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LUGLIO 2017 MC 23 E st o Ovest? Europa cen- trale, Balcani o Mediterra- neo? La geografia e la sto- ria della Croazia non sono d’aiuto quando si tratta di posizio- nare il paese all’interno di queste categorie concettuali. La giovane repubblica, indipendente dal 1991, ha infatti diverse anime, che si ri- trovano nei suoi dialetti, nei suoi stili architettonici e persino nella sua gastronomia. Terra di isole adriatiche, montagne innevate e pianure danubiane, la Croazia trae dalla propria ricchezza culturale le sue multiple identità: romana, slava, veneziana, austro-ungarica, jugoslava, europea… Un patrimo- nio di influenze e di sfumature, da cui derivano però anche le tensioni del presente. Le interpretazioni del passato, le opinioni sulla religione o ancora i rapporti con i paesi con- finanti, scatenano periodicamente AI CONFINI DELL’EUROPA / 12: LA CROAZIA Una spiaggia non basta Indipendente dal 1991, la Croazia racchiude molteplici identità, una ricchezza che spesso produce tensioni. Le cicatrici della storia ad esempio riemergono periodicamente sia all’interno del paese sia nei rapporti con gli ex fratelli jugoslavi, in primis con la Serbia. Ai problemi politici si sono aggiunti quelli economici e sociali. L’entrata nell’Unione europea e il boom del turismo non sono stati sufficienti a evitare anni di recessione economica e la fuga dei giovani dal paese. dei dibattiti capaci di spaccare in due la società croata, producendo un costante senso di lacerazione, che nemmeno l’ingresso nell’U- nione europea, nell’estate del 2013, è riuscito a placare. CROAZIA Testi e foto di GIOVANNI VALE (OBC) MC A Sotto: manifestazione a Zagabria a difesa dell’educazione pubblica e della riforma dei curricula scolastici, e contro i cambiamenti annunciati in materia dal governo di Tihomir Orešković (giugno 2016). #

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Est o Ovest? Europa cen-trale, Balcani o Mediterra-neo? La geografia e la sto-ria della Croazia non sono

d’aiuto quando si tratta di posizio-nare il paese all’interno di questecategorie concettuali. La giovanerepubblica, indipendente dal 1991,ha infatti diverse anime, che si ri-trovano nei suoi dialetti, nei suoistili architettonici e persino nellasua gastronomia. Terra di isole

adriatiche, montagne innevate epianure danubiane, la Croazia traedalla propria ricchezza culturale lesue multiple identità: romana,slava, veneziana, austro-ungarica,jugoslava, europea… Un patrimo-nio di influenze e di sfumature, dacui derivano però anche le tensionidel presente. Le interpretazioni delpassato, le opinioni sulla religioneo ancora i rapporti con i paesi con-finanti, scatenano periodicamente

AI CONFINI DELL’EUROPA / 12: LA CROAZIA

Una spiaggianon bastaIndipendente dal 1991, la Croazia racchiude molteplici identità, unaricchezza che spesso produce tensioni. Le cicatrici della storia ad esempioriemergono periodicamente sia all’interno del paese sia nei rapporti con gliex fratelli jugoslavi, in primis con la Serbia. Ai problemi politici si sonoaggiunti quelli economici e sociali. L’entrata nell’Unione europea e il boomdel turismo non sono stati sufficienti a evitare anni di recessione economicae la fuga dei giovani dal paese.

dei dibattiti capaci di spaccare indue la società croata, producendoun costante senso di lacerazione,che nemmeno l’ingresso nell’U-nione europea, nell’estate del2013, è riuscito a placare.

CROAZIA Testi e foto di GIOVANNI VALE (OBC)MC A

Sotto: manifestazione a Zagabria a difesadell’educazione pubblica e della riforma deicurricula scolastici, e contro i cambiamentiannunciati in materia dal governo di TihomirOrešković (giugno 2016).

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CROAZIA

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Se la presidente guarda aVišegrad«Vorrei che non si utilizzasse piùl’espressione “Balcani occidentali”per indicare questa regione. Par-liamo piuttosto di Sud Est euro-peo». Nel novembre del 2015, inoccasione di un vertice multilate-rale, la presidente croata KolindaGrabar-Kitarović ha espresso cosìil suo punto di vista sulla que-stione geografica della Croazia edei suoi vicini. Il termine «Balcani»veniva allora bandito dai discorsiufficiali della capo di Stato, elettaad inizio 2015 tra le fila del partitoconservatore Hdz e decisa ad avvi-cinare il paese al cosiddettogruppo di Višegrad (Ungheria, Po-lonia, Repubblica Ceca e Slovac-

chia). Anche se la diplomazia inter-nazionale ha in realtà mantenutoil vecchio vocabolario, per la Croa-zia, l’approccio di Grabar-Kitarovićha marcato un cambio di passo,confermato in quello stesso mesedi novembre anche dal risultatodelle elezioni legislative. L’Hdz,vincitore relativo dello scrutinio, èriuscito infatti a tornare al poteredopo una parentesi socialdemo-cratica (2011-2015) ed il governoche ne è risultato, guidato dal pre-mier tecnico Tihomir Orešković, hariaperto in meno di un anno tuttele ferite proprie del tessuto socialecroato.

Le cicatrici della storiaL’esempio più significativo è quellodi Zlatko Hasanbegović, uno sto-rico accusato di revisionismo e ne-gazionismo, ma nominato mini-stro della Cultura. Tra dichiarazionisprezzanti e decisioni liberticide(ad esempio, la sospensione deifondi pubblici ai media no-profit eal quotidiano della minoranza ita-liana «La Voce del Popolo»), Ha-sanbegović si è fatto notare ancheper le sue osservazioni sul campodi concentramento di Jasenovac, illager croato in cui morirono du-rante la Seconda guerra mondialepiù di 83mila persone. «Tra le20mila e le 40mila», è stata invecela stima del ministro, fatta proprioalla vigilia della cerimonia comme-morativa nell’aprile 2016, boicot-tata allora dai rappresentanti dellevittime serbe ed ebree. Accadevaappena un anno fa, ma le radicidel dibattito vanno cercate nel

1941, «l’anno che continua a tor-nare» come l’ha definito il celebrestorico croato-bosniaco SlavkoGoldstein. Nel 1941, lo scoppiodella Guerra mondiale ha diviso ilpaese in due: tra ustascia e parti-giani, i primi sostenitori dello Statoindipendente croato (Ndh), alleatodella Germania nazista e dell’Italiafascista e guidato da Ante Pavelić;i secondi schierati con Josip Broz,detto Tito, diventato poi il leaderdella Jugoslavia socialista. E da al-lora, il 1941 «continua a tornare»come una maledizione.

Lo scontro sui diritti civiliLa carriera ministeriale di Hasan-begović, convinto che la Croaziaabbia «perso la Seconda guerramondiale», è durata appena unanno. Nel giugno del 2016, ilprimo ministro Orešković è statosfiduciato, dopo che uno scandalodi corruzione aveva diviso i duepartiti di maggioranza. Tuttavia,anche se si è trattato del «governopiù breve della storia croata»,come l’ha battezzato la stampa lo-cale, diverse polarizzazioni propriedel paese sono state accentuateproprio in quel periodo. Oltre alcaso Hasanbegović, che ha por-tato nel paese anche una missionedel Consiglio d’Europa preoccu-pato per lo stato della libertà diespressione, un secondo terrenodi scontro è stato quello della que-stione dell’aborto e dei diritti civili.Già nel 2013, ai tempi del governo

(segue a pagina 29)

A destra: mappa della Croazia. In basso:monumento equestre a Ban Jelačić nellapiazza principale di Zagabria. Pagina se-guente: il campo profughi di SlavonskiBrod, in Slavonia, al confine con la Bo-snia-Erzegovina e a circa 200 km da Zaga-bria; i migranti in transito sulla «rotta bal-canica» arrivano qui dalla Serbia e ripar-tono per la Slovenia (gennaio 2016).

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© Treccani.it

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La «rotta balcanica». Con quest’espressione, lastampa internazionale ha battezzato, nell’e-state del 2015, il flusso di rifugiati che ha attra-

versato per mesi la Turchia, la Grecia e alcuni paesidell’ex Jugoslavia, portando decine di migliaia dipersone all’interno dello spazio comunitario. Siriani,iracheni o, ancora, afghani in fuga dai conflitti in Me-dio Oriente, hanno raggiunto in questo modo il terri-torio dell’Unione europea (e più precisamente lospazio Schengen) nella speranza di ottenere unaprotezione umanitaria. Per la Croazia, questo flussomigratorio ha rappresentato una sfida logistica,prima ancora che politica. Il paese è stato coinvoltonella cosiddetta «rotta» a partire dal 15 settembre2015, ovvero da quando il governo di Budapest ha ul-timato il suo «muro», una barriera provvista di filospinato e lunga più di 170 km con cui ha sigillato ilconfine serbo-ungherese. Da allora, la colonna di ri-fugiati che quotidianamente attraversava il Norddella Serbia in direzione settentrionale ha deviatoverso ovest, entrando sul territorio croato. Il governo di Zagabria, allora guidato dal premiersocialdemocratico Zoran Milanović, ha dapprimadeciso di far proseguire il flusso verso l’Ungheria,poi - dinanzi alla costruzione di una seconda bar-riera da parte di Budapest (questa volta al confinecroato) - ha ripiegato sulla Slovenia. Data la geogra-fia della Croazia, che pone la capitale lontana dallepianure della Slavonia, interessate da questi eventi,si può dire che pochi cittadini croati abbiano real-mente percepito la crisi migratoria del 2015, come è

invece avvenuto nella vicina Serbia o ancor più inGrecia. Inoltre, similmente agli altri paesi della re-gione, soltanto un numero insignificante di rifugiatiha fatto domanda di asilo alle autorità croate, prefe-rendo piuttosto proseguire verso la Germania el’Europa settentrionale. Ciononostante, la questionemigratoria ha avuto delle conseguenze politiche,prima nei rapporti con i vicini (tensioni con l’Unghe-ria, la Serbia e la Slovenia), poi, dal punto di vista in-terno. Le elezioni di fine 2015 hanno infatti portato ad uncambio di governo a Zagabria ed il nuovo esecutivosi è schierato su posizioni più filo ungheresi sul temadelle migrazioni. Come la presidente Grabar-Kitaro-vić aveva manifestato il suo appoggio ai paesi delgruppo di Višegrad (Ungheria, Repubblica Ceca,Slovacchia, Polonia), così il premier Orešković ha as-sicurato fin da subito di capire il bisogno di sicu-rezza di Budapest e Vienna. Nella primavera del2016, gli stati della «rotta balcanica» (Austria com-presa) hanno dunque deciso di contraddire aperta-mente la posizione di Bruxelles, decidendo autono-mamente di sbarrare il passaggio ai profughi, primapermettendo l’accesso a soltanto tre nazionalità (si-riani, afghani e iracheni), considerati a priori comelegittimi beneficiari della protezione umanitaria, poichiudendo definitivamente l’ingresso in Macedoniaed isolando così la Grecia. L’accordo turco-europeoha poi permesso di includere anche Atene in una so-luzione comune.

Gio.Va.

Migranti e «rotta balcanica»

Più Budapest che Bruxelles La crisi dei migranti non ha risparmiato Zagabria. Che ha fatto le sue scelte.

• Nazionalismo | Ex Jugoslavia | Unione europea •

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Alungo controllata all’epoca della Jugoslaviasocialista, la Chiesa cattolica croata si èschierata fin dall’indipendenza nel 1991 su po-

sizioni molto conservatrici. Vicina all’«Unione de-mocratica croata» (Hdz) - il principale partito di de-stra - la Chiesa svolge tuttora un ruolo di primopiano nel dibattito politico nazionale. Ferocementeanti-comunista e spesso apertamente nazionalista,la gerarchia ecclesiastica croata si esprime sia tra-mite il suo quotidiano, il «Glas Koncila», sia permezzo dei suoi alti prelati, periodicamente autori didichiarazioni forti e schierate. Alla vigilia delle ultime elezioni parlamentari, adesempio, il vescovo di Sisak Vlado Košić ha invitatoespressamente i suoi concittadini a votare per l’Hdze non permettere un ritorno dei socialdemocratici alpotere. L’anno prima, nel maggio del 2015, l’arcive-scovo di Zagabria Josip Bozanić aveva invece cele-brato una messa a Bleiburg in Austria, in occasionedel 70° anniversario del massacro di migliaia di cit-tadini croati compiuto nel 1945 dai partigiani jugo-slavi. Ogni anno, la commemorazione di questa ven-detta degli uomini di Tito contro gli esponenti dello

sconfitto «Stato indipendente di Croazia» (Ndh) ra-duna nella piccola cittadina dell’Austria meridionalemigliaia di militanti croati di estrema destra ed al-cuni dei suoi rappresentanti politici. La presenza dialti esponenti ecclesiastici è perciò vista come con-troversa, così come lo è la figura di Alojzije Stepinac(1898-1960), arcivescovo di Zagabria che la Chiesacroata vorrebbe santo ma che la Serbia considera uncriminale di guerra (vedi pezzo principale). Dalle questioni legate al matrimonio e all’aborto finoalla battaglia contro le unioni omosessuali (controcui la gerarchia cattolica croata si è battuta con suc-cesso nel 2013), gli interventi della Chiesa nel dibat-tito politico della Croazia sono dunque numerosi ecostanti. Nel paese, nove cittadini su dieci si dichia-rano di religione cattolica.

Giovanni Vale

La Chiesa cattolica croata

Diffusa, forte e schierata In Croazia nove cittadini su dieci si dichiarano di religione cattolica. Limitata eostacolata all’epoca della Jugoslavia socialista, oggi la Chiesa croata è su posizioniconservatrici e nazionaliste.

CROAZIA

Qui sotto: la chiesa di San Marco, uno degli edifici simbolo diZagabria. Pagina seguente: cerimonia di investitura della presi-dente Kolinda Grabar-Kitarović davanti alla chiesa di San Marconella città alta a Zagabria (febbraio 2015).

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Il golfo di Pirano, la frontiera sul Danubio o an-cora il ponte di Sabbioncello. Ecco tre dossier bi-laterali che la Croazia discute oggi con i suoi vi-

cini. Si tratta di questioni nate con la dissoluzionedella Jugoslavia e con la necessità di dividere un pa-trimonio che prima era comune e che non sono an-cora state risolte. Il primo caso è quello che coinvolge Croazia e SLO-VENIA, tuttora impegnate a tracciare una frontieramarittima nelle acque del golfo di Pirano, poco lon-tano da Trieste. È una controversia vecchia di 25anni e che ha visto diverse evoluzioni, ma nessunasoluzione condivisa. Lubiana chiede un accesso indi-pendente alle acque internazionali e rivendica unasovranità più ampia sulla baia, incontrando peròl’opposizione di Zagabria. Negli anni, i negoziati sisono susseguiti così come le proposte di nuove cartenautiche. Dopo l’ingresso della Croazia nell’Ue, il di-verbio è finito davanti ad una corte internazionale diarbitrato, ma nell’estate del 2015, quando il tribunalestava per esprimersi, una fuga di notizie tra i giudicie i rappresentanti sloveni ha convinto le autoritàcroate ad abbandonare il processo. Così, ad oltre unquarto di secolo dalla fine della Jugoslavia, i pesca-tori di entrambi i paesi non sanno ancora dove fini-scono formalmente le acque del proprio stato ed ini-ziano quelle dei vicini.Anche con la SERBIA, una frontiera precisa rimaneda tracciare. I paesi sono separati dal corso del Da-nubio, ma la Croazia fa appello a dei documenti cata-stali di epoca austroungarica e reclama alcuni ettari

di terra che si trovano oggi oltre il fiume. Belgrado,inutile dirlo, si oppone ed ecco che la disputa - anchequi, vecchia di oltre 25 anni - ha permesso la “na-scita” del Liberland, uno “stato” autoproclamatosiindipendente su un isolotto che nessuno dei due statirivendica come proprio. E se la vicenda del confinetuttora da definire fa capolino solo raramente sullastampa locale, è soltanto perché i motivi di tensionetra i due paesi non mancano: dalla tutela della ri-spettive minoranze al trattamento dei crimini diguerra, passando per la più recente (e spesso espli-cita) corsa agli armamenti, le relazioni bilateraliserbo-croate sono già ben fornite.Infine, con la BOSNIA-ERZEGOVINA, Zagabria discutedue temi principali: le sorti dei croati residenti inBosnia, che premono per la creazione di una «terzaentità» federata nel paese, ed il modo in cui bypas-sare il corridoio di Neum, unico acceso al mare bo-sniaco ma causa dell’isolamento della contea di Du-brovnik dal resto della Croazia. Il primo argomentoè decisamente molto spinoso, perché prevede unariforma dei trattati di Dayton del 1995 che equivar-rebbe ad aprire il vaso di Pandora del delicato si-stema istituzionale bosniaco. Più abbordabile, in-vece, il dossier di Neum. A questo proposito, duepaesi hanno trovato un accordo per la costruzione diun ponte che collegherà la penisola di Sabbioncelloalla terraferma dalmata e i lavori dovrebbero ini-ziare entro la fine del 2017.

Gio.Va.

Ex Jugoslavia

Ci eravamo tanto amati Dopo la dissoluzione della Jugoslavia, i rapporti con gli ex «fratelli» sono all’inse-gna del sospetto reciproco.

MC A

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CROAZIA

Sedici milioni di visitatori l’anno, con un contri-buto pari a quasi il 20% del Prodotto internolordo (Pil). Il turismo rappresenta per la Croazia

una priorità economica ed è un settore a dir poco stra-tegico. Ogni anno, l’inizio dell’estate in Dalmazia, inIstria e sulle isole marca una delle ricorrenze annualipiù importanti per il paese, che dipende in larga mi-sura (forse eccessivamente) dai risultati della stagioneturistica. E se nei fatti, la Croazia registra ogni annodei nuovi record nel numero di arrivi o di pernotta-menti, questo continuo boom comincia già a provocarei primi danni collaterali. A Dubrovnik o al parco nazionale dei laghi di Plitvice,il numero dei turisti supera ormai la quota massimaindicata dall’Unesco come parametro per la prote-zione del patrimonio culturale e naturale. Si parla di10mila persone al giorno in fila sui bastioni della vec-chia Ragusa e di oltre 15mila all’interno del celebreparco croato: un flusso eccessivo per l’Unesco che hagià intimato alle autorità di Zagabria di rimediare allasituazione. Inoltre, altre conseguenze negative, anchese più difficilmente quantificabili, colpiscono le cittàdella costa e le comunità che le abitano. Accade cosìche nel centro di Spalato ci sono sempre meno resi-denti locali, seguendo l’esempio di quanto già successoper le vie della vicina Traù (Trogir). Il successo dellaspiaggia di Zrče sull’isola di Pago rappresenta an-

ch’esso un’opportunità e una sfida per le autorità lo-cali, impegnate ora a trovare un equilibrio tra il turi-smo di massa legato alle discoteca e la voglia di pro-muovere i propri siti storici e culturali. Proprio per rimediare a questa strategia mono-setto-riale che colpisce le coste croate, un movimento si èsviluppato negli ultimi anni in Dalmazia. Si tratta del«movimento delle isole» (Pokret Otoka), un’iniziativalanciata da un gruppo di giovani abitanti (perlopiùdonne) con l’obiettivo di immaginare e pianificare unfuturo sostenibile per le mille isole croate. Nato a fine2015, Pokret Otoka ha creato una rete per lo scambiodi idee e buone pratiche e ha recentemente portatoalla firma di una «Dichiarazione dell’isola intelligente»(Smart Island Declaration), presentata a fine marzo2017 a Bruxelles.

Gio.Va.

Turismo e ambiente

Turisti: tanti, forse troppi Fonte primaria dell’economia della Croazia, il turismo incontrollato comincia a pro-durre danni collaterali.

Sotto: la città fortificata di Dubrovnik (Ragusa), vista dal forteLovrijenac. Pagina seguente, in alto: il teatro nazionale croato(Hnk), in piazza Maresciallo Tito, a Zagabria.

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nare la normativa in materia diaborto (che risale al 1978) inmodo da renderla pienamentecompatibile con l’ordinamentonato dopo la dissoluzione della Ju-goslavia. La riforma della norma-tiva non mancherà dunque di riac-cendere il dibattito.

Croazia-Serbia: una ruggineche non passa Un’altra questione religiosa - e le-gata anch’essa all’anno 1941 - ciporta ad affrontare il capitolo deirapporti con la Serbia. Il caso delcardinale croato Alojzije Stepinacprovoca infatti degli scontri rego-lari tra le cancellerie di Belgrado edi Zagabria. In breve, Stepinac(1898-1960), che fu arcivescovonella capitale croata durante la Se-conda guerra mondiale, è accu-sato dalle autorità serbe di criminidi guerra e di collaborazionismocon il regime di Ante Pavelić e,proprio per questo, fu condannatoa 16 anni di prigione nel 1946 dallagiustizia jugoslava. Ma per la Croa-zia, Stepinac fu in realtà una vit-tima del comunismo, come dimo-stra il fatto che papa GiovanniPaolo II lo abbia proclamato«beato» nel 1998 e che una com-missione in Vaticano stia discu-tendo ora della sua eventuale san-tificazione. Lungi dall’essere aned-

dotica come potrebbe sembrare,questa vicenda funge da leitmotivnelle relazioni bilaterali serbo-croate, intervallate dagli anniver-sari del conflitto e dalle frequentidichiarazioni incendiarie.Anche in questo caso, l’apice dellatensione diplomatica tra Croazia eSerbia è stato raggiunto durante ilmandato di Orešković, quando ilministro degli Esteri di Zagabriaera Miro Kovač - uno dei falchi del-l’Hdz - ed il suo corrispettivo serboera Ivica Dačić, alla guida del Par-tito socialista (Sps) che fu di Slobo-dan Milošević. Nell’estate del2016, Belgrado si è spinta fino ascrivere all’Unione europea perprotestare contro «la riabilitazionedell’ideologia ustascia in Croazia»,mentre a livello locale continua-vano le provocazioni, almeno finoalla nuova tornata elettoralecroata. La nuova vittoria dell’Hdz,epurato questa volta dal suo vec-chio leader Tomislav Karamarko eguidato dal più moderato AndrejPlenković, ha portato ad una rosadi ministri quasi completamenterinnovata. Lungi dall’aver estintole fonti di conflitto all’interno dellasocietà, il «riaccentramento»dell’esecutivo croato ha comun-que contribuito a limitare la reto-rica nazionalista nei confronti deivicini.

socialdemocratico (Sdp), il fronteconservatore «Nel nome della fa-miglia» (U ime obitelji) era riuscitoa rendere illegale il matrimonio trapersone dello stesso sesso, dopoaver organizzato un referendumcostituzionale. L’esecutivo avevarisposto approvando le unioni ci-vili anche per le coppie omoses-suali, ma non era riuscito a chiu-dere il dibattito, in un paese che siprofessa cattolico quasi al 100%.Durante il mandato di Orešković,quindi, questo stesso movimentoè tornato alla ribalta organizzandouna «Marcia per la vita», con l’o-biettivo di «proibire l’aborto inCroazia», come assicurava allorauno dei registi dell’evento, ViceJohn Batarelo, presidente dell’Ong«Vigilare». Al corteo, a cui preseroparte migliaia di persone, sfilò inprima fila anche la moglie del pre-mier, mentre a qualche metro didistanza si teneva una secondamanifestazione, voluta dai gruppifemministi e Lgbt della capitale econ obiettivi diametralmente op-posti. Anche se è difficile che i mi-litanti di «Nel nome della fami-glia» arrivino a vietare l’interru-zione di gravidanza, va detto che iltribunale di Zagabria, rispondendoad una denuncia del 1991, ha datoal parlamento croato due anni ditempo (fino al 2019) per aggior-

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quattro cittadini su cinque sonopronti a lasciare il proprio paesepur di trovare un posto di lavoro.Una vera e propria emorragia, alpunto che secondo alcuni osserva-tori la Croazia conterebbe oggimeno di 4 milioni di abitanti, con-trariamente a quanto affermatodal censimento del 2011, che nerilevava 4,3 milioni.

InstabilitàColpita da sei anni di recessione(2009 - 2015) e prigioniera delle ri-correnti discussioni politiche e reli-giose, la Croazia fatica dunque atrovare quella serenità necessariaa costruire il suo tanto agognatofuturo europeo. Il ritorno dellacrescita, sostenuta soprattutto dalturismo che nel 2016 ha portatonel paese 16 milioni di visitatori(rappresentando quasi un quintodel Pil, vedi pag. 28) e l’elezione diun governo più moderato (ma giàin crisi a metà 2017) sembranorappresentare le giuste condizioniper voltare pagina in Croazia. Magli sforzi di una parte della societàcroata per lasciarsi alle spalle i fan-tasmi del nazionalismo dovrannofare i conti con il contesto regio-nale, caratterizzato da una cre-scente instabilità nei Balcani. In bi-lico tra passato e futuro, Zagabriaha oggi l’urgenza di completare ilprocesso di riconciliazione con lapropria storia recente e con i suoivicini. Solo su delle basi prive di re-torica, il paese potrà finalmenteabbracciare tutte le sue identità.

Giovanni Vale*

* Giornalista professionista, Giovanni Valeè collaboratore di diverse testateitaliane e francesi. Laureato in Scienzeinternazionali e diplomatiche all’univer-sità di Trieste, scrive perlopiù di Balcaniper Il Piccolo, Osservatorio Balcanie Caucaso-Transeuropa e per Pagina99.

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SCHEDA OBC

OSSERVATORIOBALCANI ECAUCASO

Nato nel 2000, con sede a Rovereto(Trento), l’«Osservatorio Balcani

e Caucaso-Transeuropa» (Obc) si oc-cupa dei paesi del Sud-Est europeo edi quelli appartenenti all’area post-sovietica. Segue in totale 26 stati at-traverso 50 corrispondenti in loco,che vanno ad aggiungersi a giornali-sti, ricercatori e studiosi.

Questa è la dodicesima puntatadella collaborazione tra Obc e

MC, dopo quelle su Transnistria(luglio 2014), Moldavia (ottobre2014), Cecenia (novembre 2014),Bielorussia (dicembre 2014),Bulgaria (gennaio 2015), Turchia(luglio 2015), Ucraina (dicembre2015), Kosovo (maggio 2016),Nagorno Karabakh (agosto-settem-bre 2016), Armenia (ottobre 2016)e Albania (marzo 2017).

• www.balcanicaucaso.org• www.rivistamissioniconsolata.it

La stanchezza dei giovaniIn questo contesto pesantementeinfluenzato dal passato (dal 1941,prima ancora che dal 1991), chene è delle giovani generazioni? An-che qui, si fa sentire la stessa divi-sione che attraversa la società nelsuo insieme, ma con una novità.Se è vero che una parte della gio-ventù croata rimane sensibile aidiscorsi che ruotano attorno allaretorica conservatrice, un’altraparte, stanca del dibattito politiconazionale e avvilita dalle magreprospettive economiche, scegliesempre più spesso la via dell’emi-grazione (a maggior ragione dopoil 2013, anno dell’ingresso delpaese nell’Ue). Spinti da una di-soccupazione giovanile che superail 30% (dati fine 2016), i ventennicroati preferiscono traslocare in Ir-landa, Germania o in altri paesidell’Europa settentrionale. E nonsono un’eccezione: secondo unsondaggio realizzato a febbraio2017 dal portale MojPosao.hr,

A lato: incontro tra il capo di stato ita-liano Sergio Mattarella e la presidentecroata Kolinda Grabar-Kitarović (aprile2015). Sotto: la cattedrale di Zagabria e,in primo piano, il campanile della chiesadi Santa Maria, nei pressi di Dolac, lapiazza del mercato centrale.

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CROAZIA

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