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Gabriel Del Sarto, nato a Ronchi (Massa) nel , ha pub-blicato la raccolta poetica I viali (, Ed. Atelier), ed è pre-sente in diverse antologie fra cui L’opera comune (Atelier, )e Nuovissima poesia italiana (Mondadori, ). È autore didiversi saggi sull’uso e il senso della narrazione nelle pratichedi consulenza e formazione, fra cui Raccontare storie (con F.Batini, , Carocci), e il Manuale di scrittura creativa Narra-zione e invenzione (con S. Giusti e F. Batini, , Erickson).

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MERIDIANOOVEST

T R A N S E U R O P A

Gabriel Del Sarto

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© PIER VITTORIO E ASSOCIATI, TRANSEUROPA, MASSA

WWW.TRANSEUROPALIBRI.IT

Collana di poesia“FUORI COMMERCIO”

Comitato di lettura compostoda Mario Benedetti, Fabio Pusterla,

Francesco Scarabicchi, e coordinato daMassimo Gezzi

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PREFAZIONE

. Il Meridiano Ovest di Gabriel Del Sarto ha, cometutti i meridiani, una forma circolare. Il poemetto, suddi-viso in nove parti come Mediterraneo di Montale, raccon-ta in versi le ore che intercorrono tra un venerdì sera e unsabato mattina: uno dei tanti venerdì notte in cui i ragazziitaliani, dopo una settimana di lavoro o di studio, si river-sano nelle discoteche o nei locali notturni, forse con lasperanza di trovare, per mezzo di quella esperienza, «unadirezione / possibile solo dopo una veglia» (VIII). Il mo-nologo pensante di Del Sarto prende avvio da una corsa«sull’asfalto dell’autostrada», in macchina, a musica ac-cesa, con i «battiti che si ripetono nell’abitacolo» (I), etermina ancora in macchina, mentre «una stazione FM»risuona «nel vuoto / delle cose» (IX); la scrittura scaturi-sce con la luce intensa e infuocata del tramonto che gettale ombre lunghe sul guard rail, e si arresta, specularmente,quando l’alba trapassa il parabrezza, mentre l’auto pro-cede sugli stessi viali che avevano dato il titolo alla primaraccolta del poeta (I viali, Borgomanero, Atelier ); eancora, il poemetto si apre e si chiude nominando quellache Martino Baldi ha definito, in un articolo on-line, «l’im-ponente presenza del nulla»: nei primi versi l’io che scri-ve finge «che il vuoto dietro campi città e nature / cheattraversa non esista» (I); negli ultimi, che scandiscono leore quiete del mattino, «il mondo […] / non è niente nullané nessuno mai di nuovo» (IX), sicché il poemetto di Del

Un Arsenio a rovescio:il volo notturno dell’angelo Gabriel

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PREFAZIONE

Sarto pare inarcarsi tra il terribile segreto taciuto e dissi-mulato (il montaliano «inganno consueto») dell’uomo chesi volta, e l’eco annichilente del suicida degli Strumentiumani di Sereni («nulla nessuno in nessun luogo mai»).Poesia tra un nulla e un nulla, dunque. Ma nel mezzo?

. Come il programmatore Paul Hakett in Fuori orariodi Martin Scorsese, l’io che il lettore accompagna nellasua traversata notturna è un uomo solo, inquieto, nevro-ticamente in attesa di quel simulacro d’affetto che è l’sms,«gioia nervosa» o «desiderio di calore, corpi» (V). Un al-tro dei tanti, dirà qualcuno propenso ad assolutizzareun’equazione che assimila la poesia lirica a una posizioneconservatrice – se non direttamente reazionaria – all’om-bra di uno stile che non traligna da quel classicismo moder-no che di fatto costituisce il tronco più nobile della nostratradizione poetica novecentesca (Montale, Sereni, Fortini,fino a Raboni, Bacchini, Pusterla). Sarà pure uno dei molti,verrebbe da rispondere, ma è esattamente così che tantaparte del mondo contemporaneo considera ciascuno dinoi, ed è così – inquieto, fragile, nevroticamente alla ricercadi un contatto subito consumabile – che è l’uomo immer-so nella modernità liquida descritta da Zygmunt Bauman,ovvero in quel «destino / di fragilità e legami» (III) di cuil’io di Meridiano Ovest è pienamente consapevole.

. Poesia lirica, dunque. Poesia di un soggetto occi-dentale, consumatore e precario, che attraversa una notteestiva della riviera toscana e che, proprio come la musicaproveniente dalla radio, dà «forma privata / ai pensieri ealle emozioni» (II) che vive, perché crede che «la biogra-fia sia il luogo dove si rivela, con immediatezza, una veri-tà che vale per tutti» (Mazzoni). Ma di che verità si trat-ta? Qual è il sentimento che lega il soggetto alla realtà

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PREFAZIONE

empirica e, più in generale, alla nostra epoca storica? Intor-no a questa domanda, a mio parere, si gioca gran partedel destino della nuova poesia italiana scritta dai giovaninati e cresciuti in Occidente in epoca post-moderna e forseanche post-storica. Va detto subito che Del Sarto non èuna coscienza disperata. Già Mazzoni e Donnarumma, aproposito dei Viali, rilevavano la dimensione religiosa diquesta poesia, sebbene la trascendenza, qui, sia «più spe-ranza o carità che fede» (Donnarumma). In ogni modo,se anche Del Sarto non nominasse direttamente Dio, sco-vandolo proprio nei «pochi episodi fondamentali attor-no / a cui il senso di una vita ruota» (III), chi legga Meri-diano Ovest vi avverte non dico una speranza, ma unafiducia tenace che il circolo che annoda nulla a nulla, dicui abbiamo delineato la forma, non riesce a incrinare. Èla luce, mi pare, a caricarsi continuamente di questa va-lenza; è la luce (a partire dall’iniziale «ora di fuoco») aindicare il verso «da dove ogni sera, come dal fondo di unenigma, / speriamo ci investa quella forza ignota e impos-sibile» (I). Che sia per i fanali delle auto o per i lampioni ele insegne stradali, per il «verde serale» o per il «blu ac-ciaio alla fine del tramonto» (IV), per lo «sfondo lumi-nescente» della discoteca (IV) o per l’«organismo lucente/ delle città disperse nella notte» (VI), il poema di DelSarto somiglia a una lastra fotografica nera impressionatada una galassia di luci, naturali o artificiali, senza che trale due tipologie esista una qualche differenza sostanzialedi significato. Dalla luce, infatti, Del Sarto sembra ricava-re quella fiducia che lo salva dalla disperazione cui pure ilnulla che si annida dietro le cose, montalianamente e rilkia-namente (Duineser Elegien, VIII), parrebbe doverlo con-dannare. «Tutto vibra, è una radiosità e un offuscamen-to» (II), o ancora «Ora pulsa nella notte / la mia città»(VII): è questa percezione di una sorta di terrestre e oriz-

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PREFAZIONE

zontale comunione del soggetto con il tutto, più che unatensione verticale alla trascendenza, a trattenere questapoesia dal risucchio annichilente del nulla.

. Non ci potrebbe essere scrittore più distante daGabriel Del Sarto di Aldo Nove. Eppure, leggendo Meri-diano Ovest e ipotizzando una risposta alla domanda dipoco fa («Qual è il sentimento che lega il soggetto allarealtà empirica e alla nostra epoca storica?»), non ho po-tuto fare a meno di ricordare una calzante definizione diAndrea Cortellessa a proposito dello scrittore di Viggiù:quella «radicale ambiguità affettiva» che caratterizza ilpunto di vista del narratore, poniamo, di Amore mio infi-nito. Mutatis mutandis, direi che in Del Sarto, e in tantisuoi poeti coetanei, si percepisce un’analoga ambiguità.Certo, qui si tratta di un’oscillazione tra percezione delnulla o della «nostra inconsistenza» (VII) e fiducia nellapossibilità che una sorta di inattesa intermittence du coeur(come quella, splendida, della parte III) ci trasmetta la sen-sazione di essere parte di «una trama / attraversata da unvento oceanico e polare», mentre in Nove si dovrà parla-re di ambiguità nei confronti delle merci e del sistema divalori da esse imposto e condizionato; tuttavia, il senti-mento di ambiguità nei confronti del reale (tra fascino erepulsa, tra adesione istintiva e musicale e distanza intel-lettualmente critica) mi pare un tratto comune di nume-rosi poeti giovani. Così l’io di Meridiano Ovest che attra-versa la discoteca con il suo bicchiere in mano, accompa-gnato dalla musica e da un dialogo impossibile a colpi dimessaggi e telefonate con una voce anch’essa sola e in-quieta, finisce per credersi quasi felice se si imbatte in unamore occasionale (o liquido, ancora con Bauman), in unincontro che lo porta di nuovo fuori, nella notte, tra le«molte cose unite dalla pioggia / e dal buio» (VI), fino a

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PREFAZIONE

una spiaggia ventosa dove il temporale, ormai, si va esau-rendo.

. Su questa spiaggia non troppo lontana, geografica-mente, da quella su cui discende l’Arsenio di Montaleavviene un riconoscimento. Arsenio riponeva nel tempo-rale imminente la speranza che avvenisse un miracolo ca-pace di sconvolgere il suo delirio di immobilità e di scardi-nare il suo «immoto andare», per poi ritrovarsi confitto,al contrario, «in una sola / ghiacciata moltitudine di mor-ti», proteso su «un vuoto risonante di lamenti / soffoca-ti». Gabriel, all’esatto opposto, scruta il temporale che siallontana, i «fulmini nell’orizzonte che si ramificano pre-cisi» (Arsenio: «se il fulmine la incide / dirama come unalbero prezioso»), osserva la città e considera per un atti-mo la situazione storica e politica mondiale, per poi strin-gere di nuovo il campo e riaffermare una sorta di resi-stenza di senso al nulla, all’inautenticità del presente ealla morte: «Così siamo vita, e frontiera di questa terra, ecose nelle mani» (VII). È questo, mi pare, l’annuncio fina-le che «l’angelo smagrito Gabriel», di fronte all’improba-bile teofania della polvere in fiamme «che si leva ai latidel viale» (IX), opporrà alla percezione dell’inutilità dellecose e dell’esistenza individuale, insieme «eredità biolo-gica» (IV) e unico spazio in cui può manifestarsi una qual-che verità. Qualcuno vorrà leggere questa resistenza comeuna soluzione pacificatrice, quasi irenica. Si tratta, più ve-rosimilmente, di una presa d’atto delle contraddizioni incui tutti, in quanto soggetti desideranti, finiamo per esse-re invischiati: far finta che il vuoto dietro i campi e la cittànon esista; riproporre testardamente una domanda di si-gnificato in un mondo convulso, colpevole e precario comequello che abitiamo, alla longitudine del Meridiano Ovest.

Massimo Gezzi

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MERIDIANO OVEST

“Ain’t no love in the heart of the city”

(Price/Walsh)

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Scrivo sull’asfalto dell’autostrada da annie nomi, brani di me, ombre, fingendoche il vuoto dietro campi città e natureche attraverso non esista. Il fronte dell’ariafa scorrere le nubi, lungo le mie strade ancora è furiosoil tempo, anche in quest’ora di fuoco che gettale ombre più lunghe, degli alberi e delle cose,come le vedo scorrere sulle ondedi metallo del guard rail, e segnare il versoda dove ogni sera, come dal fondo di un enigma,speriamo ci investa quella forza ignota e impossibile.

Tutto questomentre la luce scivola e le gommefilano in un silenzioso attrito di solitudinee battiti che si ripetono nell’abitacolo, segnaliche la notte non è morte, ma un’orbitaperversa che lascia una scia invisibiledi desiderio nel reticolo sperduto del cosmo.

I.

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Tutto vibra, è una radiosità e un offuscamentotutto questo verde serale, la luce obliquadell’ovest e le nubi, pezze coloratedella creazione. Si avvicina l’ultimo migliodi questa sera, prima che io dormaprima che il dolore della solitudinesia chiaro, ed il suonodel vento nella camera sia più di una luce.

«Sono stata in un posto orribile – anche la tua vocelontana vibra – solo per un colloquio generico»

Sento che è qui, su questo altare di sangue – distesafinale di acque e cielo – che viene uccisotutto il nostro tempo e solo la musicadella radio mi parla delle coseche mi toccano, una forma privataai pensieri e alle emozioni, alle foglierecise nella loro perfezione palmata.

Superato il casello c’è l’estateseduttiva e laconica, come d’invernole nostre melanconie brevi nei centriyoga, in palestre umide nei quartieri. Distanti

le città dentro le città sono cellule, desolatee incongrue oltre il sibilare anonimo delle auto.

II.

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I pochi episodi fondamentali attornocui il senso di una vita ruota appenaquel tanto, millimetrico segno in un tempoesatto, sono il mio disarmoil mio limitato sapere su Dio.

Comequella volta, a motore acceso nel parcheggiodi cemento (quel cemento che scintillavadopo la pioggia, le auto lucide), abbandonandole mani sul volante, alla fine della primavera,quando sono rimasto sospesoleggero nel raggiodi un tramonto normale, riflessonelle grandi lettere d’acciaiodell’insegna del supermercato.In quel semplice momento personale ero una tramaattraversata da un vento oceanico e polare, erol’intimità che si forma in questo destinodi fragilità e legami.

«Ma – mi chiedi – ma non ti viene maila voglia di avere

qualcuno per casa, con cui parlare almenosfogarti?»

Sul rettilineo che percorro del vialeverso casa – la luce più umida dei lampioni, i fossi

III.

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fra le canne, gli spasmi ancora di una polveredegli anni ’ – entro in un misterobuio, i cui confini si infiammano contro il largoscuro del cielo e del mare, come razzi traccianti,residua luminescenza sul margine sfilacciato di una terra.

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Il serpente della costa e le insegne, luci

della pubblicità, delle discotecheche si aprono e le piazze le creme i long drink:la notte ha gli occhi dell’occidente, è questocontenitore nel lembo chiusoa est dal profilo scuro delle Alpi.«Eccomi qua, ho gli occhi neri cometutti gli adulti inevitabilmentehanno – mi trafiggi parlando come dal cuoredi un’altra legislazione – spesso vivoperché respiro e vorrei un orizzontedel mondo diverso da questo

dolore che sento.»

Dopo il blu acciaio alla fine del tramontoci sono i pallidi fanali delle autoin fila, i colori elettrici. La sicurezzararefatta eppure quasi domesticanel gioco delle spie accesedel cruscotto all’interno dell’autosi spezza, e il vuotosecolare mi risucchia ogni volta aprendola portiera, scendendo in un luogopensato altrove, questioni di marketing.E vedo figure sfocate che perpetuano se stesseproiettandosi su uno sfondo luminescente, il loro

IV.

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sangue, l’eredità biologica, che s’infilanonel sollievo dell’oscurità, entranoin queste fabbriche estive.

Mi parli ancora, ma sei lontana,un contatto labileospite di una cella che si chiude fra le dita,mentre ci sono questi miei passi su un selciatoqualsiasi prima di un ingresso,tracciando le stelle archi dolorosi traiettorie siderali luci.

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Giro lento attorno al banco centrale,il mio bicchiere ghiacciato nell’ariaelettrostatica, gli specchi in cui vedo muoversiragazze sole in un angolo freddo,perfette t-shirt marchiate col nomedell’alcool, mentre fuori da quidalle acque di un cielo compatto adessoè colpita questa regione della terra,una pioggia larga che nessuno ascolta.

Il gestoche mi accorgo di compiere guardandoil quadrante del cellulare, liquidonell’attesa che s’illumini appenadi blu, qualche altra gioia nervosa,un desiderio di calore, corpi – forsenon c’è fuga mai da questo luogocruciale, dove appaiono sagome assoluteche si stagliano nel semibuio che ci avvolgedella sala, disegnate dai fasciveloci e fosforescenti dei laser, come fosse,nell’emozione acida di quell’attimo,luce da un tramonto di un meridiano remoto.

V.

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L’amore a ovest della A correparallelo all’inquietudine della costaimmerso nell’organismo lucentedelle città disperse nella notte. E qui tenereuna conversazione con fatica,lei vicina che non sa chi sei, cosaporti di te in quest’auto, nel momentoin cui scandisci le sillabe e i gesti.

Altrove ho parlato di me, e ho questi silenzi.Collisioni, monete, vite passanocome riflessi sparsi della luce azzurradell’insegna al neon, che bolle dentrole pozzanghere, e la pioggia sui tettidi lamiera delle auto. Sono qui,con l’alcool colorato e mescolato,e siamo due che ridono quasifelici, lei quasi senza un nome.

E sentiamo questo vento fra gli alberidopo il temporale, l’odore sfattodi molte cose unite dalla pioggiae dal buio, mani grida e atomi – guardole nuvole che variano, i richiami,i giorni in queste lontananze

e qualcuno quando esce dal locale

VI.

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è lo spessore stanco di un ritorno a casa,un rumore di passi bagnati sulla ghiaia.

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La spiaggia e il vento che pulisce e confondeora pulsa nella nottela mia città gli sguardi i respiried ogni cosa, prima e dopo la striscia arancionedel lungomare, aree relitte di ecosistemi, zone obiettivo 2.Seduto su questa sabbia osservola piattaforma nera del mare. Sembra petrolio, la memoriadelle ere prima di essere cronaca,e nuove guerre. Negli angolidelle nazioni ci sono amori e ingegnerie,avanzi e disperazioni, e i grattacieli con le nuvoleche trascorrono nelle ore, e si riflettono sugliacciai, i vetri a specchio degli uffici, l’ariaclimaticamente diffusa sulle persone, sulle scrivanie.

Nel meridiano ovestle cose dei giorni, la salute il bilanciofamiliare la nostra

inconsistenza,e i fulmini nell’orizzonte che si ramificano precisi,disegnando silenziosi la pronuncia che siamo, elettrica.

Così siamo vita, e frontiera di questa terra, e cose nelle mani.

VII.

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Il tempo che per lente gradazionii primissimi fotoni più caldi sul mondoincendiano, bucata l’esosfera,mi consegna l’efficienza e i restidei nostri ground zero, il posto dell’uomonell’organizzazione delle cose.Graduale, ottico, penetrodentro l’ultima animadi questa notte, in una direzionepossibile solo dopo una veglia.

Ed è tutto qua,poi sarà un giorno di molti, in questo ordinarioposto di vacanza, le latte variopintecon i nomi dei gelati, i cartellidella pubblicità sui marciapiedi,tutto nei pressi di un’alba, io che sonouna parte di me vicina a me, il cobaltodel cielo, il freddo del ventosul legno dipinto delle cabine.

Al caldo delle paste appena consegnate, il caffè,osservando dietro i vetri del bar la brina sull’erbadei giardini, vapori, adesso sentirecome una preghiera che non soperché, e la rottura, il giorno qui. Sulla Cisale prime famiglie di Parma, le compagnie

VIII.

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su auto normali, oltre il valicogià stanno scendendo, assonnate, oltre ognitunnel, verso case leggere sul boulevarddove ora a qualche donna si mischianogli ultimi fanali, i lampioni, la luce rossa dell’est

e occhi che solo non vogliono morire.

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La violenza della luce sul parabrezza, il ventodella mattina sui viali e tutta la mortedi questo tempo fra noi: ascolto le ondedi una stazione FM nel vuotodelle cose. È sabato, posso restarein attesa, avere fame, un lavoro flessibile,le dolcissime politiche comunitarie, possoconsumare prima di altre invasionidella storia.

È sabato e dovunque e comunque,in ogni stagione creata,nei cristalli liquidi degli schermi,negli scaffali, nei corridoi linearie piastrellati dei centri commercialie degli ospedali, nei manuali coloratidelle nostre spiegazioni,tutto è un montaggio perfetto e le ore sono quietecome profondamente gli oggetti,e il mondo che scorre fianco a me, mentreguido verso casa,non è niente nulla né nessuno mai di nuovo

– oppureora il sole è come su questoviolento e deserto presepe estivo

IX.

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sopra il quale l’angelo smagrito Gabrielannuncia qualcosa piangendoalla polvere che si leva ai lati del vialein una fiamma improvvisa, ossidrica.

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Penso che alla fine, nonostante l’ideologia individua-listica, le ragioni del mercato e le logiche oligarchiche se-gnino questi anni in modo evidente, noi siamo comunqueportati a reperire un significato e un senso alle nostre sto-rie, individuali e collettive, e per questo continuiamo adorganizzarci, a inventare trame e cornici di senso.

Questo pensiero ho provato ad esprimerlo narrandolo svolgersi di un tempo a cavallo fra il venerdì sera e unsabato mattina, in prima persona, nei luoghi che meglioconosco, quelli della mia riviera, all’inizio della stagioneestiva. Queste ore, in particolare quelle notturne, sonotalvolta vissute come un intervallo nel quale tutto è possi-bile e una sorta di dismisura non solo è consentita ma èanzi richiesta, come condizione senza la quale non è pos-sibile entrare in contatto con gli altri. Il sovraccarico didesideri e aspettative che vi si condensa, però, in fin deiconti altro non è che il riproporsi di quella stessa doman-da di senso che, come una condanna, ci sovrasta, oggicome ieri.

***Mentre scrivevo mi sono stati d’aiuto diversi brani

musicali, in particolare pop-rock: talvolta suggerendomiatmosfere, altre volte offrendomi immagini e sensazioni,altre volte ancora permettendomi di accedere a stati d’ani-mo in sintonia con quanto andavo elaborando.

Rileggendo a posteriori il mio lavoro, mi convinco che

Nota

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spesso, forse paradossalmente o forse no, sono propriocerte canzoni pop, nate per fini commerciali, a coglieremeglio il senso freddo di questa epoca.

***Il presente poemetto, che è stato scritto, in prima ver-

sione, fra la metà del e la prima metà del , faparte del tentativo di stesura di una vera e propria raccol-ta di poesie, nella quale, se essa dovesse concludersi, Me-ridiano entrerà come tappa, o canzone, di un viaggio unico.

G.D.S.

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FINITO DI STAMPARE NEL MARZO

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