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MODULO 12 Procedure didattiche: attività di classe Paolo E. Balboni Università Ca’ Foscari - Venezia

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MODULO 12 Procedure didattiche: attività di classe Paolo E. Balboni Università Ca’ Foscari - Venezia

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Indice 0. Guida al modulo 12.1. Le mete glottodidattiche e le tecniche didattiche per raggiungerle

12.1.1 Tecniche didattiche: attività ed esercizi 12.1.2 Tecniche didattiche: parametri per la loro valutazione 12.2. Saper fare lingua: le abilità 12.2.1 Il modello tradizionale delle “quattro abilità” 12.2.2 Il modello complessivo delle abilità per BICS e CALP 12.2.3 Le abilità di comprensione

12.2.3.1 La natura delle abilità di comprensione 12.2.3.2 Tecniche per il loro sviluppo cognitivo 12.2.3.3 Tecniche per l’attività di classe 12.2.3.4 Semplificazione dei testi o facilitazione dei percorsi di

comprensione12.2.4 Le abilità di produzione

12.2.4.1 Tecniche per il lo sviluppo delle abilità produttive 12.2.5 Le abilità integrate

12.2.5.1 Saper dialogare 12.2.5.2 Saper scrivere sotto dettatura12.2.5.3 Saper prendere appunti

12.2.6 Le abilità di trasformazione dei testi12.2.6.1 Saper riassumere12.2.6.2 Saper parafrasare12.2.6.3 Saper tradurre

12.3. Saper fare con la lingua: la competenza socio-pragmatica

12.3.1 Efficacia, appropriatezza, correttezza12.3.2 L’aspetto pragmatico della comunicazione12.3.3 L’aspetto socioculturale della comunicazione 12.3.4 Tecniche per lo sviluppo del saper dialogare

12.4. Sapere la lingua: la competenza linguistica12.4.1 La natura delle “regole”12.4.2 Tecniche per la scoperta delle “regole”12.4.3 Tecniche per la fissazione delle “regole”12.4.4 Tecniche per la sistematizzazione delle “regole”

12.5. Saper integrare linguaggi verbali e non verbali12.5.1 Tecniche per il lavoro sui linguaggi non verbali

12.6 Tecniche didattiche e dimensione ludica 12.7 Guida all’approfondimento

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Guida al modulo Questo modulo è intimamente legato al Modulo 11, di cui rappresenta la realizzazione nella quotidianità dell’attività di classe, sia che questa sia condotta nella classe vera e propria sia che si svolga nel Laboratorio di italiano L2 (11.8). Nel Modulo 11 abbiamo discusso i “modelli operativi”, cioè le diverse forme di progettazione, organizzazione, programmazione dell’attività didattica; qui descriveremo le tecniche glottodidattiche, cioè le attività di classe, gli esercizi, i giochi che si possono realizzare per:

a. acquisire le abilità linguistiche di base, quelle integrate e quelle di studio (12.2); particolare attenzione viene data alla competenza socio-pragmatica, quella che consente di interagire in maniera appropriata ed efficace nei vari contesti d’uso in cui lo studente si trova a dover agire con l’italiano (12.3)

b. acquisire le “regole” dell’italiano, intese come meccanismi di funzionamento della lingua, non come norme da ossequiare (12.4)

c. imparare a riflettere sulla dimensione non verbale della comunicazione, e quindi diventare dei buoni osservatori per acquisire la padronanza dei linguaggi non verbali (12.5).

Nella sua stesura, questo modulo diviene fatalmente una sorta di lista: consigliamo di prenderlo non tanto come una lista sequenziale di procedure da “imparare a memoria”, quanto piuttosto come una banca dati, un repertorio di possibilità da sfruttare a seconda dei bisogni che, di volta in volta, emergono.

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12.1. Le mete glottodidattiche e le tecniche didattiche per raggiungerle Le attività che si svolgono per l’educazione linguistica si inseriscono nella prospettiva dell’educazione tout court, e che quindi valgono per l’educazione linguistica le tre mete classiche dell’educazione generale: culturizzazione, che permette la socializzazione, che a sua volta pone le condizioni per l’autopromozione. L’educazione linguistica, tuttavia, ha anche delle mete glottodidattiche, che le sono specifiche, e che consistono nelle varie componenti della competenza comunicativa. Prendendo le mosse dal concetto chomskiano di “competenza” la sociolinguistica degli anni Settanta, specialmente ad opera di Hymes, ha elaborato la nozione di competenza “comunicativa”, che include la competenza linguistica, cioè la padronanza dei meccanismi fonologici, morfositattici, testuali, nonché del lessico; quella extralinguistica e quella socio-pragmatica. La competenza comunicativa si definisce dunque come la capacità di usare tutti i codici, verbali e non, per raggiungere i propri fini nell’ambito di un evento comunicativo Per approfondimenti cfr. modulo 8). In ambito glottodidattico il concetto di “competenza comunicativa” è stato allargato:

- da un lato c’è la dimensione legata ai codici linguistici ed extra-linguistici (“sapere la lingua” (12.4))

- in secondo luogo c’è il loro uso in situazione (dimensione strategica, socio-pragmatica e culturale: “saper fare con la lingua”(12.3))

- infine c’è il concetto di “saper fare lingua”, cioè della padronanza dei processi cognitivi, oltre che linguistici, che sottostanno alle abilità linguistiche (12.2).

Per raggiungere queste mete, che si realizzano in obiettivi di minor portata, si usano delle attività e degli esercizi, che globalmente si definiscono tecniche glottodidattiche oggetto di questo modulo. Chi vuole può approfondire (e la cosa è utile perché non si tratta di mero nominalismo ma di un dato concettuale) la differenza tra “attività” ed “esercizi” (12.1.1) e interrogarsi su quali parametri usare per valutare le tecniche glottodidattiche (12.1.2).

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12.1.1 Tecniche didattiche: attività ed esercizi Le tecniche didattiche attraverso le quali si mira a raggiungere le competenze glottodidattiche (12.1) sono categorizzabili in due grandi famiglie, “attività” ed “esercizi”. La attività glottodidattiche sono quelle in cui si usa la lingua, sebbene in maniera spesso ridotta, per raggiungere uno scopo comunicativo, cioè fare qualcosa con la lingua: scambiarsi informazioni, colmare dei vuoti di informazione, partecipare o vincere in un gioco, convincere qualcuno a fare qualcosa, e così via. Gli esercizi sono quelli in cui, come dice la parola, ci si esercita, ci si addestra: sono tecniche senza uno scopo comunicativo, ma finalizzate alla fissazione, alla creazione di mental habits, alla manipolazione. Sono chiaramente “attività” i roleplay, le simulazioni di vario tipo, i giochi; sono chiaramente “esercizi” quelli strutturali, le trasformazioni dai singolare al plurale o dal presente al passato, e così via. La distinzione spesso è sottile: nella simulazione, ad esempio, abbiamo sia “attività” (come nel caso dei roleplay, in cui si gioca un ruolo creativo, si ha uno scopo da raggiungere attraverso l’uso finalizzato della lingua) sia “esercizi”, come ad esempio la drammatizzazione, in cui lo studente deve semplicemente recitare a memoria o leggendo un testo: sa già cosa deve dire, sa che cosa risponderà l’altro attore, non c’è alcuna creatività. La distinzione è importante perché le attività sono motivanti e coinvolgono entrambi gli emisferi del cervello (quello globale, intuitivo, destro; quello analitico, verbale, sinistro), mentre gli esercizi sono poco motivanti, diventano odiosi se sono reiterati, si rivolgono solo all’emisfero sinistro del cervello. Entrambe le modalità sono necessarie, così come per imparare a giocare a calcio servono sia gli esercizi di dribbling e tiro in porta, sia delle partite vere e proprie in cui le abilità esercitate diventano attività sportiva a tutti gli effetti, sebbene di scadente qualità calcistica; allo stesso modo per imparare a suonare il pianoforte servono sia gli esercizi sulle scale, sia le attività come l’esecuzione del Piccolo Montanaro di fronte a mamma e papà. E’ possibile aggiungere un tocco di creatività, e quindi aggiungere motivazione ed interesse, anche ad alcuni tipi di esercizi: se una drammatizzazione si svolge su testi elaborati dagli studenti stessi anziché fotocopiati e distribuiti, se gli studenti vengono coinvolti nella regia della drammatizzazione, allora anche una drammatizzazione diventa comunicativa, coinvolge l’intera persona dello studente, si trasforma in attività; allo stesso modo, molti esercizi come il cloze, le tecniche di incastro ecc., possono diventare delle attività se c’è una specie di gara con se stessi, con le proprie capacità cognitive e comunicative: diventano gioco, e il gioco è la massima espressione delle attività didattiche, anche quando serve a far memorizzare i giorni della settimana o a contare fino a 100 come il nascondino (11.7.6).

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12.1.2 Tecniche didattiche: parametri per la loro valutazione A differenza dell'approccio, che ha una dimensione filosofica, e a differenza del metodo che deve realizzare l’approccio in termini di progettazione curricolare ed organizzazione didattica, le tecniche non ammettono giudizi di valore in sé (buona/cattiva) o in relazione alla storia della glottodidattica (tradizionalista/innovativa), ma solo di

- coerenza con l’approccio - efficacia nel produrre l'effetto voluto.

Abbiamo voluto isolare questo concetto dal paragrafo in cui abbiamo descritto la natura delle tecniche (12.1.1) per fare risaltare questa caratteristica delle tecniche, che sono meri strumenti, perché troppo spesso nella prassi si valutano le tecniche anziché i metodi e gli approcci (cioè l’idea di lingua e comunicazione che sottostà alla metodologia messa in atto). (Per approfondimenti cfr. Modulo 10) Un bastone non è buono o cattivo in sé: può essere usato da un violento per colpire o da un vecchietto per camminare: è l’uso, non l’ente, che è valutabile. Un bastone può essere nuovo e polito o vecchio e segnato dagli anni: quello che conta, tuttavia, non è l’età, ma il fatto che serva o non (che sia efficace/inefficace) per stordire qualcuno, se a usarlo è un malvagio, o a camminare fino all’osteria, se lo usa un vecchietto. Le tecniche sono i “bastoni” dell’insegnante di italiano L2: può usarle per umiliare lo studente immigrato, per farlo sentire inadeguato, per farlo annoiare, per dimostrare il suo potere di adulto madrelingua, oppure può usare le stesse tecniche rispettando l’affettività, aiutando a scavare quel magma che è la lingua: non è la tecnica che è giusta o sbagliata, lo è l’uso che ne fa l’insegnante.

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12.2. Saper fare lingua: le abilità Quando si vuol dire che una persona sa una lingua, non si dice che ne conosce il lessico o ne padroneggia la morfosintassi, ma si dice che “sa parlare” una lingua: è infatti attraverso le abilità linguistiche che si comunica, che si “fa” lingua. (Per approfondimenti cfr. Modulo 9) Tradizionalmente si articolano le abilità secondo un modello quadripolare, due scritte e due orali, oppure due ricettive (non “passive”: comprendere e leggere sono tanto “attive” quanto parlare e scrivere): è un modello comodo ma inadeguato ma per i fini dell’educazione linguistica le quattro abilità non bastano, serve un modello più articolato. ATTIVITA’ DI RIFLESSIONE Prima di esplorare il tradizionale modello delle quattro abilità (12.2.1) e quello più complesso che include abilità interattive e di manipolazione dei testi (12.2.2), provi ad elencare le abilità secondo:

a. l’opposizione orale / scritto b. l’opposizione ricettivo / produttivo c. il fatto che un testo venga in qualche modo trasformato d. la necessità di almeno due partecipanti per la realizzazione di quella/e abilità

Ora acceda pure, tramite i due link evidenziati sopra, alla mappa delle abilità come l’abbiamo pensata noi.

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12.2.1 Il modello tradizionale delle “quattro abilità” Tradizionalmente si considerano le abilità linguistiche secondo due assi: ASCOLTARE PARLARE RICETTIVO PRODUTTIVO LEGGERE SCRIVERE ASCOLTARE LEGGERE ORALE SCRITTO PARLARE SCRIVERE In realtà, tuttavia, le cose sono assai più complesse perché

a. “parlare” viene spesso inteso come “dialogare”, il che è arbitrario: se si parla di abilità pure, non integrate (e il dialogare integra fase di ascolto e di produzione orale (12.2.5)), allora “parlare” sta per “monologare” – ad esempio rispondere a un’interrogazione (che non è un dialogo ma la richiesta di un monologo sul tema assegnato dall’insegnante), oppure raccontare un evento, una favola indiana, una barzelletta brasiliana, descrivere le case in Albania, e così via;

b. le abilità di studio sono ben altra cosa (12.2.2) che non il semplice leggere e scrivere.

L’attività di insegnamento dell’italiano L2 dovrà dunque articolarsi su un modello più complesso di abilità linguistiche (12.2.2).

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12.2.2 Il modello complessivo delle abilità per BICS e CALP Nel modulo 11 abbiamo ripreso due dimensioni i uso della L2 individuate da Cummins con due acronimi diventati di uso comune in tutto il mondo:

- BICS, Basic Interpersonal Communication Skills: la lingua quotidiana, quella del cortile, dei giochi, ecc. L’insegnante può sostenere l’allievo straniero non tanto proponendogli un percorso strutturato, ma aiutandolo a sistematizzare quanto apprende in cortile, dalla TV, ecc., e fornendogli alcuni elementi che non può scoprire da solo. Per una BICS bastano le quattro abilità di base (12.2.1), con una posizione chiaramente secondaria di quelle scritte, e l’abilità di dialogo (12.3);

- CALP, Cognitive and Academic Language Proficiency: la lingua sia dello sviluppo

cognitivo sia dell’interazione scolastica legata alle diverse discipline. In questo caso l’insegnante va concepito come “gruppo di insegnanti” più che come persona singola. Per la CALP, tuttavia, è necessario anche vedere le abilità integrate (12.2.5) e quelle che implicano una trasformazione dei testi (12.2.6). Lo studio presuppone non solo una comprensione (12.2.3) profonda dell’input, ma anche

a. la capacità di prendere appunti (12.2.5.3) sia da una lezione orale sia da un testo scritto,

b. la capacità di riassumere (12.2.6.1), enucleando i punti chiave, c. eventualmente anche la capacità di parafrasare (12.2.6.2), sebbene con i propri

limitati mezzi linguistici, quanto si è letto o ascoltato. In considerazione dell’importanza di queste abilità di trasformazione e manipolazione dei testi dedicheremo alle abilità integrate uno spazio ad hoc, di rilevanza pari a quello delle quattro abilità canoniche. In ognuno dei casi, prima di indicare le tecniche didattiche adatte per sviluppare le abilità (che non si “insegnano” all’allievo, ma si “sviluppano” da parte dell’allievo con la guida dell’insegnante), cercheremo di discuterne per quanto brevemente la natura cognitiva e psicolinguistica.

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12.2.3 Le abilità di comprensione Le abilità di comprensione sono l’ascolto e la lettura; ma la comprensione è alla base di molte delle abilità integrate: il dialogo si costruisce con un’alternanza di fasi di ascolto e produzione; riassunto, parafrasi, traduzione, scrittura sotto dettatura, stesura di appunti muovono dalla comprensione. Riprendendo Krashen, non possiamo non ricordare che il fattore primo dell’acquisizione di una lingua è l’input reso comprensibile: se non c’è comprensione, per quanto minima, non c’è acquisizione. ATTIVITA’ DI RIFLESSIONE Spesso ci si riferisce alle abilità di base sulla traccia fornita dall’opposizione attivo/passivo anziché produttivo/ricettivo. E’ d’accordo nel definire “passive” le abilità di comprensione orale e scritta, cioè l’ascolto e la lettura? Giustifichi la sua risposta, e poi la confronti con quella che proponiamo nel paragrafo 12.2.3.1

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12.2.3.1 La natura delle abilità di comprensione Leggere e ascoltare sono forse più esigenti, sul piano dello sforzo mentale, che non parlare e scrivere: chi parla o scrive sa già di quale argomento tratta, decide quali forme linguistiche usare, se ha difficoltà evita le forme che padroneggia poco e sceglie altre parole o forme magari meno precise ma comunque efficaci, può ricorrere a perifrasi di parole ignote, può chiedere la cooperazione dell’ascoltatore, può fare gesti, disegni, indicare oggetti – e fa tutto questo secondo il ritmo, la velocità che decide lui. Chi ascolta è in balia di chi parla, scegliendo ritmo, parole, forme grammaticali; chi ascolta spesso no sa, all’inizio, neppure di cosa si parlerà, quindi non ha strumenti per fare delle previsioni sul contenuto del testo. La comprensione (orale, scritta, audiovisiva) si bassa essenzialmente su tre fattori:

a. la capacità di prevedere, di anticipare quello che può essere detto, di pre-selezionare nella nostra mente aree semantiche, pragmatiche, grammaticali che probabilmente compariranno nel testo; un allievo immigrato avrà spesso difficoltà nell’attivare questa expectancy grammar, che si basa sulla pre-conoscenza

- di quello che può accadere in una data situazione – ma spesso per gli allievi stranieri le situazioni chiare per noi, che ci siamo cresciuti, sono del tutto aliene, nuove ed imprevedibili

- del lessico che può essere usato parlando di certi argomenti – ma anche i ragazzi italiani spesso sono in difficoltà, specialmente se l’insegnante dimentica che lui sa, quindi può prevedere, ma lo studente non sa ancora…

- delle regole proprie tipo di testo (narrativo, istruttivo, referenziale, ecc.) e del genere comunicativo (barzelletta, conferenza, ecc.) – regole che sono diverse da cultura a cultura, pur ammettendo che alcuni elementi siano universali

- della sintassi: se una frase inizia con “se”, la successiva molto probabilmente inizierà con “allora”; se un sintagma nominale è introdotto da “le”, possiamo prevedere che il resto sarà al femminile plurale. Ma i ragazzi stranieri non sono ancora padroni della sintassi…

- due complessi di conoscenze, che indichiamo nei due punti seguenti.

b. l’enciclopedia, la conoscenza del mondo condivisa tra i parlanti: esistono - degli script, cioè dei copioni di comportamento tipici di molte situazioni: due

persone che si incontrano in un bar si salutano, si offrono qualcosa, che viene accettato o rifiutato, si ringraziano, ordinano, pagano, si congedano; ma i ragazzi immigrati non condividono la nostra esperienza di vita, quindi i copioni di comportamento. Quindi hanno difficoltà a fare proiezioni e, di conseguenza, a comprendere

- dei campi semantici prevedibili, che racchiudono le possibili varianti su un tema: in un bar si possono bere bevande calde, fresche, alcolici; tra le bevande calde c’è il caffè, che può essere lungo, ristretto, macchiato, ecc. Ancora una volta, la mancanza di esperienza diventa drammatica per l’immigrato che deve comprendere

Sulla base delle nostre conoscenze del mondo riusciamo a capire, talvolta, messaggi fortemente disturbati, come quando in una stazione basta cogliere una sillaba per avere conferma del fatto che il treno che attendiamo sta arrivando. Per approfondimenti cfr. 6.3.4 e 6.3.5

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c. La competenza comunicativa nella lingua del testo, che nell’immigrato è ancora in costruzione: possiede cioè un’interlingua, e più essa è limitata meno si può farvi affidamento per comprendere. Insegnare a comprendere l’italiano L2 significa anzitutto affinare le strategie di comprensione, i processi cognitivi che governano la expectancy grammar e dei quali di solito si è inconsapevoli (12.2.3.2).

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12.2.3.2 Tecniche per il loro sviluppo cognitivo Le principali tecniche per sviluppare la expectancy grammar (12.2.3.1) nelle abilità di ascolto e lettura sono: Cloze Accoppiamento lingua-immagine Incastro tra battute di un dialogo Incastro tra fumetti Incastro tra paragrafi Incastro tra testi Tutte queste tecniche si basano su un’applicazione rigida della sequenza globalità > analisi (11.3.2) e sviluppano le capacità di prevedere (su basi situazionali, semantiche, formali) quello che può comparire in un certo punto in un testo o in un evento. Per la loro capacità di creare una sfida tra lo studente e se stesso, esse sono motivanti e possono anche essere assegnate come attività individuali a casa.

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12.2.3.3 Tecniche per l’attività di classe Oltre alle tecniche di carattere cognitivo (12.2.3.2), ci sono anche delle tecniche più utili in classe per guidare e verificare l’attività di comprensione; esse sono meno potenti sul piano cognitivo ma possono comunque servire per esercitare in situazioni particolari la capacità di ascolto o lettura. Si tratta di tecniche “tradizionali” per guidare la comprensione (quindi vanno assegnare prima di affrontare un testo) o per verificarla dopo aver letto, ascoltato o visto il testo. Domanda aperta Griglia Scelta multipla Transcodificazione

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12.2.3.4 Semplificazione dei testi o facilitazione dei percorsi di comprensione La presenza di allievi stranieri deve costringere gli insegnanti di tutta la scuola, non solo quelli che si occupano dell’italiano come L2 , a rivedere criticamente le modalità che vengono usate nelle interazioni scolastiche, la lingua usata nelle spiegazioni, l’uso che viene proposto dei libri di testo. Nei confronti della lingua delle discipline scolastiche, l’insegnante dovrà:

a. mettere in atto strategie didattiche di facilitazione della comprensione: lavoro per gruppi, attività di apprendimento cooperativo, interventi individualizzati, peer tutoring, ma anche lavorare in una dimensione ludica, usare tecniche per l’anticipazione dei contenuti che si andranno a spiegare, promuovere un clima collaborativo nella classe, fare lezioni interattive piuttosto che frontali e legate ad esperienze pratiche e di simulazione

b. operare sulla lingua usata a scuola attraverso la cosiddetta semplificazione dei testi: dovrà quindi rivedere le strategie comunicative e la lingua italiana orale che usa per le spiegazioni, le esposizioni, le istruzioni riguardanti i compiti e le attività scolastiche; rivedere la struttura, i contenuti e la lingua dei libri di testo che ha scelto in adozione e di tutti i materiali scritti che è abituato a proporre ai sui allievi.

Intervenire sulla lingua della scuola non è un processo facile. Il lavoro di semplificazione dei testi scolastici difficilmente può essere fatto da un unico insegnante nel tempo normalmente dedicato alla programmazione delle lezioni: richiede un lavoro di collaborazione e di studio con i colleghi; il forte legame tra trasmissione dei concetti disciplinari e lingua fa in modo che sia indispensabile l’apporto degli insegnanti di tutte le materie di un team docente. Il concetto di semplificazione è fortemente legato al destinatario del testo semplificato: serve quindi un’attenta analisi delle competenze possedute dagli allievi ai quali questi testi sono destinati e una altrettanto attenta verifica dei risultati ottenuti. In forma molto schematica, si può dire che l’intervento dell’insegnante dovrà focalizzarsi prima di tutto sulle principali caratteristiche dei testi orali e scritti che vengono normalmente proposti a scuola e che possono essere fonte di problemi di comprensione:

- la lunghezza del testo - il lessico specialistico, astratto o non conosciuto - l’uso metaforico della lingua - la struttura sintattica complessa della frase - la presenza di nessi linguistici impliciti - l’alto numero di informazioni concentrate in una frase o in un testo - la complessa pianificazione delle informazioni nel testo - la compresenza nello stesso testo di diversi generi testuali: narrazione, descrizione,

argomentazione, relazione, spiegazione, ecc - la presenza di elementi culturali sconosciuti all’immigrato.

(Questo paragrafo è stato steso da Maria Cecilia Luise). Per approfondimenti, cfr. 6.5 e 6.6.

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12.2.4 Le abilità di produzione Allo studente straniero chiediamo due forme di produzione del testo in cui è lui che parla o scrive, il monologo e la composizione scritta (qualto ai dialoghi, definiti erroneamente “produzione orale” in quanto includono anche una componente di comprensione, si veda 12.3) La produzione orale e scritta si svolge secondo un percorso abbastanza lineare articolato in tre fasi: a. Concettualizzazione È il reperimento delle idee; si può procedere individualmente o in gruppo attraverso tecniche come il diagramma a ragno oppure il brainstorming. Nel primo caso l'insegnante indica una parola che, scritta e cerchiettata al centro di un foglio o della lavagna, costituisce il centro di un diagramma a forma di ragno: la parola base rappresenta il corpo e le varie 'zampe' sono altre parole, unite con una linea alla prima, che da essa emergono per associazione di idee (governata dall’emisfero destro del cervello) oppure per conseguenza logica (opera dell’emisfero sinistro); ogni parola nuova può proseguire in una ulteriore stringa di parole oppure creare a sua volta una nuova costellazione, che altro non è che una forma strutturata di brainstorming e come questo serve per individuare possibili linee di sviluppo, per generare metafore, e così via. Il diagramma a ragno e il brainstorming possono essere presentati come esercizio-gioco, condotto alla lavagna o come gara a squadre, per lavorare sul lessico. b. Progettazione del testo In questa fase si procede alla trasformazione delle idee, delle associazioni, delle metafore di cui sopra, in una scaletta, un flowchart, una struttura concettuale che fornirà la coerenza, cioè il filo del discorso che sorregge il testo. c. Realizzazione del testo Essa può generare un testo orale (monologo libero o su traccia) o scritto (composizione). Nel paragrafo 12.2.4.1 in maggior dettaglio i problemi e le procedure per attuare questa fase in classe, guidando gli studenti.

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12.2.4.1 Tecniche per lo sviluppo delle abilità produttive Vediamo in questo paragrafo la terza fase della produzione linguistica, quella in cui le idee che sono state reperite e poi organizzate in uno schema divengono un testo orale o scritto (cfr. 12.2.4). Monologo Il monologo in italiano è una (breve) produzione orale su un tema precedentemente assegnato, in modo che il problema del “cosa” dire non interferisca sull'attenzione al “come” ciò viene espresso, cioè sull'aspetto linguistico: come sono le case in Albania, com’è un matrimonio nel Sri Lanka, come è stata la domenica precedente, ecc. Il monologo presenta un notevole problema operativo: solo in gruppi poco numerosi è infatti possibile mantenere costante la motivazione e l'attenzione dei compagni mentre uno studente parla; in gruppi più numerosi è necessario che il monologo diventi un'attività di ascolto di tutti i compagni: si può ad esempio trasformarlo in una serie di monologhi successivi creando una detective story collettiva (un allievo è il poliziotto, tutti i compagni sono testimoni di un crimine e, interrogati, narrano la loro versione dei fatti: ogni allievo deve ascoltare gli altri per evitare di contraddirli e di divenire sospetto), facendo descrivere un fumetto in successione (inizia un allievo; dopo due o tre vignette, l'insegnante passa la parola ad un compagno, e così via). Se il monologo viene registrato, si può riascoltarlo più volte facendo via via attenzione ai diversi problemi e migliorando, in una riflessione condivisa e quindi molto formativa, la qualità del testo. Composizione scritta Nella versione più tradizionale della composizione, lo studente stende un testo scritto in base ad una sintetica indicazione dell'argomento (è il classico "tema"), ma esistono tante forme di composizione quanti sono i generi testuali scritti: si possono comporre

- descrizioni, che richiedono particolare attenzione alla precisione lessicale e alle nozioni spaziali

- relazioni su eventi, che accentuano la funzione dei verbi e della struttura temporale - narrazioni - lettere formali e non - testi regolativi, come istruzioni per l'uso, spiegazioni di un gioco, il “codice di

comportamento” della classe, ecc. - definizioni sintetiche

e così via. La composizione scritta è una prova assai complessa in cui intervengono tre elementi: una componente cognitiva, il possesso di specifiche informazioni e la padronanza linguistica. Bisogna discutere in anticipo l'argomento e lo scopo della composizione (informare, disquisire, speculare, persuadere, contrastare, dimostrare, inficiare...) se si vuole che lo studente possa concentrarsi sull’aspetto linguistico.

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12.2.5 Le abilità integrate Sono dette “integrate”, perché fanno interagire abilità ricettive e produttive o orali e scritte, la capacità di dialogare (12.2.5.1), scrivere sotto dettatura (12.2.5.2) e prendere appunti (12.2.5.3).

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12.2.5.1 Saper dialogare L’abilità di interazione orale (normalmente detta “saper parlare” o “dialogare”) è quella più rilevante, insieme alla lettura, nel mondo contemporaneo: è su questa abilità che fa perno, nelle sue varie accezioni, l’approccio comunicativo ed è soprattutto nel dialogo che si gioca l’integrazione linguistica dell’immigrato: “dimmi come parli e ti dirò chi sei”... Per il suo integrare in tempo reale le abilità di comprensione e di produzione orale, questa abilità è, fra tutte, la più complessa e difficile da sviluppare e padroneggiare. Per dialogare è necessario: - conoscere gli script o “copioni situazionali” (12.2.3.1) cioè delle sequenze prevedibili

e abbastanza fisse di atti e mosse comunicativi; l’immigrato trova in questa componente la principale difficoltà, visto che i copioni propri della sua cultura di provenienza spesso sono diversi

- saper definire il proprio ruolo all’interno della situazione sociale in cui avviene il dialogo: anche in questo caso la componente culturale gioca un ruolo fondamentale

- prepararsi a comunicare le proprie intenzioni, che rimandano ad una “competenza strategica”, che cerca di organizzare il discorso in modo da raggiungere i fini pragmatici che chi parla si è preposto

- cercare di interpretare le intenzioni, la strategia degli interlocutori per vedere se esiste un punto di accordo, di mutua soddisfazione, in cui entrambi raggiungono i propri scopi

- negoziare i significati quando questi non sono chiari. Il tutto avviene in tempi brevissimi. Approfondiremo questa fondamentale abilità in 12.3.

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12.2.5.2 Saper scrivere sotto dettatura Questa abilità di solito viene considerata in relazione allo sviluppo dell’ortografia, ma serve anche per rafforzare la comprensione – anche se in italiano è possibile scrivere correttamente parole inesistenti, inventate dall’insegnante o dai compagni in una sorta di gioco-sfida molto motivante se tenuto per tempi brevi. Affinché il dettato produca acquisizione è necessario che non crei ansia per evitare che insorga il filtro affettivo (dovuto allo stress, alla paura di sbagliare, all’ansia per la rapidità in cui avviene il dettato): l'autocorrezione è dunque la modalità migliore. Il dettato non è affatto affidabile come test: non tutte le parole scritte correttamente sono comprese e non tutte quelle errate sono ignorate, è impossibile distinguere l’errore dal semplice sbaglio, alcune variabili caratteriali (tolleranza per i rumori e i disturbi esterni, reattività allo stress, velocità di scrittura) hanno un impatto notevole che inficia l’affidabilità del risultato. Tra le varianti del dettato notiamo il dettato-cloze, in cui l'allievo deve scrivere solo le parole mancanti in un testodato in fotocopia. L'autodettato è utile ai fini del recupero: usando la cassetta che contiene i testi registrati in classe o dalla radio e introducendo una pausa dopo ogni battuta, lo studente riscrive il testo e alla fine lo confronta con l'originale, analizzando in tal modo la propria competenza e riflettendo su quanto non gli risulta chiaro per poi discuterne con l’insegnante.

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12.2.5.3 Saper prendere appunti Si tratta di una forma molto personalizzata di riassunto (12.2.6.1), basata su un testo orale (una favola, una lezione, delle istruzioni) o scritto (un articolo, un libro, un manuale in uso per le varie discipline, ecc.). Esistono essenzialmente due formati, caratterizzati dalla presenza o dall’assenza di una guida. Nel caso degli appunti guidati l'allievo trova già uno schema: se ad esempio il testo è un'autopresentazione registrata su nastro, l'allievo ha un facsimile di carta di identità o una griglia da compilare; nel formato più libero, l'allievo deve prendere appunti da un testo orale o scritto e, a distanza di qualche giorno, deve cercare di ricostruire oralmente o per iscritto il contenuto del testo di partenza. Nella sua versione guidata la raccolta di appunti si basa sul meccanismo di scanning, cioè sull'ascolto o sulla lettura mirati all'identificazione di alcuni dettagli. Nella versione libera questa tecnica consente di lavorare su un'attività cognitiva che è tipica anche dell'abilità di riassumere: l'individuazione dei nuclei informativi fondamentali di un testo. Questa abilità non viene di solito esercitata neppure con gli studenti italiani, per cui si tratta di un’attività che non va necessariamente confinata nelle ore di Laboratorio di italiano L2.

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12.2.6 Le abilità di trasformazione dei testi Sono abilità di trasformazione di testi:

a. Saper riassumere (12.2.6.1): riassumendo si impara a concentrare l’informazione, e ciò è utile quando si deve parlare in italiano in cui creare testi lunghi è difficile per l’immigrato. Il riassunto ha dunque un’utilità pragmatica, oltre che concettuale come abilità di studio;

b. Saper parafrasare (12.2.6.2) consente di “aggirare” gli ostacoli, di dire con l’espressione “B” ciò che non siamo capaci di dire con l’espressione “A”;

c. .Saper tradurre (12.2.6.3) significa imparare a ri-concettualizzare, evitando la trappola della trasposizione parola per parola.

Queste abilità – fondamentali soprattutto per l’attività di studio insieme al saper prendere appunti (12.2.5.3) – non dovrebbero essere sviluppate solo in attività per l’italiano L2, ma in tutte le discipline: il Laboratorio di italiano L2 può dare un contributo, nella scuola primaria e nella media, ma, trattandosi di abilità con una forte componente cognitiva, il loro sviluppo è compito di tutte le discipline scolastiche.

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12.2.6.1 Saper riassumere Riassumendo si impara a concentrare l’informazione, e ciò è utile quando si deve parlare in italiano in cui creare testi lunghi è difficile per l’immigrato. Il riassunto ha dunque un’utilità pragmatica, oltre che concettuale come abilità di studio. Questa tecnica richiede

a. la comprensione dei nuclei informativi, b. la loro gerarchizzazione, c. l’individuazione della sequenza temporale d. infine, la stesura di un testo.

La serie di operazioni che abbiamo sommariamente elencato spiega per quale ragione il riassunto sia da considerare una delle tecniche più complesse e, quindi, sia da realizzare in italiano L2 solo quando le varie fasi cognitive siano state assimilate. Questo non può essere fatto solo dal docente di italiano L2 ma deve essere un compito formativo dell’intero gruppo di docenti, che devono accordarsi sul peso da attribuire alle quattro funzioni indicate sopra e come procedere operativamente (ad esempio: evidenziando le parole chiave, poi ricopiandole, poi espandendole, poi connettendo le farsi, ecc.). Si tratta di un lavoro che può proficuamente essere condiviso da ragazzi italiani e immigrati: a parte il problema linguistico, quello concettuale è comune e condiviso. Chiariamo un equivoco dovuto alla nostra tradizione scolastica. In riassunto non è necessariamente un’abilità scritta: il testo di partenza, così come quello d’arrivo (che ne riprende i nuclei informativi essenziali e li dispone in sequenza) possono essere orali; oppure uno orale e l’altro scritto. Il riassunto può essere di dimensione libera o prefissata. Per esercitare il processo di gerarchizzazione delle informazioni si possono fare "riassunti a catena": una prima versione senza indicazioni di dimensioni, poi un riassunto in 200 parole, poi in 150, in 100, in 50 e così via fino a scoprire i limiti della riassumibilità.

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12.2.6.2 Saper parafrasare La parafrasi si realizza producendo un testo (orale o scritto) con lo stesso significato e una struttura parallela a quelli di un testo di partenza, da cui si differenzia sul piano lessicale (uso di sinonimi, di iperonimi e di iponimi, di locuzioni idiomatiche e soprattutto di perifrasi) e morfosintattico, soprattutto a causa dell’eliminazione del discorso diretto. Lo sviluppo di questa abilità ha due funzioni fondamentali nello sviluppo della capacità di comunicare in italiano da parte di un immigrato:

a. lo abitua a parafrasare il proprio pensiero in lingua materna anziché pretendere di tradurlo in lingua italiana

b. lo abitua a creare perifrasi per le parole che non conosce, sopperendo in qualche modo alla carenza lessicale tipica di chi usa una lingua non nativa.

L’abilità di parafrasare è spesso trascurata anche per gli studenti italiani, o è degradata a mera manipolazione formale, mentre è concettualmente interessante e comunicativamente fluidificante, per italiani come per immigrati: si può quindi svilupparla insieme in classe, con un proseguimento (più di commento su quanto fatto che di esecuzione vera e propria) nelle ore di Laboratorio di Italiano L2.

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12.2.6.3 Saper tradurre La traduzione è la tecnica favorita degli approcci formalistici, quindi non gode di buona fama nella glottodidattica comunicativa degli ultimi trent’anni. In realtà la traduzione rappresenta uno dei momenti più complessi dell'attività glottodidattica: è un punto d'arrivo e non una tecnica per apprendere la lingua – anche se può essere un’ottima palestra per riflettere sulla lingua. Il suo ruolo va quindi ripensato nell’Italiano L2: dato un testo nella sua lingua d’origine, l'allievo deve produrre un testo equivalente in italiano, eventualmente con l'ausilio di dizionari ed altri materiali d'appoggio. Se si hanno due o tre traduzioni, ad esempio, della stessa favola araba fatte individualmente da vari allievi maghrebini presenti nel gruppo, quello che risulta produttivo è il confronto tra le varie versioni. Per coinvolgere tutti gli studenti del gruppetto degli immigrati, e non solo quelli che hanno tradotto dallo loro lingua, la prima lettura della traduzione e la prima analisi (individuazione degli errori, richiesta di riformulazione, ecc.) può essere svolta proprio dai compagni (dai non-arabi, nel nostro esempio). Ricordiamo che la traduzione ha come unità minima il periodo, non la frase o la parola come spesso ritengono gli studenti – e se un’utilità c’è nella traduzione, essa sta proprio nel contributo a scoprire che non si può tradurre parola per parola, ma si deve in qualche modo parafrasare in italiano il loro pensiero o il loro testo nella lingua nativa.

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12.3. Saper fare con la lingua: la competenza socio-pragmatica Questa componente della competenza comunicativa può essere definita come

a. la capacità pragmatica di raggiungere i propri scopi attraverso la comunicazione (12.3.2) realizzando le diverse funzioni della lingua attraverso atti linguistici

b. la capacità sociale di usare modalità comunicative adeguate al contesto in termini sociolinguistici, relazionali, culturali (12.3.3).

In altre parole, un ragazzo immigrato ha padronanza socio-pragmatica se riesce a ottenere quello che desidera e ad agire nella società italiana usando la nostra lingua in maniera adeguata al contesto, alla situazione in cui avviene lo scambio comunicativo. Nel paragrafo 12.2.5.1 abbiamo introdotto alcune caratteristiche del “saper dialogare”, abilità cardine in cui si realizza la competenza sociopragmatica e a quel paragrafo rimandiamo per una prima riflessione. Ci limitiamo qui a ricordare che per poter dialogare è necessario: - conoscere gli script o “copioni situazionali” (12.2.3.1) - saper definire il proprio ruolo all’interno della situazione sociale - prepararsi in anticipo a comunicare le proprie intenzioni, (competenza strategica”) - cercare di interpretare le intenzioni degli interlocutori - negoziare i significati quando questi non sono chiari. Quando è possibile dire che una persona possiede una buona competenza socio-pragmatica? C’è ancora nella scuola italiana una tendenza a valutare le competenze in genere secondo una logica “corretto/scorretto”, ma questa semplice opposizione forse non è adeguata quando si considera la lingua come strumento di azione sociale. E’ possibile approfondire questo tema in 12.3.1. Per approfondimenti sull’aspetto sociolinguistico cfr. modulo 2 e per quello pragmatico il modulo 8

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12.3.1 Efficacia, appropriatezza, correttezza Nella tradizione scolastica il metro di valutazione è generalmente “Corretto/scorretto”: l’errore è male. In realtà, a tutti è successo, viaggiando in paesi di cui conosciamo a malapena la lingua, di riuscire comunque a raggiungere il nostro scopo (avere un’indicazione stradale, ordinare al ristorante, arrivare in stazione) in qualche modo, con due parole giuste più o meno corrette sul piano grammaticali ma comunque efficaci su quello pragmatico. Ecco dunque una primo criterio, l’efficacia, la funzionalità pratica. Certo, in un processo di integrazione linguistica degli studenti questa va declinata in maniera attenta: è competente il ragazzino arrivato dalla Cina da una settimana e che ha imparato a chiedere di andare in bagno, ma un anno dopo la sua competenza pragmatica deve consentirgli raggiungere scopi ben più sofisticati e complessi. Diciamo che una persona ha la piena efficacia comunicativa quando la lingua non gli pone più un problema. Chiedere di andare in bagno: è un atto che può essere eseguito in maniere diverse a seconda del contesto: durante la ricreazione, in cortile, con gli amici, ci si esprime in maniera diversa che in classe, durante una lezione: saper cogliere e padroneggiare la varietà dei registri costituisce un secondo parametro per valutare la competenza sociopragmatica: l’appropriatezza o adeguatezza dell’espressione linguistica rispetto al contesto situazionale. Nei primi mesi di permanenza in Italia basteranno l’ìefficacia ed un inizio di appropriatezza, ma la socializzazione reale sarà possibile solo se oltre a questi due parametri si raggiunge un buon livello (e, in prospettiva, un livello pari a quello dei madrelingua) nella correttezza formale, dal livello testuale a quello morfosintattico, dalla padronanza lessicale alla pronuncia. E’ un parametro fondamentale, ma è un punto d’arrivo, non soddisfatto neppure nella maggior parte dei parlanti italiani. Ma il fatto che uno studente sia straniero di origine non lo esime dallo sforzarsi (e non ci esime dallo sforzarci nel convincerlo a sforzarsi) di raggiungere la maggior correttezza possibile: errori che vengono perdonati al madrelingua, infatti, diventano discriminanti nei confronti dell’immigrato. Dimmi come parli e ti dirò chi sei.

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12.3.2 L’aspetto pragmatico della comunicazione L’aspetto pragmatico, come anticipato in 12.3, è un elemento fondamentale della competenza comunicativa, e riguarda la capacità di raggiungere i propri scopi sociali usando la lingua e gli altri linguaggi. Ne consegue che l’efficacia rappresenta uno dei principali criteri di padronanza dell’italiano, anche se essa non può essere disgiunta dall’appropriatezza alla situazione e dalla correttezza formale (12.3.1). La definizione di competenza pragmatica è spesso stata lasciata all’intuizione: “sa cavarsela”, “sa dire e ottenere quello che gli serve”; per una definizione un po’ più scientifica invece è necessario ricorrere ad un impianto funzionale, che può essere tradotto in una scheda individuale di osservazione dei comportamenti linguistici di un ragazzo immigrato. Abbiamo illustrato una scheda di questo genere, basata sulle sei funzioni pragmatiche che la lingua può espletare, in 11.2.3, e a tale scheda rimandiamo. Per un approfondimento teorico della pragmalinguistica cfr. modulo 8

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12.3.3 L’aspetto socioculturale della comunicazione In una scuola di Mestre, qualche anno fa, nel tentativo di far capire agli studenti (italiani!) che l’appropriatezza alla situazione era importante quanto la correttezza formale (12.3.1) un insegnante assegnò un compito per casa apparentemente semplicissimo e divertente: la sera , a cena, gli studenti avrebbero dovuto dare del lei ai genitori, ai fratelli, alle sorelle, e usare un registro formale, per quanto possibile a ragazzini del biennio. Uno degli studenti finì al Pronto Soccorso con il timpano rotto per un ceffone del padre, esasperato da quella che credeva un presa in giro. Per un congiuntivo sbagliato, per una concordanza sbagliata, per un periodo ipotetico mal costruito non è mai finito all’ospedale nessuno. La competenza sociale, legata a doppio filo con quella più genericamente “culturale”, è il primo segno di una competenza che comincia a raffinarsi, una volta soddisfatti i bisogni pragmatici elementari che si possono soddisfare anche con frasi come “io volere andare stazione”. Purtroppo i modelli sociolinguistici costituiti dai compagni di scuola e di giochi non sono il massimo per il ragazzino immigrato, in quanto i (pre)adolescenti italiani esercitano la loro prima ribellino contro gli adulti trasgredendo alle regole di registro – dal turpiloquio, al dare del tu a tutti, alla scelta di tutte le parole basse anche laddove ne conoscono di più formali – ma il ragazzo immigrato sente solo quelle basse, e quindi può usare solo quelle. Creare la sensibilità al ruolo fondamentale della competenza socioculturale è il primo passo dell’integrazione linguistica degli immigrati, e solo una volta creata la consapevolezza di questo bisogno si può procedere a presentare modelli di registro diverso, a vedere film analizzandone questi aspetti, e così via. Ancora una volta ricordiamo che l’abito linguistico fa il monaco: “dimmi come parli e ti dirò chi sei”.

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12.3.4 Tecniche per lo sviluppo del saper dialogare

Per apprendere a dialogare in una lingua non nativa esistono delle tecniche che si differenziano per il grado di autonomia e di creatività lasciato allo studente. In ordine crescente di autonomia e quindi di difficoltà abbiamo: a. Drammatizzazioneb. Dialogo a catenac. Dialogo apertod. Role-taking, role-making, roleplaye.Telefonata In realtà, molte di queste tecniche (che provengono dalla tradizione dell’insegnamento comunicativo della lingua straniera, non seconda) sono di difficile attuazione in un laboratorio di italiano L2, sia per l’innaturalità della situazione, sia perché si finisce per avere un dialogo tra immigrati che sono poveri sul piano comunicativo. Questo ha spesso portato a trascurare lo sviluppo sistematico di questa abilità, affidandosi alla sua crescita spontanea sulla base delle esperienze nell’ambiente scolastico ed extrascolastico. Per migliorare l’efficacia di queste attività, ogni tanto un compagno italiano può essere chiamato ad interagire con l’immigrato in modo che poi sia possibile ripercorrere criticamente la registrazione del dialogo analizzando la differenza tra le performance, le difficoltà sopraggiunte, e così via: infatti, tutte queste tecniche hanno senso solo se si registra la performance per poi poterla discutere. I criteri per analizzare e discutere le performance non si limitano alla correttezza formale, come spesso avviene nella nostra tradizione scolastica, ma includono anche l’appropriatezza situazionale e quella socio-culturale (12.3.1).

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12.4. Sapere la lingua: la competenza linguistica La competenza linguistica, nell’ambito più generale della competenza comunicativa (Modulo 8), riguarda la padronanza della fonologia, della morfosintassi, della testualità, del lessico (Per approfondimenti, cfr. il Modulo 7 del corso di primo livello nonché il Modulo 1 di questo corso) Nella tradizione (che poi tradizione vera non è: fino al Seicento l’insegnamento delle lingue, incluso il latino, era comunicativo e la “grammatica” arrivava a coronare un processo acquisitivo, non era il punto di partenza e la guida per antonomasia…) la padronanza esplicita delle grammatiche era la condizione spesso sufficiente e sempre necessaria per “sapere una lingua”, e quindi la correttezza formale era il primo parametro di valutazione (12.3.1). Con l’approccio comunicativo all’insegnamento delle lingue il ruolo della competenza linguistica è stato ridefinito come una delle competenze necessarie. In molte situazioni, tuttavia, l’aggettivo “necessarie” è stato sfumato, fidando in acquisizioni spontanee più o meno miracolistiche e i cui risultati, comunque, non sono soddisfacenti. Più volte in questo modulo abbiamo modificato due proverbi riferendoli agli immigrati: “l’abito linguistico fa il monaco”, “dimmi come parli e ti dirò chi sei”. Dell’abito linguistico fa parte integrante anche la competenza linguistica, e dei criteri di valutazione della competenza comunicativa fa anche parte la correttezza formale; ma al di là di questa considerazione di principio, c’è una riflessione spiacevole di carattere sociale che non si può evitare: posto che spesso molti italiani tendono a ”tenere al loro posto” gli immigrati, se non a discriminarli, uno dei modi per individuare gli immigrati di pelle bianca e di giustificare la loro “inferiorità”, indipendentemente dalla lingua, è quello di evidenziarne gli errori. “Non sa neanche parlare bene l’italiano, che cosa pretende?”. Errori che vengono tranquillamente perdonati a un italiano vengono rinfacciati allo straniero. Per questo il lavoro accurato sulle varie grammatiche è una necessità sociale oltre che (o prima che) linguistica. Le grammatiche, nella percezione comune, sono costituite da “regole”, ed è quindi necessario riflettere sulla loro natura (12.4.1) prima di procedere a vedere le procedure per la loro scoperta (12.4.2), la loro fissazione (12.4.3) e la loro sistematizzazione, che segna il passaggio dalla competenza alla metacompetenza, dalla grammatica implicita a quella esplicita, dalla competenza d’uso a quella sull’uso dell’italiano.

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12.4.1 La natura delle “regole” Con il termine “regole” intendiamo delle regolarità di funzionamento morfosintattico, testuale, extra- socio- e pragma-linguistico, non delle norme da applicare come se fossero – per usare le parole di Jakobson – “giurisprudenza del linguaggio”. Le regole, nel loro complesso, costituiscono una grammatica. Esiste una grammatica mentale (“competenza”) che raccoglie le regole e ne governa l’uso; esiste una grammatica descrittiva, che si occupa di illustrare, catalogare, descrivere le regole di una data lingua; esiste una grammatica pedagogica che teorizza il modo in cui organizzare le regole in modo da graduarle, di far sì che una persona le acquisisca (si crei cioè una grammatica mentale, una competenza) e le usi – e se possibile ci ragioni su (“metacompetenza”). Uno dei temi cardinali della grammatica pedagogica riguarda il modo in cui conosciamo le regole: si tratta della dicotomia chomskyana tra know e cognize, che in glottodidattica diventa la differenza tra conoscenza linguistica implicita ed esplicita, tra acquisizione ed apprendimento (nei termini di Krashen), competenza d’uso e sull’uso della lingua. Da trent’anni si concorda sul fatto che l’insegnamento della lingua, e quindi delle sue “regole”, deve portare anzitutto alla conoscenza linguistica implicita, all’acquisizione, cioè a una competenza linguistica in grado di generare comprensione e produzione linguistica; ma non si può trascurare il fatto che la conoscenza esplicita svolge un’importante funzione di controllore formale, di “monitor”, e che agisce da punto d’appoggio per analizzare e interiorizzare il nuovo input. Recenti ricerche hanno dimostrato come la focalizzazione esplicita su alcuni elementi grammaticali possa farli risaltare nella grande massa di forme che compaiono nell’input e quindi possa facilitarne l’acquisizione. Questo significa mirare sia alla competenza d’uso sia a quella sull’uso della lingua, fermo restando che la globalità precede l’analisi, la competenza precede la metacompetenza. Una seconda riflessione riguarda la natura delle regole come elementi di conoscenza, nell’accezione usata dalla psicologia cognitiva e dagli studi sull'architettura della conoscenza. Su queste basi si differenziano le conoscenze in tre tipi fondamentali:

- le conoscenze dichiarative che descrivono uno stato di verità elementare ("Il mio cognome è Balboni"). Le conoscenze di natura fonologia, grafemica, semantica e morfologica sono essenzialmente dichiarative come ad esempio "il paradigma di tutto è: tutto/a/i/e "

- le conoscenze procedurali, basate sulla sequenza "se... allora...": “se il mio cognome è Balboni, allora il cognome di mio figlio è Balboni”. Le conoscenze sintattiche e testuali sono procedurali (“se il soggetto è maschile plurale allora si userà tutti”)

- le rappresentazioni mentali, che raccolgono una serie di dichiarazioni e procedure in un sistema più complesso (nel nostro primo esempio, le regole patrilineari per la trasmissione del cognome in Italia, sul piano linguistico il sistema di genere, numero, aspetto verbale, ecc.). le rappresentazione possono essere implicite, generate spontaneamente dal parlante, o possono essere indotte in ambito didattico come “metacompetenza”.

Lo sviluppo delle diverse conoscenze richiede tecniche didattiche particolari, basate sui meccanismi di funzionamento del Language Acquisition Device (12.4.2).

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12.4.2 Tecniche per la scoperta delle “regole”

Per proporre delle tecniche di classe per l’acquisizione e l’apprendimento delle regole è necessario accennare al modo in cui funziona il LAD, il meccanismo di acquisizione linguistica, in modo da facilitarne l’azione. Sebbene con una certa semplificazione, possiamo dire che il processo si dipana attraverso cinque fasi: a. individuazione: nei testi che costituiscono l'input non controllato (in cortile, in

televisione, in classe) l’individuazione delle regole di funzionamento dell’italiano avviene spontaneamente (e quindi in maniera lenta e spesso scoordinata); in classe e soprattutto nel laboratorio di Italiano L2 invece si possono proporre agli allievi dei testi (dal manuale, da giornali, dalla televisione, da registrazioni di performance degli studenti stessi) e chiedere loro di sottolineare, cerchiettare, ricopiare, ecc., le “regole” che costituiscono l'obiettivo di quell’unità di apprendimento

b. creazione di ipotesi sul funzionamento di quel dato meccanismo: ipotesi suggerite dal docente o guidate da uno schema del manuale e discusse eventualmente con i compagni: questa è la fase in cui la individuazione di una possibile regolarità di funzionamento dell’italiano si trasforma, se l’ipotesi viene confermata, in “scoperta” della regola

c. fissazione sia attraverso attività di natura comportamentistica, quindi abbastanza ripetitive, sia per mezzo di giochi che, pur condividendo la natura dei pattern drills, non ne abbiano le debolezze motivazionali (12.4.3)

d. reimpiego via via più creativo, dapprima in esercizi di applicazione e poi in attività comunicative

e. riflessione esplicita, guidata dal docente e mirata alla creazione di una rappresentazione mentale e della sua eventuale 'trasposizione' in uno schema grafico, una tabella, ecc. (12.4.4)

Per compiere questo percorso si devono usare delle tecniche mirate, che rafforzino la padronanza delle cinque attività che abbiamo visto sopra: alcune di queste tecniche sono le attività di inclusione e di esclusione, le attività di seriazione, di manipolazione e di natura procedurale.

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12.4.3 Tecniche per la fissazione delle “regole”

Abbiamo visto (12.4.2) che il meccanismo d’acquisizione linguistica non si limita a “scoprire” e sistematizzare le regole di funzionamento di una lingua, ma include anche una fase di fissazione, la creazione di mental habits, per usare il termine caro al comportamentismo. Sappiamo anche che il meccanicismo dei comportamentismi, che era alla base dell’approccio strutturalistico, è stato rifiutato dalla glottodidattica comunicativa. Ma buttando via l’acqua sporca (la demotivazione indotta da questi esercizi, la frammentazione della lingua in spezzoni privi di significato, ecc.) abbiamo finito per buttar via anche il bambino. Si tratta di riprendere in mano la nozione di fissazione, di ripetizione quasi meccanica, consapevoli che per suonare il pianoforte bisogna passare anche qualche ora ad esercitare le scale, che per diventare Baggio non basta la fantasia ma anche ore di palestra e di esercizio di tiro di rigori… La forma più tradizionale di fissazione si ha con certe attività di manipolazione, ma il grosso del lavoro viene svolto con attività che appartengono alla famiglia dei pattern drill classici, di cui esistono comunque alcune varianti elaborate in ambito comunicativo. Gli esercizi strutturali o pattern drill constano di una batteria di stimoli cui l'allievo deve fornire la risposta, che viene poi confermata o corretta dal nastro o dal docente. Non è detto che debbano essere scritti – anzi: l’insegnante “spara” (usiamo questo verbo per indicare il ritmo dell’attività) ad esempio delle frasi affermative (“io mangio un melone”) cui un allievo del gruppo, scelto casualmente e indicato con la mano, risponde al negativo (“io non mangio un melone”), ricevendone una conferma rapida, con un cenno della testa, oppure, se sbaglia, ricevendo una correzione da un altro studente indicato dall’insegnante. Una decina di item di questo tipo non sono tanto noiosi e decontestualizzati da demotivare nessuno, ma servono ad automatizzare la relazione affermativo-negativo. Le versioni più comunicative evitano di concentrarsi su sintagmi morfosintattici o su paradigmi lessicali (sostituire a “il melone” qualunque altra frutta) e includono invece atti comunicativi. Si possono impostare giochi, ad esempio chiedendo agli studenti di separarsi in squadre o di mettersi in fila a seconda di una variabile quale l'età, l'ora di partenza da casa, ecc.: ogni studente deve chiedere agli altri, nel primo esempio, "quando sei nato?" e comprendere le risposte per poter decidere in che posto della fila deve inserirsi; a sua volta dovrà ripetutamente dire la propria data di nascita, fissando in tal modo questo particolare atto comunicativo. La fissazione è particolarmente importante per la competenza fonologica. Per quanto riguarda questo aspetto fonetico-fonologico proponiamo tre tipi di tecniche:

a. Coppie minime b. Ripetizione regressiva c. Ripetizione ritmica

L’aspetto grafemico, a sua volta, ha bisogno di una certa quantità di attività di fissazione. La copiatura rimane la principale tecnica per l’interiorizzazione di questa grammatica, anche se non si tratta di copiare meccanicamente, ma di leggere un segmento della frase per poi riscriverlo "a memoria", verificando la correttezza ortografica prima di muovere ad autodettarsi la frase successiva. La copiatura serve a concentrare l'attenzione dell'allievo sull'ortografia, rispettando i ritmi individuali (caratteristica non presente nel dettato) e consentendo l'autocorrezione e l'autovalutazione, e proprio per questo può essere utile per il recupero individualizzato. L’ortografia può anche essere rafforzata con tutt’una serie di tecniche di natura ludica basata su varianti del cruciverba.

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12.4.4 Tecniche per la sistematizzazione delle “regole” La grande differenza tra l’insegnamento della grammatica e la riflessioni sulla grammatica è che la prima è “contro natura”, mentre la seconda segue un percorso naturale già sperimentato nell’acquisizione della lingua materna: nessuno infatti ha imparato prima le regole e poi l’uso della sua lingua. In questa prospettiva, dunque, insegnare la grammatica significa far ragionare sulla grammatica e indurre gli studenti a raggiungere un certo grado di sistematizzazione, che verrà completato dall’insegnante laddove le competenze dello studente non arrivano, sono incerte o addirittura errate. E’ fondamentale che prima o poi si crei lo schema di pronomi personali, affiancando su più colonne soggetti, oggetti diretti, indiretti, possessivi: ma va fatto dallo studente, insieme ai compagni, sotto la guida dell’insegnante. E poi ogni studente aggiungerà, in una logica comparativa, i pronomi personali nella sua lingua d’origine (e, in alcuni casi di bilingui, come i marocchini arabo-francesi o i ragazzi del Sri Lanka cingalese-inglesi, anche nell’altra lingua europea che conoscono). In alcuni casi è chiaramente l’insegnante che deve intervenire (quanti, ad esempio, scoprono facilmente la differenza d’uso degli articolo “i / gli”?), ma può farlo suggerendo esempi, casi in cui l’opposizione risulta chiara, sostenendo il processo di scoperta e sistematizzazione, premiando con un encomio chi ce la fa. Un rapidissimo aneddoto – anche se non ci si attende aneddoti in un corso di formazione. Seconda media, ragazzini italiani creano lo schema degli pronomi personali soggetto (scoprendo che la seconda persona non è solo “tu” ma anche “lei”; che la terza include anche “egli” ed “ella”, che la prima persona plurale può anche essere usata da un singolo o può essere sostituita dall’impersonale, e così via); poi aggiungono i soggetti in dialetto (scoprendo che anche se non lo parlavano in realtà lo conoscevano); poi aggiungono nelle ore di lingua (era una media con due lingue straniere) i soggetti in inglese (venendo informati che you sta per “voi”, ma esiste anche thou, il “tu” che si dà a Dio…) e in francese. Dopo l’ora di pranzo l’insegnante riceve una telefonata da una giornalista il cui figlio, non certo modello di studioso appassionato, era in quella casse: “Ma che cosa gli fate voi ai ragazzini?” chiede. L’insegnante si inquieta ma poi arriva la spiegazione: “Perché mio figlio è arrivato a casa e ha detto: ‘Mamma, che bella la grammatica’!”. Non era stato folgorato sulla strada di Damasco che porta alla linguistica teorica: semplicemente aveva sistematizzato, dato ordine alle sue competenze trasformandole in conoscenze. E questa è una delle forme più alte di piacere. ATTIVITA’ Perché non prova a ripetere l’esperienza, o a proporne una adeguata al livello dei suoi studenti? Poi, insieme ai suoi colleghi che seguono questo modulo, può confrontare l’esito.

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12.5. Saper integrare linguaggi verbali e non verbali Accanto alla competenza linguistica (12.4), per comunicare è necessario padroneggiare un altro gruppo di grammatiche, possedere la competenza extralinguistica, cioè quel complesso di codici che vengono usati insieme alla lingua per modificarne o sottolinearne alcuni significati oppure, in alcuni casi, in sostituzione della lingua verbale. Le principali competenze extralinguistiche sono:

a. la competenza cinesica, b. la competenza prossemica, c. la competenza olfattiva, d. la competenza vestemica, e. la competenza oggettuale.

Nella tradizione glottodidattica queste dimensioni sono praticamene ignorate e crediamo che gran parte degli studenti italiani non si sia mai posto il problema di scoprirne la natura e la valenza comunicativa. Come suggerito nei vari link all’elenco precedente, è quindi utile pensare a coinvolgere la classe, quindi anche gli italiani, in attività come la catalogazione dei gesti, la gestione degli odori, gli elementi del vestiario, ecc., per poi approfondire la cosa con gli stranieri sia vedendo i possibili motivi di errore (gesti che significano cose diverse in due culture), sia approfondendo alcuni valori che stanno dietro a scelte come quelle del vestiario dark piuttosto che rap o giacca-cravatta… Chi vuole approfondire alcune tecniche per sviluppare la competenza extralinguistica (sia nei ragazzi immigrati sia nei madrelingua italiani) può farlo in 12.5.1

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12.5.1 Tecniche per il lavoro sui linguaggi non verbali Il lavoro possibile in questo settore si svolge su più piani:

- scoperta dei linguaggi non verbali e dei loro segni: è una cosa che neppure i ragazzi di madrelingua italiana hanno mai fatto consapevolmente, per cui mancano di metacompetenza anche se sanno governare la maggior parte delle grammatiche non verbali

- catalogazione dei segni, riflessione sugli stessi: si tratta di preparare cartelloni murali o file informatici o fogli di un quadernone di classe, ecc., in cui si catalogano ad esempio gli atti comunicativi sulla base della griglia in 11.2.3

- identificazione dei punti in cui le culture straniere si diversificano: è un lavoro che può essere fatto non solo sulla base delle culture rappresentate nella classe, ma anche coinvolgendo i ragazzi immigrati di tutta la scuola e di altri ambienti extrascolastici in modo da far scoprire a tutti, italiani e non, la diversità di questi linguaggi che invece tendiamo a considerare come “spontanei” e quindi “naturali”, “universali”.

Un’ottima tecnologia per scoprire i linguaggi non verbali e rifletterci su è la visione di spezzoni televisivi – dai film ai talk show, alle partite, ai telegiornali – eliminando l’audio e cercando di capire, dai gesti, dalle distanze interpersonali, dai vestiti il significato di quanto viene detto, i ruoli dei personaggi, e così via.

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12.6 Tecniche didattiche e dimensione ludica Nella percezione diffusa il ricorso al gioco in (glotto)didattica consiste semplicemente nel proporre giochi come intervallo tra un’attività “seria” e un’altra, quasi si dovessero recuperare le energie per poi tornare a fare cose “serie”. La metodologia ludica, invece, usa il gioco come forma educativa, che consente di rileggere e di simulare la realtà, ma senza pericoli – chi sbaglia un gioco perde quella partita, ma non ha altri danni… Il gioco, game in inglese, non è la sola forma di metodologia ludica: c’è anche il concetto di play, di gioco come atteggiamento giocoso. Molte tecniche glottodidattiche possono essere rese più motivanti, e quindi più efficaci in termini acquisizionali, se inserite in un contesto di play¸e, dove possibile senza forzarle, anche traducendole in forme di game. In altre parole, se si crea un ambiente ludico o almeno ludiforme lo studente, soprattutto quello più giovane, ha la sensazione di giocare anche in attività abbastanza strutturate. Queste riflessioni generali diventano particolarmente pregnanti se riferite all’integrazione dello studente straniero nel gruppo di coetanei italiani: il gioco – per il suo sospendere le regole sociali vigenti fuori dell’ambiente ludico – diventa un buon veicolo di accettazione dall’altro, che non è più un “immigrato” ma un “compagno”. La matrice ludica si realizza in varie famiglie di attività, quali ad esempio a. Attività di simulazioneb. Giochi su percorsoc. Giochi basati sulla competizioned. Giochi di memoriae. giochi basati sull’information gapf. conte, filastrocche, canzoni sono attività ludiche utilissimi per la fissazione e memorizzazione g. giochi di movimento e sport, la cui utilità socializzatrice è evidente, ma che possono avere interessanti risvolti linguistici Per un approfondimento sulla didattica ludica cfr. http://venus.unive.it/~aliasve/moduli/caonrutka/caonrutka.html

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12.7 Guida all’approfondimento Sulle tecniche didattiche non esistono molte pubblicazioni in quanto questo settore della glottodidattica è spesso stato considerato come “meno nobile” rispetto alla riflessione teorica. D’altra parte, siamo convinti che non esista una buona tecnica operativa se non ha il supporto di una seria riflessione teorica. I due volumi in cui si affrontano questi temi sistematicamente – e di cui potete avere gli indici cliccando sul titolo – sono: BALBONI P.E., Tecniche didattiche per l’educazione linguistica, Torino, UTET Libreria, 1998 CAON F. e S. RUTKA, Insegnare l’italiano giocando: principi e materiali per una didattica ludica, Perugia, Guerra, 2003

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Sulla base dei tre assi di relazione della vita umana (io; io e i “tu” che mi sono vicini; io e gli altri, il mondo, la storia) si identificano tre mete educative, che vanno ripensate per quanto riguarda gli immigrati rispetto al modo in cui le applichiamo allo sviluppo dei ragazzi italiani: culturizzazione cioè la conoscenza ed il rispetto (in alcuni casi può esserci anche l’assunzione) di modelli culturali e di valori di civiltà del paese d’accoglienza, l’Italia; da un lato questa acculturazione permette di guardare alla propria cultura d’origine da un punto di vista diverso, permettendo l’insorgere di senso critico, dall’altro è la condizione necessaria per la seconda meta educativa, la socializzazione socializzazione cioè la possibilità di avere relazioni sociali con italiani o con altri immigrati di diverso ceppo linguistico usando la lingua italiana; solo l’immigrato culturizzato e socializzato può cercare, in Italia, la propria promozione umana e sociale autopromozione cioè la possibilità di procedere nella realizzazione del proprio progetto di vita anche in Italia, oltre che nel paese d’origine se un giorno dovesse esserci un rientro.

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La procedura cloze consiste nell'inserire le parole mancanti in un testo: si lasciano integre le righe iniziali, per consentire una prima contestualizzazione, e poi si elimina ogni settima parola. L'allievo dovrà inserire una parola appropriata, anche se non si tratta di quella effettivamente cancellata: per farlo deve necessariamente cercare di avere una visione globale del testo, o almeno del periodo o della frase, e su tale base immaginare che cosa può essere stato detto o scritto nella parola cancellata. Si possono avere diverse varianti: - cloze "a crescere", in cui si inizia eliminando ogni settima parola, per poi cancellare ogni sesta o anche ogni quinta parola - cloze facilitato, che presenta in calce le parole da inserire (spesso con l’aggiunta di una parola inutile: trovare l’intruso aggiunge un tocco ludico a questa tecnica) - per mezzo del registratore audio o video è possibile eseguire, in corsi avanzati dei cloze orali inserendo una pausa: lo studente cerca di immaginare non tanto la parola quanto la frase o il concetto che seguiranno; si toglie poi la pausa e la correzione è immediata

- cloze realizzati con strumenti statistici alternativi all’eliminazione di ogni settima parola: ad esempio una fotocopia da cui scompare un centimetro di testo a sinistra o a destra, oppure a un testo su cui si incolla una strisciolina di carta prima di procedere alla fotocopiatura, creando quindi un vuoto casuale che va riempito. Questa tecnica non inserisce il filtro affettivo (non c’è stress, è una sorta di gioco con se stessi) e può essere discussa, parola per parola, in fase di correzione, chiedendo a chi ha sbagliato di ricostruire il percorso mentale che ha portato all’errore: in tal modo l’errore diviene fattore positivo, di crescita cognitiva e linguistica, e non ha effetti frustranti. Il cloze viene usato proficuamente anche per il testing ed esistono dei software che trasformano in un cloze qualunque file scritto in Word.

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Si presenta agli allievi una serie di immagini (disegni alla lavagna, fotocopie, cartelloni, pagine pubblicitarie di giornali, ecc.); ogni immagine è contrassegnata da una lettera. Gli allievi esplorano le immagini, poi ascoltano o leggono brevi testi descrittivi o dialogati che si riferiscono alle immagini; i testi sono numerati. L'esecuzione consiste nell'accoppiare numero e lettera: ad esempio, A2, C1, B3. Si sviluppa in tal modo la capacità di prevedere quali dettagli potrebbero essere significativi ai fini della comprensione: ad esempio, se si lavora su tre foto di visi femminili, verranno richiamati alla memoria i colori dei capelli, delle labbra e degli ombretti, le parti del viso, ecc. Una variante più complessa utilizza due gruppi di immagini da correlare seguendo le indicazioni linguistiche. Ad esempio, si può presentare il disegno che riproduce l'interno di una stanza vuota; accanto vengono disegnati i vari elementi dell'arredamento (sedia, telefono, tavolo, vaso di fiori, poltrona, ecc.): il testo descrive la stanza arredata e l'allievo traccia delle frecce 'collocando' ogni elemento al punto giusto. L'accoppiamento è utile per lo sviluppo della comprensione sia globale (saper cogliere il senso di una descrizione ed accoppiarla, ad esempio, all'immagine corrispondente) sia di dettagli (quando le immagini sono simili e si differenziano solo per alcuni particolari: ad esempio, differenti relazioni di spazio tra gli stessi oggetti).

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Questa forma di “incastro” si presenta secondo più varianti, caratterizzate da un grado crescente di difficoltà. Di norma si ha un dialogo in cui le battute di un personaggio sono presentate nella successione corretta, mentre quelle del secondo personaggio vengono stampate (oppure fatte ascoltare) secondo un ordine casuale: gli studenti devono inserire nel punto corretto del dialogo il numero della battuta. Ciò costringe lo studente ad avere una visione globale della dinamica situazionale prima di analizzare la funzione delle singole battute che legge o che sente, per poterla inserire. Gli incastri possono essere programmati sul computer, che consente di spostare facilmente blocchi di testo.

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Si possono realizzare più varianti di questo tipo di incastro. In un primo caso, le vignette vengono presentate nell'ordine corretto e le battute vengono date in ordine casuale in calce; l'allievo deve riportare nel fumetto il numero corrispondente ad ogni battuta o collegare battuta e vignetta con una freccia. In una seconda versione, le vignette includenti le battute sono ritagliate e poste in ordine casuale. Ogni vignetta è contrassegnata da un numero. L'allievo deve indicare la successione corretta delle vignette, cioè la sequenza dei numeri - il che rende l'esercizio rapidissimo da correggere. Una terza versione, assai complessa, presenza in ordine casuale sia le vignette sia le battute, da collegare con linee oppure accoppiando le lettere che indicano le vignette ai numeri che corrispondono alle battute ("A5", "C4", ecc.). Anche in questo caso la expectancy grammar viene attivata dalla considerazione globale della dinamica situazionale e poi viene guidata dai legami di coesione e coerenza testuale e dalla sintassi.

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Si presenta come un testo scritto, usualmente in prosa, i cui paragrafi sono disposti in ordine casuale; lo studente deve numerare i vari paragrafi in ordine di sequenza. E' un tecnica specifica per lavorare sia sulla coerenza testuale sia sugli indicatori metacomunicativi ("in primo luogo", "inoltre", "infine", ecc.) e può servire per il testing. Il computer può essere usato vantaggiosamente per questa tecnica: esso consente infatti di spostare blocchi di testo ricostruendo la sequenza originale in maniera reale anziché simbolica, come avviene se si riordinano i numeri che contraddistinguono ogni paragrafo. Per la profondità del lavoro richiesto in termini di comprensione prima globale e poi analitica, questa tecnica sviluppa i processi di comprensione e rappresenta un valido strumento di recupero individuale per gli allievi che risultano carenti a livello di processi.

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Si presentano all'allievo (soprattutto abbastanza adulto, ad esempio nei CTP) dei testi autonomi ma correlati tra di loro: uno scambio di corrispondenza, la sequenza tra una legge, la notifica della sua contravvenzione, il sollecito di pagamento, l'attestato di avvenuto pagamento, ecc. Gli allievi devono indicare la corretta sequenza dei vari testi. La base di questa tecnica va individuata nella comprensione della successione logica e/o temporale, e ciò mette in moto l'intero processo di comprensione testuale a livello di evento comunicativo, non solo di singolo testo.

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E' la tecnica più nota e più diretta, ma in realtà essa si basa su un falso pragmatico (nella vita si chiedono le cose che non si sanno, ma a scuola l’insegnante chiede ciò che già sa) e accentua il ruolo gerarchico insegnante/studente, inserendo filtri affettivi… Infine, la domanda verifica la comprensione per mezzo della produzione, e questo complica il compito e aggiunge problemi. Quindi ci pare che alla domanda possa essere riservata a stimolare riflessioni abbastanza complesse, conclusive di un lavoro, ma come guida e verifica della comprensione conviene procedere con tecniche più mirate, sebbene derivate dalla domanda, come quelle che seguono.

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Questa tecnica di guida-verifica della comprensione si basa su una griglia, una tabella, uno schema, creati come un piano cartesiano su cui si pongono pochi elementi essenziali: mettendo, ad esempio, in verticale una tipologia di locali (ristorante, trattoria, bar, fast food, paninoteca, ecc.) e in orizzontale una serie di azioni ben caratterizzate (mangiare un hamburger, mangiare genuino, mangiare in maniera sofisticata, mangiare in fretta ma in maniera sana, prendere brioche e cappuccino, ecc.) si guida bene la comprensione di un testo sul modo di mangiare in Italia, e altrettanto bene la si verifica. Spesso non è richiesta alcuna forma di scrittura al di fuori di una crocetta.

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Si hanno più formati di scelta multipla. Il più semplice è costituito dalle domande che possono avere risposta "sì" o "no", oppure dalle frasi che possono essere vere o false. In altri casi si hanno frasi o domande che su un tronco comune innestano tre o quattro possibili conclusioni, una sola delle quali è corretta. La scelta multipla è una tecnica estremamente precisa: se la si usa per guidare o verificare la comprensione essa consente infatti di concentrare l'attenzione esattamente sull'elemento desiderato. Le scelte multiple possono essere fatte su computer includendo anche un sistema di correzione immediata: al primo errore, il programma richiede di prestare più attenzione e di riprovare, poi, se l'errore viene ripetuto, il computer indica direttamente la risposta corretta. La scelta multipla non richiede produzione scritta ed è rapidamente correggibile, permettendo anche una riflessione sulle ragioni per cui qualcuno ha scelto risposte sbagliate: ripercorrendo il processo che ha portato all’errore si trasforma quest’ultimo in un’occasione proficua di miglioramento.

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La forma più tipica di transcodificazione (cioè di passaggio da un codice a un altro) si ha con l'ascolto-lettura di un testo e l'esecuzione di disegni basati sulle informazioni contenute nel testo: ad esempio, si deve raggiungere Piazza Navona leggendo o ascoltando le istruzioni e segnando il percorso su una piantina di Roma; oppure si deve fare un disegno sulla base delle indicazioni offerte dall’insegnante o da un compagno (“dettato Picasso”); allo stesso modo si possono mimare delle azioni “dettate” da docente o compagni, ecc. La transcodificazione è una delle tecniche fondamentali per guidare-verificare la comprensione perché non richiede produzione scritta. In termini valutativi, tutte le varianti di questa tecnica hanno il pregio di garantire una chiara indicazione pragmatica ("ha capito" / "non ha capito"), ma hanno il difetto di non consentire una analisi fine, cioè di non permettere di individuare chiaramente dove si colloca il problema nel caso di una comprensione mancata o imperfetta.

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Si tratta di una forma di simulazione che non concede alcuna libertà, trattandosi di recitare (leggendo oppure a memoria) un testo predisposto dal manuale, dall'insegnante o dal gruppo stesso. Il suo scopo è quello di fissare le espressioni che realizzano i principali atti comunicativi, quindi siamo alla propedeusi dell’interazione vera e propria. Specialmente se viene registrata e poi analizzata insieme agli allievi, la drammatizzazione consente di lavorare in profondità sugli aspetti fonologici e paralinguistici; se si ha una videoregistrazione la riflessione può considerare anche gli aspetti extralinguistici della competenza comunicativa: gesti, espressioni del viso, posture, ecc.. Tra i vantaggi di questa tecnica emerge la quantità di lessico che viene memorizzato, nonché la ripetizione di molti atti comunicativi routinari e frequenti – ma gli studenti, soprattutto adolescenti e adulti, raramente colgono da soli questa utilità, che andrà quindi spiegata loro, evidenziando che si usa la drammatizzazione per evitare di lanciarli nella comunicazione senza “rete di protezione”. Nelle drammatizzazioni svolte in classe anziché in laboratorio di italiano L2 i problemi relazionali (prese in giro, risate dei madrelingua italiani di fronte alle esitazioni o agli errori dell’immigrato, ecc.) possono essere delicati e quindi è necessaria un forte attenzione. In molti casi è preferibile predisporre una drammatizzazione (soprattutto in occasioni canoniche quali Natale, carnevale, fine anno scolastico) in cui solo gli immigrati recitano: in tal modo non c’è un confronto tra parlanti nativi e non, ma c’è un apprezzamento garantito per lo sforzo degli immigrati di imparare una parte e di entrare in scena – e l’applauso, con tutti i risvolti psicologici correlati, è assicurato. Un problema tuttavia anche in questo caso può essere dato dalla partecipazione di ragazzine arabe, che le famiglie talvolta giungono a vietare e che quindi va spiegata in maniera molto tranquilla ma insistente.

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Uno studente (o l'insegnante) inizia un dialogo (ad esempio: "Quanti anni hai?") ed un suo compagno risponde e poi rilancia la domanda ad un altro ("12 anni. E tu?") e così via. Questa tecnica è adatta ad esercitare e fissare gli atti comunicativi nonché le strutture grammaticali con cui essi si realizzano. Ben accetto tra bambini, il dialogo a catena (come la drammatizzazione) lo è sempre meno via via che l'età degli allievi cresce. Può essere impostato come gioco a squadre, in cui a ogni risposta errata o ritardata un membro della squadra viene eliminato.

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Si presentano le battute di un personaggio e l'allievo deve dire quelle dell'altro personaggio, tenendo conto della coerenza globale del testo e della coesione con le battute precedenti e seguenti. Questa attività è molto difficile se svolta oralmente senza una preparazione, che di solito si effettua sul copione scritto. Prima di iniziare ad inserire le sue battute l'allievo deve scorrere (attivando le strategie globali) le battute del suo 'interlocutore', in modo da avere chiaro il contesto prima di completare il dialogo per iscritto o, soprattutto, di svolgere il dialogo oralmente, interagendo con un altro studente, con l'insegnante o con un (video)registratore. Questa tecnica, che opera sia al livello dei processi testuali sia della competenza socio-pragmatica, è difficile e può generare ansia. Registrare un dialogo aperto può risultare proficuo perché permette di analizzarlo poi in gruppo.

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Si tratta di attività che vanno da una simulazione molto guidata (role-taking), al role-making, in cui la creatività dell'allievo è presente in maniera più decisa, per giungere fino al roleplay, in cui si costruisce un dialogo sulla base di una situazione. L'atteggiamento degli allievi può essere contraddittorio: da un lato, il fatto di potersi esprimere liberamente, di poter parlare dei propri gusti, sono elementi che rendono ben accetta la tecnica; d'altro canto, il fatto di essere esposti al giudizio dei compagni crea ansia. La (video)registrazione dei roleplay permette non solo una valutazione accurata ai fini del testing, ma può anche consentire la discussione collettiva sull'efficacia, l'appropriatezza, l'accuratezza, la scorrevolezza degli interlocutori. Le prime volte l’organizzazione di attività di simulazione di questo tipo è complessa – ma poi gli studenti imparano sia a evitare di esprimere il nervosismo con risatine e battute, sia a capire come accettare i ruoli senza rifiutarsi, ad esempio, di recitare ruoli dell’altro sesso. Il ruolo dell’insegnante è molto delicato: gli studenti tendono a considerarlo un dizionario ambulante, a chiedergli aiuto di fronte a qualunque difficoltà, anziché ricorrere all’avoidance strategy (aggirare l’ostacolo sintattico, sostituire una perifrasi alla parola sconosciuta, ecc.); l’insegnante deve cogliere quando il suo aiuto può essere decisivo per consentire la proficua prosecuzione, e quando invece il suo intervento è solo un palliativo.

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Anche se il nome rimanda ad un’apparecchiatura, in realtà si può ben essere simulata: basta mettere gli studenti seduti in direzione opposta, in modo che non possano aiutare la comunicazione con gesti ed espressioni del viso. La telefonata è diversa (e più difficile) di un roleplay in quanto non si ha contatto visivo tra gli allievi, per cui non è possibile ricorrere a gesti, suggerimenti, indicazioni visive, espressioni del viso, e così via: tutto deve essere verbalizzato. Se si usano apparecchiature quali dei walkie-talkie o altre strumentazioni che trasmettono la voce da un'aula all'altra, si introduce un ulteriore elemento di disturbo, cioè l'appiattimento delle frequenze della voce e l'interferenza di fruscii e rumori, che rendono ancor più specifica l'attività di ascolto condotta con questa tecnica. La registrazione della telefonata è necessaria per la sua valutazione e consente la riflessione collettiva sulle differenti esecuzioni.

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Proponiamo questa tecnica attraverso una attività che la invitiamo ad eseguire – attività mirata ad una regola molto complessa dell’italiano, per cui chiaramente pensata per studenti da perfezionare più che da guidare nella prima acquisizione. ATTIVITA’ Consideri questo insieme di parole, pensando che potrebbe scriverle alla lavagna: TETTO DITO BRACCIO BAGNO LETTO LABBRO MURO MEMBRO Adesso le chiediamo “includere” le parole in due “sottoinsiemi”, cioè di dividerle in due gruppi, secondo una logica qualsiasi – purchè si tratti poi di una “logica”, di cui in classe discuterebbe con gli allievi chiamandoli a giustificare la loro scelta. Dopo che ha pensato alla suddivisione, continui a leggere. Molto probabilmente la divisione è tra oggetti animati (o parti del corpo) e inanimati (o elementi di una casa). In realtà a questa suddivisione ne corrisponde un’altra. Provi a fare i plurali. Emerge quindi la logica del plurale in “–a” di alcune parole riferite al corpo umano, plurale che rimane regolare se anziché le “membra” del corpo sono i “membri” del parlamento, così come le “ossa” e le “grida” umane sono gli “ossi” e i “gridi” di un gabbiano, i “labbri” sono quelli di una ferita, i “bracci” sono quelli di un’anfora… Provi ora lei a preparare due altre attività di questo tipo e le scambi con i suoi compagni di corso, che faranno altrettanto: in pochi minuti avrà una batteria di attività da utilizzare in laboratorio di italiano L2 – ma anche in classe: quanti madrelingua italiani conoscono questa regola di formazione del plurale?

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L'esclusione rappresenta il percorso opposto a quello di inclusione (visto in un’altra scheda linkata alla stessa videata da cui lei proviene). E' una tecnica abbastanza diffusa nella glottodidattica britannica, con il nome di odd man out. Procediamo anche in questo caso con un esempio. ATTIVITA’ Consideri questo insieme di parole, pensando che potrebbe scriverle alla lavagna: ANDATO FATTO AMATO CANTATO PARLATO CHIAMATO Adesso le chiediamo “escludere” dall’insieme la parola (potevano essercene più di una, ma questo esempio è elementare) estranea secondo una logica qualsiasi – purché si tratti poi di una “logica”, di cui in classe discuterebbe con gli allievi chiamandoli a giustificare la loro scelta. Dopo che ha pensato all’esclusione, continui a leggere. Molto probabilmente ha escluso FATTO, e anche un ragazzo straniero alle prime armi può farlo, se non altro perché non finisce in “-ato”. Emerge quindi la logica del participio passato irregolare – che tra l’altro in molti altri casi è caratterizzato dalla doppia “t”: detto, cotto, redatto, ecc. Da qui si può iniziare una “raccolta” dei participi passati irregolari che hanno acquisito spontaneamente. Provi ora lei a preparare due altre attività di questo tipo, magari per un livello più alto, e le scambi con i suoi compagni di corso, che faranno altrettanto: in pochi minuti avrà una batteria di attività da utilizzare in laboratorio di italiano L2 – ma anche in classe, per procedere con tutti ad una riflessione sul verbo irregolare.

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La seriazione consiste nel riordino di un insieme caotico in base ad un parametro. Procediamo con un esempio. ATTIVITA’ Si possono scrivere alla lavagna in ordine casuale delle nozioni di quantità ad esempio SOLO UNO QUALCHE LA MAGGIOR PARTE NESSUNO ALMENO UNO MOLTI TUTTI Ora le chiediamo di riordinarle dalla quantità minima alla massima. Sebbene a causa delle ambiguità proprie delle lingue ci siano talvolta più opzioni (ma ciò è positivo se si coglie l’occasione per far discutere gli allievi, che quindi riflettono sul problema), in questo caso si può ottenere una “serie” come questa: nessuno < solo uno < almeno uno < qualche < molti < la maggior parte < tutti Possiamo avere serie di frequenza (sempre > spesso > raramente > mai), di connotazione o di intensità di significato (passabile < carino < bello < splendido < meraviglioso), di intensità cromatica e così via. Provi ora lei a preparare un’altra attività di questo tipo e la scambi con i suoi compagni di corso, che faranno altrettanto: in pochi minuti avrà una batteria di attività da utilizzare in laboratorio di italiano L2 – ma anche in classe, perché anche gli italiani di madrelingua traggono beneficio dalla riflessione esplicita.

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Sono tecniche glottodidattiche tipiche dell'approccio formalistico, di solito introdotte da consegne del tipo "Volgi al...": mirano ad applicare piuttosto che a indurre una riflessione, anche se non è da escludere una loro utilità con allievi stranieri che hanno altre occasioni di usare la lingua in maniera creativa, e non solo manipolativa come in questo caso. In alcuni casi, tuttavia, è possibile trovare una giustificazione comunicativa per le attività di manipolazione:

a. raccontare un film giustifica il passaggio dal presente del film al passato della narrazione;

b. trascrivere in una scheda le risposte dei compagni in un sondaggio (dialogo: "Ti piace Vasco Rossi?", "Sì!"; scheda: "A Wang Hui piace Vasco Rossi") giustifica l'operazione di volgere alla terza persona.

La riflessione in questo tipo di esercizio avviene dopo aver eseguito il compito, confrontando il testo di partenza e quello d'arrivo.

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Le tecniche di inclusione, esclusione e manipolazione che può vedere in altri link alla videata da cui lei proviene sono usate essenzialmente per le conoscenze dichiarative, cioè per l’aspetto morfologico e quello lessicale; quando lessico e morfologia vengono usati all’interno di enunciati, tuttavia, servono tecniche che consentano la creazione di rappresentazioni mentali esplicite sia a livello testuale sia a livello morfosintattico: possiamo usare per questo scopo, ad esempio, l’esplicitazione dei sinonimi, degli iperonimi (“fiore” rispetto a “margherita”) e degli iponimi (“margherita” rispetto a “fiore”) legando con una freccia le varie parole, oppure l’esplicitazione dei pronomi legandoli ai rispettivi referenti. Si veda questo esempio:

Un bambino e la sua sorellina passeggiavano nel giardino di una grande villa. Era un

parco stupendo, pieno di margherite.

Lui si chinò e ne raccolse alcune; lei lo guardò e gli disse:

“Adesso che mancano dei fiori, il parco è più povero!”.

Un’altra tecnica possibile è la scelta multipla come in questo esempio:

Sono rauco quindi / perché / e ho fumato troppo! Ho fumato troppo quindi / perché / e sono rauco! in cui tutti i connettori proposti indicano un rapporto di causa/effetto, ma si differenziano per la sequenza causa/effetto oppure effetto/causa. Un lavoro di questo tipo può portare ad una catalogazione dei connettori, scoprendo che molti di essi vengono usati per più tipi di relazioni Può essere utile anche la combinazione: in una colonna si danno i segmenti iniziali di alcune frasi, nella colonna opposta si trovano le rispettive conclusioni; di solito la combinazione è possibile in base a legami semantici (lo spezzone di sinistra che include il verbo “guidare” verrà legato alla conclusione in cui si parla di automobili); tuttavia, è possibile creare combinazioni risolvibili solo con un ragionamento sintattico, come ad esempio: Paolo è un ragazzo simpatica Sono due ragazze simpatico Mary è simpatiche

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Sono tecniche glottodidattiche tipiche dell'approccio formalistico, di solito introdotte da consegne del tipo "Volgi al...": mirano ad applicare piuttosto che a indurre una riflessione, anche se non è da escludere una loro utilità con allievi stranieri che hanno altre occasioni di usare la lingua in maniera creativa, e non solo manipolativa come in questo caso. In alcuni casi, tuttavia, è possibile trovare una giustificazione comunicativa per le attività di manipolazione:

c. raccontare un film giustifica il passaggio dal presente del film al passato della narrazione;

d. trascrivere in una scheda le risposte dei compagni in un sondaggio (dialogo: "Ti piace Vasco Rossi?", "Sì!"; scheda: "A Wang Hui piace Vasco Rossi") giustifica l'operazione di volgere alla terza persona.

La riflessione in questo tipo di esercizio avviene dopo aver eseguito il compito, confrontando il testo di partenza e quello d'arrivo.

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Le coppie minime sono costituite da liste di coppie di parole che si differenziano per un solo fonema: ad esempio, per l'opposizione tra consonante semplice e doppia (opposizione che un immigrato nel Veneto certo non sente per strada!) possiamo avere Nina-ninna la luna-l’alunna nono-nonno sono-sonno vano-vanno Fano-fanno sano-sanno pane-panne pena-penna Si fa ascoltare dapprima la colonna con un fonema (pena, sano, pane…), in modo da fissarlo adeguatamente, poi la serie con il secondo fonema (penna, sanno, panne), per concludere poi con le opposizioni binarie da riconoscere e da ripetere. E' una tecnica che può essere ansiogena se è gestita male, mentre può essere un gioco se la si accompagna alla scoperta del proprio apparato fonatorio, prestando attenzione ad esempio alla posizione della lingua, delle labbra, alla vibrazione delle corde vocali. ATTIVITA’ Provi a creare una batteria di coppie minime giocando su un’altra opposizione (pensi anche a “p-b” per arabi e cinesi, “i-e” per arabi, “r-l” per cinesi, “s” sorda e sonora per ispanofoni, e poi la invii ai suoi colleghi, che faranno altrettanto: con poco sforzo avrete una buona gamma di esercizi di coppia minima da usare con i vostri studenti.

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E’ una tecnica che serve per migliorare l’intonazione. Lo studente ascolta e ripete una frase che è stata spezzata nei suoi sintagmi, i quali vengono proposti a partire dall'ultimo, come in questo esempio: "con me?", "al cinema con me?", "vieni al cinema con me" "vieni al cinema con me questa sera?" E’ difficile cogliere l’intonazione se si ripete la frase nella successione normale: ad ogni nuova aggiunta, infatti, l'intonazione cambia (provi a farlo lei, ad alta voce); ripetendo invece l’enunciato a ritroso, la curva intonativa rimane costante.

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Per migliorare l’intonazione ma soprattutto per rendere più sicuro l’eloquio, dandogli velocità e naturalezza, si possono anche usare dei modelli ritmici da ripetere in coro, come ad esempio facendo ripetere in coro questi segmenti. Si Enuncia prima il modello ritmico (ad esempio: tàti, cioè un “trocheo”) e poi lo si riempie di significato, complicando via via le cose e mantenendo una forte velocità. Ogni segmento viene ripetuto in coro dagli studenti. Tàti Prendi Mangia Porta Tàti - Tàti Prendi questo Mangia questo Porta questo Tàti – Ti-ti-tà-ti Prendi questo libro Mangia questo frutto Porta questo cesto Tàti – Ti-ti-tà-ti – Ti-ti-tà-ti Prendi questo libro di racconti Mangia questo frutto con le mani Porta questo cesto di patate

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La competenza cinesica riguarda la capacità di comprendere e utilizzare i gesti, le espressioni del viso, i movimenti del corpo; uno dei principali problemi della comunicazione in una lingua/cultura non nativa è dato dalla mancanza della consapevolezza delle regole convenzionali ed arbitrarie dei gesti: si pensi al fatto che per un bambino albanese, arabo, cinese, indiano il nostro annuire, che noi facciamo con l’intento di essere di incoraggiamento, è invece un segno di diniego, per cui demoralizziamo lo studente pur essendo convinti di aiutarlo. ATTIVITA’ Coinvolga gli studenti italiani e stranieri in una prima elencazione degli atti comunicativi che si possono fare anche attraverso gesti (“vieni qui”, “vai via”, “che buono!”, “sono stanco”, “ho fame” ecc.), e poi nel Laboratorio linguistico o in classe veda in quali casi gesti propri di altre culture possono essere fonte di incomprensione o addirittura essere ritenuti offensivi. Lentamente si creerà una banca dati che può essere condivisa con tutti i suoi colleghi “virtuali” in questo corso.

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La competenza prossemica riguarda alla vicinanza e al contatto con l'interlocutore. Ogni cultura gestisce in maniera diversa la vicinanza: gli italiani del nord tendono ad avere oltre un braccio di distanza tra le due persone, soprattutto se c’è un rapporto formale, mentre quelle meridionali possono scendere a una distanza più ravvicinata. Nel Sud è anche possibile passeggiare a braccetto tra giovani maschi, cosa che nel Nord indicherebbe una esibizione di omosessualità. Ora, molte delle culture che troviamo rappresentate in classe presentano problemi: da un lato gli arabi ed i sudamericani hanno una forte componente corporea nella comunicazione, stanno vicini, toccano l’interlocutore, dall’altro ragazzini dal sudest asiatico vivono invece come una forma quasi di violenza sessuale la classica, amorevole carezza sui capelli che noi italiani facciamo ad un bambino (la testa, infatti, è tabooizzata in molta parte dell’Asia e dell’Africa orientale). ATTIVITA’ Coinvolga gli studenti italiani e stranieri in una riflessione sulla distanza ed il contatto in Italia, e poi la integri con le informazioni reperibili non solo nella sua classe attraverso lo’intero complesso di ragazzi immigrati che frequentano la sua scuola. Lentamente si creerà una banca dati che può essere condivisa con tutti i suoi colleghi “virtuali” in questo corso.

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Se si chiede (come spesso fa un gruppo di formatori dello staff dell’Università di Venezia) agli insegnanti in formazione sul tema dell’italiano L2 qual è l’aspetto della presenza degli stranieri in classe che più infastidisce loro e le classi, dopo un lungo imbarazzo qualcuno alla fine “confessa”, con difficoltà e a mezza voce: “puzzano”. Gli altri si associano. La gestione comunicativa dell’odore (sia quello per noi piacevole, il profumo – per molti arabi segno di perversione ed effeminatezza se lo ha addosso un maschio - , sia quello spiacevole, per noi, come ad esempio il sudore) è una delle maggiori fondi di difficoltà nell’integrazione. E’ quindi necessario che questo tema venga chiaramente discusso con i ragazzi stranieri nel laboratorio, ma anche che si rifletta con gli studenti italiani sul nostro sistema di valori olfattivi. Ad esempio: perché tutti i profumi che usiamo sono astratti, innaturali, e non vogliamo più i profumi “della nonna”, a base di rose, gelsomino, violetta, ecc.? Perché – se non per il fatto che fino a pochi decenni fa eravamo un popolo contadino, quindi sudato, quindi in cui essere sudati significava essere al gradino basso della scala sociale – gli italiani insieme agli spagnoli sono il popolo maggiormente ossessionato anche da un vago olezzo di traspirazione.

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La competenza vestemica, secondo l'accezione di Roland Barthes, va intesa come capacità di padroneggiare il sistema della moda: divise, uniformi, abiti più o meno formali, ecc. Da un lato quindi c’è l’aspetto della comprensione: cosa distingue un ferroviere da un carabiniere,m un finanziere da un vigile, ecc. (siamo sicuri che i ragazzini italiani padroneggino questo sistema informativo?) Dall’altro c’è il problema della produzione, cioè della scelta dell’abbigliamento: in una fascia d’età in cui il vestiario è fondamentale come segno di appartenenza ad un gruppo, come indicatore di scelta di vita (dal dark al figlio dei fiori, dal “reazionario” in giacca e cravatta al “rivoluzionario” con jeans da rapper e maglietta con l’icona del Che), far sì che i compagni italiani, mentre se lo spiegano a se stessi, insegnino agli immigrati come si vestono gli italiani, che significato comunicativo ha ogni mise, è un obiettivo formativo fondamentale per rafforzare la competenza comunicativa.

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La competenza oggettuale rimanda all'uso di oggetti come strumenti per comunicare uno status sociale, una funzione, e così via – dall’arredamento di uno studio all’auto aziendale, al tipo di regalo, agli status symbol, ecc. Si possono coinvolgere anche i ragazzi italiani in una sorta di catalogazione degli status symbol oggi vigenti in Italia, e in questa fase aver cura di presentarli agli stranieri e di tornarci sopra lavorando poi in Laboratorio di italiano L2.

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Una delle difficoltà che hanno i ragazzi nell’eseguire le attività di simulazione, quali roleplay e drammatizzazioni, sta nel fatto che vengono vissute come inautentiche. Impostarle invece come gioco, con una finalità ad esempio competitiva, può spostare l’attenzione dagli aspetti pragmatici a quelli ludici. Caon e Rutka, nel volume sul gioco indicato tra gli approfondimenti bibliografici, fanno un esempio illuminante: “Il bambino straniero che debba studiare un brano di storia, pur semplificato, deve ricavare al suo interno informazioni, reti di relazioni temporali, causali, logiche, concetti e astrazioni. Se la sequenzialità e la complessità strutturale del testo risultano di difficile comprensione per molti bambini italofoni, è facilmente immaginabile quale ostacolo rappresentino per un allievo straniero. Non vogliamo certamente dire che non si debbano accostare gli allievi al testo scritto, ma pensiamo che questa fase, per diventare davvero significativa, debba essere successiva ad un’esperienza diretta, concreta. In questo, a nostro avviso, consiste il valore strategico della simulazione perché permette il passaggio graduale dalla didattica esperienziale della scuola laboratorio del “fare per apprendere”, ai saperi codificati, decontestualizzati, astratti, delle discipline scolastiche. La simulazione di un evento storico presuppone la creazione di un contesto in cui si richiede agli allievi di mettersi nei panni di un personaggio, - ma un singolo può rappresentare un intero popolo, o una nazione o una classe sociale, ecc. - di agire e di interagire veicolando con la lingua, la gestualità, l’espressività del volto e della voce, il significato di situazioni, di reti di relazioni, ma anche di concetti che possono essere rappresentati con uso di oggetti simbolici (un libro, o qualsiasi altro oggetto reperibile in classe, consegnato dal console romano all’imperatore può rappresentare un paese conquistato da aggiungere all’impero). La simulazione, che si svolge concretamente utilizzando il linguaggio sincronico dell’azione scenica, facilita la comprensione dell’evento in tutta la sua complessità, e, attraverso l’uso in contesto della lingua settoriale, offre agli allievi stranieri la possibilità di comprendere e di esprimersi in modo attivo e partecipato. E’ evidente che se la simulazione per gli allievi italofoni può essere un roleplay su semplice canovaccio, o comunque un’attività dove viene lasciato un certo spazio alla creatività individuale, per l’allievo straniero consisterà in un’attività molto guidata, dove la lingua sarà calibrata sulle sue reali capacità con qualche ulteriore stimolo atto ad ampliare conoscenze linguistiche e concettuali. Sarà questo il primo passo cui farà seguito, con la necessaria gradualità, lo sviluppo delle abilità di studio ed il conseguente passaggio dalla concretezza dell’azione all’astrazione del pensiero, dalla contestualizzazione scenica alla decontestualizzazione del libro di testo.”

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Due attività tipiche di questo tipo sono il gioco dell’oca e la caccia al tesoro. Pensiamo ad una caccia al tesoro fatta nella scuola, con i suoi corridoi,k ambienti di varia natura, cortili, ecc.: quale modo più motivante per imparare a leggere informazioni referenziali, dense di nozioni di spazio, con grande quantità di lessico relativo alla scuola? Ci sono poi forme di caccia al tesoro in cui si possono mettere insieme compagni italiani e immigrati, favorendo il senso di coinvolgimento in uno scopo condiviso. Il gioco dell’ora si presta molto ad alcuni ambiti lessicali (dai numeri agli animali, dai mezzi di trasporto agli oggetti della classe), ma anche ad un ripasso-verifica di forme grammaticali, laddove il passaggio da una casella all’altra sia vincolato all’esprimere correttamente un concetto, al trovare un errore grammaticale in una frase scritta, e così via.

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I giochi competitivi possono essere di mille matrici diverse – lessicali, morfologici, ecc. Basta creare in Laboratorio di Italiano L2 due o più squadre, oppure delle coppie, che si “combattono” sulla base della loro conoscenza della lingua italiana. Ma l’importanza di questo tipo di giochi sta nel fatto che – soprattutto se mettiamo insieme italiani e immigrati – devono imparare a gestire la competizione, ed imparare che certe regole date per assodate (la terzietà dell’arbitro, la sua potestà immediata, i limiti fisici che costituiscono la barriera che separa il gioco dalla rissa, e così via) non sono affatto tali né tra gli italiani, né tra questi e gli immigrati.

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Il più famoso gioco di memoria di basa sul modello di Memory, con cartellini in cui compaiono parole appartenenti allo stesso campo semantico o che hanno qualcosa in comune: una coppia forchetta/coltello, una cane/gatto, una pera/mela, e così via. Oltre a questa applicazione lessicale, che si può compiere con i normali memory presenti sul mercato, si possono creare anche delle varianti più complesse, in cui sono scritte parole: cane/abbaia, gatto/miagola, cavallo/nitrisce, e così via. Un secondo gioco di memoria molto utile per la fissazione del lessico è quello basato sul passatempo di Kim, nel famoso libro di Kipling: 1° studente: “oggi sono andato al mercato ed ho comprato delle mele” 2° studente: “oggi sono andato al mercato ed ho comprato delle mele e delle pere” 3° studente: “oggi sono andato al mercato ed ho comprato delle mele, delle pere e delle banane” e così via.

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Si tratta di giochi pienamente comunicativi, in cui si può raggiungere lo scopo solo chiedendo e comprendendo le informazioni necessarie. Possono essere svolti sia in Laboratorio di italiano L2, sia creando coppie di ragazzi immigrati e i loro “tutor” temporanei italiani, che devono fornire le informazioni. Tra le forme più comuni:

- seguire un percorso su una piantina di una città - eseguire un disegno sotto “dettatura” di un compagno - individuare un oggetto nella stanza

La funzione referenziale è quella che viene maggiormente sviluppata i questo tipo di attività.

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BALBONI P.E., Tecniche didattiche per l’educazione linguistica, Torino, UTET Libreria, 1998 1. Le tecniche glottodidattiche TECNICHE PER LO SVILUPPO DELLE ABILITA’ LINGUISTICHE 2. Una mappa delle abilità linguistiche 3. Le abilità ricettive 4. Le abilità produttive 5. Tecniche per le abilità di dialogo 6. Le abilità di lavoro sui testi TECNICHE PER L’ACQUISIZIONE DELLE “REGOLE” 7. Le regole: dall’ipotesi all’impiego 8. La fissazione e il reimpiego delle regole 9. Tecniche per la riflessione sulla lingua LE TECNICHE IN CLASSE 10. Le tecniche nel contesto dell’unità didattica 11. Repertorio ragionato delle tecniche glottodidattiche

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CAON F. e S. RUTKA, Insegnare l’italiano giocando: principi e materiali per una didattica ludica, Perugia, Guerra, 2003 CORNICE TEORICA 1 La glottodidattica ludica: presupposti teorici

1.1 L’ approccio umanistico- affettivo 1.2 Le teorie costruttiviste 1.3 Alcune indicazioni ministeriali 1.4 Motivazione e glottodidattica ludica

2 La glottodidattica ludica: natura, fondamenti e finalità

2.1 Cos’è la glottodidattica ludica 2.2 I giochi per apprendere la lingua 2.3 Il gioco tra cooperazione e competizione

2.4 Classificazione e tipologie di giochi 2.5 Glottodidattica ludica per bambini 2.6 Glottodidattica per preadolescenti ed adolescenti

3 la glottodidattica ludica a scuola: l’organizzazione del contesto ludico 3.1 L2 e Ls: differenze e affinità tra i due contesti di insegnamento 3.2 La Glottodidattica ludica per la LS e per la L2 3.3 Lo studente non italofono come risorsa per la classe 3.4 L’organizzazione e gestione della classe

3.5 Ruolo dell’insegnante 3.6 Centralità del rapporto docente discente 3.7 dalla parte degli insegnanti 3.8 la glottodidattica ludica nella scuola elementare: un’esemplificazione 3.9 la glottodidattica ludica nella scuola media inferiore: un’esemplificazione 3.10 la glottodidattica ludica nella scuola superiore: un’esemplificazione 3.11 glottodidattica ludica e valutazione

ATTIVITA’ PER LA CLASSE Tecniche per l’applicazione di una glottodidattica ludica

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