controllò il profilo. Si chiamava Stefano, era un bel ragazzo quel tipo da far impazzire
le ragazzine. Rispose di si e incominciarono a chattare, scambiandosi anche i numeri
di telefono. Chattarono tutta la sera. Il giorno dopo, Sara, andò a scuola ma non disse
niente a nessuno di aver incominciato a conoscere qual ragazzo, nemmeno alle sue
amiche più strette ed intime. Alla prima ora aveva filosofia e, durante la lezione
incominciò a chattare ancora con Stefano, quel ragazzo che aveva conosciuto il giorno
pima. Di quell’ora Sara sentì solo la professoressa che spiegava il filosofo Kant, che
nacque a Königsberger, studiò filosofia, teologia e matematica. Quando fini l’ora di
filosofia, incominciò l’ora di matematica con la professoressa Angelica. Quella era
l’insegnante più giovane dell’istituto, aveva solo ventisette anni, si approcciava con
gli alunni sempre in un modo diretto, ed era proprio ciò, che agli alunni piaceva. Aveva
i capelli neri ricci, gli occhi piccoli neri e si vestiva sempre in modo elegante, anche
quando dovevamo andare a fare le solite cose comuni, che tutti facciamo solitamente
ogni giorno. All’inizio della lezione incominciò ad interrogare dei ragazzi che dovevano
recuperare il voto basso che avevano preso durante il compito in classe;
fortunatamente Sara non era una tre quegli alunni. Alla fine della lezione, fece delle
domande in generale alla classe. A quelle domande solo le più preparate
rispondevano. Finita l’ora, Sara domandò di andare in bagno. Qui Sara doveva andare
solo per rispondere al telefono; era Stefano. Quando Sara rispose alla chiamata sentì
una voce calda che disse di andare nel parco. Sara all’inizio era un po' scettica, ma poi
si fece convincere. Allora andò in classe, disse che non si sentiva bene e chiamò la
madre che stava lavorando all’ospedale. Quando la madre rispose, disse che non
poteva andare a prenderla, ma, se voleva, poteva venire il nonno. Sara disse di si, che
era un’ottima idea. Dopo che il nonno l’andò a prendere a scuola la lasciò a casa. Sara
fece finta di stare male. Quando si sentì sicura che il nonno se n’era andato, chiamò
Stefano per domandargli dove stava. Lui rispose che stava aspettando al parco, ma
che non si voleva far vedere perché aveva paura di non piacergli di persona. Sara
voleva vederlo assolutamente e andò di corsa al parco. Quando arrivò non vide
nessuno. Allora lo richiamò ma lui non rispose e ritornò a casa triste. Arrivata a casa,
gli venne un messaggio da Stefano che diceva: “Scusa, ma me ne sono andato perché
è avvenuto un imprevisto a casa.” Lei non rispose. Lui incominciò a mandare decine e
decine di messaggi, dicendo che voleva essere perdonato, dopo molti messaggi fecero
pace. Ricominciarono a chattare, inviandosi anche foto intime. Quado la madre di
Sara arrivò a casa trovò la figlia al telefono e gli consigliò di non usarlo troppo. Sara
non l’ascoltava. In un paio di giorni quel telefono diventò dipendenza. Oggi questo
problema di dipendenza dalla tecnologia è molto diffuso. Secondo le statistiche più
recenti, il tempo medio di utilizzo quotidiano di una tecnologia digitale da parte di un
adolescente, supera il tempo dedicato al sonno. Sara non andava più a scuola, non
sentiva più i suoi compagni e quando mancava la connessione andava in panico. La
ragazza non parlava più con sua madre, chattava solo con Stefano, che dopo un mese
si fece avanti e si decise ad incontrarla. L’incontro avvenne in una sera piovosa. Sara
aveva indossato un vestito, stava sola nel parco quando venne una persona
incappucciata e gli mise una mano sulla bocca e la portò in un posto lontano da quel
paese, la picchiò, drogò e violentò. La mattina dopo si ritrovò in un vicolo che non
conosceva e non si ricordava niente di quello che era capitato. Si alzò e andò a vedere
dove si trovava; e si accorse che si trovava in un paesino lontano dal suo. Poi, di nuovo
quel uomo, andò verso di lei e gli mise la mano sulla bocca e la uccise, con un colpo
dritto alla gola. Dopo un paio di ore che la madre di Sara non vedeva la figlia, andò dai
carabinieri a denunciare una scomparsa. Due giorni dopo la scomparsa la ritrovarono
con i vestiti strappati, buttata in un cassonetto della spazzatura. Un paio di mesi dopo
si scoprì che, chi la uccise, era quel ragazzino con cui chattava, che, in realità era un
uomo di quarantasei anni sposato e con tre figli.
Carolina Cimmino
ALESSANDRO E LA SUA DIPENDENZA
Nella mia classe, due settimane fa, il mio amico Alessandro, fu sorpreso a conversare
con Maria, la sua compagna di banco, durante il compito in classe. La professoressa
gli mise una nota e alla fine della giornata scolastica, Alessandro, si sentì libero.
Alessandro appena uscito dalla scuola andò a casa sua con la sua famiglia e visto che
era l’ultimo giorno di scuola, la madre e il padre, gli fecero un regalo per aver avuto
buoni voti in tutto l’anno scolastico. Questo regalo era un cellulare di ultima
generazione. Alessandro, da quel momento non se ne liberò più. Infatti, lo teneva
vicino quando dormiva, quando andava al mare e quando pranzava. Ormai ne aveva
fatto una sua dipendenza. Come volevasi dimostrare, Alessandro non faceva altro che
usare il suo cellulare senza preoccuparsi più di ciò che gli chiedeva la madre o qualsiasi
altro familiare. Ogni scusa era buona per restare a casa con il suo cellulare. I genitori
se ne accorsero solo dopo qualche mese. Fecero di tutto per fargli togliere questa
dipendenza che tutto il mondo ne è vittima; gli diedero vari punizioni. Come prima
cosa gli tolsero il cellulare per un po’ di tempo ì, poi gli fecero fare delle faccende di
casa fin quando non gli era permesso di riprendere il suo cellulare. Ma tutte queste
punizioni non erano servite a niente perché poi incominciò la scuola e lui iniziò a
prendere brutti voti. Infatti aveva tutte insufficienze. Lui, in seguito, incominciò a non
uscire più a causa di questa tecnologia, in poche parole stava “gettando tutto all’aria”
perché aveva lasciato anche il calcio che, prima del cellulare era la cosa che amava (a
fine anno doveva anche fare dei provini per delle squadre della Serie A). I genitori
erano disperati non sapevano più cosa fare, si resero conto che nonostante tutto ciò
che avevano fatto non erano riusciti a risolvere il problema del loro figlio. Così
decisero di cambiare strategia e invece di continuare a dargli punizioni inutili, decisero
di parlare di più con lui cercando di capire la sua necessità e cosa lo rendeva schiavo
della tecnologia. A Natale, secondo me, gli fecero il regalo più bello che gli era stato
mai fatto; gli tolsero il telefono e gli regalarono un pallone da calcio e gli dissero di
inseguire quel sogno che tutti i ragazzi rendeva felici. Da quel momento in poi lui andò
bene a scuola e dopo aver fatto un “provino”, lo presero nell’Udinese. Diventò un
calciatore professionista e si laureò anche in ingegneria meccanica.
Andrea Corcione
Carlo era uno studente di seconda superiore e aveva la passione per i videogiochi. Ogni pomeriggio passava ore intere davanti allo schermo, si isolava dal mondo esterno, si chiudeva nella sua stanzetta e quando i genitori tornavano dal lavoro e lo chiamavano lui era come ipnotizzato, non rispondeva mai. Era come in un altro mondo, un universo parallelo dove c’era solo lui e il suo computer. La sua cameretta era il suo rifugio, era una stanza immensa piena di aggeggi tecnologici; sulla scrivania c’era il suo amato computer, su di una parete c’era un maxi schermo, accanto al letto c’era un mini robot, si divertiva molto a programmarlo; nella sua stanza non c’era più nulla che lo legava alla sua infanzia, tranne un orsetto che amorevolmente custodiva sul suo letto. Quell’orsetto era il ricordo di una vacanza che lui aveva fatto dal bambino insieme ai suoi nonni. Quell’anno erano stati a Berlino, lì visitarono molti monumenti come il “Duomo Di Berlino”, il castello di “Charlottenburg”, e un museo fantastico Ebraico. Carlo da quando aveva 8 anni era molto affascinato dalla storia degli Ebrei, infatti fu proprio lui ad insistere a convincere i suoi nonni ad andare a Berlino per visitare il museo Ebraico; ne avevano parlato molto a scuola e lui colpito e affascinato dalla storia volle vederlo da vicino. Carlo era amato dalla famiglia, era figlio unico ed era molto viziato, sin da piccolo i suoi genitori lo avevano sempre accontentato ed appoggiato ad ogni sua scelta. Infatti fu proprio il suo papà a comprargli il suo primo telefono; da quel giorno la situazione iniziò a peggiorare sempre di più, non aveva più amici, non parlava più con i genitori, non usciva nel fine settimana, persino non mangiava molto arrivando al punto di svenire, infatti un giorno svenne a scuola, venne soccorso dalla professoressa e lo portarono subito in ospedale. Da quel giorno i genitori capirono che la situazione era diventata preoccupante e dovevano intervenire per il bene del figlio, così decisero di metterlo in punizione togliendogli qualsiasi cosa elettronica per farlo disintossicare da quella dipendenza. Lui all’inizio era arrabbiato con i genitori perché non sapeva stare senza tecnologia, ma dopo un po' di mesi iniziò a diventare il Carlo di una volta; giocava con gli amici, usciva il pomeriggio al parco con i nonni e iniziò a mangiare come prima, la madre gli preparava spesso il piatto che a lui piaceva molto. Riuscì finalmente a liberarsi della tecnologia, ringraziò i suoi genitori perché solo grazie a loro che lo misero in punizione si rese conto che al di fuori del mondo tecnologico si vive meglio e ci si sente liberi. I genitori gli ridiedero il computer perché il web è importante sotto alcuni aspetti tipo approfondire qualche argomento attraverso le notizie, ma è importante anche per svagarsi con la mente una mezz’oretta al giorno giocando con il computer ma senza farne abuso. Il ragazzo ubbidì ai genitori e dopo un paio di mesi migliorò anche a scuola dedicando la sua giornata non solo al computer come faceva prima ma la dedicava ai compiti, al tempo trascorso al parco e anche una mezz’ora al gioco.
Pierluigi Di Lorenzo
Internet e le nuove tecnologie hanno modificato molti ambiti della nostra vita quotidiana: lavoro, scuola, tempo libero, relazioni etc... se per gli adulti Internet rappresenta soprattutto una fonte di informazione, i giovani vedono nel web innanzitutto un mezzo per comunicare con gli amici e divertirsi, ed è proprio questo uso delle nuove tecnologie che preoccupa i genitori. In effetti, essendo quella dei nuovi media una realtà molto recente e in continuo sviluppo è difficile orientarsi. Per i genitori è una sfida quella di rapportarsi alle tecnologie in continua evoluzione che fanno parte della vita dei loro figli, ma anche degli adolescenti in generale proprio perché Internet risponde efficacemente alle loro attese e alle loro necessità, i giovani sentono il bisogno di sentirsi con i loro amici e amiche e questi mezzi di comunicazione ti danno la possibilità di stare sempre in contatto con loro. Non appena rientrano a casa, infatti, si precipitano al cellulare o al computer per continuare a comunicare con gli amici proprio perché grazie al cellulare e attraverso Internet si è sempre raggiungibili e si ha la possibilità di accedere a qualsiasi contenuto e a tutte le ore. L'adolescenza è un periodo pieno di domande: "chi sono?" "Chi voglio diventare?" "Come mi considerano gli altri?" e così i nuovi mezzi di comunicazione permettono ai giovani di conoscere altre persone attraverso un avatar e così facendo il loro aspetto fisico non ha importanza, su Internet non c'è bisogno di essere alti, bassi, magri o grassi ma ognuno può costruirsi la propria identità che preferisce o addirittura crearne altri. I nuovi media hanno il di essere riconosciuti come Facebook, per esempio, che permette di contare i propri amici, le telefonate che si ricevono, il punteggio che si realizza in un gioco online e tanto altro ancora... Però c'è da dire che i nuovi media hanno anche degli aspetti positivi importanti favorendo anche lo sviluppo delle capacità del giocatore. Finché non ne viene fatto un utilizzo eccessivo le nuove tecnologie permettono anche di sviluppare la concentrazione e la capacità di apprendere. Navigando da una pagina all'altra, i giovani imparano a distinguere rapidamente le informazioni importanti da quelle inutili. I genitori hanno un ruolo importante nell'educazione mediatica dei propri figli. I ragazzi hanno bisogno di confrontarsi con i genitori per poter costruire una propria opinione, parlare e discutere insieme di un videogioco, così come una trasmissione televisiva o radiofonica, permettendo agli adolescenti di sviluppare una propria opinione ed è proprio per questo che è importante discutere con i figli. Il buon senso e l'educazione hanno un ruolo fondamentale anche nel mondo virtuale e come genitori avere l'esperienza necessaria per insegnare ai figli come comportarsi in una società. Nello De Falco
Jerry e la Volpe C’era una volta una volpe, detta “la furba”, mentre passeggiava per i campi, come suo
solito, per cercare del cibo si imbatté in una strana figura. La volpe incuriosita, decise
di seguire il misterioso personaggio ma con molta prudenza. Camminarono a lungo e
alla fine l’oscuro omino si espose alla luce del sole rivelando la sua bassa statura e il
suo cappello appuntito: era uno gnomo! Pronunciò delle parole borbottando tra sé e
sé mentre si fermava. Poi disse :<Allora…perché mi stai seguendo? Per caso non hai
mai visto uno gnomo?>. A quel punto lo gnomo fece un sorriso alla volpe e si presentò
a lei rivelandogli che si chiamava Jerry e da poco si era trasferito in quella zona. Anche
la volpe si presentò e quello fu l’inizio di una grande amicizia. Infatti da quel giorno
cominciarono a frequentarsi sempre più, andando in giro “per mari e monti” come
diceva Jerry. Ma un triste giorno lo gnomo si ammalò e la volpe da sua vera e unica
amica, andò a cercargli delle cure. Andò alla farmacia al centro del bosco ma non trovò
nulla. Provò allora ad andare al pese più vicino dove sicuramente avrebbe trovato
quello che cercava. Purtroppo era un viaggio lungo e pieno di insidie ma decise di
intraprenderlo per il suo amico. La volpe dovette superare molte difficoltà e prestare
molta attenzione ai banditi ma con la sua intelligenza riuscì a passare gran parte del
tragitto. Ad un certo punto si ritrovò davanti una grande arcata che dava segno di un
entrata, precisamente l’entrata SUD del paese. La volpe si fece coraggio ed entrò. Nel
frattempo a casa dello gnomo si stava creando una piacevole atmosfera che fu
interrotta dal suono di un campanello. Lo gnomo aprì la porta abbastanza perplesso
e trovò un cucciolo di lupo che chiedeva aiuto; era messo male. Aveva ferite quasi su
tutto il corpo. Jerry era spaventato poiché i lupi attaccarono il suo villaggio tempo
prima. Decise comunque di aiutarlo e ospitarlo in casa sua. Nel frattempo la volpe
notò che non c’era nessuno per strada e le locande stavano per chiudere ma arrivò in
tempo alla farmacia e prese le medicine che gli occorrevano. Si erano fatte quasi le
dieci di notte, quindi la volpe decise di stare in quella città per dormire. Allora trovò
un albergo, cenò e andò a riposare. Jerry, intanto era preoccupato per il cucciolo e
aspettava con ansia la sua amica volpe. Si fece l’alba e per la volpe era tempo di
ritornare a casa così si incamminò. Una volta arrivata a casa dello gnomo, gli fu
spiegata la storia del piccolo lupetto. Alla fine capì e accettò di condividere i
medicinali. Dopo circa tre mesi dall’accaduto la volpe, Jerry, e il lupetto, di nome Zack,
erano diventati grandi amici e passavano quasi tutto il tempo insieme. La morale i
questa storia è che chi trova un amico trova un tesoro.
Alessandro Tafuro
Marco ha 17 anni. Da alcuni mesi, quasi un anno, non stacca lo sguardo dal monitor
del suo computer. A scuola qualche volta va, ma solo quando riesce a svegliarsi. La
sua giornata inizia intorno alle 14.00, quando si alza e si mette di fronte al PC. Termina
intorno alle 6.00 del mattino. Tra le 14.00 e le 6.00 cena, qualche volta insieme ai
genitori, altre volte da solo di fronte al computer. Le relazioni con persone in carne
ed ossa sono poche e capita che Marco in tre settimane non veda nessuno al di fuori
dei genitori. Al computer lui si diverte con giochi online, guarda serie TV e costruisce
video da caricare su Youtube, dove inoltre ha molte visualizzazioni. L’attività che
svolge di più sono i giochi in rete con altri utenti. Qui attraverso il suo Avatar, Marco
ha un’altra vita e non riconosce più la differenza tra il mondo reale e quello virtuale:
Marco e il suo Avatar sono un’unica cosa e in rete può fare incontri con altri Avatar,
conquistare mondi nuovi, provare emozioni e sensazioni. Apparentemente, secondo
lui, in questo mondo virtuale trova tutto quello di cui ha bisogno. Lo stare sempre più
tempo davanti al computer è dovuto sicuramente alla difficoltà di Marco a
relazionarsi con i compagni di classe e il sentirsi inferiore a loro, subendo anche degli
atti di bullismo. Inoltre l’assenza dei genitori, sempre occupati dal lavoro, e la
mancanza di affetto da parte loro, lo hanno fatto chiudere sempre di più in se stesso
e fatto diventare sempre più fragile. La famiglia, che ha sempre considerato la
condotta del figlio meno preoccupante rispetto ai comportamenti dei suoi coetanei,
come fumare, bere, tornare a casa la notte, si è spaventata con l’aumento
dell’aggressività di Marco. Come quando il papà provò a staccargli il modem, il ragazzo
ebbe reazioni violente e non solo verbali. Così i genitori hanno capito che il proprio
figlio si stava trasformando in una specie di “mostro”, che non comunicava più con
loro, che non provava più sentimenti e che si stava allontanando sempre di più dalla
vita reale. Sabato scorso Marco doveva prendere il treno alla stazione per arrivare a
Napoli e raggiungere dei vecchi amici di infanzia che lo avevano contattato tramite
Facebook e insistito tanto per rivederlo. Lui, anche se con un po’ di esitazione, accettò.
Si alzò alle 10.00, anche se avrebbe dovuto pendere il treno delle 8:30, troppo stanco
per svegliarsi dalla sera prima perché giocando ai videogiochi si è addormentato alle
4:30 del mattino. Si veste in fretta e furia e avvisa i genitori che restano molto contenti
dato che il figlio ormai viveva davanti al computer della sua stanza e non usciva mai
di casa. Perde due treni e un terzo per essersi distratto al cellulare. Dopo aver
sbagliato strada ed essere arrivato con quasi 3 ore di ritardo, arriva finalmente
all’appuntamento. Lui era un po’ agitato non essendo abituato a incontrare persone
vere. Appena lo vedono gli vanno incontro, lo abbracciano, scambiano due
chiacchiere e subito si sente più a suo agio. La madre, conoscendo già questi amici del
figlio, li chiama appena Marco esce di casa e racconta loro la situazione del ragazzo e
il fatto che non si stacchi mai dal PC, chiedendogli di farlo distrarre dal quel mondo
virtuale. Così gli amici gli dicono di non usare il cellulare perché si sarebbero divertiti
anche senza tecnologia. Marco finalmente inizia a distrarsi dimenticando i videogiochi
e si diverte davvero. Fanno un giro per Via Chiaia, Mergellina, il Vomero, poi arrivano
a Posillipo e si fermano a mangiare una pizza. Parlano del più e del meno. Marco
racconta di non avere buoni rapporti con la sua classe e che a volte viene preso in giro
e per questo si rifugia al computer. Gli dicono che di loro si può fidare e che li avrebbe
potuti chiamare per qualsiasi cosa. Marco non si sentiva così tranquillo e spensierato
da tantissimo tempo ormai. Gli spiegano anche che stare così tanto tempi davanti allo
schermo del PC non gli fa bene né fisicamente né psicologicamente e per un po’
continuarono a parlare di questo. Si fa sera e arriva il momento di tornare a casa. I
cinque amici si salutano promettendosi di rivedersi ancora. Marco torna a casa felice
di aver trascorso una giornata diversa dalle altre, divertendosi anche senza il Web.
Marco è un ragazzo alto e con un bel fisico dato che frequentava la palestra. Anche
se dentro è fragile e sensibile, fuori sembra forte, antipatico e presuntuoso. Beh lui
non è così. Lui è dolce, tenero, premuroso e se ci tiene davvero te lo dimostra in tutti
modi. E nei suoi occhi azzurri, se li guardi bene, tutta quella dolcezza e fragilità si vede.
Ma devi guardare bene perché è molto chiuso e riservato. Ti verrà anche voglia di
arruffargli i folti ricci castani. Ha le labbra rosse e carnose e il naso all’in su, come un
folletto. Mi piace il suo stile, è casual e semplice, costituito da T-shirt bianche e nere,
jeans vecchi e strappati e scarpe sportive. Ha tante qualità che non tira fuori
facilmente e il suo essere timido, riservato e il non accettarsi abbastanza è la causa di
tutte le prese in giro che subisce. Però grazie a quei quattro ragazzi con cui passò
l’intero sabato, Marco comprese finalmente quanto sia inutile sprecare così tanto
tempo con la tecnologia invece di crearsi un futuro attraverso lo studio e fare amicizie
ed esperienze nuove con persone vere e così fece. Iniziò ad andare di più a scuola e a
dialogare con i compagni che man mano lo accettarono. Da lì a pochi mesi Marco
diventa più aperto e meno timido migliorando anche il rapporto con i genitori e si
allontana sempre di più dai videogiochi. Comincia ad uscire con gli amici più spesso
ed è così che riesce a liberarsi da quella dipendenza dai social.
Granato Elisa
Negli ultimi anni le tecnologie stanno facendo dei passi da gigante sia nell'elettronica,
sia nell'informatica e anche nell'ambito dell'ingegneria. Ad oggi quasi ogni persona
sulla faccia della terra ha un cellulare oppure un computer. I colossi di questi tre
ambiti sono: Samsung, Apple, Asus, Hp e Microsoft. Grazie alle nuove tecnologie ci
sono sempre più social network e quelli che vanno più di moda sono: Facebook che è
stato creato da un ingegnere informatico tedesco di nome Mark Zuckerberg nel
lontano 2006, Facebook ha avuto un successo enorme e ha portato Mark a creare
anche altre app come Instagram un social-network che in questi ultimi tempi è il più
blasonato, Mark ha creato anche altre app come snapchat anche se non ha avuto
successo come i primi due ma comunque ha portato i suoi benefici a Zuckerberg. Fra
i primi social-network possiamo trovare anche WhatsApp che è stata un'app che ha
rivoluzionato tutto il mondo tecnologico questa è un'app che permette di inviare
messaggi ed SMS gratuitamente e negli ultimi aggiornamenti hanno aggiunto anche
le chiamate vocali e le videochiamate. Qualche settimana prima dell'aggiornamento
delle videochiamate su WhatsApp, scaricai un'app che era basata solo su
videochiamate, su quest'applicazione era possibile giocare e stare allo stesso tempo
in videochiamata con un tuo amico. Ricordo le mie prime videochiamate con un mio
amico delle elementari dove guardavamo gli episodi del wrestling insieme e
giocavamo tramite il cellulare. Oltre a giocare e stare in contatto con amici le app
hanno anche altri scopi come: informarsi su cosa accade nel mondo, visionare posti
che nella realtà non si potranno mai raggiungere, conoscere persone di etnie, età e
culture diverse. Il riscontro positivo Delle app sui giovani è dovuto anche dalla
curiosità e dalla voglia di conoscere e capire cosa si può fare con la tecnologia. Visto
che tutti i ragazzi di oggi seguono le ultime tendenze anche i bambini ora hanno un
cellulare e sanno usarlo anche molto bene, per me questa cosa è sbagliata perché un
bambino deve essere spensierato e godersi la vita nel miglior dei modi e quindi non
devono stare troppo tempo a fissare il loro cellulare. Tutti in questo mondo seguono
sempre più la moda come per i bambini che ormai i giocattoli non sono più venduti e
vengono sempre meno fabbricati, tutti i giovani invece non scendono più di casa per
uscire con amici, per giocare a pallone o per fare qualche pic-nic insieme. Tutti noi
ragazzi stiamo sempre più tempo vicino alla PlayStation o fissi a guardare il cellulare
è noi stiamo diventando sempre più dipendenti dalla tecnologia e dalle sue
sfaccettature. La stessa cosa è anche per le persone adulte, anche loro se devono
andare a qualche festa di compleanno regalano al festeggiato qualcosa di tecnologico
che soddisfi i gusti del festeggiato. Ogni mese le aziende tecnologiche più importanti
sfornano quasi sempre un vero e proprio top di gamma... Beh è proprio lì che si
scatena la guerra per chi riesce ad ottenerlo prima. Io ho un telefono che si chiama
Huawei mate 10 lite è un gran bel telefono anche se qualche volta ha qualche intoppo
non significa che io debba cambiarlo subito come fanno altre persone che appena il
loro cellulare viene un po' meno sono pronti a comprare uno nuovo perché ormai
questa tecnologia è bella ma diventa sempre più obsoleta e per tanti versi ci ha
migliorati ma allo stesso tempo limita le relazioni sociali.
Samuele Alberto