Misericordiosi come il Padre: un invito rivolto a tutti

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«MISERICORDIOSI COME IL PADRE»: UN INVITO RIVOLTO A TUTTI Alessandro GRECO * Dall’indizione dell’Anno Santo giubilare da parte di papa Fran- cesco nel marzo 2015 fino ad oggi, dopo più di 300 giorni dalla sua solenne apertura, non solo i documenti ufficiali del magistero ma anche le omelie, gli interventi e i discorsi del pontefice in occasioni di udienze e viaggi hanno chiaramente evidenziato che questo av- venimento di fede, che nella sua eccezionalità coinvolge la Chiesa cattolica, allarga il suo potenziale di giudizio ideale e di partecipa- zione pratica a livello universale. Ciò è ancor più evidente se si presta attenzione ai risvolti sociali che il Giubileo della misericordia ha assunto e che, direi in maniera programmatica e coerente, pretende di assumere nelle intenzioni, nelle parole e nei gesti di questo pontefice. Il Giubileo cristiano è di per sé un evento eccezionale, un tem- po straordinario che vuole giudicare e indirizzare l’ordinarietà della vita di ciascun fedele, e al tempo stesso delle comunità cristiane e del mondo intero. Il cristianesimo d’altronde, per sua stessa natura, fugge l’intimi- smo di pratiche religiose e meditative solipsistiche e mette al cen- tro del suo rivoluzionario messaggio un amore che è ‘ab origine’ sociale, ad immagine e somiglianza del legame tra le tre persone della Trinità 1 e del vincolo di fratellanza che Gesù, figlio di Dio, * Presidente del Centro di Solidarietà della Compagnia delle Opere «Massimiliano Kolbe» di Patti e docente di Lettere presso l’Istituto comprensivo «L. Radice» di Patti. 1 Cfr. E. CAMBÓN, Trinità modello sociale, Roma 1999.

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«MISERICORDIOSI COME IL PADRE»:UN INVITO RIVOLTO A TUTTI

Alessandro Greco*

Dall’indizione dell’Anno Santo giubilare da parte di papa Fran-cesco nel marzo 2015 fino ad oggi, dopo più di 300 giorni dalla sua solenne apertura, non solo i documenti ufficiali del magistero ma anche le omelie, gli interventi e i discorsi del pontefice in occasioni di udienze e viaggi hanno chiaramente evidenziato che questo av-venimento di fede, che nella sua eccezionalità coinvolge la Chiesa cattolica, allarga il suo potenziale di giudizio ideale e di partecipa-zione pratica a livello universale.

Ciò è ancor più evidente se si presta attenzione ai risvolti sociali che il Giubileo della misericordia ha assunto e che, direi in maniera programmatica e coerente, pretende di assumere nelle intenzioni, nelle parole e nei gesti di questo pontefice.

Il Giubileo cristiano è di per sé un evento eccezionale, un tem-po straordinario che vuole giudicare e indirizzare l’ordinarietà della vita di ciascun fedele, e al tempo stesso delle comunità cristiane e del mondo intero.

Il cristianesimo d’altronde, per sua stessa natura, fugge l’intimi-smo di pratiche religiose e meditative solipsistiche e mette al cen-tro del suo rivoluzionario messaggio un amore che è ‘ab origine’ sociale, ad immagine e somiglianza del legame tra le tre persone della Trinità1 e del vincolo di fratellanza che Gesù, figlio di Dio,

* Presidente del Centro di Solidarietà della Compagnia delle Opere «Massimiliano Kolbe» di Patti e docente di Lettere presso l’Istituto comprensivo «L. Radice» di Patti.

1 Cfr. E. Cambón, Trinità modello sociale, Roma 1999.

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ha instaurato incarnandosi e creando attorno a sé una compagnia di amici come comunità solidale2.

La dimensione sociale diventa quindi un riferimento essenziale per ogni cristiano, per la propria fede così come per le proprie ope-re, ed in misura ancora maggiore questo emerge in tempi eccezio-nali come lo è un Anno Santo.

Volendo però approfondire la portata sociale del Giubileo è op-portuno riandare innanzitutto, sebbene molto schematicamente, all’origine ebraica di questo istituto, per considerare come e quan-to la prospettiva sociale fosse presente nella tradizione veterotesta-mentaria e in che misura essa sia confluita nel Giubileo cristiano, dal Medio Evo ad oggi.

1. La dimensione sociale del Giubileo nella storia

Le radici ebraiche del Giubileo, riconducibili alle indicazioni presenti nel libro del Levitico3 che prescriveva dopo sette settennati la liberazione dei prigionieri, la cancellazione dei debiti e la restitu-zione delle terre agli antichi proprietari, ci indicano chiaramente che per l’antico Israele l’anno giubilare aveva caratteristiche fortemente incentrate su aspetti della vita sociale e portava con sé la liberazione generale da una condizione di miseria, sofferenza ed emarginazione.

Anche in altri testi biblici relativi all’anno sabbatico4 viene messo in luce, di questa istituzione, soprattutto l’aspetto socia-

2 «L›uomo è se stesso quando è insieme. E infatti l›io dell›uomo è destinato ad essere insieme a tutto ciò che c’è, al mistero dell’Essere. Perché? Perché è stato fatto ad immagine di Dio e Dio è una comunione: la comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito, il mistero della Trinità; è nel mistero della Trinità la radice del fatto che l’io non è solo. [...] Cosi l’io[...] viene creato in una compagnia, da una compagnia che è amicizia e l’amicizia è creata da una obbedienza. La parola obbedienza non è niente altro che la virtù dell’amicizia». L. Giussani, Si può vivere così?, Milano 1994, 153.

3 Lv 25,10-134 Es 23,10s e Ne 10,32

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le5, rimarcando come per il popolo ebraico tale ricorrenza aveva un forte impatto sulla vita e sulle istituzioni della società stessa6.

Appare quindi evidente, senza voler qui addentrarsi nelle sfuma-ture presenti nel testo biblico, che le radici di questa istituzione si ricollegano esplicitamente ad elementi della cultura, della storia e della religiosità ebraica, con connotazioni e implicazioni fortemen-te legate all’ambito sociale.

Da un lato vi è il riferimento esplicito e continuo al termine «liberazione», legato nella memoria del popolo alla sua uscita dall’Egitto e dalla schiavitù, come dono ricevuto e come esperien-za collettiva, e che, come ha ben sottolineato don Giacomo Costa, «è salvezza in quanto possibilità concreta di vita» legata dunque «all’esperienza condivisa e solidale di essere oggetto di misericor-dia da parte di Dio»7 .

La liberazione degli schiavi rimarcava inoltre la dignità di ogni uomo, proveniente dall’Alleanza tra Dio ed il suo popolo: «Avendo Dio come unico Signore l’ebreo non può essere schiavo di nessuno sulla terra»8.

D’altro canto nel testo biblico prima citato il riferimento chiaro al sabato, giorno di riposo dopo la creazione, momento di sintesi e giudizio, lega l’anno sabbatico ed il giubileo nelle sue origini più profonde ad un tempo collettivo di revisione anche “rivoluzionaria” delle strutture sociali e dei rapporti all’interno del popolo ebraico: «Anno sabbatico e giubilare intendevano consacrare il diritto di

5 «Rispetto ad altri testi qui ha il sopravvento la motivazione sociale: il prodotto spontaneo del settimo anno appartiene a tutti, ai poveri in modo particolare, per i quali esisteva una legislazione protettiva». E. Guerriero, «Editoriale», Communio – Il Giubileo 160-161(1998), 10.

6 «Per l’Antico Testamento il nucleo del giubileo è dunque una profonda, detta-gliata, periodica revisione delle relazioni che strutturano Israele come popolo all’interno di una visione di giustizia e riconciliazione». G. costa, «Giubileo della misericordia: alle radici della solidarietà», Aggiornamenti Sociali 4 (2015), 277-283.

7 G. costa, «Giubileo della misericordia: alle radici della solidarietà», 278.8 E. Guerriero, «Editoriale», 12.

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Dio, Creatore e Liberatore, e altresì sollecitare la sensibilità degli uomini verso un cammino di fratellanza e di comunione. […] Ne deriva un forte impulso per la vita del singolo e della collettività»9.

L’idea che emerge quindi è assolutamente quella di un tempo in cui il sacro ed il profano, il ‘tempo di Dio’ ed il ‘tempo dell’uomo’ si integrano nella concezione biblica di un Dio che vuole il bene di ogni uomo e di tutto l’uomo: «Anche nella società più avanzata e secolarizzata, quale che sia la nostra collocazione filosofica e reli-giosa, il rispetto della vita personale e collettiva impone una sosta nella quale i più forti ed i più realizzati si volgano a vedere se nel loro percorso di vita hanno lasciato qualcuno indietro o lo hanno addirittura ignorato o calpestato»10.

Senza soffermarci su quanto in effetti queste disposizioni riguar-danti l’anno giubilare, con la loro spinta utopistica e rivoluziona-ria soprattutto rispetto all’affrancamento dalla schiavitù, furono in effetti storicamente messe in pratica da parte del popolo ebraico11, rimane indubbio che il giubileo ebraico avesse in sé, a livello so-ciale, una forte carica propulsiva.

Il Cristianesimo innestandosi nella tradizione veterotestamen-taria, ha assimilato, innanzitutto, il carattere più prettamente spi-rituale del giubileo, sulla scorta del riferimento che Gesù stesso, riprendendo un passo profetico di Isaia (Is 61,1-2), fa nel Vangelo per cui l’anno di giubilo che Egli viene a promulgare è un «sabato eterno» di liberazione, di perdono e di luce (Lc 4,18).

9 E. Guerriero, «Editoriale», 13.10 G. Franzoni, Farete riposare la terra, Roma 1996, 34.11 «la reale osservanza della legge concernente il giubileo è stata posta in dubbio da

esegeti autorevoli, i quali non esitano a qualificare la legge stessa come utopistica e destinata a restare lettera morta. […]al di fuori della Bibbia, questo cinquantesimo anno non è contraddistinto in alcun luogo da una ridistribuzione della terra, una libe-razione di debiti o di persone vincolate, anzi non si trova attestata alcuna liberazione generale, indipendentemente da ogni questione di data […] Il rispetto dell’anno sabbatico è invece attestato da altri luoghi della Bibbia e da Giuseppe Flavio, e per-tanto dovrebbe restare fuori discussione». N. JaeGer, Il diritto nella Bibbia. Giustizia individuale e sociale nell’Antico e nel Nuovo Testamento, Assisi 1960, 133-134.

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Dal 1300, anno di indizione del primo Anno Santo dell’era cri-stiana voluto da Bonifacio VIII, che non denomina in alcun modo l’anno, se non indirettamente come anno centenario (annus centesi-mus) il Giubileo12 del Vecchio Testamento nella tradizione cristiana acquista un significato nuovo, prettamente spirituale e religioso e diventa il tempo del perdono e della celebrazione della misericordia divina: ogni 100 anni la piena liberazione da colpe e da pene era assicurata a chi nell’Anno Santo avesse compiuto le visite alla Ba-siliche Vaticana ed a quella Ostiense, nel numero di 30 se si trattava di romani e di 15 se forestieri.

Isidoro di Siviglia, nelle sue Etimologie, scrive che la spiega-zione del Giubileo come perdono perfetto delle colpe è un supera-mento cristiano delle usanze ebraiche13. All’inizio, poi, remissione, perdono, e indulgenza erano considerati sinonimi, senza che fosse chiara la distinzione tra essi. Progressivamente, l’espressione in-dulgenza è stata invece riservata ad una forma speciale dell’aiuto che al di fuori del sacramento della confessione la Chiesa offre ai fedeli per ottenere la salvezza14, e questa ebbe una importanza sem-

12 In realtà la forma aggettivale “annus iubilaeus” appare solo con l’annuncio dell’indulgenza dell’anno 1350, e la forma sostantivata “iubilaeus” comincia ad apparire nella bolla di indizione dell’anno 1500, per affermarsi dall’anno 1575. Nel 1600 Clemente VIII utilizzerà la forma “Anno Santo”. Cfr. G. P. Montini, «Il Giubileo nelle bolle pontificie di indizione», Quaderni di diritto ecclesiale 11(1998), 120-122.

13 isidoro di siviGlia, Etymologiae, PL 82, 222 s.14 In forza del mandato di Gesù Cristo (Mt 16,18-19; 18,18; Gv 20,23) la Chiesa

ha il potere di rimettere i peccati, cioè di cancellare le colpe degli uomini e questo potere si esercita attraverso il sacramento della penitenza o confessione. Con l’estinzione del peccato si estinguono le pene eterne, le quali escludono l’anima dalla visione di Dio, non però quelle temporali che rimangono a carico di chi le ha commesse; queste, se non vengono condonate in vita, debbono poi espiarsi in Purgatorio. Uno dei mezzi offerti dalla Chiesa per la remissione delle pene è l’indulgenza che rimette la pena in parte (parziale) o integralmente (plenaria), si lucra a determinate condizioni ed è applicabile anche ai defunti. Cfr. C. Journet, «Théologie des indulgences», Nova et vetera 2(1966), 81-111. Trad. it. Teologia delle indulgenze, Roma 1966.

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pre maggiore nella celebrazione degli Anni Santi, che man mano vennero ravvicinati: prima ogni 50 anni e poi ogni 25 per consenti-re ad ogni generazione di viverne uno e di ottenere dunque questo beneficio.

La tradizione cristiana sembra quindi perdere il potenziale so-ciale del giubileo ebraico, a favore di una maggiore considerazione dell’aspetto spirituale, che rimane di fatto preminente nei giubilei che si susseguono dal 1300 al XIX secolo.

Paolo VI, nella Bolla di indizione per il 1975, dopo un breve ex-cursus sulla storia del giubileo, rilevava la vitalità e la continuità di questo istituto, che si era ben adattato ad ogni epoca della Chiesa15, e questa sua considerazione ci offre un interessante punto di vista su questa preminenza degli aspetti spirituali del Giubileo in 700 anni di Storia della Chiesa.

Ma ancora di più la considerazione di Paolo VI appare profeti-camente efficace se si considera il cambiamento avvenuto con l’in-dizione da parte di Giovanni Paolo II del grande Giubileo del 2000.

Papa Wojtyla aveva già indetto, nel corso del suo pontificato, un altro giubileo straordinario, nel 1983, a 1950 anni dalla Redenzio-ne, anticipando i tempi previsti dal suo predecessore, Pio XI, che nel chiudere la Porta Santa il 2 aprile del 1934, al termine dell’Anno Santo della Redenzione del 1933-34, aveva dato il prossimo appun-tamento al 2033. Erano anni di grande fervore politico internazio-nale, e Papa Wojtyla era impegnato su più fronti a difendere i deboli della Terra e sostenere la lotta di popoli che attraverso la sofferenza ed a volte persino il martirio, difendevano la propria libertà e digni-tà16 insieme alla loro tradizione di fede.

Il primo atto verso il Grande Giubileo che avrebbe dovuto aprire il nuovo millennio si ebbe il 10 novembre 1994, data in cui lo stesso

15 Paolo vi, «Apostolorum limina», 23 maggio 1974, AAS 66 (1974), 289-307.16 Una puntuale ricostruzione si può ritrovare in A. D’AnGelo, «Il giubileo straor-

dinario del 1983», in G. Cassiani, ed., I Giubilei del XIX e XX secolo – Atti del convegno di studio Roma 11-12 maggio 2000, Soveria Mannelli 2003, 227-243.

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Giovanni Paolo II promulgò la Lettera apostolica Tertio Millennio adveniente indirizzata all’Episcopato, al clero, ai religiosi e ai fedeli circa la preparazione al Giubileo del 200017.

Papa Wojtyla si sofferma dapprima sul significato del tempo, en-tro cui «si svolge la storia della salvezza, che ha il suo culmine nella “pienezza del tempo” dell’Incarnazione e il suo traguardo nel ritorno glorioso del Figlio di Dio alla fine dei tempi»18, per ribadire poi che da tale concezione discende il dovere di santificare il tempo stesso.

Nel paragrafo successivo viene sottolineato come «su tale sfondo diventa comprensibile l’usanza dei Giubilei, che ha inizio nell’Antico Testamento e ritrova la sua continuazione nella storia della Chiesa», come «tempo dedicato in modo particolare a Dio»19.

Il riferimento alla tradizione veterotestamentaria è qui eviden-temente legato non esclusivamente all’aspetto religioso e spirituale dell’istituto giubilare, ma anche - e questo costituisce, per quanto riguarda il nostro discorso, la vera novità introdotta o meglio ‘recu-perata’ da Giovanni Paolo II - alla componente sociale.

Il Pontefice, dopo aver ricordato che «una delle conseguenze più significative dell’anno giubilare era la generale “emancipazione” di tutti gli abitanti bisognosi di liberazione»20 sottolinea che «anche se i precetti dell’anno giubilare restarono in gran parte una prospet-tiva ideale - più una speranza che una realizzazione concreta, di-venendo peraltro una prophetia futuri in quanto preannuncio della vera liberazione che sarebbe stata operata dal Messia venturo - sulla base della normativa giuridica in essi contenuta si venne delinean-do una certa dottrina sociale, che si sviluppò poi più chiaramente a partire dal Nuovo Testamento. L’anno giubilare doveva restituire l’eguaglianza tra tutti i figli d’Israele»21.

17 Giovanni Paolo ii, Tertio millennio adveniente, Città del Vaticano 1995.18 Giovanni Paolo ii, Tertio millennio adveniente, n. 10.19 Giovanni Paolo ii, Tertio millennio adveniente, n. 11.20 Giovanni Paolo ii, Tertio millennio adveniente, n. 12.21 Giovanni Paolo ii, Tertio millennio adveniente, n. 13.

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Ci troviamo qui di fronte ad una chiara ed esplicita dichiarazio-ne di intenti, se si tien conto che al termine di questo dettagliato e preciso ragionamento in cui Giovanni Paolo II attualizza lo scopo tradizionale del giubileo di ripristinare la giustizia sociale, la Let-tera Apostolica afferma che «nella tradizione dell’anno giubilare ha così una delle sue radici la dottrina sociale della Chiesa, che ha avuto sempre un suo posto nell’insegnamento ecclesiale e si è particolarmente sviluppata nell’ultimo secolo, soprattutto a partire dall’Enciclica Rerum novarum».

D’altronde, continua il Pontefice, «i duemila anni dalla nasci-ta di Cristo rappresentano un Giubileo straordinariamente grande non soltanto per i cristiani, ma indirettamente per l’intera umanità, dato il ruolo di primo piano che il cristianesimo ha esercitato in questi due millenni»22 e non deve trattarsi «soltanto di gioia interio-re, ma di un giubilo che si manifesta all’esterno, poiché la venuta di Dio è un evento anche esteriore, visibile, udibile e tangibile»23.

Ma la strada era stata tracciata già da tempo all’interno del Ma-gistero di Giovanni Paolo II, e prevedeva un invito pressante ai po-poli, sul finire del secolo che aveva negato e tentato di annientare e annichilire l’umano, di «Aprire, Spalancare le porte a Cristo»24, nella consapevolezza che la sete di giustizia e di libertà non potesse pre-scindere dalla legge dell’amore, portata nel mondo da Gesù Cristo25.

Egli si riconferma pertanto il centro affettivo e dinamico della predicazione di Giovanni Paolo II, il quale arriva, in suo nome, ne-gli ultimi paragrafi della Tertio Millennio adveniente, a spingersi

22 Giovanni Paolo ii, Tertio millennio adveniente, n. 15.23 Giovanni Paolo ii, Tertio millennio adveniente, n. 16.24 Giovanni Paolo ii, Omelia per l’inizio del pontificato, Domenica 22 ottobre

197825 «L’esperienza del passato e del nostro tempo dimostra che la giustizia da sola

non basta e che, anzi, può condurre alla negazione e all›annientamento di se stessa, se non si consente a quella forza più profonda, che è l›amore, di plasmare la vita umana nelle sue varie dimensioni». Giovanni Paolo ii, Dives in miseri-cordia, (1980), n. 12.

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fino a proposte esplicite e concrete, in virtù dell’«opzione preferen-ziale della Chiesa per i poveri e gli emarginati», quali la richiesta della riduzione, se non proprio del condono, del debito internazio-nale dei paesi più poveri26.

Il Giubileo del 2000 segna così una svolta chiara ed evidente, in linea con il pontificato di Giovanni Paolo II, verso un’attenzione a tutti gli aspetti dell’umano, riportando l’istituto giubilare ad una dimensione fortemente sociale.

Nel grande dibattito sui temi sociali stimolato dai documenti giubilari di quegli anni, un paio di esempi, emblematici del modus operandi di Giovanni Paolo II in quel frangente così significativo per la comunità cristiana e per il mondo intero, ci dimostrano come la sua azione pastorale avesse l’evidente, chiaro e deciso obiettivo di coinvolgere tutto l’umano, soprattutto nelle sue miserie e fragili-tà e nei settori più emarginati nel panorama mondiale.

Innanzitutto la già citata richiesta di condono del debito per i paesi più poveri, che diede vita a una campagna globale per la ridu-zione del debito dei paesi poveri27, e favorì comunque un dibattito

26 «L’impegno per la giustizia e per la pace in un mondo come il nostro, segnato da tanti conflitti e da intollerabili disuguaglianze sociali ed economiche, è un aspetto qualificante della preparazione e della celebrazione del Giubileo […] come un tempo opportuno per pensare, tra l’altro, ad una consistente riduzione, se non proprio al totale condono, del debito internazionale, che pesa sul destino di molte Nazioni». Giovanni Paolo ii, Tertio millennio adveniente, n. 51.

27 Caso emblematico in tal senso fu l’iniziativa Heavily Indebted Poor Countries (HIPC, “nazioni povere pesantemente indebitate”) nata con lo scopo di aiutare i paesi più poveri del mondo portando il loro debito pubblico a un livello so-stenibile, sotto la condizione che i loro governi dimostrassero di raggiungere determinati livelli di efficienza nella lotta alla povertà. Il programma fu iniziato nel 1996, congiuntamente dal Fondo Monetario Internazionale (International Monetary Fund, IMF) e della Banca Mondiale (World Bank). Fu oggetto di re-visione e riforme nel 1999. Fra le iniziative che furono protagoniste nel portare il tema del debito pubblico dei paesi poveri all’attenzione internazionale c’è il movimento per la cancellazione del debito, sostenuto da diverse organizzazioni non governative negli anni immediatamente precedenti al Giubileo del 2000. (http://www.imf.org/external/np/exr/facts/hipc.htm)

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su questi temi a livello internazionale28. Ed ancora il dibattito su amnistia ed indulto nato dalla richiesta esplicita di Giovanni Pao-lo II nel documento per il Giubileo nelle carceri29, e nella storica visita al carcere romano di Regina Coeli (9 luglio 2000)30. Non fu-rono molti gli Stati che adottarono gesti di clemenza per i detenuti in risposta all’appello papale31, e tra essi non vi fu l’Italia, che pure aveva fatto buona accoglienza alla sollecitazione a ridurre il debi-to estero, e Giovanni Paolo II replicò il suo appello il 4 novembre, in occasione del Giubileo dei responsabili della cosa pubblica, ma il dibattito, nato dalla volontà di celebrare il Giubileo in un luogo come il carcere, si prolungò nel tempo ed arriva fino ai giorni nostri.

Questi pochi esempi ci restituiscono l’immagine di un pontefice che, nel celebrare il Grande Giubileo per i duemila anni di Cristianesi-mo, guarda alle sofferenze, ai disagi, alle fatiche ed alle ingiustizie di un mondo che sta per entrare in un nuovo millennio, e mentre si piega a cercare soluzioni ed offrire sollievo alle fasce più emarginate e dere-litte, coglie ogni occasione possibile per indicare in Cristo l’unico vera risposta alle domande più pressanti dell’uomo e della società.

2. Il Giubileo della Misericordia e i suoi risvolti sociali

Da quando papa Francesco ha annunciato a sorpresa e indetto, con la Bolla Misericordiae Vultus dell’11 aprile 2015, il Giubi-leo della misericordia, è apparso evidente che la straordinarietà di quest’ultimo non stava solo nel non prendere spunto da ricorrenze

28 C. Cristiani, «”Nessuno di voi danneggi il fratello”. Giubileo e condono del de-bito estero dei Paesi più poveri», Communio – Il Giubileo 160-161(1998), 64-74.

29 Giovanni Paolo ii, «Messaggio per il Giubileo nelle carceri», Osservatore Romano, 30 giugno-1 luglio 2000.

30 Giovanni Paolo ii, Omelia alla messa nel carcere di ‘Regina Coeli’, 9 luglio 2000.

31 P. Ferrari da Passano, «Il messaggio del Papa in occasione del Giubileo nelle carceri», Civiltà Cattolica, III (2000), 268-274.

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biografiche o da anniversari della vita di Gesù, quanto nella pro-spettiva entro cui il Pontefice lo intendeva collocare.

Fin da subito infatti, dichiarando la motivazione per cui ha pen-sato ad un gesto simile, il Papa ha affermato che «ci sono momenti nei quali in modo ancora più forte siamo chiamati a tenere fisso lo sguardo sulla misericordia per diventare noi stessi segno efficace dell’agire del Padre»32, indicando subito dopo nella testimonianza lo scopo fondamentale del Giubileo33.

La lettura attenta della Bolla di indizione fa emergere chiara-mente quali sono le grandi, fondamentali sfide sociali a cui corag-giosamente il Papa intende rispondere, non tanto offrendo risposte precostituite e definitive34, quanto aprendo prospettive di giudizio e soprattutto di cambiamento personale e comunitario da proporre al popolo cristiano ed al mondo intero.

La Bolla si può dividere, grosso modo, in tre parti, nelle quali Papa Francesco approfondisce innanzitutto il concetto di misericor-dia, successivamente offre alcuni suggerimenti pratici per celebrare il Giubileo, e infine rivolge alcuni appelli, prima di concludere con l’invocazione a Maria, testimone della misericordia di Dio.

La prima parte della bolla si sofferma su un aspetto decisivo, in un’ot-tica cristiana, della Misericordia, che non è affatto «un segno di debo-lezza, ma piuttosto la qualità dell’onnipotenza di Dio»35. In Gesù «tutto parla di misericordia e nulla è privo di compassione», perché «la sua persona non è altro che amore, un amore che si dona gratuitamente»36.

32 Francesco, Misericordiae Vultus, n. 3.33 «È per questo che ho indetto un Giubileo Straordinario della Misericordia

come tempo favorevole per la Chiesa, perché renda più forte ed efficace la testimonianza dei credenti». Francesco, Misericordiae Vultus, n. 3.

34 «Quelle del Papa non sono definizioni compiute. […] Ci sono tanti “miseri-cordia è…”, ma come finestre che si aprono sull’esperienza che se ne fa, nel Vangelo e quindi nella vita quotidiana». D. Perillo, «L’unica arma», Tracce 11(2015), 13.

35 Francesco, Misericordiae Vultus, n. 6.36 Francesco, Misericordiae Vultus, n. 8.

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La misericordia, spiega il Papa, «non è solo l’agire del Padre, ma diventa il criterio per capire chi sono i suoi veri figli». In prati-ca, tutti «siamo chiamati a vivere di misericordia perché a noi per primi è stata usata misericordia»: «il perdono delle offese», dunque, «è un imperativo da cui i cristiani non possono prescindere». Tante volte sembra difficile perdonare, sottolinea il Pontefice, eppure «il perdono è lo strumento posto nelle fragili mani dell’uomo per rag-giungere la serenità del cuore», «per vivere felici»37.

Qui il Pontefice individua il vero, grande contributo che noi cristiani possiamo dare alla società ed al mondo: «forse per tanto tempo abbiamo dimenticato di indicare e di vivere la via della mi-sericordia», cedendo alla tentazione di «pretendere sempre e solo giustizia», mentre nella cultura contemporanea «l’esperienza del perdono si fa sempre più diradata»; di qui, l’esortazione alla Chie-sa affinché si faccia «carico dell’annuncio gioioso del perdono», «forza che risuscita a vita nuova ed infonde coraggio per guardare al futuro con speranza»38.

«Misericordiosi come il Padre», motto del Giubileo tratto dal Van-gelo di Luca (Lc, 6,36), è «un programma di vita tanto impegnativo, quanto ricco di gioia e di pace», sottolinea il Pontefice, che richiede la capacità di «porsi in ascolto della Parola di Dio», così da «contemplare la sua misericordia ed assumerla come proprio stile di vita»39.

Anche nella seconda parte, che offre indicazioni pratiche per vi-vere il giubileo, emerge una forte rilevanza della dimensione socia-le di esso. Oltre alla pratica del pellegrinaggio infatti il Papa indiriz-za i cristiani ad aprire il cuore alle «periferie esistenziali», portando consolazione, misericordia, solidarietà e attenzione a quanti vivono «situazioni di precarietà e sofferenza nel mondo di oggi», «ai tanti fratelli e sorelle privati della dignità»40.

37 Francesco, Misericordiae Vultus, n. 9.38 Francesco, Misericordiae Vultus, n. 10.39 Francesco, Misericordiae Vultus, n. 13.40 Francesco, Misericordiae Vultus, n. 15.

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Un altro importante richiamo riguarda il compiere con gioia le opere di misericordia corporale e spirituale, per «risvegliare le no-stre coscienze assopite davanti al dramma della povertà»41. D’al-tronde, sottolinea il Papa, la missione di Gesù è proprio questa: «portare una parola e un gesto di consolazione ai poveri, annunciare la liberazione a quanti sono prigionieri delle nuove schiavitù del-la società moderna, restituire la vista a chi non riesce più a vedere perché curvo su sé stesso, e restituire dignità a quanti ne sono stati privati»42.

La sottolineatura di Papa Francesco in tal senso è veramen-te importante e socialmente decisiva, e illumina di un giudizio nuo-vo, assolutamente controcorrente, il modo di concepire sé stessi, la comunità in cui si vive ed il mondo intero e proprio per questo si pone coraggiosamente come una sollecitazione, dentro e fuori la Chiesa.

La prassi penitenziale, molto spesso vissuta come mortificazio-ne e impegno ascetico, diventa invece – utilizzando le stesse parole del pontefice - stimolo per una «fraternità mistica»43, in cui l’alterità non è più distanza ma occasione di scoperta continua di sé e di Dio, come ha ben sottolineato in una recente intervista il teologo Andrea Grillo, commentando questa indicazione di Papa Francesco: «Il dono fondamentale offerto da Dio agli uomini e alle donne si ac-cende nel momento in cui ogni singolo scopre nell’altro il principio della propria identità. Dio e il prossimo sono la radice dell’io»44.

Nella terza parte della Bolla infine Papa Francesco rivolge una serie di appelli contro la criminalità e la corruzione, esortando a non cadere «nella terribile trappola di pensare che la vita dipende dal

41 Francesco, Misericordiae Vultus, n. 15-16.42 Francesco, Misericordiae Vultus, n. 16.43 «il modo di relazionarci con gli altri che realmente ci risana invece di farci

ammalare, è una fraternità mistica, che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano». Francesco, Evangelii Gaudium, n. 92.

44 P. rodari (ed.), «I 14 segni della Grazia », Tracce 1(2016), 75.

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denaro e che di fronte ad esso tutto il resto diventa privo di valore e di dignità. È solo un’illusione», ed ancora che «la corruzione è un accanimento nel peccato, che intende sostituire Dio con l’illusione del denaro come forma di potenza. È un’opera delle tenebre, soste-nuta dal sospetto e dall’intrigo»45. Sono parole dure che al tempo stesso aprono un grande varco di speranza e disponibilità, perché «la misericordia sarà sempre più grande di ogni peccato, e nessuno può porre un limite all’amore di Dio che perdona»46.

Un altro punto cruciale è il rapporto con ebraismo ed islam, le altre due grandi religioni monoteistiche che considerano la mise-ricordia «uno degli attributi più qualificanti di Dio»; a partire da questa condivisa attenzione sarà possibile incontrarsi, conoscersi e comprendersi, per eliminare ogni forma di chiusura, disprezzo, violenza e discriminazione47.

La prospettiva è davvero grandiosa e alla luce dei fatti che han-no sconvolto il mondo nei mesi successivi alla pubblicazione del-la Bolla, le parole del Papa risaltano come un giudizio profetico e proprio per questo ancora più urgente e decisivo.

Il terrorismo, la paura che, dopo i fatti di Parigi e ultimamente di Bruxelles, assedia i cuori e le città europee, l’inevitabile sgomento di fronte all’atroce spirale di odio e violenza che minaccia la nostra civiltà, troppo spesso sembrano indicare, come unica strada possi-bile, un giustizialismo integrale e intransigente, mentre - ci ricorda il Papa - «La giustizia da sola non basta, e l’esperienza insegna che appellarsi solo ad essa rischia di distruggerla. Per questo Dio va ol-tre la giustizia con la misericordia e il perdono»48.

Come può cambiare una società come la nostra, assediata da una crisi economica su scala globale, aggredita e minacciata da rischi e violenze di ogni tipo, umiliata nei più poveri e più debo-

45 Francesco, Misericordiae Vultus, n. 19.46 Francesco, Misericordiae Vultus, n. 3.47 Francesco, Misericordiae Vultus, n. 23.48 Francesco, Misericordiae Vultus, n. 21.

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li, annichilita nella coscienza e nella consapevolezza del proprio compito e del proprio destino? Da dove ripartire? A quale ideale o principio aggrapparsi per non arrendersi alla deriva della violenza, della sopraffazione, del terrore e dell’impoverimento progressivo e apparentemente inarrestabile tanto delle coscienze quanto dei PIL dei vari Stati?

Papa Francesco sembra proprio voler rispondere a queste inelu-dibili, capitali domande che attanagliano la nostra società e a cui, da più parti, si cerca di offrire risposte sempre troppo parziali e riduttive. Ma non lo fa con una nuova sociologia, né con formule socio-economiche raffinate o ricette preconfezionate. Lo fa, sem-plicemente, ma al tempo stesso in maniera forte e determinata, ri-chiamando ognuno ad una grande, eccezionale occasione persona-le: «Questo è il momento favorevole per cambiare vita! Questo è il tempo di lasciarsi toccare il cuore»49.

Il mondo cambia intorno a noi, le società diventano più a misura delle esigenze umane, i popoli riscoprono la propria identità ed il proprio volto comune solo a partire dal cambiamento del singolo, da quell’incontro misterioso e potentemente efficace tra la propria libertà e la Grazia misericordiosa di Dio.

È questo il contributo che i cristiani, ad ogni latitudine ed in ogni situazione, nelle parrocchie e nelle chiese della nostra Europa come nelle terre in cui ogni giorno centinaia di battezzati affrontano lotte e persecuzioni, fino al martirio, possono e devono offrire al mondo intero, attraverso la testimonianza.

Papa Francesco in questi mesi successivi all’apertura dell’An-no Santo è ritornato più volte, ed in diversi modi, su questo aspetto fondamentale e sulle sue valenze sociali, economiche, politiche, culturali.

Il mondo lo guarda, incuriosito e stupito, a volte ne esalta espressioni ed aspetti che ritiene ‘curiosi’ o fuori dagli schemi, co-struisce attorno alla sua figura ed alle sue parole un’infinita serie

49 Francesco, Misericordiae Vultus, n. 19.

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di commenti e riflessioni più o meno pertinenti, ma non può fare a meno di riconoscere il valore eccezionale del suo operato e del suo appassionato appello alle coscienze degli uomini.

Eppure questa sua pervicace, ostinata ed insieme accorata vo-lontà di indicare nella Misericordia la chiave di volta per compren-dere sé stessi, il rapporto con gli altri ed il compito delle società e della politica, delle organizzazioni e degli stati, risulta davvero rivoluzionaria rispetto al comune sentire, caratterizzato, come ha acutamente osservato Pierangelo Sequeri, da un «moderno fossato tra autorealizzazione e dedizione»50.

Quali sono allora i campi del sociale in cui il giudizio e l’azione del Giubileo indetto da Papa Francesco trovano maggior urgenza e pertinenza?

Abbiamo già accennato alla drammatica crisi dopo gli atten-tati che hanno recentemente ferito il mondo, seminando terrore e ribrezzo ma anche rabbia e smarrimento tanto nelle coscienze personali quanto in quelle collettive. In questo caos, nel baratro di incertezza e paura che le bombe e gli attentati aprono a dismisura facendoci sentire sempre più fragili e impotenti, la Misericordia appare ancora di più una parola «impossibile»51, e proprio per que-sto l’insistenza di Papa Francesco è determinante, come ha detto il papa emerito Benedetto XVI nell’intervista con il teologo gesuita Jacques Servais: «la misericordia è l’unica vera e ultima reazione

50 «Da un lato la misericordia è sotto accusa di essere uno svincolamento dal rigore della giustizia sociale, che si nutre di diritti e non di commiserazione. Dall’altro l’esaltazione della misericordia è imputata di essere una forma di mortificazione (dissimulata) dell’amor proprio: in se stessi e nell’altro, in chi la fa e in chi la riceve» (P. sequeri, «Misericordia, lo scambio perfetto (ovvero dell’umanità perduta e ritrovata)», in P. sequeri – d. demetrio, Beati i miseri-cordiosi perché troveranno misericordia, Torino, 2012, 2).

51 «“Confirmata est super nos misericordia eius”: il disegno del Padre è la mise-ricordia, la parola impossibile. Dovrebbe essere la prima a venir cancellata dal vocabolario, perché la letizia e la gioia - le altre parole impossibili - dipendono da essa: non dipendono dallo stato d’animo, ma da essa, dalla misericordia» (l. Giussani, Il tempo e il tempio, Milano 1995, 82-83).

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efficace contro la potenza del male. Solo là dove c’è misericordia finisce la crudeltà, finiscono il male e la violenza»52.

Un’altra grande sfida sociale che il Giubileo della Misericor-dia sta in questi mesi affrontando è la drammatica situazione dei migranti, che hanno mandato in tilt le frontiere e gli equilibri di-plomatici europei. I Media ci presentano ogni giorno le immagini drammatiche di interi popoli in fuga dalla fame, dalle guerre e dalle violenze più inaudite, di corpi inermi e senza vita di bimbi restituiti dal mare sulle coste, di barconi che quotidianamente sfidano il mare in viaggi di disperazione e spesso di morte.

Ma più si fa drammatica la situazione, più i governi ed ancor più le coscienze sembrano imbarazzatamente incapaci di risposte dignitose e di una vera compassione.

Nel Messaggio per la Giornata del migrante e del rifugiato, che si è poi celebrata il 17 gennaio 2016, Papa Francesco ha ribadito con forza che «l’indifferenza e il silenzio aprono la strada alla com-plicità quando assistiamo come spettatori alle morti per soffoca-mento, stenti, violenze e naufragi», e che «la risposta del Vangelo è la misericordia», perché «ognuno di noi è responsabile del suo vici-no: siamo custodi dei nostri fratelli e sorelle, ovunque essi vivano». Prosegue indicando che «è importante guardare ai migranti non sol-tanto in base alla loro condizione di regolarità o di irregolarità, ma soprattutto come persone che, tutelate nella loro dignità, possono contribuire al benessere e al progresso di tutti» e che «accogliere l’altro è accogliere Dio in persona».53

Anche qui la misericordia è vista come parola decisiva e fon-damentale, l’unica capace di contrastare e provare a correggere la

52 «La fede non è un’idea ma la vita. Intervista al Papa emerito Benedetto XVI», osservatoreromano.va, 16 marzo 2016, ora in d. libanori (ed.), Per mezzo del-la fede. Dottrina della giustificazione ed esperienza di Dio nella predicazione della Chiesa e negli Esercizi Spirituali, Cinisello Balsamo 2016.

53 Francesco, Messaggio per la giornata mondiale del migrante e del rifugia-to 2016, (https://w2.vatican.va/content/francesco/it/messages/migration/docu-ments/papa-francesco_20150912_world-migrants-day-2016.html)

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visione miope ed egoistica che da tante parti, finanche da partiti politici e governi europei, vorrebbe ammutolirsi in una disarmata incapacità a commuoversi, cioè, nel letterale significato di questa antica e spesso dimenticata parola, a “mettersi in movimento verso” qualcuno, nell’ottica di un autentico «umanesimo»54.

Tanti altri sono i terreni caldi nell’ambito sociale che Papa Fran-cesco ha ripreso anche da Giovanni Paolo II, non ultimo il tema della riduzione del debito, sul quale molti economisti stanno dibat-tendo stimolati dalle indicazioni e le richieste del Papa.

La crisi economica che dura ormai da otto anni ha portato a enormi deficit nei bilanci degli Stati, alla ricomparsa della povertà nei paesi sviluppati e alla crescita della massa debitoria a livello mondiale, e oggi il problema permane per i paesi poveri, ma si è aggravato ed esteso, anche attraverso la crisi finanziaria globale, ai paesi ricchi e a quelli emergenti.

In questo contesto si inserisce la recente proposta di un Giubileo del debito, soprattutto in ambito europeo55 che provi a suggerire so-luzioni tecnicamente sostenibili, e c’è chi vede in questa prospettiva uno stretto collegamento tra la questione economica e quella ecolo-gica in nome di una centralità dell’uomo ribadita da papa Francesco nell’enciclica Laudato sii56.

54 «Possiamo parlare di umanesimo solamente a partire dalla centralità di Gesù, scoprendo in Lui i tratti del volto autentico dell’uomo». Francesco, Incontro con i rappresentanti del V Convegno nazionale della Chiesa italiana. Cattedra-le di Santa Maria del Fiore. Firenze, 10 novembre 2015.

55 l. becchetti, «Un giubileo del debito», Avvenire, 20 luglio 2015 (http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/un-giubileo-del-debito.aspx).

56 «L’elemento di saldatura tra la Gaudium et Spes – della quale il Giubileo straordinario celebra il cinquantesimo anno – e la Laudato Sii sta proprio qui: nel riconoscimento dell’inscindibilità della questione economica e di quella ecologica, che devono trovare una reciproca armonia in quanto parti di un tutto dove deve permanere la centralità dell’uomo». G. carrosio, «Il Giubileo della misericordia nella crisi dei debiti sovrani», http://www.c3dem.it/20474#_ftn32

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Nella evidente preferenza ed attenzione dell’attuale pontefice verso gli elementi più umili e poveri del nostro pianeta57, traspare sempre la sua intenzione a spronare i cristiani verso la costruzione di «una Chiesa libera e aperta alle sfide del presente, mai in difen-siva per timore di perdere qualcosa»58.

3. Il primo Giubileo social

C’è un altro aspetto che non si può tralasciare guardando ai ri-svolti sociali del Giubileo della misericordia: poiché esso è il pri-mo a svolgersi in un mondo globalizzato è anche, di fatto, il primo Giubileo social della storia.

Era il 12 dicembre del 2012 quando Benedetto XVI apriva il suo account Twitter @Pontifex, inaugurando la presenza di un pon-tefice in un social network. A quel gesto inedito, segno di grande attenzione per le Reti Sociali come luoghi di condivisione dell’e-sperienza di vita e di fede, ne sono seguiti molti altri, ed oggi, con Papa Francesco, l’account pontificio in 9 lingue diverse, compresi l’arabo ed il latino, raggiunge potenzialmente tutti gli abitanti della Rete ed ha superato i 25 milioni di followers.

A certificare che questo è il primo Giubileo «social» della storia è stato lo stesso Papa Francesco, che già pochi minuti dopo la conclusione della cerimonia di apertura della Porta Santa in Vaticano, ha rilanciato sui suoi account Twitter il seguente messaggio augurale: «Che il Giubileo della Misericordia porti a tutti la bontà e la tenerezza di Dio»59.

57 a. zanotelli, «Giubileo 2015. Un sabbatico per i poveri e la terra», http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/francesco/misericor-dia_1443950502.htm)

58 Francesco, Incontro con i rappresentanti del V Convegno nazionale della Chie-sa italiana.

59 a. sala, «È il primo Giubileo “social”: e anche il Papa twitta in tempo reale», Corrie-re della Sera, 8 dicembre 2015 (http://roma.corriere.it/giubileo-2015/notizie/giubileo-social-papa-quirinale-renzi-36e3d194-9d9b-11e5-9331-45d14c090e9b.shtml)

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L’attenzione ai Media da parte della Chiesa cattolica è da sem-pre stata d’altronde molto forte, in ragione del fatto che «l’evento cristiano in quanto tale implica sempre una relazione – a prescin-dere dal modo in cui essa si realizza – tra Dio e gli esseri umani, tra i membri di una comunità cristiana e tra le comunità cristiane e il resto dell’umanità», e poiché esso «costituisce il luogo dove si intrecciano delle comunicazioni» è possibile facilmente evidenziare come «il cristianesimo è comunicazione»60.

La rivelazione in Cristo è comunicazione dell’amore di Dio per gli uomini, che rompe le catene dell’incomunicabilità umana e la orienta verso un futuro di piena comunione61, e questo ha portato la Chiesa da sempre a guardare con attenzione ed interesse alle di-namiche legate ai mezzi di comunicazione, utilizzando ogni canale a sua disposizione per poter tramandare l’annuncio cristiano, dalla tradizione orale e scritta, passando per le varie espressioni d’arte fino ad arrivare ai moderni mass media.

Il Concilio Vaticano II segna in tal senso una svolta epocale, intro-ducendo l’attenzione ai «mezzi di comunicazione sociale»62, ai quali riconosce soprattutto il potere nell’influenzare l’intera società uma-na, istituendo una Commissione Pontificia specifica e, dal 1967, per volere di Paolo VI, una giornata mondiale con cadenza annuale nella quale invitare i cristiani ed il mondo a riflettere su queste tematiche.

La Chiesa scopre così, nei mezzi di comunicazione di massa, uno strumento missionario ed inizia, passando tra diverse ed alterne fasi, ad elaborare una vera e propria teologia della comunicazione63.

60 J. bianchi, h. bourGeois, «Teologia e comunicazione» in F. lever – P. c. rivoltella – a. zanacchi (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, Roma 2002, 1159-1162 (ora anche online in http://www.lacomunica-zione.it (09/04/2016)

61 CEI, Comunicazione e missione, Direttorio sulle comunicazioni sociali nella missione della Chiesa, Città del Vaticano 2002, n. 32.

62 concilio vaticano ii, Decreto «Inter mirifica», 1963.63 J. bianchi, h. bourGeois, «Teologia e comunicazione»; c. meneGhetti, Elementi

di Teologia della Comunicazione. Un percorso tra etica e religione, Limena 2015.

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L’avvento di Internet e più in generale dei Nuovi Media, basa-ti su collegamenti ed interconnessioni tramite la comunicazione digitale, ha trovato la Chiesa pronta a rispondere alle nuove sfide insite in un cambiamento così epocale, dato dal fatto, come ben sottolinea P. Antonio Spadaro, che da anni dedica studi approfon-diti alla cyberteologia, che «Internet non è un semplice strumento di comunicazione che si può adoperare o meno, ma un ambiente culturale che determina uno stile di pensiero e crea nuovi territori e nuove forme di educazione, contribuendo a definire anche un modo nuovo di stimolare le intelligenze e di costruire la conoscenza e le relazioni»64.

Benedetto XVI, il primo pontefice a raccogliere tale sfida, sot-tolineava già nel 2009 come «le nuove tecnologie digitali stanno determinando cambiamenti fondamentali nei modelli di comunica-zione e nei rapporti umani», e come esse siano «un vero dono per l’umanità » in quanto «rispondono al desiderio fondamentale delle persone di entrare in rapporto le une con le altre»65.

Qualche anno dopo, nel 2013, è sempre Benedetto XVI a sof-fermarsi sullo sviluppo delle reti sociali digitali, una realtà sempre più importante che riguarda il modo in cui le persone oggi comu-nicano tra di loro, soffermandosi sulla considerazione che «l’am-biente digitale non è un mondo parallelo o puramente virtuale, ma è parte della realtà quotidiana di molte persone, specialmente dei più giovani»66.

Questa importante sottolineatura di papa Ratzinger si inserisce, a livello globale, in un grande dibattito sui rischi e le opportunità della Rete e dei Social Media in particolare, legato soprattutto alla

64 a. sPadaro, Quando la fede si fa social, Bologna 2015, 22.65 benedetto Xvi, Messaggio per la XLIII Giornata Mondiale delle comunica-

zioni sociali Nuove tecnologie, nuove relazioni. Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia, 24 gennaio 2009.

66 benedetto Xvi, Messaggio per la XLVII Giornata Mondiale delle Comunica-zioni sociali Reti Sociali: porte di verità e di fede; nuovi spazi di evangelizza-zione, 24 gennaio 2013.

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natura stessa di questi ultimi. Come ci ricorda infatti l’attenta ed autorevole studiosa americana danah boyd «in quanto fenomeno culturale i social media hanno ridisegnato l’ecosistema dell’infor-mazione e della comunicazione»67, proprio perché Internet, nata come rete di calcolo, si è trasformata in «un ambiente di comuni-cazione all’interno del quale si sono sviluppati differenti sistemi di interazione»68.

La stessa boyd parla, in riferimento ai social media, di «pubbli-ci connessi», con una doppia natura: essi sono lo spazio costruito attraverso la Rete e al tempo stesso l’insieme di persone che entro questo spazio vive ed opera69. Si tratta senza dubbio, a livello di socialità, di una vera e propria rivoluzione, che viene osservata e descritta in maniera varia e talvolta superficiale.

Come ci ricorda la sociologa Gianna Cappello, «l’attenzione crescente verso le pratiche di creatività diffusa e partecipata della Rete oscilla spesso tra pregiudizi e luoghi comuni positivi da un lato e negativi dall’altro»70, riproponendo la ben nota dicotomia tra apocalittici e integrati71 e muovendosi immancabilmente tra tecno-entusiasmo e ipercriticismo72.

A questa dicotomica e facile oscillazione non si sottrae il mon-do cattolico. Una parte di esso infatti spesso abbraccia entusiasti-camente gli strumenti e gli spazi di creatività e condivisione offerti dal Web 2.0 in maniera frettolosa ed acritica, ma al tempo stesso

67 d. boyd, It’s complicated. La vita sociale degli adolescenti sul web, (trad. ita-liana) Roma 2014, 34.

68 a. vellar, Le industrie culturali e i pubblici partecipativi: dalle comunità di fan ai social media, Roma 2015, 29.

69 d. boyd,, Taken Out of Context. American Teen Sociality in Networked Publics, Tesi di dottorato, University of California, Berkeley 2008 [online] disponibile in: http://www.danah.org/papers/TakenOutOfContext.pdf .

70 G. caPPello, Partecipazione e creatività in rete, in G. Greco, Pubbliche intimi-tà. L’affettivo quotidiano nei siti di Social Network, Milano, 2014, 120.

71 u. eco, Apocalittici e integrati. Comunicazioni di massa e teorie della cultura di massa, Milano 1964.

72 F. colombo, Social Media, Milano-Torino 2013, 2.

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molti cattolici partecipano al coro dei nuovi «luddisti» che vedo-no nel progresso tecnologico una pericolosa e diabolica deriva che mina i fondamenti della morale e della comunionalità cristiana73.

Il dibattito è molto intenso, ed inevitabilmente si svolge proprio su quella grande piazza che sono i social74, i quali riconfermano così la loro natura di ambiente e di spazio che «non è inautentico, alienato, falso o apparente, ma è un’estensione del nostro spazio vitale quotidiano»75.

Rifiutare la falsa distinzione tra reale e virtuale, apre nuove prospettive e nuove, esaltanti sfide e fa vedere la Rete, ed i social network in particolare, come luogo di incontri di esperienza reale in cui comunicare se stessi, costruire relazioni e trovare amicizia, cercare risposte alle proprie domande.

Il pregiudizio dell’approccio moralistico e miope che contraddi-stingue le riflessioni spesso troppo affrettate e superficiali che ven-gono fatte sulla Rete, anche da tanta parte del mondo cattolico, ed il dualismo così tanto di moda nei dibattiti odierni, rischiano infatti di farci perdere di vista che le nuove tecnologie, se usate saggiamente, «possono contribuire a soddisfare il desiderio di senso, di verità e di unità che rimane l’aspirazione più profonda dell’essere umano»76.

73 J. linch, Il profumo dei limoni. Tecnologia e rapporti umani nell’era di Face-book, Torino 2011, 16-17.

74 Un caso emblematico è stato, un paio di anni fa, il botta e risposta tra Cristian Mar-tini Grimaldi, editorialista dell’Osservatore Romano, e il direttore di Civiltà Cat-tolica, P. A. Spadaro. Il primo, polemizzando con alcune affermazioni del gesuita durante una conferenza, sottolineava gli effetti catastrofici della sindrome da iso-lamento dal resto del mondo (hikikomori) evidenziata soprattutto in Giappone (c. martini Grimaldi, «Tra realtà e pregiudizio», Osservatore Romano, 30/11/2012, disponibile online in :http://www.cristianocattolico.it/rassegna-stampa-cattolica/etica/tra-realta-e-pregiudizio.html); la replica di Antonio Spadaro comparve qualche giorno dopo sul suo sito Cyberteologia.it (a. sPadaro,« Se l’Osservatore Romano dice che finiremo tutti hikikomori…», Cyberteologia.it, 2/12/2012 online in http://www.cyberteologia.it/2012/12/finiremo-davvero-tutti-hikikomori/).

75 a. sPadaro, Quando la fede si fa social, 22.76 benedetto Xvi, Messaggio per la XLV Giornata Mondiale delle Comunicazioni

sociali Verità , annuncio e autenticità di vita nell’era digitale, 24 gennaio 2011.

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«La sfida – ricorda P. Spadaro - non deve essere come «usare» bene la Rete, ma come «vivere» bene al tempo della Rete»77.

Qual è il contributo che in tal senso la Chiesa, in particolare du-rante questo Giubileo della Misericordia, può offrire al popolo cri-stiano ed al mondo intero?

Nel Messaggio per la 50ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, papa Bergoglio afferma che «Comunicare significa condivi-dere, e la condivisione richiede l’ascolto, l’accoglienza»78, indicando chiaramente quale sia l’atteggiamento e la posizione della Chiesa nei confronti dei vari Media, ed in particolare di quelli social.

Da ciò derivano alcuni compiti specifici del cattolico al tempo della connessione social79, ed appare evidente che, come acutamen-te osserva Joan Linch, «l’unica strada aperta è quella dell’educa-zione dell’intelligenza e della libertà»80, senza farsi bloccare dalla paura ma anche imparando a valutare i rischi e le criticità di questo nuovo contesto entro cui la fede è chiamata ad esprimersi.

Viviamo in un mondo sempre connesso e sempre in comunica-zione, bombardati dai messaggi subiamo la cosiddetta information overload; il problema oggi non è reperire il messaggio di senso ma decodificarlo, cioè riconoscerlo per me importante e signifi-cativo, ed in questo i cristiani devono stare in guardia contro quel relativismo che appiattendo e semplificando grossolanamente, ci impedisce di accorgersi quando e come una posizione, un’idea, un principio non corrispondono a ciò che si pensa e vive. Assottigliare le differenze e disconoscere l’alterità limita, alla resa dei conti, la propria libertà ed il proprio giudizio.

77 a. sPadaro, Quando la fede si fa social, 30.78 Francesco, Messaggio per la L Giornata Mondiale delle Comunicazioni sociali

Comunicazione e misericordia: un incontro fecondo, 24 gennaio 2016.79 P. Spadaro ha più volte, in suoi interventi nella rete e in interviste varie, rias-

sunto le sei sfide importanti che la comunicazione digitale pone alla pastorale della Chiesa, ora sintetizzati nel suo ultimo libro. Cfr. a. sPadaro, Quando la fede si fa social, 42.

80 J. linch, Il profumo dei limoni, 111.

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Esiste inoltre il rischio che, in una società «liquida»81 come la nostra, i rapporti siano contrassegnati più dall’idea di scambio che di dono, in un privilegiare la condivisione e la cooperazione alla «logica del dono come “grazia”», che invece «insiste sulla relazio-ne personale, dalla quale non può prescindere»82.

Chi è il mio prossimo, in questo nuovo ambiente? Cosa significa essere presenti gli uni agli altri nel tempo dei social network? Come la Misericordia, che papa Bergoglio offre a tutti come modello di vita e di azione, può rendersi presente in esso?

Ancora una volta la risposta viene dalla voce di papa Francesco, il quale coraggiosamente ed acutamente afferma che «non basta pas-sare lungo le strade “digitali”, cioè semplicemente essere connessi: occorre che la connessione sia accompagnata dall’incontro vero»83.

L’autentica, fondamentale sfida della fede, oggi come nel pas-sato, nella Palestina di 2000 anni fa come nell’era di Internet e dei social media, è riconoscere il Cristianesimo come un avvenimento che si traduce in un incontro, postula una presenza, si realizza nella «contemporaneità»84.

Non si tratta quindi di conquistare la Rete a Cristo, o di trasfor-mare la Chiesa in una «emittenza» di contenuti religiosi da con-trapporre alla dissolutezza dei tempi presenti85, quasi ad arginare un

81 Il riferimento è qui chiaramente all’azzeccata definizione di Bauman. Cfr. z. bauman, Modernità liquida, Roma - Bari 2003.

82 a. sPadaro, Quando la fede si fa social, 40.83 Francesco, Messaggio per la XLVIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni

sociali Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro, 24 gennaio 2014.

84 l. Giussani, L’avvenimento cristiano, Milano 1993, 7-22.85 Appaiono in tal senso particolarmente attuali e vive le parole del grande dram-

maturgo Charles Peguy, che acutamente osservava che «c’era la cattiveria dei tempi anche sotto i Romani. Ma Gesù venne. Egli non perse i suoi anni a ge-mere ed interpellare la cattiveria dei tempi. Egli taglia corto. In un modo molto semplice. Facendo il cristianesimo. Egli non si mise a incriminare, ad accusare qualcuno. Egli salvò. Non incriminò il mondo. Egli salvò il mondo». c. PeGuy, Véronique : dialogo della storia e dell’anima carnale, Casale Monferrato 2002.

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processo di cui sentirsi vittime, ma di «cristificare»86 ogni ambiente in cui si vive, compresa la Rete, per vivere pienamente l’esperienza della testimonianza.

«La sfida, oggi, in questo Giubileo in particolare, non è quel-lo di usare la Rete per diffondere un messaggio come se fosse in qualche modo uno strumento. La Rete non è uno strumento: è un ambiente, un ambiente di vita, in cui condividere la propria espe-rienza! Quindi quello che mi sembra importante in questo Giubileo, per esempio, è condividere esperienze di misericordia, condividere la parola chiave nella Rete. Appunto, la fede si fa social, si fa so-ciale, perché è in grado di dare una testimonianza, di produrre una testimonianza, e oggi una testimonianza si condivide e si condivide anche sui social»87.

86 J. linch, Il profumo dei limoni, 130.87 Intervista a P. A. Spadaro su Radio Vaticana dell’11/12/2015. Cfr. radio

vaticana, «P. Spadaro: vivere il Giubileo anche sui Social Network», http://it.radiovaticana.va/news/2015/12/11/p_spadaro_vivere_il_giubileo_anche_sui_social_network/1193595)