MODELLI E TRAME NELL'IMPROVVISAZIONE MUSICALE · ecco che l’improvvisazione dirà ciò che...

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MODELLI E TRAME NELL'IMPROVVISAZIONE MUSICALE DI GAETANO MANARA L’improvvisazione artistica è una prassi estetica di notevole interesse. Essa, infatti, vive la dimensione della spontaneità più di qualsiasi altra for- ma artistica. Se l’arte è in grado di farci comprendere qualcosa sull’uomo, non ovviamente dal punto di vista del pensiero matematico-scientifico, ma dal punto di vista di un modo di pensare diverso che è quello estetico, ecco che l’improvvisazione dirà ciò che dell’uomo aderisce di più al suo animo. A differenza di una qualsiasi operazione artistica la cui genesi può avere anche una notevole durata e non avviene sotto la pressione di un pubblico, l’improvvisazione vivendo nell’immediatezza, fa cadere tutti i filtri e i ripensamenti che si possono frapporre tra l’artista e le sua opera nel corso di un lungo periodo decisionale. L’improvvisazione ci parla della spontaneità dell’essere umano. L’improvvisazione si trova all’interno di diverse arti come il teatro, la danza e la pittura. Il campo di questo breve intervento sarà circoscritto all’improvvisazione nella musica, cercando, senza essere riduttivi, di sele- zionare l’immenso materiale a disposizione. Nello specifico si vuole inda- gare un aspetto particolare dell’improvvisazione, che solo in apparenza le sembra contrario: ciò che nell’improvvisazione non è completamente im- 121

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MODELLI E TRAME NELL'IMPROVVISAZIONE MUSICALE

DI GAETANO MANARA

L’improvvisazione artistica è una prassi estetica di notevole interesse. Essa, infatti, vive la dimensione della spontaneità più di qualsiasi altra for-ma artistica. Se l’arte è in grado di farci comprendere qualcosa sull’uomo, non ovviamente dal punto di vista del pensiero matematico-scientifico, ma dal punto di vista di un modo di pensare diverso che è quello estetico, ecco che l’improvvisazione dirà ciò che dell’uomo aderisce di più al suo animo. A differenza di una qualsiasi operazione artistica la cui genesi può avere anche una notevole durata e non avviene sotto la pressione di un pubblico, l’improvvisazione vivendo nell’immediatezza, fa cadere tutti i filtri e i ripensamenti che si possono frapporre tra l’artista e le sua opera nel corso di un lungo periodo decisionale. L’improvvisazione ci parla della spontaneità dell’essere umano.

L’improvvisazione si trova all’interno di diverse arti come il teatro, la danza e la pittura. Il campo di questo breve intervento sarà circoscritto all’improvvisazione nella musica, cercando, senza essere riduttivi, di sele-zionare l’immenso materiale a disposizione. Nello specifico si vuole inda-gare un aspetto particolare dell’improvvisazione, che solo in apparenza le sembra contrario: ciò che nell’improvvisazione non è completamente im-

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provvisato, ossia, vedere la dialettica che nasce tra le proprie conoscenze pregresse e l’idea di un fare artistico che si svolge sul momento. Mi spiego meglio: improvvisazione è un termine che non di rado viene caricato di una sfumatura negativa. Colui che improvvisa, comunemente, sembra na-scondere una mancanza di preparazione, una qualche inadeguatezza, o la poca cura nello svolgimento di un’azione. Non di rado, poi, tale modo di pensare considera l’improvvisazione un miracolo della spontaneità. Essa richiede invece, da parte dell’artista, una grossa mole di studio precedente al suo atto di creazione-esecuzione. Non solo: l’improvvisazione oltre a richiedere una lunga preparazione e conoscenza specifica, non è avulsa dal riferimento alla tradizione ed ai modelli.

Questo articolo dapprima giustificherà l’esistenza di modelli para-digmatici e di trame che scorrono all’interno della spontaneità e creatività che l’artista è chiamato ad evocare, e in un secondo momento li indagherà in maniera più profonda, mettendoli in contatto con le necessità di un’arte estemporanea, quell’arte che, come si è sopra detto, fa della spontaneità uno dei motivi di maggiore interesse.

L'improvvisazione: idee e limites

Preludio

Una musica. Soave, armoniosa. I suoni dei timbri più acuti salivano e scendevano ritmicamente sulla tastiera dell’organo della Sankt Katharinen Kirche della città di Amburgo. Le dita del musicista, si rincorrevano rapide seguendo un ordito non fissato su alcun foglio di carta, i pedali dell’orga-no invece facevano da soffuso tappeto alla lucida materia delle canne più alte. Lui sedeva lì; sembrava che il suo stesso gesto fosse musica e i tasti prolungamento delle sue dita, guardava fisso davanti a sé, traendo dalla sua

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stessa fantasia immagini lontane che univa alle melodie che gli sgorgavano sul momento dal cuore. Il vecchio maestro Reincken, seduto in prima fila, ormai centenario, non credeva a ciò che stava ascoltando. Senza l’aiuto di spartito alcuno, questo famoso musicista improvvisava magistralmente sulle note del corale che qualche anno prima egli stesso aveva composto e suonato, An Wasserflüssen Babylon, “Sui Fiumi di Babilonia”, il lamento degli Ebrei deportati lungo le rive dell’Eufrate. Tutto in suo onore. L’im-pasto sonoro aveva ammaliato tutti, la forza e la facilità con cui i suoni si susseguivano uno dopo l’altro illudeva che quella melodia fosse scritta da molto tempo, anzi, che fosse da sempre incisa sulla volta della navata. Un miracolo a cui solo loro, seduti sugli scranni di quella chiesa nel novembre di quel freddo 1720, avrebbero potuto assistere. Nessun orecchio umano avrebbe più udito quelle note e questo probabilmente lo stesso Reincken lo sapeva bene.1

Nel corto circuito dei secoli un’altra musica si sovrappone, cam-biano i generi, tramontano gli uomini, ma l’intenzione rimane la stessa: creare stupore. Dal nulla una tromba dal timbro alto e squillante, richiama dentro uno dei Club della Cinquantaduesima strada, The Street, negli anni quaranta del secolo scorso. La notte newyorkese rimane in ascolto delle star del jazz, ed in particolare delle improvvisazioni melodiche del principe delle tenebre2 come venne poi chiamato. Dall’altro lato della strada, gli

1 Episodio storico narrato nel necrologio per Johann Sebastian Bach (1685-1750) scritto dal figlio. Si narra che al termine dell’esecuzione Reincken si avvicinò a Bach dicendogli: «Credevo che quest’arte fosse morta, ma vedo che vive ancora in voi!» citato in D. YEARSLEY, Bach’s Feet: The Organ Pedals in European Culture, Cambridge Univ Pr, Cambridge, 2012. Per un ascolto del brano su cui probabilmente improvvisò Bach https://www.youtube.com/watch?v=dw2lfN_Knn4

2 Prince of Darkness, soprannome dato a Miles Davis (1926-1991) grande compositore e trombettista Jazz. Allude alla qualità “notturna” della sua musica, alla sua voce roca e raschiante, le sue sonorità languide e melodiche. Ascolto https://www.youtube.com/watch?v=bCa3iyBekCs

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fanno eco altre musiche colte anch’esse sulle ali del presente imprevisto: il suono strozzato del sax, quello di un pianoforte dagli accordi vibranti, un clarinetto che cerca di attrarre a sé le attenzioni del pubblico. Insieme cre-ano un’atmosfera, l’atmosfera della notte che lì è viva e sembra non voler lasciar spazio al giorno. È il periodo d’oro della musica jazz e siamo invitati all’interno di questi locali in jam session3 che termineranno solo quando l’alba spunterà, lontano, all’inizio della Strada.

Due uomini: l’immortale Bach e Miles Davis. Il loro prodotto artistico appare distantissimo, forse si tratta anche di un accostamento imbarazzante: il genio della musica occidentale e uno dei maggiori espo-nenti di una corrente musicale, più recente e considerata meno colta ri-spetto alla grande tradizione strumentale. Tradizione che fissa il proprio prodotto sulla carta, perché venga udito anche da coloro che vengono dopo. Diversi strumenti, storie lontane, vissuti inconciliabili, la polvere dei secoli li separa eppure, presi insieme, ci parlano di qualcosa che non è sono la grandezza di quell’arte che è la musica, capace di muovere mi-lioni di sensibilità più di ogni altra forma artistica. Qualcosa in grado di tenere legate strettamente le solenni note proferite all’organo di Bach e quelle melodiose e stravaganti della tromba di Miles. Esiste questa unio-ne, ed essa affonda le radici alle origini della cultura musicale del nostro occidente, delle stesse potenze cui l’arte attinge per tenere a battesimo se stessa. Essa è la prassi musicale dell’improvvisazione. Intuito, genio, tradizione e memoria, forma e colore in essa tutto si unisce e dà sen-so. Un senso antico perché è quello che non è legato alla perfezione, è quello che nasce e si nutre della stessa occasione, dello stesso evento, quello imprevedibile, come sono, tra l’altro, tutte le nostre azioni umane.

3 Riunione di musicisti che si ritrovano per una performance musicale senza aver nulla di preordinato, di solito improvvisando su griglie di accordi e temi conosciuti (standard).

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Una sorta di primum, l’inizio dell’arte stessa e della sua modo di essere tramandata.

L’improvvisazione

L’improvvisazione in musica si dice in molti modi, non appartiene ad un genere solo, non si può definire propriamente una tecnica e risulta anche difficile tracciarne una storia, sarebbe quindi più corretto parlare di improvvisazione al plurale, per rendere giustizia a questa molteplicità di idee, di sfoghi e modalità.4 Per questo motivo, nel tentativo di vedere quali sono le trame che la attraversano, i modelli a cui essa si richiama e le costanti di questa prassi artistica, si cerca ora in qualche modo di tracciar-ne i limiti: trovare delle caratteristiche che ce ne parlino in modo sicuro e che siano esse stesse modelli ai quali qualsiasi improvvisazione si debba richiamare per dirsi tale.

In questo lavoro di demarcazione risulta particolarmente utile il re-cente lavoro di Davide Sparti, filosofo della musica, che ha dedicato buona parte dei suoi studi al Jazz. Parecchi lavori fanno infatti riferimento alle sue pubblicazioni in merito, tanto che esso può essere in qualche modo con-siderato un’autorità in questo campo. Quello che dice per quanto riguarda l’improvvisazione nel Jazz può valere per l’improvvisazione musicale in generale.

In modo analitico egli individua certe caratteristiche che quando si presentano insieme rendono lecito parlare di improvvisazione:5

4 G. Zen, L’improvvisazione musicale come nemica del platonismo musicale, Università Ca’ Foscari di Venezia, Paper.

5 Cfr. D. SPARTI, Suoni inauditi. L’ improvvisazione nel Jazz e nella vita quotidiana, il Mulino, 2005, Bologna, pp. 118-119.

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1. Inseparabilità. Come primo criterio per parlare dell’improvvisazione egli mette a confronto i due poli della composizione e dell’esecuzio-ne di un brano musicale. Si dirà che un materiale è improvvisazione in base “al grado in cui composizione ed esecuzione convergono nel tempo”, il caso limite è la loro coincidenza.6

L’atto del comporre e l’atto dell’eseguire sono nell’improvvisazio-ne inseparabili. Questa è una prima caratteristica che distingue in maniera radicale l’improvvisazione dalla creatività compositiva che implica un lavoro anche piuttosto lungo di rifinitura. Uguale pen-siero è condiviso da Alberto Braida, noto pianista italiano che dice: “Le due cose [composizione ed esecuzione] si fondono così tanto l’una con l’altra che è difficile pensarle come dimensioni distinte dell’improvvisare”.7 Possiamo specificare che tale inseparabilità va ad indicare anche la persona che compone con quella che esegue, anzi, di fatto, porta a un legame così stretto da poter affermare che tale persona sarà anche l’unica che eseguirà tale lavoro. Lo stesso vale per il pubblico che sarà anche l’unico che ascolterà dal vivo quella musica. Il pubblico, in questo caso, ha anche la possibilità di trovarsi di fronte allo stesso processo creativo del musicista. Cosa che invece non accade quando si ha a che fare con una musica quale prodotto distinto di un compositore e di un esecutore. Una bella espressione di Emanuela Ferrari contribuisce a farci cogliere la par-ticolarità della congiunzione di questi due momenti e che possiamo utilizzare come una prima definizione dell’improvvisazione: “Dare forma nell’istante”.8

6 Ivi, p. 117.7 A. BRAIDA, L’improvvisazione: pratica di libertà e gioia di vivere? All’interno di F. Cappa-C.

Negro (a cura di), Il senso nell’istante, improvvisazione e formazione, ed. Angelo Guarini, Milano, 2006.

8 E. FERRARI, Esecuzione musicale ed improvvisazione, in F. CAPPA-C. NEGRO (a cura

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2. Originalità. Ogni improvvisazione è differente dagli altri atti di com-posizione/esecuzione che la precedono e da quello che la seguiran-no. Potere di sorprendere, capacità di spingersi nell’ignoto, desiderio di andare verso qualcosa di nuovo, di esplorare nuove strade. Un processo che mentre si svolge inventa il proprio modo di procede-re9. Come sottolinea Sparti, però, non si tratta mai di un’originalità assoluta, ma sempre di un’originalità che ha ben presente la tradizio-ne e i richiami che ad essa si ascrivono. Di questo si tratterà meglio in un secondo momento.

3. Estemporaneità. L’improvvisazione si svolge nell’attività tutta sogget-tiva del hic et nunc, senza avvalersi del beneficio della musica scrit-ta come guida delle note. Questa caratteristica, riformulata in altro modo, indica come l’esito dell’improvvisazione non possa essere noto in anticipo, al contrario di quanto invece accade per la musica tradizionale, questo viene sottolineato anche dal fatto che il pub-blico molto spesso conosce già in precedenza ciò che i musicisti andranno a suonare.L’espressione di Quintiliano, ex tempore actio, indica per l’appunto un’azione che non è frutto di un lungo processo deliberativo, ma è come se avvenisse fuori dal flusso del tempo, nel senso che accade in un “adesso”, in questo fragile istante.L’estemporaneità è forse tra le più interessanti parti dell’improvvisa-zione, con essa si ha di fatto una rinuncia all’aspirazione di eternità e di perfezione tipica dell’uomo. Si è consapevoli che tutto rimarrà circoscritto a quell’adesso che nel futuro nessuno ricorderà, anche

di), Il senso nell’istante. Improvvisazione e formazione, ed. Angelo Guarini, Milano, 2006, p. 125.

9 D. SPARTI, Il corpo sonoro. Oralità e scrittura nel Jazz, il Mulino, Milano, 2007, p. 123.

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se si farà un’incisione di quel breve attimo. Sarà riproducibile solo nelle fredde casse acustiche di qualche apparecchio perdendo il con-tatto vivo con lo strumento e con l’evento stesso.Sparti definisce questa componente anche situazionalità.10 Si vuole così sottolineare come l’agire nel qui ed ora comporta una notevole influenza sulla musica da parte del luogo dove si suona e del pubbli-co. Se si esegue la Pastorale di Beethoven a Roma o a Vienna, l’esito rimane simile, ed in ogni caso non attacca la sostanza del brano, ma il fatto stesso che il brano improvvisato venga deciso in situ com-porta invece un certo peso dell’ambiente nella ricerca dell’artista.11

4. Irreversibilità. In generale tutto il nostro umano agire rimane irrever-sibile, cioè siamo sempre costretti a percorrere la linea temporale in un solo verso. Ma dal punto di vista della musica, il compositore nel suo studio non si trova sotto i riflettori del pubblico e può quindi beneficiare della possibilità di cancellare una battuta, ritornare indie-tro, riscrivere. Chi improvvisa non può tornare a suonare lo stesso brano correggendosi, almeno non davanti allo stesso pubblico. Per l’improvvisazione non esiste l’istituto del perdono. I tentativi di re-visione possono essere fatti in itinere, ma diventano parte integrante della stessa musicalità e della stessa opera.A questo proposito Sparti dice in maniera magistrale: “Per questo il jazzista vive il tempo della sua improvvisazione come il tempo ef-fimero della sua esistenza; un tempo che ha il marchio del divenire umano, contrassegnato dal fascino della natalità, di ciò che si ma-nifesta per la prima volta, e dalla tragedia della caducità, di ciò che - dopo essersi delineato – è destinato a scomparire per sempre.”12

10 Ibidem.11 Ivi, p. 126.12 Ibidem.

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5. Responsività. Il carattere fondamentale, ma anche quello i cui mec-canismi sono più oscuri da comprendere: l’improvvisazione com-porta una grossa componente attenzionale e la responsività è quella capacità di reagire repentinamente ai cambiamenti introdotti nella musica, riuscire a prendere decisioni immediate che influenzino il corso del brano. Questo processo non è tipico dalla razionalità ma-tematica, ma passa attraverso una razionalità eminentemente prati-ca. Chi compone infatti ha la possibilità di ragionare molto a lungo, di tornare su quanto scritto, di vedere e provare al pianoforte che le combinazioni armoniche trovate siano adatte e rispettino tutti i canoni che l’orecchio richiede. Chi improvvisa, invece, è un decisore coatto, costantemente indotto a fare scelte su come andare avanti.

6. Aggiungerò infine un’altra caratteristica fondamentale che viene citata da Sparti in un suo lavoro successivo.13 L’improvvisazione è tipicamente processuale.14 Il compositore ha tutto il tempo di ri-pensare la propria opera, il processo passa in secondo piano e di-venta invece rilevante, anche ai fini della valutazione, il testo più o meno elaborato che produce. L’improvvisazione, invece, non risolvendosi in un prodotto esterno, è costantemente produtti-va ed espone al pubblico la sua stessa pratica. “Una performance improvvisata esporrà non un’opera d’arte, ma l’esposizione stes-sa come forma d’arte”. Si capisce quindi un’ultima caratteristica dell’improvvisazione: essa non è strettamente teleologica: non va alla ricerca di un fine, e l’arresto del processo non è detto che coincida con il suo compimento. La composizione non va oltre il tempo più o meno lungo determinato dallo spartito, l’improvvisazione

13 Ibidem.14 Cfr. PH. ALPERSON, On musical improvisation, in “Journal of Aesthetics and Art

criticism” 43 (1) p. 24

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invece è probabilmente interminabile a prescindere che le energie fisiche vengano meno, perché non fa che esporre continuamente se stessa, in una continua ricerca.

In conclusione, il regime ontologico dell’improvvisazione non è quello degli oggetti, ma quello degli eventi: essa è un’attività, effimera, transeunte, non reidentificabile che può essere percepita unicamente nel momento della sua creazione, è cioè in fieri.15

Per un quadro filosofico

Prima di passare all'analisi delle trame dell’improvvisazione, è necessario ancora un ultimo passo: si tratta di vedere quale sia il quadro filosofico entro il quale l’improvvisazione si lascia inscrivere in maniera migliore cioè il paradigma estetico che si rende più adatta ad una sua com-prensione. Uno dei tentativi più proficui è quello di Alessandro Bertinetto, ripresa poi da altri autori come Paolo Damiani. Si tratta di inserire l’estetica dell’improvvisazione all’interno dell’estetica della formatività di Luigi Pa-reyson. È noto la posizione di Pareyson per quanto riguarda l’opera d’arte: essa è un agire, un fare; si distingue però da una normale azione quotidiana perché la regola che l’azione segue non si forma prima dell’agire stesso che la applica. Si inventa nel momento stesso in cui si realizza. “L’arte è un tal fare che, mentre fa, inventa il modo di fare”, e ancora, l’arte “nel corso stesso dell’operazione inventa il modus operandi, e definisce la regola dell’o-pera mentre la fa, e concepisce eseguendo, e progetta nell’atto stesso che

15 Cfr. A. BERTINETTO, Improvvisazione e formatività, in “Annuario filosofico” 25/2009, Mursia, 2010.

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realizza”.16 Bertinetto17 osserva come questa definizione data dal Pareyson dell’opera d’arte sia incredibilmente simile alla formula che lo stesso Sparti adotta per descrivere l’improvvisazione: “agire che mentre si svolge in-venta il proprio modo di procedere”,1819 e infatti l’improvvisazione crea da sé la propria regola d’agire e il proprio contesto mentre si pone in atto. Ecco quindi che l’improvvisazione non è più un territorio estraneo all’ar-te, anzi, forse ne diventa l’esemplificazione più chiara. Bertinetto va oltre: l’improvvisazione può, nell’ottica della formatività, essere assunta come il modello esemplificativo del fare artistico tout court.

L'improvvisazione: modelli e trame

Chimere

Si tratta ora di indagare in maniera approfondita quanto dell’im-provvisazione nasca veramente sul momento, quanto invece parta da una base e che quindi non sia frutto di una creatività estemporanea. Se infatti consideriamo l’improvvisazione solo come un momento di asso-luta spontaneità e che solo coloro che possiedono una grande capacità musicale sono in grado di far emergere dal proprio strumento, come se si tratti di una sorta di dono naturale al pari di altre competenze artistiche, allora in questo caso l’improvvisazione non solo sarebbe impossibile da insegnare e trasmettere, ma anche si tratterebbe di qualcosa di difficil-

16 L. PAREYSON, Estetica. Teoria della formatività, Sansoni, Milano, 1974, p.5917 A. BERTINETTO, op. cit., p. 16118 D. SPARTI, Il corpo sonoro, cit., p. 123. Cfr. anche p. 5 punto n. 2 19 Sparti invece tenta di andare nel verso di una nuova estetica dell’imperfezione da

contrapporre a quella estetica dell’opera o della perfezione che ha dominato per lungo tempo la cultura musicale occidentale. A proposito si veda sempre Il corpo sonoro il capitolo verso un’estetica dell’imperfezione.

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mente analizzabile poiché saldamente ancorato ad una indeterminatezza che si rifà alla singolarità irripetibile dell’uomo. Questa posizione non è cosi peregrina come appare: lo stesso Sparti cita l’esistenza di manuali e dizionari del jazz in cui spesso l’improvvisazione viene vista come una sorta di “miracolo della spontaneità”.20

Esiste quindi una buona mitologia intorno all’improvvisazione, anche nelle mente della gente comune, che esalta l’esistenza di una inter-pretazione pura, scevra da qualsiasi passato e da qualsiasi insegnamento. Berliner non solo precisa come le definizioni popolari dell’improvvisa-zione enfatizzino unilateralmente la sua natura spontanea ed intuitiva, ma anche condanna l’incompletezza di tali espressioni.21 Infatti, come sotto-linea bene Emanuela Ferrari, “l’improvvisazione pura è una chimera”22 almeno quanto l’idea che sia possibile cancellare totalmente, fare tabula rasa di noi stessi e del nostro passato. Presa di posizione condivisa dalla maggior parte della letteratura sul tema. Sempre il nostro Sparti mette in guardia dal non farsi sedurre dalla “mitologia dell’improvvisazione come qualcosa di assolutamente germinale, che avrebbe luogo nel regno dell’assoluta libertà, senza l’ausilio di memoria”.23

Forse il più grande organista del ventesimo secolo, Jean Langlais,24 ripeteva spesso che l’improvvisazione non si improvvisa25 e si potrebbero riportare molti altri celebri aforismi in proposito.

20 D. SPARTI, Suoni inauditi, cit., p. 120.21 P. BERLINER, Thinking in Jazz: The infinity art of improvvisation, Chicago University

Press, 1994, p. 492.22 E. FERRARI, op.cit., p. 119.23 D. SPARTI, Suoni Inauditi, cit., p. 12024 Jean Langlais (1907-1991) grande organista, compositore ed improvvisatore

francese, la sua produzione principale è nell’ambito della musica organistica, molte sue opere sono ora inserite nel repertorio concertistico degli organisti.

25 N. Hakim, The improvisation companion, United Music Publichers LTD, London, 2000, p. 21.

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L’improvvisazione non è mai qualcosa di nativo in sé; parte portante della nostra analisi è voler indagare allora quali siano le basi, il sostrato che un musicista deve avere a disposizione per improvvisare.

È un’apparente contraddizione, rispetto al concetto di improv- contraddizione, rispetto al concetto di improv-visazione, fornire regole rigide, schemi, ma non si può immaginare che nell’improvvisazione appunto ci sia un libero creare, un fluire di idee e di sensazioni che si ritrovano poi unite in un’invenzione musicale. La nostra musica infatti per come è nata, il nostro stesso orecchio, obbediscono a precise regole di linguaggio da cui anche l’improvvisazione non può pre-scindere, o almeno non in maniera completa.

Da qualche parte infatti si deve cominciare, l’idea stessa di una totale libertà musicale probabilmente toglierebbe la stessa possibilità di incomin-ciare un’improvvisazione, sono infatti necessari dei confini, dei riferimenti, o meglio dei modelli, altrimenti l’impresa sarebbe la stessa di scalare una parete completamente liscia, che non dia la possibilità di alcun appiglio. “Si improvvisa sempre su qualcosa”.26

E' interessante notare come sul rovescio della medaglia, ovvero nel campo della composizione scritta, confrontandoci con la quale nella prima parte si sono trovati gli elementi caratterizzanti dell’improvvisazione, non esiste neanche un’esecuzione completamente fedele ed attaccata allo spar-tito musicale. Non esiste cioè un’esecuzione pura quanto non esiste l’im-provvisazione totale. La notazione non permette di determinare tutti gli elementi in gioco nell’esecuzione di un brano, il compositore non lascerà mai a chi suona una sola possibilità di realizzazione. Si tratta di un’insuffi-cienza della notazione musicale27.

26 D. SPARTI, Suoni inauditi, cit., p. 12527 E. FERRARI, op.cit.

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Tradizione e memoria

Individuiamo in cosa consiste questo punto di partenza, questa base dell’improvvisazione. I musicisti che si danno all’improvvisazione e ricer-cano come risultato della loro operazione artistica un prodotto che non sia solo un mero accostamento di note del tutto casuale, probabilmente non in grado di trasmettere un senso al fruitore, devono infatti avere due caratteristiche: da una parte un’elevata competenza tecnica, ovvero una conoscenza maniacale dello strumento, grazie ad anni ed anni di sacrifici e di esercizi, e dall’altra un bagaglio di materiali musicali che vanno ad essere la memoria dell’artista e che si richiamano in maniera diretta o indiretta alla tradizione.

“L’improvvisazione si basa in gran parte sulla rielaborazione di forme e materiali precomposti e memorizzati”.28 Per quanto il gesto dell’improvvisazione punti ad essere qualcosa di innovativo, inedito, e sor-prendente, i suoi materiali sono “attinti e in qualche misura già lavorati e formati dalle tradizioni”29

In quanto uomini, siamo infatti esseri culturali carichi di storia e le nostre tradizioni, i nostri gusti, anche i nostri desideri influenzano sempre il modo in cui si suona.

In cosa consiste questa tradizione? Sparti parla di referenti della mu-sica improvvisata, cioè dei “dispositivi che ne vincolano, ma anche ne so-stengono la genesi”.30 Tra questi referenti si possono enumerare:

1. Gli strumenti. Ogni strumento infatti incorpora in sé tecniche, ap-procci che vanno bene solo per quei determinati strumenti.

28 D. SPARTI, Suoni inauditi, cit.29 A. BERTINETTO, op.cit., p. 151.30 D. SPARTI, Suoni inauditi, cit., p. 126.

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2. Lo stile a cui ci si ispira.3. Un repertorio di brani che colui che si esibisce conosce già, cioè che ha

nella propria memoria ed in un modo o nell’altro ad essi si richiama.4. Molto spesso anche degli standards. Questi sono brani divenuti clas-

sici e che fungono da test per la bravura dell’esecutore.5. La grammatica, citata per ultima, ma in realtà la vera e propria base,

anche solo per incominciare, di un’improvvisazione. Si parla, per esempio, della definizione della tonalità, cioè il complesso dei rap-porti che legano le note e gli accordi ad una nota chiamata fonda-mentale sulla base di una scala (nel nostro sistema musicale mag-giore o minore). Ancora fanno parte della grammatica la struttura ritmica del brano che nella nostra musica si misura con una precisa notazione (per esempio 4/4 o 3/8). Anche la struttura ritmica è fondamentale, essa è la sequenza degli accordi su cui il brano si fon-da, in maniera colloquiale si usa dire “il giro di accordi”. C’è poi la forma della melodia cioè il modo in cui il brano verrà suddiviso, per esempio sei battute di strofa e quattro di ritornello.

I gradi dell'improvvisazione

Abbiamo analizzato alcuni elementi costanti a cui l’improvvisazione si deve sempre riferire. Ma ci sono anche delle costanti dal punto di vista del processo improvvisativo in sé. Facciamo un passo indietro. Se dapprima ab-biamo affermato che dal punto di vista concettuale composizione e improv-visazione si pongono agli antipodi, ora si è visto come in realtà, dal punto di vista della prassi storico-artistica, la differenza va sfumando ed è graduale: ecco perché si diceva che l’improvvisazione assoluta è un caso limite. Ora ci sono dei modelli d’improvvisazione anche dal punto di vista del processo e giocano appunto su questo passaggio dalla composizione all’improvvisazio-

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ne. Sparti parla di “gradi di improvvisazione” nel continuum che si rivela nella prassi tra composizione e improvvisazione.31 Si tratta di gradi crescenti di cambiamento e se ne possono individuare almeno quattro:

1. L’interpretazione, s’intende il prendersi piccole libertà minori, come un’accentuazione ritmica diversa da quella prescritta dalla notazione.

2. L’abbellimento, una parafrasi, un fraseggio diverso da quello indicato, ma pur sempre ancorato ad una precisa istanza di quella melodia.

3. Variare, ovvero inserire gruppi di note non appartenenti al brano, con una (ancora) chiara relazione con la melodia originale.

4. Improvvisare, ha a che vedere con la trasformazione del brano secon-do patterns32, che hanno un legame minimo o addirittura nullo con la melodia. Si usa solo la base creata dalla costrizione armonica, il famoso giro di accordi, una delle prime cose che si insegnano a chi vuole suonare la chitarra.

Il jazzista quando improvvisa utilizza tutti questi gradi di improvvi-sazione. Non è del tutto sbagliato allora paragonare un’improvvisazione ad una sorta di bricolage che mette insieme frammenti già suonati e già sen-titi, e che produce qualcosa che risulta più o meno originale.33

Riporto una metafora ben riuscita di Sparti: l’improvvisazione si può avvicinare ad un viaggio. All’inizio chi cammina presta attenzione ai segnali e impara a memoria le strade, con il passare del tempo, grazie a dei landmakers acquisiti, il controllo passo dopo passo della giusta direzione va

31 Ivi, p. 124.32 Termine tecnico nel jazz significa modello e come tale deve essere considerato; è

in pratica un suggerimento melodico scritto dal quale trarre idee per cercare un linguaggio personale.

33 Cfr. H. BECKER, The Etiquette of Improvisation, in “Mind, Culture and Activity”, 2000, vol. 7, n. 3, pp. 171-176.

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in secondo piano, non che essi scompaiano, ma diventano più spontanei e permettono invece di godere dei piccoli dettagli del paesaggio, addirittura di scoprire scorciatoie ed angoli nascosti. Tutti gli elementi e i model-li indicati in precedenza sono proprio i landmakers dell’improvvisazione. Ecco che appare chiaro come l’improvvisazione si basi sempre su una solida struttura, e che essa necessiti di una profonda assimilazione di tutti questi componenti. Ma non si parla solamente di jazz! Spero che riportare un’esperienza personale possa essere utile a comprendere meglio la gene-si si un’improvvisazione. Preparando forse uno dei concerti più belli per violoncello solo, il concerto n. 1 in do maggiore di Haydn, alla fine del primo tempo, il moderato, è richiesta una cadenza. La cadenza è una va-riazione virtuosistica svolta dal solista nella fase finale di un brano. Prima del diciannovesimo secolo non veniva messa per iscritto perché si lasciava tutto all’estro improvvisato dell’esecutore.34 Ora, in genere, è riportata in piccolo, alla fine dello spartito, una cadenza spesso trascritta dallo stesso compositore, che è ormai prassi eseguire senza lasciar spazio a fantasie. E perché non provare a creare una cadenza propria? All’inizio si ha un vuoto pneumatico, non si sa cosa fare, si prova ad ascoltare qualche esecuzione famosa, molti eseguono quella scritta, altri, pochi, si discostano35… vengo-

34 Cfr. JEAN-JACQUES ROUSSEAU, Dictionnaire de musique, 1767, p. 68 prima edizione consultabile online al link https://archive.org/stream/dictionnairedem00rous#page/68/mode/2upDefinizione di cadenza: « L›autore lascia a libertà dell›esecutore, affinché vi faccia, relativamente al carattere dell›aria, i passaggi più convenienti alla sua voce, al suo istrumento ed al suo gusto. Questo punto coronato si chiama cadenza perché si fa ordinariamente sulla prima nota di una cadenza finale, e si chiama anche arbitrio, a cagione della libertà che vi si lascia all’esecutore di abbandonarsi alle sue idee e di seguire il suo gusto. La musica francese, soprattutto la vocale, che è estremamente servile, non lascia al cantante alcuna libertà in tal sorta, ed il cantante sarebbe pertanto assai perplesso nell’usarne ». Traduzione tratta dalla «Grande Enciclopedia della Musica Classica”, Curcio, Roma, 1972.

35 Riporto diverse esecuzione della cadenza del concerto n 1 di Haydn per violoncello: quella classica eseguita magistralmente da Enrico Dindo al minuto 8:05 https://

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no ripetuti stilemi tipici del brano, come in questo caso le sestine ribattute sulla corda vuota, si aggiunge, ecco un primo punto di riferimento, poi si suona un gruppetto, un abbellimento, e si va così a tentativi… ogni volta qualcosa di diverso, alcune volte per nulla soddisfacente, altre volte si sal-vano le parti che piacciono di più e si cercano di riproporre variate nella successiva esecuzione. Si esplora, ed esplorando il testo sembra più vivo, la musica inizia a diventare propria. Nessun miracolo, ci si accorge di quanto lavoro sia necessario per improvvisare sul serio. Sono piccoli tentativi, un punto di partenza… insomma una base all’improvvisazione.

Al di là dei modelli

L’episodio appena narrato può essere utile perché ci apre una nuova strada. Nella cadenza di Haydn non ci si deve limitare a riproporre la melodia già esposta grazie allo studio nel corso del brano, bisogna scoprire e cercare una svolgimento sulla traccia di una nuova originalità. L’ordito dell’improv-visazione infatti da una parte è composto dalla trama della tradizione e della memoria, dall’altra da quella dell’innovazione: l'ostinata ricerca di qualcosa di nuovo. L’improvvisazione non consiste, infatti, soltanto nella combinazione di modelli e di linee melodiche preconfezionate36 come si trattasse solo di un magazzino a cui attingere le risorse. Se l’improvvisazione consistesse soltan-to in un assembramento di frasi preconfezionate i risultati sarebbero cata-strofici: non ci sarebbe alcuna continuità, la musica risulterebbe poco fluida, farraginosa, come se chi improvvisa dovesse “consultare il catalogo delle sue frasi fatte” per poi stabilire con una procedura dispendiosa quali fare.37

www.youtube.com/watch?v=72JClSO5fPM e quella eseguita ed ideata da Mstislav Rostropovich, forse il più grande violoncellista

di sempre, al minuto 7:26 https://www.youtube.com/watch?v=eU5KdY_04kU 36 D. SPARTI, Suoni inauditi, cit., p. 133.37 Ibidem.

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Una celebre frase di Miles Davis ci fa capire che c’è qualcosa che ci fa superare questo stallo: “L’improvvisazione è andare al di là di ciò che si sa”.38

È in questa componente va trovata l’originalità del jazz e dell’im-provvisazione in generale.39 La tradizione, per quanto indispensabile, deve essere solamente un trampolino di lancio per l’originalità vera e propria e per la creatività.

L'improvvisazione: le forme

Una prassi antica

Nonostante si tenda a ricondurre l’improvvisazione in maniera ri-duttiva solamente al jazz, essa ha una storia molto più antica e varia. For-me di improvvisazione, infatti, si ritrovano forse da sempre nella musica popolare, ma non solo: nonostante le composizioni scritte siano state il modello dominante di produzione della musica per parecchi secoli, l’improvvisazione è stata una pratica professionale per gli organisti nel Cinquecento e oltre, il terreno di leggendarie sfide su molti strumenti dei virtuosi tre il Sei e Settecento, anche il modo per brillare nei salotti dell’Ottocento inoltrato.40 Nei tre secoli precedenti al nostro la maggior parte dei musicisti più importanti poteva assumere facilmente i ruoli di compositore, esecutore ed improvvisatore.41 Mozart, Beethoven, Liszt,

38 Riportato da P. DAMIANI nel saggio L’arte dell’improvvisazione, un sapere nel mentre si fa, in G. LA FACE BIANCONI-A. SCALFARO, La musica tra conoscere e fare, ed. FrancoAngeli, 2011.

39 Vedi capitolo primo, p. 4.40 E. FERRARI, op.cit., p. 126.41 A. WILLS, L’organo, la storia e la pratica esecutiva, Franco Muzio editore, Padova, 1987,

p. 211.

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Bruckner erano noti improvvisatori e si può essere sicuri che quest’arte veniva praticata anche dai loro contemporanei meno dotati.42 Le due forme di improvvisazione che si analizzeranno in questo capitolo sono quelle che oggi godono ancora di una certa vivacità, cioè vengono an-cora praticate e il loro studio viene trasmesso ed ascoltato. Sto parlando della grande prassi organistica e dell’improvvisazione nel jazz. Questa scelta, per quanto riduttiva, servirà a darci almeno un assaggio di cosa significhino nel concreto i modelli che nel secondo capitolo abbiamo enunciato in maniera generale. Il bacino di raccolta dell’improvvisazione infatti è molto ampio, quindi mostrare le differenze e, perché no, anche le dissonanze che questa pratica tiene unite aiuta a dare un quadro com-pleto a questo lavoro.

L’organo

L’improvvisazione all’organo rimane una pratica fondamentale an-cora oggi nel servizio liturgico. È proprio il servizio liturgico che ha ga-rantito a questa pratica di sopravvivere fino al nostro secolo. La necessità di adattarsi ai tempi che la celebrazione impone, spesso poco prevedibili, come per esempio la durata della comunione, unita anche ai motivi di riem-pimento che si usano nei momenti di riflessione, come quelli che seguono alcuni riti, impone all’organista tempi decisionali molto stretti e un ele-vato grado di improvvisazione. I modelli hanno in questa prassi un ruolo centrale. Arthur Wills conferma, a sostegno di quanto dicevamo nel primo capitologià abbiamo detto, che anche per l’organo l’improvvisazione non consista nel sedersi allo strumento aspettandosi che l’ispirazione discenda dall’alto.43 L’organista infatti si richiama prima di tutto ai brani trasmessi

42 Ibidem.43 A. WILLS, op.cit., p. 212.

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dalla tradizione liturgica che pescano sia nella musica medievale, il canto gregoriano, e poi via via a tutte le composizioni sul genere fino a quelle di anni più recenti. Non di rado l’organista si basa su una melodia che poi ritornerà nel corso della messa, per esempio durante la comunione di un eventuale coro viene richiesto un preludio basato sull’inno che poi deve se-guire o magari può essere necessario aggiungere qualche rigo alla fine di un inno per coprire il tempo in cui si completa il raccoglimento, o ancora un postludio di una certa estensione alla fine del servizio.44 Questi brani, una volta immagazzinati e memorizzati, uniti ad una approfondita conoscenza dello strumento, permettono quindi all’esecutore di realizzare pienamente le proprie idee che nascono sull’estro del momento.

Ma i modelli in questo caso fungono anche da punto di partenza per imparare la stessa pratica. La base dello studio si fonda infatti sull’utilizza-zione del materiale preesistente e sull’approccio contrappuntistico. Questo materiale preesistente può essere un cantus firmus o una melodia corale45.

Riporto l’esempio di un cantus firmus al quale si chiede per esempio di aggiungere una o più parti superiori al basso senza l’ausilio della nota-zione (le note in piccolo sono un possibile svolgimento dell’esercizio).

Esercizio 1, aggiungere nota contro nota a questa melodia di modo IV.46

44 Ivi P. 226.45 Ibidem.46 Ivi p. 213

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Il modello presentato è elementare, ma ci permette di fare qualche veloce considerazione.

• Con esso si impara a pensare con un certo anticipo le note che segui-ranno. Le note vengono lasciate alla libera creatività dell’artista nel ri-spetto delle regole armoniche dettate dalla nostra tradizione musicale.

• Il basso in qualche modo, in seguito a vari tentativi, entra a far parte della memoria dell’artista, che poi potrà riprodurlo tutto o in parte durante una successiva esecuzione.

• L’esecuzione sarà sempre diversa, si terrà memoria di quelle preceden-ti, ma mai in maniera nitida e questo permette la continua creatività.

• Si comprende bene cosa si intendesse quando si parlava di riferi-menti, il modello diventa punto di partenza e di riferimento.

Con la bravura dell’organista un modello così semplice potrà poi es-sere arricchito da abbellimenti, ritornelli o generare anche nuove melodie.47

La memoria artistica di un organista è ricca di temi anche molto com-plessi e questi fungono da modelli per l’esecutore. Nel libro “The improvi-stion componion” di Naij Hakim ne vengono riportati un buon numero in appendice.48 L’autore li classifica per tipo: si avranno temi che si basano su musiche tradizionali (anche extraliturgiche), temi che si basano su famosi corali come quelli da scritti da Bach. Ancora temi che si basano sul canto gregoriano. E poi le passacaglie, le fughe e temi invece più liberi.

A titolo di esempi consiglio come ascolto una semplice improvvisa-zione sul canto gregoriano del “Salve regina”,49 di cui riporto le prime righe.

47 Seguendo i gradi dell’improvvisazione di cui si parla nel secondo capito a p. 17. 48 N. HAKIM, op.cit., p. 91.49 Registrazione eseguita il 7/10/2012, l’esecutore è l’organista Roberto Stirone.

Organo Tamburini del 1966, Convento Francescano di Sant’Antonio a Casale Monferrato (AL). https://www.youtube.com/watch?v=jMnNQgzCWeE

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Salve regina, frammento in notazione gregoriana.50

Al minuto 1:31 è evidente il tema d’inizio del “Salve” che viene ri-proposto immediatamente per imitazione su una diversa ottava, ma con differente conclusione. Tale inizio viene poi riproposto al minuto 3:14 ma con un ampia aggiunta di note che formano una scala sulla tastiera. Il resto del brano è slegato dal tema originale, ma un orecchio allenato sarà capace di ritrovare brevissimi richiami al tema principale, di cui si cerca di dare un’ampia armonizzazione.

A volte l’esecutore può decidere di non riferirsi in maniera espli-cita ad un tema preesistente. Posto che in realtà, anche se in maniera latente, forse perfino allo stesso esecutore esso si riferirà a qualche melodia presente nella memoria, anche in questo caso non si esula da modelli di riferimento. All’organista è sempre richiesta prima di tutto un’utilizzazione coerente e proporzionata del materiale che vuole utiliz-zare e la capacità di tracciare uno schema di tonalità logico e bilanciato. Per esempio un’improvvisazione di tipo contrappuntistico si centra sul-

50 N. HAKIM. op.cit., p. 103.

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lo sviluppo di una singola linea melodica che può seguire per esempio questo schema.51

• Cinquanta battuta in tempo di 4/4:• Dodici battute di apertura in stile imitativo, tonica.• Otto battute modulando alla sopratonica minore.• Sei battute modulando alla dominante.• Otto battute modulando alla tonica con conclusione su una cadenza

imperfetta.• Quattro battute modulando alla sottodominante.• Dodici battute modulando ancora alla tonica, cadenza perfetta come

conclusione.

Un’improvvisazione che si basi su questo schema può essere com-pletamente libere e deve seguire solo la trama del passaggio per i vari gradi della scala.

Schemi nel Jazz

Nel corso della sua storia evolutiva, iniziata nel secolo scorso, il Jazz vanta una ramificazione in una gran quantità di stili e sottogeneri, non tutti com-pletamente capiti, approfonditi, sviluppati. Solamente per darne un’idea si possono ricordare alcuni tra i più importanti: Bebop, Cool Jazz, Hard bop, Jazz modale, Free Jazz, Jazz-rock etc… Descrivere il Jazz risulta così un’im-presa ardua come anche rintracciare i modelli caratterizzanti ogni singola corrente. Faremo quindi alcuni esempi paradigmatici.

Già nelle sue origini il Jazz ha dei modelli a cui riferirsi: la sua strut-

51 A. WILLS, op.cit., p.91.

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tura, infatti, nasce sicuramente dal Blues e ad esso si richiama, ma spesso si rifà anche alla reinterpretazione di brani popular.52

Sparti ci fornisce alcuni degli schemi tipici. Un brano Jazz consiste in una melodia eseguita sopra una sequenza o progressione di accordi.53 Il brano è spesso scomponibile in quattro sezioni, le quali, nel complesso, formano un chorus, che di solito ha un modello metrico di trentadue battu-te. Si tratta di quattro cicli di otto battute così suddivisi:

• Refrein: il ritornello che solitamene viene ripetuto due volte, e in esso si espone il tema o la melodia principale

• Bridge: è un inciso che funge da parte intermedia• Ripetizione del ritornello

Lo schema sarà allora strutturato in questo modo: AABA. Questo è uno dei tanti schemi su cui si può formare un’improvvisazione nel Jazz.

Dal punto di vista invece dei modelli che si riferiscono al materia-le tradizionale esistono: specifici passaggi pre arrangiati chiamati worked out, con cui spesso si inizia un’improvvisazione. Ci sono poi determinati links che sono frasi, motivetti o formule elaborate in performance prece-denti. Sono una sorta di autocitazione, o meglio, l’impronta personale di ogni autore sul suo modo di improvvisare. Essi non vengono mai ripro-posti in maniera pedissequa, ma ne vengono sempre arrangiati di nuo-vi, in quella tipica ricerca senza fine che caratterizza l’improvvisazione. Sparti parla di essi come una sorta di “mattone elementare”54 sul quale costruire l’improvvisazione. Essi possono anche essere pensati a volte

52 R. TOMARCHIO, La Musica Improvvisata, Paradigmi Generali e Declinazioni Palermitane, Tesi di laurea triennale in Discipline della musica, Lettere e Filosofia, Palermo, 2009/2010.

53 D. SPARTI, Suoni inauditi, cit., p.127.54 Ivi, p. 128.

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come delle frasi di riserva per colmare i vuoti ed intervenire quando si è a corto di idee.55

Richiamandoci al capitolo secondo dei possibili standards possono essere canzoni provenienti da musical di Broadway o le ballata scritte da Gerschwin,56 ma non solo.

Storicamente, nell’epoca in cui il Jazz era soprattutto una musica da club trasmessa oralmente, i musicisti passavano ora ed ora e praticare la musica a confrontarsi con i colleghi. In quel momento più che ora c’era un’ampia circolazione di modelli. Esisteva una sorta di idolatria per i musi-cisti più anziani e si imparava gli uni d’agli altri nelle jam session. È quella che Sparti chiama “la comunità Jazz”.57 In essa molti brani venivano ascoltati ed imitati. Gli strumentisti apprendevano quindi le trame della loro musica nel confronto con gli altri anche all’interno delle vere e proprie esecuzioni.

Anche l’errore, in questo tipo di musica più che in altri, può poi diventare esso stesso modello creato all’interno dell’esecuzione sul quale poi insistere e svilupparsi. Riporto un aneddoto: durante un concerto del secondo quintetto di Davis, Herbie Hancock suonò un accordo sbagliato. Nel sentire l’insolita configurazione dei suoni, Davis, la usò come vettore per la sua immaginazione musicale, elaborando una linea melodica del tut-to inattesa.58 Nel jazz appare quindi rilevante non il fatto di aver commesso un errore, ma il modo di suonare dopo che l’errore è stato commesso. L’errore in una performance successiva potrebbe poi essere riproposto come un vero e proprio modello.

Ora che il Jazz non è più una pratica tramandata solo oralmente, è possibile anche con una semplice ricerca, trovare una notevole quantità di

55 Ivi, p. 157.56 Ivi, p. 126.57 Ivi, p. 128.58 Ivi, p. 184.

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patterns. Come già accennato si tratta di suggerimenti melodici scritti da memorizzare per poi trovare un linguaggio proprio.

Patterns II-V7-I tratta da Matt Otto’s Modern Jazz Vocabulary Vol.II59

Conclusioni

Si è ampiamente mostrato come l’improvvisazione sia una musica fortuita, impulsiva, ma mai rischiosa o arbitraria. Essa è al contrario co-sciente e minuziosamente controllata come una composizione lungamen-te elaborata, proprio grazie ai modelli e schemi che sono stati precedente-mente individuati e discussi.

Alcune considerazioni vengono da quanto esposto fino ad ora.La prima e forse anche la più importante. I modelli sono il vero

modo con cui un’artista che si cimenta nell’improvvisazione è in grado di esprimere al meglio la sua idea ed il suo estro. Senza di essi sarebbe perduto, non saprebbe da dove cominciare, le sue note risulterebbero non dotate di senso e la sua musica solo un’accozzaglia di suoni. Ecco perché

59 http://mattotto.org/modern-jazz-vocabulary-vol-2-ii-v-i/

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la creatività e la spontaneità di cui si parlava nell’introduzione, invece di essere bloccate o in qualche modo offuscate dai modelli, sono in realtà rese possibile da questi: senza non potrebbero esprimersi. In questo modo si risolve anche la contraddizione di una prassi che riesca a conciliare il massimo della spontaneità con l’uso degli schemi pregressi.

Dalla prima considerazione ne discende di conseguenza la seconda: i modelli sono quelli che permettono che ci sia un’intesa tra artista e frui-tore e tra artista ed altro artista. Sono il linguaggio comune che permette di scambiare significato e che quindi rende l’improvvisazione dotata di senso. Senza di essi, che fungono da base comune, il pubblico farebbe fatica a comprendere l’artista.

Un altro spunto interessante: ancora una volta, anche nel campo che sembra più lontano dall’interessarla, viene ribadita l’importanza della tradizione. Come spesso si dice che non è possibile fare filosofia senza conoscere la storia stessa del pensiero, così si può dire che non è possibile improvvisare senza conoscere la storia del proprio genere, averne acquisi-to i paradigmi, le tracce e i modelli che vengono trasmessi da esso.

Infine sono gli stessi modelli la condizione di possibilità della tra-smissione della pratica dell’improvvisazione. Sono la costante, il punto in comune, quelli che ne permettono la sua stessa apprensione. Su questo punto si trovano d’accordo sia il lavoro sul Jazz di Sparti che quello sull’or-gano di Wills.

Concludo con delle idee suggerite in “L’orgue, souvenir et avenir” di Jean Guillou60

L’arte dell’improvvisazione si accorda con il suo interprete e aderi-sce alla sua personalità fino a creare una nuova opera, l’improvvisazione è sempre nuova creazione, essa tiene vivace l’arte stessa e il suo stesso

60 J. GUILLOU, L’Orgue, souvenir et avenir, Buchet/ Chastel, Paris, 1996, p. 246 e seguenti.

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divenire, è in grado di ridonare all’opera scritta e sepolta da tempo, una fre-schezza che non guarda al passato, ma verso l’avvenire. L’improvvisazio-ne quale furore poetico, movimento quasi mistico, dà nuova espressione al sapere estetico dischiudendo strade non ancora provate, terre vergini da esplorare. L’improvvisazione grazie ai suoi ingranaggi, il meccanismo dell’immaginazione, i processi di elaborazione, l’esecuzione spontanea, ci ricorda la stessa libertà dell’arte e della vita. Si formano infatti elementi che obbediscono a leggi del loro proprio sviluppo e che determinano i loro criteri immanenti.

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