MISURE AMMINISTRATIVE DI CONTRASTO ALLA...

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1 MISURE AMMINISTRATIVE DI CONTRASTO ALLA CORRUZIONE E PROFILI DI RESPONSABILITA’ ERARIALE Paolo Luigi Rebecchi 1. Premessa. La corruzione quale fenomeno criminale. Strumenti investigativi efficienti ma scarsi effetti punitivi finali. In particolare assenza di significativi effetti di esclusione sociale per i colpevoli accertati. Richiami storici 2. La descrizione della situazione in Italia nel Rapporto 2014 della Commissione europea. 3. Le misure amministrative di prevenzione. La legge 190/2012. I precedenti (leggi 15/2009 e D.lgs. 150/2009) 4. La trasparenza. 5. I decreti attuativi della 190 in materia di trasparenza. La trasparenza negli appalti e nelle società partecipate Circolari funzione pubblica. Rapporti ANAC. 6. Profili di responsabilità amministrativa. La relazione del PG Corte dei conti per l’anno giudiziario 2014. Danno patrimoniale da tangente. Danno all’immagine.Responsabilità erariale tipizzata da omessa prevenzione della corruzione. 1.Le recenti inchieste penali su gravissimi fatti di corruzione riguardanti due importanti “grandi opere” (EXPO 2015 e MOSE) e i loro effetti mediatici e politico istituzionali rendono di estrema attualità il tema della corruzione nelle pubbliche amministrazioni. E’ stato osservato 1 che della corruzione nelle p.a. si parla con andamento “…carsico. Diverse fonti autorevoli ogni anno fotografano un fenomeno in espansione. Eppure, per lunghi periodi nessuno ne parla. Di tanto in tanto, da quella palude sotterranea affiora uno scandalo così clamoroso da non passare inosservato. Ecco, allora, che per qualche giorno tutti tornano a occuparsi di ciò che viene definito, di volta in volta , “”cancro””, “”male atavico””, “”maledizione””. Espressioni forti, eppure pronunciate senza convinzione….”. 1 R.CANTONE, Operazione Penelope. Perché la lotta alla criminalità organizzata e al malaffare rischia di non finire mai ., Milano,2012, pag. 104. Il volume, nel capitolo dedicato a “Pubblica corruzione: le mani sull’amministrazione dello Stato” evidenzia tra l’altro come uno dei fattori che hanno contribuito ad uno scarso contrasto del fenomeno, l’ “”incomprensibile smantellamento del sistema dei controlli” (pag.107) con riguardo particolare alla soppressione dei controlli sugli enti locali , gli “scudi” fiscali e le sanatorie, quali “inopportuni spot alla corruzione”, la creazione di “famigerate società miste pubblico- private” ,la “privatizzazione” dei controlli negli appalti pubblici, il depotenziamento dei “reati spia” (abuso di ufficio, falso in bilancio), il regime della prescrizione. V. anche C.SALVI-M.VILLONE, Il costo della democrazia, Milano-Mondadori, 2005- pag. 157 “…L’obiettivo di modernizzazione si è risolto in una sostanziale deresponsabilizzazione del potere politico e in un considerevole aumento degli spazi di discrezionalità politico amministrativa: ne abbiamo parlato a proposito dell’abuso d’ufficio, dello spoyl sistem, dell’ abolizione dei controlli amministrativi, della sanità, del rapporto tra politica e amministrazione e tra politica e società civile. Alla fine rimane una domanda: chi risponde di cosa, dove e come?” e pag. 183 “…e per la responsabilità contabile e quella penale?Va certamente evitato che le amministrazioni pubbliche sia surrettiziamente gestite dalla corte dei conti o dalla procura della Repubblica. Ma è opportuno riconsiderare le scelte fatte in passato,che oggi producono l’effetto di vanificare ogni responsabilità per la torsione clientelare che attanaglia il sistema. Non si tratta di intimidire nessuno con un tintillar di manette. Deve o no essere penalmente rilevante che l’assessore o il politico di riferimento abbia una “”riserva”” di posti in una società mista per i propri amici e sodali, o che “”amichevolmente””suggerisca il nome del vincitore del concorso da primario? Noi pensiamo di sì. Una cosa è non gravare l’amministratore in buona fede con un cumulo di sanzioni che lo rendano timoroso di ogni decisione di cui si assume la responsabilità. Altra cosa è non scoraggiare quei comportamenti e quelle scelte che sono espressione di prassi politico- amministrative inaccettabili, e che portano, in ultima analisi, allo spreco di risorse pubbliche. E dunque si consiglia una nuova riflessione, attenta all’esperienza di questi anni, in particolare su istituti quali l’abuso di ufficio e l’interesse privato. Per quanto riguarda poi la responsabilità per danni davanti alla corte dei conti, va vietata l’assicurazione dell’amministratore a carico dell’ente amministrato…che ne vanifica l’efficacia dissuasiva…”

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MISURE AMMINISTRATIVE DI CONTRASTO ALLA CORRUZIONE E PROFILI DI RESPONSABILITA’ ERARIALE

Paolo Luigi Rebecchi

1. Premessa. La corruzione quale fenomeno criminale. Strumenti investigativi efficienti ma

scarsi effetti punitivi finali. In particolare assenza di significativi effetti di esclusione sociale per i colpevoli accertati. Richiami storici

2. La descrizione della situazione in Italia nel Rapporto 2014 della Commissione europea. 3. Le misure amministrative di prevenzione. La legge 190/2012. I precedenti (leggi 15/2009 e

D.lgs. 150/2009) 4. La trasparenza. 5. I decreti attuativi della 190 in materia di trasparenza. La trasparenza negli appalti e nelle

società partecipate Circolari funzione pubblica. Rapporti ANAC. 6. Profili di responsabilità amministrativa. La relazione del PG Corte dei conti per l’anno

giudiziario 2014. Danno patrimoniale da tangente. Danno all’immagine.Responsabilità erariale tipizzata da omessa prevenzione della corruzione.

1.Le recenti inchieste penali su gravissimi fatti di corruzione riguardanti due importanti “grandi opere” (EXPO 2015 e MOSE) e i loro effetti mediatici e politico istituzionali rendono di estrema attualità il tema della corruzione nelle pubbliche amministrazioni. E’ stato osservato1 che della corruzione nelle p.a. si parla con andamento “…carsico. Diverse fonti autorevoli ogni anno fotografano un fenomeno in espansione. Eppure, per lunghi periodi nessuno ne parla. Di tanto in tanto, da quella palude sotterranea affiora uno scandalo così clamoroso da non passare inosservato. Ecco, allora, che per qualche giorno tutti tornano a occuparsi di ciò che viene definito, di volta in volta , “”cancro””, “”male atavico””, “”maledizione””. Espressioni forti, eppure pronunciate senza convinzione….”.

1 R.CANTONE, Operazione Penelope. Perché la lotta alla criminalità organizzata e al malaffare rischia di non finire mai., Milano,2012, pag. 104. Il volume, nel capitolo dedicato a “Pubblica corruzione: le mani sull’amministrazione dello Stato” evidenzia tra l’altro come uno dei fattori che hanno contribuito ad uno scarso contrasto del fenomeno, l’ “”incomprensibile smantellamento del sistema dei controlli” (pag.107) con riguardo particolare alla soppressione dei controlli sugli enti locali , gli “scudi” fiscali e le sanatorie, quali “inopportuni spot alla corruzione”, la creazione di “famigerate società miste pubblico-private” ,la “privatizzazione” dei controlli negli appalti pubblici, il depotenziamento dei “reati spia” (abuso di ufficio, falso in bilancio), il regime della prescrizione. V. anche C.SALVI-M.VILLONE, Il costo della democrazia, Milano-Mondadori, 2005- pag. 157 “…L’obiettivo di modernizzazione si è risolto in una sostanziale deresponsabilizzazione del potere politico e in un considerevole aumento degli spazi di discrezionalità politico amministrativa: ne abbiamo parlato a proposito dell’abuso d’ufficio, dello spoyl sistem, dell’ abolizione dei controlli amministrativi, della sanità, del rapporto tra politica e amministrazione e tra politica e società civile. Alla fine rimane una domanda: chi risponde di cosa, dove e come?” e pag. 183 “…e per la responsabilità contabile e quella penale?Va certamente evitato che le amministrazioni pubbliche sia surrettiziamente gestite dalla corte dei conti o dalla procura della Repubblica. Ma è opportuno riconsiderare le scelte fatte in passato,che oggi producono l’effetto di vanificare ogni responsabilità per la torsione clientelare che attanaglia il sistema. Non si tratta di intimidire nessuno con un tintillar di manette. Deve o no essere penalmente rilevante che l’assessore o il politico di riferimento abbia una “”riserva”” di posti in una società mista per i propri amici e sodali, o che “”amichevolmente””suggerisca il nome del vincitore del concorso da primario? Noi pensiamo di sì. Una cosa è non gravare l’amministratore in buona fede con un cumulo di sanzioni che lo rendano timoroso di ogni decisione di cui si assume la responsabilità. Altra cosa è non scoraggiare quei comportamenti e quelle scelte che sono espressione di prassi politico-amministrative inaccettabili, e che portano, in ultima analisi, allo spreco di risorse pubbliche. E dunque si consiglia una nuova riflessione, attenta all’esperienza di questi anni, in particolare su istituti quali l’abuso di ufficio e l’interesse privato. Per quanto riguarda poi la responsabilità per danni davanti alla corte dei conti, va vietata l’assicurazione dell’amministratore a carico dell’ente amministrato…che ne vanifica l’efficacia dissuasiva…”

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In ogni caso una considerazione abbastanza diffusa è che il sistema di contrasto alla corruzione sia piuttosto efficiente sotto il profilo dell’attività investigativa ed inquirente, pur considerando che si tratta di comportamenti per i quali è particolarmente alto il cd. “numero oscuro”, scarso è l’effetto punitivo finale sia in termini di sanzioni effettivamente applicate e in particolare sotto il profilo della “sanzione sociale” di esclusione di soggetti dichiarati definitivamente colpevoli dalla vita pubblica ed amministrativa. Sotto questo aspetto, al di là di considerazioni tecniche, il proposto " DASPO”2 per i corrotti è una misura che coglie il senso di una effettiva politica di contrasto alla corruzione. Prendendo a prestito una immagine figurata utilizzata recentemente dal presidente USA con riguardo allo strumento militare, la lotta alla corruzione si può paragonare ad un “martello” molto efficiente, ma, almeno nel nostro Paese, con “chiodi” molto deboli, che si piegano presto dopo i primi colpi: indagini complesse, con l’utilizzo di ogni sofisticato strumento investigativo (indagini patrimoniali, intercettazioni telefoniche ed ambientali, arresti e custodie cautelari) poi evolvono in processi penali lunghi ed esposti a rischio molto concreto di prescrizione che vanifica anche i sequestri operati, scarso utilizzo delle misure di prevenzione antimafia (pur consentite) , esecuzione della pena, per i casi in cui si arriva a sentenza definitiva di condanna, effettuata con l’utilizzo di strumenti alternativi previsti per soggetti spesso incensurati in relazione a pene non elevate (es. affidamento ai servizi sociali), infine “ritorno” sulla scena pubblica di soggetti già coinvolti in vicende corruttive del passato. La descrizione ora effettuata riprende vicende emerse in questi giorni, senza particolare enfasi. L’aspetto più significativo appare proprio l’effetto di mancata “esclusione sociale” di soggetti condannati per fatti di corruzione rispetto ad altri comportamenti criminali (ad esempio rispetto ad autori accertati di reati contro la persona o il patrimonio privato: un condannato per omicidio o per rapina non rientra nella vita politica, non viene eletto deputato o consigliere di ente pubblico regionale o locale, o nella pubblica amministrazione, nemmeno come “consulente” o “soggetto di riferimento”). La ragione di questa differenza si può rinviare alla sostanziale contiguità dei reati di corruzione con il potere (politico, ammnistrativo, giudiziario) e nella circostanza che gli autori (in qualità di corrotti) di detti reati siano “necessariamente” soggetti investiti di un qualche potere appunto politico (governativo, legislativo) ovvero amministrativo (di vario livello) o giudiziario. Si richiama quindi la collocazione dei comportamenti corruttivi fra quelli dei c.d. “colletti bianchi” (white collar crimes) o crimini delle classi agiate3. Ancora, in conseguenza si potrebbe classificare la corruzione in “politica”, “amministrativa” (di tipo gestionale-manageriale ovvero a livello più modesto o “pulviscolare”) o ancora “giudiziaria”. Ti tale contiguità e vicinanza ampia è la testimonianza storica4 può qui’ richiamarsi una ricerca sulla corruzione politica in Roma antica 5 nella quale sono descritte le varie tipologie

2 M.LUDOVICO, Il governo prepara il DASPO, in Il sole 24 ore, 7 giugno 2014, pag. 8; F.GRIGNETTI, Corruzione, il piano del governo, in La Stampa, 8 giugno 2014 3 P.MARTUCCI, La criminalità economica, Bari, 2006, ove sono descritti gli studi iniziali sulla criminalità economica risalenti a H.SUTHERLAND, docente dell’università dell’Indiana nel 1939-v. “I crimini dei colletti bianchi. La versione integrale”, Giuffré, Milano, 1987 4 G.GARRONE, L’Italia corrotta- 1895-1996, Roma, 1996; C.A.BRIOSCHI, Breve storia della corruzione, Milano, 2004. 5 L.PERELLI, La corruzione politica nell’antica Roma, Milano, 1994. In particolare con riferimento al settore degli appalti (pagg. 195 e ss.) viene riferito che “che “…come accade anche oggi e in tutti i tempi, le maggiori tangenti toccavano il

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di corruzione dell’epoca e i cui capitoli sono intitolati: “Politica e affari: bustarelle, appalti e tangenti; “Associazioni paramafiose: clientela ed amicizia. I potentati elettorali”, “Corruzione elettorale e brogli”, “Corruzione della giustizia”, “Raccomandazioni”6. Lo stesso scontro fra classi sociali nella repubblica romana fra “patrizi” e “plebei” nel periodo dei Gracchi7 riguardava anche il controllo delle corti “de repetundae”8 (contese in particolare fra la classe senatoria e i nuovi “cavalieri” ) che giudicavano degli illeciti profitti dei governatori delle province. Il più noto di tali processi è quello che venne intentato contro Verre, ex governatore della Sicilia e sostenuto da Cicerone. 2. Le criticità del sistema, peraltro sono note e documentate in atti pubblici, ricerche scientifiche, interventi pubblici di esperti e degli stessi vertici politici istituzionali. Un quadro aggiornato delle problematiche presenti nel nostro ordinamento è stato di recente evidenziato nella relazione della Commissione europea al Consiglio e al Parlamento europeo sulla lotta alla corruzione (Bruxelles, 3 febbraio 2014- COM (2014) 38 final ) il quale è stato accolto a livello mediatico soprattutto con riferimento alla quantificazione dei danni da corruzione indicati dalla Corte dei conti italiana nell’importo di 60 miliardi annui, riprendendo un dato quantitativo di cui la stessa Corte non rivendica la indicazione. Al di là delle polemiche sulla “paternità” del dato o sulle modalità del calcolo (che risulterebbe un adattamento nazionale ad un calcolo effettuato dalla Banca mondiale in rapporto al PIL)9 , non può negarsi che il richiamo della Corte dei conti al danno economico provocato dalla corruzione sia stato fra i segnali più recepiti, a livello di pubblica opinione, sugli effetti negativi, non soltanto criminali, ma sociali ed economici10, dei fatti di corruzione. L’allegato del rapporto dedicato all’Italia risulta di interesse in quanto evidenzia, da parte campo degli appalti pubblici dove erano frequenti accordi fra magistrati e appaltatori per truccare le gare ed elevare il prezzo dell’asta…”. Si richiamano esempi con riguardo a lavori per la manutenzione dei templi, per la costruzione di acquedotti , per la realizzazione di strade. Prosegue osservando che “…il sistema degli appalti gonfiati o truccati continuò in età imperiale, anche se forse in misura inferiore grazie ai controlli disposti dagli imperatori. Frequente era il costume, comune ai nostri tempi, di richiedere un supplemento di spesa col pretesto che la somma concordata nel contratto di appalti era insufficiente al completamento dell’opera pubblica appaltata…”. … Ancora, per i richiami storici cfr. P. MARTUCCI, op. cit., pag 25 “…La stessa storia romana testimonia in maniera inequivocabile la presenza di una “”delinquenza”” specifica costituita essenzialmente da molteplici forme di abuso fraudolento degli strumenti economici, posti in essere da professionisti della finanza e membri delle classi agiate. Fra questi, la classe accentratrice delle attività finanziarie era quella dei publicani, rilevatori dei grandi lavori, delle gabelle e in genere delle imprese governative (publica) la cui potenza si affermò con la formazione di grandi società, accentrate nella capitale, le quali, oltre che socii propriamente detti, comprendevano i participes o affines conductionis, che si dividevano le partes, azioni aventi un corso variabile secondo gli avvenimenti del giorno e sulle quali si stabilì ben presto il gioco al rialzo al ribasso. Al fianco dei publicani crescevano in ricchezza e potenza i banchieri, speculatori privati sul cambio delle monete, prestatori di denaro a usura, intermediari del credito da Roma alle Province…” 6 Per la prospettiva storica v. anche C.A.BRIOSCHI, Breve storia della corruzione, Milano, 2004 e G.GARRONE, L’Italia corrotta- 1895-1996, Roma, 1996 7 8 F.SERRAO, Classi , partiti e legge nella repubblica romana, Pisa, 1980 , pagg. 207 e ss. “…Repetundae (o pecunia repetundae) furono precisamente designate , a partire dall’ultimo secolo della repubblica, le somme ripetibili dagli ex magistrati (o dai loro figli) per gli illeciti patrimoniali durante la carica dagli stessi (o dai loro figli) conseguiti a danno dei popoli alleati di Roma o sottoposti al dominio romano…” Le leggi che regolarono l’istituto sono individuate nella “lex Calpurnia” (149 a.c.), “lex Iunia” (dal 149 al 123 a.c.), “lex Sempronia repetundarum” (123 a.c. ) proposta da Caio Gracco, “lex Acilia” (111 a.c.) , leggi “Servilie” (101-100 a.c.) , “lex Cornelia” ( 81 a.c.), “lex Iulia” (59 a.c.) di Giulio Cesare. 9 L.HINNA-M.MARCANTONI, Corruzione-La tassa più iniqua, Roma, Donzelli, 2013. In particolare pagg. 51 -58. Gli autori pur evidenziando varie criticità sulle modalità di calcolo non giungono ad una propria stima e concludono sul punto (pag.57) invocando nuove specifiche ricerche in quanto “…se non misuriamo la corruzione essa non potrà che peggiorare…” 10 L.GRASSIA, La corruzione allontana gli stranieri. In sei anni -58% gli investimenti, in La Stampa, 8 giugno 2014, pag.2

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di una Istituzione non coinvolta direttamente nelle dinamiche nazionali e con un’ottica “europea”, in modo privo di enfasi, le criticità di sistema ben note, esaminandone i settori di maggiore rilevanza (quadro normativo ed istituzionale, risultati di sondaggi sulla “percezione” del fenomeno, valutazioni del sistema imprenditoriale, impatto della corruzione, segnalazione degli illeciti (whistleblowing), “trasparenza delle attività di lobbismo”, ruolo dei media, rapporti con la criminalità organizzata11, finanziamento dei partiti politici, prescrizione dei reati, applicazione della nuova legge anticorruzione, conflitti di interessi e dichiarazioni patrimoniali, appalti pubblici, corruzione nel settore privato, profili evolutivi, dati statistici). In numerosi passaggi la relazione richiama il ruolo svolto dalla Corte dei conti italiana , individuandola come uno degli attori che possono contribuire al contrasto del fenomeno (pag.3 “…L’azione di contrasto, l’accertamento giudiziario e, in certa misura, l’azione della Corte dei conti sono stati per molto tempo i cardini della politica anticorruzione in Italia. La Corte dei conti, in particolare, ha un ruolo attivo nell’attuazione delle politiche anticorruzione, anche nel quadro della nuova legge anticorruzione, grazie a un’efficace attività operativa di controllo associata a eccezionali poteri di esercizio dell’azione di danno erariale della procura contabile12. La relazione nazionale sull’integrità del 2011 di Trasparency International giudica positivamente le prestazioni della Corte dei conti, delle autorità di contrasto, del potere giudiziario e dei servizi elettorali nella lotta contro la corruzione13. La relazione considera tuttavia piuttosto carente nel suo insieme la capacità di controllare il fenomeno corruttivo da parte della pubblica amministrazione, del parlamento, del governo, delle autorità anticorruzione, dei partiti politici, delle imprese, del difensore civico e dei media…”; pag. 4 “…La Corte dei conti italiana fa notare che i costi diretti totali della corruzione ammontano a 60 miliardi di euro l’anno (pari a circa il 4% del PIL). Nel 2012 e nel 2013 il presidente della Corte dei conti ha espresso preoccupazione per l’impatto della corruzione sull’economia nazionale14. La corruzione incide negativamente su un’economia già colpita dalle conseguenze della crisi economica…”; per ulteriori richiami alla Corte dei conti vv. pag. 4 (in tema di denunce), pagg. 7-8 (sul controllo del finanziamento ai partiti), pagg. 12, 13 e 16 (in materia di appalti pubblici) .

11 E. ROSSI ( a cura di), Criminalità organizzata transnazionale e sistema penale italiano, IPSOA, Roma, 2007; A.CENTONZE, Il sistema di condizionamento mafioso degli appalti pubblici-Modelli di analisi e strumenti di contrasto, Milano 2005; A.DI NICOLA, La criminalità economica organizzata, Milano, 2006; F.PINOTTI-L.TESCAROLI, Colletti sporchi, Milano, 2008; R.CAPACCHIONE, L’oro della camorra, Milano, 2008; R.CANTONE, Solo per giustizia, Milano, 2008; R.CANTONE, I gattopardi, Milano, 2010; G.AYALA, Troppe coincidenze, Milano 2012; E.CICONTE, ‘Ndrangheta padana, Rubettino, 2010; N.GRATTERI, La malapianta, Milano 2007; P.GRASSO, Per non morire di mafia, S.&K, 2009; A.PECORA, Primo sangue ,Milano 2010;R.SCARPINATO-S.LODATO, Il ritorno del principe, Milano 2008; G.CAPALBO, Roma mafiosa, Roma 2013; I.MACCANI, Monitoraggio e sistema di contrasto alle infiltrazioni della criminalità organizzata nei pubblici appalti, in Notiziario della Scuola di polizia tributaria della Guardia di finanza, Roma-Ostia, 1- 2005,pagg. 3-65; A.A.VV., Atti del convegno di studi sul tema “Il buon andamento dell’amministrazione degli enti locali territoriali e la lotta alla delinquenza organizzata”, Palermo 12-13 novembre 2004 –ISEL-ANCE; S.LODATO, Trent’anni di mafia, Milano, 2006; C.VULPIO, Roba nostra, Milano, 2009; J.DIKJE, Cosa nostra, Bari, 2008; A.VELTRI-A,LAUDATI, Mafia pulita, Milano 2009; P.GRASSO-E BELLAVIA, Soldi sporchi, Milano 2011; 12 La Procura della Corte dei conti italiana risulta fra gli organi requirenti maggiormente dotati di poteri di accertamento e ampiezza di ambito di cognizione fra gli omologhi uffici istituiti presso le Corti dei conti che in Europa sono dotate di funzioni giurisdizionali. In tal senso cfr. gli atti del Seminario organizzato dalla Corte dei conti italiana e dall’OLAF, tenutosi a Roma nei giorni 25-27 marzo 2014 (programma completo e comunicato stampa in www.corteconti.it) con le Corti dei conti di Francia, Grecia, Italia, Portogallo e Spagna. 13 http://transparency.org/whatwedo/nisarticle/italy_2011 14 http://corteconti.it/procura/giudizio_parificazione/parifica_2011/

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In una recente descrizione dell’attuale stato complessivo del sistema di contrasto è stato osservato che15 “…Il primo dato da cui partire è che sappiamo pochissimo, dal punto di vista quantitativo, della corruzione …La corruzione è un reato a cifra nera elevatissima: la cifra nera è la differenza fra i delitti commessi e i delitti denunciati. Le statistiche giudiziarie non rispecchiano affatto il fenomeno. Non solo non lo rispecchiano rispetto ai dati di 15 P.DAVIGO, Intervento nel corso del Seminario OLAF-Corte dei conti- Programma Hercule II- 2007-2013 , Roma 25-26-27 Marzo 2014.”..Normalmente i mercati illegali, non consentendo la tutela giurisdizionale, sono autoregolamentati, nel senso che chi viola le regole accettate dai componenti di quel mercato, viene escluso dal mercato. Però questa è una forma di tutela debole. Ovviamente, quando è presente il crimine organizzato, garantisce con la forza di intimidazione, se è necessario con l'uso delle armi, il rispetto dei patti illeciti e soprattutto il silenzio…la prima norma essenziale è quella di introdurre la condizione di non punibilità per il primo che parla, ovviamente entro un certo limite di tempo da reato commesso, perché altrimenti diventa uno strumento di ricatto nei confronti degli altri. Però questo non basta. La seconda cosa che bisogna fare è intervenire sulle cause che determinavano la scoperta sia pure rara della corruzione; e tenete conto che le condanne per corruzione dal 1995 al 2000 sono calate di circa il 90%, e quindi siccome non c’è ragione di ritenere che la corruzione sia diminuita anzi, gli indici di percezione la danno in continuo aumento, evidentemente semplicemente non vengono più presi; è aumentata l'impunità, non è diminuita la corruzione, e le ragioni per cui si poteva scoprire la corruzione erano essenzialmente due: primo, le indagini sui fondi neri - e qui ha già parlato a lungo il Procuratore Generale, inutile che io stia a ripetere le cose che ha già detto egregiamente lui - senza una seria normativa sulle falsità contabili non c'è speranza di contrastare le disponibilità extracontabili delle imprese, e quindi di individuare per questa via i fenomeni di corruzione. La seconda ragione, la seconda possibilità che c'era di scoprire questi fenomeni era un principio della fisica che è questo: per improbabile che sia un accadimento o quando l'arco temporale è sufficientemente ampio può verificarsi, o detta più volgarmente con un adagio popolare ‘tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino’. Se è un reato seriale, può essere che prima o poi, per difficile che sia scoprirla, la si possa scoprire statisticamente in un caso, e risalendo in passato si possono trovare altri casi, e siccome questi reati non sono commessi quasi mai da individui singoli ma in concorso di più persone, si riesce a creare una massa critica di indagati, e statisticamente sul numero qualcuno parla. Quale è però il problema? Il problema è che una volta, in Italia, la prescrizione nel reato continuato decorreva dall'ultimo reato commesso e con la riforma del sistema di prescrizione. Adesso la prescrizione decorre per ciascun reato autonomamente e quindi, in più è stata accorciata, si è ridotto drasticamente il numero di casi sui quali è possibile investigare per cui non c'è più la massa critica ed è più difficile che qualcuno decida di collaborare, questo è il punto. Quindi, va ridisciplinata la prescrizione sia allungandola, a parte il fatto che io trovo assurdo il sistema di prescrizione che è in vigore in Italia per cui la prescrizione continua a decorrere anche dopo l'esercizio dell'azione penale, continua a decorrere persino dopo la condanna in primo grado quando l’appellante è il solo imputato. E davvero, quando mi trovo a discutere con gli stranieri, fanno davvero fatica a capire questo curioso sistema di prescrizione italiano, anche perché mentre abbiamo un termine di prescrizione abbastanza ragionevole come stock iniziale, è ridottissimo – cioè un quarto di quello iniziale - il termine prorogato, per cui per esempio per un delitto punito fino a sei anni, il termine di prescrizione è di sei anni, si può arrivare a sette anni e mezzo con tutte le interruzioni. Il che vuol dire che se il Pubblico Ministero ha notizia di un reato commesso 5 anni e mezzo prima, deve interrompere la prescrizione e poi gli restano due anni per percorrere udienza preliminare in tre gradi di giudizio, assolutamente impossibile rispettare quei tempi. Ma soprattutto - e con questo mi avvio alla conclusione - credo sia necessario un massiccio ricorso alle operazioni sotto copertura che in Italia sono previste per altri reati ma non per questi reati, che tra l’altro richiedono una specifica disciplina, perché essendo reati contratto, cioè la volontà è simulata, non si consumano; c’è comunque il problema dell'articolo 49 comma secondo del codice penale, ‘reato impossibile’. Comunque io negli Stati Uniti mi sono sentito fare questa domanda: “Ma voi in Italia fate le indagini sulla corruzione”, dico: “Si, cerchiamo di farle”. “No, ma siete matti?! Ma è troppo difficile”. Gli dico: “Si, è così, effettivamente è difficile ma voi cosa fate, li lasciate rubare, non fate indagini sulla corruzione”? “No, noi facciamo il test di integrità. Subito dopo le elezioni mandiamo degli agenti sotto copertura a offrire denaro agli eletti. Quelli che lo propendono vengono arrestati. A ogni elezione la classe politica viene ripulita”. Ecco, adesso senza arrivare al sistema generalizzato di andar offrire denaro a tutti gli eletti, e magari limitandolo soltanto alle persone per esempio che abbiano un tenore di vita non compatibile con i redditi dichiarati, quindi che giustifichi l'utilizzo di operazioni sotto copertura in presenza di una situazione che potremmo definire già di grave indizio, questo permetterebbe di cercare di abbattere la cifra nera che contraddistingue questi reati. La situazione oggi, come dicevo, è tutt'altro che rosea. Io, una volta, ho preso un cicchetto da un componente del Consiglio Superiore della Magistratura perché ho detto una cosa che secondo lui sarebbe stato meglio che io non dicessi, non in quel contesto perlomeno, anche se è una cosa di cui sono assolutamente convinto ed è una verità criminologica, che è questa: c'era un seminario sull'ordinamento giudiziario italiano francese a confronto. Eravamo 65 magistrati italiani e 35 francesi. Io non ero tra i relatori. Era il 1996 quando c’era questo seminario, però fui chiamato al tavolo di Presidenza per spiegare ai colleghi francesi cos'era successo in Italia tra il ‘92 ed il ‘96. Giunto al ‘94 spiegai ai colleghi francesi che nelle elezioni del ‘94, anche in conseguenza di ciò che era emerso dalle indagini, c'era stato uno smottamento politico notevole. Erano scomparsi cinque partiti: uno era quello di maggioranze relative e degli altri 4, 3 avevano più di 100 anni. Quindi era un segnale molto molto forte e dopo di che dissi: “Sapete, noi organi preposti alla repressione penale, forze di polizia e magistratura, svolgiamo rispetto alla devianza criminale la funzione tipica che svolgono in natura i predatori, miglioriamo la specie predata, abbiamo preso le zebre lente, sono rimaste quelle veloci, o se preferite abbiamo creato i ceppi resistenti agli antibiotici”….”

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percezione della corruzione, per esempio elaborati da transparency international, ma non la rispecchiano neanche rispetto all'uso di un metodo abbastanza scientifico di valutazione dei fenomeni, che è l'indagine a campione; perché se tutte le volte in cui un'indagine giudiziaria è affondata in una particolare struttura, i dati di corruzione in quella struttura si sono rivelati devastanti, sorge il sospetto che probabilmente se affondassero le indagini anche in altri settori emergerebbe la stessa cosa. Chiarisco subito alcune caratteristiche qualitative della corruzione. La corruzione è seriale. Normalmente chi commette questi delitti tende a commetterli tutte le volte che ne ha occasione con ragionevole certezza di impunità. Secondo, è diffusiva o se preferite contagiosa, nel senso che dove c'è un corrotto presto o tardi ce ne saranno altri, fino a quando saranno quelli per bene a doversene andare perché rappresentano un pericolo per gli altri. Terzo, dà sempre vita a mercati illegali, frequentemente dà vita a veri e propri sistemi criminali. E in questo rientra una situazione di interrelazione col crimine organizzato, perché i mercati illegali sono gestiti molto meglio dal crimine organizzato che non quando sono autogestiti…. sono convinto che l'Italia abbia fenomeni di corruzione più gravi di altri paesi perché ritengo attendibili, gli dissi, di percezione alla corruzione. Sono un po' meno convinto che gli altri paesi ne abbiano così poca come risulta dai loro indici di percezione e questo per due ragioni: la prima ragione è che essendomi occupato di imprese italiane che hanno pagato tangenti sia in Italia che all'estero, ed essendomi occupato di imprese straniere che hanno pagato tangenti in Italia, non so se all’estero, però, non credo ci siano ragioni per escludere che non abbiano pagato tangenti anche nel loro paese, visto che avevano l’armamentario tipico delle stesse imprese italiane: bilanci falsi, addetti a queste faccende segrete e cose di questo genere. Ed allora assumo con i colleghi che avevano trattato i procedimenti a cui anch’io ero addetto, la responsabilità di avere contribuito a stracciare il velo dell'ipocrisia. È brutto dover fare l’apologia dell'ipocrisia, però François de La Rochefoucauld diceva una cosa che ci dovrebbe far riflettere: “L’ipocrisia è l'omaggio che il vizio rende alla virtù”. L'Italia ha molta corruzione, però ha forse meno ipocrisia degli altri paesi…”. 3.La legge 6 novembre 2012 n. 190-“Disposizioni per la prevenzione e repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”, rappresenta un nuovo passo, di cui peraltro già sono evidenziate varie criticità e per il quale si prospetta un nuovo intervento legislativo urgente, nel processo di adattamento del diritto nazionale all’esigenza, sempre più avvertita, anche a livello internazionale ed europeo di una effettiva e costante azione di contrasto alla corruzione16 anche sotto il profilo dell’organizzazione amministrativa e dell’adozione di misure a carattere organizzativo e preventivo, in assenza di una adeguata risposta penale 17-18.

16 AA.VV., (prefazione F. PATRONI GRIFFI), Il contrasto al fenomeno della corruzione nelle pubbliche amministrazioni , Roma, 2013 17 G.BALBI, I delitti di corruzione. Un’indagine strutturale e sistematica, Napoli ,2003 18 P. DAVIGO, Violazione dei doveri di fedeltà ed imparzialità, quantificazione degli effetti dannosi nelle amministrazioni pubbliche, in Riv. Corte dei conti, 1999, fasc. 2, IV, pagg. 151); S.PILATO, Trasparenza amministrativa e devianza finanziaria negli enti locali, in Riv. Corte dei conti, 2005,2, pp. 303 e ss.; P.DAVIGO-G.MANNOZZI, La corruzione in Italia. Percezione sociale e controllo penale, Bari, 2007, pp.32 e ss.; D.DELLA PORTA-A.VANNUCCI, Mani impunite-Vecchia e nuova corruzione in Italia, Bari 2007. A.MARRA, L’etica aziendale come motore di progresso e successo, Milano, 2012; AA.VV. (a cura di F.MERLONI e L.VANDELLI), La corruzione amministrativa. Cause, prevenzione e rimedi, ASTRID, Firenze, 2010; AA.VV. ,La corruzione in Italia. Per una politica di prevenzione, relazione della -Commissione per lo studio e l’elaborazione di proposte in tema di trasparenza e prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione , Roma , 2010; Commissione europea-Comunicazione della commissione al consiglio, al parlamento europeo ed al comitato

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Il ricorso a misure amministrative “preventive” sembra dipendere non tanto da una loro propria specifica necessità, quanto dalla considerazione che in presenza di una risposta punitiva, in definitiva, “debole”, si deve ricorrere a strumenti alternativi di contenimento del fenomeno. Le misure legislative dirette alla prevenzione e contrasto sono state inserite in un più vasto processo di riforma della pubblica amministrazione sulla base dei principi di “fedeltà” e “buona amministrazione”, indicati negli articoli 54 e 97 della costituzione italiana in base ai quali una amministrazione pubblica più efficiente , trasparente e meno costosa risulterà anche più impermeabile e reattiva di fronte alle condotte di corruzione. Precedentemente alla legge 190/201219, un disegno di contrasto alla corruzione attraverso misure amministrative era stato impostato dalla legge n. 15/2009 e dal d.lsg. 150/2009 (c.d. “leggi Brunetta”) con i quali erano state introdotte modifiche nell’organizzazione delle pubbliche amministrazioni, con particolare riguardo ai compiti e alla valutazione dei risultati dei dirigenti pubblici, alla introduzione di un articolato sistema di premi ed incentivi, e una riforma dei sistemi di controlli interno. Il decreto 150 conteneva una apposita sezione dedicata alla “Trasparenza” che riassumeva varie finalità comprendenti anche il contrasto alla corruzione. L’art. 11 20 (ora abrogato

economico e sociale europeo –Politica globale dell’UE contro la corruzione- Bruxelles, 28 maggio 2003; G.COLOMBO-F.MARZIOLI, Farla franca. La legge è uguale per tutti?, Milano 2012; N.PENELOPE, Soldi rubati, Milano 2011 19 Sul disegno di legge n. AC4434 “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione” l’allora Presidente della Corte dei conti (L.Giampaolino) aveva reso una audizione parlamentare in data 13 settembre 2011 nella quale, dopo aver espresso il parere della Corte sui vari articoli del provvedimento aveva evidenziato che “… non posso in questa sede non cogliere l’occasione per affermare fortemente il ruolo che la Corte dei conti può svolgere ai fini del contrasto e della prevenzione dei fenomeni corruttivi. A tal proposito, mi preme ricordare, ancora una volta, che, l’articolo 5 della Convenzione ONU anticorruzione, ratificata con legge 116 del 2009, pone, per la prevenzione della corruzione, tra gli altri, due principi fondamentali: trasparency e accountability. Ed è opportuno ribadire che il termine accountability, nell’accezione corrente nel mondo anglosassone, comprende qualcosa di più del mero concetto di responsabilità: per un funzionario della pubblica amministrazione essere accountable, infatti, significa essere sottoposto all’obbligo di rendicontazione; deve, cioè, dimostrare (in ogni momento), anche documentalmente, che nell’azione amministrativa siano stati rispettati, non solo i canoni della legalità, ma anche quelli dell’efficienza, dell’efficacia e dell’economicità, al presidio de quali opera la Corte dei conti. La Corte è, anzitutto, organo di controllo, garante dell’osservanza, da parte delle pubbliche amministrazioni e degli organismi di diritto pubblico, dell’obbligo della rendicontazione, in termini contabili e di risultato e, al contempo, giudice della responsabilità degli amministratori e dei funzionari delle pubbliche amministrazioni e dei predetti organismi di diritto pubblico… Con riguardo all’azione che la Corte svolge nella prevenzione della corruzione con l’attività di controllo, si è anche avuto modo di ricordare che le sezioni del controllo sono impegnate nell’azione quotidiana di verifica e valutazione dell’azione amministrativa. Si è avuto modo di evidenziare che più efficaci, sotto il profilo della prevenzione dei fenomeni corruttivi, sono i controlli sulla gestione. Ed, infatti, la consapevolezza degli amministratori e dei funzionari delle pubbliche amministrazioni che la Corte dei conti può svolgere, ex post, controlli puntuali, su aree definite della gestione, produce un buon livello di deterrenza, anche se la programmazione delle azioni di verifica (attraverso la quale i settori che saranno sottoposti a controllo sono resi noti) rende meno incisivo l’effetto di deterrenza” 20La trasparenza secondo l'art. 11 del d.lgs. 150 era definita come “....accessibilità totale, anche attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti istituzionali delle amministrazioni pubbliche, delle informazioni concernenti ogni aspetto dell'organizzazione, degli indicatori relativi agli andamenti gestionali e all'utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni istituzionali, dei risultati dell'attività di misurazione e valutazione svolta dagli organi competenti, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità. Essa costituisce livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione. 2. Ogni amministrazione, sentite le associazioni rappresentate nel Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti, adotta un Programma triennale per la trasparenza e l'integrità, da aggiornare annualmente, che indica le iniziative previste per garantire: a) un adeguato livello di trasparenza, anche sulla base delle linee guida elaborate dalla Commissione di cui all'articolo 13; b) la legalità e lo sviluppo della cultura dell'integrità. 3. Le amministrazioni pubbliche garantiscono la massima trasparenza in ogni fase del ciclo di gestione della performance. 4. Ai fini della riduzione del costo dei servizi, dell'utilizzo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, nonche' del conseguente risparmio sul costo del lavoro, le pubbliche amministrazioni provvedono annualmente ad individuare i servizi erogati, agli utenti sia finali che intermedi, ai sensi dell'articolo 10, comma 5, del decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279. Le amministrazioni provvedono altresì alla contabilizzazione dei costi e all'evidenziazione dei costi effettivi e di quelli imputati al personale per

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dall’art. 52, comma 5 del D.Lgs. 14 marzo 2013 n. 33) definiva la “Trasparenza” come un complesso di misure preventive dirette, tra l'altro a favorire legalità e integrità di comportamenti, con misure fondate sulla pubblicazione sui siti internet delle amministrazioni dei dati relativi ai dirigenti, ai loro curricula, alle loro retribuzioni nonché alle analoghe notizie relative ai consulenti delle p.a. (queste comunque previste da disposizioni già vigenti).21-22 Sull'impianto generale del decreto 150, si era osservato23 che lo specifico richiamo al contrasto alla corruzione contenuto nel medesimo rispondeva non solo alla necessità di assicurare comportamenti in linea con i principi di legalità, imparzialità, efficienza,

ogni servizio erogato, nonche' al monitoraggio del loro andamento nel tempo, pubblicando i relativi dati sui propri siti istituzionali.5. Al fine di rendere effettivi i principi di trasparenza, le pubbliche amministrazioni provvedono a dare attuazione agli adempimenti relativi alla posta elettronica certificata di cui all'articolo 6, comma 1, del decreto legislativo del 7 marzo 2005, n. 82, agli articoli 16, comma 8, e 16-bis, comma 6, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e di cui all'articolo 34, comma 1, della legge 18 giugno 2009, n. 69.6. Ogni amministrazione presenta il Piano e la Relazione sulla performance di cui all'articolo 10 comma 1, lettere a) e b), alle associazioni di consumatori o utenti, ai centri di ricerca e a ogni altro osservatore qualificato, nell'ambito di apposite giornate della trasparenza senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.7. Nell'ambito del Programma triennale per la trasparenza e l'integrità sono specificate le modalità, i tempi di attuazione, le risorse dedicate e gli strumenti di verifica dell'efficacia delle iniziative di cui al comma 2.8. Ogni amministrazione ha l'obbligo di pubblicare sul proprio sito istituzionale in apposita sezione di facile accesso e consultazione, e denominata: «Trasparenza, valutazione e merito»: a) il Programma triennale per la trasparenza e l'integrità ed il relativo stato di attuazione; b) il Piano e la Relazione di cui all'articolo 10; c) l'ammontare complessivo dei premi collegati alla performance stanziati e l'ammontare dei premi effettivamente distribuiti; d) l'analisi dei dati relativi al grado di differenziazione nell'utilizzo della premialità sia per i dirigenti sia per i dipendenti; e) i nominativi ed i curricula dei componenti degli Organismi indipendenti di valutazione e del Responsabile delle funzioni di misurazione della performance di cui all'articolo 14; f) i curricula dei dirigenti e dei titolari di posizioni organizzative, redatti in conformità al vigente modello europeo; g) le retribuzioni dei dirigenti, con specifica evidenza sulle componenti variabili della retribuzione e delle componenti legate alla valutazione di risultato; h) i curricula e le retribuzioni di coloro che rivestono incarichi di indirizzo politico amministrativo; i) gli incarichi, retribuiti e non retribuiti, conferiti ai dipendenti pubblici e a soggetti privati.9. In caso di mancata adozione e realizzazione del Programma triennale per la trasparenza e l'integrità o di mancato assolvimento degli obblighi di pubblicazione di cui ai commi 5 e 8 e' fatto divieto di erogazione della retribuzione di risultato ai dirigenti preposti agli uffici coinvolti. 21 A tale scopo concorreva anche il Programma triennale per la trasparenza e l'integrità che doveva essere predisposto , reso pubblico e attuato dagli organi di indirizzo politico amministrativo degli enti pubblici, sulla base delle linee guida fornite dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche che tra l'altro (art. 13 comma 5 lettera e del decreto 150- “...adotta le linee guida per la predisposizione dei Programma triennale per la trasparenza e l'integrità di cui all'articolo 11, comma 8, lettera a);...”), e presso la quale (art. 11 comma 8) è anche istituita la “la Sezione per l'integrità nelle amministrazioni pubbliche con la funzione di favorire, all'interno della amministrazioni pubbliche, la diffusione della legalità e della trasparenza e sviluppare interventi a favore della cultura dell'integrità. La Sezione promuove la trasparenza e l'integrità nelle amministrazioni pubbliche; a tale fine predispone le linee guida del Programma triennale per l'integrità e la trasparenza di cui articolo 11, ne verifica l'effettiva adozione e vigila sul rispetto degli obblighi in materia di trasparenza da parte di ciascuna amministrazione....”. 22 In particolare, nel decreto il termine corruzione , compariva tre volte: all'art. 13 comma 4 “...Nei limiti delle disponibilità di bilancio la Commissione può avvalersi di non più di 10 esperti di elevata professionalità ed esperienza sui temi della misurazione e della valutazione della performance e della prevenzione e della lotta alla corruzione, con contratti di diritto privato di collaborazione autonoma....”; all'art. 13 comma 5 “..La Commissione indirizza, coordina e sovrintende all'esercizio delle funzioni di valutazione da parte degli Organismi indipendenti di cui all'articolo 14 e delle altre Agenzie di valutazione; a tale fine:.....favorisce, nella pubblica amministrazione, la cultura della trasparenza anche attraverso strumenti di prevenzione e di lotta alla corruzione; all'art. 38- che modifica l'articolo 16 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, inserendo, tra l'altro (b) “...dopo la lettera l)...la seguente: «l-bis) concorrono alla definizione di misure idonee a prevenire e contrastare i fenomeni di corruzione e a controllarne il rispetto da parte dei dipendenti dell'ufficio cui sono preposti.». Le misure delineate nel decreto saranno definite sulla base delle indicazioni che verranno fornite dalla Commissione di cui all'art.13. Allo stato si notano sui diversi siti delle pubbliche amministrazioni alcune applicazioni riguardanti i dati relativi alle assenze del personale e alle retribuzioni dei dirigenti e dei consulenti. In tal senso , si segnala per accessibilità proprio il sito della Corte dei conti. Il sito della Commissione in www.governo.it) ,già attivo, riporta le prime delibere organizzative. 23 Decreto legislativo n. 150/2009 e responsabilità amministrativo contabile, in www.amcorteconti.it- marzo 2010.

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economicità sussidiarietà e trasparenza, indicati nella Costituzione, nei Trattati europei24 e nella legge sul procedimento 25 ma si collegava a vincoli internazionali di carattere giuridico ed economico. Il tema , come evidenziato anche nelle relazioni del Procuratore generale e dei procuratori regionali della Corte dei conti in sede di inaugurazione dell' anno giudiziario ha costituito da tempo un argomento di costante attenzione da parte della Corte dei conti italiana sia con riguardo alle sue funzioni di controllo esterno sullo Stato e sulle pubbliche amministrazioni, sia nell’esercizio delle sue funzioni giurisdizionali in relazione ai procedimenti attivati nei confronti di pubblici amministratori, di dirigenti e funzionari pubblici che determino danni per l’erario pubblico nello svolgimento del loro servizio (funzioni rispettivamente previste dagli artt. 100 e 103 della Costituzione e disciplinate da numerose leggi fra le quali le più importanti sono le leggi 14 gennaio 1994 n. 19 e n. 20). Questa particolare attenzione era stata anche ricordata nel Rapporto 2009 redatto dal Gruppo europeo contro la corruzione del Consiglio di Europa (GRECO)26. Il quadro complessivo degli strumenti di prevenzione e contrasto in Italia, nel 2009, era fornito dal Servizio nazionale di prevenzione e contrasto alla corruzione (“Servizio Anticorruzione e Trasparenza –SAeT al quale , con il decreto 2 ottobre 2008 del Presidente del Consiglio dei Ministri , sono state attribuite le funzioni dell’ex Alto Commissario per la prevenzione e il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito nella Pubblica amministrazione, soppresso dal decreto legge nr. 112/2008) Nella sua relazione al Parlamento per il periodo Ottobre 2008/Ottobre 2009, il Servizio aveva riferito che nello stesso arco temporale l’ “Indice di percezione della corruzione”, (C.P.I., Corruption Perception Index) attribuito all’Italia da Transparency International a conclusione della sua ricerca annuale del 2008 su 180 Paesi aveva attribuito all’Italia un punteggio di 4,8 rispetto al 5,2 dell’anno precedente, segnando un peggioramento della situazione rilevata e una retrocessione dell’Italia dalla 41esima alla 55esima posizione27.

24 Trattato sull'Unione europea e Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, versioni consolidate in vigore dal 1° dicembre 2009 a seguito delle modifiche introdotte dal trattato firmato il 13 dicembre 2007 a Lisbona (G.U.U.E. 9 maggio 2008, n. C 115).

25S.. AURIEMMA, La “terza” riforma del pubblico impiego: riflessi sul sistema della responsabilità amministrativa, in Seminario di formazione permanente della Corte dei conti,-Atti del Atti dell’Incontro di studio Le innovazioni recate dalla l. 15/2009 e dal successivo decreto legislativo 150/2009: dalla valutazione della performance alle modifiche al sistema della responsabilità (disciplinare e contabile), Roma, 9-10 dicembre 2009 -Un capitolo nuovo: il principio di integrità e il contrasto alla corruzione. In particolare osserva che “l'integrità è un principio di nuova concezione, maturato essenzialmente in ambito penalistico-aziendale alla luce del decreto legislativo n. 231 del 2001, che ha disciplinato la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica ed ha modificato la previgente regola penalistica in base alla quale “societas delinquere non potest”. L’innovazione del 2001 si è mossa nel senso di prevedere una responsabilità collaterale per gli Enti che non adottino e facciano effettivamente funzionare al loro interno “modelli” predefiniti (cd. compliance programs), sia organizzativi sia di controllo, capaci di disincentivare ed ostacolare le illegalità e la commissione di reati particolarmente gravi da parte di propri amministratori e dipendenti. In somma sintesi, il principio di integrità e la cultura della integrità puntano a favorire il formarsi di un costume “etico” (donde il vocabolo integrità), sia organizzativo sia comportamentale, che aiuti a contrastare fenomeni di illegalità e di corruzione. 26 Greco Eval III Rep (2008) 2E (P2), Strasbourg, 22 April 2009- “…Although the Court of Audit is not entrusted with a specific role in the fight against corruption, it contributes de facto to this objective through its auditing and judicial tasks. From 1996 to 2006, the Court of Audit issued a total of 17,576 sentences (6,620 convictions), in first instance. Generally, the judicial proceedings of the Court of Audit last around 1 year and 9 months in first instance, and 2 years and 5 months in appeal. In 2008, the Court of Audit recovered a total of 69,013,083 EUR for damages caused to the Italian State through corruption in public administration; a total of 185 judgments were issued against public officials involved in corruption offences…” 27 Nel rapporto era stato segnalato in particolare l'incremento dei reati riguardanti indebite percezioni di fondi e

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Il decreto 150 introduceva elementi innovativi nel contesto dell'azione di contrasto alla corruzione che negli anni scorsi, soprattutto in adempimento di impegni presi in sede internazionale e comunitaria , era stata realizzata con l'adeguamento degli strumenti di repressione penale, con la previsione di nuove fattispecie di reato, con l’estensione dell’area della punibilità alle persone giuridiche e con l’ampliamento delle ipotesi di confisca dei proventi dei reati di corruzione (strumenti attuati in particolare con la legge 29 settembre 2000, n. 300 di ratifica della Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee del 1995 e di due protocolli aggiuntivi, della Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri dell'Unione europea, del 1997 e della Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, con annesso, del 1997) e più recentemente con la legge n. 296/2006- legge finanziaria per l’anno 2007 che ha esteso la disciplina prevista per le confische relative ai reati di criminalità organizzata anche ai reati di corruzione e concussione, e con un rafforzamento dei poteri e competenze delle procure della Corte dei conti (in particolare con la legge 14 gennaio 1994, n. 19 e con vari provvedimenti normativi inseriti in leggi finanziarie annuali che prevedono esplicitamente la responsabilità erariale per comportamenti che violano regole di bilancio o di gestione specificamente individuati). Nel corso del 2009 l’Italia aveva ratificato la Convenzione ONU sulla corruzione (aperta alla firma a Merida nel 2003), con la legge nr. 116 del 3 agosto 2009 che aveva individuato nel Dipartimento della Funzione Pubblica , l’Autorità Nazionale Anticorruzione oggi competente in materia di: -politiche di prevenzione della corruzione efficaci e coordinate che favoriscano la partecipazione della società e rispecchino i principi di stato di diritto, di buona gestione degli affari pubblici e dei beni pubblici, d’integrità, di trasparenza e di responsabilità; -attuazione e la promozione di pratiche efficaci volte a prevenire la corruzione; -valutazione periodica degli strumenti giuridici e delle misure amministrative pertinenti al fine di determinare se tali strumenti e misure sono adeguati a prevenire e combattere la corruzione; - collaborazione con gli altri Stati parte e con le organizzazioni regionali ed internazionali competenti nella promozione e nella messa a punto delle politiche di prevenzione della corruzione, di pratiche efficaci volte a prevenire la corruzione, di valutazione periodica degli strumenti giuridici e delle misure amministrative pertinenti, anche attraverso la gestione della partecipazione dell’Italia a programmi e progetti

finanziamenti pubblici o truffe aggravate per la percezione di questi contributi, commessi da privati spesso attraverso la costituzione di società di capitali a responsabilità limitata che riescono a superare i sistemi di controllo a volte con la collusione di funzionari pubblici. In questo specifico settore la Corte dei conti italiana ha sviluppato negli ultimi anni una particolare attenzione sia in numerose analisi e relazioni svolte in sede di controllo, anche attraverso una apposita sezione centrale denominata Sezione affari comunitari e internazionali, sia in sede giurisdizionale, ove sono state attivate molte azioni di responsabilità per danno all’erario nazionale e comunitario nei confronti non solo di pubblici amministratori o funzionari ma , a partire dall’anno 2006 dopo l'ordinanza 4511/2006 della Corte di cassazione-sezioni unite civili , anche dei soggetti privati (sia persone fisiche che società , che hanno indebitamente percepito i fondi o li hanno utilizzati in modo non corretto. Queste azioni, dirette al risarcimento del danno sono promosse dai procuratori regionali della Corte dei conti e procedono indipendentemente dai processi penali o dalle azioni di recupero in via amministrativa promosse dalle amministrazioni danneggiate. Le Procure regionali della Corte dei conti possono anche chiedere il sequestro conservativo su tutti i beni dei soggetti convenuti che, al termine dei processi, in caso di condanna, si trasforma direttamente in pignoramento ovvero nel primo atto di esecuzione della sentenza. Le sentenze di condanna della Corte dei conti possono inoltre essere fatte valere in compensazione su eventuali altri crediti vantati dai soggetti condannati verso la pubblica amministrazione, anche nel caso di fondi comunitari. In argomento è di recente intervenuta l’ordinanza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione n. 20701/13 del 10 settembre 2013, che ha riconosciuto la giurisdizione della Corte dei conti italiana anche con riguardo al settore dei fondi “diretti” dell’Unione. Al riguardo si rinvia a La Corte di cassazione riconosce la giurisdizione contabile italiana nel caso di frode su fondi diretti dell’Unione europea , in www.foroeuropa.it.

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internazionali volti a prevenire la corruzione Le innovazioni contenute nel decreto costituivano strumenti attuativi degli obblighi anzidetti sotto il profilo delle misure di carattere preventivo, dirette al miglioramento dell’efficienza e della trasparenza della pubblica amministrazione28-29. Era stato osservato 30 come la riforma richiamasse sotto tale aspetto, il modello proposto dal d.lsg. 231/200131. Il principio di “integrità 32 era evidenziato come concetto “...maturato essenzialmente in ambito penalistico-aziendale alla luce del decreto legislativo n. 231 del 2001, che ha disciplinato la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica ed ha modificato la previgente regola penalistica in base alla quale “societas delinquere non potest”. L’innovazione del 2001 si è mossa nel senso di prevedere una responsabilità collaterale per gli Enti che non adottino e facciano effettivamente funzionare al loro interno “modelli” predefiniti (cd. compliance programs), sia organizzativi sia di controllo, capaci di disincentivare ed ostacolare le illegalità e la commissione di reati particolarmente gravi da parte di propri amministratori e dipendenti. In somma sintesi, il principio di integrità e la cultura della integrità puntano a favorire il formarsi di un costume “etico” (donde il vocabolo integrità), sia organizzativo sia comportamentale, che aiuti a contrastare fenomeni di illegalità e di corruzione....”33. Nel sistema delineato dal d.lgs. 231/01 “...l’attivazione e il regolare funzionamento di modelli di organizzazione (compliance programs) serve al giudice penale, nel giudicare sulla responsabilità amministrativa da reato, per ascrivere od

28Già nel 2004 era stato istituito l’ Alto Commissario per la prevenzione ed il contrasto della corruzione e di altre forme di illecito nella pubblica amministrazione (art. 1 della legge 16 gennaio 2003, n. 3) posto alla diretta dipendenza funzionale del Presidente del Consiglio dei Ministri”, Autorità amministrativa che poteva disporre indagini conoscitive e amministrative dirette ad accertare fenomeni di corruzione e di illecito o di pericoli di condizionamento da parte di organizzazioni criminali all’interno della pubblica amministrazioni, ad elaborare analisi e studi sulla adeguatezza e congruità del quadro normativo e delle misure poste in essere dalle amministrazioni per prevenire e per fronteggiare la corruzione , ad effettuare verifiche sulle procedure contrattuali e di spesa da cui potesse derivare danno erariale, con previsione in tali casi di obbligo di denuncia alle procure della Corte dei conti. Tale ufficio, nel 2008 era stato sostituito dal SaeT. 29Ulteriori iniziative specificamente dirette alla prevenzione della corruzione,segnalate dal Rapporto SAeT riguardavano la partecipazione ad una ricerca internazionale di Transparency sul whistleblowing, i cd. “soffiatori” e la promozione con l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, con l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani e con l’ Unione delle Province Italiane (UPI) dei cd. “patti di integrità” in materia di prevenzione delle illecite distorsioni in materia di appalti pubblici e di “stazione appaltante unica”. 30 Decreto legislativo n. 150/2009 e responsabilità amministrativo contabile, in www.amcorteconti.it- marzo 2010; 31 D.CERQUA, La responsabilità degli enti in Italia ed in Europa. I profili sanzionatori nell’ordinamento italiano, in AA.VV., La responsabilità delle persone giuridiche per reati di frode agli interessi finanziari dell’Unione europea e per crimini informatici, Atti del convegno di studi UAE-OLAF, Milano, 2009, ed. Bruylant, pp. 34 e ss..; Nello stesso volume A.GIARDA, Disciplina e problematiche relative ai modelli organizzativi, pagg. 215 e ss.; M.PALLADINO, La predisposizione del modello organizzativo, pp. 222 e ss.; per la prospettiva degli organi di controllo delle società cfr. N.PISANI, Controlli sindacali e responsabilità penali nelle società per azioni, Milano, 2009, cap. II, sezione seconda pagg. 84 e ss.-“La violazione degli obblighi di sorveglianza nell’impresa. Il rilievo della distinzione fra obblighi di vigilanza e obblighi di impedimento nel d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231”. 32S.AURIEMMA, op. cit.. 33S.AURIEMMA,op., cit. “..in tale prospettiva, è utile richiamare l’attenzione sulla modificazione testuale apportata all’articolo 16, comma 1, del decreto legislativo n. 165/2001, che ora fa carico ai dirigenti di concorrere “alla definizione di misure idonee a prevenire e contrastare i fenomeni di corruzione e a controllarne il rispetto da parte dei dipendenti dell'ufficio cui sono preposti….”

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escludere una responsabilità risalente a carico dell’ente collettivo...”.34-35. Veniva ulteriormente considerato che l'introduzione del modello 231 in ambito pubblico, rispondeva a logiche non completamente omogenee in quanto mentre nel caso dell'impresa , l'adozione dei modelli è finalizzata ad esonerarla dalla responsabilità (amministrativa) per i reati commessi dagli amministratori e dirigenti nel suo stesso interesse, nel caso delle disposizioni del decreto 150 si tratta di misure volte ad impedire che i funzionari pubblici commettano reati nel loro interesse ed in danno della pubblica amministrazione. Altro profilo preso in considerazione era quello secondo cui dalla giurisprudenza penale36 e civile sul 231 potevano trarsi alcune indicazioni idonee a modificare anche gli assetti giurisprudenziali contabili in tema di effetti scusanti o “riduttivi” dei difetti organizzativi.

34S.AURIEMMA, op. cit. 35S.AURIEMMA, op. cit. “..., all’opposto, nel caso della responsabilità contabile e per come comunemente operano le prospettazioni attoree ed il giudizio valutativo in sede contabile, l’assenza oppure l’errato e inadeguato funzionamento dei modelli organizzativi interni (segnatamente riferibili all’attivazione e funzionamento degli organi di controllo, nonché all’esercizio di poteri organizzativi che fungano da efficace contrasto alla commissione di fatti illeciti) non assumono i caratteri di elementi fattuali decisivi per la puntuale imputazione soggettiva della responsabilità nei confronti dei titolari dei poteri organizzativi medesimi (semmai a titolo di concorso causale nella produzione del danno), ma usualmente sono visti e vengono fatti operare come scriminanti o attenuanti della responsabilità individuale, o sotto il profilo soggettivo (cioè ai fini della verifica di non attingimento alla gravità di colpa), oppure sul piano della quantificazione del nocumento risarcibile addossabile all’agente responsabile (attraverso la cd. riduzione dell’addebito). Diventa quasi inevitabile trarre da tutto ciò una considerazione di massima, che non intende ovviamente generalizzare, ma si limita a registrare un accadimento tendenzialmente prevalente. Resta tuttora scarsamente spiegabile - nonostante la cosiddetta esclusività e specialità della giurisdizione contabile - che eclatanti inadeguatezze del modello organizzativo possano rappresentare, nella sede penale, occasione di addebito per responsabilità amministrativa da reato a carico di società private (con conseguente applicazione di sanzioni pecuniarie o interdittive) mentre, di contro e all’opposto,del danno), ma usualmente sono visti e vengono fatti operare come scriminanti o attenuanti della responsabilità individuale, o sotto il profilo soggettivo (cioè ai fini della verifica di non attingimento alla gravità di colpa), oppure sul piano della quantificazione del nocumento risarcibile addossabile all’agente responsabile (attraverso la cd. riduzione dell’addebito).... In altre parole, sembra assistere a due diverse ipotesi di “disorganizzazione”, diversamente apprezzate in sede giudiziale: quella privatistica (decreto n. 231/2007), rimessa alla autonormazione (cioè all’allestimento di un valido ed efficiente compliance program), ma molto più rigorosa e suscettiva di dare corso ad imputazioni di responsabilità anche nei confronti dei vertici aziendali; quella pubblicistica, affidata a normative eterodettate e presidiate persino da canoni costituzionali (art. 97 Cost.) e, ciononostante, meno cogente, perché idonea soltanto a fungere da scriminante o attenuante delle responsabilità soggettive individuali e capace di condurre a rideterminazioni in diminuzione della colpevolezza e dell’addebito. La differenza, a dire il vero, potrebbe spingere ad interrogarsi intorno al concreto esercizio di una giurisdizione, quella contabile, che in quanto meglio attrezzata nel valutare e misurare efficienza ed efficacia degli assetti organizzativi e procedimentali delle pubbliche amministrazioni, meglio sa giudicare sul detrimento che la disorganizzazione nelle pubbliche amministrazioni parimenti può recare agli interessi della collettività ed alle pubbliche finanze....” 36In argomento v. Trib. Roma, ordinanza 4 aprile 2003- est. Fini; Trib. Roma, ordinanza 22 novembre 2002, est. Finiti; Trib. Pordenone, sentenza 4 novembre 2002, est. Piccin, tutte in Foro it., 2004, II, 318 e ss; Trib. Milano, ordinanza 22 ottobre 2004, pres. ed est. Mannocci, in Foro it., 2004, II, 269 e ss.; Trib. Milano, ordinanza 27 arile 2004, est. Salvini e in particolare, per vari profili connessi anche al tema della revoca di finanziamenti pubblici, v. Trib. Milano, ord. 28 marzo 2003, est. Belmonte, entrambe in Foro it., 2004, II, 434 e ss.. v. anche L. BERTONAZZI, Il d.lgs. n. 231 del 2001 e il nuovo modello sanzionatorio dei soggetti collettivi, in Dir. proc. amm., 2001, pp. 1166 e ss; S.BARTOLOMUCCI,”Corporate governance” e responsabilità delle persone giuridiche.Modelli preventivi ed efficacia esimente ex d.lgs. 231/2001, Milano, 2004; M.GALDIERI, L’assenza di un vantaggio economico non esclude l’applicazione delle sanzioni, in Guida al diritto, 15 aprile 2006, pagg. 63 e ss, nota a sent. Cass. pen. sez. II, 20 dicembre 2005-30 gennaio 2006, n. 3615, Cesqui-ric. Jolly Mediterraneo srl.; D.CORRADO,, L’organismo di vigilanza previsto dal d.lgs. 231/2001, in Diritto societario, collana “Management” – ed. IL SOLE 24 ORE-Univ. Bocconi-La Repubblica, 2006, pagg. 278 e ss. Cass. Sez. VI penale, ord. 22 settembre 2004, Siemens AG ; Trib. Milano, ordinanza 24 ottobre 2004, ric. Siemens AG- “Non può essere considerato idoneo a prevenire i reati ed a escludere la responsabilità amministrativa dell'ente un modello aziendale di organizzazione e gestione adottato ai sensi degli artt. 6 e 7 del d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231 che non preveda strumenti idonei a identificare le aree di rischio nell'attività della società e a individuare gli elementi sintomatici della commissione di illeciti, quali la presenza di conti correnti riservati all'estero, l'utilizzazione di intermediari esteri al fine di rendere più difficoltosa la scoperta della provenienza dei pagamenti, la periodicità dei pagamenti in relazione alle scadenze delle gare di appalto indette dalla società...”; v.anche , con riguardo a sequestri e confische disposte ai sensi del d.lgs. 231/2001 Cass. 16 aprile 2009, soc. Impregilo CED Cass. 243198; 13 gennaio 2009, Fondazione centro San Raffaele del Monte Tabor; 26 giugno 2008 , Soc. Finanziaria Tosinvest e altri , Foro it., 2009, II, 475 e ss.

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Infatti, trib. Milano ,sent. n. 1774/200837 aveva affermato che “Per quanto attiene all'omessa adozione di un adeguato modello organizzativo , da un lato, il danno appare incontestabile in ragione dell'esborso per la concordata sanzione e, dall'altro, risulta altrettanto incontestabile il concorso di responsabilità di parte convenuta che, quale Amministratore Delegato e Presidente del C.d.A aveva il dovere di attivare tale organo, rimasto inerte al riguardo”. Si tratta di una ipotesi che si poteva definire, in termini amministrativo contabili, di “danno indiretto” subito dalla società per il pagamento della sanzione amministrativa da reato, e per il quale è stato chiamato a rispondere, in sede civile, il Dirigente che doveva assicurare la idoneità del modello organizzativo. Ne derivava che l'introduzione del “modello 231” in ambito pubblico già trovava un precedente giurisprudenziale “civile” che poteva essere richiamato in sede di configurazione del danno erariale connesso alla inadeguata predisposizione o inattuazione38 della pianificazione anticorruzione 39. Il percorso di adeguamento normativo un ruolo rilevante ha svolto la “Commissione per lo studio e l’elaborazione di proposte in tema di trasparenza prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione”, istituita con decreto del 23 dicembre 2011 dal ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione” con un “doppio mandato”: “…a) da un lato quello di formulare, in un arco temporale contenuto, alcune proposte di emendamento al disegno di legge in materia di anticorruzione (AC 4434), volte in specie a rafforzare le misure di contrasto alla corruzione ivi previste, in specie quelle relative alla prevenzione del fenomeno; b) dall’altro quello di predisporre, in un arco temporale più esteso, un rapporto in materia di anticorruzione, diretto, principalmente, ad identificare pratiche, modalità e misure, generali e settoriali, di prevenzione della corruzione nel settore pubblica…”. Nella propria relazione finale (pubblicata in data …..) la commissione, prima di passare alla illustrazione delle proposte di emendamento, aveva esposto alcune considerazioni generali riguardanti “la diffusione” e le “spiegazioni” del fenomeno, “il contesto internazionale”, “la politica di contrasto alla corruzione in Italia”, “la prevenzione: alcuni settori sui quali intervenire”, “i piani di organizzazione in funzione di prevenzione del rischio corruzione”, “l’integrità”, “incompatibilità, incandidabilità e ineleggibilità”, “codici di condotta”, “responsabilità disciplinare”, “trasparenza”, “il whisterblowing:tutela e premialità”, “formazione e promozione della cultura della legalità”. Nel capitolo relativo alla “diffusione del fenomeno” la Commissione aveva osservato che “…Come è stato sostenuto, con riferimento al contesto italiano, nel rapporto GRECO (Group of States against corruption) del 2011 “”La corruzione è profondamente radicata in diverse aree della pubblica amministrazione, nella società civile, così come nel settore privato.Il pagamento di tangenti sembra pratica comune per ottenere licenze e permessi, contratti pubblici, finanziamenti, per superare gli esami universitari, esercitare la professione medica, stringere accordi nel settore calcistico, ecc…La corruzione in Italia è un fenomeno pervasivo e sistemico che influenza la società nel suo complesso”” E’ quanto emerge osservando i dati relativi al fenomeno della corruzione in Italia dell’ultimo decennio. Nel citarli è opportuno distinguere tra: dati tatti dalle rilevazioni giudiziarie; dati desunti dall’applicazione di talune metodologie volte a fotografare la percezione del fenomeno; dati

37Citata da M.PALLADINO, op. cit., pag.223 38 Peraltro lo stesso decreto 150 ricollegava alla mancata predisposizione o attuazione del Piano sulla trasparenza la non erogabilità della retribuzione di risultato ai dirigenti, con conseguente ipotesi di responsabilità erariale nel caso di erogazione non dovuta. 39 P.BRIGUORI, Riforma Brunetta. Sanzioni disciplinari più severe e numerose, in Il SOLE 24 ORE, novembre 2009.

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volti a misurarne i costi economici. Quanto ai primi, dalle statistiche giudiziarie – che naturalmente riguardano la sola parte emersa del fenomeno –è dato ricostruire una dinamica discendente non solo per quel che attiene ai numeri dei delitti di corruzione e concussione consumati (dai 311 casi del 2009 ai 223 del 2010), ma anche quelli riguardanti le persone denunciate (dalle 1821 del 2009 alle 1226 del 2010) e i soggetti condannati per i medesimi reati in via definitiva (dai 341 del 2007 ai 295 del 2008 (dati tratti dal sistema di indagine della polizia criminale-Servizio analisi criminale del Ministero dell’Interno, riportati nella relazione annuale al Parlamento del SAeT, maggio 2011). Volendo utilizzare i dati relativi ad un orizzonte temporale più esteso, è utile considerare che, sulla base delle fonti dell’ISTAT , l’ammontare delle persone coinvolte e dei reati denunciati per corruzione e concussione, in crescita dal 1992, dopo aver raggiunto il picco dei 2000 delitti e delle oltre 3000 persone denunciate nel 1995, si è ridotto a circa un terzo per i reati e della metà per le persone nel 2006. Parimenti, con riferimento al numero di condanne per reati di corruzione , si passa da un massimo di oltre 1700 condanne per reati di corruzione nel 1996 alle appena 239 del 2006 (quasi un settimo di 10 anni prima). Ben differenti sono i dati desunti all’esito dell’applicazione di talune metodologie volte a fotografare la percezione del fenomeno, convergenti nell’attestare una diffusione negli ultimi anni della corruzione avvertita. Al riguardo, un sondaggio del 2009 di Eurobarometro mostra che la percentuale di cittadini italiani che hanno ricevuto la richiesta o l’offerta di una tangente negli ultimi mesi di riferimento è pari al 17 per cento (quasi il doppio della media dei Paesi UE, pari invece al 9 per cento). Ancora , una rilevazione del Global corruption barometer 2010 di Transparency International , indica che, tra il 2009 e il 2010, il 13 per cento dei cittadini (a fronte della media del 5 per cento nei Paesi dell’Unione europea) ha dichiarato di aver pagato – direttamente o tramite un familiare- tangenti nell’erogazione di diversi servizi pubblici (nello specifico, il 10 per cento nei contatti col sistema sanitario; il 3,8 per cento con la polizia; il 6,4 per cento per il rilascio di licenze e permessi; l’8,7 per cento per utilities, il 6,9 per cento con il fisco; il 13,9 per cento in procedure doganali; il 28,8 col sistema giudiziario). Quanto alle motivazioni che hanno indotto alla dazione, il 2,8 per cento ha pagato la tangente per evitare problemi con le autorità, l’ 1,5 per cento per accelerare le procedure; l’1,3 per cento per ottenere un servizio cui aveva diritto. Il rapporto tra le prime due tipologie di dati indicati ha indotto a ritenere la sussistenza di un rapporto inversamente proporzionale tra corruzione “”praticata” e corruzione “”denunciata e sanzionata””: se la prima è ampiamente lievitata, la seconda, invece, si è in modo robusto ridimensionata. Infine, quanto ai costi economici del fenomeno, la Corte dei conti, ha stimato in diversi miliardi di euro il costo per il 2009 connesso al fenomeno della corruzione. Costi ai quali si aggiungono quelli – di ancor meno agevole quantificazione- sempre economici ma indiretti: si pensi ai costi connessi ai ritardi nella definizione delle pratiche amministrative, al cattivo funzionamento degli apparti pubblici e dei meccanismi previsti a presidio degli interessi collettivi ovvero- per citare taluni settori maggiormente esposti al rischio corruzione – alla inadeguatezza, se non inutilità delle opere pubbliche, dei servizi pubblici e delle forniture pubbliche realizzati, al mancato o insufficiente controllo pubblico sull’attività di trasformazione del territorio, alla non oculata allocazione delle già scarse risorse pubbliche. Per una prospettiva ancor più ampia, la corruzione, minando alla radice la fiducia dei mercati e delle imprese, determina tra i suoi effetti una perdita di competitività per i Paesi, incluso certo il nostro: se non combattuta adeguatamente produce costi enormi, destabilizzando le regole dello Stato di diritto e del libero mercato. Non pare superfluo considerare, peraltro, che il diffondersi dei fenomeni corruttivi reca con sé danni ulteriori,

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di tipo sistemico, non misurabili in termini economici, ma riguardanti i valori fondamentali per la tenuta dell’assetto democratico: l’eguaglianza, la trasparenza dei meccanismi decisionali, la fiducia nelle istituzioni…”. Quanto alle “spiegazioni” del fenomeno, la Commissione osserva che “…differenti, nelle analisi e negli studi condotti sul tema della corruzione- sono gli approcci seguiti nel ricostruire le cause del fenomeno e della sua diffusione:con mero intento descrittivo e volendo schematizzare, sono emerse due principali opzioni:-economica la prima; -socio culturale la seconda. Per l’opzione di matrice economica, la scelte di pagare o accettare tangenti sono il risultato di un calcolo razionale, compiuto tenendo conto dei costi (tra cui la probabilità di essere scoperti e la severità delle sanzioni previste) e dei vantaggi attesi, confrontati con il costo delle alternative disponibili. Nel tentativo di indicare le principali variabili che orientano il calcolo economico della corruzione, è stata, al riguardo, elaborata la formula C=M+D-T-A: il livello di corruzione (C) si associa alla presenza di posizioni monopolistiche di rendita (M) e all’esercizio di poteri discrezionali (D), ed è inversamente collegato al grado di trasparenza (T) e di accountability (A) (o responsabilizzazione) degli agenti, a sua volta dipendente dalla circolazione di informazioni e dall’efficacia dei controlli istituzionali e sociali sul loro operato. Per l’approccio socio-culturale, il diffondersi dei fenomeni corruttivi è meno improbabile in quei contesti nei quali più elevati sono gli standard morali, il senso civico, lo “”spirito di corpo”” e il senso dello Stato dei funzionari. Secondo questa diversa-ma non alternativa-impostazione, la corruzione è tantomeno diffusa quanto maggiore è la forza delle convinzioni personali e delle cerchie sociali di riconoscimento favorevoli al sistema di valori che sostiene il rispetto della legge. Si tratta di spiegazioni, come accennato, che lungi dal dover essere considerate alternative, impongono piuttosto, in sede di elaborazione di una accorta politica di contrasto, di por mano a misure volte a rendere efficace non solo la repressione del fenomeno, così bilanciando il calcolo razionale cui hanno riguardo i fautori dell’approccio di matrice economica – ma anche , e prima ancora, la prevenzione dello stesso, intervenendo sull’integrità dei funzionari pubblici e, quindi, tra l’altro, sulla disciplina dei codici di condotta, delle incompatibilità , della responsabilità disciplinare, oltre che sui controlli interni e sui livelli di trasparenza…” Nel corso del 2012 è poi intervenuta l’approvazione della già richiamata legge n. 190. Anche quest’ultima non contiene una definizione di “corruzione” che viene data per presupposta. La Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica n. 1 del 25 gennaio 2013 ha chiarito che nel contesto della legge 190 “il concetto di corruzione deve essere inteso in senso lato, come comprensivo delle varie situazioni in cui, nel corso dell’attività amministrativa, si riscontri l’abuso da parte di un soggetto del potere a lui affidato al fine di ottenere vantaggi privati. Le situazioni rilevanti sono quindi evidentemente più ampie della fattispecie penalistica disciplinata negli articoli 318, 319 e 319 ter del c.p. e sono tali da comprendere non solo l’intera gamma dei delitti contro la Pubblica Amministrazione disciplinati nel Titolo II Capo I del codice penale ma anche le situazioni in cui, a prescindere dalla rilevanza penale, venga in evidenza un malfunzionamento dell’amministrazione a causa dell’uso a fini privati delle funzioni attribuite”. Nel corso del 2012 erano state inoltre ratificate le Convenzioni penale e civile sulla corruzione stipulate a Strasburgo nel 1999 (con la Legge n.110 del 28.6.2012). Le prime sperimentazioni realizzate nel corso del 2013 sono state illustrate dell’A.N.AC. (“Autorità Nazionale Anticorruzione”, succeduta alla CIVIT) nel rapporto pubblicato il 30

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dicembre 2013. L’Autorità evidenzia i primi risultati e le rilevanti criticità manifestatisi nel primo anno, emerse attraverso le attività svolte dall’Autorità e dagli altri soggetti istituzionali per dare attuazione alle indicazioni della legge 19040. Sotto il profilo normativo sono state poi emanate norme delegate dalla legge in materia di incandidabilità (d.lgs. 31 dicembre 2012 n. 235- “Testo unico delle limitazioni in materia di incandidabilità e divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell’art. 1, comma 63 della legge 6 novembre 2013 n. 190), trasparenza (d.lgs. 14 marzo 2013 n. 33-“Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”),di conferimento di incarichi (d.lgs. 8 aprile 2013 n. 39-“Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell’art. 1, commi 49 e 50 della legge 6 novembre 2012 n. 190), di comportamento dei dipendenti pubblici (D.P.R. 16 aprile 2013 n. 62- “Codice di comportamento dei dipendenti pubblici”), DPCM del 18 aprile 2013 sulla “White list”. Vanno inoltre richiamati i provvedimenti governativi costituiti dal DPCM 16 gennaio 2013 di “Istituzione del Comitato interministeriale per la prevenzione ed il contrasto della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”, dalle “Linee di indirizzo” del citato Comitato interministeriale per la predisposizione, da parte del Dipartimento della Funzione Pubblica del Piano Nazionale Anticorruzione previsto dalla legge 190, e dallo stesso Piano Nazionale Anticorruzione adottato dalla Funzione pubblica. Si richiamano inoltre il decreto legge 21 giugno 2013 n. 69, art. 29- Disposizioni transitorie in materia di incompatibilita’ di cui al decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39”41 e il Decreto Legge 31/8/2013 n. 101, convertito dalla legge 30 ottobre 2013 n. 125, art.5 –“Disposizioni in

40 Il rapporto ha evidenziato, tra l’altro, l’importanza delle rilevazioni anche statistiche del fenomeno e dunque la necessità di trovare strumenti di misurazione che consentano una comprensione più completa della sua dinamica e della sua distribuzione sul territorio e nei diversi settori, per indirizzare efficacemente le politiche di contrasto. A livello internazionale si sono consolidate alcune metodologie di misurazione che hanno prodotto diverse tipologie di indicatori che, per loro stessa natura, danno della corruzione un quadro alquanto differenziato in termini di entità. Gli indicatori soggettivi, sia di tipo percettivo che esperienziale, privilegiando l’accezione comportamentale del fenomeno, forniscono misure allarmanti del livello di corruzione in Italia. Gli indicatori oggettivi basandosi sulla elaborazione di dati economici collegati in qualche misura alla corruzione come, ad esempio, il costo delle infrastrutture o la gestione degli appalti pubblici, rischiano di fornire una misura nella quale è difficile distinguere gli elementi di inefficienza da quelli di corruzione del Paese. L’esigenza di migliorare la conoscenza quantitativa oltre che qualitativa del fenomeno corruttivo è dunque evidente, a fronte dei limiti e dei margini di errore che caratterizzano le misure attualmente esistenti e della carenza delle fonti di informazione. L’ANAC pertanto auspica un maggiore coinvolgimento dell’ISTAT ma ha ritenuto anche utile utilizzare le statistiche giudiziarie (denunce, arresti e condanne, che fanno specifico riferimento alle fattispecie dei reati contro la Pubblica Amministrazione), anche se è stato evidenziato come esse, in disparte le carenze registrate nelle fonti di informazione all’origine delle statistiche giudiziarie che già rilevano solo una piccola parte del fenomeno, scontino il problema della scarsa visibilità del reato, della scarsa propensione alla denunce e di alcune inefficienze del sistema giudiziario, e dunque rappresentano indicatori solo parziali della dimensione del fenomeno, fornendo una misura della corruzione molto più ridotta. Sono state prese in considerazione anche le vicende sottoposte all’attenzione delle Procure contabili pur essendo sicuramente una minima parte rispetto alla diffusione del fenomeno e riguardando comportamenti dannosi per l’erario solo a volte sovrapponibili a fattispecie costituenti reato ma che si sostanziano sempre in gravi sprechi di denaro pubblico. Per i profili di misurazione v. nello specifico ANAC, Corruzione sommersa e corruzione emersa in Italia: modalità di misurazione e prime evidenze empiriche, in www.anac.it; v. anche . L.HINNA-M.MARCANTONI, op. cit. 41 Che prevede che “In sede di prima applicazione, con riguardo ai casi previsti dalle disposizioni di cui ai capi V e VI del decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, gli incarichi conferiti e i contratti stipulati prima della data di entrata in vigore del medesimo decreto legislativo in conformita’ alla normativa vigente prima della stessa data, non hanno effetto come causa di incompatibilita’ fino alla scadenza gia’ stabilita per i medesimi incarichi e contratti”

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materia di trasparenza, anticorruzione e valutazione della performance”42. L’ambito di applicazione delle “leggi Brunetta” era definito nell’art. 1 del decreto 150/2009, con riguardo alle amministrazioni pubbliche “…di cui all’art. 2 comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165” ed aveva ad oggetto, in particolare una riforma organica del lavoro pubblico. L’obiettivo di una sua migliore organizzazione (art. 1 comma 2 del d.lgs. 150/2009) era perseguito attraverso vari strumenti tra i quali il rafforzamento dell’autonomia, dei poteri e della responsabilità della dirigenza, l’incremento dell’efficienza, il contrasto alla scarsa produttività e all’assenteismo e “…la trasparenza nell’operato delle amministrazioni pubbliche anche a garanzia della legalità”. Si trattava pertanto di una serie di misure diretta alle diverse pubbliche amministrazioni (ministeri, enti pubblici, università, regioni ed enti locali, università e scuole) ma non comprendeva le società pubbliche per le quali era prevista esclusivamente l’applicazione degli strumenti di cui al d.lgs 8 giugno 2001, n. 231(Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’art. 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300). L’art. 1 del d.lgs. 231, comma 2° prevede in particolare che le sue disposizioni non si applichino “allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici, nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale”. In tal modo è stata affermata la sua obbligatoria applicabilità agli enti pubblici economici ed alle società pubbliche in genere (Cass. Pen., sez. II, 9 luglio 2010, n. 28699; Trib. Salerno, 28 marzo 2003, in Cass. Pen. 2004, n. 114)43. Si era osservato in precedenza che il d.lgs. 150/2009 sembrava prospettare un’estensione del cd. “mod. 231” alle amministrazioni pubbliche. Con la legge 190, con la quale questo “modello” è stato interpretato, ampliato e ed adattato alle amministrazioni pubbliche si è anche proceduto all’estensione dei nuovi principi anticorruzione anche alle società pubbliche, che già dispongono del “sistema 231”, con conseguente necessità di coordinamento fra i due. Le società pubbliche o meglio “partecipate” dallo Stato e da enti pubblici, rispondono

42 stabilisce che “Ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 6 novembre 2012, n. 190, la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrita’ delle amministrazioni pubbliche assume la denominazione di Autorita’ nazionale anticorruzione e per la valutazione e la trasparenza delle pubbliche amministrazioni(A.N.AC.). All’articolo 13 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, il comma 3 e’ sostituito dal seguente: “3. L’Autorita’ e’ organo collegiale composto dal presidente e da quattro componenti scelti tra esperti di elevata professionalita’, anche estranei all’amministrazione, con comprovate competenze in Italia e all’estero, sia nel settore pubblico che in quello privato, di notoria indipendenza e comprovata esperienza in materia di contrasto alla corruzione, di management e misurazione della performance, nonche’ di gestione e valutazione del personale. Il presidente e i componenti sono nominati, tenuto conto del principio delle pari opportunita’ di genere, con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, previo parere favorevole delle Commissioni parlamentari competenti espresso a maggioranza dei due terzi dei componenti. Il presidente e’ nominato su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con il Ministro della giustizia e il Ministro dell’interno; i componenti sono nominati su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. Il presidente e i componenti dell’Autorita’ non possono essere scelti tra persone che rivestono incarichi pubblici elettivi o cariche in partiti politici o in organizzazioni sindacali o che abbiano rivestito tali incarichi e cariche nei tre anni precedenti la nomina e, in ogni caso, non devono avere interessi di qualsiasi natura in conflitto con le funzioni dell’Autorita’. I componenti sono nominati per un periodo di sei anni e non possono essere-confermati-nella-carica. 6. I commi 1 e 4 dell’articolo 34-bis del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre-2012,n.221,sono-abrogati. 7. Il Presidente e i componenti della Commissione di cui all’articolo 13 del decreto legislativo n. 150 del 2009, gia’ insediati alla data di entrata in vigore del presente decreto, restano in carica fino alla nomina del nuovo Presidente e dei nuovi componenti. Le proposte di nomina del Presidente e dei componenti devono essere formulate entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. 8. Le amministrazioni interessate provvedono all’attuazione del presente articolo con le risorse umane, strumentali e finanziarie previste a legislazione vigente, senza oneri a carico della finanza pubblica”. 43 A.DE VIVO, Il professionista e il d.lgs. 231/2001-Dal modello esimente all’organo di vigilanza, Milano 2010, pag. 6

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all’esigenza di intervento pubblico nell’economia realizzato utilizzando la capacità giuridica di diritto privato riconosciuta agli enti pubblici (art. 2093 cc., 2201 c.c.)44-45. Tale fenomeno si è sviluppato in Italia a partire dall’inizio del ‘900, con la costituzione delle prime società anonime con partecipazione degli enti locali, divenute poi società per azioni. Le prime società con partecipazione pubblica locale sono individuate46 nella Autoservizi Perugia spa (provincia di Perugia), costituita il 23 maggio 1907; la Rete Automobilistica Maremmana Amiatina,Rama spa (provincia di Grosseto e 16 comuni), costituita il 13 novembre 1913; la Società Trasporti Elettrici Ligure spa (comune di Sanremo), costituita il 16 luglio 1920. Il fenomeno si sviluppa nello stesso periodo anche a livello nazionale, in molteplici forme, che, a partire dall’azienda autonoma47, sfociano prima nell’ente pubblico economico (INA-1912, Banca nazionale del Lavoro-1915, Crediop -1919), nella grande holding (IRI-ENI) e quindi nella trasformazione degli enti pubblici economici in società pubbliche per azioni sulla base del d.l. n. 386/1991 (art.1), convertito nella legge 29 gennaio 1992 n. 3548. Sulla base anche della legislazione relativa agli enti locali il fenomeno della “privatizzazione” delle imprese pubbliche ha assunto dimensioni sempre più rilevanti tanto da divenire oggetto di interventi del legislatore diretti a limitarne l’aumento e a sottoporle a maggiori controlli49, anche in relazione all’esigenza di contenimento della spesa pubblica. Un particolare profilo che evidenzia tali esigenze di controllo pubblicistico sulle società partecipate attiene all’ambito di giurisdizione della Corte dei conti sui danni connessi a casi di cattiva gestione delle stesse, che ha dato luogo ad una articolata serie di pronunce della Corte di cassazione ed interventi dottrinali50.

44 R.TOMMASI, Il nuovo diritto privato della pubblica amministrazione, Padova, 2004, pp. 483 e ss. 45 A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989, pag. 1147 46 R.TOMMASI, op. cit., pag. 495 47 A.M. SANDULLI, op. cit., pag. 1149 48 F.CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, Milano, 2005, pp. 633 e ss ,cap. 14°Gli enti pubblici in forma societaria. Le ipotesi problematiche delle società statali e locali a partecipazione pubblica. 49 AA.VV (a cura di G.ROSSI), Le società di proprietà pubblica. Controlli e responsabilità, in Servizi pubblici e appalti, 2006, 2 50 Al riguardo, attesa la natura privatistica dell’attività di gestione e dei rapporti di lavoro presso tali soggetti, la giurisprudenza della Corte di cassazione non riconosceva la giurisdizione di responsabilità amministrativa nei confronti di amministratori e dirigenti degli enti pubblici economici (e delle società partecipate).L’assetto stabilizzato che escludeva la configurabilità della responsabilità amministrativa e della conseguente giurisdizione contabile nei confronti di amministratori e dirigenti di enti pubblici economici (e successivamente delle società a partecipazione pubblica) è stato modificato dalla ordinanza Cass. sez. un civ., ordinanza n. 19667 del 22 dicembre 2003), la quale nell’affermare l’estensione della giurisdizione contabile anche ad amministratori e dipendenti di enti pubblici economici, ha individuato nella “natura pubblica delle risorse utilizzate” il criterio fondamentale per il riparto della giurisdizione, in considerazione della oggettivizzazione dell’attività amministrativa , ormai generalmente svolta con forme anche privatistiche. Tale decisione ha ribaltato un quarantennale orientamento negativo ( fra le ultime cass, sez. un. 21 novembre 2000, n. 1193 relativa alla S.A.C.E. e cass. sez. un. civ. ord. 11 febbraio 2002, n. 1945 relativa ad un’azienda municipalizzata ), pur non potendosi dimenticare che la stessa corte di cassazione, non aveva già mancato di evidenziare un certo “disagio” per tale assetto del riparto che di fatto sottraeva un ampio e forse il più rilevante, in termini economici, settore della finanza pubblica all’accertamento delle responsabilità gestionali, anche quando siano conseguenza di dolose appropriazioni delle risorse collettive (cfr. cass. sez. un. 2 ottobre 1998, n. 9780, secondo cui “…il discorso -sulla carenza di giurisdizione del giudice contabile nella fattispecie di danni subiti da enti pubblici economici in relazione ad esercizio di attività imprenditoriali- …non sarebbe completo se questa corte non si facesse carico delle gravi preoccupazioni, di ordine pratico ed istituzionale, all’origine delle argomentazioni con le quali il procuratore regionale - il quale partecipa ai giudizi di responsabilità civile ed amministrativa dei pubblici amministratori e dipendenti in quanto portatore non dell’interesse particolare

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dell’amministrazione, ma di quello generale dell’ordinamento giuridico…- ha difeso la sua pretesa di assicurare alla Corte dei conti la competenza giurisdizionale nella presente vicenda processuale; il timore cioè tale limitazione temporale e la finora timida attività giudiziaria dell’ente danneggiato nei confronti dei pretesi responsabili possano risolversi in un sostanziale esonero di responsabilità…Trattasi di timore serio e reale di cui è arduo nascondersi la portata…”- fattispecie relativa alle tangenti ENIMONT”). Tale pronuncia appare costituire un significativo antecedente dell’ordinanza n. 19667 del 22 dicembre 2003, riguardante il presidente e i componenti consiglio amministrazione consorzio comprensoriale del Chietino per la gestione di opere acquedottistiche, con la quale è stata affermata la giurisdizione contabile in ordine al danno derivante dall’affidamento di un’ ingente somma a società finanziaria con investimento all’estero e conseguente perdita per l’ente (fattispecie collegata a vicenda penale).Tra il 1998 (ENIMONT) e l’ordinanza del dicembre 2003 comunque la Corte aveva continuato ad esprimere un avviso sfavorevole all’estensione della giurisdizione contabile, confermando gli orientamenti più risalenti (Cass. sez. un. civ. 2 ottobre 1993, n. 10381; 22 maggio 1991 , n. 5792; 2 marzo 1983, n. 1282; 21 ottobre 1983, n. 6179). Può in particolare menzionarsi l’ordinanza n. 1243 del 1° dicembre 2000 relativa alla posizione del direttore tecnico di un consorzio intercomunale gas acque e depurazione (Marche). La fattispecie riguardava danni connessi ad attività contrattuale con erogazione di tangenti e collegate vicende penali. In tal caso si affermava la giurisdizione ordinaria in quanto i fatti erano comunque pertinenti all’attività imprenditoriale dell’ente. La giurisdizione contabile era anche esclusa nella decisione n. 12708 del 20 gennaio 1999 (Amministratori e funzionari dell’azienda municipalizzata trasporti autofilotranviari di Bari – Danni connessi ad attività contrattuali - affidamento a società esterna del servizio di manutenzione complesso impiantistico, lavori di manutenzione straordinaria, lavori di spurgo di cisterne ed acque sporche, interventi di controllo di verifica impianti, acquisti di materiali) in quanto veniva ritenuto che i comportamenti censurati erano contrari non a norme di contabilità pubblica ma semplicemente agli “…obblighi generici del buon andamento e dell’efficienza dell’azione amministrativa…”. La Corte di cassazione, durante il periodo 1988-2003 affermava invece la giurisdizione contabile in fattispecie analoghe nelle quali la controversia veniva risolta escludendo il carattere “economico” dell’ente o la natura imprenditoriale dell’attività ( n. 829 del 29 novembre 1999 -componenti commissione amministratrice dell’azienda municipalizzata trasporti di Palermo –Danno connesso all’affidamento di consulenze esterne- Giurisdizione della Corte dei conti in quanto si trattava di attività incidenti “sostanzialmente” sul profilo organizzativo e funzionale dell’azienda e non in un’attività “propriamente imprenditoriale”; -n. 085 del 3 aprile 2000- Componenti consiglio di amministrazione dell’ente acquedotto pugliese- Danni per eccessivi compensi a componenti commissioni di valutazione di progetti finanziati dalla Agenzia per il Mezzogiorno- giurisdizione Corte dei conti perché l’ente non è “ente pubblico economico”; - n. 11 del 19 gennaio 2001 Presidente ASI- Danni per attività extraistituzionali- Giurisdizione corte dei conti perché l’ASI non è “ente pubblico economico”). La prima espressa pronuncia riguardante una società in mano pubblica , dopo l’ordinanza 19667/2003 è contenuta nella sentenza n. 3899 del 26 febbraio 2004 (Amministratori SOGEMI- società per l’impianto e l’esercizio dei mercati annonari all’ingrosso di Milano- al 99,97% di proprietà del comune di Milano- danni da attività contrattuale collegata a tangenti ), motivata tuttavia in relazione alla gestione di servizio pubblico, “non rilevando la natura privatistica dell’ente affidatario” delle funzioni pubbliche. Ulteriore pronuncia favorevole è la n. 3351 del 19 febbraio 2004- (Componenti commissione amministratrice azienda municipalizzata pubblici servizi di Parma- danni da erogazioni di somme per pura liberalità -sponsorizzazioni, acquisti di materiale privo di utilità - a favore di partiti politici ed associazioni varie) ove la giurisdizione della Corte dei conti è stata affermata sulla base del mero richiamo alla disciplina vigente per gli enti locali. Con la decisione n.10979 del 9 giugno 2004 (Presidente consiglio di amministrazione delle ferrovie dello Stato e ministro dei trasporti - Danno da indebito svincolo di anticipazioni a favore di imprese affidatarie di opere per l’alta velocità) la Corte di cassazione ha invece affermato la giurisdizione ordinaria perché si trattava di attività imprenditoriale “anteriore al 1994” e pertanto confermando l’impianto dell’ordinanza 19667/2003. Per la conferma del principio con riguardo agli enti pubblici economici cfr. Cass. civ. sez. un. n. n. 10973 del 25 maggio 2005.50 Nel corso del 2009 , in esito a ricorsi preventivi di giurisdizione, intervenivano le decisioni delle Sezioni Unite che riconsideravano compiutamente il quadro di riferimento della giurisdizione affermando (sent. n. 26806/09) , che sussiste giurisdizione contabile anche nei confronti di amministratori di società in mano pubblica quando si tratti di danno cagionato direttamente nei confronti del socio pubblico , Stato o altro ente pubblico, ma non nel caso di danno cagionato al patrimonio della società per il quale valgono le generali previsioni della responsabilità civile, salvo casi di particolare configurazione dei rapporti fra ente pubblico e società (cfr sent. n. 27092/09 del 27 ottobre 2009, relativa alla giurisdizione sugli amministratori e dipendenti della R.A.I. Radiotelevisione Italiana spa). A tali decisioni si aggiungevano l’ord. n. 5019 del 3 marzo 2010 (concernente la responsabilità di amministratori e soci di s.r.l., nella quale si sottolineava la diversità rispetto ad un indice di collegamento che si basi solo sulla “partecipazione azionaria”, finendo con il confondere tra costituzione della società o acquisto delle quote azionarie e l’azione lesiva successiva compiuta dagli amministratori) e l’ord. n. 5032 del 3 marzo 2010 (concernente dipendenti di ENAV S.p.A., nella quale si precisava che a fondare la giurisdizione contabile vale l’esistenza di un capitale sociale interamente pubblico, nonché il servizio pubblico svolto dalla SpA). La Corte di cassazione precisava che la giurisdizione contabile si esercita unicamente sul danno inferto direttamente al patrimonio del soggetto pubblico partecipante (ad esempio: danno all’immagine), ma non per i danni che si assumono causati al patrimonio della società privata. Per questi ultimi è il socio pubblico, nella sussistenza dei presupposti di legge, facultato ad esercitare l’azione sociale civile. Piu’ recentemente tuttavia, sono intervenute numerose disposizioni normative relative alle società partecipate, dirette al contenimento dell’uso di detto strumento organizzativo in relazione ad esigenze di contenimento della spesa e di rafforzamento dei controlli sulla loro gestione. Si richiamano in particolare l’art. 13, commi 1 e 2 del decreto legge n. 223/2006 convertito nella legge n. 248/2006 (come modificato dal comma 4-septies dell’art. 18, decreto legge 29 novembre 2008, n. 185, aggiunto dalla relativa legge di conversione, poi dal comma 1 dell’art. 48, legge 23 luglio 2009, n. 99) in materia di limiti alla operatività nei settori economici e commerciali delle società ad oggetto sociale esclusivo; l’art. 3, comma 27, della legge 24 dicembre 2007 n. 244 (legge finanziaria 2008, come modificato dal comma 4 –octies dell’art. 18, del decreto legge 29 novembre 2008, n. 185, aggiunto dalla relativa legge di conversione, e poi dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 71 della legge 18 giugno 2009, n. 69) che pone il divieto,

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Il più recente approdo riguardante questo tema è costituito da un limitato mutamento degli orientamenti giurisprudenziali attestati nella affermazione della giurisdizione ordinaria, con l’enucleazione, tra le società partecipate, di quelle c.d.”in house” (così denominate sulla base della giurisprudenza della Corte di giustizia UE in materia di contratti pubblici)51 , per le quali le ragioni di autonomia gestionale civilistica risultano particolarmente limitate. Le società di tal genere sono caratterizzate dal peculiare rapporto organizzativo che lega l’ente pubblico alle società controllate (si è parlato nella giurisprudenza amministrativa di rapporto di delegazione interorganico: Consiglio di Stato, V sez. n. 8970/2009)52.

per tutte le amministrazioni, di “costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali”; l’art. 19 comma 5 del decreto legge 1 luglio 2009 n. 78, sulle società in house delle amministrazioni statali per la gestione di fondi o interventi pubblici; l’art. 23-bis del decreto legge 25 giugno 2008 n. 133, convertito nella legge 6 agosto 2008 n. 133 e successive modificazioni, pur se abrogato dal relativo referendum, dall’art. 1 del dpr 18 luglio 2011 n. 113, sostituito dall’art. 4 del decreto legge n. 138/2011, che distingue nettamente l’attività economica sul mercato dall’attribuzione di diritti di esclusiva per lo svolgimento di attività amministrative (anche in forma di impresa) o di attività economiche per le quali un’analisi di mercato dimostri l’impossibilità del ricorso alla libera iniziativa economica privata. In tale contesto può anche essere verosimilmente riconsiderato l’art. 16 bis della legge 28 febbraio 2008 n. 31, che risulta fissare un limite, anche se solo quantitativo e dunque inidoneo a risolvere tutte le aporie sistematiche, al di sopra del quale (ragionando a contrario) vi sarebbe un interesse pubblico alla incardinazione del giudizio contabile e legittimazione processuale attiva obbligatoria. Il Legislatore è ulteriormente intervenuto nella materia con il d.l. n. 95/2012, convertito nella legge 135/2012, il quale all’art. 4 comma 12 ha previsto una diretta responsabilità per danno erariale degli amministratori e dirigenti di società controllate da amministrazioni pubbliche che erogano prestazioni a favore di amministrazioni pubbliche superiori al 90 per cento del fatturato, in caso di erogazione ai dipendenti di compensi in violazione dei limiti stabiliti dalla norma. In tali casi risulta essere stata posta in essere, sia pure per specifiche tipologie di spesa, una espressa interpositio legislatoris a favore della giurisdizione contabile. Analoga interpositio legislatoris a favore del giudice contabile appare disposta dai commi 7 e d 8 dell’art. 1 del medesimo d.l. , nei confronti di amministratori delle società a totale partecipazione pubblica, inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione , in caso di violazione dell’obbligo, valevole per tali società, di rispettare, in determinati ambiti, le convenzioni CONSIP. Allo stesso modo, anche per le società controllate dalle amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione valgono i limiti di spesa per l’utilizzo delle auto di servizio ed i dirigenti delle stesse sono suscettibili di responsabilità amministrativa, in caso di superamento dei suddetti limiti (v. art. 5 commi 2 e 3 del d.l. n. 95/2012). Inoltre il d.l. n. 174 del 2012, convertito nella legge n. 213/2012 ha introdotto l’art. 147 quater al testo unico degli enti locali che prevede, oltre alla necessità di un bilancio consolidato, un penetrante e sistematico sistema di controllo sulle società non quotate partecipate dagli enti locali i quali devono definire, preventivamente, gli stessi obiettivi gestionali cui devono tendere tali società. L’autonomia decisoria gestionale delle stesse viene , perciò, ulteriormente ridotta. V. anche F.FUBINI, La giungla delle società in mano pubblica.Oltre 7 mila spa, perdono 2,2 miliardi, in La Repubblica, 16 gennaio 2014, pag.16; AA.VV. , Atti dell’incontro di studio “Le società pubbliche: il difficile equilibrio fra le giurisdizioni”- Corte di cassazione-Sezioni unite civili-Corte dei conti-Associazione magistrati, Roma, Corte di cassazione, 8 aprile 2013 51 F.CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, Milano, 2005, pp. 695 e ss ,cap. 15°La nozione comunitaria di pubblica amministrazione: la controversa categoria dell’organismo di diritto pubblico nel settore degli appalti pubblici.. 52 La Corte di cassazione ha sottolineato (Sez. un. ord. n. 10063 del 2011) come “il problema va risolto esaminando caso per caso se la società per azioni sia un soggetto non solo formalmente ma anche “”sostanzialmente”” privato ovvero essa sia un mero modello organizzatorio del quale si avvalga la P.a. al fine di perseguire le proprie finalità”. Proprio la particolare natura, regolamentazione e finalità della società presa in considerazione sono stati motivi che hanno portato la Corte di cassazione a riconoscere la giurisdizione contabile nel caso di danni causati da amministratori alla RAI spa (Sez. Un. civ. ord. n. 27092 del 2009). Si tratta pertanto di società di diritto privato sui generis, che non risultano sovrapponibili al modello disegnato dal legislatore civile e risultano soggette alla disciplina non solo civilistica ( ma ciò avviene anche per i soggetti pubblici in senso stretto), ma a tutta una serie di regole e normative che incidono fortemente sulla loro governance e che limitano fortemente la stessa vita societaria. Il modello delle società in house si è diffuso soprattutto a livello di enti locali al fine di consentire loro, in vista del migliore perseguimento dell’interesse pubblico, l’affidamento diretto di servizi pubblici in deroga alle procedure ad evidenza pubblica. Siffatta modalità di affidamento (che si affianca ad altre tipologie quali il ricorso: a) all’imprenditoria privata secondo il principio della libera concorrenza; b) ad ente strumentale sfornito di personalità giuridica, senza necessità di gare; c) a società esterna, fornita di personalità giuridica, mediante un atto di concessione di contemporanea esecuzione e gestione del servizio) si concretizza nell’assegnazione diretta ad una società esterna – anch’essa fornita di personalità giuridica autonoma e quindi soggettivamene separata dall’ente – che però ha le caratteristiche appunto di una società in house e cioè di una società che opera come una sorta di derivazione (longa manus) dell’Amministrazione. L’affidamento in questione ha però fatto emergere il problema se e in quale misura l’intento di assicurare il menzionato interesse pubblico possa giustificare deroghe alla disciplina societaria di diritto comune. In altri termini, se la particolare configurazione della società, i suoi rapporti con l’ente pubblico ed il suo concreto operare la

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53-54. La Corte di cassazione, con la sentenza Sez. Unite del 25 novembre 2013 n. 26283, ha espressamente affermato la giurisdizione contabile nei confronti di amministratori di una spa “in house”55. In questo contesto di estensione di principi pubblicistici alle società partecipate rientrano anche le disposizioni contenute nella legge 190/2012, con le quali alcune previsioni riguardanti le amministrazioni pubbliche sono estese alle società partecipate. In particolare, in base al comma 34 della legge , le disposizioni della stessa legge previste dai commi da 15 a 33 si applicano, oltre che alle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1 comma 2 del d.lgs. 165/2001, anche agli enti pubblici nazionali, nonché alle società partecipate dalle amministrazioni pubbliche e dalle loro controllate ai sensi dell’art. 2359 del c.c., limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell’Unione europea. Le previsioni contenute negli anzidetti commi riguardano la trasparenza amministrativa56-

possano qualificare o meno come società in house providing. Il problema va risolto applicando un criterio variabile, che tenga conto delle sequenziali sfumature di volta in volta ricorrenti, posto che le dette deroghe possono in modo vario attestarsi nell’ambito intercorrente tra un livello minimo (in cui la società è interamente disciplinata dal diritto comune, mentre l’ente pubblico ha solo la titolarità delle azioni) ed uno massimo (in cui è assolutamente e sicuramente configurabile il preminente aspetto pubblicistico), fermo restando che tra tali due livelli sono rilevabili varie graduazioni, in cui la suddetta preminenza può desumersi attraverso appositi indici. Con la conseguenza che ove tale preminenza sussista, la società in house, al di là della forma giuridica rivestita, assume la configurazione di struttura assimilabile a ufficio interno dell’ente di riferimento. Affinché una società abbia le caratteristiche proprie di una società in house providing è necessario che ricorrano le seguenti circostanze: un capitale interamente pubblico, l’impossibilità di cedere una parte del pacchetto azionario a soggetti terzi, il requisito del controllo analogo e, infine, il vincolo della territorialità. La società in house providing, infatti, assume in tal modo la veste di braccio operativo, di articolazione ovvero di specifico ufficio dell’Amministrazione locale, scevra da un qualunque interesse di tipo privatistico, restando soggetta ad un controllo analogo a quello che l’ente locale esercita sui propri servizi. 53 La Corte costituzionale, con la sentenza n. 46/2013, ha precisato, in tema di “società in house” (richiamando quanto già affermato nella sentenza n. 325/2010) che “…Secondo la normativa comunitaria, le condizioni integranti la gestione in house, alle quali è subordinata la possibilità del suo affidamento diretto (capitale interamente pubblico, controllo esercitato dall’aggiudicante sull’affidatario di “”contenuto analogo”” a quello esercitato dall’aggiudicante stessi sui propri uffici; svolgimento della parte più importante dell’attività dell’affidatario in favore dell’aggiudicante) debbono essere interpretate restrittivamente, costituendo l’ “”in house providing”” un’ eccezione rispetto alla regola generale dell’affidamento a terzi mediante gara ad evidenza pubblica. Tale eccezione viene giustificata dal diritto comunitario con il rilievo che la sussistenza della suddette condizioni esclude che l’in house contract configuri, nella sostanza, un rapporto contrattuale intersoggettivo tra aggiudicante ed affidatario, perché quest’ultimo è, in realtà, solo la longa manus del primo. Quindi una diversa disciplina che favorisca le società in house rispetto all’aggiudicante amministrazione pubblica si potrebbe porre in contrasto con la stessa disciplina comunitaria, in quanto verrebbe a scindere le due entità e a determinare un ingiustificato favor nei confronti di questo tipo di gestione dei servizi pubblici, dato che il bilancio delle società in house non sarebbe soggetto alle regole del patto di stabilità interno. Le suddette regole , invece, debbono intendersi estese a tutto l’insieme di spese ed entrate dell’ente locale sia perché non sarebbe funzionale alle finalità di controllo della finanza pubblica e di contenimento delle spese permettere possibili forme di elusione dei criteri su cui il “Patto” si fonda, sia perché la maggiore ampiezza degli strumenti a disposizione dell’ente locale per svolgere le sue funzioni gli consente di espletarle nel modo migliore, assicurando, nell’ambito complessivo delle proprie spese, il rispetto dei vincoli fissati dallo stesso Patto di stabilità 54 Cfr. Vincoli europei, patto di stabilità e nuove responsabilità per gli amministratori locali, in Argilnews-aprile-maggio2013http://www.newsandsociety.net/pdf/20134-argilnews.pdf; 55 In “Le società”, 2004, 1, con nota di F.FIMMANO’ 56 V.SARCONE, La trasparenza amministrativa: da principio a diritto, in AA.VV, (prefazione F. PATRONI GRIFFI), Il contrasto al fenomeno della corruzione nelle pubbliche amministrazioni , cit.

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57 (commi 15-16-17-26-27-28-29-30-31-32) e l’arbitrato58 (commi 18-19-20-21-22-23). Il comma 15 fornisce la nuova definizione di trasparenza amministrativa (“15. Ai fini della presente legge, la trasparenza dell' attivita' amministrativa, che costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, secondo quanto previsto all'articolo 11 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n.150, e' assicurata mediante la pubblicazione, nei siti web istituzionali delle pubbliche amministrazioni, delle informazioni relative ai procedimenti amministrativi, secondo criteri di facile accessibilita', completezza e semplicita' di consultazione, nel rispetto delle disposizioni in materia di segreto di Stato, di segreto d'ufficio e di protezione dei dati personali. Nei siti web istituzionali delle amministrazioni pubbliche sono pubblicati anche i relativi bilanci e conti consuntivi, nonche' i costi unitari di realizzazione delle opere pubbliche e di produzione dei servizi erogati ai cittadini. Le informazioni sui costi sono pubblicate sulla base di uno schema tipo redatto dall'Autorita' per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che ne cura altresi' la raccolta e la pubblicazione nel proprio sito web istituzionale al fine di consentirne una agevole comparazione”). Il comma 16 , mantenendo fermi gli obblighi di pubblicità e comunicazione già previsti (art. 53 d.lgs. 165/2001; art. 54 del codice dell’amministrazione digitale di cui al d.lgs. n. 82/2005; art. 21 della legge n. 69/2009; art. 11 del d.lgs. 150/2009) prevede che le pubbliche amministrazioni assicurino i livelli essenziali di prestazione, concernenti i diritti sociali e civili di cui all’art. 117, secondo comma lettera m) della Costituzione con particolare riferimento ai procedimenti di: “…a)autorizzazione o concessione; b)scelta del contraente per l'affidamento di lavori, forniture e servizi, anche con riferimento alla modalita' di selezione prescelta ai sensi del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163;c) concessione ed erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonche' attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati; d)concorsi e prove selettive per l'assunzione del personale e progressioni di carriera di cui all'articolo 2 4 del citato decreto legislativo n.150 del 2009….” E’ stato osservato59 che sino all’emanazione della legge 15/2009 e del successivo d.lgs. 150/2009 la trasparenza era considerata “…un mero principio comportamentale degli organi pubblici e la sua effettiva garanzia si esauriva nel diritto di accesso ai documenti amministrativi di cui agli artt. 22 e ss. della legge 7 agosto 1990 n. 241- oltre che dagli artt. 10 e 43 , comma 2 del d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267-TUEL- ex art. 7 della legge 8 giugno 1990 n. 142- e nelle forme di pubblicità previste dal Codice dell’amministrazione digitale…”, mentre l’unico esempio di accesso parzialmente “incondizionato” alle informazioni era rappresentato dall’accesso alle informazioni ambientali (art. 4 della legge 8 luglio 1986 n. 349-d.lgs. 19 agosto 2005 n. 195; art. 3 del. D.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 (codice dell’ambiente)60. In attuazione della delega contenuta nella legge 190 il Governo ha adottato il d.lgs. 14 marzo 2013 n. 33 recante il “Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”. Secondo il cit. Rapporto ANAC (pag. 45), “ …tale provvedimento ha complessivamente 57 F.BILARDO-M.PROSPERI, Piano nazionale e piani decentrati anticorruzione, S.Arcangelo di Romagna (ed. Maggioli), 2014, pp. 304 e ss. –Il sistema trasparenza.; S.GAMBACURTA, Le misure di trasparenza amministrativa previste dalla legge “anticorruzione”, in F.FERRARO-S.GAMBACURTA Anticorruzione. Commento alla riforma, , S.Arcangelo di Romagna (ed. Maggioli), 2013, pp. 93 e ss. 58 G.TERRACCIANO-L.ALBANO, Contratti pubblici: le modifiche in tema di arbitrato e risoluzione contrattuale, in AA.VV, (prefazione F. PATRONI GRIFFI), Il contrasto al fenomeno della corruzione nelle pubbliche amministrazioni , cit. 59 V.SARCONE, op. cit., pag.67 60 F.CARINGELLA, Compendio di diritto amministrativo, Roma, 2008,pp. 257 e ss.

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operato una sistematizzazione dei principali obblighi di pubblicazione vigenti, non limitandosi alla sola ricognizione e al coordinamento delle disposizioni già adottate, ma introducendo nuovi obblighi ed ulteriori adempimenti, oltre a quelli già numerosi esistenti. Si è anche esteso l’ambito soggettivo di applicazione delle disposizioni in materia di trasparenza e disegnato un sistema di controlli e sanzioni sull’attuazione degli obblighi di pubblicazione”. Nell’esercizio delle proprie funzioni di indirizzo in materia di trasparenza (già previste dal d.lgs. 150/2009) l’ANAC ha adottato la delibera n. 50/2013 “Linee guida per l’aggiornamento del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità 2014-2016”, in cui sono stati sottolineati gli stretti collegamenti del programma triennale anzidetto con i Piani triennali della prevenzione della corruzione e con i Piani della performance. E’ stata inoltre “…messa in risalto l’opportunità di identificare in un unico soggetto le funzioni di Responsabile della prevenzione della corruzione e di Responsabile della trasparenza…”. Tra le questioni interpretative sottoposte all’Autorità (v.Rapporto, pag. 47) alcune hanno riguardato l’”…estensione degli obblighi di pubblicazione a nuovi soggetti, quali le società partecipate…”. Le richieste maggiormente ricorrenti riguardano “…la pubblicazione dei dati relativi agli organi di indirizzo politico-art.14; la pubblicazione dei dati su concessioni di sovvenzioni, contributi sussidi, vantaggi economici –artt. 26 e 27; l’applicazione delle norme agli enti pubblici vigilati, enti privati in controllo pubblico, società partecipate (art. 22) e le sanzioni per casi specifici ex art. 47…”. Con la delibera n. 65/2013 l’Autorità ha chiarito che quanto agli obblighi di pubblicazione relativi agli organi di indirizzo politico (art. 14 del d.lgs. 33/2013) , vi sono tenuti oltre alle amministrazioni pubbliche, anche “gli enti pubblici vigilati, gli enti di diritto privati e le società partecipate; gli obblighi di pubblicazione sono da intendersi riferiti ai componenti degli organi di indirizzo politico in carica alla data di entrata in vigore del decreto (20 aprile 2013); le amministrazioni, gli enti e le società individuano i componenti degli organi di indirizzo politico, anche con riferimento alle norme statutarie e regolamentari che ne regolano l’organizzazione e l’attività; non sono soggetti agli obblighi di pubblicazione dell’art. 14, c.1 lett. f) i comuni con popolazione inferiore ai 15 mila abitanti. Circa i quesiti concernenti gli artt. 26 e 27 del d.lgs. 33/2013 recanti la di nuova disciplina relativa alla pubblicazione degli atti di concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi e attribuzione di vantaggi economici a persone fisiche ed enti pubblici e privati, l’Autorità ha adottato la delibera n. 59/2013 nella quale è stato precisato che “…oltre alle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, c. 2 del d.lgs. 165/2001, sono tenuti alla pubblicazione anche gli enti nazionali, ivi comprese le aziende speciali assimilate dalla giurisprudenza agli enti pubblici economici, nonché le società partecipate dalle pubbliche amministrazioni e le società da esse controllate ai sensi dell’art. 2359 del c.c.. E’ stato specificato inoltre che vanno pubblicate solo le informazioni relative a provvedimenti volti a sostenere un soggetto, sia pubblico che privato e non i compensi dovuti dagli enti a imprese e privati come corrispettivo (i quali devono comunque essere pubblicati in virtu’ di altre disposizioni). E’ stato anche chiarito infine che, posto che la pubblicazione è obbligatoria e condizione di efficacia solo per importi superiori a mille euro, questi sono da intendersi sia se erogati in unico atto, sia con atti diversi ma che nel corso dell’anno solare superino il tetto di mille euro nei confronti dell’unico beneficiario…”. Quanto alle sanzioni per la violazione degli obblighi di comunicazione e pubblicazione di cui agli artt. 14 e 22 del d.lgs. 33/2013, con la delibera n. 66/2013, l’Autorità ha dato risposta a quesiti relativi all’individuazione del soggetto titolato ad irrogare le sanzioni pecuniarie previste dall’art. 47 del d.lgs. 33/2013 , e riguardanti “…i dati sugli enti pubblici

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vigilati, gli enti di diritto privato in controllo pubblico, nonché le partecipazioni in società di diritto privato-art.22…”. La norma fa un rinvio generico all’Autorità individuata dalla legge 689/198161. Con la cit. delibera l’Autorità ha chiarito che “…ciascuna amministrazione provvede a disciplinare con proprio regolamento il procedimento sanzionatorio, ripartendo tra i propri uffici le competenze, in conformità ai principi dettati dalla legge 689/1981, quali contraddittorio, separazione tra ufficio che istruisce e quello che decide, criteri per l’applicazione delle sanzioni. …nelle more dell’adozione del regolamento, le amministrazioni, nella loro autonomia, sono tenute a indicare un soggetto cui compete l’istruttoria ed uno a cui compete l’irrogazione delle sanzioni e che, qualora gli enti non provvedano, tali funzioni sono demandate, rispettivamente, al RPC e al responsabile dell’ufficio disciplina…”. Nell’ambito del Rapporto risulta anche di interesse l’ “Appendice 2”-“Una prima ricognizione dei sistemi di analisi del rischio e della problematiche della trasparenza nelle società in controllo pubblico”. L’analisi offre una visione complessiva delle attività poste in essere da tali società, sia con riferimento all’adozione del mod. 231 sia con riguardo all’attuazione della legge 190/2013 e del Piano nazionale anticorruzione. Gli obblighi facenti carico alle società partecipate sono stati più recentemente richiamati dal dipartimento della funzione pubblica nella circolare n.1 /201462 che costituisce comunque un’utile sintesi e richiamo degli adempimenti richiesti in genere alle pubbliche amministrazioni dalla legge 190/2012. Per quanto in particolare riguarda gli obblighi di pubblicazione concernenti i “contratti pubblici di lavori, servizi e forniture”63, il d.lgs . 33/2013, all’art. 37, richiama gli obblighi stabiliti nell’art. 1 comma 32 della legge 190/2012, nonché le previsioni contenute nel codice degli appalti (artt. 63-65-66-122-124-206-223 del d.lgs. 163/2006) nonché l’obbligo di pubblicare, nell’ipotesi di cui all’art. 57, comma 6 (procedura negoziata senza pubblicazione del bando64) del d.lgs. 163/2006, la delibera a contrarre. Tale settore di attività delle pubbliche amministrazioni studi è caratterizzato da una particolare esposizione al “rischio corruzione” Il “Libro bianco” del Governo su “Corruzione in Italia. Per una politica di prevenzione”, presentato dal Presidente del Consiglio il 22 ottobre 201265, dedicava le pagine da 107 a 135

61 G.SEVERINI, Codice dell’illecito amministrativo e depenalizzato, Milano, 1994

62Circolare n. 1 del 14 febbraio 2014-Oggetto: ambito soggettivo ed oggettivo di applicazione delle regole di trasparenza di cui alla legge 6 novembre 2012, n. 190 e al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33: in particolare, gli enti economici e le società controllate e partecipate. La circolare, in premessa, osserva che “…La trasparenza può costituire per molte realtà aziendali motivo di eccellenza e di competitività. Un accesso completo alla informazioni più rilevanti che investono gli aspetti organizzativi e gestionali di una società, o più in generale di un soggetto operante sul libero mercato o in mercati ad accesso limitato, consente di disporre di informazioni aggiornate e complete sullo stato di salute del singolo operatore economico nell'ambito di un determinato settore o area di attività. La trasparenza, intesa come accessibilità totale delle informazioni concernenti l'organizzazione e l'attività dei soggetti, pubblici e privati, operanti sul mercato, consente a chiunque sia portatore di un interesse rilevante, di tipo anche economico, una migliore valutazione degli investimenti e degli indici di rischio che una derminata operazione economica può avere in un dato momento storico o mercato di riferimento….”.

63 S.TOSCHEI, La trasparenza negli appalti pubblici, in AA.VV, (prefazione F. PATRONI GRIFFI), Il contrasto al fenomeno della corruzione nelle pubbliche amministrazioni , cit., pp.139 e ss.; M.A.SANDULLI- A.CANCRINI, I contratti pubblici, in AA.VV. (a cura di F.MERLONI e L.VANDELLI), La corruzione amministrativa. Cause, prevenzione e rimedi, ASTRID, Firenze, 2010,pp. 437 e ss. 64 A.CANCRINI-P.PISELLI-V.CAPUZZA, La nuova legge degli appalti pubblici, IGOP, Roma, 2010, pp. 304 e ss.

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proprio a tale materia, scelta tra quelle di maggior rilievo, assieme ai settori “Sanità”, “Governo del territorio” e “Controlli”. La caratteristica del contratto amministrativo è quella per cui una delle parti è una pubblica amministrazione e la specificità della disciplina che, pur complessivamente regolata dal diritto comune, ha delle particolarità riguardanti in particolare le modalità di formazione della volontà del contraente amministrazione pubblica.66 Viene osservato che “…il diritto dei contratti pubblici è prima di tutto un diritto che va più in là del diritto comune dei contratti, occupando settori di materia che quest’ultimo tendenzialmente non disciplina. L’assenza di “”un vero padrone”” dal quale si attende fisiologicamente la tutela dell’interesse della propria organizzazione impone, in via surrogatoria, la prescrizione di regole tendenzialmente oggettive che da un lato delimitino la discrezionalità amministrativa e dunque ne prevengano le patologie, e dall’altro garantiscano la bontà delle scelte contrattuali. Così se un privato, normalmente è libero di stabilire se e a quali fini intende stipulare un contratto, l’Amministrazione dovrà invece preventivamente esplicitare le ragioni di interesse pubblico (deliberazione a contrarre) ; se un privato è normalmente libero di scegliere a propria controparte contrattuale, l’amministrazione dovrà seguire appositi percorsi procedimentali – i cd. metodi di scelta del contraente, di regola caratterizzati dall’adozione del metodo concorsuale; se un privato, ancora, è normalmente libero di scegliere l’offerta che reputa più conveniente, l’amministrazione è soggetta a determinati criteri di aggiudicazione . I profili pubblicistici della materia sono molteplici e molto rilevanti. Non si può dare il caso di un contratto che veda come parte una pubblica amministrazione il quale sia integralmente regolato dal diritto privato. Questa attività della pubblica amministrazione…è vincolata dall’interesse collettivo e deve rispettare principi quali quelli di buon andamento e imparzialità (art. 97 cost.)…”67. In generale va osservato che il settore dei contratti pubblici si riferisce ad una categoria più ampia di quella degli appalti di lavori, servizi e forniture, comprendendo anche i contratti attivi, dai quali derivi un’entrata per la pubblica amministrazione. Ancora oggi la disposizione generale in materia di contratti pubblici, non abrogata dall’art. 256 del d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163 – Codice dei contratti pubblici, relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE , è costituita dall’art. 3 del r.d. 18 novembre 1923 n. 2440 (legge generale di contabilità di Stato) il comma 1 dispone che “ I contratti dai quali derivi un’entrata per lo Stato debbono essere preceduti da pubblici incanti, salvo che per particolari ragioni, delle quali dovrà farsi menzione nel decreto di approvazione del contratto, e limitatamente ai casi da determinare con regolamento, l’amministrazione non intenda far ricorso alla licitazione ovvero nei casi di necessità alla trattativa privata”. Il comma 2 dispone che “I contratti dai quali derivi una spesa per lo Stato debbono essere preceduti da gare mediante pubblico incanto o licitazione privata a giudizio discrezionale dell’amministrazione”.

65 AA.VV. , La corruzione in Italia. Per una politica di prevenzione, relazione della Commissione per lo studio e l’elaborazione di proposte in tema di trasparenza e prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione , cit. 66 R.CARANTA, I contratti pubblici , in Sistema del diritto amministrativo italiano , Torino, 2012, pag.5 67R.CARANTA, op. cit.

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Nel settore dei contratti attivi si ritiene che il ricorso alla trattativa privata abbia un carattere eccezionale e necessiti di specifica motivazione (Cons di Stato, sez. IV, 1 febbraio 2001, n. 399 in Foro amm. 2001, p.280 e in Foro it., 2001, III, 263)68. Il codice degli appalti pubblici (d.lgs. n. 163/2006) , riprende la direttiva precisando che (art. 19) – Contratti di servizi esclusi .“Il presente codice non si applica ai contratti pubblici: a) aventi ad oggetto l’acquisto o la locazione, quali che siano le relative modalità di finanziamento, di terreni, fabbricati esistenti o altri beni immobili, o riguardanti diritti su tali beni; tuttavia i contratti di servizi finanziari conclusi anteriormente, contestualmente o successivamente al contratto di acquisto o di locazione, rientrano, a prescindere dalla loro forma, nel campo di applicazione del presente codice…” L’art. 2 del Codice indica i principi cui devono attenersi i procedimenti regolati dal codice stesso e consistono in quelli di “qualità delle prestazioni”, economicità, efficacia, tempestività , correttezza, affidamento secondo libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, pubblicità. Per quanto non previsto dal codice vanno applicate le disposizioni sul procedimento amministrativo di cui alla legge 241/1990 e di quelle previste dal codice civile. Il settore è presidiato da un articolato complesso di norme (cfr. anche il DPR n. 207/2010- Regolamento del codice dei contratti pubblici) , ispirate e rispettose dei modelli imposti dal diritto comunitario e oggetto di costanti interventi integrativi e sottoposto a specifica attività di indirizzo da parte dell’apposita Autorità di vigilanza. Va inoltre ricordato che nel 2014 sono intervenute tre nuove direttive dell’Unione europea che hanno abrogato le direttive del 2004 e attendono di essere recepite nel nostro ordinamento69 Ciononostante il settore dei contratti pubblici, risulta sicuramente interessato dai fenomeni di corruzione, come evidenziato dalla pratica giudiziaria e da analisi e studi sull’argomento. Quanto all’ incidenza finanziaria complessiva, secondo la relazione dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture ( Camera dei Deputati 4 luglio 2012), nel 2011 risultavano perfezionati 1.236.000 appalti fino a 40.000 euro per un importo di circa 5,3 miliardi, 128.000 tra 40.000 e 150.000 euro per un importo pari a circa 8,3 miliardi di euro, 60.000 di importo maggiore a 150.000 euro per 92 miliardi di euro. L’importo complessivo di tutti gli appalti ammonta a 106 miliardi di euro (iva esclusa), pari a circal’8,1% del Pil. I rischi di cattiva amministrazione nel settore sono stati segnalati anche Banca d’Italia 70 che ha ricordato come l’azione della PA , nella scelta delle procedure di aggiudicazione deve tener conto oltre alle valutazioni discrezionali nell’ambito delle possibilità offerte dalla disciplina normativa, di “…numerose variabili aggiuntive...”, costituite dal rischio di: 1) mancato completamento dell’opera; 2) collusione tra le imprese; 3) corruzione; 4) carenze nella progettazione dei lavori; 5) molteplicità di obiettivi perseguiti con concrete manifestazioni del “rischio corruzione”. Nello studio si è osservato che “…In Italia, il settore 68 In base all’art. 16 della direttiva n. 2004/18/CE del 31 marzo 2004, sono inoltre esclusi dalla disciplina comunitaria , gli appalti aventi per oggetto” l’acquisto o la locazione di beni immobili o diritti su tali beni”. Tuttavia i contratti di servizi finanziari conclusi anteriormente, contestualmente o successivamente al contratto di acquisto o di locazione rientrano, a prescindere dalla loro forma , nel campo di applicazione della direttiva . 69 70 BANCA D’ITALIA , L’Affidamento dei lavori pubblici in Italia:un'analisi dei meccanismi di selezione del contraente privato, pubblicato nel volume Questioni di economia e finanza -n. 83- Dicembre 2010

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degli appalti per opere pubbliche è probabilmente quello maggiormente soggetto a fenomeni di corruzione e, più in generale, di illegalità in tutte le aree del nostro Paese…”. Si può anche richiamare un intervento del Presidente della Corte dei conti71, che con specifico riferimento al settore dei contratti pubblici aveva dapprima richiamato il primo intervento organico in materia costituito dalla legge “Merloni” , n. 109/1994 che , in relazione alle vicende emerse nel 1992 (c.d. “Tangentopoli”)72 aveva affrontato la questione non dal punto di vista penale, ma da quello della organizzazione amministrativa. Si volle “…realizzare una riabilitazione della struttura amministrativa preposta all’esecuzione dei lavori pubblici…”, anche attraverso l’istituzione di un’ apposita Autorità73, al fine di rafforzare la “funzione di imparzialità della pubblica amministrazione, insieme alle attività di vigilanza, ispezione, verifica”. La sempre maggiore incidenza dell’ordinamento comunitario ha determinato che accanto ai principi cardine dell’ordinamento nazionale (oculata spendita del denaro pubblico, corretto agire degli uffici, il primario interesse della pubblica amministrazione) si sono imposti quelli di derivazione appunto comunitaria (sviluppo del mercato e della concorrenza) talché “ la stessa valenza ed il relativo approccio ai fenomeni corruttivi ed alle altre devianze del settore assunsero diversi significati e postularono diverse esigenze…Di qui il cambio di prospettiva per gli interessi da tutelare e al relativa disciplina da porre in essere: una disciplina non più a tutela dominante della pubblica amministrazione ma di tutela dell’economia e dell’impresa e, quindi, della concorrenza…In un ambito più vasto di quello comunitario, l’OCSE individua nella trasparenza e responsabilità, unitamente alla cosiddetta “”efficienza amministrativa””, e ad un’effettiva concorrenza, gli elementi chiave nella prevenzione dei fenomeni corruttivi…”. La rilevanza comunitaria della materia ha portato alla regolamentazione della stessa attraverso direttive comunitarie, prima riguardanti i diversi settori (appalti, forniture e servizi) e poi riunite nelle direttive 2004/17/CE e 204/18/CE del 31 marzo 200474 riguardanti rispettivamente le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua, di energia ed i servizi di trasporto e postali (2004/17/CE)) e le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori , di forniture e di servizi (2004/18/CE), alle quali è stata data attuazione con il decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163 e con il relativo regolamento di attuazione approvato con d.p.r. 5 ottobre 2010 n. 207. E’ stato ancora osservato 75 che il tema dell’incidenza della corruzione nel settore dei contratti pubblici presenta profili di “grandissima complessità”. Fra le misure introdotte in sede comunitaria e nazionale dirette ad arginare l’accordo illecito viene ricordato l’art. 45 della direttiva 2004/18/CE (Situazione personale del candidato e dell’offerente) , nell’individuare le cause di esclusione dalle gare di appalto, indica la condanna definitiva per il reato di corruzione fra le circostanze in presenza delle quali gli ordinamenti nazionali

71 L .GIAMPAOLINO, Relazione introduttiva al Convegno “Combattere la corruzione si può e si deve”, Università degli studi di Roma - Tor Vergata, 9 luglio 2012. 72 Cfr. AA.VV. (a cura di G. COLOMBO), Il sistema degli appalti, Milano, 1995 73 S.CASSESE-C.FRANCHINI, I garanti delle regole. Le autorità indipendenti nel sistema istituzionale italiano, Bologna, 1996 74 R.GAROFOLI-M.A.SANDULLI, Il nuovo diritto degli appalti pubblici nella direttiva 2004/18/CE e nella legge comunitaria n. 62/2005, Milano, 2005 75 M.A. SANDULLI-A.CANCRINI, I contratti pubblici, in La corruzione amministrativa. Cause, prevenzione e rimedi, Firenze -ASTRID, 2010, pp.437 e ss. cit.

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non possono ammettere la partecipazione …In sede di attuazione della suddetta direttiva il legislatore nazionale delegato, nel d.lgs. 163/2006- c.c. codice degli appalti pubblici- ha incluso all’art. 38, c. 1 lett. c) , fra i reati che certamente comportano la mancanza di requisiti generali del partecipante alla gara, anche il reato di corruzione, recependo letteralmente , l’intero paragrafo 1 …” dell’art. 45 della direttiva. Di tale previsione “…la giurisprudenza ha più volte desunto il carattere vincolante delle predette fattispecie di reato ai fini dell’esclusione dalle gare di appalto. In particolare è stato peraltro affermato che nel caso in cui il bando e il disciplinare di gara non contengano alcuna espressa prescrizione di indicare in modo specifico le eventuali sentenze di condanna per i reati di partecipazione ad una organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, con correlata comminatoria di esclusione , ma si limitino ad un generico riferimento alle condizioni di cui all’art. 38, comma 1 lett. da a) a m-quater) , del codice, è illegittima l’esclusione dell’impresa che non ha specificato l’inesistenza di sentenze di condanna per i predetti reati, in quanto anche tali tipologie di reati sono riconducibili alla previsione generale della stessa norma in tema di reati ostativi della partecipazione ai pubblici appalti, salva soltanto l’esclusione di qualunque valutazione discrezionale da parte della p.a. (TAR-Sicilia, Palermo, sez. III,15 giugno 2009, 1076)….Va (anche) precisato che il Consiglio dell’OCSE il 16 ottobre 2008 ha adottato una raccomandazione con la quale ha individuato alcuni principi per la valorizzazione dell’integrità negli appalti pubblici. La Raccomandazione invita i Paesi membri a rafforzare la lotta contro la frode e la corruzione nelle varie fasi dell’appalto, affrontando i rischi che hanno un enorme peso economico. Tra le indicazioni formulate, in particolare per contrastare la corruzione, le amministrazioni devono necessariamente migliorare la governance mediante l’effettiva trasparenza delle procedure ad evidenza pubblica e attraverso la concreta garanzia della par condicio dei concorrenti alla gara; i Governi devono garantire meglio l’informazione sui contratti e prevedere meccanismi di più rapida soluzione delle controversie relative alle gare di appalto; è fissato nel 2011 un “”follow up”” per i Paesi membri dell’OCSE per valutare e confrontare l’applicazione dei principi fissati dalla Raccomandazione. C’è da precisare che per quanto riguarda i punti due e tre della Raccomandazione OCSE , in attuazione della direttiva c.d. “Ricorsi” (2007/66/CE) il legislatore delegato italiano ha emanato il decreto legislativo 20 marzo 2010 n. 53 che prevede modifiche nel senso sopra indicato negli artt. 11 e 79 del codice appalti, inserendo anche l’art. 243 bis relativo alle informative circa l’intento di proporre ricorso giurisdizionale …Nel 1994 l’emergenza del fenomeno c.d di “”Tangentopoli”” aveva creato la necessità di prevedere nelle gare di appalto pubbliche il meccanismo che attraverso l’””automatismo”” garantisse minore discrezionalità possibile alle diverse figure chiamate a disciplinare le singole gare (responsabile del procedimento, membri delle commissioni, ecc.) In tale ottica si pensi a quanto era previsto nella legge n. 109/1994: come criterio di aggiudicazione il solo massimo ribasso offerto dai concorrenti sull’importo fissato a base di gara; il divieto di operare varianti in corso d’opera al progetto esecutivo oggetto del contratto di appalto, tranne che in ristretti casi previsti tassativamente dalla legge stessa; la non ammissione alla trattativa privata, se non in pochissime ipotesi stringenti e previste dall’art. 24 della legge 109/94; l’esclusione automatica delle offerte anomalmente basse. Si può dire che con la legge “”Merloni”” era stata scelta la via del c.d. “”meccanicismo””al fine di: evitare di ricadere nelle condotte delittuose commesse nell’allora recente passato e di consentire ai funzionari (obiettivamente impauriti nell’agire) di poter operare e provvedere in garanzia…”. Il settore degli appalti pubblici presenta comunque profili di elevati ambiti di discrezionalità, vincolati nei fini e nei mezzi , ma che lasciano al soggetto decidente

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margini di opinabilità fra soluzioni anche tecniche , che danno luogo alla c.d. “discrezionalità tecnica” . “…Ed è proprio su tale aspetto che la materia degli appalti , caratterizzata in nuce dall’interferenza con le materie ingegneristiche e di architettura e comunque da scelte di natura economica e tecnica, si è aperta nel tempo all’attuazione di scelte discrezionali in ottemperanza a norme, soprattutto speciali di gara, che lasciano ampi margini di opinabilità alla stazione appaltante e alla commissione giudicatrice. Nello specifico, superata l’emergenza, sono stati man mano reintrodotti dal legislatore , nella stessa “”Legge Merloni”” quegli istituti che erano stati di fatto sospesi, facendosi strada una nuova stagione, caratterizzata sempre più da scelte discrezionali dell’amministrazione appaltante. In tale direzione rilevano: la reintroduzione del criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa; la previsione della valutazione dell’offerta anomala; l’introduzione generalizzata delle ordinanze di protezione civile che consentono di operare in deroga ; il ritorno e l’ampliamento delle ipotesi di trattativa privata, la figura del contraente generale nella legge obiettivo (ora art. 161 del Codice appalti) …A ciò deve aggiungersi che la gran parte delle Amministrazioni opera in concreto ex art. 125 del codice degli appalti con contratti in economia (non di rado determinando condotte illecite mediante frazionamenti illegittimi degli importi) che per loro natura si contraddistinguono per il fatto di non prevedere una gara formale . Da ciò emerge che gran parte dei contratti stipulati nel nostro Paese sembra estranea alle regole dell’evidenza pubblica con tutte le conseguenze che se ne possono trarre in ordine alla legittimità e alla liceità dei procedimenti esperiti. Importante è precisare che la giurisprudenza amministrativa ha più volte riconosciuto che nelle procedure indette per l’aggiudicazione di appalti pubblici in capo all’amministrazione residua sempre, a prescindere da una regola esterna dettata da disposizione di legge , di regolamento o rinvenibile nella disciplina speciale di gara, un margine di discrezionalità tecnica che, ne prudente apprezzamento della stazione appaltante, può investire le componenti dell’offerta nella loro serietà e congruità, in relazione all’oggetto della gara ed alle modalità di esecuzione del contratto e che consente di disporre l’esclusione di offerte che presentino all’evidenza aspetti di inattendibilità (Consiglio di Stato, sez. V, 18 settembre 2009, n. 5597)In tal senso, allora l’automatismo delle scelte affermato dalla legge Merloni, da un punto di vista patologico ha visto affermarsi fenomeni corruttivi con accordi illeciti che si sono basati proprio sulla matematicità dei risultati. L’evoluzione della disciplina degli appalti , determinata dalle esigenze di innalzamento dei livelli progettuali e ingegneristici, ha sempre più lasciato spazio alla discrezionalità della stazione appaltante nell’ambito della quale, dal versante negativo, il controllo e la verifica hanno assunto più indefiniti margini. Anche in questo modello il rischio risiede allora nella possibile presenza di accordi illeciti che rimangano nascosti nella valutazioni di merito; appare necessario perciò, imporre un più effettivo obbligo di motivazione di ogni provvedimento secondo i criteri dettati dalle norme di azione. Più in generale i suddetti rischi possono essere analizzati nell’ambito di due dei principali istituti che dopo l’entrata in vigore del codice sono stati interamente rivisitati e ampliati. …Nella nuova normativa del d.lgs. 163/2006 i criteri di aggiudicazione sono il prezzo più basso e l’offerta economicamente più vantaggiosa, criterio quest’ultimo, che è stato reso facoltativo dal codice degli appalti, senza più alcuna limitazione (Corte di Giustizia CE, C-247/02 e art. 25 della legge n. 62/05-ora art. 81 e 83 cod. appalti). Con riferimento alla scelta del criterio di aggiudicazione, l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, nella determinazione dell’8 ottobre 2008, n. 5 ha riconosciuto che “…rientra nella discrezionalità tecnica delle stazioni appaltanti che devono valutare l’adeguatezza rispetto alle caratteristiche oggettive e

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specifiche del singolo contratto, applicando criteri obiettivi che garantiscano il rispetto dei principi di trasparenza , di non discriminazione e di parità di trattamento e assicurino una valutazione delle offerte in condizioni di effettiva concorrenza…”. Come già rilevato, i fenomeni corruttivi fino a tali modifiche sono emersi maggiormente nella valutazione con il massimo ribasso (unitamente ad altre fattispecie penali minori, quali la turbativa d’asta e le false dichiarazioni ) In proposito , va pure precisato che, nell’ambito delle procedure per l’affidamento degli appalti pubblici, il sub procedimento inerente all’accertamento dell’anomalia dell’offerta costituisce esplicitazione paradigmatica proprio della discrezionalità tecnica, suscettibile di sindacato giurisdizionale solo sotto i profili della manifesta illogicità e /o irrazionalità ovvero del travisamento dei fatti (TAR Campania, Napoli , sez. I, 8 ottobre 2009, n. 5207; conforme TAR Campania , Napoli, sez. I , 29 gennaio 2009, n. 525). Peraltro, …fatta salva la maggiore adeguatezza che, per tanti profili, presenta il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (si pensi all’innalzamento della qualità e delle garanzie delle progettazioni) i pericoli che anche tale criterio presenta non vanno comunque sottovalutati, proprio per non rischiare di azzerarne i vantaggi (legati ad una valutazione dell’offerta che abbraccia, oltre al prezzo altri elementi, qualitativi e quantitativi)…Il pericolo di questo modello è tuttavia in ciò che il fenomeno criminale , anche della corruzione, possa inserirsi con meno evidenza, nella maggiore discrezionalità che la legge attribuisce ai componenti della Commissione (art. 84 del codice) . Il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa è infatti caratterizzato da una valutazione complessa e di più voci a cui viene attribuito un peso espresso in centesimi e il prezzo è uno dei diversi elementi su cui viene formulata l’offerta del concorrente. In altri termini il rischio è in questo caso che la gara bandita con il metodo dell’offerta più vantaggiosa si trasformi in una vera e propria trattativa privata in cui la stazione appaltante è in grado di scegliere, a prescindere dall’offerta, chi sarà l’aggiudicatario. …E’ noto che l’art. 24 della legge 109/94 …è stato abrogato dal d.lgs. 163/2006 il quale disciplina la procedura negoziata negli artt. 56, 57 e 122. In linea generale, nella trattativa privata, a differenza di quanto si verifica nelle altre procedure di scelta del contraente … , aperte o ristrette (già asta pubblica o licitazione privata) , il legislatore non ha tipizzato alcun procedimento amministrativo né una particolare modalità di individuazione dell’affidatario: essa avviene quindi con caratteri per molti versi analoghi a quelli delle trattative intercorrenti tra privati. A fronte dell’eccezionalità del ricorso alla trattativa negoziata (e della scarsezza degli importi entro i quali tale istituto è ammissibile, il legislatore , accorda, appunto, ampia libertà e discrezionalità di scelta dell’iter e delle regole da seguire e, per l’effetto, del soggetto con cui contrarre. In altri termini, la procedura negoziata è un procedimento mediante il quale l’amministrazione decide di concludere il contratto e sceglie il contraente secondo la disciplina estremamente ridotta contenuta nel codice, per il resto regolandosi come farebbe qualsiasi altro operatore sul mercato. La stessa gara informale nell’art. 57, comma 6 non è connotata da una disciplina articolata e compiuta; si svolge mediante un invito che è rivolto alle imprese che sono maggiormente gradite, sotto il profilo delle capacità tecniche e operative, alla P.A. ed al responsabile del procedimento. Questo significa che normalmente l’invito si caratterizza come libera scelta esercitata dalla stazione appaltante, la quale è tenuta soltanto ad invitare imprese risultanti da informazioni desunte dal mercato. Inoltre, la negoziazione svolta mediante gara informale è comunque permeata da una grandissima libertà di forma; nonostante la norma nulla dica di più, la giurisprudenza ha peraltro correttamente legittimo che l’amministrazione “”…con apposita previsione nella lettera di invito, si riservi di espletare la negoziazione finale non soltanto con l’impresa migliore

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offerente, ma, per es,. con le miglio due o tre classificate…”” sottolineando che “”…anzi, è auspicabile, perché per tale via sia attua anche nella negoziazione finale una concorrenza effettiva, mentre nel caso della negoziazione con un unico soggetto questo è scarsamente indotto a migliorare significativamente le condizioni da lui proposte nell’offerta…”” 76 . In definitiva, si può quindi affermare che l’amministrazione è comunque libera di rinegoziare i termini con le migliori imprese invitate e, in definitiva, di aggiudicare discrezionalmente la gara all’impresa ritenuta, alla fine, la migliore offerente. In una procedura aperta o ristretta l’amministrazione non ha alcun margine di negoziazione con le imprese e, con il criterio del massimo ribasso, deve aggiudicare obbligatoriamente l’appalto a chi ha presentato il ribasso più elevato; viceversa in una procedura negoziata ben può l’amministrazione, legittimamente affidare la gara all’impresa che ritiene discrezionalmente la migliore dopo la negoziazione tra le due o tre imprese rimaste in competizione. Ciò che si vuol mettere in evidenza è che la possibilità di negoziazione, tipica di ogni procedura negoziata, sempre che sussista una adeguata, logica, motivazione che cristallizzi l’iter logico seguito dall’amministrazione, sminuisce la rilevanza dei ribassi e prima ancora, l’idea di influenzarne eventualmente la stima. Pertanto il fenomeno corruttivo può incunearsi nelle pieghe delle scelte e della negoziazione dell’amministrazione, specie per le gare informali, pur in presenza delle condizioni che ne legittimino il ricorso…Dallo scenario e dalle problematiche che qui si è tentato sinteticamente di delineare, appaiono alcune linee che, de iure condendo, potrebbero contribuire all’arginamento delle evidenti patologie , specie di corruzione, presenti nell’ambito della contrattualistica pubblica. Innanzitutto appare evidente la necessità, in assoluta controtendenza con quanto sta avvenendo, di una riappropriazione, all’interno della p.a. delle funzioni che oggi sono quasi completamente delegate ai privati. Specularmente , v’è la necessità di garantire una effettiva formazione dei quadri della p.a.. Come recentemente auspicato dalla migliore dottrina, in forza del fatto che ogni iniziativa di rinnovamento degli apparati amministrativi presuppone che a cominciare dalla classe dirigente vi sia una chiara preparazione, sia tecnica che professionale, la figura, soprattutto del dirigente, deve essere ridefinita e costruita in modo da “”esaltare le capacità decisionali, la responsabilità e l’autonomia operativa”” e aderente come impronta teorica solida ai “”valori di imparzialità, di merito e di responsabilità propri della dirigenza pubblica”” . Nemmeno va sottovalutato l’obiettivo vantaggio che si trarrebbe dall’utilizzo effettivo delle centrali di committenza (anche se ilo modello Consip non ha completamente funzionato va pur detto che è stato avversato spesso ingiustificatamente) . Ciò in quanto trasferire su una centrale di committenza pubblica la gestione della gara77 potrebbe garantire alta professionalità (che oggi solo alcune stazioni appaltanti possono avere) e terzietà di giudizio (rispetto al favore che talune stazioni appaltanti tentano oggi di attribuire all’imprenditoria locale). In latri termini pochi organismi si occuperebbero delle gare ed alle stazioni appaltanti sarebbe lasciato il compito (oggi affrontato inadeguatamente) di gestire il contratto in fase esecutiva una volta individuato mediante gare l’aggiudicatario. In quest’ottica andrebbe evidenziata l’effettiva utilità di dare maggior rilievo alla fase dell’esecuzione e della gestione dei contratti pubblici, cui si dovrebbe associare una obiettiva intensificazione del controllo di gestione. Si noti a

76 Viene citato MAZZONE-LORIA, Manuale di diritto dei lavori pubblici, Roma, Jandi Sapi, 2005, pagg. 273-274 77 In proposito v.anche “Le commissioni di gara negli appalti pubblici. Osservazioni in tema di nomina e compensi”, in www.contabilità-pubblica.it; marzo 2014;

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tale proposito che, fino ad ora, le direttive dell’UE e quindi l’interesse della Commissione Europea nei contratti pubblici , si sono occupate unicamente del coordinamento delle procedure di affidamento; nessuna normativa ha riguardato, invece, la fase della gestione contrattuale vera e propria, che, in buona sostanza è il vero obiettivo, sia delle stazioni appaltanti che delle imprese. A monte, come è stato sottolineato anche in diversi articoli del codice dei contratti pubblici con prescrizioni viepiù sanzionatorie, deve sussistere maggiore rigidità nel pretendere una effettiva qualificazione delle imprese e al contempo una nuova normativa , coordinata semmai fra i diversi Stati membri, anche per la fase di esecuzione del contratto, nella quale ancora sussistono regole giuridiche indubbiamente risalenti nel tempo…”78. Per quanto attiene alle previsioni in tema di trasparenza negli appalti, le previsioni contenute nella legge di delega sono particolarmente puntuali, tanto che, come già evidenziato, l’art. 37 del d.lgs. 33/2013 si limita a richiamare gli obblighi stabiliti nell’art. 1 comma 32 della legge 190 e le previsioni contenute nel codice degli appalti (artt. 63-65-66-122-124-206-223 del d.lgs. 163/2006). Prevede inoltre l’ obbligo di pubblicare, nell’ipotesi di cui all’art. 57, comma 6 (procedura negoziata senza pubblicazione del bando79) del d.lgs. 163/2006, la delibera a contrarre. Il cit. comma 32 prevede che “…32. Con riferimento ai procedimenti di cui al comma 16, lettera b), del presente articolo, le stazioni appaltanti sono in ogni caso tenute a pubblicare nei propri siti web istituzionali: la struttura proponente; l'oggetto del bando; l'elenco degli operatori invitati a presentare offerte; l'aggiudicatario; l'importo di aggiudicazione; i tempi di completamento dell'opera, 78 Nell' ottica della prevenzione dei rischi, anche di infiltrazione criminale, sono state introdotte ulteriori innovazioni normative con il nuovo Codice Antimafia (D.lgs. 6 settembre 2011 n. 159) con modifiche in tema di documentazione antimafia (artt. 82 e ss.) , costituita dalla “comunicazione antimafia” e dalla “informazione antimafia” (art. 84) . In particolare, l’art. 93 del codice prevede inoltre i poteri di accesso del prefetto nei cantieri delle imprese interessate , volti a prevenire infiltrazioni mafiose nei pubblici appalti e specifiche disposizioni in materia di contratti pubblici (art.95) , mentre l’art. 101 prevede la possibilità per gli enti locali sciolti ai sensi dell’art. 143 del d.lgs. 267/2000 di avvalersi della stazione unica appaltante per lo svolgimento delle procedure di evidenza pubblica di competenza dell’ente medesimo. Sempre in tema di centrali di committenza va richiamato il decreto legge 6 dicembre 2010 convertito nella legge 22 dicembre 2011 n. 214 (“C.d. “Salva Italia”)- Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici.» che all’art. Art. 29 -Acquisizione di beni e servizi attraverso il ricorso alla centrale di committenza nazionale e interventi per l'editoria ha previsto che “…Le amministrazioni pubbliche centrali inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 possono avvalersi, sulla base di apposite convenzioni per la disciplina dei relativi rapporti, di Consip S.p.A., nella sua qualita' di centrale di committenza ai sensi dell'articolo 3, comma 34, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, per le acquisizioni di beni e servizi al di sopra della soglia di rilievo comunitario. Allo scopo di agevolare il processo di razionalizzazione della spesa e garantire gli obiettivi di risparmio previsti dalla legislazione vigente, ivi compresi quelli previsti dall'articolo 4,comma 66, della legge 12 novembre 2011, n. 183, gli enti nazionali di previdenza e assistenza sociale possono avvalersi di Consip S.p.A. per lo svolgimento di funzioni di centrale di committenza di cui all'articolo 3, comma 34, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, stipulando apposite convenzioni per la disciplina dei relativi rapporti. Tale processo è stato rafforzato dai recenti provvedimenti governativi, nell’ambito della c.d “spending review” di cui al decreto legge 7 maggio 2012 n. 52 (in vigore dal 9 maggio 2012)- “Disposizioni urgenti per la razionalizzazione della spesa pubblica”. Il decreto legge, convertito nella legge 6 luglio 2012 n. 94, all’art. 2, comma 2, individua anche le amministrazioni pubbliche comprese nelle disposizioni di contenimento e razionalizzazione della spesa , precisando che fra esse sono “…incluse tutte le amministrazioni, autorità, anche indipendenti, organismi, uffici agenzie o soggetti pubblici comunque denominati e gli enti locali , nonché le società a totale partecipazione pubblica diretta e indiretta …”. A rafforzare le previsioni del decreto 52 è intervenuto poi il d.l. 6 luglio 2012 n. 95 – Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini, il quale, all’art, 1, commi 7 e seguenti ha reintrodotto ipotesi specifiche di responsabilità amministrativa e di nullità dei contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni in violazione delle previsioni di stipulazione obbligatoria a mezzo di CONSIP spa, a suo tempo stabilite dalla legge finanziaria per il 2003 (art. 24, legge 2989/2002). In argomento v. S.CAROSINI, I controlli antimafia, in AA.VV., (prefazione F. PATRONI GRIFFI), Il contrasto al fenomeno della corruzione nelle pubbliche amministrazioni , Roma, 2013, pp. 371 e ss.; v. anche “Spending review” atto secondo e responsabilità erariale tipizzata, in Argilnews –novembre 2012 (http://www.newsandsociety.net/pdf/201210-argilnews.pdf); 79 A.CANCRINI-P.PISELLI-V.CAPUZZA, La nuova legge degli appalti pubblici, IGOP, Roma, 2010, pp. 304 e ss.

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servizio o fornitura; l'importo delle somme liquidate. Entro il 31 gennaio di ogni anno, tali informazioni, relativamente all'anno precedente, sono pubblicate in tabelle riassuntive rese liberamente scaricabili in un formato digitale standard aperto che consenta di analizzare e rielaborare, anche a fini statistici, i dati informatici. Le amministrazioni trasmettono in formato digitale tali informazioni all'Autorita' per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che le pubblica nel proprio sito web in una sezione liberamente consultabile da tutti i cittadini, catalogate in base alla tipologia di stazione appaltante e per regione. L'Autorita' individua con propria deliberazione le informazioni rilevanti e le relative modalita' di trasmissione. Entro il 30 aprile di ciascun anno, l'Autorita' per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture trasmette alla Corte dei conti l'elenco delle amministrazioni che hanno omesso di trasmettere e pubblicare, in tutto o in parte, le informazioni di cui al presente comma in formato digitale standard aperto. Si applica l'articolo 6, comma 11, del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.”. Viene osservato80che il ricorso a forme di pubblicità sul web in questo campo non costituisce una novità assoluta: esso infatti era stato già valorizzato dal codice dei contratti pubblici…In particolare l’art. 66 commi 7 e 8 del predetto codice prevede la pubblicazione sull’apposito sito web del sito del ministero delle infrastrutture e dei trasporti (all’indirizzo internet www.serviziocontrattipubblici.it) degli avvisi e dei bandi di gara, di lavori, servizi e forniture e della programmazione triennale delle amministrazioni aggiudicatrici che devono realizzare: appalti di lavori, servizi e forniture di interesse nazionale, appalti di lavori , serviz e forniture di interesse regionale nelle regioni che non abbiano attivato lo specifico sito internet. I bandi di gara e gli avvisi devono essere anche pubblicati sul sito dell’Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture dell’AVCP, nonché sul sito internet della stazione appaltante (c.d. “profilo del committente”). Tali misure assolvono a funzioni eminentemente di pubblicità mentre la legge 190/2013 introduce, anche in questo settore, la trasparenza amministrativa. Quanto alle indicazioni contenute nel comma 32 è stato osservato che la previsione, riferendosi al “bando” di gara, non ha comunque escluso le procedure negoziate (ove non è previsto un bando) dovendosi ritenere che il termine “bando” vada riferito all’atto amministrativo che costituisce “lex specialis” della procedura di gara e quindi anche alla lettera di invito di cui agli artt. 56 e 57 del d.lgs. 163/200681 .Ancora è stato rilevata l’improprietà del riferimento all’elenco degli operatori invitati a presentare offerte, visto che nelle “procedure aperte” l’elenco non esiste, dovendosi così ritenere che la norma vada intesa come riferita a tutti gli operatori che presentano l’offerta. Le informazioni sugli appalti pubblici pubblicate sui siti web istituzionali devono essere comunicate anche all’AVCP, secondo le modalità stabilite dalla stessa Autorità, che individua anche le informazioni rilevanti. L’AVCP a sua volta deve pubblicare i dati ricevuti sul proprio sito web in una sezione liberamente consultabile da tutti i cittadini, secondo criteri di catalogazione in base alla tipologia di stazione appaltante e per regione. L’AVCP ha dato una prima attuazione a tale previsione con la deliberazione 22 maggio 2013 n. 26. Con tale provvedimento sono state individuate le informazioni che ciascuna amministrazione pubblica è tenuta a pubblicare sul proprio sito relativamente alle procedura di scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi (art. 3). La deliberazione stabilisce anche gli obblighi di trasmissione all’AVCP dei dati indicati dall’art. 1, comma 32

80 F.FERRARO-S.GAMBACURTA Anticorruzione. Commento alla riforma,, cit, pag. 121 81 A.MASSARI, La legge anticorruzione e le altre recenti novità incidenti sulle procedure di affidamento di contratti pubblici, in Appalti e contratti, 2012,2, p. 10

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della legge 190/2013, che risultano assolti: -per i contratti di importo superiore a 40 mila euro attraverso l’effettuazione di comunicazioni telematiche obbligatorie all’Osservatorio dei contratti pubblici, ai sensi dell’art. 7, comma 8 del d.lgs. n. 165/2001; - per i contratti di importo inferiore ai 40 mila euro, le pubbliche amministrazioni effettuano sui siti istituzionali la pubblicazione dei dati elencati nell’art. 3 della deliberazione. L’Autorità provvede alla pubblicazione dei dati ricevuti sul “portale trasparenza” del proprio sito istituzionale. Sotto il profilo sanzionatorio, l’art. 1, comma 32 prevede che l’AVCP applichi il regime di sanzioni nei confronti delle amministrazioni inadempienti, stabilito dall’art. 6 comma 11 del codice dei contratti pubblici, ovvero:- una sanzione amministrativa pecuniaria fino a 25.822 euro, nel caso di rifiuto o omissione ingiustificati di fornire i dati in questione; una sanzione amministrativa pecuniaria fino a 51.545 euro nel caso di trasmissione di informazioni non veritiere. Oltre a ciò la AVCP comunica alla Corte dei conti, entro il 30 aprile di ogni anno, l’elenco delle amministrazioni che, nell’anno precedente, hanno omesso di trasmettere o pubblicare, in tutto o in parte, le informazioni indicate all’art. 1, comma 32, in formato digitale aperto82. Nel contesto delle misure che la legge 190/2012 ha introdotto per il contrasto della corruzione si inseriscono le previsioni in materia di responsabilità erariale rientrante nella giurisdizione della Corte dei conti. La responsabilità amministrativo contabile si pone fra le varie possibili forme di responsabilità cui sono tenuti gli amministratori e funzionari pubblici come previsto dall’ art. 28 della Costituzione, e si caratterizza come responsabilità per danni cagionati allo Stato o agli enti pubblici sulla base di norme sia “civili” che “amministrative” ( art. 82 r.d. 18 novembre 1023 n. 2440-legge sulla contabilità di Stato; art. 52 r.d. 12 luglio 1934 n. 1214- t.u. delle leggi sulla Corte dei conti; art. 18 d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3- t.u. impiegati civili dello Stato; art. 1 legge 14 gennaio 1994, n. 20- Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti).

Gli elementi costituivi di tale responsabilità sono individuati - nell’elemento oggettivo (danno patrimoniale , ma anche non patrimoniale,nel

particolare profilo del pregiudizio per l’immagine )83 per le finanze dello Stato o di un ente

82 F.FERRARO-S.GAMBACURTA Anticorruzione. Commento alla riforma,, cit, pag. 124 83 Per le problematiche relative al danno all’immagine vedi C. conti, sez. riunite n. n. 10/2003/QM; S. PILATO, La responsabilità amministrativa-Profili sostanziali e processuali nelle leggi 19/94, 20/94 e 639/96, Padova, 1999, pagg. 259; A.LUPI, Osservazioni in tema di danno all’immagine, in Riv. Corte dei conti, 1998, fasc.3 ,pag. 188; M. MINERVA, Note minime in tema di patrimonialità del danno all’immagine subito dalle pubbliche amministrazioni, in www.amcorteconti.it - “...Quanto alla natura giuridica della voce di danno in esame (danno per lesione dell’immagine e del prestigio dello Stato-amministrazione), va ulteriormente precisato che non si tratta di “”danno non patrimoniale” (cd. danno morale) ma di un danno patrimoniale, sia pure inteso in senso ampio...”, così giustificandosi la possibilità di richiedere il risarcimento anche in presenza di fattispecie non integranti ipotesi di reato, fondando la pretesa sul “...collegamento normativo dell’art. 2043 c.c. (anzi di una qualsiasi delle norme- clausole generali che, nel sistema di responsabilità amministrativa consentono l’attivazione della pretesa risarcitoria, ad es. art. 52 TU Corte dei conti, art. 18 TU n. 3/57, ecc.) con le disposizioni della Carta costituzionale che tutelano la personalità dello Stato e l’immagine e il prestigio dello Stato...(artt.2,42 ,53,97)...”; M.P.GIRACCA, Esiste il danno all’immagine di un ente pubblico ?, nota a C. conti, sez. reg. Lazio, sent. n. 2246 del 29 ottobre 1998, in Foro. it., maggio 2000, n. 5, III, 264 e ss. - “...in un primo momento la giurisdizione sul danno morale era ancorata alla sussistenza di un contestuale danno patrimoniale risarcibile e di un comportamento penalmente rilevante (C. conti sez. III, 13 ottobre 1998, n. 207; sez. reg. Toscana, 15 novembre 1996, n. 558; sez. reg. Puglia, 1° giugno 1995 n. 69; sez. reg. Umbria, 10 febbraio 1995, n. 20; sez. reg. Lombardia, 24 marzo 1994, n. 31; 27 aprile 1994 n. 114). Così si

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è esclusa la giurisdizione della Corte dei conti in materia di danno non patrimoniale, qualora quest’ultimo non fosse collegato alla condanna per danno patrimoniale (sez. reg. Lombardia, 27 giugno 1996, n. 1290; sez. reg. Emilia Romagna, 30 marzo 1998, n. 148, emendata in appello da sez. I, 28 aprile 1998, n. 109 e 4 maggio 1998, n. 226, Riv. Corte dei conti, 1998, fasc. 3, 185). Si è, invece, ritenuto risarcibile il danno consistente nel pregiudizio al prestigio e all’immagine dell’ente, indipendentemente dal contestuale verificarsi di (altri) danni patrimoniali, considerando che l’autonoma risarcibilità discende dal pregiudizio arrecato dall’evento lesivo e dal comportamento produttivo di tale evento (C. conti sez. reg. Veneto 15 gennaio 1999 n. 15, in Riv. Corte dei conti, 1999, fasc. 1, 90; sez. reg. Campania 23 aprile 1998, n. 29, id., 1998, fasc. 4, 129; sez. reg. Umbria 29 giugno 1998, n 628/R, id. 1998, fasc. 3, 1999; sez. reg. Lazio 8 aprile 1998 n. 109; 22 giugno 1998 n. 2000; sez. reg. Lombardia 24 marzo 1998, n. 554/EL; sez. I, 28 aprile 1998 n. 109). Riconosce l’autonomia del danno non patrimoniale Corte dei conti, sez. reg. Toscana, 30 maggio 1998, n. 323, id., 1999, fasc. 4, 104, secondo cui il danno non patrimoniale richiesto dopo la proposizione dell’atto di citazione è oggetto di una domanda nuova. Le citate sentenze si muovono nella considerazione secondo cui il danno all’immagine si sostanzia nella lesione di beni giuridicamente protetti ed è riconducibile non tanto all’ipotesi di cui agli artt. 2059 c.c. e 185 c.p., quanto a quella del danno ingiusto inferto ad uno dei diritti fondamentali della persona giuridica pubblica, il quale può discendere anche da un fatto non penalmente rilevante...”..; In argomento anche L. VENTURINI, Danno c.d. “morale” patito da soggetto pubblico:natura e giurisdizione della Corte dei conti, in Riv. dir. proc. amm., 3/2000,pp.907 e ss.; R.URSI, Danno all’immagine e responsabilità amministrativa, in Dir. amm., 2-3/2001, pp. 343 e ss. La quantificazione del danno all’immagine è stata affidata alla valutazione equitativa del giudice ex art. 1226 c.c, individuandosi i relativi parametri di riferimento di detta valutazione nei profili “oggettivo”, “soggettivo” e “sociale”. (v. ancora C. conti, sez. riunite n. n. 10/2003/QM) Quello oggettivo attinente alla “...gravità dell’illecito commesso, in relazione allo specifico bene tutelato, alle modalità della sua realizzazione ed alle eventuali reiterazioni dell’illecito stesso oltre che all’entità dell’indebito vantaggio conseguito dal dipendente o amministratore infedele ...”; quello “soggettivo” alla “...collocazione che il predetto ha nell’organizzazione amministrativa ed alla sua capacità di rappresentare l’amministrazione ...”, quello sociale basato sulle “..capacità esponenziali dell’ente , sulle sue dimensioni territoriali, sulla rilevanza - interna o internazionale - delle funzioni al medesimo intestate e sull’ampiezza della diffusione e del risalto dato all’illecito ...” sez. reg. Umbria, , 4 marzo 1998, n. 252 con nota di A. LUPI, Osservazioni in tema di danno all’immagine, in Riv. Corte dei conti, fasc. 3, 1998, pag. 187 e sez. reg. Lazio, 28 ottobre 1998 n. 2246 con nota di M.P. GIRACCA cit).. Tali criteri hanno evidenziato lo sforzo interpretativo giurisprudenziale volto a dare contenuto all’indicazione contenuta nella sent. Cass. sez. un. 25 giugno 1997 n. 5668 con la quale la corte di cassazione, nel riconoscere la giurisdizione della Corte dei conti sul danno all’immagine (richiamando il precedente di Cass. sez. un. 2 aprile 1993 n. 3970) inteso quale “...danno conseguente alla grave perdita di prestigio ed al grave detrimento dell’immagine della personalità pubblica dello Stato, che, anche se non comporta una diminuzione patrimoniale diretta, è tuttavia, suscettibile di una valutazione patrimoniale, sotto il profilo della spesa necessaria al ripristino del bene giuridico leso...(in tal senso C. conti sez. reg. Lombardia n. 24.3.1994 n. 31; sez. II centr. n. 281 del 16.1.1993, n. 114 del 27.4.1994; sez. reg. Puglia n. 53 del 10 .11.1997; sez. I centr. n. 109 del 28.4.1998 e n. 1 del 4.1.1999; sez. II centr. n. 207 del 13.10.1998 e n. 119 del 12.4.1999; sez. reg. Campania n. 29 del 23.4.1998; sez. reg. Umbria n. 501 del 28.5.1998 e n. 628 del 28.5.1998; sez. Lazio n. 2000 del 22.6.1998; sez. reg. Basilicata n. 28 del 10.2.1998 e 272 del 29.7.1998, sez. reg. Lombardia n. 1679 del 3.12.1998; sez. reg. Veneto, 15.1.1999; sez. reg. Basilicata, n. 27 del 26.2.1999). In relazione al criterio più seguito, fondato sul rilievo dato alla vicenda dagli organi di informazione sez. reg. Umbria, 30.3.1998 n. 255 aveva evidenziato anche il “...principio di “”immedesimazione””...che porta ad identificare l’amministrazione con il soggetto che per essa agisce...” per il cui il danno all’immagine deriva dal comportamento illecito dell’agente e non dalla diffusione dell’illecito che ne dà la stampa...”, esprimendo tale diffusione “...quale normale corollario della vita di relazione...la rilevanza sociale che ha il fenomeno degli illeciti commessi dai dipendenti pubblici, sotto il profilo dell’attenzione che l’opinione pubblica e, in definitiva gli amministrati, prestano all’esercizio delle pubbliche funzioni...”. Pertanto “...il discredito dell’amministrazione, in ipotesi di illeciti commessi nel suo ambito da personale dell’amministrazione medesima, non è altro che uno degli “”effetti naturali”” di un simile interesse sociale...” e costituendo pertanto uno dei criteri di riferimento della quantificazione del danno medesimo ( anche sez. reg. Sicilia, 22.4.1998 n. 155). Veniva poi precisato (C. conti sez. reg. Basilicata, 9.2.1998 n. 27) come “...la quantificazione del danno all’immagine, in mancanza di uno specifico progetto ripristinatorio elaborato dall’amministrazione, deve aver luogo mediante valutazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c., valutazione da collegarsi ad una serie di elementi oggettivamente riscontrabili, quali l’ampiezza dei riflessi negativi e la rilevanza sociale dell’attività svolta...”, sicché “...le iniziative (e quindi la spesa) da destinarsi al ripristino dell’immagine e del prestigio dell’ente sono tanto maggiori quanto maggiore è la lesione concretamente arrecata a tali valori...” (C. conti, sez.. reg. Friuli V.G., Giulia n. 435/EL/98 del 29 dicembre 1998; sez. Lombardia n. 1839 del 16.12.1998 ; sez. Piemonte, 19 aprile 2000 n, 1196/EL/00 e 9 maggio 2000, n. 1211/R/2000; sez. Toscana, 10 marzo 2000 n. 476, nonché sez. II 13.4.2000 n. 134). Si è pertanto affermato che la diffusione, attraverso i mezzi di pubblica informazione, della notizia del fatto criminoso posto in essere dal dipendente o amministratore, costituisce pertanto solo uno dei parametri di riferimento e pertanto anche il criterio della “spesa necessaria al ripristino del bene leso” integra uno dei possibili, ma non l’unico, strumento di valutazione . La problematica del danno all’immagine si è posta in particolare con riferimento a casi di corruzione o concussione per le quali è stata coniata la definizione di “danno da tangente” che rappresenta una sintesi di diverse tipologie di danno, sia patrimoniale che non patrimoniale Sotto il primo profilo è stata messa in evidenza la “contabilità in nero”, da cui viene tratta la tangente, con conseguente sottrazione al prelievo fiscale (Cass. sez. un. 2.4.93 n. 3970) nonché la natura di “...costo illecito che l’imprenditore riversa sulla p.a. attraverso condotte fraudolente, agevolate dall’agente pubblico corrotto o concussore. A seguito ed a causa del pagamento della tangente, il soggetto privato ricorre agli istituti ed alle regole contrattuali che consentono di modificare in proprio favore, l’equilibrio dello scambio economico. La revisione dei prezzi concordati, l’esecuzione di lavori supplementari a corrispettivo maggiorato, la realizzazione di economie di spesa in prestazioni di minore valore rispetto a quello concordato sono tecniche di comportamento ed espedienti che consentono

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di recuperare l’iniziale costo occulto. La tangente diviene così, oggetto di traslazione sul bilancio pubblico per effetto dell’illecita azione di rivalsa del soggetto d’impresa nei confronti della p.a. ...” S. (PILATO, op. cit. ,pag. 263 e AA.VV. (a cura di G.COLOMBO), Il sistema degli appalti, Milano, 1995).Quanto ai profili non patrimoniali si è osservato ancora (v.PILATO cit.) che “..La tangente è anche danno non patrimoniale per la lesione dell’immagine della p.a.. Il prestigio della personalità del soggetto pubblico è pregiudicato dalla risonanza, e dalla diffusione della conoscenza, del fatto illecito (“strepitus” o “clamor fori”) (...Cass. civ. 23.6.97 n. 5668). La lesione dei diritti immateriali della personalità giuridica può essere valutata sotto il profilo del danno patrimoniale indiretto. L’eliminazione di tutte le conseguenze negative del fatto illecito, richiede dei costi di ripristino anche per gli interessi immateriali pregiudicati (...sez. I, 12.5.1998 n. 131) I recenti orientamenti del giudice contabile manifestano un ulteriore profilo di qualificazione del danno da tangente, che diviene oggetto di esame nelle sue componenti non patrimoniali. L’agente pubblico che, tra i motivi d’adempimento degli obblighi di servizio, introduce l’interesse al lucro illecito, tradisce il fondamentale dovere di fedeltà nei confronti della p.a. (art. 97 cost.). Nella riscossione della tangente, soprattutto se il fatto assume i connotati dell’abitualità, è configurabile il danno alla funzione pubblica, la quale viene sviata dalla causa illecita, per divenire strumento di realizzazione degli interessi personali (...sez. I, 29.10.1996 n. 62/A). Il danno alla funzione pubblica è lesione dell’interesse immateriale all’imparzialità ed al buon andamento dell’azione amministrativa (...sez. II, 16.11.1993 n. 281). L’imparzialità, l’efficienza, la trasparenza della p.a. divengono delle clausole generali di diritto pubblico, che consentono di ravvisare la sussistenza dell’illecito in tutte le condotte difformi. La responsabilità amministrativa non dipende - in forma esclusiva - dalla violazione dei doveri specifici del rapporto di servizio, perché è sufficiente la violazione dei doveri generali espressamente prescritti dalle norme costituzionali nei confronti del pubblico dipendente (...C. conti, sez. II , 16.11.1993 n. 281). La configurazione del danno alla funzione pubblica è accolta con atteggiamento prudente e dubitativo dagli orientamenti del giudice contabile, il quale avverte il rischio dell’eccessiva genericità nei lineamenti della figura . Le clausole generali della imparzialità e del buon andamento sono, da sole, insufficienti all’accertamento della responsabilità amministrativa. Per la sussistenza dell’illecito è - invece - necessario che i doveri generici contemplati dalle norme costituzionali, si traducano in discipline specifiche che recepiscano tali valori in tipiche regole di condotta (...sez. reg. Lombardia, 13.3.98 n. 436). ...Nella ricerca ed applicazione dei criteri di stima del danno da tangente la giurisprudenza propone argomentazioni di contenuto eterogeneo. Alquanto problematica è la stima della componente non patrimoniale del danno. E’affermata la necessità della stima equitativa per la quantificazione del pregiudizio economico arrecato ai diritti della personalità pubblica (“...E’ di tutta evidenza che anche le persone giuridiche possono subire - con il conseguente diritto al ristoro - effetti pregiudizievoli, che - al di fuori della sensibilità e percezione psicologica del danneggiato - comunque si risolvano in una lesione di beni immateriali, quali l’onore, la reputazione, il prestigio, la cui liquidazione -cfr. Cass. I civ., 10.7.1991 n. 7642 - ben può essere effettuata con valutazione equitativa rimessa la prudente apprezzamento del giudice (C. conti, sez. I 30.10.1998 n. 4). La stima equitativa non è rimessa al libero ed arbitrario apprezzamento del giudice, il quale deve utilizzare parametri certi e criteri logici suscettibili di verifica. L’entità della tangente, la natura della attività pubblica deviata e la risonanza del fatto illecito, sono - finora - i parametri oggettivi individuati dal giudice contabile nella operazione di estimo. Non è stata recepita l’opinione della stima del danno in misura inversamente proporzionale al valore della tangente. Il sillogismo proposto si fonda sull’argomento che la modica misura del provento occulto denota la facile corruttibilità dell’agente pubblico, mentre la rilevanza economica della tangente dimostra una più elevata fedeltà verso la p.a.. Prevale incontrastata l’opposta opinione affermativa dell’aggravamento del danno in misura proporzionale all’accrescimento del valore della tangente (...sez. Umbria 23.1.1998 n. 1). Opinioni critiche sono state formulate per prevenire il rischio dell’eccesso di discrezionalità giudiziaria nella utilizzazione dei criteri empirici di stima equitativa. Non è pienamente condiviso il criterio della “eco” connessa alla divulgazione della notizia del fatto secondo l’ambito territoriale (provinciale, regionale, nazionale)... (sez. reg. Sicilia, 22.4.98 n. 155) L’applicazione di tale criterio conferisce rilevanza al fatto del terzo esercente il diritto di cronaca che, estraneo all’illecito, partecipa alla diffusione dell’informazione (sez. I, 30.10.1998 n. 4). La giurisprudenza contabile adotta allora, il criterio integrativo del riferimento alle modalità concrete di realizzazione del fatto illecito, le quali divengono pure rilevanti per la stima del danno. Il “clamor fori”, anche se circostanza esterna ai modi del fatto, diviene - così- elemento valutabile (sez. II, 27.4.94 n. 114). L’eco negativa del fatto non è oggetto di valutazione autonoma. La sua rilevanza non può essere disgiunta dalla considerazione delle circostanze e modalità del fatto (...sez. I, 7.3.94 n. 55). Maggiore certezza presenta il criterio di stima economica del danno da ripristino degli effetti negativi dell’illecito. La p.a. sopporta i costi di rimozione del danno, al fine di recuperare l’immagine deteriorata dalla condotta del proprio agente. Il profilo si inserisce nella figura del danno patrimoniale indiretto (...sez. I 30.10.98 n. 4)....”.Di interesse sono risultate anche le considerazioni emerse al riguardo in sede di giurisdizione ordinaria penale in tema di definizione e quantificazione del danno (Cfr. P.C. DAVIGO, Violazione dei doveri di fedeltà ed imparzialità, quantificazione degli effetti dannosi nelle amministrazioni pubbliche, in Riv. Corte dei conti, 1999, fasc. 2, IV, pagg. 151) in base alle quali è risultato come l’importo medio del danno non patrimoniale in caso di costituzione di parte civile da parte della p.a. per casi di corruzione o concussione si aggiri sul 10 per cento circa della tangente percepita. Ne consegue che il trasferimento in sede contabile della giurisdizione ha comportato, con la ricerca di ulteriori parametri (rispetto a quello dell’importo della tangente percepita) un generale incremento dell’entità delle condanne. In tema di danno all’immagine da tangente, cfr. C. conti, sez. I centrale, n. 3 del 10 gennaio 2005 (anche con puntualizzazioni in tema di competenza territoriale, decorrenza della prescrizione ed effetti interrottivi dell’invito a dedurre). V. anche Sezione giurisdizionale Regione Trentino Alto Adige (Trento), n. 111 del 27 dicembre 2004: Pres. de Marco I. - Est. Bacchi – P.M. Scarano – P.R. c. XY.- “….Il mero collegamento della tangente ad un presunto danno erariale di natura patrimoniale non può assumere rilevanza in modo aprioristico ed acritico, essendo necessario che esso sia accompagnato da ulteriori elementi in grado di suffragarlo e non basato sul criterio della matematica equazione tra tangente e danno : ancorché, infatti, secondo l’id quod plerumque accidit, con l'avvenuto pagamento della tangente si presume un danno pubblico per un implicito costo patrimoniale occulto almeno uguale all'importo di essa, questo criterio non può ritenersi automaticamente applicabile, poiché: a) a volte, il maggior costo rappresentato dalla tangente può ripianarsi con la riduzione dell'utile dell’ appaltatore; b) altre volte, al contrario, il danno

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patrimoniale subito dall’Amministrazione - in seguito ad accordi criminosi intercorsi tra il dipendente infedele ed altri soggetti - sia direttamente, per il minor valore delle opere realizzate, che indirettamente (ad esempio, nel caso che vengano erogate somme a titolo di risarcimento a terzi danneggiati da opere realizzate con costi inferiori a quelli pattuiti), può essere di gran lunga superiore all’ammontare della tangente percepita...”, nonché sez. I centr., n. 78 del 19 febbraio 2003, n. 184 e 186 del 31 maggio 2005). V. anche Cass.sez. un. civ. ord. n. 4582 del 2 marzo 2006, per la affermazione della giurisdizione nei confronti di parlamentare e presidente di commissione bilancio della Camera dei deputati in relazione a danno all’immagine conseguente alla percezione di tangenti in relazione all’attività istituzionale. Quanto al “danno da disservizio” connesso alla spesa necessaria per il “...ripristino degli effetti negativi dell’illecito...”cfr. S. PILATO, op. cit. pag. 263 e ss- “.... La p.a. sopporta i costi di rimozione del danno, al configurandosi la stessa come danno patrimoniale indiretto...” (cfr. sez. giur. Piemonte, , sent. n. 1618/00 del 27 11.2000, per una fattispecie attinente a fatti di concussione imputati a militari della G. di finanza ove si afferma che il computo del danno “...appare quindi poter comprendere, in seno all’attività illecita posta in essere, non solo il danno da minore entrata tributaria... ma anche quello che è stato il relativo disservizio, consistente nel mancato raggiungimento dei risultati ai quali era finalizzata la spesa sostenuta dallo Stato, causando uno spreco di risorse finanziarie pubbliche...”. In argomento anche V. ITALIA, Gli impiegati pagano il danno da disservizio, in Il sole 24 ore, 11 dicembre 2000 che commenta sent. sez. Umbria, 31 luglio 2000 n. 424/R ove, tra l’ altro, in tema di individuazione del danno sono state evidenziate le ipotesi di “”illecito esercizio di pubbliche funzioni””, “”mancata resa del servizio (servizio inattuato)”” e “”mancata resa della prestazione dovuta””; mentre in tema di quantificazione è stato affermato che “...poiché il disservizio comporta una minore produttività dei fattori economici, questo danno non può essere limitato allo stipendio (che il soggetto che ha provocato il disservizio ha percepito in quel periodo) ma dovrà ricomprendere “” i maggiori costi generali causati dallo spreco di risorse economiche non utilizzate, secondo i canoni di legalità, efficienza, efficacia e produttività”” e questo danno può essere valutato dal giudice contabile in via equitativa...”(art. 1226 c.c.). la sez. Reg. Umbria, con sentenza n. 371 del 27 luglio 2004 (in Riv. Corte dei conti, 2004, 4, pag. 111) ha precisato che “…in materia di responsabilità amministrativa costituisce danno da disservizio, equitatvamente quantficabile, quello conseguente al mancato rispetto del collegamento teleologico fra potere esercitato e funzione pubblica perseguita…”. Al riguardo v. Sez. Umbria, n. 346 del 28 settembre 2005 –“… in merito al “danno patrimoniale da disservizio”, la sezione giurisdizionale regionale dell'Umbria con diverse sentenze (cfr. sez. Umbria, tra le tante, sent. n. 152/R/96 dell'11 marzo 1996, sent. n. 1/E.L./98 del 4 dicembre 1997, sent. n. 252/R/98 del 29 gennaio 1998, sent. n. 501/E.L./98 del 14 maggio 1998, sent. n. 831/R/98 del 9 aprile 1998, sent. n. 582/E.L./99 del 19 ottobre 1999, sent. n. 27/E.L./2000 dell'11 gennaio 2000, sent. n. 424/R/2000 del 7 giugno 2000, sent. n. 511/R/2001 del 29 novembre 2001, ecc.) da tempo ha avuto modo di precisare che i connotati del danno all' erario possono essere rinvenuti anche nei casi di “disservizio” (ovvero di “disservizio da illecito esercizio di pubbliche funzioni”, ovvero di “disservizio da mancata resa del servizio”, ovvero di “disservizio da mancata resa della prestazione dovuta”) causato da un amministratore, da un dipendente (anche di fatto) o da un agente pubblico con una condotta commissiva od omissiva dolosa o gravemente colposa produttiva di effetti negativi nella gestione di un pubblico servizio, consistendo il “disservizio” - in presenza di organizzazioni pubbliche con investimenti e costi di gestione giustificati dalle attese di utilità dei previsti corrispondenti benefici da parte dei cittadini - “nel mancato raggiungimento delle utilità che erano state previste nella misura e qualità ordinariamente ritraibile dalla quantità delle risorse investite” e perciò “in maggiori costi dovuti a spreco di risorse economiche o nella mancata utilità ritraibile dalle somme spese, a ragione della disorganizzazione del servizio”, ovvero a ragione della “mancata resa del servizio” o della “mancata resa della prestazione dovuta” da parte dei predetti amministratore, dipendente ed agente pubblico.In sostanza, il tratto comune unificante delle varie situazioni di “danno patrimoniale da disservizio” consiste nell'effetto dannoso causato alla organizzazione ed allo svolgimento dell'attività di una pubblica amministrazione - cui l'agente, il dipendente e l'amministratore pubblico erano tenuti in ragione del proprio rapporto di servizio, di ufficio o di lavoro - con una minore produttività dei fattori economici e produttivi nella stessa amministrazione pubblica profusi dal bilancio della medesima P.A.; produttività ravvisata sia nel mancato conseguimento della attesa legalità dell'azione e dell'attività pubblica, sia nella inefficacia o inefficienza di tale azione ed attività pubblica.Il “danno patrimoniale da disservizio” consiste, quindi, nel mancato conseguimento della legalità, della efficienza, della efficacia, della economicità e della produttività dell'azione e della attività di una pubblica amministrazione, causato dall'amministratore, dall'agente o dal dipendente pubblico - a ragione della “disorganizzazione del servizio”, ovvero in ragione della “mancata resa del servizio” o della “mancata resa della prestazione dovuta” - con una condotta commissiva o omissiva connotata da dolo o da colpa grave.La “mancata resa del servizio” - evidentissima, come nel caso che qui interessa, nei casi di violazione, protratta per un certo periodo di tempo, della normativa vigente in materia, con conseguenti danni patrimoniali per l' erario - costituisce già di per sé un danno patrimoniale, che - oltre che nei costi generali sopportati dalla P.A. - é ravvisabile - come si è detto anche in precedenza - nell'alterazione del rapporto sinallagmatico tra resa della attività lavorativa e corresponsione dello stipendio o di altri emolumenti.Tale assunto é avvalorato con il richiamo alle disposizioni contenute nelle leggi n. 142/1990, n. 241/1990, n. 20/1994, n. 59/1997, n. 127/1997 e nei Decreti Legislativi n. 77/1995 e n. 29/1993 e successive modificazioni ed integrazioni, nelle quali i ricordati valori sono stati affermati come propri della attività delle pubbliche amministrazioni e posti a fondamento del rapporto di lavoro, di ufficio o di servizio degli pubblici amministratori dipendenti ed agenti pubblici, introducendo la c.d. “responsabilità del risultato”, che consente di considerare - ai fini della determinazione del danno risarcibile - non solo la perdita subita, ma anche il mancato guadagno.Al riguardo, - ripetendo quanto si è già detto in precedenza - occorre tenere presente che l'istituto della responsabilità amministrativa-contabile é attualmente disciplinato da un ordinamento di settore con regole proprie e caratteristiche proprie definite dal legislatore (cfr. leggi indicate), che - come pure si è già detto - non vanno considerate eccezioni alla regola generale, ma connotati suoi propri…” .V. anche E.TOMMASSINI, Il danno da disservizio, in Riv. Corte dei conti, 2005, 3, pag. 334 e ss.. Un collegamento a tale fattispecie di danno è rinvenibile in Cass., sez. VI penale, 7 novembre 2000-18 gennaio 2001 n. 352 che ha riconosciuto la configurabilità del reato di cui all’art. 314 , 1° c. c.p. nel “distoglimento dell’autista dalle sue funzioni di esecutore di un servizio pubblico” congiuntamente alla fattispecie di “peculato d’uso” con

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riferimento all’indebito utilizzo di autovettura di servizio.Cfr. Il sole 24 ore- Guida al diritto, 24 febbraio 2001 -L’uso improprio dell’auto di servizio “”raddoppia”” il reato di peculato, con nota di O. FORLENZA . V. anche L.CIRILLO, Ancora dubbi sulla configurazione dommatica del danno all’immagine, in Riv. Corte dei conti, 2004, 3, pp. 100; AA.VV. (a cura di G.COLOMBO), Il sistema degli appalti, Milano, 1995; P.C. DAVIGO, Violazione dei doveri di fedeltà ed imparzialità, quantificazione degli effetti dannosi nelle amministrazioni pubbliche, in Riv. Corte dei conti, 1999, fasc. 2, IV, pagg. 151. V. anche A.RICCO’, Il cosiddetto danno all’immagine della pubblica amministrazione nella tematica della riparazione del danno non patrimoniale e la giurisdizione della Corte dei conti, in Riv. Corte dei conti, 2004, 4, pp. 237 e ss.; Per una ulteriore precisazione in tema di danno all’immagine cfr. Cass. sez. un.civ. ord. n. 4582 del 2 marzo 2006, con l’affermazione della giurisdizione contabile nei confronti di parlamentare che aveva percepito tangenti nell’espletamento del mandato di parlamentare e di presidente della commissione bilancio della camera dei deputati. Hanno affermato le Sezioni unite che “…la vicenda riguarda un parlamentare (1976-1992), presidente della commissione bilancio della camera dei deputati (1983-1988) nonché ministro della Repubblica (dal 1988 al 1991; senza portafoglio sino al 1989, del Bilancio e della programmazione economica sino al 1991 e, quindi, in costanza di un rapporto di servizio onorario con lo Stato che gli assicurava le prerogative previste dall’art. 68 della costituzione, nell’esercizio della funzione parlamentare , che gli era demandata, ha percepito “”contributi”” indebiti per quattro miliardi di lire , da parte di alcune imprese raggruppate nella Metropolitana di Napoli s.p.a. aggiudicataria dei lavori di costruzione della metropolitana di Napoli , con conseguente irrimediabile danno (indicato nella misura di euro 2.633.930,18) in termini di pregiudizio del prestigio e del decoro dell’istituzione pubblica, il Parlamento, cui apparteneva, e dello Stato comunità, che rappresentava; che secondo il più recente e largamente apprezzato orientamento di questa Corte è ammessa la risarcibilità del c.d. danno morale anche quando la responsabilità dell’autore risulti da una presunzione astratta di legge o comunque, non vi sia stato l’accertamento in concreto del fatto reato; che il …non ha posto in essere esclusivamente un comportamento doloso attivo – percezione di contributi illeciti – accompagnato ovviamente dalla consapevolezza della propria (ed altrui) qualifica – ma anche uno omissivo, quantomeno gravemente colposo, di non aver denunciato i fatti penalmente rilevanti o di non averli impediti, in quanto a sua diretta conoscenza , poiché il dovere di denuncia si sarebbe risolto in un’autodenuncia; che in entrambi i casi (comportamento commissivo ed omissivo) , le condotte risultano gravemente trasgressive dei più elementari doveri di fedeltà di ogni pubblico agente, di quel dovere, cioè, che prima (di) e più che ad ogni altro, fa capo ad un rappresentante del Popolo italiano, a cui appartiene, la Sovranità, ex art. 1 della costituzione ed al cui servizio deve essere dedicato esclusivamente il deputato in virtù del mandato ricevuto ; che la maggior parte delle contribuzioni illecite sono state percepite dal …in un periodo in cui peraltro, era anche ministro della Repubblica, vincolato al rispetto del dovere assoluto di fedeltà al Governo di cui era esponente; che in linea generale il deputato, quando esercita il proprio compito istituzionale, agisce in funzione di rapporto di servizio, speciale ed onorario, e non è perseguibile in assoluto, solo se c’è uno stretto legame funzionale tra opinioni espresse ed atti compiuti ed esercizio indipendente delle proprie attribuzioni (C.cost. sentenze n. 10 e 11 del 2000). Che tale legame evidentemente si interrompe quando l’accettazione di denaro e di altri beni materiali intervenga a condizionare atti parlamentari e/o di governo; che il comportamento , non attinente né ad opinioni espresse, né a voti dati dal …nell’esercizio delle sue attribuzioni, è in chiaro ed evidente nesso strumentale di occasionalità con le funzioni svolte di presidente della commissione bilancio della Camera dei deputati, e , anzi , è stato tenuto in ragione della stessa; che la prospettazione di un rapporto di servizio tra il parlamentare e lo Stato è confermata dal fatto che l’amministrazione di è costituita parte civile nel processo penale, con atto che ha superato il vaglio di ben due collegi giudicanti e in relazione al quale è intervenuta condanna da liquidarsi in separato giudizio; che peraltro tale costituzione non è rilevante nel presente giudizio in quanto, essendo la giurisdizione penale e la giurisdizione civile per il risarcimento dei danni da un lato, e la giurisdizione contabile, dall’altro, reciprocamente indipendenti nei profili istituzionali, anche quando investano uno stesso fatto materiale, dalle colorazioni e rilevanze giuridiche diverse e potendo l’interferenza verificarsi tra giudizi e mai tra le giurisdizioni, non può accogliersi la tesi della consumazione dell’azione di responsabilità esercitata innanzi alla Corte dei conti, per fatti già oggetto, in altra sede, di analoga azione esercitata dalla p.a. in quanto irrilevante ai fini del riparto di giurisdizione (Cass. sez. un . 21 maggio 1991 n. 369 e 23 novembre 1999, n. 822; che le considerazioni esposte sono in perfetta sintonia con i principi affermati in materia da questa Corte che, da un lato, ha sempre riconosciuto la rilevanza di un rapporto di servizio anche di natura onoraria (Cass. sez. un. 17 maggio 1995 n. 5393 e 22 ottobre 1979 n. 5467) e, dall’altro, è ben ferma nell’affermare che la cognizione in ordine all’azione di responsabilità amministrativa di soggetti istituzionalmente investiti di pubbliche funzioni decisionali, appartiene alla giurisdizione della Corte dei conti anche allorché, con il suo esercizio, si assuma sussistente non solo il danno erariale, ma anche il danno conseguente alla perdita di prestigio ed il grave detrimento dell’immagine e della personalità pubblica dello Stato che, pur se non comporta una diminuzione patrimoniale diretta, è tuttavia suscettibile di una valutazione patrimoniale sotto il profilo della spesa necessaria al ripristino del bene giuridico leso (Cass. sez. un. 25 ottobre 1999, n. 744; 4 aprile 2000, n. 98; ord. 12 novembre 2003, n. 17078- ex plurimis); che pertanto va dichiarata la giurisdizione della Corte dei conti…” . Ancora, per l’affermazione della giurisdizione contabile con riferimento a responsabilità di magistrato per danno patrimoniale e danno all’immagine connessi a fatti di reato cfr. Cass. sez. un. civ. n. 6582 del 24 marzo 2006. Sul danno all’immagine v. anche Cass.sez. un civ. 14297 del 20 giugno 2007 che conferma la giurisdizione della Corte dei conti. La sentenza ha anche precisato, in tema di danno ad ente diverso da quello di appartenenza (art. 1 comma 4 della legge 20/1994) , che detta limitazione di giurisdizione non è applicabile alle ipotesi nelle quali, anche antecedentemente all’entrata in vigore della norma, sussistesse un rapporto di servizio fra danneggiante ed amministrazione danneggiata. Quanto al momento perfezionativo del danno, in specie all’immagine, esso si configura non solo con riferimento alla condotta ma anche all’evento lesivo. Il danno all’immagine, pertanto si è realizzato, nella fattispecie, per effetto “del clamore dell’illecito presso l’opinione pubblica sulla base delle notizie divulgate dai mezzi di comunicazione di massa…”. “E’ in quel momento che si è perfezionato il “fatto illecito” nel suo complesso, dal quale deriva il danno risarcibile del soggetto attivo” Il danno all’immagine può sussistere anche in assenza di danno patrimoniale (diretto) in senso stretto. Sul rapporto fra processo penale e processo contabile v. Corte costituzionale, sentenza 13 luglio

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pubblico) Il danno per le finanze dello Stato o di un ente pubblico costituisce l’elemento materiale della fattispecie di responsabilità amministrativa e consiste in una perdita o in un mancato incremento patrimoniale (danno emergente o lucro cessante) e può avere anche carattere non patrimoniale. Il criterio “differenziale” è stato da tempo interpretato dalla Corte dei conti in modo estensivo giungendosi a comprendere nella sua portata applicativa anche la compromissione di interessi a carattere generale del corpo sociale o la lesione dell’interesse pubblico generale all’equilibrio economico finanziario dello Stato: trattasi, secondo la Corte di danni a beni che non appartengono al patrimonio dello Stato- persona ma a tutti i membri indifferenziati della collettività. Il danno può avere carattere “diretto” e cioè derivare immediatamente dalla condotta dell’agente (es. sottrazione di somme, perdita o danneggiamento di beni, omessa acquisizione di entrate) ovvero “indiretto” e cioè in conseguenza della responsabilità dell’amministrazione verso “terzi”, affermata in sede giudiziale o transattiva (artt. 28 Costituzione, artt. 18 testo unico impiegati civili dello Stato - d.p.r.10 gennaio 1957, n.3) che venga fatta valere in rivalsa innanzi alla Corte dei conti secondo le regole della responsabilità amministrativo contabile (es. danni derivanti da attività medico chirurgica, da irregolare gestione di contratti, da incidenti su strade o uffici pubblici, da procedure espropriative). Sulla nozione del danno si sono incentrati interventi dottrinali e giurisprudenziali volti a ridefinirne i confini oltre la accezione puramente “contabilistica” (mera diminuzione del patrimonio) per estenderli agli aspetti concernenti gli equilibri della finanza pubblica, la cattiva gestione delle risorse o al buon andamento dell’amministrazione pubblica (danno pubblico) nonché con riguardo alle conseguenze sull’immagine della P.A. di condotte di amministratori pubblici costituenti reato (danno non patrimoniale ex art. 185 c.p. e 2054 c.c. ora nelle limitate ipotesi di

2007 n. 272, per l’affermazione dell’applicabilità, in tema di costituzione di parte civile e processo contabile della disciplina di cui all’art. 538 c.p.p. Al riguardo v. L.VENTURINI, La Corte dei conti decide in via esclusiva sul quantum del danno relativo a vicenda illecita oggetto di condanna penale, in www.amcorteconti.it. Sulla quantificazione del danno all’immagine cfr. anche Sezioni riunite della Corte dei conti, sentenza n.1/QM/2011, che ha tenuto conto sia delle innovazioni normative introdotte con l’art. 17 comma 30 ter del d.l. n.78/2009 , sia dell’evoluzione della giurisprudenza della Corte di cassazione in tema di danno non patrimoniale. In particolare le Sezioni riunite hanno precisato che “…la stessa giurisprudenza della Corte di cassazione richiamata nell’ordinanza, ed in particolare Cass. Civ., sez. III, 4.6.2007, n. 12929, evidenzia che il ‘danno non patrimoniale’, inteso come ‘danno c.d. conseguenza’, è costituito (..) dalla diminuzione della considerazione della persona giuridica o dell’ente (..) sotto il profilo della diminuzione della considerazione da parte dei consociati in genere o di settori di categorie di essi con le quali la persona giuridica o l’ente di norma interagisca, e non “dalle spese necessarie al ripristino”. In altre parole il danno all’immagine della Pubblica amministrazione, anche se qualificato “conseguenza”, coincide non già con il fatto lesivo (in ipotesi di condotta di corruzione), ma con la lesione (perdita di prestigio), che costituisce una “conseguenza” (art. 1223 c.c.) del fatto lesivo, sicché – come rilevato anche dalla Procura generale nelle conclusioni versate in atti – la soluzione ipotizzata nell’ordinanza di remissione, per la quale non vi sarebbe danno all’immagine “in assenza di spese di ripristino”, appare contrastare con la stessa ricostruzione del danno in termini di “danno conseguenza” espressa nell’ordinanza medesima, con il richiamo alla giurisprudenza della Corte di cassazione. In definitiva, sulla scorta dei principi affermati nella sentenza della Terza Sezione centrale d’appello n. 143/2009 anche alla luce della giurisprudenza delle Sezioni unite della Corte di Cassazione intervenuta dopo la sentenza di queste Sezioni riunite n. 10/QM/2003 (cfr. SS.UU. Cassazione n. 26972 e n. 26975 dell’11 novembre 2008), e dei conformi orientamenti delle altre sezioni di appello sopra richiamati, deve ritenersi che il danno all’immagine della Pubblica amministrazione (“non patrimoniale”), anche se inteso come “danno c.d. conseguenza”, è costituito “dalla lesione” all’immagine dell’ente, “conseguente” ai fatti lesivi produttivi della lesione stessa (compimento di reati o altri specifici casi), da non confondersi con “le spese necessarie al ripristino”, che costituiscono solo uno dei possibili parametri della quantificazione equitativa del risarcimento. Alla stregua delle suesposte considerazioni si ritiene che la più recente giurisprudenza delle sezioni d’appello della Corte dei conti, pur non ignorando i recenti approdi giurisprudenziali della Corte di cassazione richiamati nell’ordinanza di rimessione, esprime orientamenti uniformi e consolidati sulla individuazione, sulla prova e sulla quantificazione del danno all’immagine alla pubblica amministrazione rientrante nel proprio ambito di giurisdizione, sicché non risulta sussistente il contrasto giurisprudenziale ipotizzato nell’ordinanza di rimessione ai fini della ammissibilità della prospettata questione di massima….”. Per una conferma di tale impianto giurisprudenziale cfr Cass. Sez. un.civ. n.12 aprile 2012 n. 5756 che richiama Corte cost. n. 355/2010.

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condanna passata ingiudicato per reati commessi da pubblici ufficiali eros la p.a. ai sensi dell’art. 17 comma 30 ter del d.l. 78/2009 e succ. mod.- cfr. anche Corte cost. sent. 335/2010 )84

- nell’elemento soggettivo (dolo o colpa grave)85. E’ stata riconosciuta la sua configurabilità

nel caso sia posto in essere un “...atteggiamento di grave disinteresse nell’espletamento delle proprie funzioni, di negligenza massima e di deviazione dal modello di condotta connesso ai propri compiti ...” (C.conti, sez. giur. Veneto, 10 febbraio 1997 n. 71) o quando si riscontrino “...evidenti e marcate trasgressioni degli obblighi di servizio o di condotta che siano ex ante ravvisabili o riconoscibili per dovere professionale d’ufficio e che, in assenza di oggettive ed eccezionali difficoltà si materializzano nell’inosservanza del minimo di diligenza richiesta ...” (C.conti, sez. riun. 10 giugno 1997, n. 56/A nonché sez. giur. Campania, 31 agosto 1998, n.58 e 12 giugno 1998, n. 49; sez. III centr. 23 luglio 1996, n. 320 e 5 giugno 1997, n. 73) o comunque lo scostamento dallo standard minimo di diligenza richiesto nell’espletamento dei compiti propri della funzione rivestita secondo i canoni della colpa “professionale” (sez. giur. Emilia Romagna, 27 novembre 1996, n. 697; sez. giur. Toscana, 29 aprile 1997, n. 313; sez. giur. Sicilia, 19 agosto 1997, n. 216), tenendosi conto delle circostanze del caso concreto ampiamente illustrate nella sentenza impugnata, nonché della palese prevedibilità del danno connesso all’atteggiamento tenuto (sez. giur. Marche, 18 agosto 1998, n. 1931; sez. Toscana, 12 ottobre 1998, n. 135; sez. I centr. n. 335 del 2 ottobre 2002). Recentemente sez. I centrale, n.260 del 29 novembre 2002 e n. 147 del 26 maggio 2003 , hanno evidenziato la nozione di figura sintomatica delle varie definizioni fornite dalla giurisprudenza , precisando che “…ai fini della determinazione della colpa grave si è ritenuto – sez. Molise sent. n. 89/2001; sez. I centr. n. 190/2002; n. 228/2002; n. 234/2002; n. 235/2002 – che possa farsi riferimento alle norme che precisano questo livello di colpevolezza, quali l’art. 5 del d.lgs. 472/97 – sulle sanzioni amministrative per violazione delle norme tributarie – nel testo sostituito

84 V.TENORE, La responsabilità amministrativo contabile, in AA.VV., La nuova Corte dei conti: responsabilità, pensioni, controlli, Milano, 2004, pag. 99. Per le problematiche relative al danno all’immagine prima delle modifiche introdotte dall’ art. 17 comma 30 ter del d.l. n. 78/2009, convertito nella legge 102/2009 modificata dal d.l. 10/2009 convertito nella legge 141/2009 vedi C. conti, sez. riunite n. n. 10/2003/QM e la dottrina formatasi al riguardo: S. PILATO, La responsabilità amministrativa-Profili sostanziali e processuali nelle leggi 19/94, 20/94 e 639/96, Padova, 1999, pagg. 259; A.LUPI, Osservazioni in tema di danno all’immagine, in Riv. Corte dei conti, 1998, fasc.3 ,pag. 188; M. MINERVA, Note minime in tema di patrimonialità del danno all’immagine subito dalle pubbliche amministrazioni, in www.amcorteconti.it M.P.GIRACCA, Esiste il danno all’immagine di un ente pubblico ?, nota a C. conti, sez. reg. Lazio, sent. n. 2246 del 29 ottobre 1998, in Foro. it., maggio 2000, n. 5, III, 264; L. VENTURINI, Danno c.d. “morale” patito da soggetto pubblico:natura e giurisdizione della Corte dei conti, in Riv. dir. proc. amm., 3/2000,pp.907 e ss.; R.URSI, Danno all’immagine e responsabilità amministrativa, in Dir. amm., 2-3/2001, pp. 343 e ss.; sez. reg. Umbria, , 4 marzo 1998, n. 252 con nota di A. LUPI, Osservazioni in tema di danno all’immagine, in Riv. Corte dei conti, fasc. 3, 1998, pag. 187 ; v. anche AA.VV. (a cura di G.COLOMBO), Il sistema degli appalti, Milano, 1995; V. ITALIA, Gli impiegati pagano il danno da disservizio, in Il sole 24 ore, 11 dicembre 2000; E.TOMMASSINI, Il danno da disservizio, in Riv. Corte dei conti, 2005, 3, pag. 334 e ss..; A.RICCO’, Il cosiddetto danno all’immagine della pubblica amministrazione nella tematica della riparazione del danno non patrimoniale e la giurisdizione della Corte dei conti, in Riv. Corte dei conti, 2004, 4, pp. 237 e ss. 85 Per qualificare la colpa grave si può ancora fare ricorso alla definizione di “massima negligenza” (ULPIANO - D. 50.16.2312- Lata culpa est nimia neglegentia, id est non intellegere quod omnes intellegunt -colpa grave è la massima negligenza, cioè non intendere ciò che tutti intendono).v. C.M. BIANCA, Diritto civile, Giuffrè, Milano, 1995- vol. 5- La responsabilità, pag. 580; P.MADDALENA, La colpa nella responsabilità amministrativa,in Riv. Corte dei conti, 1997, 2, pag. 272 e ss.; P.MADDALENA, La nuova conformazione della responsabilità amministrativa alla luce della recente giurisprudenza della Corte costituzionale, in www.amcortecont.it Per ulteriori precisazioni con riguardo all’elemento soggettivo C. cost. 24 ottobre 2001, n. 340 nonché C. PAGLIARIN, Colpa grave ed equità nel giudizio di responsabilità innanzi alla Corte dei conti, Padova, 2002; C.PAGLIARIN, Il rebus della colpa grave, Relazione al seminario di studi su La responsabilità amministrativa nei giudizi dinanzi alla Corte dei conti, Regione Veneto - Palazzo Giovannelli, Venezia 15 luglio 2003

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dall’art. 2 del d.lgs. 203/98, secondo il quale “la colpa è grave quando l’imperizia o la negligenza del comportamento sono indiscutibili e non è possibile dubitare ragionevolmente del significato e della portata della norma violata e, di conseguenza, risulta evidente la macroscopica inosservanza di elementari obblighi tributari “ oppure l’art. 2 della legge 117/88 – sulla responsabilità dei magistrati – che definisce grave la violazione di legge “ determinata da negligenza inescusabile”. Ed in quest’ambito normativo più determinato si giustificherebbero le varie specificazioni della gravità della colpa proposte dalla giurisprudenza quali: l’inosservanza del minimo di diligenza; la prevedibilità e prevedibilità dell’evento dannoso; la cura sconsiderata e arbitraria degli interessi pubblici; il grave disinteresse nell’espletamento delle funzioni; la totale negligenza nell’esame del fatto e dell’applicazione del diritto; la macroscopica deviazione dal modello di condotta connesso alla funzione; la sprezzante trascuratezza dei doveri di ufficio resa estensiva attraverso un comportamento improntato alla massima negligenza o imprudenza ovvero ad una particolare noncuranza degli interessi pubblici…” . La nozione di colpa è stata configurata anche quale colpa professionale86 “…...l’istituto dell’errore professionale, già alla stregua della costruzione giurisprudenziale fatta propria dalla giurisdizione contabile (a partire dalle fondamentali decisioni delle SS.RR. n. 317/1983 e n. 397/1985), porta a definire l’area della risarcibilità del danno pubblico nei limiti dell’inescusabilità dell’errore professionale e quindi della gravità della colpa. La valutazione di questo limite, prima assegnata al giudice, è divenuta attribuzione del pubblico ministero nell’attivazione della pretesa patrimoniale quando i risultati dell’azione amministrativa non siano conseguiti per inosservanza di doveri di comportamento...”87.

86 F. GARRI, I giudizi innanzi allla Corte dei conti, Milano 2000, pagg. 2-3;

87 Con riguardo alla colpa professionale numerose decisioni hanno riguardato il settore della responsabilità medica. E’ stato osservato i merito che 87- “…la limitazione della responsabilità amministrativa ai casi di dolo o colpa grave stia ad indicare che la forma di colpa alla quale occorre far riferimento è quella in concreto, quella cioè che si appura di volta in volta in base ai canoni della prevedibilità ed evitabilità della serie causale dannosa. (V. Corte Conti, sez. giurisdiz. Lombardia, 14 febbraio 2003, n. 198, in Guida al diritto - La raccolta delle massime - n. 10, novembre 2003, pag. 104). In precedenza già si era rilevato che la colpa grave necessaria per il sorgere della responsabilità amministrativa corrisponde a quella delineata dall'art. 2236 c.c. "... cosicché per i sanitari la responsabilità deve essere circoscritta ai casi di negligenza e imperizia gravi, riconducibili all'inosservanza delle metodiche diagnostiche e terapeutiche dettate dalla scienza medica in quella disciplina, secondo il livello raggiunto dalla ricerca e impiegato normalmente nella pratica nosografica, tenendo però conto più che dell'esito finale o intervento eseguito, dei mezzi impiegati per conseguirlo e perciò del comportamento del medico conforme alle regole della deontologia professionale che postulano il suo scrupoloso impegno, con diligenza superiore alla media, nell'uso di tutte le tecniche dettate dalla scienza clinica e di ogni altro accorgimento suggerito dalla comune esperienza" (Corte Conti Puglia, sez. giurisdiz., 4 marzo 1999, n. 11 in Ragiusan, 2000, f. 189, 86, Riv. Corte Conti 1999, f. 3, II, 137; in punto v. anche E. PASQUINELLI, Problemi attuali della responsabilità del medico, già cit., pag. 4937). Di fatto, mentre nel processo civile il comportamento del medico viene valutato a sensi dell'art. 2236 c.c. con riferimento al limite della colpa grave solo quando la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà e quindi solo per l'imperizia e non anche per la valutazione della prudenza e della diligenza per le quali è sufficiente la colpa lieve, nel giudizio di responsabilità amministrativa è sempre richiesta la colpa grave, non solo per l'imperizia ma anche per l'imprudenza e la negligenza. Occorre peraltro tener presente che le caratteristiche tipiche della prestazione che viene richiesta al medico danno alla stessa una connotazione del tutto particolare posto che nell'adempimento di detta prestazione la diligenza che si deve ad essa dedicare deve essere valutata per il comma 2 dell'art. 1176 c.c. con riguardo alla sua natura la quale attiene alla salute dell'individuo e tocca quindi un suo bene primario. Quanto sin qui detto giustifica pertanto l'affermazione per la quale "sussiste colpa grave nella condotta di un medico produttiva di danno erariale quando, nel suo intervento, non si presenti una situazione emergenziale o quando il caso non implichi problemi di particolari difficoltà ovvero quando il medico abbia completamente omesso di compiere una attività diagnostica e terapeutica routinaria, atta a scongiurare determinate complicazioni" (Corte dei Conti, sez. giuris., sent. n. 238 del 22 gennaio 2008 da CED PD A80779). In pratica, dunque, i casi nei quali il medico può trovarsi a dover pagare un risarcimento all'ente pubblico possono avere ampiezza diversa di quelli in cui esso può essere tenuto nei confronti del danneggiato diretto e toccano essenzialmente questioni collegate al rapporto di lavoro come pure a danni riconducibili a responsabilità professionale, danni che in genere possono anche essere garantiti dalla polizza di assicurazione della responsabilità civile dell'ente, restando a carico dell'assicuratore, con le relative conseguenze per il responsabile, solo in caso di scopertura assicurativa…. si configura la presenza di colpa grave nel comportamento di un medico che, partecipando ad un intervento chirurgico in qualità di anestesista, abbia determinato un grave nocumento fisico al paziente per effetto di errata terapia anestesiologica, ove sia comprovata la sproporzione tra la difficoltà dell'intervento (nella specie semplice e routinario) e la gravità degli esiti sopravvenuti, peraltro in assenza di rimedi

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Con riguardo alla colpa professionale numerose decisioni hanno riguardato il settore della responsabilità medica. E’ stato osservato i merito che 88- “…la limitazione della responsabilità amministrativa ai casi di dolo o colpa grave stia ad indicare che la forma di colpa alla quale occorre far riferimento è quella in concreto, quella cioè che si appura di volta in volta in base ai canoni della prevedibilità ed evitabilità della serie causale dannosa. (V. Corte Conti, sez. giurisdiz. Lombardia, 14 febbraio 2003, n. 198, in Guida al diritto - La raccolta delle massime - n. 10, novembre 2003, pag. 104). In precedenza già si era rilevato che la colpa grave necessaria per il sorgere della responsabilità amministrativa corrisponde a quella delineata dall'art. 2236 c.c. "... cosicché per i sanitari la responsabilità deve essere circoscritta ai casi di negligenza e imperizia gravi, riconducibili all'inosservanza delle metodiche diagnostiche e terapeutiche dettate dalla scienza medica in quella disciplina, secondo il livello raggiunto dalla ricerca e impiegato normalmente nella pratica nosografica, tenendo però conto più che dell'esito finale o intervento eseguito, dei mezzi impiegati per conseguirlo e perciò del comportamento del medico conforme alle regole della deontologia professionale che postulano il suo scrupoloso impegno, con diligenza superiore alla media, nell'uso di tutte le tecniche dettate dalla scienza clinica e di ogni altro accorgimento suggerito dalla comune esperienza" (Corte Conti Puglia, sez. giurisdiz., 4 marzo 1999, n. 11 in Ragiusan, 2000, f. 189, 86, Riv. Corte Conti 1999, f. 3, II, 137; in punto v. anche E. PASQUINELLI, Problemi attuali della responsabilità del medico, già cit., pag. 4937). Di fatto, mentre nel processo civile il comportamento del medico viene valutato a sensi dell'art. 2236 c.c. con riferimento al limite della colpa grave solo quando la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà e quindi solo per l'imperizia e non anche per la valutazione della prudenza e della diligenza per le quali è sufficiente la colpa lieve, nel giudizio di responsabilità amministrativa è sempre richiesta la colpa grave, non solo per l'imperizia ma anche per l'imprudenza e la negligenza. Occorre peraltro tener presente che le caratteristiche tipiche della prestazione che viene richiesta al medico danno alla stessa una connotazione del tutto particolare posto che nell'adempimento di detta prestazione la diligenza che si deve ad essa dedicare deve essere valutata per il comma 2 dell'art. 1176 c.c. con riguardo alla sua natura la quale attiene alla salute dell'individuo e tocca quindi un suo bene primario. Quanto sin qui detto giustifica pertanto l'affermazione per la quale "sussiste colpa grave nella condotta di un medico produttiva di danno erariale quando, nel suo intervento, non si presenti una situazione emergenziale o quando

razionalmente idonei ad evitare o ridurre gli effetti dannosi (Corte Conti Friuli-Venezia Giulia, sez. giurisidiz., 29 marzo 2000, n. 71, in Riv. Corte Conti, 2000, f. 2, 110). È stata anche ravvisata la responsabilità per colpa grave di un medico di guardia che si era allontanato dal pronto soccorso, così pregiudicando le possibilità di positivo intervento terapeutico di un paziente e, quindi causando un danno indiretto all'amministrazione di appartenenza (Corte Conti Toscana, sez. giurisdiz., 18 ottobre 2000, n. 1843, in Riv. Corte Conti, 2000, f. 5, 118). Per contro, venne esclusa la presenza di colpa grave nel comportamento di un medico, che, pur risultando riprovevole in quanto non perfettamente rispondente alle regole della scienza e dell'esperienza, non risultò peraltro essere improntato a grave imperizia, negligenza od imprudenza, né si ravvisò la presenza di trascuratezza ed inadeguatezza di condotta professionale essendosi l'evento lesivo verificato per fattori imponderabili connessi al gravoso impegno tecnico dell'intervento operatorio (Corte Conti Veneto sez. giurisdiz., 17 marzo 1998, n. 236/E, in Riv. Corte Conti, 1998, f. 3, 175). Del pari venne esclusa l'esistenza di grave imperizia e negligenza di medici di una commissione sanitaria per l'accertamento dell'invalidità civile, i quali, pur se addivennero a valutazione medico legale alquanto generosa e non rigorosamente rispondente all'effettiva consistenza del quadro clinico riscontrato, potevano aver verosimilmente tenuto conto dell'età più che matura del soggetto e, ovviamente, della relativa prospettiva fisiologica. Si ritenne pertanto che lo squilibrio valutativo, rispetto ad una successiva verifica, avesse assunto proporzioni alquanto inferiori non rinvenendosi macroscopici errori e notevoli difformità ovvero discrasie tra le diagnosi ma, anzi, sostanziale e globale coincidenza di infermità, quasi sovrapponibile, nonostante la distanza di tempo (Corte Conti Puglia, sez. giurisdiz., 29 novembre 2000, n. 905, in Riv. Corte Conti, 2000, f. 6, 145). 88 A.PALLOTTI di ZUMAGLIA, Rapporti medici e strutture pubbliche o private, in Dir. economia assicur., 2010, 4, 969

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il caso non implichi problemi di particolari difficoltà ovvero quando il medico abbia completamente omesso di compiere una attività diagnostica e terapeutica routinaria, atta a scongiurare determinate complicazioni" (Corte dei Conti, sez. giuris., sent. n. 238 del 22 gennaio 2008 da CED PD A80779). In pratica, dunque, i casi nei quali il medico può trovarsi a dover pagare un risarcimento all'ente pubblico possono avere ampiezza diversa di quelli in cui esso può essere tenuto nei confronti del danneggiato diretto e toccano essenzialmente questioni collegate al rapporto di lavoro come pure a danni riconducibili a responsabilità professionale, danni che in genere possono anche essere garantiti dalla polizza di assicurazione della responsabilità civile dell'ente, restando a carico dell'assicuratore, con le relative conseguenze per il responsabile, solo in caso di scopertura assicurativa…. si configura la presenza di colpa grave nel comportamento di un medico che, partecipando ad un intervento chirurgico in qualità di anestesista, abbia determinato un grave nocumento fisico al paziente per effetto di errata terapia anestesiologica, ove sia comprovata la sproporzione tra la difficoltà dell'intervento (nella specie semplice e routinario) e la gravità degli esiti sopravvenuti, peraltro in assenza di rimedi razionalmente idonei ad evitare o ridurre gli effetti dannosi (Corte Conti Friuli-Venezia Giulia, sez. giurisidiz., 29 marzo 2000, n. 71, in Riv. Corte Conti, 2000, f. 2, 110). È stata anche ravvisata la responsabilità per colpa grave di un medico di guardia che si era allontanato dal pronto soccorso, così pregiudicando le possibilità di positivo intervento terapeutico di un paziente e, quindi causando un danno indiretto all'amministrazione di appartenenza (Corte Conti Toscana, sez. giurisdiz., 18 ottobre 2000, n. 1843, in Riv. Corte Conti, 2000, f. 5, 118). Per contro, venne esclusa la presenza di colpa grave nel comportamento di un medico, che, pur risultando riprovevole in quanto non perfettamente rispondente alle regole della scienza e dell'esperienza, non risultò peraltro essere improntato a grave imperizia, negligenza od imprudenza, né si ravvisò la presenza di trascuratezza ed inadeguatezza di condotta professionale essendosi l'evento lesivo verificato per fattori imponderabili connessi al gravoso impegno tecnico dell'intervento operatorio (Corte Conti Veneto sez. giurisdiz., 17 marzo 1998, n. 236/E, in Riv. Corte Conti, 1998, f. 3, 175). Del pari venne esclusa l'esistenza di grave imperizia e negligenza di medici di una commissione sanitaria per l'accertamento dell'invalidità civile, i quali, pur se addivennero a valutazione medico legale alquanto generosa e non rigorosamente rispondente all'effettiva consistenza del quadro clinico riscontrato, potevano aver verosimilmente tenuto conto dell'età più che matura del soggetto e, ovviamente, della relativa prospettiva fisiologica. Si ritenne pertanto che lo squilibrio valutativo, rispetto ad una successiva verifica, avesse assunto proporzioni alquanto inferiori non rinvenendosi macroscopici errori e notevoli difformità ovvero discrasie tra le diagnosi ma, anzi, sostanziale e globale coincidenza di infermità, quasi sovrapponibile, nonostante la distanza di tempo (Corte Conti Puglia, sez. giurisdiz., 29 novembre 2000, n. 905, in Riv. Corte Conti, 2000, f. 6, 145).

Quanto al dolo la giurisprudenza, mentre nel caso di vicende collegate a fattispecie penali richiama i principi penalistici, negli altri casi ha richiamato una nozione civilistica integrandosi pertanto, per tutti il profilo del dolo inteso nella nozione civilistica di “dolo contrattuale” , e consistente nell’ inadempimento volontario dell’obbligazione contrattuale e/o con la previsione e coscienza degli effetti da essa derivanti (sez. Calabria, sent. n. 107/2009, che richiama Sez. I centr. app. .n.128/2003 del 22 aprile 2003 e n. 143/2007 del 30 maggio 2007). Si richiama in tal senso Sez. I appello n. 516 del 14 novembre 2011 secondo cui il “…dolo deve consistere nella volontà dell’evento dannoso, che si accompagni alla volontarietà della condotta antidoverosa (SS.RR., 10.6.1997, n. 56; Sezione giurisdizionale

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Toscana, 7.10.2002, n. 739)…. il dolo si può concretare ove si cumulino, con la conoscenza della causa del danno, dati della realtà che comprovino il ricorrere di ulteriori consapevolezze circa l’effettività e lo specifico contenuto del danno medesimo. In questo senso, cfr. Corte dei conti, Sez. III app., 28 settembre 2004, n. 510, nella quale si precisa che il dolo c.d. "erariale" va inteso come stato soggettivo caratterizzato dalla consapevolezza e volontà dell’azione o omissione contra legem, con specifico riguardo alla violazione delle norme giuridiche che regolano e disciplinano l’esercizio delle funzioni amministrative ed alle sue conseguenze dannose per le finanze pubbliche; nello stesso senso, v. anche Sezione I app., 22.3.2010, n. 198; Sezione giurisdizionale Puglia, 11.10.2006, n. 885 e Sezione giurisdizionale Veneto, 28.1.2004, n. 104…”. In argomento, la Sez. III centrale n. 510/2004, ha anche affermato che "…in realtà, in termini di teoria generale, una ed una sola è la nozione di dolo: essa si può riassumere nella consapevolezza e volontà dell'agente sia di un'azione od un'omissione "contra legem" che delle sue conseguenze antigiuridiche. Il comportamento posto in essere con accettazione del rischio dell'evento può implicare per l'autore un maggiore o minore grado di adesione della volontà, secondo che egli consideri maggiore o minore la probabilità dell'avverarsi dell'evento. Se questo viene ritenuto certo o altamente probabile, l'autore non si limita ad accettare il rischio, ma accetta l'evento stesso che vuole; se l'evento, oltre che accettato, è perseguito, il dolo si colloca in un più elevato livello di gravità…". Per una recente decisione che ha confermato la configurazione della posizione soggettiva in termini di “dolo contrattuale” cfr. sezione prima di appello, n. 122 del 13 marzo 2012, secondo cui “Il comportamento di tutti i convenuti sotto il profilo soggettivo appare connotato da dolo , da intendersi non come dolo penale, bensì nell’accezione di dolo contrattuale, nel senso di inadempimento cosciente e volontario degli obblighi di correttezza e fedeltà derivanti dal rapporto intercorrente con l’amministrazione erogatrice dei contributi…in particolare è da rammentare che non era possibile ignorare l’inequivocabile contenuto del decreto concessorio, secondo il quale il 45% doveva essere rapportato alle spese ammissibili e non al valore normale”.

- nel nesso di causalità fra la condotta e l’evento dannoso89; -nella sussistenza del rapporto di servizio90 fra autore del danno erariale e pubblica

amministrazione intesa in senso lato (Cass. sez. un civ. ord. n. 19667/03 di cui anche oltre

89 Sul nesso causale v. M.CAPECCHI, Il nesso di causalità. Da elemento della fattispecie “fatto illecito” a criterio di limitazione del risarcimento del danno, Padova,CEDAM, 2005; F.STELLA, A proposito di talune sentenze civili in tema di causalità, in Riv. Trim. dir. e proc. civ., 2005, 4, pp. 1159 e ss.

90 Cass. sez. un. civ. n. 2083 del 14 marzo 1990; n. 13411 del 12 dicembre 1991; n. 3358 dell’ 1 aprile 1994. Per il caso del funzionario di fatto v. cass. sez. un. ord. n. 19661 del 22 dicembre 2003. Sulla questione dell’esercizio di fatto di funzioni pubbliche è anche di interesse Cass. sez VI penale 21 gennaio 2005 (Tarricone ed altri) , in Foro it., gennaio 2006, II, 23 e ss., secondo cui “Ai fini della qualifica di pubblico ufficiale rileva l’esercizio di fatto di pubbliche funzioni, indipendentemente da una regolare investitura, per cui nella fattispecie di concussione quel che occorre verificare, ai fini del rapporto di causa ad effetto, è, da un lato, l’oggettiva sussistenza di un abuso di potere o di qualità rivestita da soggetto agente e, dall’altro, se l’induzione che ne costituisce l’effetto sia stata tale da influire in concreto sulla volontà del soggetto passivo…” (fattispecie relativa ad attività illecita nel settore delle invalidità civili da parte di medico rappresentante dell’ Associazione nazionale mutilati ed invalidi civili).La sentenza contiene anche alcune puntualizzazioni in tema di “concussione ambientale”. Per la responsabilità amministrativo contabile di persone giuridiche cfr. Cass. sez. un. civ. n. 11436 del 17 ottobre 1992 relativa a Cassa di risparmio di Bologna e n. 123 del 21 marzo 2001 relativa a Unicredito Italiano s.p.a. e n. 3899 del 22 febbraio 2004 (società SO.GE.MI).

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e Cass. Sez. un. civ. n. 20132 del 12 ottobre 2004 (vicenda “quote latte” , con interessanti affermazioni anche in ordine alla configurabilità di responsabilità amministrativa per violazione di regolamenti comunitari91). Sul rapporto di servizio vi è stata una costante evoluzione giurisprudenziale che ha esteso tale nozione a tutte le ipotesi di inserimento funzionale del soggetto, persona fisica o giuridica, nello svolgimento dell’attività amministrativa. Ciò ha comportato l’estensione della giurisdizione contabile anche a soggetti privati incaricati di funzioni pubbliche quali professionisti direttori dei lavori o collaudatori, medici componenti di commissioni sanitarie o medici di base convenzionati, società ed enti privati beneficiari di finanziamenti pubblici. Si richiama in tal senso Corte dei conti, Sez. prima centrale n. 12/2011 del 20 gennaio 2011, secondo cui “…è nota e oramai consolidata la posizione del Giudice della nomofilachia (e di questa stessa Corte) in ordine alla giurisdizione su soggetti, sia pure privati, laddove esercitino funzioni pubbliche o, comunque, gestiscano denaro pubblico; in tali casi, non v’è dubbio sussista, a pieno titolo, il rapporto di servizio con l’ente (pubblico) di riferimento, anche in mancanza di un rapporto d'impiego: è cioè sufficiente, per il radicarsi della giurisdizione contabile, che il soggetto abbia contribuito allo svolgersi dell'attività amministrativa, in virtù della particolare posizione, giuridica o anche di mero fatto, da lui stesso assunta all'interno dell'apparato organizzativo dell'ente pubblico (cfr. Cassazione, Sezioni Unite, n. 5467/1979 e n. 12367 del 9 ottobre 2001). In tale ottica, ad esempio, viene pacificamente riconosciuta l’esistenza di un rapporto di servizio nel caso del direttore dei lavori di un’opera pubblica, anche se libero professionista incaricato dall’amministrazione (cfr. Corte dei conti, Sezione giurisdizionale Lombardia, 13 marzo 1998, n. 401; id., 20 gennaio 2000 n. 81; Sezione giurisdizionale Lazio, 23 ottobre 2002, n. 2876), come pure nei confronti di una persona giuridica privata (Sezione I app., 23 settembre 1998, n. 196). Può poi farsi riferimento, per fattispecie del tutto analoghe a quella in esame, a Cassazione, Sezioni Unite, 26 febbraio 2004, n. 3899, che ha affermato l'esistenza di un rapporto di servizio – e quindi della giurisdizione contabile - tra un comune e una società per azioni, alla quale il comune medesimo aveva affidato in concessione alcuni servizi; hanno rilevato nell’occasione le SS.UU. che il rapporto tra l’ente locale e la società in tali casi è caratterizzato “… dall’inserimento del soggetto esterno nell’iter procedimentale dell’ente pubblico come compartecipe dell’attività a fini pubblici di quest’ultimo”: il che, appunto, costituisce il presupposto “… per l’assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilità patrimoniale per danno erariale”. Nello stesso senso sono le considerazioni espresse, sempre dalle SS.UU. della Cassazione, nell’ordinanza 2 luglio 2004, n. 12192, che ha dichiarato la giurisdizione della Corte dei conti su una società, costituita da un ente pubblico (ACI) per la gestione dei parcheggi a pagamento su suolo comunale. Insomma, non sussistono dubbi in ordine alla piena sussistenza, nel caso di specie, della provvista di giurisdizione di questa Corte: e ciò – si ripete - a prescindere dalla natura o tipologia del rapporto contrattuale intercorso tra comune e ditta; natura che, contrariamente a quanto opina l’appellante, non ha alcun rilievo in questa sede…”. Ancora in proposito ordinanza Cass. Sez. un civ. 1 marzo 2006 n. 4511, che ha ricostruito il processo evolutivo della giurisdizione contabile in connessione alla progressiva modificazione dei moduli operativi della pubblica amministrazione

91 Sul punto ci si permette il rinvio a La responsabilità amministrativa e contabile nel contesto delle misure di tutela degli interessi finanziari comunitari e nazionali in www.amcorteconti .it .

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affermando che “ …Il baricentro per discriminare la giurisdizione ordinaria da quella contabile si è spostato dalla qualità del soggetto -che può ben essere un privato od un ente pubblico non economico- alla natura del danno e degli scopi perseguiti, cosicché sussiste la giurisdizione della Corte dei conti nei confronti di società privata che abbia beneficiato di fondi pubblici nazionali e comunitari nell’ambito di un programma operativo multiregionale diretto alla promozione dello sviluppo imprenditoriale e abbia realizzato uno sviamento dalle finalità perseguite dalla pubblica amministrazione così determinando un danno erariale…”- v.anche Sez. un. Civ. n. 14825/2008 del 5 giugno 2008) per la quale ciò che rileva, ai fini della giurisdizione è la qualificazione della società o persona fisica privata che ha percepito il finanziamento, quale soggetto inserito funzionalmente nel procedimento di realizzazione dell’obiettivo pubblico cui è preordinata l’erogazione , così confermandosi l’indirizzo ormai risalente che ricollega detto inserimento funzionale all’instaurazione del rapporto di servizio con la p.a. quale presupposto della configurabilità di responsabilità amministrativa (Cass. S.U. 29 gennaio 2000, n. 19, n. 123 del 21 marzo 2001; Cass. sez. un. civ. 17 ottobre 1991 n. 10963 ; 28 ottobre 1995 n. 11309,; 23 settembre 1999 n. 926, 29 gennaio 2000, n. 195 giugno 2000 n. 400, n. 16829/02 del 27 novembre 2002; n.19661 del 22 dicembre 2003; n. 3899 del 22 febbraio 2004; n. 20132 del 12 ottobre 2004; n. 28048 del 25 novembre 2008; n. 28537 e 28540 del 2 dicembre 2008). Va ancora richiamata la sentenza Cass. Sez. Un. civ. n. 15599/09 del 3 luglio 2009 , con riferimento alla sussistenza del rapporto di servizio fra amministrazione danneggiata e società titolare di un contratto di manutenzione di beni immobili , affermandosi che “…è irrilevante il titolo in base al quale la gestione del pubblico denaro è svolta potendo consistere in un rapporto di pubblico impiego o di servizio, ma anche in una concessione amministrativa o in un contratto di diritto privato…” , cosìcché la stessa ordinanza 4511/2006 risulta ormai espressiva di principi acquisiti in tema di giurisdizione contabile riferita a soggetti privati destinatari di fondi pubblici. Quanto alla diretta imputabilità della responsabilità oltre che all’ente o società convenzionata anche ai suoi soci, amministratori o legali rappresentanti si richiama il principio dell’inserimento funzionale attuato nel procedimento di utilizzazione dei fondi pubblici allorquando quest’ ultimo sia caratterizzato da rilevanti profili di illiceità. La sentenza Cass. Sez. un civ. 12 ottobre 2004, n. 20132 ha affermato la sussistenza della giurisdizione nei confronti dell’associazione UNALAT, ma anche del presidente dell’associazione, sulla base del medesimo instaurato rapporto di servizio. In tal modo , ma anche per effetto dei nuovi assetti giurisprudenziali determinati dall’ordinanza Cass sez. un civ. 19667/2003, sono soggetti alla giurisdizione contabile oltre agli amministratori e dipendenti di enti pubblici economici, anche gli amministratori e dipendenti di strutture private (società, associazioni, fondazioni) che operino nell’ambito di un “rapporto di servizio” con le pubbliche amministrazioni , per lo svolgimento dei loro compiti istituzionali ( cfr. anche Cass. Sez. un 3899/2004-amministratori SOGEMI- società per l’impianto e l’esercizio dei mercati annonari all’ingrosso di Milano- al 99,97% di proprietà del comune di Milano- danni da attività contrattuale collegata a tangenti- laddove la Corte di cassazione ha rilevato che il rapporto di servizio si era instaurato in quanto “si tratta di gestione di servizio pubblico”, “non rilevando la natura privatistica dell’ente affidatario” delle funzioni pubbliche…”). Infatti il superamento dello schermo societario, con la diretta imputazione della responsabilità agli amministratori , affermati nella sentenza impugnata e nelle decisioni della Corte dei conti e della Corte di cassazione in precedenza richiamate si sono fondati sulla specifica disciplina amministrativo contabile connessa al diretto intervento nella gestione irregolare ed illecita di fondi pubblici, cui si riconnettono le figure soggettive dell’agente contabile di fatto (Cass. Sez. un civ. n. 14473/02 in data 10 ottobre 2002 o del

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funzionario di fatto Cass.sez. un civ. n. 19661/2003; n. 19667/2003; n. 3899/2004; n. 20132/2004; n. 22513/2006). Ancora in proposito, puntualmente Corte di Cassazione , sez. Un. civ. n. 14825 del 5 giugno 2008; n. 20434 del 23 settembre 2009; e in particolare la citata Cass. Sez. un. n. 23332 del 27 ottobre 2009 , con riferimento a fattispecie di danno erariale verificatasi nell’ambito della gestione di un contratto di gestione immobiliare affidato da un ente pubblico istituzionale a una associazione temporanea di imprese fra due società a responsabilità limitata, Uno dei motivi di ricorso era espressamente formulato con riguardo al caso in cui “…in presenza di un rapporto di gestione di immobili fra la pubblica amministrazione …e società di capitali…, la giurisdizione contabile è estensibile , o meno, anche agli amministratori e ai dipendenti della società di capitali stessa,pur non essendo stato fatto valere nell’atto di citazione della Procura regionale della Corte dei conti un’ipotetica situazione di “”funzionario di fatto”” in capo agli amministratori e ai dipendenti medesimi…”. Ha al riguardo osservato l’ordinanza che “…(almeno in tesi) vi fu contatto continuo , prolungato e diretto fra (l’ente pubblico) e i ricorrenti che ne approfittarono per il soddisfacimento di un loro personale interesse diverso da quello della società per la quale lavoravano; che essendosi concretizzato nello svolgimento di attività che, altrimenti, avrebbero dovute essere compiute dallo stesso (ente pubblico) , tale (asserito) contatto basta a postulare anche con i ricorrenti (oltre che con la società) , l’esistenza di un rapporto di servizio che, per giurisprudenza oramai consolidata, ricorre ogniqualvolta un soggetto venga investito del compito di porre in essere un’attività dell’amministrazione, senza che a tal fine rilevi, né la natura (pubblica o privata, ovvero fisica o giuridica) del soggetto stesso, né la fonte della sua investitura, che può scaturire non solo da un provvedimento o da un contratto, ma anche da un mero fatto (C. Cass. 7946/2993,5163/2004,20132/2004 e 22513/2006), o come nella specie, da un rapporto organico o di lavoro con la società concessionaria dell’ente pubblico (v.al riguardo, anche Cass. 400/2000, che ha ravvisato l’esistenza di un rapporto di servizio in capo ad “”un soggetto che per i rapporti che aveva con gli amministratori della cooperativa (destinataria del finanziamento pubblico), si era trovato di fatto ad avere il maneggio di quel denaro”; che ad ulteriore riprova dell’esattezza della soluzione prescelta (e condivisa pure da C.Cass. 2009/15599 e 2009/17347, pronunciate proprio in fattispecie relative alla gestione del patrimonio immobiliare del (medesimo ente pubblico) non sembra inutile ricordare che la normativa di settore mira a garantire il risarcimento del danno erariale, che intaccando il patrimonio di soggetti pubblici e nuocendo, di conseguenza, all’intera comunità, deve trovare necessariamente ristoro nel superiore interesse della collettività; che questo essendo stato l’obiettivo del legislatore , ne deriva che fra due possibili interpretazioni è certamente più aderente al sistema quella che aumenta il numero degli obbligati e non quella che li diminuisce , “”salvando”” per di più proprio coloro che avendo cagionato materialmente il danno per scopi addirittura criminosi, dovrebbero essere i primi a rispondere (in ogni sede) delle conseguenze negative del proprio operato; che tanto precisato, rimane unicamente da ribadire, sulla scia di C.Cass. 822/1999, 2004/22277,2283/2008 e 2287/2008, che il magistero contabile è del tutto indipendente da quello penale cosicché pure nel caso in cui il Procuratore Generale agisca per il medesimo fatto materiale, limitandosi a richiamare le accuse o gli elementi emersi nel giudizio penale, si può porre esclusivamente un problema di accoglibilità della domanda , ma non di giurisdizione della Corte dei conti…”. Elemento di fondo, che caratterizza tale tipologia di responsabilità è l’attribuzione della giurisdizione ad un giudice speciale che si identifica nella Corte dei conti (art. 103, 3° comma Cost. “... La Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge...”) nonché l’attribuzione del potere di azione, in via esclusiva al procuratore regionale della Corte dei conti quale organo pubblico che agisce quale esponente dello “Stato comunità” ed anche indipendentemente dalle valutazioni e

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dalla volontà dell’amministrazione danneggiata. Ulteriori caratteristiche attengono al potere riduttivo dell’addebito, alla limitazione del periodo di prescrizione dell’azione a cinque anni e alla non estensibilità agli eredi del responsabile se non nei casi di ingiustificato arricchimento. Si tratta quindi di una peculiare responsabilità direttamente collegata alle specifiche funzioni attribuite anche costituzionalmente alla Corte dei conti. Essa infatti pur fondandosi sui principi che reggono la generale responsabilità civile, avendo anch’essa il presupposto del danno ingiusto è tuttavia peculiare in quanto finalizzata a garantire la corretta gestione del denaro pubblico costituendo uno strumento di garanzia sull’utilizzo del denaro pubblico e risultava fondata, fino alle recenti innovazioni giurisprudenziali sul principio distintivo delle attribuzioni pubblicistiche di cui si avvalga l’apparato amministrativo nell’esercizio delle sue funzioni (Cass. civ. sez. un. 18 ottobre 1991, n. 11037; Corte cost., 30 dicembre 1987, n. 641). La responsabilità amministrativo contabile che attiene ai danni cagionati allo Stato o agli enti pubblici, va peraltro tenuta distinta dalla responsabilità contabile “in senso stretto”, (di cui peraltro la responsabilità amministrativa è una derivazione ) e che riguarda i soggetti aventi la qualifica di “contabile” di diritto o di fatto e che viene fatta valere nell’ambito di un speciale giudizio (giudizio di conto) anch’esso di competenza della Corte dei conti. A partire dal 1990 i caratteri propri della responsabilità amministrativo contabile sono venuti ad accentuarsi, essendo state introdotte, inizialmente con riguardo al settore degli amministratori e dipendenti degli enti locali rilevanti eccezioni ai principi generali, limitandosi l’estensione agli eredi della responsabilità e fissando in cinque anni il termine per la prescrizione. Analoghe estensioni di tali principi sono intervenute con riguardo ai dipendenti ed amministratori regionali e delle aziende sanitarie locali con il d.l. 27 agosto 1993 n. 324 convertito con modificazioni dalla legge 27 ottobre 1993 n. 423, finché gli anzidetti principi sono stati estesi a tutte le ipotesi di responsabilità amministrativo contabile con riguardo a tutti gli amministratori e dipendenti pubblici con l’art. 1 della legge n. 20 del 1994. La responsabilità amministrativo contabile, tuttavia non ha trovato uno stabile assetto nemmeno dopo la legge 20 del 1994, che ha contemporaneamente ridisegnato il sistema dei controllo affidato alla Corte dei conti . Infatti è stata emanata una serie di decreti legge mai convertiti e sempre reiterati sino alla sentenza della Corte costituzionale n.360 del 24 ottobre 1996, con i quali venivano introdotte ulteriori precisazioni e sostanziali limitazioni. Il processo di ulteriore riforma si è concluso come prima accennato con la legge 20 dicembre 1996 n. 639 che ha convertito il d.l. 23 ottobre 1996 n. 543 (in G.U. 21.12.1996 n. 299).

Le modificazioni sostanziali attengono principalmente all’art. 1 della legge 20/1994 che viene ad essere integrato o in parte sostituito dall’art. 3 della legge 639/96.

Le modificazioni sono numerose e si può richiamare in primo luogo ( comma 1) la limitazione dell’elemento soggettivo alle ipotesi di dolo o di colpa grave, già introdotta nei decreti legge non convertiti in precedenza. In tal modo viene ritenuta irrilevante la condotta dannosa (indipendentemente dall’importo del danno) che si configuri come caratterizzata dalla colpa lieve ovvero dal mancato rispetto delle regole di normale prudenza e diligenza richieste ad un “medio” amministratore o funzionario pubblico, generalizzandosi una previsione in precedenza limitata ad ipotesi particolari.. Tale limitazione generalizzata dell’ambito di responsabilità verso la p.a. è stata confermata dalla Corte costituzionale che nella sentenza. n. 371 del 11-20 novembre 1998 (v.si anche Corte cost. n. 340/2001) Secondo parte della dottrina la nuova formulazione avrebbe introdotto sostanzialmente due tipi di responsabilità amministrativa. Una di tipo sostanzialmente risarcitorio, connessa ai fatti

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commessi con dolo , comportanti o meno illecito arricchimento, per i quali viene perseguito tendenzialmente il risarcimento integrale (e dove vige il principio della responsabilità solidale) e da alcuni ritenuta integrare anche profili sanzionatori” nelle ipotesi di colpa grave, nelle quali la somma imputata al responsabile non copre necessariamente l’intero danno e deve anzi essere rapportata alla quota di effettiva partecipazione (art. 1, comma 1 quater legge 20/1994 “Se il fatto dannoso è causato da più persone la Corte dei conti, valutate le singole responsabilità, condanna ciascuno per la parte che vi ha preso...”. Va comunque evidenziato che anche la seconda ipotesi (colpa grave) rimane una responsabilità fondamentalmente risarcitoria in quanto anch’essa presuppone un danno e di esso viene chiesto il ristoro con l’azione esercitata nelle forme processuali civili, per quanto non derogato dal regolamento di procedura per i giudizi contabili. La responsabilità solidale permane esclusivamente ed eccezionalmente (comma 1 quinquies) per “...i soli concorrenti che abbiano conseguito un illecito arricchimento o abbiano agito con dolo...”. Il comma 1 bis prevede la generalizzata applicabilità del criterio della “compensatio lucri cum damno” disponendo che “...nel giudizio di responsabilità, fermo restando il potere di riduzione,deve tenersi conto dei vantaggi comunque conseguiti dall’amministrazione o dalla comunità amministrata in relazione al comportamento degli amministratori o dei dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità...”, ribaltandosi il precedente orientamento della giurisprudenza contabile. Particolare attenzione è rivolta agli organi collegiali per i quali viene stabilito (comma 1-ter) che “nel caso di deliberazioni...la responsabilità si imputa esclusivamente a coloro che hanno espresso voto favorevole Nel caso di atti che rientrano nella competenza propria degli uffici tecnici o amministrativi la responsabilità non si estende ai titolari degli organi politici che in buona fede li abbiano approvati ovvero ne abbiano autorizzato o consentito l’esecuzione...”( In particolare in questa seconda parte può constatarsi come si sia voluto riaffermare la distinzione fra il ruolo di direzione politica degli enti e quello di gestione amministrativa già sancito per quanto attiene agli enti locali con la legge 142/1990 ed indicato come principio generale per la P.A. dal D.lg.vo 29/1993).

Al comma 2 è inserita la previsione, ormai generalizzata, della prescrizione quinquennale (“...il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta...”). La legge 639/1996 ha inoltre ribadito (art. 1 comma 1) “...l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali...”. Di rilievo è anche la disposizione secondo cui “...la Corte dei conti giudica sulla responsabilità amministrativa degli amministratori e dipendenti pubblici anche quando il danno sia stato cagionato ad amministrazioni o enti pubblici diversi da quelli di appartenenza (confermandosi quanto già previsto dalla legge 20/1994), per i fatti commessi successivamente alla data di entrata in vigore della ...legge”. Da un lato questa disciplina viene a sancire definitivamente l’estensione dell’ambito della giurisdizione della Corte. Infatti viene superato il presupposto del rapporto di servizio con l’ente danneggiato essendo ora sufficiente una qualsiasi appartenenza alla P.A. o inserimento giuridicamente rilevante nella medesima collegato al fatto produttivo del danno (Cass. civ. sez. un. n. 19661 del 22 dicembre 2003) ed ha costituito argomento per la estensione della giurisdizione contabile anche agli amministratori e dipendenti di enti pubblici economici, modificando una consolidata giurisprudenza (Cass. sez. un civ., ordinanza n. 19667 del 22 dicembre 2003) . Può pertanto affermarsi la natura peculiare della responsabilità amministrativa (e tale da

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non potersi ricondurre integralmente né alla responsabilità civile contrattuale , né a quella extracontrattuale) dalle norme costituzionali e dalle leggi ordinarie, ed in particolare dalla anzidetta legge 20 gennaio 1994 n. 20, come modificata dalla legge 639/1996. In presenza di un danno per l’erario derivante da attività amministrativa (in essa rientrando anche l’attività di controllo interno, in vario modo esplicitata), la responsabilità del pubblico amministratore o dipendente ( o di un soggetto, anche persona giuridica legato alla p.a. da un rapporto di servizio in senso lato) può essere affermata solo in presenza di detti elementi e con le limitazioni previste nella stessa legge 20/1994 (art.1), sicché in mancanza di essi non vi è una “diversa giurisdizione” , ma non vi è alcuna responsabilità da perseguire. Con la disciplina anzidetta, ma in particolare con la legge 142/1990, è stata infatti superata la precedente situazione, riguardante proprio gli amministratori e dipendenti degli enti locali, per i quali sussistevano, diversi tipi di responsabilità per danno erariale, fondate su diversi presupposti e con competenze giurisdizionali distinte (responsabilità formale e contabile- colpa lieve- Corte dei conti, per gli amministratori; responsabilità civile- colpa grave- giurisdizione ordinaria, per i dipendenti), stabilendosi per tutti espressamente (cfr. art. 93 d.lgs. n.267/2000) la giurisdizione della Corte dei conti. Nell’attuale contesto normativo la responsabilità per danno all’erario (dello Stato o degli altri enti pubblici) ha una configurazione unitaria, risultante dalla “…combinazione di elementi restitutori e di deterrenza che connotano …” tale istituto , che risponde “…alla finalità di determinare quanto del rischio dell’attività debba restare a carico dell’apparato e quanto a carico del dipendente, alla ricerca di un punto di equilibrio tale da rendere, per i dipendenti e amministratori pubblici, la prospettiva della responsabilità ragione di stimolo e non di disincentivo…” (Corte costituzionale, sent. 11-20 novembre 1998 n. 371). In mancanza di detti elementi caratterizzanti , non è configurabile , per gli amministratori e dipendenti pubblici una ulteriore responsabilità civile “ordinaria” per colpa lieve (seppure, con riguardo al ruolo dei revisori, con le attenuazioni derivanti dal rapporto professionale) , nei confronti della P.a., pena il sostanziale stravolgimento dell’assetto “equilibrato” del rapporto fra azione amministrativa e responsabilità, evidenziato dalla Corte ,né un’azione in tal senso risulterebbe ammissibile presso il giudice ordinario, potendosi far valere, nei confronti del pubblico amministratore o dipendente esclusivamente la responsabilità amministrativo contabile innanzi al giudice contabile, con azione pubblica affidata al procuratore regionale della Corte dei conti (art. 103, 2° comma Cost. , art. 82 r.d. 18 novembre 1023 n. 2440-; art. 52 r.d. 12 luglio 1934 n. 1214, art. 58 legge 142/1990 ed ora art. 93 d.lgs. 267/2000; art. 1 legge 20/1994 come modificato dalla legge 639/1996)92. La configurazione della responsabilità amministrativa quale ipotesi di responsabilità rientrante nelle disposizioni generali sull’ordinamento civile” , e pertanto sottratta alla competenza legislativa concorrente o residuale delle regioni è stata affermata dalla Corte costituzionale con la sentenza 15 novembre 2004 n. 345.

92 cfr. Cass. sez. un. n. 933/99 SU del 21 ottobre 1999, resa in sede di regolamento preventivo di giurisdizione promossa nel corso di un giudizio civile promosso da un’amministrazione comunale nei confronti di un ex sindaco, secondo cui “...la giurisdizione della Corte dei conti è esclusiva, nel senso che è l’unico organo giudiziario che può decidere nella materie devolute alla sua cognizione...” e pertanto “...va esclusa una concorrente giurisdizione del giudice ordinario, adito secondo le regole normali applicabili in tema di responsabilità e di rivalsa...”. Ancora per l’affermazione della esclusività della giurisdizione contabile Cass. 4 aprile 2000 n. 98 e 8 maggio 2001, n. 179. S.FUSARO, Alcune note in ordine alla polivalenza della nozione di giurisdizione esclusiva nell’ambito dei giudizi innanzi alla corte dei conti, in Riv. trim. dir.proc. amm., 1989, 3, pp.482 e ss..

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Provvedimenti normativi dell’estate 2009 hanno inciso notevolmente sul potere di iniziativa istruttoria del procuratore regionale della Corte dei conti in materia di responsabilità amministrativa ed hanno contemporaneamente ridefinito l’ambito di giurisdizione della Corte dei conti in tema di danno all’immagine. Le relative disposizioni sono contenute nel d.l. n. 78/2009, convertito nella legge n. 102/2009 e sono state corrette dal d.l. n. 103/2009, a sua volta convertito (senza modifiche sul punto) dalla legge n. 141 del 2009. Dispone l’art. 17 (Enti pubblici: economie, controlli, Corte dei conti) comma 30-ter-del d.l. 102/2009 come modificato dal d.l. 103 /2009 “Le procure della Corte dei conti possono iniziare l’attività istruttoria ai fini dell’esercizio dell’azione di danno erariale a fronte di specifica e concreta notizia di danno, fatte salve le fattispecie direttamente sanzionate dalla legge. Le procure della Corte dei conti esercitano l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e nei modi previsti dall’art. 7 della legge 27 marzo 2001 n. 97. A tale ultimo fine, il decorso del termine di prescrizione di cui al comma 2 della legge 14 gennaio 1994 n. 20 è sospeso fino alla conclusione del procedimento penale”.

Per entrambe le nuove previsioni il legislatore ha predisposto uno stringente meccanismo di controllo, definito dal periodo successivo del comma 30-ter non modificato dal decreto correttivo, e costituito dalla possibilità di esercitare, in ogni momento, un’azione di nullità relativa agli atti posti in essere dal procuratore contabile in violazione delle predette previsioni. Dispone lo stesso comma 30. ter che “Qualunque atto istruttorio o processuale posto in essere in violazione delle disposizioni di cui al presente comma, salvo che sia stata gia' pronunciata sentenza anche non definitiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, e' nullo e la relativa nullita' puo' essere fatta valere in ogni momento, da chiunque vi abbia interesse, innanzi alla competente sezione giurisdizionale della Corte dei conti, che decide nel termine perentorio di trenta giorni dal deposito della richiesta. …

La prima parte della nuova disposizione si riferisce in generale ad ogni attività istruttoria di competenza delle Procure della Corte dei conti in materia di responsabilità amministrativo contabile, e pongono specifiche problematiche in ordine ai presupposti per l’inizio di dette attività.

In precedenza la disciplina delle fonti di notizia del danno erariale era limitata alle disposizioni contenute nel regolamento di procedura e nel testo unico della Corte dei conti, in materia di inizio dell’azione di responsabilità e di obbligo di denuncia di danno da parte delle pubbliche amministrazioni, nonché nelle previsioni contenute nel codice di procedura penale e nella legge n. 97/2001 , relative alla comunicazione da parte dell’autorità giudiziaria dell’inizio dell’azione penale o della emissione di sentenze di condanna per reati contro la pubblica amministrazione. In particolare, il regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti prevede che il giudizio di responsabilità amministrativa è istruito dal pubblico ministero presso la Corte dei conti di propria iniziativa ovvero su denuncia dell’amministrazione (art. 43 r.d. 13.8.1933, n. 1038, Approvazione del regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla

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Corte dei conti).La denuncia costituisce, pertanto, la fonte notiziale principale per l’ufficio del pubblico ministero contabile e si aggiunge ad altre fonti informative, c.d. “non qualificate” 93, costituite da esposti o segnalazioni provenienti da soggetti privati, ovvero da notizie provenienti dagli organi di informazione. Ulteriori comunicazioni possono provenire dagli organi giudiziari penali, ordinari e militari, ma anche da altri organi della giurisdizione civile, amministrativa e tributaria, nonché dalla stessa Corte dei conti in sede di controllo94 Finanche per le fonti anonime (diversamente da quanto previsto nell’art. 333, co. 3, c.p.p.) non vigeva un espresso divieto di utilizzo al fine dell’avvio degli accertamenti istruttori da parte delle procure regionali95. Le disposizioni sull’obbligo di denuncia, originariamente incentrate sull’art. 53 del r.d. 12.7.1934, n. 1214 (Approvazione del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti) e su norme di richiamo, sono state integrate dall’art. 1 della l. 14.1.1994, n. 20, che con le modifiche apportate dal d.l. 23.10.1996, n. 543 convertito dalla l. 20.12.1996, n. 639, nel ridefinire numerosi aspetti della responsabilità amministrativo-contabile (elemento soggettivo, termini di prescrizione, limitazione della trasmissione ereditaria, generalizzazione della responsabilità parziaria salvo casi particolari, delimitazione delle responsabilità di organi politici e organi tecnici), ha anche previsto una nuova ipotesi di responsabilità per omessa o ritardata denuncia (co. 3), che si aggiunge alla responsabilità già individuata dall’art. 53 del t.u. La sinteticità delle previsioni normative aveva indotto la procura generale della Corte dei conti ad emanare nel tempo circolari interpretative (n. 7739 del 27 luglio 1990; n. 2 del 27 maggio 1996; n. 16 del 28 febbraio 1998), volte ad esplicitarne i contenuti, nella prospettiva di una completa e tempestiva segnalazione dei fatti dannosi, che costituisce il necessario presupposto di un’azione risarcitoria efficace. Varie disposizioni integrative dell’art. 53 del t.u. dispongono in tema di obbligo di denuncia. In particolare vi sono le disposizioni che individuano i soggetti obbligati nei direttori generali e nei capi servizio (art. 83 del r.d. 18.11.1923, n. 2440; art. 20 del d.p.r. 3.1.1957, n. 3) oltre agli ispettori generali che “accertino un fatto dannoso nel corso i un’ispezione” (vedi anche art. 6 del d.p.r. 30.1.1993, n. 51, Regolamento concernente la disciplina delle ispezioni sugli interventi di emergenza)-.

Particolari disposizioni riguardano, poi, gli obblighi di segnalazione connessi a fatti di reato. Infatti, numerose fattispecie criminose (in particolare, i reati contro la pubblica amministrazione nazionale o anche comunitaria: C., S.U., 17.10.1991, n. 10963; 27.7.1993, n. 8385; 8.6.1994, n. 5567; 28.10.1995, n. 11309; 26.8.1998, n. 8450; 12.10.2001, n. 8143; 12.10.2004, n. 20132; C. Conti, sez. giur. reg. Lombardia, 23.3.2004, n. 528) integrano gli elementi costitutivi del danno erariale. Ne derivano obblighi di comunicazione da parte dell’autorità giudiziaria ordinaria, previsti, in primo luogo, dall’art. 129, co. 3, disp. att. c.p.p., che prevede l’invio, da parte del pubblico ministero, dell’informazione sull’esercizio dell’azione penale e la comunicazione sulle “norme di legge che si assumono violate” nel caso dell’adozione di provvedimenti di custodia cautelare (art. 129, co. 3-bis, disp. att. c.p.p.). Ulteriori momenti di collegamento sono stati introdotti dalla l. 27.3.2001, n. 97 (Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei

93 C.GRECO, Denuncia di danni erariali ai fini dell’attività istruttoria del procuratore regionale della Corte dei conti, in Enti pubblici, 1996,665 94 A. BALDANZA, Le funzioni di controllo della Corte dei conti, in La nuova Corte dei conti: responsabilità, pensioni, controlli,a cura di TENORE, Milano, 2004, 1105). 95 V. TENORE, Il giudizio di responsabilità, in La nuova Corte dei conti:responsabilità, pensioni, controlli, a cura di Tenore, Milano, 2004, 396).

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confronti dei dipendenti pubblici), che impone la trasmissione alle procure della Corte dei conti delle sentenze penali di condanna per i delitti contro la pubblica amministrazione di cui capo I del titolo II del libro secondo del codice penale, sia non definitive (art. 6) che passate in giudicato (art. 7).

Già prima delle nuove disposizioni la giurisprudenza aveva precisato (Corte cost., 27.7.

2005 n. 337) che l’attività istruttoria del pubblico ministero contabile va esercitata in presenza di fatti o di notizie relativi a illeciti produttivi di danno erariale e dev’essere diretta ad acquisire atti o documenti precisamente individuabili, in modo che l’attività del procuratore cui tali richieste ineriscono non possa essere considerata una impropria attività di controllo generalizzata (conf. C. Cost. 31.3.1995, n. 100).

Le anzidette pronunce della Corte costituzionale appaiono l’antecedente giurisprudenziale della nuova disposizione che ricollega l’inizio dell’attività istruttoria alla dimostrabilità della emersione, dagli atti di segnalazione , di elementi di concretezza e specificità dell’ipotesi dannosa.

La norma appare pertanto diretta ad impedire l’inizio di attività istruttorie non fondate su elementi concreti già emergenti in fase iniziale, così da apparire idonea a rendere contestabile, attraverso la specifica azione di nullità , l’esercizio delle attività di accertamento istruttorio, fin dal loro inizio.

La nuova disposizione è stata oggetto di due sentenze delle sezioni riunite in sede di questione di massima che ne hanno definito presupposti e limiti: n. 12/QM/2011 secondo cui “…1) La disposizione normativa recata dall’art. 17, comma 30-ter, del decreto legge 1 luglio 2009, n. 78 e succ. mod., sui requisiti che devono possedere le notizie di danno ai fini dell’attività istruttoria svolta dal PM contabile, è suscettibile, senza distinzione alcuna, di applicazione immediata e retroattiva in relazione a situazioni istruttorie e processuali maturate nel vigore della normativa preesistente.

2) La clausola di salvezza enunciata dall’art. 17, comma 30-ter in esame, va riferita ad ogni tipologia di sentenza e, quindi, non solamente alle sentenze di merito. Ratio della norma è infatti quella di ancorare l’irretroattività ad un momento in cui il Giudice ha già operato una scelta di campo irreversibile, sia pure su alcuni punti soltanto della controversia, mentre non può trattarsi di un provvedimento meramente istruttorio e, quindi, revocabile.

Ai fini dell’individuazione del momento in cui è intervenuta la sentenza anche non definitiva, deve farsi riferimento a quanto dispone l’art. 133, comma 1, c.p.c. sul momento di esistenza della sentenza e, quindi, al giorno della pubblicazione della sentenza stessa.

3) Il significato da attribuire all’espressione “specifica e concreta notizia di danno”, recata dall’art. 17, comma 30-ter, in esame, è così precisato: il termine notizia, comunque non equiparabile a quello di denunzia, è da intendersi, secondo la comune accezione, come dato cognitivo derivante da apposita comunicazione, oppure percepibile da strumenti di informazione di pubblico dominio; l’aggettivo specifica è da intendersi come informazione che abbia una sua peculiarità e individualità e che non sia riferibile ad una pluralità indifferenziata di fatti, tale da non apparire generica, bensì ragionevolmente circostanziata; l’aggettivo concreta è da intendersi come obiettivamente attinente alla realtà e non a mere ipotesi o supposizioni.

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L’espressione nel suo complesso deve, pertanto, intendersi riferita non già ad una pluralità indifferenziata di fatti, ma ad uno o più fatti, ragionevolmente individuati nei loro tratti essenziali e non meramente ipotetici, con verosimile pregiudizio per gli interessi finanziari pubblici, onde evitare che l’indagine del PM contabile sia assolutamente libera nel suo oggetto, assurgendo ad un non consentito controllo generalizzato.

Di conseguenza, sono idonei ad integrare gli estremi di una “specifica e concreta notizia di danno”: a) l’esposto anonimo, se riveste i caratteri di specificità e concretezza innanzi precisati; b) i fatti conosciuti nel corso della fase dell’invito a dedurre, anche per soggetti diversi dall’invitato, nei medesimi termini; c) i fatti conosciuti a seguito di delega alle indagini, attribuita dalla Procura regionale ad organismi quale la Guardia di Finanza; d) da ultimo, non possono considerarsi specifiche e concrete, secondo quanto innanzi precisato, le notizie relative alla mera condotta, in carenza di ipotesi di danno, quale presupposto oggettivo della responsabilità amministrativa; ciò, a differenza delle ipotesi di fattispecie direttamente sanzionate dalla legge.

4) Per “fattispecie direttamente sanzionate dalla legge” devono intendersi quelle in cui non soltanto è prevista una sanzione pecuniaria come conseguenza dell’accertamento di responsabilità amministrativa, ma in cui la norma definisce altresì l’automatica determinazione del danno, mentre va escluso che possano rientrarvi le ipotesi in cui la legge si limiti a prevedere che una certa fattispecie “determina responsabilità erariale”, o espressioni simili. In ipotesi di fattispecie direttamente sanzionate dalla legge, di cui sopra, pur escludendosi la sanzione di nullità ex art. 17, cit., in quanto l’attività istruttoria è legittimata direttamente dalla legge, restano fermi i principi fissati dalla Corte costituzionale.

Ulteriore corollario di tale criterio interpretativo è che nell’ipotesi in cui è la legge stessa a imporre un obbligo di comunicazione al PM contabile, quest’ultimo resta abilitato a compiere accertamenti istruttori, tale essendo la ratio di simili prescrizioni legislative, non superate dall’art. 17 medesimo…”;

e n. 13/QM/2011, per la quale “…1) Deve escludersi la rilevabilità di ufficio della questione di nullità nel giudizio di responsabilità, ai sensi dell’art. 17 del decreto-legge n. 78 del /2009 e successive modificazioni.

2) In ipotesi di giudizio di responsabilità già instaurato con pluralità di convenuti, non sussistono fattispecie di litisconsorzio necessario, inscindibilità di cause o litisconsorzio processuale, non essendovi comunanza di causa ai fini della pronunzia sulla nullità.

3) Nell’ambito delle opzioni processuali della parte interessata:

a) la richiesta di declaratoria di nullità degli atti istruttori o processuali, proposta in via autonoma rispetto al giudizio di responsabilità, incardinato o meno, è disciplinata dalle disposizioni generali sui giudizi dinanzi alla Corte dei conti ed in via residuale dalle disposizioni del codice di procedura civile, ed è definita con provvedimento a contenuto decisorio ed attitudine al giudicato, avente forma di sentenza; fermo restando che, ove il provvedimento stesso assuma forma di ordinanza, essa ha contenuto decisorio e nell’ordinamento vigente tale forma deve ritenersi idonea allo scopo dell’atto;

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b) la questione di nullità sollevata, invece, in via di mera eccezione, nel corso del giudizio di responsabilità, va decisa al pari delle altre questioni di rito e di merito secondo le disposizioni e le dinamiche valutative e decisorie ordinarie.

4) In caso di accoglimento della questione di nullità di cui all’art.17 del decreto-legge n. 78 del 2009 e successive modificazioni, non spetta alla parte richiedente il rimborso delle spese difensive, non ricorrendo l’ipotesi di proscioglimento nel merito di cui all’art.10 bis comma 10 del decreto-legge numero 203 del 2005 e successive modificazioni. In caso di rigetto della questione di nullità le spese difensive e di giudizio sono regolate dal codice di procedura civile.

5) La pronunzia sulla questione di nullità di cui all’articolo 17 del decreto-legge n. 78 del 2009 e successive modificazioni è impugnabile con appello, che segue le disposizioni di rito recate dalle norme speciali sui giudizi dinanzi alla Corte dei conti e del codice di procedura civile, anche in relazione ai rapporti con il giudizio di responsabilità e l’eventuale giudizio di rinvio al giudice a quo…”.96

Per quanto invece attiene alla nozione di danno all’immagine si deve richiamare la sentenza della Corte costituzionale n. 335/2010 che ha dichiarato la conformità a costituzione della nuova disposizione , precisando, tra l’altro che “…, è necessario individuare, anche al fine di una corretta delimitazione del thema decidendum, l’esatta portata della normativa impugnata. Il legislatore ha ammesso la proposizione dell’azione risarcitoria per danni all’immagine dell’ente pubblico da parte della procura operante presso il giudice contabile soltanto in presenza di un fatto di reato ascrivibile alla categoria dei «delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione»; ciò per effetto del richiamo, contenuto nella norma censurata, all’art. 7 della legge n. 97 del 2001, che fa, appunto, espresso riferimento ai delitti previsti dal capo I del titolo II del libro II del codice penale. Non vi è dubbio che la formulazione della disposizione non consente di ritenere che, in presenza di fattispecie distinte da quelle espressamente contemplate dalla norma impugnata, la domanda di risarcimento del danno per lesione dell’immagine dell’amministrazione possa essere proposta innanzi ad un organo giurisdizionale diverso dalla Corte dei conti, adita in sede di giudizio per responsabilità amministrativa ai sensi dell’art. 103 Cost. Deve, quindi, ritenersi che il legislatore non abbia inteso prevedere una limitazione della giurisdizione contabile a favore di altra giurisdizione, e segnatamente di quella ordinaria, bensì circoscrivere oggettivamente i casi in cui è possibile, sul piano sostanziale e processuale, chiedere il risarcimento del danno in presenza della lesione dell’immagine dell’amministrazione imputabile a un dipendente di questa. In altri termini, non è condivisibile una interpretazione della normativa censurata nel senso che il legislatore abbia voluto prevedere una responsabilità nei confronti dell’amministrazione diversamente modulata a seconda dell’autorità giudiziaria competente a pronunciarsi in ordine alla domanda risarcitoria. La norma deve essere univocamente interpretata, invece, nel senso che, al di fuori delle ipotesi tassativamente previste di responsabilità per danni all’immagine dell’ente pubblico di appartenenza, non è configurabile siffatto tipo di tutela risarcitoria… Il legislatore ha ritenuto, infatti, nell’esercizio della predetta discrezionalità, che soltanto in presenza di condotte illecite, che integrino gli estremi di specifiche fattispecie delittuose, 96 A. CIARAMELLA, Nuovi limiti ai poteri istruttori del P.M. contabile: garanzie e strumenti di tutela dei destinatari, in Atti del corso di formazione per magistrati organizzato dal Consiglio di presidenza della Corte dei conti su “Il danno all’immagine nella giurisprudenza civile, amministrativa e contabile. Modifiche introdotte dal D.L. 78/2009 anche con riferimento alla cosiddetta nullità istruttoria”, Roma, 18 novembre 2009 .

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volte a tutelare, tra l’altro, proprio il buon andamento, l’imparzialità e lo stesso prestigio dell’amministrazione, possa essere proposta l’azione di risarcimento del danno per lesione dell’immagine dell’ente pubblico. In altri termini, la circostanza che il legislatore abbia inteso individuare esclusivamente quei reati che contemplano la pubblica amministrazione quale soggetto passivo concorre a rendere non manifestamente irragionevole la scelta legislativa in esame. In definitiva, pertanto, la particolare struttura e funzione della responsabilità amministrativa, unitamente alla valutazione della specifica natura del bene giuridico protetto dalle norme penali richiamate dalla disposizione impugnata, rende non palesemente arbitraria la scelta con cui è stato delimitato il campo di applicazione dell’azione risarcitoria esercitatile dalla procura operante presso le sezioni della Corte dei conti…”.

Quanto alle diverse tipologie si deve distinguere fra ipotesi che rientrano nella clausola generale che presuppone la individuazione degli elementi costitutivi come prima definita e le ipotesi che si potrebbero dire “tipizzate”.97-98

Per la casistica generale si può fare riferimento alle fattispecie richiamate in sede di inaugurazione dell’anno giudiziario 2013 nelle relazioni del presidente della Corte e del procuratore generale. Ulteriori specifiche tipologie che hanno di recente subito un particolare incremento sono quelle per danni da indebita percezione o utilizzo di finanziamenti pubblici nazionali e comunitari che costituiscono una tipologia di comportamenti illeciti produttivi di molteplici effetti anche sull’economia99.

97 In argomento si rinvia a “Recenti fattispecie tipizzate di responsabilità amministrativa. Incremento delle tutele o trappola della tipicità?”- in www.amcorteconti.it- ottobre 2008 98 M.MINERVA, Per una nozione patrimonialistica di investimento nel quadro della responsabilità sanzionatoria contabile per indebitamento illecito; A.CIARAMELLA, Le recenti disposizioni sanzionatorie delle patologie nel conferimento degli incarichi di consulenza da parte di amministrazioni pubbliche, A.LUPI, Art. 3, commi 59 e 79 della legge finanziaria 2008 Legge 24 dicembre 2007, n. 244; R.SCHULMERS, Sul parametro costituzionale riferibile alle nuove fattispecie sanzionatorie affidate alla giuridizione della Corte dei conti; tutti , in Atti del Corso di formazione organizzato dal Consiglio di Presidenza della Corte dei conti su “Evoluzione normativa e giurisprudenziale sulle ipotesi di responsabilità sanzionatoria e delle altre forme tipizzate di responsabilità introdotte nell’ordinamento e affidate alla cognizione del giudice contabile”, Roma,1-3 aprile 2008. In tema v. .MONTELLA, Gli appalti di forniture e di servizi alla luce dell’art. 24 della legge 27 dicembre 2002 n. 28, in www. Formez.it;;P. SANTORO, La responsabilità amministrativa sanzionatoria tra clausola generale e tipizzazione dell’illecito, in Foro amm.-CDS, 2007,12, pp. 3565 e ss. 99 In argomento v. La Corte di cassazione riconosce la giurisdizione contabile italiana nel caso di frode su fondi diretti dell’Unione europea”, in www.foroeuropa.it, n.5-settembre-ottobre 2013 e in Argilnews marzo-aprile 2014,http:// www.newsandsociety.net/pdf/201403-04.pdf); Il diritto europeo nella giurisprudenza della Corte costituzionale nel 2012”, in Argilnews-giugno 2013http://www.newsandsociety.net/pdf/20135-argilnews.pdf); La perdita di risorse comunitarie per le rettifiche finanziarie in agricoltura”, in Argilnews-marzo 2013 http://www.newsandsociety.net/pdf/20133-argilnews.pdf); I lavori in corso per l’istituzione del procuratore europeo antifrode”, in Argilnews-febbraio 2013 http://www.newsandsociety.net/pdf/20132-argilnews.pdf); “La Commissione europea riconosce la giurisdizione contabile italiana per le frodi”, in Foroeuropa.it, gennaio 2013 e in Argilnews-dicembre2012-gennaio 2013 http://www.newsandsociety.net/pdf/20131-argilnews.pdf); “Riflessi finanziari del funzionamento del sistema giudiziario nel settore delle frodi ai finanziamenti pubblici comunitari” , in AA.VV. , “Amministrazione della giustizia, crescita e competitività del Paese” , a cura di Giovanni Salvi e Renato Finocchi Ghersi, (pref. di Giovanni Maria Flick), ASTRID, 2012; L’Utilizzo dei fondi strutturali. Attività di controllo”, in Argilnews-gennaio 2012(http://www.newsandsociety.net/pdf/201201-argilnews.pdf); Rapporti fra sequestro penale e sequestro contabile in recenti esperienze in tema di frodi comunitarie nel settore delle spese dirette”, in Argilnews n.9 –settembre 2011(http://www.newsandsociety.net/pdf/201104-argilnews.pdf); “Il “saccheggio “” dell’erario attraverso le frodi nei finanziamenti pubblici secondo la relazione anticorruzione” 2010,in Argilnews-n.4-maggio2011 (http://www.newsandsociety.net/pdf/201104-argilnews.pdf); “La circolazione della prova nel processo contabile”, in Atti del VII Convegno di studi- UAE-OLAF su “La circolazione della prova nell’Unione europea e la tutela degli interessi finanziari”, Milano, 27-29 gennaio 2011- ediz. 2011- CESPE (Centro studi di diritto penale europeo), pagg. 163-184; Frodi comunitarie e danni finanziari secondo la Corte dei conti italiana”, in Argilnews-n.3- marzo 2011

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(http://www.newsandsociety.net/pdf/201101-argilnews.pdf) ;Aggiornamenti sulla responsabilità amministrativo contabile nell’ambito degli strumenti di contrasto alla corruzione e alla frode nei finanziamenti pubblici”, in Rassegna dell’Arma dei carabinieri, 2010- luglio-settembre , n. 3, pagg. 127-148; “Profili evolutivi del contrasto alla frode nei finanziamenti pubblici infrastrutturali, comunitari e nazionali, nella giurisdizione amministrativo contabile nel corso del 2009”, in Atti del VI Convegno di studi UAE-OLAF – Milano 4-6 febbraio 2010, su “Sequestro, confisca e recuperi a tutela degli interessi finanziari dell’Unione europea. La legislazione comunitaria e l’attuazione nei paesi membri”, ed. Bruylant-Bruxelles-2010; La giurisdizione contabile nel contesto delle misure giudiziarie di contrasto e recupero dei fondi comunitari indebitamente erogati o utilizzati” , in Atti del Programma Hercule II – coofinanziato dalla Commissione Europea – OLAF- Seminario di formazione permanente della Corte dei conti- Attività conoscitiva e di formazione nel settore dei recuperi amministrativi e giudiziari conseguenti a irregolarità e frodi nell’utilizzo delle risorse comunitarie- Fase conclusiva - Roma, 11-13 maggio 2010 , pubb. Roma , ottobre 2010; “I sistemi di recupero , criticità e prospettive della giurisdizione della Corte dei conti”, in Atti del Programma Hercule II – coofinanziato dalla Commissione Europea – OLAF- Seminario di formazione permanente della Corte dei conti- Attività conoscitiva e di formazione nel settore dei recuperi amministrativi e giudiziari conseguenti a irregolarità e frodi nell’utilizzo delle risorse comunitarie- Prima fase- Roma, 10-11-12 novembre 2009, pubb. Roma , aprile 2010.

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Altra ipotesi di carattere generale recentemente sviluppata è quella connessa alla realizzazione di un danno da lesione della concorrenza nel settore dei contratti pubblici100- 101. 100 . Al riguardo si può richiamare Corte dei conti, sez. giur. Abruzzo, sentenza n. 23 del 20 gennaio 2011. Quest’ultima decisione ha riguardato un giudizio di responsabilità instaurato nei confronti di un dirigente di amministrazione comunale del settore manutenzioni, per un danno di 20 mila euro per aver aggiudicato a trattativa privata lavori di completamento della pubblica illuminazione. La procedura era stata effettuata previo invito a cinque ditte ed era stata vinta con un ribasso del 6,5%. Alla gara non era stata invitata altra ditta che si era aggiudicata un mese prima lavori analoghi per un importo similare con un ribasso del 52 %. Nel caso di specie la Procura regionale aveva rilevato varie irregolarità (unicità di intervento rispetto ad un primo lotto che imponeva necessità di attivazione di licitazione privata per il complesso dei lavori in assenza di situazioni di urgenza, mancanza di previa indagine di mercato, insufficiente presenza di ditte effettivamente partecipanti, violazione di norme interne relative al limite di 100 mila euro per le trattative private). Osservava la sezione che nella fattispecie erano “…stati dunque violati i divieti di cui ai commi 4 (divieto di artificioso frazionamento di opere) e 7 dell’art. 24 della legge n. 109 del 1994 (divieto di affidamento a trattativa privata di un secondo lotto funzionale) ribaditi in epoca coeva ai fatti di cui si tratta da numerose deliberazioni dell’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici (delibere nn. 257, 259 in data 24 settembre 2003). …”, non potendosi peraltro invocare il regolamento comunale sulla disciplina dei contratti trattandosi di disposizioni illegittime e risultando nel caso il ricorso alla trattativa privata sprovvisto di motivazione. Ha poi precisato la sentenza che “…va condivisa la valutazione dell’attore per cui nel caso in esame non vi è stata alcuna valida gara, mancando un numero sufficiente di offerte per valutare un intervento economicamente vantaggioso per l’amministrazione. La violazione delle regole della concorrenza e della trasparenza, lesiva dei principi costituzionalmente tutelati dagli artt. 41 e 97 e dalla legge n. 241 del 1990 realizza un “vulnus” dell’obbligo di servizio del dirigente preposto e cioè, il c.d. “danno alla concorrenza”. I valori dell’economicità, dell’efficacia e dell’efficienza dell’attività amministrativa rappresentano ormai profili di maggior rilievo della “”legalità sostanziale”” nel sistema giuscontabile e in relazione ad essi non è più consentito “”omettere un minimo di confronto concorrenziale per qualsiasi procedura contrattuale ad oggetto pubblico” come giustamente puntualizzato da sez. Lombardia con la sentenza n. 447/2006. Un simile confronto, del resto, è ancor più necessario oggi “”che i basilari principi in materia di concorrenza e libera prestazione di servizi, di cui agli artt. 81 e ss. e 49 e ss. del Trattato CE si impongono al rispetto degli Stati membri, indipendentemente dall’ammontare delle commesse pubbliche””, come ancora giustamente evidenziato dalla precitata sentenza della sez. Lombardia e come indica …l’art. 2 del d.lgs. n. 163/2006 che, in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE annovera fra i principi fondamentali dei contratti pubblici anche il “”principio di concorrenza””. In quest’ottica, è evidente che ogni accertamento di “”convenienza”” della P.a. deve “”necessariamente avvenire in un sistema di negoziazione concorrenziale””. La violazione della concorrenza è apprezzabile sia sotto il profilo soggettivo che per l’aspetto oggettivo. Per il primo profilo viene in rilievo la lesione arrecata ai possibili concorrenti della medesima gara per l’acquisizione di quote di mercato, la cui tutela è affidata al giudice amministrativo. Per la seconda accezione, che qui viene valutata, emerge il danno all’amministrazione committente per aver ignorato di applicare il principio della concorrenza nell’intrapresa attività contrattuale (C.d.c. sez. Umbria, sent. nn. 122/2009 e 256/2007). Trattasi di voce autonomamente valutabile che si determina nella perdita della possibilità per l’amministrazione di scegliere tra le migliori offerte conseguibili, a seguito di una procedura di gara rivolta ad una adeguata platea di imprese con conseguente inutile dispendio di risorse pubbliche. La giurisprudenza, soprattutto della sezione Lombardia di questa Corte (ex multis sentenze nn. 447/2006, 447/2008, 135/2008, 598 e 767 del 2009) ha dato rilievo a detta species di danno seguendo la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea per la violazione degli artt. 49 e ss. e 81 e ss. del Trattato UE, della Cassazione (sent. n. 11031/2008) e amministrativa (C.d.S. sez. V n. 3845/2006; sez. IV n. 5012/2004; sez. V 3472/2004; TAR Campania- Napoli sez. I n. 2545/2006). Inoltre la Sezione I di appello di questa Corte, nel riformare la sentenza di primo grado sulla vicenda che ne occupa ha testualmente affermato che “”E’ di tutta evidenza che l’asserita violazione della concorrenza provoca maggiori oneri per l’amministrazione , in quanto, ad esempio (come in fattispecie) determina ribassi di gara inferiori a quelli conseguibili (sent. I sez. centr. n. 440/10). Detta tipologia di danno,quindi, non è una mera costruzione dottrinale…ma ha assunto da tempo importanza e validità nel panorama delle procedure nazionali e internazionali degli organi giudiziari, anche di vertice delle magistrature…”. Sul “danno alla concorrenza” si richiamano anche Sez. Piemonte nn. 11, 35 e 44 del 2011 e Sezione Sardegna n. 595/2011 che si è pronunciata con riferimento al caso di un illegittimo affidamento contrattuale precisando che “…l’elusione delle garanzie prescritte dalla legge, dettate a salvaguardia dell’interesse pubblico e regolanti le procedure per l’individuazione del contraente privato più affidabile e più tecnicamente organizzato per l’espletamento dei lavori, comporti un danno patrimoniale per l’ente appaltante, nella elementare considerazione che dalla violazione di norme imperative discende sempre la nullità del contratto, con il conseguente obbligo, per l’amministrazione, di erogare al privato contraente un compenso limitato al solo arricchimento senza causa, ai sensi dell’art. 2041 c.c. con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace…”. Va comunque precisato la seconda sezione centrale con sent. n. 198/11 che il “danno alla concorrenza” deve essere provato come ogni altro danno patrimoniale. 101 M.MINERVA, Per una nozione patrimonialistica di investimento nel quadro della responsabilità sanzionatoria contabile per indebitamento illecito; A.CIARAMELLA, Le recenti disposizioni sanzionatorie delle patologie nel conferimento degli incarichi di consulenza da parte di amministrazioni pubbliche, A.LUPI, Art. 3, commi 59 e 79 della legge finanziaria 2008 Legge 24 dicembre 2007, n. 244; R.SCHULMERS, Sul parametro costituzionale riferibile alle nuove fattispecie sanzionatorie affidate alla giuridizione della Corte dei conti; tutti , in Atti del Corso di formazione organizzato dal Consiglio di Presidenza della Corte dei conti su “Evoluzione normativa e giurisprudenziale sulle ipotesi di responsabilità sanzionatoria e delle altre forme tipizzate di responsabilità introdotte nell’ordinamento e affidate alla cognizione del giudice contabile”,

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Il già citato decreto legislativo 150/2009 (attuativo della c.d. “riforma Brunetta”) contiene anche alcuni limitati richiami alla responsabilità amministrativo contabile. Nella relazione del PG della Corte dei conti di inaugurazione dell’anno giudiziario 2010 vi è poi un espresso richiamo alla riforma “Brunetta” con riferimento alla specifica ipotesi di danno all’immagine prevista dalla delega di cui all’art. 7, comma II, lett. e) della legge n. 15 del 2009 (nei casi di mancata, ingiustificata, prestazione lavorativa da parte di un dipendente pubblico), ed attuata dal d.lgs n. 150 del 2009,” in quanto “lex specialis”, prevista da disposizione legislativa successiva alla normativa in esame”. Si trattava , per quanto attiene al danno all’immagine, di una previsione in “controtendenza” rispetto alle norme introdotte nell’estate 2009 e in particolare dalle disposizioni sono contenute nel d.l. n. 78/2009, convertito nella legge n. 102/2009 e sono state corrette dal d.l. n. 103/2009, a sua volta convertito (senza modifiche sul punto) dalla legge n. 141 del 2009 In sostanza, a fronte di una generale “compressione” delle possibilità di esercizio dell'azione erariale per danno all'immagine, il d.lgs. 150 individua un'ipotesi speciale, che non segue il principio generale connesso alla limitazione ai casi di condanna definitiva per reati contro la pubblica amministrazione (ovvero per per tutte le ipotesi di reato segnalate ex art. 129 disp att. c.p.p. secondo altre interpretazioni) ma si ricollega alla fattispecie di cui al nuovo art. 55 quinquies del d.lgs. 165/2001 (come previsto dall'art. 69 del d.lgs. 150 che conferma la previsione di cui di cui all’art. 7, comma II, lett. e) della legge n. 15 del 2009) relativa al nuovo delitto di “False attestazioni o certificazioni” e conseguente alla falsa attestazione di presenza in servizio “mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente” ovvero attraverso la giustificazione dell'assenza “mediante una certificazione medica falsa o falsamente attestante uno stato di malattia” che è punito “con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro quattrocento a euro 1600, con applicazione della “medesima pena” al “medico e a chiunque altro concorre nella commissione del medesimo”. Prevede il comma 2 dell'art. 55 quinquies del d.lgs. 165/2001 che “Nei casi di cui al comma 1 , il lavoratore, ferme la responsabilità penale e disciplinare e le relative sanzioni, è obbligato a risarcire il danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonché il danno all'immagine subiti dall'amministrazione”. In questo modo quindi vi è da un lato la tipizzazione102 e la specificazione di una particolare tipologia di danno all'immagine e dall'altro la tipizzazione del danno patrimoniale , sia nella configurazione che nell'importo del danno che viene già indicato dal legislatore, seguendosi il modello già adottato nella legge 24 dicembre 2007 n. 244 (finanziaria 2008) che ha previsto (art. 3 comma 59) che è nullo il contratto di assicurazione stipulato da amministrazioni o enti pubblici che copra la responsabilità amministrativo contabile e che in caso di violazione è prevista la sanzione,

Roma,1-3 aprile 2008. In tema v. .MONTELLA, Gli appalti di forniture e di servizi alla luce dell’art. 24 della legge 27 dicembre 2002 n. 28, in www. Formez.it;;P. SANTORO, La responsabilità amministrativa sanzionatoria tra clausola generale e tipizzazione dell’illecito, in Foro amm.-CDS, 2007,12, pp. 3565 e ss. 102In argomento ci si permette il rinvio a Recenti fattispecie tipizzate di responsabilità amministrativa”Incremento delle tutele o “trappola della tipicità”? ln Atti del seminario di formazione del Consiglio di Presidenza, 31 ottobre 2009 e in www.amcorteconti.it

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per l’amministratore o dirigente, e per il beneficiario della copertura assicurativa, a titolo di danno erariale di una somma pari a 10 volte l’ammontare dei premi stabiliti nel contratto . Ulteriore ipotesi con connessa nuova fattispecie “tipizzata” è quella contenuta nel nuovo l’art. 33, comma 1-bis del d.lgs. 165/2001 (art. 50 del decreto 150/09) con riguardo alle eccedenze di personale, che impone al dirigente responsabile di individuare le eccedenze di unità di personale e prevede, nei casi di inadempimento e qualora l'eccedenza riguardi almeno dieci dipendenti, anche in caso di eccedenze distinte nell'arco di un anno, la valutabilità dell’omissione ai fini della responsabilità per il danno erariale causato103.

Due ulteriori, indiretti richiami alla responsabilità amministrativa, il decreto 150 li contiene , oltre che nella conferma , prevista dal nuovo art. 55 del d.lgs. , che ai rapporti di lavoro pubblico continua ad applicarsi la disciplina “in materia di responsabilità civile, amministrativa e contabile…” (art. 68 del decreto), nell’art. 69, che introduce il nuovo articolo 55 sexies del d.lgs. 165/2001, laddove, al comma 1, prevede l’ipotesi di “condanna della pubblica amministrazione al risarcimento del danno derivante , da parte del lavoratore dipendente, degli obblighi concernenti la prestazione lavorativa…” ricollegandovi l’applicazione di una sanzione disciplinare sospensiva del servizio con privazione della retribuzione e al comma 2 individua il caso del “lavoratore che fuori dai casi previsti dal comma 1 , cagiona grave danno al funzionamento dell’ufficio di appartenenza, per inefficienza o incompetenza professionale accertate dall’amministrazione…”, per il quale si prevede un procedimento disciplinare con collocamento in disponibilità e divieto di percezione di aumenti retributivi.104 Si tratta di due ipotesi rientranti nelle ordinarie fattispecie di danno erariale indiretto ovvero di danno diretto eventualmente da disservizio per le quali, in presenza dei necessari presupposti, ricorre la conseguente responsabilità amministrativa. I principi di autonomia che regolano i rapporti fra i giudizi contabili e gli altri giudizi (penali, civili, disciplinari,amministrativi, tributari) escludono che la tassativa previsione contenuta nel decreto, sulle conseguenze dei comportamenti dannosi, possa escludere l’esercizio dell’azione da parte del pm contabile. L’ultimo comma del nuovo art. 55 sexies d.lgs. 165/2001, prevede che “la responsabilità civile eventualmente configurabile a carico del dirigente in relazione a profili di illiceità nelle determinazioni concernenti lo svolgimento del procedimento disciplinare è limitata , in conformità ai principi generali, ai casi di dolo o colpa grave”. Si tratta di responsabilità civile “”contro terzi”” (nel caso dipendenti pubblici ) del dirigente per la quale sono richiamati gli ordinari principi di cui al t.u n.3/1957 , artt. 18 e ss., in relazione ai quali, la

103 S.AURIEMMA, La “”terza riforma del pubblico impiego. Riflessi sul sistema della responsabilità amministrativa”, in Seminario di formazione permanente della Corte dei conti,-Atti del Atti dell’Incontro di studio Le innovazioni recate dalla l. 15/2009 e dal successivo decreto legislativo 150/2009: dalla valutazione della performance alle modifiche al sistema della responsabilità (disciplinare e contabile), Roma, 9-10 dicembre 2009 che ricorda come “Da supporto alla disposizione funziona, altresì, quanto previsto dall’art. 6, comma 6-bis del d.l.gs. 165/2001 anch’esso novellato, che chiama i dirigenti ad “individuare i profili professionali necessari allo svolgimento dei compiti istituzionali delle strutture cui sono preposti”, facendo proposte ai fini della redazione del documento di programmazione triennale del fabbisogno di personale e dei suoi aggiornamenti.” 104 P.BRIGUORI, Riforma Brunetta. Sanzioni disciplinari più severe e numerose, in Il SOLE 24 ORE, novembre 2009, 11 che osserva come la condotta disciplinarmente illecita “…consegua al solo danno erariale dovuto all’esborso da parte della p.a. di una somma di denaro…ciò a prescindere se la medesima fattispecie dannosa sia configurabile come illecito amministrativo….”

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mancata chiamata in giudizio del dirigente (e la eventuale condanna della p.a.) determina il giudizio di rivalsa in sede contabile. La legge anticorruzione 190/2012, contiene, come già il d.lgs. 150/2009 alcuni spèecifici richiami alla responsabilità amministrativa ed al danno all’immagine. Tali previsioni sono richiamate anche nella relazione del Procuratore generale della Corte dei conti per l’anno giudiziario 2014 che offre un quadro generale del tema da punto di vista della funzione requirente contabile. Osserva il PG, che “… Le Sezioni giurisdizionali regionali hanno inflitto nel 2013 condanne per danni conseguenti a reati contro la PA (specialmente corruzione, concussione e peculato) per un importo di euro 48.285.847,40 a favore di vari enti pubblici (euro 22.315.028,41 per danni patrimoniali e euro 25.970.818,99 per danni all’immagine), in disparte le somme incassate durante l’attività istruttoria o nel corso dei procedimenti che hanno portato alla cessazione della materia del contendere. Sempre in materia di danni da reato, le quattro Sezioni d’Appello della Corte hanno emesso nel corso del 2013 condanne definitive per un importo pari ad euro 31.452.245,33 (di cui euro 28.739.245,33 per danni patrimoniali e euro 2.713.000,00 per danno all’immagine). I settori maggiormente interessati dalle vicende oggetto di condanna sono stati la Sanità, i Ministeri anche nelle articolazioni decentrate, le Forze di Polizia (soprattutto per il danno all’immagine), gli Enti di previdenza, i Comuni, le Regioni e le Università. Le fattispecie maggiormente ricorrenti hanno riguardato casi di corruzione e concussione abuso d’ufficio o rivelazione di segreto d’ufficio per favorire soggetti o ditte in materia di appalti di lavori, servizi e forniture con notevoli aumenti del costo dell’appalto, così come nelle procedure fallimentari o in commissioni di esame, negli iter burocratici per il rilascio di pratiche amministrative, nel settore edilizio ovvero per evitare sanzioni in materia di sicurezza dei lavoratori sul luogo di lavoro, in materia fiscale, in relazione a sanzioni amministrative, per favorire la permanenza di stranieri in condizioni di illegalità, per abbreviare le liste d’attesa nel settore sanitario, per evitare controlli di ogni tipo in esercizi commerciali, per certificare invalidità, infortuni o malattie inesistenti. Molto frequenti anche le ipotesi di responsabilità amministrativa conseguenti ad assenteismo e peculato, con sottrazione di ingenti somme o valori o beni (denaro, marche da bollo, assegni, beni…) di cui il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio aveva la disponibilità, derivanti da pagamenti di multe, sanzioni, oneri concessori, corpi di reato, disponibilità artatamente create attraverso falsi mandati o ordinativi di pagamento ovvero con la creazione di false identità cui indirizzare rimborsi poi fatti confluire su conti privati, o attraverso rimborsi con falsi giustificativi, nonché uso privato di telefoni, auto e finanche di aeromobile di servizio. Si tratta dunque di illeciti diffusi sul territorio commessi a tutti i livelli dell’organizzazione amministrativa, con profitti che variano da piccole somme a grandi importi, che interessano tutti i principali settori della vita civile…”105. “…Nel corso 105 S.NOTTOLA, Relazione cit. “…In allegato alla presente relazione viene poi fornito il quadro complessivo delle attività di contrasto ai reati contro la pubblica Amministrazione svolte nel 2013 e documentate dall’Arma dei Carabinieri, dal Corpo della Guardia di Finanza, dalla Polizia dello Stato e dal Corpo forestale dello Stato, evidenziando, per Regioni, il numero dei reati e delle persone denunciati all’Autorità giudiziaria ordinaria, in crescita rispetto al 2012. Al contrario si osserva una significativa flessione nel numero dei casi segnalati da dirigenti e funzionari all’interno della Pubblica Amministrazione, alla quale verosimilmente non corrisponde una flessione degli illeciti commessi bensì una maggiore difficoltà della loro emersione per l’esistenza di un c.d. “numero oscuro” di reati. Gli illeciti all’interno della Pubblica Amministrazione sono, infatti, caratterizzati da una notevole difficoltà di rilevazione per una scarsa propensione alla denuncia, non solo perché si tratta di comportamenti che spesso nascono da un accordo fra corruttore e corrotto, con la conseguenza che nessuno dei concorrenti ha interesse a far scoprire il reato, ma anche perché, nell’ambiente in cui sorgono, anche le persone estranee al fatto, ma partecipi all’organizzazione, non dimostrano disponibilità a denunciare fenomeni di tal tipo, anche per non esporsi alle conseguenze insite nella segnalazione di un illecito. Il problema della tutela dei denuncianti resta una delle priorità e dei fenomeni sottoposti all’attenzione degli organismi internazionali (quali il GRE.CO. - Gruppo di Stati contro la

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del 2013 le disposizioni introdotte dalla legge anticorruzione inerenti la responsabilità amministrativa hanno avuto le prime applicazioni anche nell’ambito della giurisdizione contabile. Tale legge prevede all’art. 7106 la configurazione del danno all’immagine quale danno risarcibile quando derivante dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione “accertato con sentenza passata in giudicato”. La formulazione di tale norma farebbe ritenere l’ammissibilità della domanda erariale risarcitoria anche a fronte di un accertamento definitivo del giudice penale vertente sulla commissione di un reato diverso dai delitti dei pubblici ufficiali contro la PA compresi nel capo I del titolo II del libro II del c.p e dunque oltre i ristretti limiti fissati dal DL 78/2009; inoltre sarebbe sufficiente l’accertamento della sussistenza di un reato avvenuto con sentenza irrevocabile non necessariamente di condanna. Resta impregiudicata la problematica, non risolta dalla novella legislativa, della diversa decorrenza dei termini prescrizionali (tra danno patrimoniale e danno all’immagine), che costringe il PM contabile spesso ad attivare due distinti processi di responsabilità nei confronti dei medesimi soggetti in relazione al

corruzione e l’OCSE nonché la Commissione europea). Particolare considerazione al problema è stata riservata dalla legge 190 che ha previsto all’art. 1 comma 51 una specifica tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti all’autorità giudiziaria o alla Corte dei conti, ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro: egli infatti non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto a misure discriminatorie per motivi collegati alla denuncia. La sua identità potrà essere rivelata solo nel caso in cui sia assolutamente indispensabile per la difesa dell’incolpato. Al momento, però, tale forma di tutela non ha prodotto gli effetti sperati. Le perplessità degli operatori sulla sua efficacia nascono dalla constatazione che la norma, così concepita, ben difficilmente troverà applicazione nella considerazione che i pubblici dipendenti avranno forti remore a esporsi a situazioni con inevitabili ripercussioni in ambito lavorativo, non essendo assicurata la effettiva garanzia di anonimato atteso che l'identità del denunciante può essere svelata se lo richiede la difesa dell'incolpato nel procedimento disciplinare. Ed in effetti in questo primo anno di vita della legge anticorruzione scarsissime sono state le segnalazioni da parte di dipendenti pubblici di illeciti commessi nella propria amministrazione. Al riguardo è importante evidenziare che la Procura contabile aveva la possibilità di proteggere la riservatezza dell’identità del denunciante in quanto non era prevista nel nostro ordinamento una totale discovery degli atti istruttori in sede processuale. Tale possibilità è venuta meno nel 2009 con il D.L. n. 78/2009 (conv. con legge 102/2009 come modificato dal D.L. 103/2009 conv. in legge 141/2009), che, all’art.17 comma 30- ter, nella sua formulazione attuale, prevedendo la possibilità di sindacare la notitia damni anche attraverso la proposizione di azioni di nullità dell’attività istruttoria, costringe i PM contabili a depositare sempre e comunque anche la segnalazione di danno, rivelando conseguentemente l’identità del denunciante, peraltro anche per procedimenti in corso per i quali i denuncianti ritenevano invece di essere tutelati al riguardo. Il fenomeno è mitigato dalla possibilità, ancora riconosciuta al PM contabile, di svolgere accertamenti istruttori su segnalazioni anonime, purché contenenti notizia specifica e concreta di danno. Si ritiene opportuno sottolineare, al riguardo, l’importanza che avrebbe la tutela dell’anonimato anche per i denuncianti privati (presente in proposte di modifica al ddl anticorruzione, poi purtroppo non recepite nel testo definitivo della legge) che, seppure estranei al singolo rapporto corruttivo, siano costretti a relazionarsi con gli stessi funzionari della PA che dovrebbero denunciare. Ad esempio, nel settore dei finanziamenti pubblici nazionali o comunitari, i soggetti rimasti esclusi dai benefici, in quanto altri soggetti privati ne sono stati destinatari grazie al meccanismo corruttivo pur non avendone diritto, spesso temono di esporsi con una denuncia, ritenendo di poter subire ritorsioni in caso di future richieste di altri contributi ai medesimi uffici della P.A.. Altra rilevazione riguarda l’osservanza delle disposizioni derivanti dall’art. 6 della legge n. 97 del 27 marzo 2011, disciplinanti la trasmissione al Procuratore generale della Corte delle sentenze penali di condanna per i delitti di cui al capo 1 del titolo II del libro secondo del c.p.. È opportuno che tale disposizione sia sempre e puntualmente osservata considerata la brevità dei termini accordati per l’eventuale inizio dell’azione contabile, come è stato ricordato, anche con nota di coordinamento del Procuratore generale della Corte di Cassazione inviata nel 2011 ai Presidenti delle Corti d’appello. In proposito, si rileva che nel corso del 2013 sono pervenute solamente 25 sentenze (31 nel 2012) dalla Corte d’appello di Firenze (6), nonché dai Tribunali di Roma (1), Taranto (6), Torino (1), Trieste (2), Alessandria (1), Pescara (3), Benevento (2), Verbania (1) Foggia (2). 106 “All'articolo l della legge 14 gennaio 1994, n. 20, dopo il comma 1-quinquies sono inseriti i seguenti: «1-sexies. Nel giudizio di responsabilità, l’entità del danno all'immagine della pubblica amministrazione derivante dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione accertato con sentenza passata in giudicato si presume, salva prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente. 1-septies. Nei giudizi di responsabilità aventi ad oggetto atti o fatti di cui al comma 1- sexies, il sequestro conservativo di cui all'articolo 5, comma 2, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19, è concesso in tutti i casi di fondato timore di attenuazione della garanzia del credito erariale».

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medesimo fatto storico, uno per contestare il danno patrimoniale (prescrizione decorrente dalla comunicazione dell’esercizio dell’azione penale) e l’altro per contestare il danno all’immagine (prescrizione decorrente dalla sentenza passata in giudicato), con aggravio di procedure e spese sia per la parte pubblica che per la parte privata, con l’evidente contraddizione di poter considerare l’accertamento in sede contabile, autonomo dal procedimento penale, di un comportamento illecito astrattamente configurante anche un’ipotesi di reato contro la PA, idoneo e sufficiente per la condanna per danni patrimoniali anche di rilevante entità economica, insufficiente per la condanna al risarcimento del danno all’immagine. Per quanto riguarda più specificamente la quantificazione del danno all’immagine della P.A. derivante da reato accertato con sentenza passata in giudicato, l’articolo 1, comma 62, della legge 190 ha aggiunto, all’articolo 1 della legge n. 20 del 1994, il comma 1 quinquies, che in via presuntiva lo individua in misura doppia all’utilità illecitamente percepita dal pubblico dipendente, secondo alcuni delimitando così l’addebito determinabile, in via equitativa, dal giudice contabile anche se in tal modo prescindendo da ogni profilo fattuale vertente sullo “strepitus fori”, evidentemente "assorbito" nella valenza pubblicistica della sentenza penale. Il ricorso al criterio presuntivo, dunque, indubbiamente agevola la determinazione della misura del danno contestabile, altrimenti rimessa a soli parametri di tipo equitativo. L'espressione "salvo prova contraria" induce a ritenere che la quantificazione possa essere sia maggiore che minore, perché la norma non pone limiti al riguardo anche se, ragionevolmente, il limite minimo non potrà essere inferiore alla somma percepita o all’utilità realizzata. Secondo un diverso orientamento, già recepito in alcune pronunce giurisprudenziali (Sez. App. Sicilia n. 132/2013) il calcolo presuntivo introdotto dalla norma costituirebbe una “soglia minima di rigore”, superabile dal giudice contabile con l’individuazione di un maggior danno. Sulla natura sostanziale della norma che ha introdotto un quid novi e, quindi, sulla sua irretroattività, si sono recentemente pronunciate la Sezione giurisdizionale per la Regione siciliana con le sentenze n.3051/2013 e n. 266/2013, la Sezione giurisdizionale per la Lombardia con la sentenza n.17/2013 e la Sezione Molise con la sentenza n. 30/2013. In senso contrario, sulla sua natura processuale e dunque sulla sua immediata applicabilità (in quanto norma rivolta al giudice al fine di quantificare l'entità del danno all'immagine), si sono invece pronunciate la sentenza n. 17/2013 della Sezione giurisdizionale per l’Emilia Romagna e la sentenza n.769 del 6 febbraio 2013 della Sezione giurisdizionale per la Puglia. Più in generale, molte sono le sentenze che in tutta Italia nel corso del 2013 hanno condannato per danno all’immagine funzionari infedeli, a volte anche richiamando le nuove disposizioni in materia, in presenza di sentenze penali definitive di accertamento della sussistenza di un reato. Non va sottovalutata la portata soprattutto in termini di effetto di deterrenza che può produrre la condanna per il danno all’immagine proprio perché legislativamente rapportata all’entità delle tangenti (o altre utilità percepite) che costituiscono il prezzo della corruzione, e dunque il valore attribuito dall’accordo corruttivo, alla violazione del dovere di fedeltà costituzionalmente previsto, rapportato al rischio e spesso all’importo del guadagno del corruttore privato. È interessante segnalare al riguardo una pronuncia della Sezione III di Appello (n. 182/2013 del 7 marzo 2013) che, ritenendo che in ipotesi di corruzione propria (per atti contrari ai propri doveri d’ufficio) i processi decisionali dell’azienda pubblica attraverso versamenti di somme di denaro (o altra utilità) a funzionari pubblici sono condizionati dal privato corruttore, ha ritenuto sussistente la giurisdizione nei confronti di quest’ultimo condannandolo al pari del funzionario

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infedele. L’impegno delle Procure contabili sicuramente produrrebbe effetti di deterrenza e risarcitori di più ampia portata se fossero assoggettati alla giurisdizione della Corte oltre ai funzionari infedeli anche i soggetti privati coinvolti attivamente nell’illecito (es. appaltatori) che, invece, solo in taluni casi possono essere chiamati, in base alla normativa vigente, a rispondere dalle procure contabili, ad esempio quando anche percettori d’indebiti finanziamenti pubblici a destinazione vincolata, così come se più incisive forme di controllo anche giurisdizionale potessero rivolgersi nei confronti di quei soggetti che veicolano ingenti patrimoni pubblici come le società partecipate, specialmente da enti locali. La legge anticorruzione ha altresì aggiunto il comma 1-septies all’art. 1 della legge n. 20/1994, con il quale si prevede che nei giudizi di responsabilità amministrativa per il danno all’immagine - nell’ipotesi di "fondato timore" di attenuazione della garanzia patrimoniale del credito erariale - su richiesta del procuratore regionale, sia concesso dal Presidente della sezione della Corte dei conti competente sul merito del giudizio, il sequestro conservativo di beni mobili e immobili del convenuto, comprese somme e cose allo stesso dovute. In realtà, il sequestro conservativo era già previsto dall’art. 5 del D. L. n. 453/93 convertito nella legge 14 gennaio 1994, n. 19, quando ne ricorressero le condizioni, e poteva essere richiesto anche contestualmente all'adozione dell’invito a dedurre (c.d. sequestro ante causam). Tale essendo la disciplina previgente, la nuova norma potrebbe essere interpretata come la volontà di ribadire la sua attivabilità anche in ipotesi di danno all’immagine (anche se già ampia e diffusa giurisprudenza dimostra come la procedura cautelare si applicasse tout court anche a tale tipologie di danno), attribuendo al Presidente della sezione giurisdizionale relativamente al requisito della sussistenza del periculum in mora il dovere di concedere il sequestro anche in sola presenza del “fondato timore di attenuazione della garanzia del credito erariale”, quindi in presenza di un presupposto "minore" rispetto a quello, classico, del "fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito" richiesto, in generale, per l'erogazione della tutela cautelare conservativa. La novella legislativa, oltre a prevedere un’ampia ristrutturazione organizzativa della P.A. al fine di ostacolare preventivamente comportamenti corruttivi e concussivi dei pubblici funzionari, ha ritenuto di introdurre nel sistema di organizzazione amministrativa la figura del “responsabile per la prevenzione della corruzione”, al quale ha affidato il coordinamento di tutte le iniziative in materia di prevenzione all’interno di ciascuna amministrazione e che ha l’importante e delicato compito di elaborare e proporre il Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione. Sul responsabile anticorruzione grava ex lege una particolare responsabilità. Infatti, nel caso di commissione, all’interno dell’amministrazione, di un reato di corruzione accertato con sentenza passata in giudicato, egli risponde a diverso titolo, ai sensi dell’art. 21 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, sul piano disciplinare, nonché per il danno erariale e all’immagine della pubblica amministrazione salvo che non provi di aver predisposto, prima della commissione del fatto, un piano anticorruzione conforme alla normativa e di aver vigilato sul suo funzionamento e sulla sua osservanza. Infatti, considerato che la legge individua nel piano uno dei principali strumenti anticorruzione, la mancata predisposizione dello stesso integra un fattore che potrebbe agevolare la perpetrazione dell’illecito. L’espressa previsione normativa di un’ipotesi di responsabilità per danno all’immagine fa ritenere la perseguibilità del responsabile della corruzione in sede contabile per il danno all’immagine anche in assenza di una sentenza penale di accertamento della sussistenza di un reato commesso dallo stesso soggetto. In ogni caso si sottolinea che grava sul responsabile del piano anticorruzione un preciso obbligo di

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denuncia alla procura contabile dei fatti suscettibili di dar luogo a responsabilità amministrativa (art. 20 D.P.R. 3 del 1957 e art 1, comma 3 della legge 20 del 1994), come ricordato anche dalla circolare n. 1 della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 25 gennaio 2013 e come espressamente previsto nell’art. 15 del decreto legislativo n. 39 del 2013 con riferimento specifico ai casi di possibile violazione delle disposizioni del decreto stesso. È inoltre opportuno ricordare che tra le varie disposizioni della legge 190 contenenti obblighi di pubblicità e comunicazione di dati e compensi relativi agli incarichi, l’art. 1 comma 42 modifica l’art.53 d. 165/01 inserendo il comma 7 bis con cui assoggetta alla giurisdizione della Corte dei conti l’omesso versamento da parte del dipendente dei compensi percepiti per gli incarichi non autorizzati dalla amministrazione di appartenenza. Al riguardo, peraltro, non si può nascondere qualche perplessità, collegata alla possibilità che, in concreto, tali fattispecie vengano adeguatamente segnalate alle Procure contabili. Ulteriori riflessioni possono essere fatte partendo dalla semplice considerazione che le ricostruzioni di comportamenti illeciti corruttivi, costituendo anche ipotesi di reato, investono le note problematiche nascenti dai rapporti tra Pubblici Ministeri penale e contabile, che si trovano ad indagare sul medesimo fatto storico seppure con poteri, strumenti, tempistica e finalità diversi. Al riguardo è sicuramente da apprezzare l’iniziativa del Procuratore generale della Corte di Cassazione, che ha diramato già da alcuni anni una circolare indirizzata a tutte le Corti d’Appello nella quale è stata segnalata l’importanza della costante collaborazione fra Autorità giudiziarie penali e contabili con applicazione tempestiva dell’art.129 disp. att. c.p.p. e degli artt. 6 e 7 della legge 97/01, anche con riferimento a tutti i casi di frode in finanziamenti infrastrutturali comunitari o nazionali (dietro i quali si celano spesso ipotesi corruttive) e anche quando compaiano come imputati soltanto i soggetti privati percettori dei fondi, in applicazione dell’evoluzione giurisprudenziale in ordine all’ambito oggettivo e soggettivo della giurisdizione contabile in tale materia. Restano, comunque, irrisolti alcuni problemi che possono limitare il rapido avvio di indagini da parte del P.M. contabile con adozione di adeguate misure cautelari, come l’assenza di una previsione normativa che imponga la tempestiva segnalazione da parte del P.M. penale dell’adozione di provvedimenti cautelari di tipo patrimoniale107 a fronte del fatto che invece specificamente per i reati previsti nel capo I del titolo II del libro II del c.p., tra i quali rientrano la concussione e la corruzione (anche di membri degli organi delle Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri), l’articolo 335 bis prevede la confisca obbligatoria dei beni che ne costituiscono il profitto e il prezzo e l’articolo 321 c.p.p. l’obbligatorietà del sequestro preventivo. Al riguardo è importante ricordare che l’azione del PM penale è comunque diretta alla tutela d’interessi, anche economici, ma generali della collettività e non anche specifici dell’amministrazione danneggiata, la cui unica tutela economica è fornita dal PM contabile, che pure persegue anche gli interessi collettivi e generali dell’ordinamento. Infatti, ad esempio, i beni confiscati in ipotesi di reati contro la PA sono destinati al Ministero della Giustizia e, ai sensi dell’art. 6 della legge 97/2001, i beni immobili confiscati sono invece acquisiti al patrimonio del “Comune nel cui territorio si trovano”; analogamente anche la legge n. 296/2006- legge

107 L’art. 129 disp. att. c.p.p., come è noto, stabilisce al comma 3 l’obbligo per il P.M. penale di segnalare al P.M. contabile l’esercizio di azione penale per fattispecie dannose per l’Erario. Il comma 3-bis del medesimo articolo (aggiunto dall’art. 20 del D. Lgs. 14/1/91 n.12) prevede un’anticipazione dell’obbligo di segnalazione nell’ipotesi in cui il fatto dannoso sia conseguenza del comportamento di un impiegato dello Stato o di altro ente pubblico, solo quando quest’ultimo sia arrestato, fermato o sottoposto a custodia cautelare (misure cautelari personali).

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finanziaria per l’anno 2007 che disciplina l’utilizzazione dei beni a vari fini, estendendo la disciplina prevista per le confische relative ai reati di criminalità organizzata anche ai reati di corruzione e concussione. Pertanto solo l’azione del PM contabile ha una vera finalità risarcitoria per l’Amministrazione danneggiata108.

108 Per tale ragione la giurisprudenza contabile considera ammissibile l’azione di responsabilità e riconosce la risarcibilità dell’amministrazione danneggiata anche in presenza di confisca penale.