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1 Modelli di welfare emergenti per una governance locale del lavoro privato di cura di Vittorio Martone Paper for the Espanet Conference Sfide alla cittadinanza e trasformazione dei corsi di vita: precarietà, invecchiamento e migrazioniUniversità degli Studi di Torino, Torino, 18 - 20 Settembre 2014 Vittorio Martone (Università degli Studi di Napoli Federico II)

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Modelli di welfare emergenti per una governance locale

del lavoro privato di cura

di

Vittorio Martone

Paper for the Espanet Conference

“Sfide alla cittadinanza e trasformazione dei corsi di vita:

precarietà, invecchiamento e migrazioni”

Università degli Studi di Torino, Torino, 18 - 20 Settembre 2014

Vittorio Martone

(Università degli Studi di Napoli – Federico II)

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Premessa

Il ruolo delle lavoratrici immigrate nel sistema di welfare italiano è fondamentale per rispondere al crescente fabbisogno di assistenza espresso dalle famiglie. Fabbisogno connesso alle dinamiche demografiche – invecchiamento della popolazione e non autosufficienza – ma anche e in maniera crescente alla domanda di servizi di conciliazione per le italiane lavoratrici. Una domanda che, specie nel Mezzogiorno, resta inevasa per la carenza di servizi primari di cura per l’infanzia e per l’assenza di un sistema efficiente di servizi domiciliari per anziani e disabili. È in questo contesto che l’acquisto di prestazioni esterne, private e spesso irregolari, consente alle famiglie l’alleggerimento di alcuni compiti di cura che, alla luce dei recenti dati sulle migrazioni, appaiono massicciamente delegati alle straniere.

La sussidiarietà nell’approvvigionamento dell’assistenza familiare era nei propositi del Libro Bianco del Welfare (2009), tutt’ora non espressamente superati, in cui si propone l’attivazione dei cittadini verso il libero acquisto nel mercato dei servizi, lasciando un ampio margine di scelta e – di conseguenza – attivando forme di concorrenza tra servizi di cura competitivi e flessibili. Ma, in un quadro liberalizzato, gran parte dell’assistenza familiare si svolge in luoghi invisibili all’esterno, con famiglie che si ritrovano a essere datori di lavoro senza spesso cogliere le responsabilità che il ruolo implica, e con collaboratrici quasi sempre impreparate a orientarsi nel magma delle regolamentazioni legislative. La stessa attività di incontro tra famiglie con fabbisogni sociali/sociosanitari e assistenti familiari avviene attraverso canali sommersi e talvolta ai limiti della legalità. La recente liberalizzazione dei servizi per l’impiego amplifica il ventaglio di attori autorizzati all’intermediazione, ma apre ulteriori scenari di relazione tra attore pubblico e agenzie private in termini competitivi e cooperativi. Il lavoro privato di cura assume dunque sempre più le caratteristiche di un mercato regolato, con attori e meccanismi di regolazione peculiari.

Per riflettere su questi temi, il paper propone un’analisi del materiale raccolto nell’implementazione del programma «Azione di sistema per lo sviluppo di sistemi integrati di Servizi alla Persona» (luglio 2011 - dicembre 2013), finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (da ora, MLPS). Il programma ha promosso la creazione di reti organizzate di agenzie private, amministrazioni locali e famiglie, al fine di favorire l’incrocio domanda/offerta di lavoro privato di cura. Le reti erano incentivate da voucher che, da un lato, sostenevano la spesa delle famiglie per l’assunzione degli assistenti e, dall’altro, ne racchiudevano la spendibilità a un mercato protetto, composto dagli assistenti familiari qualificate/i attraverso il programma stesso. Con riferimento all’implementazione nelle regioni del Mezzogiorno, il paper approfondisce tre aspetti: le caratteristiche dei soggetti privati dell’intermediazione, le loro pratiche e la loro modalità di interazione nel policy network (amministrazioni locali, famiglie, assistenti familiari); le caratteristiche dei beneficiari del programma (assistenti familiari), i loro profili professionali e i loro percorsi di inserimento lavorativo; i modelli di governance regionali co-progettati per l’integrazione dei programmi nazionali-locali e per il sostegno alle famiglie.

Il paper si apre con un cenno al ruolo del lavoro privato di cura come nicchia etnica e di genere, sede certo per un percorso di riconoscimento e integrazione socio-lavorativa delle immigrate, ma anche fucina di nuovi fabbisogni e altrettante forme di discriminazione. Nel secondo paragrafo si guarda all’evoluzione delle politiche di welfare state, che affidano all’autonomia delle famiglie la responsabilità di soddisfare questi fabbisogni tramite l’acquisto privato di SaP, favorendo la precarizzazione delle collaboratrici e la de-qualificazione dei servizi, nonché una proliferazione del lavoro irregolare. Nel terzo paragrafo si descrivono le principali realizzazioni del programma ministeriale, ragionando sui nodi problematici emersi nella costruzione di modelli di governance locale adeguati ai contesti politico-istituzionali e di fabbisogno del settore e capaci di favorire la cooperazione tra amministrazioni locali, agenzie di intermediazione e famiglie.

1. Fabbisogni socioassistenziali, lavoro privato di cura e componente femminile

Essendo un settore a elevata componente immigrata e inserito nella tipica informalità diffusa nei rapporti di lavoro all’interno della sfera domestica, è a tutt’oggi abbastanza difficoltoso rintracciare cifre affidabili (e sistematicamente aggiornate) sui volumi dell’assistenza familiare in Italia (Catanzaro e Colombo 2009; Pasquinelli e Rusmini 2013). I dati Istat parlano di 499 mila occupati nelle collaborazioni domestiche (dicembre 2013). I dati Inps per lo stesso periodo arrivano a 944.634 posizioni regolari, tra le quali 713.683 stranieri (di cui 604.930 donne). Specie in relazione al peso degli stranieri, le stime restano disparate. Nel 2009 il settore è stato interessato da una

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regolarizzazione che ha fatto emergere quasi 300 mila posizioni irregolari (294 mila domande a fronte di circa 350 mila richieste). Al provvedimento è seguita, nel gennaio 2011, la procedura per 98.080 regolarizzazioni per stranieri (decreto flussi), che comprendono 30 mila posizioni per lavoratori del lavoro domestico e di assistenza e cura alla persona. Un’indagine sul tema ha stimato in 2 milioni 412 mila le famiglie italiane che ricorrono ai servizi privati di cura e che contribuiscono alla crescita esponenziale di questa tipologia di lavoratori arrivati – secondo le stime – a quota 1 milione 538 mila (Censis 2010).

Nonostante l’ambiguità dei dati, restano comunque ampiamente condivisibili almeno due aspetti. Da un lato, la quota rilevante di lavoratrici immigrate impiegate nel settore domestico contribuisce alla crescita della componente femminile sul totale degli stranieri in Italia. Oggi le donne sono il 53% degli oltre 4 milioni e 300 mila stranieri residenti (Caritas Migrantes 2013). Dall’altro lato, l’inserimento delle straniere nel mercato del lavoro italiano risulta fondamentale per rispondere alla crescita dei fabbisogni di intervento nel lavoro di cura. Crescita connessa, in primo luogo, alle dinamiche demografiche che, in linea con quanto accade in altri Paesi a capitalismo avanzato, mostrano in Italia un progressivo invecchiamento della popolazione

1. Congiuntamente, la domanda

di prestazioni dedicate cresce in relazione all’aumento della non autosufficienza, che coinvolge circa 2.600.000 persone, pari al 5% della popolazione (MLPS 2010). Il 72% delle persone non autosufficienti ha un’età superiore ai 70 anni e vive con le proprie famiglie, cui vanno aggiunti anche i minori non autosufficienti con meno di 6 anni, stimati in circa 200 mila unità. A queste tendenze si aggiungono i mutamenti in atto all’interno dei ruoli familiari: la partecipazione femminile al mercato del lavoro si accompagna sia all’aumento della disoccupazione maschile, sia a una ridefinizione dei rapporti di genere. La relativa domanda di servizi di conciliazione tra gli impegni familiari e le esigenze professionali è allora compensata in un contesto di welfare transnazionale (Piperno e Tognetti 2012). Come noto, trattasi di una questione ancora aperta nel mercato del lavoro italiano, dove i tassi di partecipazione delle donne restano inferiori in confronto ad altri Paesi (46.7% contro il 64.8% degli uomini) anche per il persistente «doppio carico» dei compiti di lavoro e di cura. Per le occupate, la ineguale distribuzione degli impegni domestici è il principale fattore di segregazione nel mondo del lavoro, e al tempo stesso è anche causa del basso indice di natalità, due gravi fattori di arretratezza del Paese rispetto a molti partner europei (Del Boca e Saraceno 2005; Saraceno 2003). La carenza di servizi primari di cura come gli asili nido – che in Italia coprono meno del 10% della popolazione infantile – e di un sistema efficiente di servizi domiciliari per anziani e disabili appesantisce il fenomeno. In questo quadro, l’«acquisto» di prestazioni esterne, private e sovente “a nero”, consente l’alleggerimento di alcuni compiti di cura che, alla luce dei dati sulle migrazioni, appaiono massicciamente delegati alle risorse provenienti dai Paesi del sud del mondo (Escrivà 2005; Baldassar 2007; De Haas 2011).

Il massiccio ingresso nel settore dell’assistenza familiare sta di certo rappresentando una fonte di reddito per le straniere, che da anni si configura come nicchia etnica (Ambrosini 2002), aprendo un percorso di inserimento occupazionale ma anche, a un tempo, problemi di doppia discriminazione: di genere (essere donna); di cittadinanza (essere immigrata). In primo luogo, anche l’esperienza migratoria appare contemporaneamente informata della dimensione di genere, e le traiettorie occupazionali delle straniere sembrano replicare – al ribasso – quanto accaduto alle italiane all’incirca negli ultimi quattro decenni. Sin dalla «esplosiva emancipazione della donna» italiana degli anni Settanta (Accornero e Carmignani 1986), che diede avvio all’ingresso massiccio delle italiane nel mercato del lavoro, era chiara la sostanziale concentrazione in quei settori in cui il lavoro femminile appariva più legittimato: «Il mercato del lavoro si andava dividendo tra lavori tradizionalmente femminili, dove le donne immettevano nel mercato quelle capacità riprodotte per habitus nella famiglia o nei luoghi sociali esterni al mondo economico, e lavori tradizionalmente maschili» (Giannini 2004, p. 227). Il fatto che quasi meccanicamente le immigrate finiscano per svolgere compiti di cura rientra in questo quadro. Ne consegue il perdurare di una svalutazione dei lavori femminili che, nel caso delle collaboratrici, è aggravato dalla loro condizione di migrante. In altre parole, la crescente delega di parte dei compiti di cura alle straniere, in condizioni contrattuali pessime, propone una preoccupante gerarchizzazione tutta interna al femminile che, sulla base della nazionalità, tende a dequalificare ulteriormente un settore che è ben lungi dal rappresentare un veicolo di emancipazione per le immigrate (Martone 2010).

1 Un quinto degli italiani ha un’età superiore ai 65 anni, dato che l’Istat stima con aumenti preoccupanti (22.1% al 2020; 26.1% al

2030; 31.3% al 2040 e 33% al 2050). In questo quadro, l’indice di dipendenza degli anziani, pari al 30.1% per il 2010, si stima

giungere al 55.08 al 2040 (Demo Istat 2013)

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L’approccio italiano alle politiche migratorie, da sempre centrato sul susseguirsi di sanatorie (anche) per le collaborazioni domestiche, tende a favorire questo percorso al ribasso. Quella del settembre 2009 citata sopra è la sesta sanatoria in 22 anni: la prima nel 1986, cui seguono la Legge Martelli del 1990, il Decreto Dini del 1995 e la procedura d’emersione interna alla Turco-Napolitano del 1998. Nel 2002 si ha la cd. «grande regolarizzazione» con la Bossi-Fini e, nel 2009, la cd. «regolarizzazione selettiva» interna al pacchetto sicurezza (L. n. 94 del 2009). Il carattere selettivo di quest’ultimo provvedimento è riscontrabile su almeno due fronti. Da un lato, sanare solo i lavoratori immigrati a servizio delle famiglie tende a considerare lo stesso comportamento penalmente rilevante a seconda che venga attuato in settori differenti. Con la 94/09 e l’introduzione del reato di immigrazione clandestina, infatti, sono state corrette le posizioni di migliaia di datori di lavoro (le famiglie) lasciando tutti gli altri in condizioni penalmente perseguibili. Ciononostante, ed è il secondo aspetto di selettività, la macchinosità e i costi conseguenti alla procedura, unitamente all’assenza di un obbligo vero e proprio di regolarizzazione, ha spinto gran parte dei nuclei familiari a proseguire nell’irregolarità, e il fenomeno tende rimanere sommerso: anche dopo la sanatoria, ancora 2 addetti su 5 (39.8% del totale) lavorano completamente in nero. Una politica migratoria via sanatorie tende a regolarizzare lavoratori di altri comparti e non a fungere da strumento di tutela per le impiegate nelle famiglie. In concreto, buona parte delle domande di regolarizzazione non si riferisce a lavoratori effettivamente attivi nel comparto domestico, ma funge da veicolo di emersione per altri stranieri già presenti in Italia; la persistenza nella clandestinità contribuisce ad accrescere la condizione di disagio delle donne impiegate nei servizi alle famiglie, che restano escluse dai vantaggi derivanti da un regolare inserimento lavorativo. Nel medio periodo, questo approccio a fatto sì che proprio «la domanda di lavoro espressa dalle famiglie [abbia rappresentato] il motore primario dell’immigrazione irregolare» in Italia (Ambrosini 2010).

Al di là delle conseguenze in termini di diffusione del lavoro irregolare e di peggioramento delle condizioni lavorative (retribuzione, sicurezza, orari, diritti ecc.), la doppia discriminazione comporta una conseguenza di non poco conto per il funzionamento stesso del sistema di servizi di assistenza alle famiglie. Se le capacità reali indispensabili all’espletamento del lavoro di cura non vengono riconosciute come competenze professionali, ma come capacità ascritte al ruolo femminile nella famiglia – relazionalità, generosità, altruismo ecc. – ciò può inficiare la qualità stessa dei SaP, cambiare le dinamiche delle politiche socio-assistenziali e il loro disegno strategico.

2. Welfare neoliberale, irregolarità e servizi di intermediazione nel lavoro privato di cura

Il quadro visto sinora va inserito in un contesto di generale disinvestimento pubblico nel sistema di welfare e nell’impegno a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che ne alimentano i fabbisogni (servizi per la non autosufficienza, per gli anziani e per i disabili). La riduzione del ruolo diretto del soggetto pubblico nell’erogazione dei servizi si accompagna al passaggio da una forma gerarchico-burocratica di regolazione ad una di mercato (marketization) che sposta le responsabilità pubbliche al settore privato (Clarke 1996). Una linea avviata dai governi neo-liberali, ma mai apertamente osteggiata dalle forze riformiste, ispirata allo stato minimo e tesa a responsabilizzare l’individuo, la famiglia e la comunità (Rogowski 2011). I propositi del Libro Bianco del Welfare (2009), tutt’ora non espressamente superati, vanno in questa direzione, stimolando le famiglie ad attivarsi verso il libero acquisto nel mercato dei servizi, lasciando loro un ampio margine di scelta e – di conseguenza – attivando forme di concorrenza tra servizi di cura competitivi e flessibili. Lo stesso discorso è adottato anche per il mercato delle collaborazioni domestiche, poiché il «fenomeno delle badanti [è] cresciuto dal basso, come richiesta delle famiglie – non solo e non tanto a causa di carenze di strutture pubbliche, ma per l’esigenza di un servizio flessibile, più a misura di famiglia, controllato e gestito direttamente dai parenti» (Libro Bianco 2009, p. 51). Ma, a distanza di un lustro, l’attività domestica in Italia non presenta le caratteristiche di un mercato dei servizi come previsto dal legislatore. Lasciando il settore sotto il controllo diretto delle famiglie, in condizioni di deregolazione e di assenza di sostegni, è l’irregolarità a rappresentare tutt’oggi l’elemento strutturale, intesa sia dal punto di vista della presenza nel Paese (permessi di soggiorno), sia dal punto di vista contrattuale (Pasquinelli 2013). Su cento ore di lavoro, sono soltanto 42.4 quelle per cui vengono effettivamente versati i contributi; ciò significa che quasi 6 ore di lavoro su dieci risultano prive di qualsiasi forma di copertura previdenziale, e dunque che più della metà del lavoro svolto avviene al di fuori del quadro di regole, tutele e garanzie (Censis 2010, p. 17). Il settore delle collaborazioni domestiche è regolato da specifici

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contratti nazionali2 ma l’irregolarità continua a rappresentare una condizione estremamente diffusa,

specie in riferimento alla componente immigrata. Per questo motivo la retribuzione netta mensile delle collaboratrici risulta abbastanza variegata. Se la maggioranza si colloca sotto la soglia dei 1.000 euro netti al mese – il 22,9% guadagna meno di 600 euro, il 20,2% da 600 a 800 euro netti al mese, il 24,5% tra 800 e 1000 – vi è una fetta consistente, il 32,4%, che sta sopra la soglia dei 1.000 euro, e di questi, il 14,6% supera i 1.200 netti al mese. Da sottolineare che gli stranieri guadagnano all’ora mediamente un euro in meno degli italiani (6,83€ contro 7,81€).

Alle criticità summenzionate va aggiunta, infine, la modalità con cui si pratica la cosiddetta intermediazione tra domanda e offerta, ovvero l’incontro tra famiglie portatrici di fabbisogni e professionalità del settore. Nel sistema di pianificazione di zona dei servizi integrati territoriali sembra essersi consolidata – dall’introduzione della L. 328/2000 – una forma di regolazione locale, che si esplicita sul modello del welfare mix (Ascoli 1996), concetto riferito ai ruoli e alle relazioni che si stabiliscono fra gli attori responsabili del benessere dei cittadini, in particolare P. A. e terzo settore. Come è stato notato anche in altri ambiti di policy, questa «rivoluzione contrattuale e concertativa» (Bobbio 2003) favorisce l’implementazione di modelli di enabling state spesso efficaci, configurando a un tempo dei policy network quali forme di regolazione differenti (o intermedie) da mercato e gerarchia (Pavolini 2003) e con forme di programmazione concertata dei servizi sociali capaci di avvicinarli agli effettivi bisogni del cittadino. Ma, nello specifico settore del mercato dei SaP, non sembra ravvisarsi la medesima esperienza. Fatti salvi i territori in cui sono implementati interventi finalizzati alla regolazione del sistema (sportelli comunali o provinciali di selezione, intermediazione e qualificazione dell’offerta, albi o registri ecc.)

3, l’intermediazione si

svolge attraverso due meccanismi prevalenti: tramite operatori privati, che adottano forme giuridiche e organizzative svariate (dai singoli consulenti alle forme associative, da alcuni patronati alle agenzie di lavoro tout court); tramite relazioni informali e passaparola

4, laddove il lavoro

domestico di cura coinvolge prevalentemente la componente immigrata. In quest’ultimo caso, di gran lunga il più frequente, si tratta di un lavoro «affondato nell’informalità», non riconosciuto, con famiglie che si ritrovano a essere datori di lavoro senza spesso cogliere le responsabilità che questo ruolo implica, e con collaboratori che spesso non parlano l’italiano e quasi sempre sono impreparati a orientarsi nel grande magma delle regolamentazioni legislative (Aa. Vv. 2011).

Nel caso delle esperienze promosse su scala territoriale da soggetti istituzionali, la strumentazione pubblica consiste in una serie di servizi che – in via sperimentale o come servizio permanente – possono essere distinti in tre schemi principali (Tabella 1): servizi per l’intermediazione specificamente dedicati al lavoro privato di cura, istituiti presso i Servizi per l’Impiego provinciali, gratuiti e di ispirazione prevalentemente lavoristica (vale a dire generalmente coordinati dalle Direzioni/Dipartimenti/Assessorati del ramo “Lavoro”); sportelli O.S.P., direttamente gestiti dagli enti locali ai diversi livelli (prevalentemente Comuni, ma anche Province, Unioni di Comuni, Comunità Montane o Ambiti di Zona), di ispirazione sociale e/o socioassistenziale (vale a dire generalmente coordinati dalle Direzioni/Dipartimenti/Assessorati del ramo “Politiche Sociali”) e nella maggior parte dei casi gratuiti; servizi/sportelli/progetti promossi e finanziati dagli enti locali a diversi livelli e affidati a soggetti del terzo settore accreditati, anche in questo caso di carattere prevalentemente sociale o socioassistenziale ma con la richiesta di una contributo variabile da parte dell’utente/famiglia. Queste modalità di azione – promosse, gestite o coordinate dal soggetto pubblico locale – fanno quasi sempre riferimento a cornici istituzionali stabilite su base territoriale. Le istituzioni locali ai vari livelli forniscono le linee guida organizzative e procedurali per regolamentare l’incontro tra domanda e offerta delle assistenti familiari, compresa la definizione dei profili professionali, tuttora non chiarita su scala nazionale. Su quest’ultimo punto, l’avvio di Albi, Registri o Elenchi sembra rappresentare la prassi più diffusa (Rusmini 2013). Si tratta di strumenti di ispirazione prevalentemente formativa/professionalizzante – le iniziative più diffuse partono infatti dalle Direzioni/Dipartimenti/Assessorati alla “Istruzione e formazione” – che promuovono la qualificazione delle professionalità impiegate nei servizi alla persona stabilendo requisiti minimi per l’accesso e percorsi formativi riconosciuti.

2 Si vedano: CCNL Fidaldo, Domina, FILCAMS-CGIL, FISASCAT-CISL. UILTuCS-UIL, FEDERCOLF del 1 febbraio 2007;

CCNL 17 febbraio 2010 Arpe – Federproprietà, Confappi, Uppi, Feder.Casa Confsal, Ania, Unai, Confsal, Fisals Confsal, Fesica

Confsal, Fai, U.i.i.r. 3 Per una rassegna si veda, tra gli altri, Rusmini 2011; Costa 2011. 4 In un recente rapporto del Censis (2010a) ha stimato che in Italia circa il 70% delle assistenti familiari viene reclutato via

«passaparola»..

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Sul terzo fronte, connesso all’intermediazione che fa capo agli operatori privati, il settore ha avuto un importante impulso espansivo la cd. liberalizzazione dei servizi per l’impiego del 2011

5.

Tabella 1) Schemi principali di organizzazione di servizi pubblici nel campo del lavoro di cura

Definizione schema Soggetto Ambito Gestione Costo Strumenti

Servizi per

l’intermediazione D/O

specificamente

dedicati al lavoro

privato di cura,

istituiti presso i SPI

Servizi per l’impiego,

province

Lavoristico, concentrati

sull’incrocio D/O (le

iniziative partono dalle

Direzioni Dipartimenti

Assessorati del ramo

“Lavoro”)

In house Gratuito

Banca dati CV,

supporto stesura

CV, colloqui

Sportelli Occupazione

e Servizi alla Persona

Enti locali (Comuni,

Province, Unioni di

Comuni, Comunità

Montane o Ambiti di

Zona)

Sociale (le iniziative

partono dalle Direzioni

Dipartimenti Assessorati

del ramo “Servizi

Sociali”) e in minori

misura lavoristico

In house Prevalentemen

te gratuito

Valutazione del

fabbisogno della

famiglia; banca

dati CV;

colloqui;

monitoraggio

della prestazione

Servizi/sportelli/proge

tti promossi dagli enti

locali ma affidati a

soggetti del terzo

settore accreditati

Enti locali (in

prevalenza Comuni e

loro Unioni)

Sociale (le iniziative

partono dalle Direzioni

Dipartimenti Assessorati

del ramo “Servizi

Sociali”)

Outsourcing

Prevalentemen

te a

pagamento

Valutazione del

fabbisogno della

famiglia; banca

dati CV;

colloqui;

monitoraggio

della prestazione

Albi e/o Registri e/o

Elenchi degli

assistenti familiari

Enti locali (Comuni,

Province, Unioni di

Comuni, Ambiti di

Zona, Distretti

Sociosanitari)

formativa/professionaliz

zante – le iniziative

partono dal ramo

Istruzione e formazione

Outsourcing

(per le

attività di

formazione)

Prevalentemen

te a

pagamento

(per le attività

formative)

Requisiti minimi

per l’accesso

alla professione;

percorsi

formativi;

banche dati.

Tra gli attori autorizzati allo svolgimento delle attività di intermediazione compaiono le

associazioni dei datori di lavoro e i sindacati, i patronati e gli enti bilaterali, l’ordine nazionale dei consulenti del lavoro

6. Questo atto completa un percorso di riforma dei servizi per il lavoro avviato

nel 2003 e amplifica la relazione tra pubblico e privato in termini competitivi e cooperativi sull’intero spettro delle attività tradizionalmente svolte dal collocamento. L’ingresso delle Agenzie di lavoro con un know how espressamente generalista o lavoristico e solo recentemente affacciatesi al settore del lavoro privato di cura non è scevro di ulteriori complicazioni. Operando una rassegna della strumentazione in uso tra le Agenzie in merito agli strumenti di rilevazione dei bisogni delle famiglie e delle competenze degli aspiranti assistenti familiari, le prassi in uso appaiono spesso inadatte

7. Sul fronte delle famiglie, le agenzie tendono a raccogliere informazioni finalizzate

soprattutto ad avviare un primo contatto con l’assistente, fermandosi ai dati anagrafici e a un’indicazione semplificata del servizio richiesto. L’approfondimento del bisogno di cura o altro tipo di supporto richiesto dalla famiglia non viene quasi mai considerato. Mancano gli aspetti relativi alla convivenza (es. caratteristiche dell’abitazione, disponibilità ad ospitare familiari), alle condizioni di salute e alla rete sociale della persona con fabbisogno di cura.

Per quanto riguarda gli strumenti di rilevazione delle competenze degli assistenti familiari emergono tre evidenze: nella maggior parte dei casi le schede risultano assai semplificate, limitate a rilevare le candidature senza alcuna articolazione interna diretta a vagliare competenze e/o professionalità sociali; nei casi in cui sono presenti items più articolati e puntuali, si richiedono informazioni specifiche sulla padronanza della lingua, sulle esperienze professionali e su eventuali

5 Si veda il Decreto Ministeriale 20 settembre 2011, che recepisce l’art. 6, c. 4 della cd. «Legge Biagi» (d.lgs. 276/2003). 6 Nel DM sono poi autorizzati gli istituti di scuola secondaria di secondo grado (statali e paritari), le università (pubbliche e private) e

i consorzi universitari, i comuni e i gestori di siti internet. 7 L’indagine è stata condotta nel 2012, con modalità on desk, su 35 agenzie di lavoro nazionali (che operano in almeno 4 Regioni) e

altrettanti sportelli locali, reperendo questionari, schede di valutazione, format per le candidature e altri strumenti utilizzati per

conoscere i fabbisogni delle famiglie e/o le competenze degli aspiranti assistenti familiari.

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referenze; solo raramente si raccolgono elementi più pertinenti alla differenziazione dei possibili tipi di servizi di cura e alle competenze specifiche di cui i candidati sono in possesso. Sistematicamente assente nella selezione e valutazione delle candidature è la dimensione della «emotivo-relazionale» del lavoro di cura.

L’assenza – o la carenza – di efficaci sistemi di selezione e formazione dell’offerta comporta almeno due tipi di problemi: la dispersione delle qualifiche e/o delle professionalità che compongono il bagaglio esperienziale delle straniere aspiranti collaboratrici, quasi mai riconosciuto in termini contrattuali con conseguente perdita di importanti risorse umane in entrata; la riduzione della qualità del sistema di SaP poiché, molto spesso, le aspiranti assistenti familiari non rispondono efficacemente ai reali fabbisogni familiari o non posseggono i requisiti minimi per svolgere l’attività in modo adeguato.

3. Il programma ministeriale per la governance del lavoro privato di cura

Nel quadro sinora ricostruito la Direzione Generale «Immigrazione» del MLPS ha svolto, tra il 2011 e il 2013, un programma rivolto alle Regioni ex Obiettivo Convergenza (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia) e finalizzato a qualificare il settore dei SaP attraverso la creazione di una rete pubblico-privata di sportelli dedicati l’incrocio domanda/offerta di lavoro, favorendo al contempo l’emersione dal lavoro irregolare di larghe fasce di popolazione immigrata. L’implementazione ha assunto una declinazione territoriale, poiché il MLPS stanziava un finanziamento per ciascuna Regione al fine di avviare localmente una progettazione di sistemi integrati, coinvolgendo gli operatori privati dell’intermediazione quale destinatari (agenzie, patronati ecc.). Ciascuna Regione, erogando un co-finanziamento, avviava specifici Piani operativi, elaborati con la supervisione del MLPS, con l’obiettivo di favorire l’integrazione tra gli interventi previsti su scala nazionale e le politiche sociali regionali e di promuovere voucher per il sostegno alle famiglie per l’acquisto dei SaP. Nel quadro delle azioni del PON 2007/2013 il programma è stato accostato a una linea di azione parallela rivolta alle Regioni del Centro Nord (Conclave, Facco e Casanova 2012)

8.

La rete di «sportelli dedicati» coincideva dunque con la presenza territoriale delle Agenzie di intermediazione private o di emanazione associativa che aderivano al programma rispondendo a un apposito Avviso pubblico

9. Gli sportelli, il cui personale veniva qualificato da Italia Lavoro S.p.A.,

agenzia responsabile dell’attuazione, avevano il compito di erogare una composita «politica attiva del lavoro» volta a favorire l’incrocio tra domanda e offerta di SaP. Per incentivare l’adesione da parte delle agenzie il MLPS metteva a disposizione dei beneficiari (gli aspiranti badanti) un voucher da utilizzare presso le suddette agenzie per attività di formazione, riconoscimento competenze e inserimento lavorativo

10.

Analiticamente, si tratta dunque di un orientamento di policy diretto a regolare la trasformazione del settore in senso privatistico, finanziando la qualificazione dei servizi sia dal lato dell’offerta – assistenti familiari da formare – che dal lato della domanda – le famiglie/datori di lavoro. Una impostazione già ampiamente riconosciuta nel contesto italiano verso un modello contrattuale delle politiche sociali, o di «competizione amministrata» (Bifulco 2005), in linea con altre realtà europee

11. Un’impostazione che richiede una regolazione pubblica delle transazioni di mercato

attraverso l’introduzione di una struttura di prezzi e tariffe nella produzione di servizi pubblici e, in secondo luogo, attraverso l’allineamento ai criteri gestionali del New Public Management (orientamento al risultato, efficienza, controllo dei costi e delle prestazioni) (Rhodes 1997; Gruening 2001). Il soggetto pubblico, in questo quadro, garantisce le condizioni di mercato intervenendo sia sul versante dell’offerta sia sul versante del rapporto tra domanda e offerta. Nello specifico, tra i regimi contrattuali ravvisabili nel campo delle politiche sociali italiane (Bifulco e

8 Denominata «Finanziamento di un programma di interventi in tema di servizi socio-assistenziali alla persona», tale linea di azione

era rivolta alle 14 Regioni Obiettivo Competitività Regionale e Occupazione (CRO) e prevedeva il supporto alla creazione di reti

pubblico-private senza l’apertura degli sportelli e l’erogazione di sostegni alle famiglie via voucher. 9 Avviso pubblicato il 25/01/2012. Si veda Italia Lavoro S.p.A., Avviso Pubblico a Sportello, Programma Azione di Sistema per lo

Sviluppo dei Sistemi Integrati di Servizi alla Persona, PON Governance e Azioni di Sistema (2007-2013). 10 Il voucher aveva l’importo variabile tra i 2.000 e i 2.500 € a seconda delle prestazioni erogate dalle agenzie. Il voucher era valido

solo se gli assistenti presi in carico e formati venivano assunti presso le famiglie. 11 A livello europeo le dinamiche concrete della costruzione di condizioni di mercato nel quadro della competizione amministrata,

sembrano comunque dimostrare un grado variabile di avvicendamento e di commistione fra le logiche dell’autorità, le logiche della

competizione e quelle della cooperazione (Ascoli e Ranci 2002). Le esperienze più significative sono in Belgio (Titre Service),

Francia (Cheque Emploi Service Universel) e Regno Unito (Childcare vouchers), dove i buoni rappresentano uno strumento

fiscalmente incentivato messo a disposizione dei privati (singoli cittadini, lavoratori e imprese) abilitati ad interagire liberamente co-

finanziando l’utilizzo di tali buoni.

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8

Vitale 2005), il programma in esame si ispira a due tipologie: alle partnership fra attori pubblici e privati per quanto concerne la fornitura dei servizi di intermediazione, ma anche l’elaborazione dei piani regionali per la costruzione della rete qualificata di sportelli territoriali; al sistema dei vouchers, strumento introdotto nelle politiche sociali europee a partire dai primi anni Novanta che promuove la libera competizione in un contesto di «quasi mercato» che, da un lato, sostiene la spesa delle famiglie – tramite trasferimenti monetari regionali – e, dall’altro, ne racchiuda la spendibilità a un mercato protetto, vincolato da parametri di qualità, e composto da collaboratrici qualificate dalle Agenzie aderenti al Programma. La pubblica amministrazione si interpone così tra fornitore e acquirente di prestazioni cercando di ridurre le asimmetrie informative e monitorando il rispetto di parametri di performance nella fornitura di prestazioni.

Di seguito si espongono i principali risultati del programma nelle quattro Regioni Ob. Convergenza (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia) e in merito a tre fronti: la creazione della rete di servizi qualificati e organizzati sul territorio per favorire l’incrocio domanda/offerta di lavoro nel settore dei SaP; i dati sull’offerta di lavoro, ricostruendo il profilo degli/le assistenti familiari formati e contrattualizzati; l’esito della programmazione dei Piani operativi regionali di co-finanziamento per la costruzione dei sistemi integrati territoriali

12.

2.1 La rete territoriale: Agenzie, Sportelli per i SaP e profilo degli operatori

Un primo dato di interesse riguarda la platea di soggetti privati che aderiscono al programma: il loro profilo giuridico e organizzativo, la loro copertura territoriale e il profilo degli operatori impiegati nell’intermediazione rappresentano dimensioni importanti per individuare i caratteri di questo quasi mercato dei SaP veicolato dall’attore pubblico.

Aderiscono al programma 74 Agenzie che si caratterizzano per un’ampia varietà di tipologie, ma con una presenza prevalente dei Patronati e dei soggetti di derivazione sindacale, già con esperienza nel settore. Nello specifico, si tratta di soggetti del terzo settore e dell’associazionismo (31 casi), rappresentanze di categorie professionali, datoriali e sindacali (26 casi), aziende private e loro consorzi (17 casi). Per quanto concerne la presenza e l’operatività dei soggetti (mono o pluri-regionale), si rileva che più della metà degli aderenti opera su un solo territorio (40 casi).

Alle agenzie era richiesto di attivare appositi sportelli dedicati all’intermediazione nel campo dei SaP, segnalando a un tempo gli operatori da impegnare nelle attività formative coordinate dal MLPS per allineare i servizi rivolti alle famiglie e agli addetti su standard minimi condivisi. Le 74 agenzie hanno avviato 421 sportelli dedicati con una distribuzione che segue in linea di massima le dimensioni demografiche delle quattro Regioni Convergenza. In Campania, Puglia e Sicilia è stata superata la soglia dei 100 sportelli (rispettivamente 127, 111 e 109), mentre in Calabria si è raggiunta quota 74. Nei 421 sportelli le agenzie hanno avviato 647 operatori, che hanno partecipato a un apposito percorso formativo, diversificato per tipologia di fabbisogni e finalizzato ad abilitare gli operatori a erogare un servizio di politica attiva su standard prestabiliti. La formazione è avvenuta in due modalità: in presenza, con il coinvolgimento di 155 operatori; a distanza, attraverso una Piattaforma informatica, che ha coinvolto complessivamente 492 operatori. A questi ultimi era richiesta la compilazione di un questionario di autovalutazione in ingresso, finalizzato a raccogliere conoscenze e competenze già possedute prima dell’avvio del percorso e orientare gli stessi contenuti formativi. L’analisi delle risposte rappresenta una interessantissima base-dati per ricostruire sinteticamente il profilo sociale e professionale degli operatori dell’intermediazione avviati nel campo dei SaP.

Partendo dal profilo sociografico, si tratta di operatori italiani, in età centrale, in larga parte non espressamente formati in materia sociale. Nel dettaglio si registra un sostanziale equilibrio di genere: le donne sono poco più della metà (51.2%, pari a 252 operatrici). Gli operatori sono in maggioranza compresi in età centrale: in 314 hanno tra i 31 e i 50 anni (63.8%), e meno di 1 su 10 ha un’età inferiore ai trent’anni (35 unità pari al 9,3%). Più di un quarto delle risorse avviate ha più di 50 anni (26.9%). Gli operatori stranieri sono praticamente assenti, nonostante trattavasi di un servizio rivolto prevalentemente (ma non esclusivamente) alle donne immigrate con l’obiettivo di regolarizzarne la posizione lavorativa e – talvolta – quella di residenza in Italia.

Ma il dato più interessante proviene dai titoli di studio, dove la quota maggiormente incidente è quella dei diplomati in istituti superiori (58.8%), seguiti da chi ha conseguito lauree o diplomi

12 Quanto riportato è l’esito di una rielaborazione dei dati (aggiornati al 30 aprile 2013) già in parte resi noti, in forma aggregata, dal

MLPS e da Italia Lavoro Spa nel Convegno Servizi alla persona e occupazione nel welfare che cambia (maggio 2013). Per ovvie

ragioni di privacy, si omettono i nominativi di agenzie o altri enti partner del programma.

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universitari (32.5%). In generale è il diploma tecnico commerciale ad essere il più diffuso (38.5% dei diplomati), seguito dai Licei (31,3) e dal Magistrale/Scienze Sociali (14,5). Tabella 2 – Caratteristiche sociografiche degli operatori di sportello, valori assoluti e percentuali

Genere Val. Ass. Val. %

Maschi 252 48,8

Femmine 240 51,2

Totale 492 100

Età

Fino a 20 16 3,3

Da 21 a 30 29 6,0

da 31 a 40 166 33,7

da 41 a 50 148 30,1

da 51 a 60 104 21,2

oltre 60 29 5,7

Totale 492 100

Nazionalità

Italiano 486 98.7

Straniero 6 1.3

Totale 492 100

Titolo di studio

Licenza elementare 0 0,0

Licenza media 41 8,3

Diploma 292 58,8

Laurea o diploma universitario 159 32,5

Totale 492 100

Tra le lauree invece si registra una più generale varietà dei percorsi. Per quasi un terzo si tratta di

laureati in lettere, scienze della formazione e scienze della comunicazione (31.8%), seguono le lauree in giurisprudenza (25.4%) mentre risultano residuali i sociologi e gli assistenti sociali (3.3%). Non mancano invece economisti e laureati in scienze delle professioni sanitarie (nell’insieme pari al 12.2%). Tra i diplomati e i laureati si rileva un numero poco significativo di quanti hanno ottenuto un master o un percorso specialistico nell’ambito socio-sanitario, assistenziali, educativo (49 casi).

Se si avvia la regolazione di un mercato dei servizi per l’incrocio, pur protetto, gli aspetti appena citati sono da tenere in elevata considerazione nella misura in cui i soggetti privati possono essere portati a investire avviando servizi dedicati ma in sportelli e con risorse umane già precedentemente impiegate in altre attività. La prevalenza dei ragionieri e dei laureati in giurisprudenza dimostra che in molti casi si trattava di addetti all’intermediazione di tipo generalista, con competenze in termini di avviamento, stipula dei contratti, obblighi fiscali ecc. Il fenomeno è di certo più diffuso tra le agenzie di lavoro tout court, ma anche tra i patronati la componente più prossima all’ambito socio-assistenziale non è sembrata prevalere. Queste riflessioni sembrano confermate dall’analisi del background professionale degli operatori, utile a comprendere esperienze, conoscenze e competenze

13.

Per quanto concerne i servizi già svolti dall’operatore presso lo sportello di afferenza prima dell’adesione al programma ministeriale, emerge anzitutto che l’utenza prevalentemente servita sono gli immigrati e le famiglie, che superano entrambe il 70% delle preferenze. Nel dettaglio, in 315 casi indicano un’utenza immigrata (72.6%) e in 309 casi la famiglia (71.2%). Seguono i giovani (291 indicazioni, il 67.1%), gli anziani (274 indicazioni, 63.1%) e le persone con disabilità (257 indicazioni, il 63.1%).

13 Il questionario ingresso era distinto in tre sezioni principali: il servizio (tipologia di servizio, utenza e attività svolta); le conoscenze

già possedute dall’operatore e applicate all’attività di sportello; le competenze (in attività di marketing, consulenza orientativa e

inserimento lavorativo). Il questionario era concepito in maniera snella, adatta alla somministrazione via CAWI, con lo scopo di

esplorare le principale conoscenze e competenze già possedute prima dell’avvio del percorso. Per questo tra le batterie di domande

non sono stati possibili alcuni approfondimenti che sarebbero stati inclusi se il questionario avesse avuto un fine primariamente

scientifico.

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10

Tabella 3 – Tipologia prevalente di utenza dello Sportello

Tipologia di utenza Val. Ass. Percentuale sui

casi *

Percentuale sulle

indicazioni

Immigrati 315 72,6 15,2

Famiglie 309 71,2 14,9

Giovani 291 67,1 14,1

Anziani 274 63,1 13,2

Persone con disabilità 257 59,2 12,4

Multiutenza 230 53,0 11,1

Minori 151 34,8 7,3

Adulti con problemi di emarginazione e disagio 106 24,4 5,1

Persone con problemi di salute mentale 69 15,9 3,3

Persone con problemi di dipendenza 66 15,2 3,2

Totale 2068

100,0

N = 492

* Il totale di colonna è superiore a 100 perché era possibile scegliere più opzioni di risposta.

Per quanto prevedibile, il dato è comunque confortante, poiché la gran parte degli sportelli

avviati possiede già una competenza sui target di interesse nel contesto dei SaP. Anche il dato relativo al tipo di attività prevalentemente svolta era prevedibile: 7 operatori su 10 già operavano prevalentemente in attività di intermediazione (354, il 72% del dotale). Si tratta – nella gran parte dei casi – di soggetti iscrittisi all’Albo delle Agenzie per il lavoro presso il MLPS cogliendo l’occasione apertasi con il processo di liberalizzazione del collocamento e dei servizi per il lavoro.

Tabella 4 - Tipologia di attività prevalentemente svolta

Tipi di Attività Val. Assoluti Percentuali

Intermediazione 354 72,0

Somministrazione di lavoro di tipo «generalista» 97 19,6

Supporto alla ricollocazione professionale 18 3,7

Ricerca e selezione del personale 13 2,6

Somministrazione di lavoro «specialista» 10 2,1

Totale (N) 492 100

Come anticipato nel paragrafo precedente, per questa platea di soggetti si richiede la necessità di

regolazione del comparto, poiché l’approccio al servizio da parte di queste agenzie con altra vocazione e recentemente affacciatesi al settore può rappresentare un elemento disfunzionale, nella misura in cui gli operatori non posseggono competenze utili o strumenti adatti all’analisi dei fabbisogni socio-assistenziali delle famiglie, nonché alla effettiva valutazione dei profili dei candidati all’assistenza familiare. In relazione alle conoscenze già possedute dagli operatori, la seconda sezione del questionario valutava la conoscenza delle normative in materia sociale e del lavoro. In tal caso il dato è suddivisibile in tre gruppi. Più della metà dei rispondenti sa operare in materia di diritto del lavoro domestico (56%). Diffusa anche la conoscenza delle prassi dell’intermediazione e dei servizi per l’impiego (55.6%). Segue la normativa in materia di immigrazione, indicata dal 52.4% del totale. Questo dato rispecchia la vocazione espressa in precedenza per la tutela prettamente giuridica degli lavoratori presi in carico (anche stranieri), avviati al lavoro e quando necessario accompagnati alla regolarizzazione. Molto più bassi i numeri di coloro che hanno conoscenze in merito alle normativa connessa al settore socio-sanitario, all’organizzazione dei servizi o all’impresa sociale (139 casi, pari al 28.2%). Non è un caso, dunque, che gli operatori siano carenti anche sugli strumenti in tema di agevolazioni e sostegni adottabili nel campo dei SaP. In generale, se in molti dichiarano di avere competenze in materia di sostegni al reddito tradizionali (indennità di accompagnamento e pensioni in primis), non è lo stesso in rapporto al sistema delle agevolazioni tramite buoni o voucher, fatta parziale eccezione per i voucher formativi, l’unica forma di trasferimento di reddito tramite buoni di cui più della metà dei rispondenti si dichiara competente (201 indicazioni, il 52,6% del totale). Le quote scendono drasticamente se si considerano i Buoni servizio (61 indicazioni, pari al 16%), i Buoni di conciliazione (57 indicazioni, par al 14,9%) e i Buoni di attivazione (33 indicazioni, pari al 8,6%).

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11

Tra le attività che l’operatore è chiamato a erogare nei confronti delle famiglie con bisogno di assistenza era prevista la consulenza sul diritto di accesso ai sostegni economici, sui criteri di fruibilità e sugli eventuali vincoli. Alla luce di tali lacune, all’interno del percorso di formazione è stata inserita una specifica dispensa che approfondiva «Il sistema delle Convenienze: misure di Sostegno al Reddito e altre Agevolazioni». Tabella 5 - Conoscenze in materia di agevolazioni alla domanda

Tipi di agevolazione Val. Ass. Percentuale sui

casi *

Percentuale sulle

indicazioni

Indennità di accompagnamento 268 70,2 16,5

Pensione di invalidità civile 267 69,9 16,5

Pensioni di inabilità 234 61,3 14,4

Assegni ordinari di invalidità lavorativa 217 56,8 13,4

Voucher formativi 201 52,6 12,4

Assegni di cura persone non autosufficienti 156 40,8 9,6

Buoni lavoro 127 33,2 7,8

Buoni servizio 61 16,0 3,8

Buoni di conciliazione 57 14,9 3,5

Buoni di attivazione 33 8,6 2,0

Totale 1621 100

N = 492

* Il totale di colonna è superiore a 100 perché era possibile scegliere più opzioni di risposta.

La sezione conclusiva del questionario si riferiva alle capacità dell’operatore su tre dimensioni:

l’attività di promozione, la consulenza orientativa e l’inserimento lavorativo. Nel primo caso, indicando l’azione principalmente messa in pratica per promuovere lo sportello, tre quarti degli operatori punta ai rapporti di collaborazione con altri enti/attori locali (200 indicazioni, il 40.6% del totale) e a un mix tra promozione e rapporti con altri enti (167 indicazioni, pari al 34% del totale). In quanto agenzie per il lavoro, questo dato è ascrivibile alle relazioni precedentemente costruite sul lato domanda (famiglie, imprese e loro associazioni), ma rappresenta comunque un buon potenziale per la creazione di reti territoriali di servizi dedicati

14. Rispetto alle capacità in termini di

consulenza contrattuale, le risposte degli Operatori sono praticamente allineate: più del 60% dei rispondenti si dice in grado di fornire consulenze sulle normative in materia di lavoro e immigrazione (220 indicazioni, il 65.5% del totale), su contratti, avviamento al lavoro e relativi adempimenti amministrativi (219 indicazioni, il 65.2% del totale) e sul contratto di lavoro domestico (214 indicazioni, il 63.7% del totale). Ultimo aspetto considerato nel questionario riguardava le metodologie di orientamento adottate, dove più di 8 operatori su 10 dichiara prevalente la gestione di colloqui individuali (325 indicazioni, pari all’86.4% del totale). Seguono a 20 punti di distanza la gestione dell’analisi dei fabbisogni (243 Operatori si dicono già capaci di svolgerla, pari al 64.6% del totale) e la gestione delle classiche attività di orientamento (218 indicazioni, il 58% del totale). È minore la quota di quanti si dichiarano capaci di gestire «colloqui familiari» (156 indicazioni, il 41.5% del totale). Anche in tal caso, per ovviare a tale lacuna, nel percorso formativo sono stati inseriti materiali di approfondimento, che tuttavia non hanno sortito l’efficacia prevista

15.

2.2 I beneficiari: il profilo degli assistenti familiari coinvolti nel programma

Prendiamo ora in considerazione coloro che, dopo aver seguito un percorso di politica attiva erogato dalle agenzie tramite sportelli dedicati (analisi delle competenze, formazione, accompagnamento al lavoro ecc.), hanno ottenuto l’assunzione e dunque usufruito dell’erogazione del voucher. Si tratta di 3.006 assistenti familiari

16, con una netta prevalenza di donne (83%), come

previsto nelle linee del programma, a queste rivolto primariamente. La quota di uomini coinvolti

14 Per consolidare tale dato di partenza, nel percorso formativo sono stati compresi alcuni strumenti dedicati, tra i quali i moduli

«Inserirsi nella rete del mercato del lavoro locale» e l’esercitazione «La mappatura degli attori della rete sociale». 15 Allo scopo di rilevare gli ambiti di conoscenze acquisiti a conclusione del percorso, gli operatori compilavano un questionario di

valutazione in uscita. In media hanno risposto correttamente a 13 domande su 15. Tutti i quesiti del questionario ricevono risposte

esatte in 8 casi su 10; fanno eccezione proprio per le domande relative all’analisi del fabbisogno di assistenza e all’orientamento

consulenziale. 16 Beneficiari già contrattualizzati alla data del 30 Aprile 2013 per i quali era stata già prodotta dalle agenzie una regolare richiesta di

emissione di voucher per la formazione somministrata.

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12

(511), prevalentemente stranieri, va comunque ritenuto un dato interessante. Rispetto all’età, appare significativa la quota di lavoratori nella classe di età over 50 (19.7%), dimensionalmente comparabile alla categoria più giovane «fino a 30 anni» (25%), elemento che rappresenta la propensione alla lunga permanenza sul mercato dei lavoratori addetti ai SaP, ma anche la possibilità di ingresso in giovane età. Solo 73 lavoratori hanno un’età superiore ai 60 anni. Tabella 6 – Caratteristiche sociografiche dei beneficiari, valori assoluti e percentuali

Genere Val. Ass. Val.

% Maschi 511 17,0 Femmine 2.495 83,0

Totale 3.006 100

Età

Fino a 30 753 25,0 da 31 a 40 750 25,0

da 41 a 50 911 30,3

Oltre i 50 592 19,7

Totale 3.006 100

Nazionalità

Italiano 1.844 61.3 Straniero 1.162 38.7

Totale 3.006 100

Stranieri UE 503 43.3 Stranieri Extra UE 659 56.9

Totale 1.162 100

Titolo di studio

Nessun titolo 520 17.3 Licenza elementare 114 3.8

Licenza media 1.097 36.5

Diploma 1.179 39.2

Laurea o diploma universitario 96 3.2

Totale 3.006 100

Per quanto concerne la provenienza, nonostante il programma fosse rivolto prioritariamente alle

immigrate, i lavoratori italiani sono più degli stranieri (1.844, pari al 61.3%). Gli stranieri coinvolti nel progetto provengono da 46 Paesi di 4 diversi Continenti, con una predominanza dei Paesi extra-UE (659, pari al 56.9%), e principalmente da Sri Lanka, Ucraina, Federazione Russa e Filippine. La restante quota comunitaria (43.3%) è rappresentata da cittadini di Stati di più recente adesione all’Ue (Romania, Bulgaria e Polonia in testa), con una quota complessiva pari al 16.6%, della quale quasi il 13% per la sola Romania.

In merito ai livelli di istruzione, significativa è la presenza di lavoratori senza titolo di studio (17.3%), anche se prevale una formazione scolastica di medio livello, a livello di scuola media superiore (39.2% del totale) e inferiore (36.5%). Irrilevante è la quota di chi possiede una laurea (3.2%).

L’analisi della tipologia dei contratti di lavoro stipulati tra le famiglie e i 3.006 assistenti in uscita dai percorsi formativi erogati dalle agenzie aderenti al programma fa rilevare una netta prevalenza di contratti a tempo indeterminato (il 75% del totale). L’interpretazione di questo elemento potrebbe risultare dalla composizione di tre fattori. In primo luogo, l’elevata affidabilità riconosciuta ai lavoratori in uscita dai percorsi formativi attivati (preferenza di un lavoratore con formazione riconosciuta rispetto ai profili generici); in secondo luogo, l’elemento fiduciario attribuito dalle famiglie agli intermediari (agenzie, associazioni, patronati ecc.) a valle della selezione/formazione da questi effettuata; in terzo luogo, alla possibilità di emersione di forme di rapporto anomale già in vigore, con l’opportunità di fruire del sostegno pubblico a copertura dei costi dell’assunzione. Tuttavia, entrando nel dettaglio delle tipologie di contratto adottate, si nota che si è trattato prevalentemente di contratti a tempo parziale. Il numero di ore lavorative per le quali vengono impiegati gli assistenti assunti, a prescindere dal tipo di contratto, vede una grande maggioranza di prestazioni di servizi a tempo parziale (91.5%), con orari inferiori alle 25 ore settimanali. Il 6.5% dei contratti riguarda prestazioni per un numero di ore settimanali superiore a 25, mentre solo il 2% dei rapporti instaurati risulta a tempo pieno.

Questo elemento rilevato potrebbe scontare la diffusa tendenza a contrattualizzare un numero di ore di servizio ridotta rispetto a quelle effettivamente fruite, al fine di non appesantire i costi fissi

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13

periodici dei soggetti fruitori, lasciando a eventuali prestazioni straordinarie o “fuori busta” la remunerazione della parte eccedente l’orario stabilito da contratto.

Tabella 7 – Profili contrattuali dei beneficiari, valori assoluti e percentuali

Tipologia di contratto Val. Ass. Val.

% Tempo indeterminato 2.255 75,0 Tempo determinato 751 25,0

Totale 3.006 100

Tipologia oraria

Part time fino a 25 ore settimanale 2.750 91.5 Part time oltre le 25 ore settimanali 196 6.5

Full time 60 2.0

Totale 3.006 100

Qualifica

Operaio specializzato 1.149 38.2 Operaio comune 1.809 60.2

Altre qualifiche 48 1.6

Totale 3.006 100

Per ciò che riguarda infine la tipologia delle mansioni svolte dai lavoratori

17, la qualifica di

operaio assorbe la quasi totalità dei casi esaminati: infatti tra le 4 qualifiche utilizzate, prevale largamente quella di operaio comune, adoperata nel 60.2% dei rapporti di lavoro avviati, mentre la qualifica di operaio specializzato è utilizzata per il 38.2% dei lavoratori (totale qualifiche di operaio: 98,4% dei contratti stipulati). Solo l’1,6% dei contratti fa invece riferimento ad altre qualifiche.

Dal punto di vista dell’emersione del lavoro irregolare, emerge pertanto un evidente difetto nell’implementazione del programma connesso alle resistenze della componente grigia o di «regolarità parziale» (Catanzaro, Colombo 2009; Pasquinelli 2011). È ipotizzabile che all’interno di quel 91.5% di assistenti familiari assunti per poche ore settimanali si nasconda un’ampia varietà gradazioni di grigio, con numerose posizioni solo parzialmente regolari. Il ricorso a queste formule ambigue di semi-regolarizzazione si è avuto prevalentemente tra le agenzie di lavoro, le cooperative e le associazioni minori, che operano con uno o due sportelli e in una sola Regione. Radicate su territori limitati e capillarmente inserite nel tessuto delle realtà in cui insistono, spesso queste realtà mostrano operano nell’informale, provengono da esperienze e settori assai distanti dai SaP, sono prioritariamente interessati a cogliere le opportunità di un nuovo mercato foraggiato dalla finanza pubblica. L’operato, le professionalità e l’etica di cui tali soggetti sono portatori richiede all’attore pubblico più ingenti sforzi di qualificazione, monitoraggio e – quando previsto – sanzione delle pratiche parzialmente regolari. Figura 1 – Canali di apprendimento delle opportunità offerte da AsSaP (valori %)

17 Con riferimento al CCNL del lavoro domestico, i contratti previsti erano di livello C Super (Assistente a persone non

autosufficienti – non formato) e D Super (Assistente a persone non autosufficienti – formato).

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14

Un ultimo scorcio sui beneficiari proviene dall’analisi della soddisfazione del servizio ricevuto, effettuata su un campione significativo di assistenti assunti attraverso il programma

18. In evidenza

due elementi: il permanere di una certa distanza degli stranieri dai canali istituzionali di comunicazione; l’importanza che gli intervistati attribuiscono al riconoscimento delle proprie competenze e alla qualificazione del loro operato.

Figura 2 - Valore numerico attribuito al grado di soddisfazione (medie)

Osservando le modalità con cui gli intervistati sono venuti a conoscenza delle opportunità offerte dal programma, emergono evidenti differenze in base alla nazionalità: per gli stranieri prevalgono le modalità autonome ed informali relative ai contatti già in essere (72,3%), con scarsa rilevanza dei canali formali. Per i lavoratori italiani la distribuzione tra queste due tipologie delle modalità di acquisizione della conoscenza assumono valori assai più equilibrati.

Se il 93% dei rispondenti si dichiara genericamente soddisfatto del servizio, l’importanza del percorso di qualificazione convince 8 intervistati su 10, specie in relazione al riconoscimento della propria professionalità, meno rispetto al miglioramento delle condizioni di lavoro. In effetti, tra le prestazioni ricevute il maggior gradimento si registra per l’accoglienza/analisi delle competenze anche non formali (94.2% soddisfatti) e per la formazione/informazione (91.7%). Quota che scende al 76.3% per il servizio di inserimento/accompagnamento al lavoro.

2.3 I Piani operativi regionali di co-finanziamento per la costruzione dei sistemi integrati territoriali

L’analisi delle realizzazioni si chiude con la descrizione delle attività svolte per favorire l’integrazione tra gli interventi previsti dal programma nazionale e le politiche regionali dei SaP, che comprendevano interventi di sostegno economico alle famiglie e destinati a facilitare l’assunzione degli assistenti familiari qualificati. Con questi obiettivi, le 4 regioni coinvolte sono state supportate nella elaborazione di piani operativi e, al 30 aprile 2013, tre amministrazioni regionali su quattro avevano approvato le relative delibere procedendo con l’erogazione delle risorse a sostegno della domanda. In linea generale, i piani hanno previsto strumenti di sostegno basati sul modello voucher di servizio/voucher di conciliazione per l’abbattimento dei costi retributivi, rivolti alle famiglie con fabbisogni di assistenza, quali possibili incentivi all’assunzione di assistenti qualificati. Vi sono tuttavia delle differenze in termini di definizione dei destinatari, di attori coinvolti e di governance degli interventi che vanno a incastrarsi nelle rispettive tradizioni istituzionali e variano a seconda degli orientamenti politici delle amministrazioni al governo

19.

Il programma finanziato dalla Regione Campania20

ha previsto l’erogazione di voucher di conciliazione e di voucher per sostegno economico alle famiglie. La Campania ha così avviato la

18 Il campione, di 312 soggetti ripartiti per le 4 regioni coinvolte, è stato ponderato in base a genere, nazionalità e classi di età. Si è

preferito sovrastimare gli stranieri (+6,3% rispetto al loro peso % sull’universo di riferimento) e le donne (+7,6% rispetto al valore di

riferimento). La rilevazione è avvenuta con modalità CATI, con l’ausilio di un questionario strutturato suddiviso in 4 sezioni:

efficienza ed efficacia del servizio ricevuto; esiti del servizio ricevuto; soddisfazione per il servizio ricevuto; condizione attuale. 19 Non è stato possibile analizzare i dati relativi alle realizzazioni dei piani ragionali, tuttora indisponibili. 20 Il Decreto Dirigenziale n. 805 del 07/11/2012 avvia il Programma Voucher sociali a finalità multipla con riferimento all’Intesa

Stato-Regioni Conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. La Regione impegna 3.840.000 di euro con l’erogazione di 800 voucher di

400 euro mensili per un massimo di 12 mesi per un totale di 4.800 famiglie coinvolte.

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sperimentazione per la diffusione del voucher a sostegno «della parità di accesso al mercato del lavoro e a favore delle pari opportunità per le donne», attraverso un sistema di servizi di conciliazione offerti da soggetti e strutture pubbliche e agenzie private presenti sul territorio. I destinatari dell’intervento sono le famiglie con a carico familiari non autosufficienti e le donne con a carico figli minori conviventi di età 0-12 anni, residenti nei Comuni campani che ricadono nell’Ambito territoriale sociale (ATS) di riferimento e rientrano nella soglia economica di accesso stabilita sempre dall’ATS e calcolata in base all’Isee. La governance dell’intervento è dunque centrata sugli Uffici di Piano degli ATS. Tabella 8 – I sistemi integrati regionali, caratteristiche rilevanti

Regione Titolo del Piano Strumenti Destinatari Attori coinvolti

Campania

Voucher sociali

a finalità

multipla

Voucher di conciliazione e

voucher sociali

(copertura degli oneri Inps)

Famiglie con componenti anziani

non autosufficienti (over 65) o

persone disabili

MLPS, Regione,

Ambiti Sociali di

Zona, Agenzie di

Intermediazione

Puglia

Progetto

R.O.S.A. /

Progetto

V.I.O.L.A.

Voucher di servizio

(copertura degli oneri Inps 12

mesi)

Elenchi provinciali di assistenti

familiari certificati e qualificati

Famiglie con fabbisogni di cura per

anziani o minori

MLPS, Regione,

Province, Centri per

l’Impiego, agenzie

accreditare in

Regione

Sicilia

Voucher per

l’abbattimento

dei costi dei

servizi

domiciliari alla

persona

Voucher di servizio

(copertura degli oneri Inps 12

mesi)

Elenchi regionali, provinciali o

comunali di assistenti familiari

certificati e qualificati

Soggetti in condizione di disagio

e/o a rischio di esclusione; soggetti

vittime di discriminazione

nell’accesso all’occupazione e alla

formazione; genitori con

responsabilità di cura e assistenza;

donne vittime di violenza con figli

minori

MLPS, Regione,

Comuni, Agenzie di

intermediazione

aderenti al

programma

Il voucher è concesso sotto-forma di rimborso spesa e si configura come 2contributo alle

famiglie per la cura di un proprio familiare anziano non autosufficiente (over 65) o persona disabile». Il voucher può essere utilizzato per le spese relative al contratto di assunzione (a copertura delle spettanze retributive, previdenziali ed assistenziali) per almeno 12 mesi, stipulato o da stipulare con un collaboratore familiare che ha partecipato a percorsi formativi di qualificazione nell’ambito del programma del MLPS.

Nella Regione Puglia il programma nazionale si è integrato con azioni, aventi finalità analoghe, già attive da tempo sul territorio con discreto successo. Si tratta del Progetto R.O.S.A. (Rete per l’Occupazione e i Servizi di Assistenza), con il quale è stato sperimentato un modello di intervento nell’ambito dei SaP, e del Progetto V.I.O.L.A. (Verso l’Integrazione per l’Occupazione nel lavoro di assistenza per l’infanzia), linea analoga ma rivolta alla cura dei minori.

Attraverso le azioni del Progetto R.O.S.A., in particolare con le attività dei Centri per l’Impiego, sono stati istituiti degli elenchi provinciali di assistenti familiari certificati e qualificati. Gli esiti dei colloqui per l’accertamento di competenze hanno portato alla formazione di due elenchi: per coloro già in possesso dei requisiti richiesti; per coloro che necessitavano di un adeguamento di competenze attraverso azioni formative. Dopo la pubblicazione di questi elenchi la Regione Puglia ha emanato avvisi pubblici per l’erogazione di incentivi, rivolti alle famiglie per l’assunzione di «Assistenti domiciliari». Anche in tal caso gli incentivi sono pari all’importo degli oneri previdenziali Inps in ragione del rapporto di lavoro instaurato. Grazie all’integrazione tra il programma del MLPS e il Progetto R.O.S.A., i servizi privati del lavoro regionali possono provvedere all’adeguamento delle competenze degli iscritti negli elenchi di R.O.S.A., per consentire loro l’accesso alle attività e ai voucher formativi erogati dal MLPS. Anche le famiglie con fabbisogni di cura hanno il vantaggio di ottenere gli incentivi sui contributi previsti dal progetto R.O.S.A. se gli assistenti familiari formati tramite il progetto del MLPS sono inseriti negli elenchi.

Anche Progetto V.I.O.L.A. è impostato in una logica di filiera con R.O.S.A. e con il programma nazionale. Mette a sistema gli interventi nel campo del lavoro privato di cura per i minori e ha visto la creazione di un elenco on line di assistenti domiciliari per l’infanzia. Questo elenco contiene: una «lista speciale», formata dai soggetti che avranno sostenuto e superato i colloqui per l’accertamento delle competenze di base; una seconda lista di soggetti da formare con il sostegno dei voucher del

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MLPS. All’interno della piattaforma telematica per la gestione di tali elenchi sono accreditati i servizi per il lavoro privati della regione Puglia. Gli stessi soggetti potevano inoltre presentare le domande di incentivo all’assunzione degli assistenti per l’infanzia in possesso del profilo di competenze di base, attivati dalla Regione Puglia con modalità analoghe a quelle del Progetto R.O.S.A. In questo quadro, la governance dell’intervento è dunque tarata sul livello provinciale, con un ruolo centrale dei servizi per l’impiego

21.

La Regione Siciliana, infine, ha integrato il programma nazionale con l’Avviso pubblico per l’erogazione di voucher di servizio finalizzati all’abbattimento dei costi dei servizi domiciliari alla persona

22. L’Avviso prevede un contributo per l’abbattimento del costo del lavoro dei servizi

familiari alla persona. Il voucher finanzia il rimborso dei contributi previdenziali ed assistenziali versati dalla famiglia (datore di lavoro) nell’arco dei 12 mesi successivi all’assunzione di un assistente familiare qualificato, iscritto in un qualsiasi «registro» regionale, provinciale o comunale di assistenti familiari e che abbia concluso percorsi di politica attiva per il lavoro attestati da agenzie di intermediazione aderenti al programma del MLPS. L’erogazione del voucher di servizio era subordinata alla instaurazione di regolare rapporto di lavoro, in applicazione del CCNL di comparto, con contratto a tempo indeterminato o a tempo determinato per una durata non inferiore ai 12 mesi. I destinatari del voucher di servizio sono soggetti in condizione di disagio e/o a rischio di esclusione; soggetti vittime di discriminazione nell’accesso all’occupazione e alla formazione; genitori con responsabilità di cura e assistenza; donne vittime di violenza con figli minori. Si tratta, in particolare, di persone disoccupate/inoccupate o occupate, residenti in Sicilia, impegnate nella gestione di situazioni di cura nei confronti di parenti o affini, sino al terzo grado, che siano anziani non autosufficienti, disabili, malati cronici non autosufficienti e/o malati terminali, figli minori di 12 anni compiuti

23.

4. Brevi riflessioni conclusive

L’Azione di sistema per lo sviluppo di sistemi integrati di Servizi alla Persona, pur con non poche difficoltà di implementazione, ha rappresentato comunque un riferimento istituzionale nazionale in termini di regolazione del mercato del lavoro privato di cura, nonché di finanziamento per l’emersione dell’irregolarità. La politica attiva erogata dalle agenzie aderenti ha favorito la diffusione di percorsi di qualificazione professionale, ma anche una prima forma di training per le agenzie stesse, rese in grado di valorizzare le competenze formali e non formali e di potersi adeguare ai fabbisogni peculiari di una domanda di lavoro differente. Questo aspetto è ancora più importante se si pensa alle agenzie di lavoro non di derivazione patronale o del terzo settore: il voucher formativo ha infatti avuto una evidente funzione di attrattiva e di incentivo per la «riconversione delle attività» delle agenzie di lavoro nel campo dei SaP, con il proliferare di sportelli organizzati su livelli standard di prestazioni univoci. La messa in campo delle agenzie ha dato impulso a fenomeni, ancora non sistematici, ma promettenti, di attivazione di reti interne alle associazioni e reti tra attori pubblici e privati. Tale lavoro di rete ha fornito un contributo alla regolarizzazione di intermediazione non dichiarata. Anche sul fronte delle famiglie, attorno al programma, si è registrata la nascita di fenomeni aggregativi della domanda di SaP (associazioni, figure di assistente domiciliare di condominio o di vicinato ecc.), che opportunamente normati possono dare contributi sia sul piano della facilitazione dell’accesso ai servizi, sia an un circuito positivo sul versante fiscale e contributivo. L’esperienza relativa alla qualificazione della figura dell’assistente familiare ha rappresentato un contributo al consolidamento di sistemi regionali o locali di regolamentazioni del settore tramite registri o elenchi di assistenti familiari, con la determinazione di profili professionali degli operatori. In un’ottica integrata di sistema, il progetto ha saputo rendere disponibili ed utilizzare fonti di finanziamento e progetti regionali per il sostegno delle famiglie e degli altri datori di lavoro. Ciononostante, sono emersi evidenti nodi problematici. Persiste infatti una diffusa irregolarità nei rapporti di lavoro, che assume caratteri di semi-regolarità, anche per le difficoltà delle famiglie a sostenere i costi del lavoro regolare. Ciò continua a ripercuotersi sulla presenza di situazione di

21 Per maggiori dettagli si veda la Delibera della Giunta Regionale n. 392 del 28.12.2012. 22 Si veda DDG 1724 del 10.09.2012 in ordine all’Avviso pubblico, pubblicato in GURS n. 45 del 19 ottobre 2012. Si veda anche il

Decreto dell’Assessore per la famiglia, le politiche sociali e il lavoro della Regione Siciliana del 22 aprile 2010, pubblicato nella

GURS n. 21 del 30 aprile 2010, concernente l’istituzione del registro pubblico degli assistenti familiari. 23 Le famiglie, inoltre, devono avere un reddito familiare annuo non superiore ad € 30.000,00 calcolati sulla base dell’attestazione

I.S.E.E. L’importo dell’incentivo sarà variabile e commisurato al reddito ISEE.

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mobilità di lavoratori immigrati anche senza permesso di soggiorno e sulla persistenza nell’intermediazione nei servizi privati di attività di intermediazione tra domanda e offerta non dichiarata o non qualificata. Proprio in relazione a quest’ultimo aspetto, sebbene il MLPS forniva il percorso di formazione per gli operatori di sportello, non è stato possibile esaminare gli strumenti adottati per il riconoscimento e recupero delle esperienze formali e non formali degli assistenti familiari, così come non è stato possibile monitorare le attività di «docenza» sperimentate nella qualificazione professionale erogata dalle agenzie. In conclusione, l’implementazione del programma ha segnalato comunque la crescita della consapevolezza da parte dell’attore pubblico (nazionale e ancor più territoriale) della necessità di interventi sempre più integrati tra lavoro, formazione, assistenza sociale e sanitaria. Un campo che trova spazio nella nuova programmazione regionale dei fondi comunitari 2014-2020, dai quali il Mezzogiorno potrà trarre sostegno finanziario per l’ulteriore qualificazione della filiera dei servizi alla persona in una logica programmatoria integrata, pluriennale e multilivello. Riferimenti bibliografici Aa. Vv. (2011), Colf d’Italia. 150 anni di lavoro domestico per raccontare l’Italia che cura, atti del convegno a cura di

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