Modellazione Ecoidrologica della Tundra: Fusione del Permafrost, Termocarsismo ed Impatti sulla...

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POLITECNICO DI MILANO Scuola di Ingegneria Civile, Ambientale e Territoriale Corso di Laurea in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio MODELLAZIONE ECOIDROLOGICA DELLA TUNDRA FUSIONE DEL PERMAFROST, TERMOCARSISMO ED IMPATTI SULLA DISTRIBUZIONE SPAZIALE DELLA VEGETAZIONE Relatore: Prof. Carlo De Michele Correlatori: Prof.ssa Cristina Jommi, Ing. Francesco Accatino Elaborato di laurea di Pietro Richelli Matricola 742704 Anno accademico 2011/2012

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POLITECNICO DI MILANO Scuola di Ingegneria Civile, Ambientale e Territoriale Corso di Laurea in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio

MODELLAZIONE ECOIDROLOGICA DELLA TUNDRA FUSIONE DEL PERMAFROST, TERMOCARSISMO ED IMPATTI

SULLA DISTRIBUZIONE SPAZIALE DELLA VEGETAZIONE

Relatore: Prof. Carlo De Michele Correlatori: Prof.ssa Cristina Jommi, Ing. Francesco Accatino

Elaborato di laurea di Pietro Richelli Matricola 742704

Anno accademico 2011/2012

MODELLAZIONE ECOIDROLOGICA DELLA TUNDRA FUSIONE DEL PERMAFROST, TERMOCARSISMO ED IMPATTI SULLA DISTRIBUZIONE SPAZIALE DELLA VEGETAZIONE

La struttura della vegetazione nella tundra è il frutto dell’interazione di una serie di

processi climatici, idrologici ed ecologici connessi con il degrado del permafrost e lo

sviluppo di termocarsismo che questo lavoro intende analizzare. Gli scenari di

cambiamento climatico prevedono che alle alte latitudini l’innalzamento delle temperature

sarà maggiore che altrove. Il permafrost, terreno congelato che caratterizza tali regioni del

pianeta, risente del surriscaldamento climatico ed è soggetto ad un generale processo di

degrado ed assottigliamento. La fusione del permafrost e il conseguente ispessimento dello

strato attivo causano una serie di fenomeni geomorfologici che alterano la topografia e

l’idrologia dei terreni in superficie. Il più comune di questi consiste in una serie di

superfici irregolari, depressioni e calanchi causati dal cedimento differenziale del terreno e

va sotto il nome di termocarsismo. La tundra, bioma caratterizzante le regioni dove è

presente il permafrost, risente dei cambiamenti climatici sia direttamente attraverso

l’innalzamento della temperatura, sia indirettamente per l’azione su microtopografia del

terreno e l’alterazione della distribuzione di acqua e nutrienti. Sono presenti osservazioni

in letteratura che documentano mutamenti nella composizione della vegetazione: si tratta

spesso di sviluppi della biomassa di muschi e licheni a scapito di quella delle piante

vascolari. L’obiettivo di questo lavoro è modellare il complesso sistema descritto sopra

focalizzandosi sull’impatto del termocarsismo sull’idrologia del terreno e sul rapporto tra

essa e la distribuzione spaziale della vegetazione. Il modello, implementato con NetLogo, è

stato poi simulato su un orizzonte temporale di 20 anni e con diversi tassi di degrado del

permafrost in linea con quelli previsti dai rapporti dell’IPCC, e poi confrontato

qualitativamente con dei dati di vegetazione osservati a Healy, sito dell’Alaska centro-

meridionale. Da tale confronto è emerso come solo con velocità di degrado del permafrost

ottimistiche dal punto di vista dei cambiamenti climatici (2 cm/anno), si ha una lieve

manifestazione del fenomeno termocarsico e una accettabile variazione della struttura

dell’ecosistema. Con tassi di degrado del permafrost maggiore (3.5 - 5 cm/anno) sono

presenti estese caratteristiche termocarsiche e ampi mutamenti nella composizione di

specie vegetali.

Parole chiave: permafrost, termocarsismo, vegetazione della tundra

RINGRAZIAMENTI

Ringrazio il professor De Michele e l’ingegner Accatino per la cura con cui hanno seguito il mio lavoro e la professoressa Jommi per il suo prezioso aiuto.

Un grazie particolare va ai miei nonni Alberto e Valeria, che con affetto ed entusiasmo mi hanno sempre sostenuto negli studi.

1

INDICE

1. INTRODUZIONE………………………………………………….……………pag. 2

2. IL PERMAFROST……………………………………………………………….pag.3

2.1. CARATTERISTICHE E OCCORRENZA…………………………….pag. 3

2.2. RISPOSTA DEL PERMAFROST AI CAMBIAMENTI

CLIMATICI………………………………………………………………...pag. 5

2.3. THERMOKARST E ALTRI FENOMENI CONNESSI CON IL

DEGRADO DEL PERMAFROST………………………………………....pag. 7

3. LA TUNDRA………………..………………………………………..…………pag. 9

3.1. CARATTERISTICHE DELLA TUNDRA……………………....……pag. 9

3.2. CONSEGUENZE DEL TERMOCARSISMO

SULLA VEGETAZIONE………………..……………….…......………...pag. 10

4. MODELLAZIONE MATEMATICA E IMPLEMENTAZIONE

NUMERICA……………………………………………………………………....pag. 11

4.1. DESCRIZIONE DEL MODELLO…………………………..............pag. 12

4.2. UTILIZZO DI NETLOGO PER L’IMPLEMENTAZIONE………...pag. 15

5. CASO DI STUDIO……………………………………………………………pag. 16

6. SIMULAZIONI……………………………………………………………….pag. 18

7. CONCLUSIONI………………………………………………………………pag. 21

8. BIBLIOGRAFIA……………………………………………………………...pag. 23

2

1. INTRODUZIONE

Gli scenari di cambiamento climatico prevedono che alle alte latitudini l’innalzamento

delle temperature sarà maggiore che altrove (Houghton et al, 1996). Queste previsioni

sono già supportate da evidenze sperimentali negli ultimi venticinque anni (Serreze et

al, 2000), alle quali sono affiancate osservazioni sull’aumento della temperatura

superficiale del terreno e di quella del permafrost, che sta subendo un generale processo

di degrado.

La fusione del permafrost e il conseguente inspessimento dello strato attivo (active

layer) causano una serie di fenomeni geomorfologici che alterano la topografia e

l’idrologia della tundra, il più noto di questi va sotto il nome di termocarsismo

(thermokarst).

Inoltre il permafrost è ricco di metano e i suoli artici costituiscono una delle maggiori

riserve di carbonio del pianeta custodendo circa 455 Gt dell’elemento, il 14% di quello

globale (Anisimov & Reneva, 2006). L’attenzione della comunità scientifica si sta

pertanto focalizzando sulla pericolosità del degrado del permafrost e il rilascio di gas

climalteranti in atmosfera, che contribuiscono ulteriormente al surriscaldamento

globale, fungendo così da feedback positivo ai mutamenti climatici.

La tundra è il bioma proprio delle zone caratterizzate dalla presenza di permafrost. La

sua composizione ecosistemica, la biomassa vegetale presente e la sua produttività sono

quindi influenzate dai mutamenti climatici sia in modo diretto con l’innalzamento della

temperatura atmosferica e di quella del terreno, sia in modo indiretto per l’azione sulla

microtopografia del terreno e sulla distribuzione dell’acqua nel suolo. Alcune zone

soggette a subsidenza sono caratterizzate da una maggiore umidità del terreno poiché

tende a ridursi la distanza tra superficie e quota media della falda, altre,

topograficamente più elevate, sono più secche. Questo ha un evidente impatto sulla

distribuzione spaziale della vegetazione poiché essa è fortemente influenzata dalla

disponibilità idrica del suolo. Le relazioni che legano vegetazione, permafrost e

termocarsismo dipendono quindi dall’interazione di processi climatici, idrologici ed

ecologici.

L’obiettivo di questo lavoro è modellare le dinamiche che caratterizzano l’ecosistema in

rapporto alla fusione del permafrost, analizzando in un primo momento le relazioni che

intercorrono tra degrado del permafrost, termocarsismo e mutamento della struttura

3

idrologica del terreno. In un secondo momento sarà studiato un modello semplificato di

distribuzione della vegetazione a partire dall’idrologia del terreno.

L’ultimo passo del lavoro è l’implementazione del modello con NetLogo, che renderà

possibile una simulazione del sistema e il confronto qualitativo dei valori ottenuti con

quelli osservati nel caso di studio di Healy nell’Alaska centro-meridionale, relativi a tre

siti adiacenti con crescente grado di sviluppo dei fenomeni termocarsici.

2. IL PERMAFROST

In questo capitolo verranno introdotte il le principali caratteristiche e problematiche

relative al fenomeno del permafrost. Il Permafrost, o permagelo, è definito come terreno

o roccia con temperature inferiori a 0° C per almeno due inverni consecutivi e l'estate

tra essi compresa (Andersland & Orlando, 2004). L’umidità sotto forma di acqua o

ghiaccio, anche se non sempre presente, è il fattore determinante di tutti i processi

geomorfologici che caratterizzano il permafrost e che in parte verranno trattati

successivamente.

2.1. CARATTERISTICHE E OCCORRENZA

La maggior parte del permafrost esistente oggi si è formata durante le ere glaciali ed è

resistito a più caldi periodi come l’Olocene (10.000 anni fa). Permafrost relativamente

meno profondo si è invece formato nella seconda parte dell’Olocene (6.000 anni fa) e

un’altra parte durante la Piccola età glaciale (dai 400 ai 150 anni fa).

Complessivamente si calcola che il permafrost ricopra il 20% delle terre emerse e il

25% di quelle dell’emisfero settentrionale (Zhang et al, 2000). Geograficamente è

diviso in due zone dall’arbitrario confine dell’isoterma -5°C della temperatura media

annua al suolo: permafrost continuo e permafrost discontinuo. Il primo é profondo

alcune centinaia di metri, il secondo solo alcune decine e occupa tra il 30% e l’80%

della zona considerata. A sud dell’isoterma -1°C si trovano alcune aree dove sono

presenti zone ristrette di terreno gelato: qui il permafrost viene chiamato sporadico

(Figura [1]).

L’esistenza del permafrost dipende dagli scambi di calore tra la terra è l’atmosfera

sovrastante e quindi sostanzialmente dalla temperatura media annua. Solitamente la

temperatura superficiale del terreno non è uguale a quella dell’aria ma dai 2°C ai 4°C

più alta, tuttavia il suo regime presenta forti analogie con il regime termico dell’aria e

4

Figura [1]: mappa del permafrost presente nell’emisfero settentrionale (IPA, International Permafrost Association).

con le sue variazioni stagionali e giornaliere. Le variazioni giornaliere, per la loro breve

durata e intensità, si fanno sentire solo in prossimità della superficie, mentre quelle

stagionali influenzano la temperatura anche di strati profondi alcuni metri. Ad una certa

profondità, compresa tra i 10 e i 25 m, la temperatura smette di risentire dell’influenza

climatica e inizia ad aumentare con la profondità secondo il gradiente geotermico locale

che varia da 1°C/22m a 1°C/160 m, fino a che non risale sopra gli 0°C segnando la

base del permafrost (Figura [2]).

Lo strato attivo (active layer) è la parte superficiale del terreno soggetta al cambiamento

stagionale di fase dell’acqua da liquido a solido. Il suo spessore varia da 30-50 cm alle

latitudini più alte sino a 1-3 m (fino a un massimo di 5 m) nelle zone con permafrost

discontinuo e sporadico ed è sede di tutte le attività ecologiche, idrologiche e

geomorfologiche. La sua consistenza molle e fangosa gli è valsa il nome di “mollisol”

poiché l’acqua non percola attraverso il terreno congelato ma rimane negli strati

superficiali dando la possibilità alle piante di crescere nella breve estate, nonostante le

scarse precipitazioni.

5

Figura [2]: profilo di temperatura del terreno, con evidenziate le oscillazioni stagionali e i diversi strati (Andersland

& Orlando, 2004).

2.2. RISPOSTA DEL PERMAFROST AI CAMBIAMENTI CLIMATICI

Essendo la presenza di permafrost strettamente correlata con il bilancio termico tra

terreno e atmosfera, una variazione della temperatura atmosferica può influenzare le

caratteristiche della distribuzione del permafrost, inoltre i cambiamenti climatici

influenzano il permafrost in modo indiretto agendo su altri fattori come la vegetazione,

la copertura nivale e le caratteristiche del suolo.

Oltre a sporadiche fonti della prima metà del secolo scorso, il controllo delle

temperature del permafrost è iniziato negli anni 50 in Russia, in Tibet negli anni ’60 e

un monitoraggio sistematico di tali temperature è in atto solo dagli anni ’80 i Canada e

dagli anni ’90 in Europa. Salvo alcuni siti canadesi in cui si registrano valori stazionari

o leggeri raffreddamenti, l’andamento delle temperature del permafrost nell’emisfero

settentrionale è in costante aumento, come si può leggere nella tabella sottostante,

6

estratta dal quarto report dell’IPCC, che riporta oltre venti misurazioni in altrettanti siti,

con le relative date ed entità delle variazioni (Tabella [1]).

Tabella[1]: dati di incrementi di temperature del permafrost in diversi luoghi del mondo (IPCC, 2007)

Region Depth (m)

Period of records

Permafrost temperature Change (°C)

Reference

United States Northern Alaska Northern Alaska Interior of Alaska

~1 20 20

1910s–1980s 1983–2003

2-4 2-3 0.5-1.5

Lachenbruch and Marshall, 1986 Osterkamp, 2005 Osterkamp, 2005

Canada Alert, Nunavut 15 1995-2000 0.8 S.L. Smith et al., 2003 Northern Mackenzie Valley

20-30 1990-2002 0.3-0.8 S.L. Smith et al., 2003

Central Mackenzie Valley

10-20 1985-2003 0.5 S.L. Smith et al., 2003

Southern Mackenzie Valley & Southern Yukon Territory

~20 1985-2003 0 Haeberli and Burn, 2002

Northern Quebec 10 1988-1995 <-1 Allard et al., 1995 Northern Quebec 10 1988-1995 1.0 DesJarlais, 2004 Lake Hazen 2.5 1996-2001 1.0 Broll et al., 2003 Iqaluit, Eastern Canadian Arctic

5 1993-2000 2.0 S.L. Smith et al., 2005

Russia East Siberia 1.6-3.2 1960-2002 ~1.3 Walsh et al., 2005 Northern West Siberia 10 1980-1990 0.3-0.7 Pavlov, 1996 Northern European Russia

6 1973-1992 1.6-2.8 Pavlov, 1996

Northern European Russia

6 1970-1995 1.2-2.8 Oberman and Mazhitova, 2001

Europe Juvvasshoe, Southern Norway

~3 Past 30-40 years

0.5-1.0 Isaksen et al., 2001

Janssonhaugen, Svalbard

~3 Past 60-80 years

1-2 Isaksen et al., 2001

Murtel-Corvatsch 11.5 1987-2001 1.0 Vonder Muhll et al., 2004 China Tibetan Plateau

10 1970s-1990s

0.2-0.5 Zhao et al., 2004

Qinghai-Xizang Highway

3-5 1995-2002 Up to 0.5 Wu and Liu, 2003; Zhao et al., 2004

Tianshan Mountains 16-20 1973-2002 0.2-0.4 Qiu et al., 2000; Zhao et al., 2004

Da Hinggan Mountains, Northeastern China

~2 1978-1991 0.7-1.5 Zhou et al., 1996

7

Ci si riferisce al degrado del permafrost quando si parla di diminuzione dello spessore o

dell’estensione areale dello stesso. Negli ultimi anni sono stati registrati dati che

affermano la migrazione a Nord del confine meridionale del permafrost discontinuo

(Halsey et al, 1995) e in varie zone dell’emisfero Nord si sta verificando un

assottigliamento della sua sezione. Attualmente lo spessore medio del permafrost si

riduce con dei tassi medi che, a seconda degli altri fattori in gioco, variano tra 1cm/anno

a 5cm/anno (IPCC, 2007).

2.3. THERMOKARST E ALTRI FENOMENI CONNESSI AL DEGRADO

DEL PERMAFROST

Le caratteristiche della superficie del terreno sono fortemente influenzate dalle

condizione del permafrost sottostante. Per questo il degrado del permafrost è spesso

reso lampante dall’accentuarsi di alcuni fenomeni geomorfologici superficiali che

fungono da indicatore delle condizioni termiche e fisiche del terreno.

Una serie di superfici irregolari risultanti da una differenziale fusione di ghiaccio

contenuto nel permafrost e dalla relativa subsidenza del terreno va sotto il nome di

termocarsismo (dall’inglese ‘thermokarst’), per l’analogia con gli altopiani carsici,

ricchi di calcare e caratterizzati dagli affossamenti delle doline (Andersland & Orlando,

2004). L’origine del thermokarst può essere ricondotta a cause globali o fenomeni

locali: a scala locale i cambiamenti climatici possono produrre un aumento della

temperatura media annua, portando a estati più calde, mentre localmente può essere

indotto da ciclici mutamenti della vegetazione, da incendi o da attività umane.

Da un punto di vista geomorfologico il thermokarst può essere suddiviso in due

tipologie: degrado laterale del permafrost (backwearing) e degrado del permafrost

dall’alto (downwearing). Il backwearing è largamente dovuto a erosioni fluviali, lacustri

o marine. Spesso accade che durante la primavera le rive dei fiumi in aree caratterizzate

da permafrost siano soggette ad erosione che espone il ghiaccio contenuto nel terreno

alle più elevate temperature e quindi a fusione e collasso, se sono prensenti ice-wedges,

possono svilupparsi anche collinette coniche. Il downwearing dipende invece

prevalentemente dal contenuto di ghiaccio del terreno. Con bassi contenuti di ghiaccio

si ha spesso un terreno pianeggiante con piccole depressioni superficiali. Con alti

contenuti di ghiaccio il processo di subsidenza prosegue e dà luogo a una serie di

8

laghetti (thermokarst lake) connessi talvolta tra loro da brevi corsi d’acqua, dal diametro

che raggiunge i 30 m. Lo sviluppo del thermokarst può essere anche molto intenso e dar

luogo alla formazione di larghi bacini pianeggianti, creando valli termocarsiche (Figura

[3]).

Figura[3] : Laghetti termocarsici a Hudson Bay Lowlands, Manitoba.

Tra gli altri fenomeni osservati in zone caratterizzate dalla presenza di permafrost si

ricordano: ice wedges, pingo e patterned ground.

Gli ice wedges, o cunei di ghiaccio, sono masse di ghiaccio orientate verticalmente, che

si manifestano vicino alla superficie del permafrost (Andersland & Orlando, 2004). Essi

sono più larghi in cima (1-3 m) e più stretti in profondità (1-10 cm). Sono solitamente

presenti al di sotto dell’active layer e non sono visibili dalla superficie, possono

manifestarsi singolarmente ma più spesso sono connessi al suolo da un sistema di ice

wedges polygons che forma sulle superficie geometrie simili a quelle dovute alle crepe

nel fango secco.

9

Pingo è un termine eschimese dell’Artico canadese che indica una collinetta conica

presente su terreni sabbiosi con permafrost, nel cui nucleo si trova del ghiaccio e che

ricordano lontanamente un piccolo vulcano. L’altezza di un pingo è generalmente

compresa tra i 5 e i 30 m (60 m al massimo) e raggiungono diametri che misurano da 30

a 600 m.

I cicli di gelo e disgelo che subisce il terreno danno luogo a movimenti che restano

visibili in superficie o in sezione. L’insieme di questi fenomeni può causare la

formazione di geometrie regolari sul terreno che vanno sotto il nome di patterned

ground ovvero terreni strutturati o figurati. Le geometrie che si incontrano più

frequentemente sono quelle di poligoni, cerchi e strisce. Spesso la vegetazione si allinea

sui bordi e questo enfatizza visivamente il fenomeno.

3. LA TUNDRA E LA SUA VEGETAZIONE

Questo capitolo serve a introdurre le principali caratteristiche e peculiarità della tundra,

bioma che caratterizza le aree dove è presente il permafrost e dove si sviluppa la

vegetazione oggetto di questo lavoro.

3.1. CARATTERISTICHE DELLA TUNDRA

La tundra è un bioma proprio delle regioni subpolari e caratterizzato dalla quasi totale

assenza di specie arboree, in quanto ostacolate dalla brevità delle estati e dalla rigidità

climatica. L’etimologia del termine è il lappone tunturia che significa ‘pianura senza

alberi’. Essa si sviluppa a sud dei ghiacci polari perenni sino alle prime foreste di

conifere della taiga (Figura [4]). La tundra è il bioma che caratterizza le aree in cui è

presente il permafrost. Il clima della tundra è molto rigido e le precipitazioni sono

scarsissime (dai 150 ai 250 mm annui). La vegetazione è composta principalmente da

muschi, licheni e arbusti, le uniche specie arboree (di altezza circa 150 – 200 cm) sono i

salici decidui e le betulle nane.

10

Figura [4]: distribuzione della tundra nel pianeta.

3.3. CONSEGUENZE DEL TERMOCARSISMO SULLA VEGETAZIONE

I cambiamenti climatici sono destinati ad avere un forte impatto sulla composizione

delle specie vegetali e la produttività degli ecosistemi alle alte latitudini. Il

riscaldamento climatico può influenzare comunità vegetali direttamente attraverso la

temperatura e indirettamente, attraverso l'alterazione della disponibilità di acqua e

nutrienti del terreno (Schuur et al, 2007). Il surriscaldamento globale può causare anche

la fusione del permafrost e lo sviluppo del termocarsismo, quando il ghiaccio presente

nel terreno fonde, la superficie topografica è soggetta a subsidenza differenziale che dà

origine alle tipiche caratteristiche termocarsiche: fosse, calanchi e laghetti. Inoltre in

inverno accade che la neve portata dal vento riempia le depressioni termocarsiche,

fungendo da isolante termico e portando ad un feedback positivo che aumenta il degrado

del permafrost.

Il risultato di questa catena di processi è un territorio in cui la micro-topografia è

fortemente alterata e con essa i processi idrologici del terreno.

Le aree caratterizzate dalla presenza di permafrost solitamente presentano limitati tassi

di precipitazioni (dai 150 ai 250 mm annui), nonostante ciò la crescita e lo sviluppo

delle piante sono resi possibili dai ridotti tassi di evapotraspirazione dovuti alle

temperature e dallo strato impermeabile di permafrost che impedisce la percolazione e

garantisce la permanenza di livelli medi di umidità del terreno accettabili anche nei

periodi dell’anno meno piovosi (Yoshikawa & Hinzman, 2003).

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Il profilo di umidità del terreno dipende dalla posizione della falda ed è crescente con la

profondità. L’umidità del terreno nella zona radicale è quindi condizionata dalla

distanza tra la zona saturale e la superficie topografica.

L’effetto principale del termocarsismo sull’idrologia del territorio è quindi quello di

modificare la micro-topografia del terreno causando un sostanziale mutamento nei

pattern di umidità. Le aree delle nuove depressioni possono accumulare umidità avendo

la falda vicina alla superficie, mentre altre zone più elevate possono diventare più

secche rispetto a prima.

La quantità d’acqua contenuta nello strato attivo è la variabile più importante per

analizzare e capire la maggior parte dei processi ecologici in atto.

Nonostante il permafrost impedisca la percolazione, il contenuto d’acqua resta sempre il

fattore chiave nella crescita delle piante nella tundra e i diversi gruppi funzionali

tendono a preferire aree caratterizzate da diverse umidità del terreno.

Nelle zone più elevate si è registrata un’alta mortalità di muschi mentre le specie

arbustive, e tutte quelle vascolari in generale, hanno incrementato lì la loro biomassa

(Osterkamp et al, 2009) in quanto le radici più ampie permettono di raggiungere l’acqua

anche se più profonda. I muschi invece si stabiliscono in zone più umide, nelle

depressioni termocarsiche e, quando presenti, sulle rive di laghetti sostituendo spesso la

presenza di piante erbacee. I licheni prediligono contenuti d’acqua intermedi e la loro

biomassa nei casi di studio non registra grandi mutamenti assoluti, ma qualitativamente

si è spostata di luogo per mantenersi sopra un terreno dal contenuto d’acqua migliore.

4. MODELLAZIONE MATEMATICA E IMPLEMENTAZIONE

NUMERICA

Nel descrivere con un semplice modello spazialmente distribuito le relazioni dinamiche

presenti nel sistema descritto nei precedenti paragrafi si sono separate le due

componenti principali: è stato sviluppato un modello di scioglimento del permafrost e

termocarsismo al quale è stato successivamente sovrapposto un modello di distribuzione

della vegetazione.

Il dominio spaziale è quadrato, con lato di 100 m diviso in una griglia regolare

composta da celle di lato 2m* 2m , il passo temporale adottato è annuale.

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4.1. DESCRIZIONE DEL MODELLO

Inizialmente sono state modellate dinamicamente le caratteristiche del permafrost e del

thermokarst. Lo strato di permafrost si degrada con tassi medi annui indicati dai rapporti

dell’IPCC e ciò causa l’ispessimento dello strato attivo e la subsidenza del terreno che

dipende dalla distribuzione di contenuto di ghiaccio nel permafrost. Nel modello sono

state utilizzate alcune relazioni che legano la deformazione del terreno soggetto al

degrado del permafrost (e quindi la subsidenza della quota topografica) al contenuto di

ghiaccio. Le due variabili sono strettamente correlate poiché è il passaggio di fase

dell’acqua dallo stato solido a quello liquido a determinare il cedimento strutturale del

terreno, accentuato da una diminuzione di volume dovuta alla differenza delle densità di

ghiaccio e acqua. Sono state utilizzate delle relazioni sperimentali trovate in letteratura

(Andersland & Orlando, 2004) per determinare il cedimento in funzione del contenuto

di ghiaccio del terreno, se esso è inferiore a una certa soglia non si ha subsidenza, ma

solo un ispessimento dello strato attivo.

In questa fase si è considerato che non variasse l’altezza della falda, poiché sono

trascurabili le sue oscillazioni dovute al degrado del permafrost rispetto alle variazioni

stagionali dovute a precipitazioni ed evapotraspirazione. Per questa ragione e poiché

l’obiettivo finale era dare una misura dei valori medi annuali dell’umidità ai fini della

vegetazione e non quello di analizzare un dettagliato bilancio idrologico si è scelto di

trattare il livello della falda come una costante del sistema.

L’approccio adottato nella prima parte è stato quello di dotare ogni cella del dominio di

alcune variabili caratteristiche: pf = spessore dello strato di permafrost [m]

al = spessore dello strato attivo (active layer) [m]

gl = somma degli spessori di permafrost e strato attivo (ground level) [m]

ic = contenuto di ghiaccio del permafrost (ice content) [m3/m3]

Altre variabili utilizzate sono invece globali e hanno il medesimo valore per tutti i

patches: tr = tasso annuo di degrado del permafrost (thawing rate) [m/yr]

wl = altezza della falda (water level) [m]

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Ad ogni passo temporale le variabili delle singole celle sono aggiornate come segue:

ts = cedimento dovuto alla fusione del permafrost (thaw settlement) [-]

le variabili contraddistinte dagli apici ij indicano che sono variabili riferite alla singola cella

Figura [5]: grafico del cedimento del terreno in funzione del contenuto idrico del terreno ghiacciato, valori ricavati

sperimentalmente per alcuni suoli nella Mackenzie Valley, Canada (Andersland & Orlando, 2004).

Il fenomeno descritto dalla prima parte del modello incide sulla micro-topografia del

territorio e questo causa dei mutamenti nella distribuzione dell’acqua nel terreno che è

ciò che interessa nella seconda parte riguardante la vegetazione.

Essendo il passo temporale del modello di un anno, ci si prefigge di descrivere

l’andamento medio annuo del contenuto d’acqua del terreno nella zona più superficiale,

(quella che interessa alle specie vegetali) e si è supposto che essa vari linearmente con

la distanza tra quota topografica e la quota della falda.

m = contenuto medio annuo d’acqua nel terreno nella zona superficiale (moisture) [m3/m3]

gl = quota del terreno (ground level) [m]

wl = quota della falda (water level) [m]

La distribuzione di umidità del terreno è stata quindi discretizzata in quattro classi

descriventi altrettanti valori medi annui: Low, Medium, High, Very High

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A questa semplice descrizione dell’idrologia del terreno é stato sovrapposto un modello

statico per descrivere la distribuzione della vegetazione. La vegetazione della tundra in

esame è stata suddivisa in tre macro-gruppi funzionali: muschi, licheni e piante

vascolari.

Con queste classi è stata costruita una matrice, dove si trovano i gruppi funzionali nelle

colonne e le classi di umidità del terreno nelle righe. Ogni elemento rappresenta

l’affinità che il gruppo funzionale ha per quel determinato tipo di terreno, quindi la

quantità di biomassa potenzialmente presente per unità di area.

low medium high very high

mosses 0 3 6 10

lichens 0 5 5 0

vascular 8 1 0 0

Tabella [2]: Gli elementi della tabella contengono le unità di biomassa per unità di superficie che ogni patch con il

contenuto d’acqua indicato in colonna genera in superficie.

Data questa matrice e la configurazione del terreno con le sue proprietà (quota

topografica e contenuto d’acqua) il modello calcola con una relazione lineare la

biomassa per ogni gruppo funzionale una volta raggiunto l’equilibrio tra vegetazione e

ambiente, riportando oltre alla biomassa totale sull’intero dominio, anche la sua

distribuzione spaziale.

Ba = biomassa del gruppo funzionale a [kg]

Ab= area occupata dalla classe di umidità b [m2]

eab= coefficiente del il gruppo funzionale a, della classe di umidità b [kg/m2]

La principale approssimazione concettuale del modello è proprio quella di non

considerare la dinamica delle piante, in quanto essa è diversa da quella del permafrost e

soprattutto in quanto i diversi gruppi funzionali hanno diversi tempi di sviluppo, ma,

una volta data una configurazione del terreno, presupporre uno stato di equilibrio tra

essa e la vegetazione.

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4.2. L’UTILIZZO DI NETLOGO PER L’IMPLEMENTAZIONE

Per l’implementazione numerica del modello è stata usata la versione 5.0 di NetLogo,

una piattaforma di modellazione open-source compatibile con Windows, Mac e Linux.

La caratteristica principale di NetLogo è il suo dominio quadrato contenente una griglia

di patches (agenti fissi) sulla quale si muovono i turtles (agenti mobili). Questa

peculiarità lo ha reso particolarmente adatto a rappresentare il lavoro: è stato modellato

il terreno come una matrice di patches e ragionando sulla colonna di suolo, assegnando

ad essi vari attributi rappresentanti le sue caratteristiche (spessore di permafrost,

spessore di active layer, umidità del terreno), mentre per la vegetazione si sono utilizzati

i turtles rappresentanti unità di biomassa vegetale.

L’interfaccia grafica permette di inserire controlli come slider, monitor e pulsanti che

sono stati utilizzati per scegliere i tassi di degrado del permafrost, l’altezza della falda,

per vedere la distribuzione del contenuto d’acqua e le caratteristiche della vegetazione.

Tutto ciò ha reso il modello più intuitivo nelle simulazioni, oltre che più agevole

nell’utilizzo e user-friendly (Figura [6]).

Figura[6]: Interfaccia grafica del modello implementato.

16

5. CASO DI STUDIO

Il caso di studio al quale si è fatto riferimento in questo lavoro è quello di un’area

dell’Alaska centro-meridionale (Figura [7]), ai piedi dell’Alaska Range, appena esterna

al Parco Nazionale di Denali e a 15 km dalla cittadina di Healy (63°52’42.1’’N,

149°15’12.9’’W).

Figura [7]: immagine satellitare Google Maps dell’area in esame

In quest’area, situata a 690 m sul livello del mare, è iniziato nel 1985 un sistematico

monitoraggio delle temperature del permafrost con l’insediamento di un osservatorio

scientifico, e da tale data si sta osservando lo sviluppo del fenomeno termocarsico. La

caratteristica unica di questo sito è che il termocarsismo iniziò a svilupparsi dopo

l’insediamento dell’osservatorio e ciò diede la rara opportunità di investigare a fondo le

relazioni tra i processi ecologici e le dinamiche del permafrost. Per studiare gli effetti

indotti sulla vegetazione dal termocarsismo, sono stati individuati tre siti caratterizzati

da diverse intensità di sviluppo del fenomeno: un sito caratterizzato da lieve

termocarsismo (Minimal Thaw Site), uno che presenta forti elementi termocarsici

(Extensive Thaw Site) e un terzo con caratteristiche intermedie (Moderate Thaw Site).

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Analizzati assieme questi tre siti rappresentano un naturale gradiente per valutare gli

effetti a lungo termine indotti sulle dinamiche ecosistemiche dalla fusione del

permafrost e dal propagarsi del termocarsismo. In tale modo, quest’area riesce

qualitativamente a catturare effetti che sarebbero impossibili da replicare con

manipolazioni sperimentali su piccola scala.

Dal 1985 sono state condotte misurazioni accurate delle temperature di aria, superficie

del terreno e permafrost. Un dato interessante è quello dei profili di temperatura del

permafrost (Figura [8]). Escluso il brusco raffreddamento dal 1985 al 1989, si è

registrato nell’ultimo quindicennio un costante aumento della temperatura, dovuto sia

all’incremento della temperatura atmosferica sia a quello della copertura nivale. Dati

simili sono stati registrati anche in altri siti dell’Alaska (Osterkamp, 2007).

Figura [8]: profili di temperatura nel terreno registrati in diversi anni a Healy (Osterkamp et al, 2009).

Figura[9]: sviluppo delle caratteristiche termocarsiche ricavate da vettorializzazione di immagini aeree (Osterkamp

et al, 2009).

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L’interpretazione di foto aree effettuate nel 1951 e dal 1981 al 2005 ha evidenziato lo

sviluppo di fenomeni termocarsici: fosse, canali naturali e laghetti termocarsici sono

aumentanti in numero ed estensione, come si può osservare in figura [9].

Per quanto concerne la vegetazione sono state effettuate nei tre diversi siti in esame

nell’estate 2003 delle campagne di misura per determinare la superficie occupata dai

diversi tipi di piante, analizzando dodici quadrati di lato 70 cm per sito e misurando il

contenuto di biomassa vegetale.

Group Species Minimal Thaw Site [%]

Moderate Thaw Site [%]

Extensive Thaw Site [%]

Vascular Plants

Tussocks 12,20 41,00 49,44

Hydrophilic sphagnum 21,32 9,04 5,20

Sphagnum fuscum 6,16 9,79 14,93 Sphagnum magellanicum 23,17 5,49 0,00

Dicranum spp. 21,69 11,62 9,29

Feathermoss 1,60 10,11 0,88

Other moss spp. 3,33 3,23 0,44

Mosses

Total Mosses 77,28

49,28

30,75

Lichens Lichen 10,60

9,47

19,13

Tabella [3]: percentuale di biomassa dei diversi gruppi funzionali e specie vegetali registrate a Healy nei siti

Minimal, Moderate e Extensive.

6. SIMULAZIONI

In questo capitolo si intende simulare il modello, partendo dalla componente dinamica

della fusione del permafrost, il cui passo temporale è annuo, per poi sovrapporvi il

modello di distribuzione della vegetazione. Grazie all’interfaccia di NetLogo sarà

possibile vedere le celle che descrivono il terreno essere soggette a subsidenza e il

formarsi di un laghetto termocarsico (thermokarst lake), e in un secondo momento

materializzarsi la copertura vegetale del suolo colorata dai turtles rappresentanti i

diversi gruppi funzionali.

L’obiettivo sarà poi quello di confrontare i valori ottenuti dal modello con le

osservazioni effettuate a Healy nel 2003. Come già descritto nel paragrafo precedente

nel caso di studio in esame la componente temporale dei mutamenti ecoidrologici è stata

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valutata confrontando l’abbondanza delle specie vegetali in tre diverse siti adiacenti,

caratterizzati da diversi livelli di sviluppo del fenomeno termocarsico: Minimal Thaw

Site, Moderate Thaw Site, Extensive Thaw Site.

Si svolge la simulazione con le dovute cautele, necessarie poiché si confrontano i

risultati del modello non con dati di vegetazione registrati in tempi diversi, ma con dati

di tre siti adiacenti, caratterizzati da diverse topografie, che differiscono per il livello

raggiunto dal termocarsismo. La simulazione si svolge su un orizzonte temporale di 20

anni, valore scelto in quanto è circa il lasso di tempo trascorso tra l’insediamento

dell’osservatorio a Healy e le prime osservazioni sulla vegetazione.

Il tasso annuo di fusione del permafrost utilizzato in questa fase è inizialmente quello

massimo indicato nel rapporto IPCC, quantificato in 5 cm/anno, poi sono state effettuate

simulazioni con tassi più ottimistici di 3.5 cm/anno e 2 cm/anno.

Tabella [4]: confronto tra dati registrati a Healy e calcolati dal modello con diversi tassi di fusione del permafrost

(tr) e a partire dalla seguente condizione iniziale: Mosses [%] = 20; Lichens [%] = 18 ; Vascular Plants [%] =62.

Come è descritto dalla tabella e coerentemente con l’analisi effettuata nei precedenti

capitoli, all’aumentare del tasso di degrado del permafrost e all’acuirsi dei fenomeni

termocarsici, si ha un aumento generale della biomassa dei muschi, un valore

sostanzialmente stazionario di quella dei licheni e un decremento della biomassa di

specie vascolari.

Osservato [%] ( Healy )

Minimal Moderate Extensive

Calcolato [%] tr=2 cm/yr

Calcolato [%] tr=3.5

cm/yr

Calcolato [%] tr=5 cm/yr

Mosses 32 50 78 30 37 43

Lichens 19 10 10 21 22 23

Vascular 49 41 12 49 41 34

20

Figura [10]: a) condizione iniziale; b) thawing rate = 2 cm /yr , orizzonte temporale =20 anni ;c) thawing rate = 3.5

cm /yr, orizzonte temporale = 20 anni;d) thawing rate = 5 cm /yr, orizzonte temporale = 20 anni;

Nella condizione iniziale [a] la topografia non presenta forti concavità, la vegetazione è dominata dalle specie vascolari (puntini rossi), e caratterizzata dalla presenza di muschi e licheni (rappresentati da puntini verdi e viola).

Negli screenshot effettuati con i tre diversi tassi ([b],[c],[d]) si nota nel dominio quadrato del modello l’accentuarsi del termocarsismo e l’impatto sempre crescente della fusione del permafrost sulla composizione di specie vegetali.

In [d] si nota la presenza di un ampio lago termocarsico e il dominio di muschi e licheni sulla composizione ecosistemica, le specie vascolari rimangono presenti solamente nelle

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zone non depresse confermando le osservazioni qualitative che accennano allo sviluppo di specie arbustive in alcune aree soggette a thermokarst.

Con un tasso leggermente inferiore (3.5 cm/anno, [c]) si nota il rimpicciolirsi delle dimensione del laghetto. In [d] non compare alcun thermokarst lake, ma si nota lo sviluppo di muschi nella depressione termocarsica e una leggera diminuzione della biomassa di specie vascolari, mentre in figura [c], si hanno caratteristiche della vegetazione intermedie tra i due tassi di scioglimento.

7. CONCLUSIONI

Lo studio affrontato in questa sede ha voluto analizzare il ruolo della fusione del

permafrost nella distribuzione della vegetazione nella tundra e le dinamiche che

intercorrono tra aspetti ecosistemici e idrologici. L’obiettivo preposto era quello di

modellare tali dinamiche ed implementarle in ambiente NetLogo.

L’analisi di un caso di studio ha permesso di seguire concettualmente in modo

dettagliato tutte le componenti e gli aspetti del sistema che possono essere riassunti

come segue:

• I cambiamenti climatici tendono ad avere una maggiore intensità alle alte

latitudini (Houghton et al, 1996) ed è in queste aree nelle quali si tende a

studiare con maggiore attenzione ed osservare con maggior evidenza gli impatti

di tali cambiamenti sulla struttura ecosistemica.

• L’aumento di temperatura atmosferica non è l’unico modo in cui i cambiamenti

climatici agiscono sugli ecosistemi: dove presente, il permafrost gioca un

importante ruolo nella distribuzione della risorsa idrica ed esso risente

fortemente dei riscaldamento atmosferico, come testimoniano i vari studi sul suo

processo di degrado.

• Lo sviluppo di termocarsismo è uno dei principali modi in cui si manifesta il

degrado del permafrost: esso avviene quando si fonde permafrost ricco di

ghiaccio causando un’alterazione della microtopografia del terreno e alterandone

la struttura idrologica.

• Questa redistribuzione dell’acqua nel terreno e la disomogeneità maggiore della

topografia incidono sulla distribuzione di biomassa vegetale, che è quindi

soggetta ad una serie di processi climatici, idrologici ed ecologici.

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• I principali aspetti di questo mutamento della struttura vegetale, documentati in

letteratura ed in parte riprodotti dalle simulazioni del modello sono i seguenti:

incremento della biomassa di specie di muschi, nonostante la loro mortalità nelle

zona topograficamente più elevate; decremento della biomassa totale delle

piante vascolari, specialmente quella delle piante erbacee; incremento delle

specie arbustive nelle aree a quote maggiori in seguito a termocarsismo.

• Dalle simulazioni effettuate si è osservato che solamente un tasso di degrado del

permafrost ottimistico in rapporto ai cambiamenti climatici (2 cm/anno) avrebbe

conseguenze ridotte sulla struttura dell’ecosistema. Negli altri casi simulati (3.5

e 5 cm/anno) si nota lo svilupparsi di forti caratteristiche termocarsiche e un

notevole mutamento della struttura dell’ecosistema che passa da essere dominato

dalle specie vascolari, all’esserlo dai muschi.

In fase di analisi e modellazione del sistema le maggiori difficoltà incontrate sono

relative alle relazioni che legano la distribuzione della vegetazione alle caratteristiche

del termocarsismo. L’approccio adottato, che lega la densità di biomassa al contenuto

medio d’acqua del terreno, è parso essere quello più naturale ed intuitivo poiché

coerente con le osservazioni registrate in letteratura (Osterkamp et al, 2009).

Si auspica che vengano sviluppati altri lavori sull’argomento, magari corredati da una

raccolta di dati sulla vegetazione e da un’analisi quantitativa ed approfondita delle

relazioni tra termocarsismo ed ecosistema.

23

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