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Progetto Comenius 2009/2011 MITI NAZIONALI ITALIANI DAL SECONDO DOPOGUERRA AD OGGI LICEO SCIENTIFICO ũA.EinsteinŪ Cervignano del Friuli Classe IV A

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Progetto Comenius

2009/2011

MITI NAZIONALI ITALIANI

DAL SECONDO

DOPOGUERRA AD OGGI

LICEO SCIENTIFICO A.Einstein Cervignano del Friuli

Classe IV A

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GABRIELE D’ANNUNZIO

Mito nazionale: Poeta Vate

Gabriele D'Annunzio fu il personaggio di spicco della storia novecentesca, l'uomo soldato per eccellenza, il Vate della nazione, il letterato più inoltrato nel movimento fascista. D'Annunzio scrisse i vari e popolari discorsi di piazza con i quali Mussolini conquistò il popolo. In definitiva la popolarità mediatica del Fascismo la si deve in grandissima parte al Vate, grande uomo letterario, soldato e politico. Gabriele D’Annunzio è uno dei più significativi poeti italiani del novecento, a lui va il merito di aver portato in Italia una ventata di rinnovamento, proponendo un nuovo tipo poeta, che impersonava l’eroe decadente esteta da lui stesso narrato.

BIOGRAFIA Gabriele d'Annunzio nacque a Pescara il 12 marzo 1863. Visse un'infanzia felice, distinguendosi per intelligenza e vivacità. Della madre erediterà la fine sensibilità, del padre il temperamento sanguigno, la passione per le donne e la disinvoltura nel contrarre debiti. Dopo aver concluso gli studi liceali, giunse a Roma nel 1881. I dieci anni trascorsi nella capitale (1881-1891) furono decisivi per la formazione dello stile comunicativo di D'Annunzio. Nel 1883 sposò, con un matrimonio "di riparazione” Maria Hardouin, da cui ebbe tre figli. Nel 1897 volle provare l'esperienza politica, vivendo anch'essa, come tutto il resto, in un modo bizzarro e clamoroso: eletto deputato della destra, passò quasi subito nelle file della sinistra, giustificandosi con la celebre affermazione «vado verso la vita». Sempre nel 1897 iniziò una relazione con la celebre attrice Eleonora Duse. Per vivere accanto a lei, si trasferì a Firenze. È in questo periodo che si situa gran parte della drammaturgia dannunziana che è piuttosto innovativa rispetto ai canoni del dramma borghese o del teatro dominanti in Italia. L'idillio con la Duse si incrinò nel 1904.

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Nel 1910 D'Annunzio fuggì in Francia: già da tempo aveva accumulato una serie di debiti. Pur lontano dall'Italia collaborò al dibattito politico prebellico. Nel 1915 ritornò in Italia e, con l'entrata in Guerra dell'Italia, il 24 maggio 1915, si arruolò volontario. Nel gennaio del 1916, a causa di una ferita non curata, perse un occhio. Tuttavia, ben presto tornò in guerra continuando a partecipare ad azioni belliche aeree e di terra. Al volgere della guerra, D'Annunzio si fa portatore di un vasto malcontento, insistendo sul tema della "vittoria mutilata". La stessa onda di malcontento trovò ben presto un sostenitore in Benito Mussolini, che di qui al 1922 avrebbe portato all'ascesa del fascismo in Italia. Nel 1919 organizzò un clamoroso colpo di mano paramilitare, guidando una spedizione di "legionari", partiti da Ronchi di Monfalcone (ribattezzata, nel 1925, Ronchi dei Legionari in ricordo della storica impresa), all'occupazione della città di Fiume, che le potenze alleate vincitrici non avevano assegnato all'Italia. Con questo gesto D'Annunzio raggiunse l'apice del processo di edificazione del proprio mito personale e politico. Disilluso dall'esperienza da attivista, si ritirò in un'esistenza solitaria nella sua villa di Gardone Riviera. Qui lavorò e visse fino alla morte, il 1 marzo 1938. L'ascendente regime fascista lo celebrò come uno dei massimi e più fecondi letterati d'Italia e l'influenza sulla cultura italiana tra le due guerre fu notevole. Il regime fascista fece celebrare in suo onore i funerali di stato. OPERE PRINCIPALI Primo vere 1879; Il piacere 1889 (è con quest’opera che venne a crearsi un vero e proprio “pubblico dannunziano”); L’innocente 1892; Il trionfo della morte 1894; Liriche del poema paradisiaco 1893; Il fuoco 1900, Notturno 1916. CONTESTO STORICO Questo poeta è vissuto in un momento storico molto intricato: la prima guerra mondiale aveva causato il rafforzamento dell'industria, soprattutto nel Nord Italia, portando alla nascita di problemi sociali, legati sia la classe operaia, sia a quella borghese. D'Annunzio visse il tentativo delle forze conservatrici italiane di risolvere in senso autoritario le tensioni politiche e sociali della fine del '800. Alla proposta di un pacchetto di provvedimenti da parte del generale piemontese Luigi Pelloux, che limitavano gravemente il diritto di sciopero e le stesse libertà di stampa e di associazione, D'Annunzio, già deputato, decise di schierarsi con la Sinistra appoggiando le proteste dei socialisti, dei repubblicani e dei radicali. Ma ben presto, la scontentezza dell'Italia borghese, il cruccio dell'avventura africana, il fastidio della mediocrità democratica e della burocrazia parlamentare, fecero crescere in lui un'accesa e stravagante ideologia nazionalista che lo allontanò dalle istanze socialiste e democratiche. D'Annunzio non coltivò soltanto l'ideologia nazionalista ma cercò, nel contempo, di rispondere alla crisi del Decadentismo e dei valori postrisorgimentali, introducendo nuovi atteggiamenti e nuovi miti (la bellezza, il superuomo, l'esteta) rivolti a un pubblico particolare che poteva assorbirne meglio i concetti, come quello dell'alta borghesia. D'Annunzio si distinse per l'accesa propaganda interventista allo scoppio della prima guerra mondiale nel 1914: egli auspicò l'intervento italiano nel conflitto mondiale. D'Annunzio, schierato con i nazionalisti, pensò che la partecipazione alla guerra avrebbe potuto affermare la vocazione di grande potenza imperialistica dell'Italia. Egli quindi tenne numerosi e accesi discorsi di piazza a favore dell'intervento. Nel 1915, l'Italia entrò finalmente nel conflitto mondiale a fianco di Inghilterra, Francia e Russia. Durante la guerra D'Annunzio, distintosi valorosamente in molteplici audaci imprese militari, fu da tutti riconosciuto come il vate nazionale.

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Tuttavia, terminato il conflitto, egli subì più di chiunque altro l'umiliazione della vittoria mutilata fino a che, con un piccolo gruppo di fedeli, occupò militarmente la città di Fiume (settembre 1919), promessa agli Italiani nel corso del Patto di Londra. L'occupazione durò per ben quindici mesi ma il poeta pescarese fu costretto in seguito a ritornare in Italia. Nei confronti del fascismo salito al potere, e del suo capo, Benito Mussolini D'Annunzio mantenne sempre un atteggiamento favorevole ma sostanzialmente distaccato. Egli tuttavia celebrò la vittoria della campagna coloniale di Etiopia tratteggiandone l'aspetto imperiale e di rivincita della pesante sconfitta di Adua del 1896. Lo sviluppo della tipografia, aveva reso molto diffusi sia i giornali di gossip, sia i libri basso prezzo. Grazie a questi D'Annunzio diventa strafamoso, sia per la sua vita privata che per le sue opere. I borghesi vedevano in lui l'incarnazione dei personaggi narrati nei suoi libri. D'Annunzio, nonostante si definisse sprezzante della massa e “scrittore per pochi e per scelti”, curava molto la sua immagine pubblica, scegliendo lui stesso le immagini e le copertine dei giornali, e facendo gesta molto eclatanti, capaci di attrarre l’attenzione di tutto il paese. A noi resta la biografia di un personaggio molto contraddittorio, capace di definirsi superiore al resto del popolo, ma, nel contempo, di celebrare con una poesia la festa del primo maggio (festa dei lavoratori). Il Decadentismo italiano ha le sue prime e non ancora ben definite manifestazioni nell’opera poetica di Giovanni Pascoli e nella varia opera artistica di Gabriele D’Annunzio, caratterizzata, nelle sue linee generali, da forme di esasperato individualismo (mito del "superuomo"). Per "età del Decadentismo" si intende il periodo che va dagli ultimi anni dell’Ottocento allo scoppio della prima guerra mondiale. Questa fase storica è contrassegnata da fondamentali vicende politiche e sociali, nella quale da una parte giungono a compimento i processi ideali e culturali dell’Ottocento, dall’altra emergono le tendenze che si svilupperanno poi nel corso del Novecento. L’età del Decadentismo è anche un periodo di grandi tensioni internazionali, che tuttavia non esplodono in conflitti diretti tra le maggiori potenze europee, come era avvenuto in passato, bensì covano sotto la cenere per sfociare poi nella tragedia della prima guerra mondiale. Da un punto di vista economico i decenni di fine secolo fanno da sfondo ad una crisi di vaste dimensioni. E’ la cosiddetta "grande depressione", che succede al periodo di espansione e di crescita degli anni 1850-1873, e che protrae i suoi effetti sino al 1896, quando l’economia europea entra in un nuovo ciclo di espansione. Questa difficile congiuntura è caratterizzata dal crollo dei prezzi industriali e agricoli, da un generale ristagno produttivo e da un forte aumento della disoccupazione. Di fronte a questa situazione i governi rispondono con una serie di misure che, se da una parte rendono più tollerabili gli effetti della crisi, dall’altra concorrono ad innescare tensioni e contrasti che appesantiscono ulteriormente il clima politico e sociale europeo e mondiale. La prima misura economica che attuano tutti i paesi è quella del protezionismo, cioè della chiusura delle proprie frontiere ai prodotti esteri. Nel tentativo di trovare sbocchi alle proprie economie, oltre che per motivi di opportunità interna e di "scelta culturale", i principali stati europei, Francia, Germania, Inghilterra, Italia, Belgio, Olanda, Spagna, Portogallo, intraprendono una politica imperialistica. L’opzione imperialista è sostenuta anche dalla cultura del tempo, che diffonde negli strati più ampi della società l’amore e il gusto per la guerra, per lo spirito di conquista e di potenza. Si introducono così nell’immaginario collettivo miti superomistici, razzistici, irrazionali e impregnati di violenza, che costituiscono il "retroterra culturale" del primo conflitto mondiale.

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LAVORO ESEGUITO DA: DEAN CRISTINA, ZANABONI FEDERICA E FIORETTI LUCA

ALESSANDRO PERTINI: PARTIGIANO E PRESIDENTE DELLA

REPUBBLICA ITALIANA Alessandro Pertini nacque a Stella in provincia di Savona il 25 settembre 1896 da famiglia benestante (il padre Alberto era proprietario terriero). Quattro i suoi fratelli: Luigi, il primogenito, divenne pittore; Marion sposò un diplomatico italiano; Giuseppe fu ufficiale di carriera, mentre Eugenio sarebbe tragicamente scomparso giovanissimo nel carcere di concentramento di Flossenbürg il 25 aprile 1945.

Legatissimo alla madre, Maria Muzio, Pertini compì i suoi studi presso il collegio dei salesiani "Don Bosco" di Varazze, quindi al Liceo "Chiabrera" di Savona. Qui ebbe come professore di filosofia Adelchi Baratono, socialista riformista e collaboratore di Critica Sociale di Filippo Turati, che certo contribuì ad avvicinarlo al socialismo e agli ambienti del movimento operaio ligure. Iscrittosi all'Università di Genova, Pertini si laureò in giurisprudenza.

LA GRANDE GUERRA e L'INIZIO DELLA MILITANZA POLITICA Nel 1917, il giovane Pertini venne richiamato come sottotenente di complemento e inviato sul fronte dell'Isonzo e sulla Bainsizza. Sebbene segnalato alle autorità militari come simpatizzante socialista e neutralista, il giovane tenente Pertini si distinse per una serie di atti di eroismo e venne proposto per la medaglia d'argento al valore militare per aver guidato, nell'agosto 1917 un assalto al monte Jelenik. Nel 1918 Sandro Pertini iniziò la propria militanza nelle fila del PSI. In questi anni si trasferì a Firenze, ospite del fratello Luigi, si iscrisse all'Istituto "Cesare Alfieri" conseguendo la Laurea in Scienze Politiche nel 1924 con una tesi dal titolo "La Cooperazione". A Firenze, Pertini entrò in contatto con gli ambienti dell'interventismo democratico e socialista vicini a Gaetano Salvemini, ai fratelli Rosselli e a Ernesto Rossi. In questo periodo aderì al movimento di opposizione al fascismo "Italia Libera".

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Trovatosi subito in conflitto irriducibile con il fascismo, che proprio nell'ottobre del 1922 era salito al potere con la marcia su Roma, il giovane avvocato Pertini divenne ben presto il bersaglio di ripetute violenze squadriste. Nel 1924, dopo il barbaro assassinio di Giacomo Matteotti da parte dei fascisti, entro' nel PSU. L'ANTIFASCISMO All'indomani del delitto Matteotti, Pertini iniziò un'intensa attività di lotta contro il fascismo. Il suo studio di avvocato a Savona venne più volte distrutto, egli stesso fu bastonato in più occasioni dagli squadristi. Il 22 maggio 1925, Pertini venne arrestato a Stella per aver distribuito il foglio clandestino Sotto il barbaro dominio fascista. Negli articoli pubblicati in quell'opuscolo e rivendicati da Pertini come propri venivano posti in rilevo le responsabilità della monarchia verso il perdurare del regime fascista e delle sue illegalità e violenze. Inoltre, si esprimeva sfiducia nell'operato del Senato del Regno, composto in maggioranza da filofascisti, chiamato a giudicare in Alta Corte di Giustizia le eventuale complicità del generale Emilio De Bono nel delitto Matteotti. Accusato di "istigazione all'odio tra le classi sociali" (art. 120 del Codice Zanardelli), oltre che dei reati di stampa clandestina, oltraggio al Senato e lesa prerogativa della irresponsabilità del re per gli atti di governo, Pertini, sia nell'interrogatorio dopo l'arresto sia di fronte al procuratore del re, sia durante l'udienza pubblica davanti al Tribunale di Savona, rivendicò il proprio operato assumendosi ogni responsabilità e si disse disposto, qualunque fosse la condanna inflittagli, a proseguire nella lotta antifascista e per il socialismo e la libertà. Il 3 giugno di quello stesso anno fu condannato a otto mesi di detenzione e al pagamento di una ammenda per i reati di stampa clandestina, oltraggio al Senato e lesa prerogativa regia ma fu invece assolto per l'accusa di istigazione all'odio di classe. Liberato dopo il vittorioso appello del suo difensore, G.B. Pera, Pertini proseguì nella sua lotta. Il 9 giugno 1925, alla vigilia dell'anniversario del delitto Matteotti, con l'aiuto di alcuni operai, Pertini riuscì ad appendere sotto la lapide che alla fortezza di Savona ricordava la progionia di Giuseppe Mazzini una corona con un nastro rosso e la scritta "Gloria a Giacomo Matteotti". Le violenze e le bastonature fasciste proseguirono con maggiore violenza. La più grave, nell'estate del 1926, lo costrinse al ricovero all'ospedale. Nel novembre 1926, dopo il fallito attentato a Mussolini di Zamboni, Pertini, come molti altri antifascisti in tutta Italia, fu oggetto di nuove violenze da parte dei fascisti e fu quindi costretto ad abbandonare Savona e a rifiugiarsi a Milano. Il 4 dicembre 1926, con la proclamazione delle leggi eccezionali antifasciste, Pertini venne assegnato al confino per la durata di cinque anni (il massimo previsto dalla legge). LA FUGA DI TURATI E L’ESILIO IN FRANCIA Ormai in clandestinità, rifugiatosi presso l'abitazione milanese di Carlo Rosselli, Pertini ebbe modo di conoscere di persona il "maestro" del socialismo riformista Filippo Turati. Pertini fu tra gli organizzatori del clamoroso espatrio del leader del socialismo riformista italiano, deciso per sottrarre il leader socialista alle mani dei fascisti. All'ultimo momento, anche in considerazione dell'avvenuta assegnazione al confino, Pertini venne prescelto come accompagnatore di Turati verso l'esilio francese. Per prima cosa, fu deciso di dirigersi verso Savona. Dall'8 all'11 dicembre, Pertini e Turati trovarono rifugio in casa di Italo Oxilia a Quigliano. Nella notte tra l'11 e il 12 dicembre, accompagnati da Ferruccio Parri, Carlo Rosselli e Adriano Olivetti, nonché da Boyancé, Oxilia, Da Bove e dal meccanico Amelio, Turati e Pertini si imbarcarono da uno dei moli di Savona su un motoscafo guidato da Oxilia e Da

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Bove. Dopo una tempestosa navigazione, raggiunsero, la mattina del 12, la città di Calvi, in Corsica. Mentre gli altri ripartivano per l'Italia nel pomeriggio del giorno successivo, Pertini e Turati rimasero, come stabilito, in Francia. In una pagina piena di commozione, Pertini rievocherà l'amarezza del distacco di Filippo Turati, consapevole che mai più sarebbe tornato in Italia, dal suo paese. Il mattino del 14 dicembre, Parri e Rosselli, scoperti dalla polizia mentre attraccavano con il motoscafo a Marina di Carrara, vennero subito collegati al clamoroso espatrio di Turati. La vicenda si concluse con il famoso Processo di Savona, che si concluse il 14 settembre 1927 con la condanna a 10 mesi di reclusione per Ferruccio Parri, Carlo Rosselli, Da Bove e Boyancé, nonché di Turati e Pertini, in contumacia. Anche Oxilia, in quanto capo della spedizione, subì una dura condanna. Il processo di Savona fu anche una delle ultime manifestazioni collettive contro il fascismo. In esilio, Pertini strinse contatti con gli altri antifascisti italiani e partecipò al Congresso della Lega dei diritti dell'uomo tenutosi a Marsiglia. Trasferitosi a Parigi e poi a Nizza, fece diversi lavori per sopravvivere: dal lavatore di taxi al manovale, al muratore, dal peintre en bâtiment alla comparsa cinematografica. Nel 1928, con il denaro ricavato dalla vendita di una masseria ereditata in Liguria, Pertini, sotto il nome falso di Jean Gauvin, impiantò una trasmittente radio a Eze, vicino a Nizza, per svolgere propaganda contro il fascismo. Scoperto, fu processato e condannato dal Tribunale di Nizza ad un mese di reclusione (sospeso per la condizionale) e al pagamento di una ammenda. Fin dal primo momento del suo soggiorno francese, Pertini si dimostrò insofferente alla vita dell'esule. Il suo carattere gli imponeva di rientrare quanto prima in Italia e a partire dai primi mesi del 1929 cominciò a predisporre un piano per rientrare in patria. IL RIENTRO IN ITALIA E IL CARCERE Il 26 marzo 1929, utilizzando un passaporto falso intestato al cittadino svizzero Luigi Roncaglia, Pertini riuscì finalmente a rientrare in Italia. Qui riprese contatti con la rete clandestina di antifascisti. Riconosciuto, venne arrestato a Pisa il 14 aprile 1929. Deferito al Tribunale Speciale, Pertini venne condannato il 30 novembre del 1929 a 10 anni e 9 mesi di reclusione e a 3 anni di vigilanza speciale. Per tutto il processo tenne quello che il Prefetto definì "un contegno altezzoso e sprezzante", rifiutandosi di riconoscere l'autorità del Tribunale stesso. All'annuncio della condanna rispose con il grido "Viva il Socialismo" e "Abbasso il fascismo". Questo atteggiamento costò a Pertini la reclusione a Regina Coeli e all'ergastolo di Santo Stefano. Nonostante le vessazioni, in carcere mantenne sempre un atteggiamento sereno e nello stesso tempo fermo. Ben presto il suo nome fu associato a quello degli altri leader antifascisti. Dal carcere egli riuscì a tenere contatti, anche se sporadici e avventurosi, con gli altri antifascisti. Ben presto, però, le sue condizioni di salute peggiorarono. Ne scaturì una campagna di opinione che ebbe un qualche minimo risultato. Nel dicembre 1930, infatti, a Pertini, ammalatosi, venne tolto il regime di carcere duro e venne disposto il trasferimento nella casa per cronici di Turi. A Turi, Pertini conobbe e divenne amico di un altro leader dell'antifascismo in carcere, Antonio Gramsci. Nell'aprile 1932, Pertini venne trasferito presso il sanatorio giudiziario di Pianosa. Nonostante questo, le sue condizioni di salute non migliorarono, al punto che la madre fu indotta a presentare alle autorità domanda di grazia. Per la prima volta i rapporti tra madre e figlio si incrinarono. Pertini respinse la domanda di grazia con parole durissime per la madre e per il presidente del Tribunale Speciale. Nel settembre 1935 Pertini uscì dal carcere e fu condotto al confino di Ponza. Nel 1939 fu disposto il suo trasferimento al confino prima a Tremiti e poi a Ventotene. Riacquistò la libertà, dopo oltre 14 anni, soltanto nell'agosto del 1943, un mese dopo la caduta del fascismo.

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LA RESISTENZA Dopo il 25 luglio, tornato in libertà, Pertini divenne uno dei principali protagonisti del movimento di liberazione nazionale. Tra coloro che, a Roma, parteciparono alla costituzione del partito socialista, egli ne divenne il responsabile dell'organizzazione militare. Dopo l'8 settembre e la fuga dei Savoia, Pertini combatté assieme ai militari e ai civili in difesa della capitale a Porta San Paolo. Entrato in clandestinità dopo l'occupazione nazista di parte della penisola, operò fino al 18 ottobre 1943, allorché, assieme a Giuseppe Saragat, venne arrestato

dai nazi-fascisti. Tradotto a Regina Coeli venne duramente interrogato e quindi condannato a morte, senza tuttavia aver tradito i compagni. Il 24 gennaio 1944, grazie ad un'azione di partigiani, venne liberato. Riacquistata libertà di movimento, Pertini entrò dunque nella giunta militare centrale del Comitato di Liberazione Nazionale come rappresentante del PSIUP. Trasferitosi nel Nord, riorganizzò il partito socialista dell'Alta Italia, divenendone dopo poco segretario e operò alle attività del CLNAI.

Nel luglio 1944, dopo la liberazione della capitale da parte degli Alleati, rientrò a Roma attraversando le linee. Fu quindi tra coloro che presero parte alla battaglia per la Liberazione di Firenze. Nell'ottobre 1944 tornò nuovamente al Nord. Giunto in Francia in aereo, attraversò il Monte Bianco e rientrò in Italia riassumendo le funzioni di comando nel PSIUP e nel CLNAI. Nell'aprile del 1945 fu con Leo Valiani e Luigi Longo tra gli organizzatori dell'insurrezione di Milano. In questi mesi conobbe una staffetta partigiana, Carla Voltolina, che sarebbe divenuta sua moglie. IL SECONDO DOPOGUERRA Segretario del PSI nel 1945, eletto alla Costituente e quindi deputato, direttore dell'Avanti! nel 1945-1946 e nel 1950-1951 Pertini fu uno degli esponenti di spicco del partito socialista dell'immediato secondo dopoguerra. Pur favorevole all'alleanza politica con il PCI, egli difese sempre l'autonomia della tradizione socialista, intesa come esaltazione della democrazia e della libertà, della tutela degli interessi delle classi più disagiate e in particolare della classe operaia. In questa ottica, il ruolo del PSI sarebbe stato quello di "coscienza democratica in mezzo alle masse lavoratrici". Fautore della pace e della distensione tra i blocchi, nel clima della guerra fredda condivise l'orientamento prevalente nella sinistra italiana secondo il quale l'URSS, vincitrice contro il nazismo e il fascismo, era la paladina degli equilibri seguiti alla fine del secondo conflitto mondiale. PRESIDENTE DELLA CAMERA, PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA E SENATORE A VITA Dopo la creazione dei governi di centro-sinistra, che accolse favorevolmente come il segnale di una significativa (anche se non maggioritaria) rappresentanza della classe operaia, Pertini si aprì all'atlantismo, inteso in funzione difensiva e stabilizzatrice, e soprattutto all'europeismo, anzi ad una Europa della gente comune e non soltanto degli apparati diplomatici e dei

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capitali. Nel 1968 venne eletto presidente della Camera dei Deputati. Pertini ricoprì questa carica con grande equilibrio e rispetto della istituzione, inaugurando già allora la consuetudine di incontrarsi periodicamente con i giovani di tutta Italia.

L'8 luglio 1978, dopo un estenuante scrutinio, Sandro Pertini venne eletto settimo presidente della Repubblica. Erano questi gli anni di piombo e del terrorismo, della crisi economica e della crisi politico-parlamentare seguita al fallimento dell'esperienza della solidarietà nazionale successiva al rapimento e delitto Moro. Al di là del ruolo politico-istituzionale svolto da Pertini - che nel corso del suo mandato conferì l'incarico al primo presidente del Consiglio

laico, Giovanni Spadolini, e poi al primo socialista, Bettino Craxi - da questi anni emerse prepotentemente la sua personalità e umanità. Molto anziano, Sandro Pertini riuscì a riaccendere la fiducia degli italiani nelle istituzioni. Molto anziano, egli viaggiò in Italia e all'estero rappresentando lo Stato in molte circostanze, liete e tragiche. Con la sua autorevole e intransigente denuncia e con la testimonianza della sua presenza contribuì ad isolare il terrorismo presso l'opinione pubblica e presso i lavoratori facendolo percepire come un corpo estraneo, anzi avverso. Analogo atteggiamento assunse nei confronti della criminalità organizzata denunciando "la nefasta attività contro l'umanità" della Mafia. Negli anni della sua presidenza, Pertini si orientò ancor più nella lotta per la difesa dei diritti civili e umani a livello internazionale, ad esempio contro

l' Apartheid in Sudafrica, contro le dittature sudamericane o contro l'intervento sovietico in Afghanistan. Grande comunicatore, Pertini mise in evidenza anche in occasioni inevitabilmente ufficiali una straordinaria schiettezza e, al tempo stesso, un respiro consapevole e misurato che conferivano alle sue parole il carattere del messaggio universale. Nessun capo di Stato o uomo politico italiano ha conosciuto all'estero una popolarità paragonabile, e ciò nelle sedi più diverse. Ricevette lauree honoris causa nelle più prestigiose università, divenne accademico di Francia, fu costantemente ricercato dagli organi di informazione stranieri. Con lui l'immagine dell'Italia nel mondo migliorò.

Finito il mandato presidenziale ricoprì la carica di senatore a vita. L'unico incarico ufficiale che decise di accogliere, dietro l'invito di alcuni accademici e studiosi del movimento operaio e socialista, fu la presidenza della Fondazione di Studi Storici "Filippo Turati" di Firenze, costituitasi a Firenze nel 1985 con l'obiettivo di conservare il patrimonio documentario del socialismo italiano. Morì a Roma il 24 febbraio 1990.

Pertini nella cultura popolare italiana

La sua costante presenza nei momenti cruciali della vita pubblica italiana, nelle situazioni piacevoli come nei momenti difficili, è stata probabilmente uno dei motivi della sua grande popolarità.

Egli è ricordato per l'amore verso l'Italia, per il suo carisma, per il suo modo di fare schietto e ironico, per l'onestà, per l'amore verso i bambini e per aver inaugurato un nuovo modo di rapportarsi con i cittadini, con uno stile diretto e amichevole. La schiettezza e la pragmaticità di Pertini si riflesse inoltre anche nella sua azione politica ed istituzionale, facendolo apparire come un presidente che puntava alla concretezza, rifiutando compromessi e imponendosi con il suo rigore morale.

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Il suo comportamento strettamente legato alla vita di tutti i giorni, che prima di essere quella di presidente, era quello di cittadino italiano, si nota dalle sue scelte e dal suo interesse e contatto con i cittadini. Egli infatti fu tra i presidenti che scelsero di non abitare nel Palazzo del Quirinale, mantenendo la propria residenza nel suo appartamento romano, secondo lo stesso Pertini per espresso desiderio della moglie. Gli abitanti del quartiere lo incontravano spesso, quando la mattina la macchina andava a prenderlo per andare "in ufficio" al Quirinale senza grandi apparati di sicurezza; Era inoltre solito trascorrere le sue vacanze estive a Selva di Val Gardena, alloggiando nella locale caserma dei carabinieri, per non disturbare la cittadinanza con ulteriori misure di sicurezza durante la sua permanenza. Per chi lo riconosceva e lo salutava, soprattutto i bambini, il Presidente aveva sempre un sorriso e un gesto di saluto.

Spesso si ricorda la sua presenza ai tentativi di salvataggio di Alfredino Rampi, un bambino di sei anni di Vermicino caduto in un pozzo nel 1981, e la sua esultanza allo stadio di Madrid per la vittoria ai Campionati del mondo di Calcio del 1982 (di fronte ad un impassibile re Juan Carlos).

La sua popolarità fece sì che diventasse spesso anche oggetto di attenzione da parte del mondo dello spettacolo: nelgli anni ottanta, vi sono stati almeno due noti imitatori di Sandro Pertini: Alfredo Papa e Massimo Lopez. Toto Cutugno lo citò infine nella sua canzone L'Italiano , con le parole «buongiorno Italia, gli spaghetti al dente e un

partigiano come presidente», al festival di Sanremo 1983.

Pertini è stato inoltre protagonista di una striscia a fumetti (Pertini, o Pertini Partigiano) disegnata da Andrea Pazienza e pubblicata su varie testate storiche della satira italiana, tra cui Il male, Cannibale, Frigidaire e successivamente Cuore. Le strisce e il materiale prodotto sono in seguito state pubblicate in volume da Primo Carnera Editore nel 1983 e da Baldini & Castoldi nel 1998. La striscia immergeva il Presidente negli anni della Resistenza italiana al nazismo, dipingendolo come coraggioso e pragmatico guerrigliero, affiancato e intralciato dall'inetto aiutante Paz, l'autore stesso.

È cosi che Pertini risulta un personaggio riconosciuto dal popolo italiano sia per la sua presenza, sia per le sue gesta, che per l’umanità e normalità che lo caratterizzavano. Dai giornali ai fumetti, dallo spettacolo allo sport, egli rimane un personaggio integrante della storia e politica italiana del quale, senza le divisioni dell’ideologia politica, bisogna attribuire importanza e riconoscimento.

Il contesto storico LE ORIGINI DEL MOVIMENTO SOCIALISTA IN ITALIA In Italia la crescita del movimento operaio si delinea sulla fine del XIX secolo. Le prime organizzazioni di lavoratori sono le società di mutuo soccorso e le cooperative di tradizione mazziniana e a fine solidaristico. La presenza in Italia di Bakunin dal 1864 al 1867 dà impulso all'anarchismo. L'episodio anarchico di propaganda più noto è quello del 1877 (un gruppo di

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anarchici tentò di far sollevare i contadini del Matese). La strategia insurrezionale fallisce mentre riscuote molto successo il partito Socialdemocratico nelle elezioni del 1877. I primi a sostenere la necessità di incanalare le energie rivoluzionarie in un'organizzazione partitica sono Bignami e Gnocchi-Viani con la rivista " La Plebe" al quale poi si affiancano le "Lettere aperte agli amici di Romagna", dove si denuncia il carattere settario del movimento anarchico e l'astensionismo elettorale. Nel 1881 Andrea Costa organizza il Partito Socialista Rivoluzionario di Romagna, che sosteneva, fra l'altro, le lotte dei lavoratori, l'agitazione per riforme economiche e politiche, la partecipazione alle elezioni amministrative e politiche. Il partito di Costa incontrò grandi difficoltà anche se riesce ad essere eletto alla Camera come primo deputato socialista. Alle elezioni del 1882 si presenta il Partito Operaio Italiano ma senza successo. Frattanto il movimento operaio si organizza in forme più complesse: Federazioni di mestiere, Camere di lavoro, etc. Le Camere di Lavoro si trasformano in organizzazioni autonome e divengono il punto di aggregazione a livello cittadino di tutti i lavoratori.

Il 22 agosto 1943 nasce a Roma il Partito Socialista di Unità Proletaria (PSIUP) che raggruppa una parte consistente di personalità influenti della sinistra italiana antifascista, come i futuri presidenti della Repubblica Giuseppe Saragat e Sandro Pertini, il giurista Giuliano Vassalli, lo scrittore Ignazio Silone e l'avvocato Lelio Basso. A diventare segretario del partito è il romagnolo Pietro Nenni. Il PSIUP durante la Resistenza partecipa attivamente al Comitato di Liberazione Nazionale e si avvicina in particolare al Partito Comunista Italiano, con una politica di unità d'azione volta a modificare le istituzioni in senso socialista. Questa politica, osteggiata dalla destra del partito guidata da Giuseppe Saragat, è in buona parte legata alla preoccupazione che divisioni interne alla classe operaia possano favorire l'ascesa di movimenti di destra autoritaria, come era avvenuto nel primo dopoguerra con il fascismo. In occasione del referendum istituzionale del 2 giugno del 1946, il PSIUP è uno dei partiti più impegnati sul fronte repubblicano, al punto da venire identificato come "il partito della Repubblica".

IL PRIMO DOPOGUERRA All'indomani della Grande Guerra l'Italia si trovò in una situazione economica, politica e sociale precaria e difficile. Il drammatico conto presentato dalla guerra in termini di perdite umane era pesantissimo, con oltre 650.000 caduti e circa un milione e mezzo tra mutilati, feriti e dispersi, senza contare le distruzioni occorse nel Nord-Est del Paese, divenuto fronte bellico, con il dislocamento e, sovente, la perdita della casa di ogni bene da parte di centinaia di migliaia di profughi che erano fuggiti dalle loro case trovatesi nel mezzo di assalti e bombardamenti. Politicamente ci fu una crescita dei movimenti rivoluzionari di sinistra, in particolar modo del Partito Socialista, la cui componente minoritaria rivoluzionaria era galvanizzata dal successo della rivoluzione sovietica in Russia. La fine della guerra e delle restrizioni politiche e della censura permise di riprendere le attività propagandistiche e sindacali. A destra, invece, le formazioni nazionaliste ed interventiste si scatenavano nella contestazione del governo e dei trattati di pace e attorno ai circoli dannunziani nasceva la locuzione "Vittoria mutilata", che sarebbe divenuta la parola d'ordine degli insoddisfatti. Ci furono l'acuirsi del radicalismo e della violenza, l'urto fra le compagini socialiste e internazionaliste (compresse durante gli anni del conflitto ed ora libere di agire nuovamente) e quelle nazionaliste e militariste. NASCITA DEL FASCISMO Immediatamente prima della fine del conflitto mondiale, Benito Mussolini, uno degli esponenti più importanti dell' Interventismo, agì cercando varie sponde per dar vita ad un movimento che imprimesse alla guerra una svolta rivoluzionaria. Era la nascita dei Fasci di

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Combattimento, il cui programmatore si configurava come rivoluzionario, socialista e nazionalista ad un tempo. Il 23 marzo 1919 a Milano fu fondato il primo fascio di combattimento, adottando simboli che sino ad allora avevano contraddistinto gli arditi, come le camicie nere e il teschio. MARCIA SU ROMA E PRIMI ANNI DI GOVERNO Il 30 ottobre, a compimento della Marcia su Roma, il re incaricò Benito Mussolini di formare il nuovo governo. Il capo del fascismo aveva lasciato Milano per Roma, ed immediatamente si mise all'opera. A soli 39 anni Mussolini diveniva presidente del consiglio, il più giovane nella storia dell'Italia unita. Il nuovo governo comprendeva elementi dei partiti moderati di centro e di destra e militari, ed alcuni fascisti.

SECONDA GUERRA MONDIALE è il conflitto che tra il 1939 e il 1945 ha visto confrontarsi da un lato le potenze dell'Asse ( Germania, Italia, Giappone) e dall'altro i paesi alleati (tra cui: l’Inghilterra, la Francia, la Cina, la Russia e gli Stati Uniti). Viene definito «mondiale» in quanto, così come già accaduto per la Grande Guerra, vi parteciparono nazioni di tutti i continenti e le operazioni belliche interessarono gran parte del pianeta. Ebbe inizio il 1º settembre 1939 con l'invasione della Polonia da parte della Germania; terminò, nel teatro europeo, l'8 maggio 1945 con la resa tedesca e, nel teatro asiatico, il successivo 2 settembre con la resa dell'Impero giapponese a seguito dei bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki. È considerato il più grande conflitto armato della storia, e costò all'umanità sei anni di sofferenze, distruzioni e massacri per un totale di 55 milioni di morti. Le popolazioni civili si trovarono infatti direttamente coinvolte nel conflitto a causa dell'utilizzo di armi sempre più potenti e distruttive. Nel corso della guerra si consumò anche la tragedia dell'Olocausto perpetrata dai nazisti nei confronti del popolo ebraico. L' Europa uscì dalla Seconda Guerra Mondiale in condizioni disastrose: - la guerra aveva causato 30 milioni di morti; - le industrie erano distrutte, l’agricoltura in ginocchio. Mancavano le materia prime e il denaro per la ripresa e la ricostruzione; - molte città erano state distrutte: i senzatetto erano milioni. Stati Uniti e Unione Sovietica, le due nuove superpotenze, erano in contrasto ideologico: occorreva evitare altri conflitti mondiali. Per questo nel 1945 nacque l’ONU, un organismo garante della pace e dell’ordine internazione, erede della Società delle Nazioni. I nuovi confini del mondo non furono decisi dalle trattative della Conferenza di pace di Parigi (1946), ma dai carri armati. In tutti i territori occupati dagli Anglo-Americano nacquero Stati democratici, alleati degli Stati Uniti. Nelle zone controllate dall’Armata Rossa nacquero Stati sottoposti all’influenza sovietica. La Germania fu divisa in due parti: a ovest la Repubblica Federale Tedesca e a est la Repubblica Democratica Tedesca. L’Austria tornò indipendente, l’Unione Sovietica recuperò territori persi con la prima Guerra Mondiale e ne ottenne altri, l’Italia perse le coloni e cedette alcune zone di confine. Il Giappone restò sotto l’occupazione dell’America fino al 1951. …IN ITALIA Il 25 luglio, dopo lunghe pressioni, il Duce si vide costretto a convocare il Gran Consiglio del Fascismo che votando l'ordine del giorno Grandi portò alla destituzione e all'arresto di Mussolini e al ritorno dei poteri militari al re.

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Nell'Italia del sud liberata dagli Alleati e formalmente guidata dal re e dal suo governo si cercava di tornare lentamente alla normalità, ripristinando - per quanto possibile - l'ordinamento pre-fascista. Contemporaneamente Mussolini, liberato dalla prigionia dai tedeschi su ordine di Adolf Hitler, dette vita ad uno stato nell'Italia settentrionale. Si trattava della Repubblica Sociale Italiana, fondata a Salò in provincia di Brescia e riconosciuta internazionalmente solo dalle forze dell'Asse. Per oltre due anni, dal 14 novembre 1943 fino al 25 aprile 1945, la penisola fu quindi divisa in due da una linea di confine non ben definita: una linea che continuò a spostarsi nel sempre più a nord durante il corso del conflitto, fino a che l'esercito tedesco non si ritirò completamente dal suolo italiano. La Repubblica Sociale Italiana si fondò sui principi della Carta di Verona riaffermando allo stesso tempo i principi iniziali del Fascismo repubblicano persi, a detta degli estensori della Carta stessa, durante il ventennio fascista; tra questi primeggiava, per originalità, una politica economica tendente alla socializzazione delle fabbriche. Venne anche costituito un esercito, spesso male armato, composto da reclutati a forza (pena di morte per i renitenti) e da un limitato numero di volontari. Con la Costituzione Italiana del 1948 il Partito Nazionale Fascista venne messo definitivamente fuorilegge e la sua ricostituzione fu vietata. Per anni dopo la fine della guerra si registrarono omicidi e regolamenti di conti tra fascisti e antifascisti, come vendetta per tutto quello che accadde durante il ventennio precedente. Lavoro svolto dagli allievi di IV A: Bonetto Giorgia Del Sal Beatrice Sguassero Caterina Zentilin Nicolò

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Il mito della 500……

…….e della Vespa

INTRODUZIONE STORICA L’Italia che uscì dalla seconda guerra mondiale era profondamente impoverita e segnata dal conflitto. Le maggiori città erano state distrutte come anche molti paesi e vie di comunicazione, l’economia era crollata, gli operai erano rimasti senza un lavoro e le differenze fra nord e sud si facevano più profonde. La ricostruzione del paese avvenne con un governo centrista (che comprendeva liberali, repubblicani, socialdemocratici e democristiani) uscito vincitore dalle elezioni del 1948. Per riuscire a risollevare il paese, il governo aderì al Piano Marshall, il programma americano di aiuti economici per l’Europa occidentale. Il boom economico Negli anni fra il 1950 e il 1963, in Italia, si innescò una fase di rapida trasformazione delle strutture economiche e sociali, una rivoluzione chiamata "boom o miracolo economico". Fu un processo che in dieci anni trasformò la penisola da paese prevalentemente agricolo e sostanzialmente sottosviluppato, in un moderno paese industrializzato. Questa grande espansione economica fu determinata da una serie di fattori simultanei: in primo luogo, lo sfruttamento delle opportunità che venivano dalla

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congiuntura internazionale, l’incremento vertiginoso del commercio internazionale e il conseguente scambio di manufatti che lo accompagnò. Un secondo importante fattore fu la fine del protezionismo dell’Italia e come conseguenza il sistema produttivo italiano ne risultò rivitalizzato, fu costretto ad ammodernarsi e ricompensò quei settori che erano già in movimento. La disponibilità di nuove fonti di energia e la trasformazione dell’industria dell’acciaio furono gli altri elementi decisivi; inoltre la scoperta del metano e degli idrocarburi in Val Padana, la realizzazione di una moderna industria siderurgica sotto l'egida dell'IRI, permisero di fornire alla rinata industria italiana acciaio a prezzi sempre più bassi. Va osservato che il "miracolo economico" non avrebbe avuto luogo senza il basso costo del lavoro; gli alti livelli di disoccupazione negli anni ’50 furono la condizione perché la domanda di lavoro eccedesse abbondantemente l’offerta, con le prevedibili conseguenze per quanto riguarda i salari. A partire dalla fine degli anni ’50 la situazione occupazionale mutò drasticamente: la crescita divenne notevole soprattutto nei settori dell’industria e del terziario; il tutto avvenne, però, a scapito del settore agricolo. Anche la politica agricola comunitaria assecondò questa tendenza, prevedendo essa stessa benefici e incentivi destinati prevalentemente ai prodotti agricoli del Nord Europa. Le migrazioni Il risultato di questo processo fu l’imponente movimento migratorio avutosi negli anni ‘60 e ‘70: tra il 1955 e il 1971 quasi 9.150.000 persone furono coinvolte in migrazioni interregionali; nel quadriennio 1960-1963, il flusso migratorio dal Sud al Nord raggiunse il totale di ottocentomila persone all’anno. Gli anni ’60 furono, dunque, teatro di un rimescolamento formidabile della popolazione italiana. I motivi strutturali che indussero la popolazione rurale ad abbandonare il loro luogo d’origine avevano a che fare con l’assetto fondiario del Sud, con la scarsa fertilità delle terre e con la polverizzazione della proprietà fondiaria, causata dalla riforma agraria del dopo guerra che aveva espropriato i latifondisti e che aveva suddiviso la proprietà terriera in lotti troppo piccoli. Il flusso migratorio fu intercettato soprattutto dal Nord del paese, in quanto, per la prima volta in quegli anni del "miracolo economico", la domanda di lavoro superò l’offerta delle Regioni del triangolo industriale (Torino, Milano, Genova) Le ripercussioni sociali Nel 1954 il ministro dell’economia Ezio Vanoni predispose un piano per lo sviluppo economico controllato che avrebbe dovuto programmare il superamento dei maggiori squilibri sociali e geografici; questo piano non portò però ad alcun risultato in quanto le indicazioni che vi erano contenute erano basate su una previsione sottostimata sul ruolo che avrebbe dovuto giocare il progresso tecnologico e l’incremento della produttività del lavoro che ne sarebbe derivato. Quelle previsioni furono, quindi, travolte da un processo d’espansione che portò con sé gravi squilibri sul piano sociale; il risultato finale fu quello di portare il «boom

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economico» a realizzarsi secondo una logica tutta sua, a rispondere direttamente al libero gioco delle forze del mercato e a dar luogo a profondi scompensi. Il primo di questi fu la cosiddetta distorsione dei consumi. Una crescita orientata all’esportazione determinò una spinta produttiva orientata sui beni di consumo privati, di lusso, senza un corrispettivo sviluppo dei consumi pubblici; scuole, ospedali, case, trasporti, tutti beni di prima necessità restarono infatti parecchio indietro rispetto alla rapida crescita della produzione di beni di consumo privati. Il modello di sviluppo sottinteso al «boom» implicò dunque una corsa al benessere tutta incentrata su scelte e strategie individuali e familiari, ignorando invece le necessarie risposte pubbliche ai bisogni collettivi quotidiani. Un altro dei mutamenti più rilevanti degli anni del miracolo economico fu la profonda trasformazione della struttura di classe della società italiana. Uno degli indicatori che mostravano come l’Italia fosse entrata ormai nel novero dei paesi sviluppati, fu il rapido incremento del numero di impiegati, sia nel settore privato, che nel settore pubblico. La categoria dei tecnici crebbe in maniera altrettanto rilevante in quegli anni. A questo si accompagnò anche un deciso aumento del tenore di vita delle famiglie italiane: nelle case facevano la loro comparsa le prime lavatrici e frigoriferi e soprattutto le automobili cominciavano a diffondersi sulle strade italiane con le Fiat 500 , Fiat_600 e le Vespa.

LA FIAT 500

La Fiat 500 è senza dubbio fra le automobili italiane più famose; tutto ebbe inizio da un'idea di Benito Mussolini, nel 1930, quando egli convocò il senatore del Regno d'Italia Giovanni Agnelli per informarlo della necessità di motorizzare gli italiani con una vettura economica che non superasse il costo di 5000 Lire. Agnelli propose la questione ai progettisti dell'ufficio tecnico della Fiat che si divisero in due opposte correnti di pensiero: la prima riteneva possibile raggiungere lo scopo con tecnologie e schemi già utilizzati dalla Fiat, risparmiando su dotazioni e materiali; la seconda, proponeva di affidare il progetto a Oreste Lardone, un tecnico che aveva già realizzato un interessante prototipo di piccola vettura

economica per l' Itala. All'inizio, si decise di sperimentare entrambe le soluzioni: l'ufficio tecnico venne incaricato di procedere alla progettazione del modello con standard aziendali e contemporaneamente venne assunto Oreste Lardone, assegnandogli un piccolo gruppo di tecnici ed operai con il quale sviluppare le proprie teorie meccaniche. Nell'estate del 1931 il prototipo della

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"500 – tutto avanti" fu pronto per la sua prima uscita con a bordo il collaudatore, il progettista ed il senatore Agnelli, impaziente di verificare il prodotto; purtroppo un incendio propagatosi dal motore costrinse gli occupanti a saltare lestamente a terra. L'incidente era probabilmente dovuto ad una banale fuoriuscita di carburante, ma il senatore ordinò che fossero bandite per sempre le automobili a trazione anteriore dalla FIAT, mentre Lardone venne immediatamente licenziato. L'ufficio progetti Fiat affidò poi l'incarico a Dante Giacosa; un giovane ingegnere nato a Roma laureto in ingegneria meccanica presso il Politecnico di Torino e subito entrato alla Fiat dove svolgerà tutta la sua lunga e feconda carriera, ascendendo dal primo incarico di disegnatore progettista sino ai massimi livelli dirigenziali. Egli prese le redini del progetto e dopo mesi di febbrili disegni e calcoli produsse il

primo modello con alcune innovazione tese a risparmiare peso e costi: il radiatore era posto sopra il motore per risparmiare la pompa dell'acqua, il telaio era assai semplice con due travi a V dall'anteriore al posteriore e il motore 4 cilindri aveva valvole laterali. La dirigenza Fiat fu soddisfatta del rispetto della tradizione e autorizzò la realizzazione dei prototipi della "500"; nel 1936 venne messa in vendita la FIAT 500 A, poi soprannominata "Topolino", una vettura

modesta per tecnica e prestazioni, il cui prezzo era di 8 900 lire: venti volte lo stipendio medio di un operaio specializzato e ben oltre le preventivate 5 000 lire. La prima serie (poi denominata Tipo A) fu prodotta dal giugno 1936 al giugno 1948 anche in versione Furgoncino; la seconda serie, Tipo B, dal giugno 1948 al febbraio 1949, inoltre venne costruita la Giardiniera Belvedere (4 posti) e Furgoncino; la terza ed ultima serie, Tipo C, dal marzo 1949 al gennaio 1955, inoltre venne costruita anche in versione Giardiniera (1949-1952), Belvedere (1951-1955), Furgoncino (1949-1955). La "500 C" del 1949 era invece un "restyling" con nuovo motore a valvole in testa e un frontale diverso e ammodernato con i fari incassati nella carrozzeria; sia della 500B che della 500C venne realizzata la versione familiare, denominata "giardiniera". Vengono creati diversi tipi di 500, ognuno con delle caratteristiche diverse nel motore o in alcuni dettagli: la 500 economica, normale, sport, trasformabile, con tetto apribile, America, commerciabile... Esemplari della Fiat 500 "Topolino" furono prodotti anche all'estero: in Francia, a Nanterre, presso Parigi ne furono fabbricati 52.507 esemplari; in Polonia, presso la Fiat Polski; in India presso la Premier, nota consociata della Fiat che è diventata Fiat India nel 2002; in Germania presso la Fiat Neckar ; in Austria presso la Steyr-Puch.

LA VESPA

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Dopo la fine del 2° conflitto mondiale, la maggior parte delle fabbriche è distrutta anche la Piaggio, da cui nascerà la Vespa, è alle prese con i problemi del dopoguerra e cercava, come altre aziende, di convertire gli impianti, per produrre qualcosa di nuovo. Prima della guerra, infatti la Piaggio, costruiva arredamenti navali, materiale ferroviario e areonautico; poi l'azienda genovese, costruì un secondo stabilimento a Pisa, dove si producevano esclusivamente aeroplani per uso militare e a seguito degli inevitabili bombardamenti trasferì quello che rimase degli impianti a Biella. Fu proprio in questa sede che nacque il progetto Vespa, ad opera del progettista

Corradino D' Ascanio, che propose un veicolo a due ruote, economico e popolare, di nuova concezione; una sorta di automobile a due ruote, facile da guidare, più economica di un' auto e nello stesso tempo, diversa dalla classica moto, se non altro per il tipo di telaio, a carrozzeria, che permetteva la guida senza doversi necessariamente sporcare gli abiti, come sulle tipiche moto di allora. Il prototipo venne chiamato "Paperino", era il 1944 e solo dopo due anni di prove, cominciò la produzione ufficiale del nuovo scooter, che prese il nome di Vespa, che sembra sia nato da un'esclamazione di Enrico Piaggio (che aveva ereditato la Piaggio alla morte del padre) che alla vista del prototipo esclamò: "Sembra una vespa!", per via del

suono del motore o della forma della carozzeria. Al momento della presentazione ufficiale al pubblico, il prototipo realizzato da D'Ascanio apparì per alcuni un progetto improponibile, ma nonostante i commenti poco entusiasmanti di parte degli addetti ai lavori, la Piaggio decise comunque la produzione in serie di circa 2000 esemplari della "Vespa 98". Le prime Vespa avevano una cilindrata di 98 cc., due tempi, tre marce, potenza max 3,2 cavalli a 4500 giri che consentivano una velocità massima di 60 km/ h, il peso a vuoto 60 kg, lunghezza metri 1,65 e aveva un consumo di un litro per oltre 40 km. L'idea dello scooter non era certamente nuova ma questo veicolo era talmente esclusivo e perfetto da distinguersi senza dubbio da ogni precedente realizzazione a due ruote. La Vespa mostrò comunque, fin dall'inizio, un'affidabilità ed un consumo a livelli decisamente competitivi. Sebbene i primi mesi di commercializzazione non fossero stati troppo entusiasmanti, alla fine del 1947 la produzione iniziò a decollare nei primi mesi del 1948 la Piaggio presentò un nuovo modello, la mitica "Vespa 125", che si affermò subito e sostituì in breve tempo la Vespa 98. La Vespa 125 aveva una cilindrata superiore e presentava degli accorgimenti tecnici nuovi ed un estetica leggermente modificata. Il "miracolo" Vespa prese dunque sempre più piede e gli obiettivi di produzione, sia pure in alcune ben comprensibili fasi cicliche di crisi dovute alle incerte condizioni del mercato, raggiunsero nei primi

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dieci anni di commercializzazione risultati molto soddisfacenti. Non a caso, comunque, la diffusione della Vespa sul mercato italiano ed estero fu tenacemente sviluppata dalla Piaggio fin dall'inizio, promuovendo l'organizzazione di una fitta rete di assistenza meccanica a livello mondiale e proponendo, tra l'altro, anche forme di vendita più convincenti e utili, tra cui le vendite rateali. La Vespa fino ai giorni d'oggi è stata prodotta in circa 14 milioni di esemplari ed esportata in quasi tutto il mondo. L'immagine del piccolo scooter italiano si diffuse grazie anche alle iniziative degli innumerevoli fans e cultori di questo "mito a due ruote" come i Vespa Club, organizzazioni amatoriali di appassionati della Vespa che hanno contribuito in maniera prepotente a diffondere in tutto il mondo, grazie ad una serie di innumerevoli iniziative, non solo un semplice prodotto industriale ma addirittura un vero e proprio stile e modo di vivere. Andare in Vespa diventò per i suoi appassionati sinonimo di libertà, di fruibilità degli spazi, di più facili rapporti sociali; un fenomeno di costume che caratterizzò un'epoca e che trovò infiniti sviluppi e testimonianze anche nel mondo della letteratura, del cinema e della pubblicità. Il Vespa Club d'Italia fu fondato nel 1949 , promosse la partecipazione dei vespisti ai raduni organizzati dai vari moto club e allestì contemporaneamente un calendario proprio, che prevedeva numerosissimi appuntamenti a carattere regionale e nazionale riservati ai soli possessori di Vespa. I grandi appuntamenti turistici organizzati dal Vespa Club d'Italia, divenuto poi, nel 1953, Vespa Club d'Europa, e nel 1965, Vespa Club Mondiale ebbero un enorme successo.

Lavoro prodotto dagli allievi Corso Giulia, Daniotti Giulia, Rabino Gabriele. IV A, Liceo Scientifico “A. Einstein”

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