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Prevenzione, rimedi e Brebus - vers. 1.4 | Staff Contusu.it CONTUSU.IT MEXINA DE SOGU - IL MALOCCHIO IN SARDEGNA

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Prevenzione, rimedi e Brebus - vers. 1.4 | Staff Contusu.it

CONTUSU.IT MEXINA DE S’OGU - IL MALOCCHIO IN SARDEGNA

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IL MALOCCHIO

Nella dimensione magica sarda rientrano i malefici, atti ad arrecare danno ad

animali o persone, influenzando, in certi casi, anche la sfera affettiva o economica di

queste ultime.

Oltre alle fatture, chiamate in sardo “Mazzinas”, troviamo il malocchio, che in

Sardegna assume diverse denominazioni secondo la località, come ocru malu nel

nuorese, ogru malu nel logudorese e ogu malu nel Campidano. Esistono poi tutta

una serie di espressioni dialettali utilizzate per designare l’avvenuto maleficio:

l’occhio che aggredisce è un occhio cattivo (ogu malu) oppure un occhio che si posa

(si ponidi) recando danno, oppure che prende d’occhio (pigai de ogu).

L’effetto deleterio viene causato dallo sguardo, mezzo attraverso il quale si

esternano le forze interiori.

Di norma il malocchio può essere lanciato da chiunque (ghettai ogu), donna o

uomo, ma non prima de intrai in sanguni , cioè tra adolescenza e prima giovinezza.

In passato si ritenevano particolarmente temibili i preti, gli storpi, i guerci e gli orbi

da un occhio.

Un’altra categoria è costituita da is Oghiadoris. Si tratta di persone di cui si

conosce per certo il loro potere di colpire con il malocchio con più frequenza ed

efficacia di qualsiasi altra persona normale, e tale potere si trasmette di genitore in

figlio per generazioni.

Nonostante venga riconosciuto dal gruppo il loro influsso negativo, non

subiscono emarginazione in quanto il fenomeno del “pigai de ogu” è ritenuto un

fatto dei loro occhi, di cui essi in genere non sono responsabili.

Si tratta dunque di un fatto di sangue, congenito, non scelto dall’individuo, per

tanto egli è, in linea di massima, assolto dagli effetti negativi di quel potere.

Il motore che attiva il malocchio è il desiderio, l’ammirazione o l’invidia per le altrui

cose.

Sentire il desiderio di qualcosa che si vede e che appartiene ad altri comporta

automaticamente il rischio che questo qualcosa venga colpito nelle sue peculiarità o

venga meno del tutto.

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E questo rischio sussiste sia quando il desiderio viene esternato, sia quando esso

rimane un fatto intimo dell’individuo, o addirittura un fatto di cui il responsabile non

ha piena consapevolezza.

Uguale rischio comportano anche le più comuni espressioni di ammirazione verso

persone, animali o cose, soprattutto quando questa ammirazione è determinata da

una particolare bellezza dell’entità in questione: un bel bambino o un bel cavallo

possono anche morire, una bella pianta può seccarsi, se qualcuno esprime, o anche

solo sente ammirazione nei loro confronti e non si adoperano le terapie del caso.

Situazioni come una relazione di amicizia, un matrimonio, un fidanzamento o un

lavoro possono venir compromessi quando suscitano l’invidia di qualcuno.

PREVENZIONE

Il sistema di difesa preventivo era costituito da svariati oggetti, come gli amuleti,

e da gesti destinati ad annullare il possibile influsso negativo.

Tra i più diffusi ricordiamo Sa sabegia (conosciuta come cocco in

Barbagia,Pinnadellu in Gallura e Logudoro, Pinnadeddu nell’Oristanese), una pietra

nera tonda ( in giavazzo, onice, ossidiana), incastonata in argento. Per funzionare da

anti-malocchio l’amuleto doveva essere abbrebau, cioè su di esso dovevano essere

stati recitati is brebus le “parole”, formule magico-religiose.

In alcune zone della Sardegna la pietra nera veniva sostituita dal corallo,

cambiando il nome in corradeddu ‘e s’ogu leau (corallino del malocchio).

Sa sabegia intendeva simboleggiare il globo oculare, nella fattispecie l’occhio

buono che si contrapponeva a quello cattivo, attirandone lo sguardo. La sua

funzione consisteva nell’assorbire gli influssi malefici arrivando a spaccarsi,

assolvendo così il suo compito e salvando il portatore da morte certa.

Per proteggere i neonati veniva appeso alle culle, mentre ai bambini più

grandicelli la si faceva generalmente portare al polso, legata con un fiocchetto

verde. Veniva loro tradizionalmente regalata dalla nonna o dalla madrina di

battesimo, mentre le donne la portavano appesa al collo o al corsetto.

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Sempre simboleggiante l’occhio troviamo “s’ogu de Santa Luxia”, l’opercolo di un

mollusco (astrea rugosa) cui si attribuiva il potere, oltre che di preservare dalla

iettatura, di “medicina preventiva” per gli occhi.

Un altro amuleto era su scrappollariu (scapolare), di varia forma, trattati con is

brebus da “is praticas”. Queste non dovevano prendere dei soldi per il rituale di

benedizione e lo consegnavano al richiedente dicendo “ti srebada po saludi” (ti

serva per salute), a cui il destinatario rispondeva “Deus ti du paghidi” (Dio ti ripaghi).

Oltre a sa sabeggia, poteva essere utilizzato un pendaglio conosciuto come

“corru abbrebau“, un pezzo di corno di cervo trattato con particolari brebus.

I piccoli, essendo i più esposti al malocchio, potevano essere protetti facendogli

indossare qualche indumento al rovescio, nascondendogli qualche foglia di

prezzemolo nelle fasce o legandogli al polso un nastrino verde. Se qualcuno

pronunciava espressioni di ammirazione nei confronti del bambino, si rimediava agli

effetti di un possibile malocchio facendoglielo toccare immediatamente.

Talvolta proprio chi faceva il complimento, conscio del fatto che

involontariamente poteva “ghettai s’ogu”, toccava la persona dicendo “po non

ti ghettai ogu” (per non colpirti di malocchio) oppure “chi Deus du conservidi” (che

dio lo conservi).

Tra gli scongiuri rivolti al possibile portatore di malocchio ricordiamo anche l’uso

di sputare per allontanare il male, attestato in Sardegna da un manoscritto anonimo

del settecento, toccare un oggetto di ferro, di corno o le parti genitali, bestemmiare

al suo passaggio, tirar fuori velocemente la punta della lingua per tre volte, oppure

fare le fiche al suo indirizzo “a fura” (di nascosto), ecc.

Il fare sas ficas è usanza diffusa sia fra gli uomini che fra le donne, tale uso era

certamente noto anche a Cagliari.

Altri metodi utili a tener lontane le influenze nefaste del malocchio richiedevano

di portare in tasca o negli indumenti intimi, a diretto contatto con la pelle, un

ramoscello di lentischio o d’ulivo. Per proteggere gli animali si appendeva una foglia

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di fico d’India sul recinto o all’ingresso della stalla, così pure per proteggere le

coltivazioni.

RIMEDI

Le cure per il malocchio rientrano nella medicina popolare sarda, anche se fanno

parte delle casistiche che sconfinano nel magico. Tali cure eliminano le influenze

nefaste riportando il soggetto nello stato psicofisico precedente a “sa pighada de

ogu”.

Se fortunatamente si conosce la persona sospettata di aver esercitato il

malocchio e si è con questi in buoni rapporti, si può rimediare facendogli toccare il

bersaglio del malocchio stesso, che può essere un bambino, una pianta o un

animale. Se è impossibilitato a presentarsi fisicamente gli si può chiedere un oggetto

da far toccare alla vittima.

Per quanto riguarda la preparazione della medicina, esistono diverse procedure

che variano non solo da paese a paese ma anche da un operatore all’altro all’interno

dello stesso paese.

Sostanzialmente nel rituale si riscontra la presenza, diversamente combinata, dei

seguenti elementi: i “brebus”, preghiere quali il Padre Nostro, l’Ave Maria, la

recitazione del Credo, spesso assieme all’uso di grano, acqua, sale, olio, orzo, riso,

pietre, corno di muflone, di cervo o di bue, l’occhio di Santa Lucia, il carbone, carta,

anelli.

In passato, ma probabilmente anche ora, vi era una componente di segretezza

necessaria in quanto tali pratiche venivano condannate dalla curia, anche se questo

non vietava alla popolazione di farvi ricorso all’occorrenza.

Le vittime maggiormente colpite erano (sono) i bambini ed i sintomi più comuni

vengono descritti come svenimenti, un forte mal di testa o febbre alta, vomiti e

capogiri, anche se diverse testimonianze raccontano di come s’ogu pigau possa

condurre alla morte.

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Secondo Max Leopold Wagner, studioso di lingua e tradizioni di Sardegna,

l’influenza nefasta del malocchio può essere rilevata scorgendo nell’occhio della

persona o dell’animale colpito, un punto luccicante, riflesso dell’occhio iettatore.

Nel caso in cui il malocchio abbia già fatto effetto, le cure possono essere

molteplici. La più diffusa è conosciuta con diversi nomi: s’aqua de s’ogu,aqua

licornia, aqua medallia o semplicemente mexina de s’ogu (medicina dell’occhio),

l’unica definizione che si riscontri presente in tutta la Sardegna.

Tra le tante varianti, si pone dell’acqua in un bicchiere entro il quale vengono

gettati 5 chicchi di grano, e dopo aver chiesto il nome della persona colpita, la

guaritrice recita il Credo o is brebus che normalmente utilizza.

Se la persona è stata effettivamente presa d’occhio, il chicco di grano “si ndi

pèsara“, si solleva verticalmente, si formano delle bollicine sulla sua superficie e si

mette a girare.

Se il malocchio è molto forte le bollicine “zaccanta“, scoppiano.

Terminate le pratiche, la guaritrice chiede “de da torrai sa sceda sia in beni sia in

mabi” , ossia di essere informata sullo stato della persona malata sia che sia guarita

sia che non lo sia.

In quest’ultimo caso, dovuto al fatto che il malocchio è troppo forte o di vecchia

data, è necessario ripetere il rito.

Dal paese di San Sperate ci viene segnalato l’utilizzo di nove chicchi di grano

(della migliore qualità e compatto) e nove cristalli di sale grosso, preventivamente

divisi a gruppi di tre.

La “fase preparatoria” è accompagnata da un preciso rituale: il segno della croce

ripetuto nel formare ognuno dei tre mucchietti di grano e sale (sei volte in totale), la

recita del Credo e di seguito la litania:

“Susanna ha fattu Anna, Anna ha fattu Maria, Maria ha fattu Gesusu, sogu pigau

non ci siada prusu” (nota anche nella variante: “Susanna è mamma de Sant’Anna,

Sant’Anna è mamma de Maria,s’ogu pigau non ci siada prusu”).

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Terminata la formula di benedizione, vengono gettati dapprima i tre gruppi di

chicchi di grano (con i quali si sarà provveduto a comporre il segno della croce) e

successivamente quelli di sale, sempre accompagnati dal simbolo trinitario.

Anche in questo caso, per verificare la presenza nefasta del malocchio, occorre

osservare le eventuali bollicine formatesi sopra i chicchi di grano, con una variante

rispetto alla posizione delle bolliccine : la posizione (parte superiore o centrale)

indicherà la patologia del “malato”, mal di testa o di mal di pancia, mentre il numero

dei grani interessati alla formazione delle bolle rivelerà invece la cifra dei

responsabili de sa pigadura de ogu. Qualora però al termine del rito le bollicine non

fossero scomparse, si renderà necessario la ripetizione della pratica, fino ad un

massimo di tre volte, superate le quali si dovrà attendere il giorno successivo oppure

rivolgersi ad altre due persone che ne completino la funzione salutare con

l’adempimento del rituale.

Tra le prescrizioni più importanti perché la cura sia valida c’è quella de no sattai

su giobia (non saltare il giovedì), la disattesa di questa condizione potrebbe avere

infatti conseguenze nefaste, addirittura la morte per infarto (crepai su coru)

soprattutto se si tratta di animali.

Altre operatrici che utilizzano il grano dalle bolle d’aria prodotte nell’acqua, o

dalla posizione dei chicchi di grano, l’operatore riesce a capire se “s’oghiadori” è una

donna o un uomo.

Se il grano resta orizzontale si ritiene sia stato fatto da una donna, mentre se il

grano resta con la punta in alto si ritiene sia stato fatto da un uomo. In quest’ultimo

caso, in alcune zone si ritiene che la medicina debba essere fatta da un’uomo.

L’acqua trattata in tale modo viene poi utilizzata per bagnare le giunture del

corpo del malato con il segno della croce, oppure gliene si fa bere qualche sorso.

L’eventuale acqua rimanente viene gettata in un vaso.

Uno dei rituali fa uso di un piatto colmo d’acqua e dell’olio.

Il procedimento, con qualche variante da zona a zona, è il seguente: si prende il

piatto colmo d’acqua sul quale si fa una croce con la mano destra, mentre si

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recitano is brebus (li parauli in gallurese), si lasciano cadere tre grani di sale e tre

gocce d’olio d’oliva, dopo aver fatto su questi un segno di croce sempre con la mano

destra.

Se le tre gocce d’olio rimangono separate e piccole, cioè senza spandersi o unirsi,

non c’è malocchio; se al contrario si spandono o si uniscono, allora c’è l’influsso

negativo. In questo caso occorre recitare le formule opportune per debellarlo.

Se entro le prime tre volte in cui si applica tale rimedio le gocce d’olio non

rimangono separate e ridotte, si può cambiare operatore oppure aspettare il giorno

dopo fintanto che il malocchio non viene debellato.

Se il problema persiste si possono prendere dal focolare tre carboni ardenti e,

dopo aver fatto su di questi il segno della croce sempre con la mano destra, gli si

assegna il nome di tre persone sospettate di essere i fautori del maleficio.

Si buttano questi tre carboni nella ciotola contenente l’acqua, recitando per tre

volte uno scongiuro particolare e nel caso in cui il rituale va a buon fine, il carbone a

cui è stato dato il nome della persona colpevole va a fondo e le gocce d’olio

assumono la forma corretta.

Altre testimonianze riportano alcune differenze sull’uso dei carboni: si

dispongono tre carboni ardenti dentro un bicchiere d’acqua fredda e si recita l’Ave

Maria, se almeno uno di essi va a fondo significa che si è colpiti dal malocchio in

forma leggera, se vanno a fondo tutti e tre si è colpiti in forma molto grave.

Una volta che l’operatore ritiene debellato il malocchio, può far bere alla persona

colpita qualche sorso d’acqua (s’aqua medalla) dalla ciotola nella quale sono stati

fatti cadere i carboni quindi si deve necessariamente buttare la rimanente acqua in

un vaso o comunque in un punto che non può essere calpestato da persone o

animali.

In alcune zone si ritiene che il rito vada ripetuto da un minimo di tre ad un

massimo di nove volte. Per la risoluzione dei casi più gravi in genere è previsto

l’intervento di tre diversi operatori.

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E’ bene precisare che in origine l’acqua da utilizzare doveva essere benedetta, e

generalmente veniva presa in chiesa, motivo per il quale alcuni parroci evitavano di

benedire l’acqua presente nell’acquasantiera. Ci si è adattati utilizzando la normale

acqua con il medesimo risultato.

Altri elementi usati, a seconda dell’operatore e della zona, sono: grano, olio, sale,

un medaglione, le licornias (amuleti). Questi consistono in due pezzi di corno, la

punta e una sezione centrale, tenuti separatamente ciascuno con uno spago in

modo da poterli immergere nell’acqua durante l’esecuzione del rito.

Nicolino Cucciari, nel suo “Magia e superstizione tra i pastori della Bassa Gallura”

descrive il seguente rituale: “Prima fare il segno di croce, poi, prendere una scodella

o un piatto colmo di acqua, fare su questa una croce con la mano destra e poi

posarla su una qualsiasi parte del corpo di chi è stato colpito dal malocchio; infine,

mentre si dà inizio alla recita di li parauli, lasciar cadere nell’acqua, tre grani di sale e

tre gocce d’olio d’oliva dopo aver fatto sul sale e sull’olio, sempre con la mano

destra, un segno di croce.

Se le tre gocce restano separate e ridotte, cioè senza spandersi o unirsi, il male non

è causato dal malocchio; al contrario se si spandono anche restando separate

(sfattu) oppure si uniscono, il malocchio c’è ed allora si recita:

Ghjiésù Cristu Nazarè,

cantu beddhu mi parè,

cantu beddhu mi paristi,

candu a lu mundu inisti,

cu una candéla lucendi,

e un agnulu in paradisu.

Santu Silvestru médicu lestru;

Santu Damianu medicu sanu;

Santu Pantalléu

è ca middhurési a Déu;

cussì middhória

ca pongu li mani éu.

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Scrive ancora il Cucciari: Se qualcuno recita li parauli ad un paziente per alcuni

giorni di seguito, nell’intervallo di tempo tra la prima e l’ultima recita, non deve,

nella maniera più assoluta, recitarle ad altro paziente.

Se non si attiene al divieto, perderanno ogni efficacia per tutti.

Se dopo la prima, seconda o terza recita, le gocce non restano separate e ridotte,

ma allargate, è necessario rivolgersi ad altra persona, cambià mani, oppure se si ha

fiducia nella stessa persona, questa farà la recita il giorno dopo e fintanto che l’ ociu

no torra; se questo non avviene si possono prendere dal focolare tre carboni

ardenti, e, dopo aver fatto sugli stessi con la mano destra una croce, si da il nome di

una persona che si presume sia quella che ha colpito con il malocchio, si buttano

nella scodella che contiene l’acqua e si recita per tre volte:

Santu Damianu médicu sanu;

Santu Silvestru médicu lestru;

Santu Pantalléu

ha midicatu a Déu;

Cussì middhória

ca pongu li mani éu.

Mentre gli altri due carboni, durante la recita, resteranno a galla, quello al quale

è stato dato il nome che ha lanciato il maleficio, andrà a fondo.

Se durante la prima, seconda o terza recita, o durante la recita con i carboni

accesi, le gocce riprenderanno la forma solita, si dice l’óciu è turratu.

Se non si riesce a vincere il malocchio cu li parauli si ricorre allora a “li 12 parauli”

dette anche “li parauli di Santu Maltinu” e l’olio senz’altro si normalizzerà.

Per recitare li parauli contro il malocchio non è necessaria la presenza

dell’interessato, è sufficiente che chi fa la cerimonia dell’imposizione delle mani,

abbia una ciocca di capelli, o di un indumento personale del colpito.

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I capelli, dopo aver fatto l’óciu, si restituiscono all’ammalato che deve tenerli

addosso per almeno tre ore, poi deve bruciarli, mentre l’indumento personale deve

essere indossato per almeno una notte.

L’olio non si normalizzerà e il malocchio non scomparrirà se chi recita li parauli,

inavvertitamente, dovesse sbagliare o passare al recchieme tenna(requiem

aeternam).

Ciò significa che il paziente è di moltu, morirà subito a causa del malocchio

perchè l’óciu è stato fatto con ritardo. Infine non si deve mai buttare l’acqua col sale

e l’olio in un punto dove può essere calpestata, ma si deve buttare in mezzo ad un

cespuglio o in una pelchjia (un anfratto), un luogo, insomma, che non sia trafficato

da persone o animali.

A volte alla persona colpita si fa bere, a piccoli sorsi, l’acqua con la quale è stato

fatto l’óciu e nella quale sono stati lasciati cadere i carboni. Subito l’olio si

normalizza: questo sistema si chiama fa turrà l’óciu cu lu fócu.

Il Cucciari scrive che è necessario, prima della cerimonia, fare un segno di croce

con la mano destra sia sull’acqua contenuta nella scodella o nel piatto, sia sul sale,

sull’olio, sui carboni ardenti, o su qualsiasi altro elemento usato anche in altri tipi di

parauli per annullare il malocchio. Segnarsi, poi attingere l’olio col dito da un

cucchiaino. Il rituale è come il precedente:

Santu Gosimu

e Santu Dumianu

unu medicu

e l’altu solgianu;

Santu Silvestru etc.

oppure:

Santu Petru e Ghjesù Cristu

si fesini cumpagnia.

Santu Petru li dicia:

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Magistru palchì no piddhi

lu mali di chistu

pal mezu di la ‘iglini Maria?

Si li mani no li pongu bè éu,

ti li ponghia bè Déu.

Dómine Patri.

Alcuni rituali, come riportato da Luigi Cecchini e Franco Fresi, richiedono

l’imposizione delle mani da parte dell’officiante il rito. Si inizia facendo il segno della

croce e prendendo un piatto con dell’acqua che viene posto sulla testa del paziente,

oppure sopra una ciocca tagliata dai suoi capelli. Per tre volte si getta nell’acqua un

grano di sale ripetendo:

Eu ti pongu li mani in onóri e gloria di Déu,

in suffragghjiu di

l’ animi di lu Pulgatóriu;

pà fà bè è chi ti pongu

li mani éu.

Cristu Beddhu è andatu

cu’ un bóiu smisuratu

suttu rigóri malignu,

Paradignu d’occhji

di la Santa Trinitai. Ammè.

Fatto questo si intinge più volte un dito in un vasetto di olio d’oliva, lasciando

cadere delle gocce nell’acqua del piatto dicendo:

Ghjiesu Cristu Nazzarè etc.

A questo punto si attende un pò e si recitano per le anime del purgatorio tre Ave

Maria, sei Requiem Aeternam e si fa per sei volte un segno di croce toccando

quattro punti esterni del piatto, a croce. Infine l’officiante osserva l’olio: se si è

riunito in una sola chiazza l’influsso maligno è stato vinto e il rito è finito.

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Se invece l’olio è rimasto sparso in tante goccioline il malocchio perdura ed il rito

deve continuare. Si prende un pezzo di carta che viene attorcigliato e acceso,

avvicinandolo subito dopo all’acqua del piatto in cui viene immerso. Il rito viene

ripetuto fino alla buona riuscita dello scongiuro. In caso contrario la donna esclama

“E’ troppu presu”.

Il rito deve essere ripetuto in un altro giorno oppure se la donna esperta dichiara

la sua impotenza dicendo Chici nò c’ ha fattu meu (non è cosa per me), si ricorre ad

un’altra persona.

Spesso abbiamo sentito dire che sa mexina de s’ogu ha effetto anche a distanza,

in assenza quindi della persona colpita.

In questo caso pare sia necessario portare alla guaritrice, se questa non conosce

personalmente la persona da trattare, qualcosa che appartenga al malato. In casi

simili pare che is brebus da utilizzare debbano essere recitati rivolgendosi nella

direzione in cui vive la persona da curare.

Una testimonianza, risalente al 1718 e riportata negli archivi relativi ai processi

inquisitoriali, indica l’utilizzo di una palma benedetta, immersa in una scodella di

terracotta contenente acqua limpida, briciole di pane e un cagliarese. L’operatrice

recitava alcuni brebus quindi metteva la scodella sopra la testa del malato e quindi

sul collo e le altre giunture del corpo.

Il malocchio può essere esercitato su tutto ciò che è vivo, quindi non solo esseri

umani ma anche sugli animali, sulle piante, sulla frutta, sugli ortaggi; in questi casi

spesso ciò che è colpito “si scorara”, ossia perde qualunque forza e muore. Alcuni

ritengono addirittura che il malocchio possa colpire il cibo nel senso che la sua

preparazione può andare a male: torte o pane che non lievitano, crema che

impazzisce, conserve che ammuffiscono.

Anche per gli animali si ricorreva ai rimedi tradizionali, con l’utilizzo delle erbe e

dei “brebus“. Una delle cure consisteva nell’utilizzare l’acqua benedetta,

spruzzandola sull’animale o facendogliene bere alcuni sorsi.

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IS BREBUS

Come abbiamo avuto modo di specificare, ogni operatore aveva il suo metodo e i

suoi Brebus. Abbiamo trovato i seguenti:

1 – S.Luxia de Milis

Santa Luxia de Arrabi

Santa Luxia de Aristanis

Circanta Sant’Antiogu

Po sanai custa ferid’i ogu.

S.Luxia de Arrabi,

Santa Luxia de Aristanis

S.Luxia de Casteddu,

Santi Mracu e Sant’Antiogu,

Custu mabi bogaindeddu,

cun sa mexina de s’ogu.

Santu Nigola,Santi Sisineri,

Deus t’appada a torrai,

Forza e poderi.

2 – Da Villamar

Santa Trisanna fiat sa mamma de Santa Susanna,

Santa Susanna fiat sa mamma de Sant’Anna,

Sant’Anna fiat sa mamma de Maria

CUST’OGU PIGAU SPARIU SIAT.

Santa Trisanna fiat sa mamma de Santa Susanna,

Santa Susanna fiat sa mamma de Sant’Anna,

Sant’Anna fiat sa mamma de Maria,

Maria fiat sa mamma de Gesus

CUST’OGUPIGAU NON SI BIAT PRUS.

Santa Trisanna fiat sa mamma de Santa Susanna,

Santa Susanna fiat sa mamma de Sant’Anna,

Sant’Anna fiat sa mamma de Maria,

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Maria fiat sa mamma de Gesus,

dd’at fattu po sa potenzia de su Babbu e po opera de su Spiritu Santu,

CUST’OGU PIGAU SI ND’ANDIT INCANTUS PO IS SATTUS E PE IN MONTIS E NISCIUNA

ANIMA BATTIADA DDU INCONTRIT E DE DOGNA ANIMA BATTIADA SIAT SPARIU

Gesù Cristu è mortu e resuscitau su sanguini ti torrit chi ti ndi dd’at pigau

Gesù Cristu è mortu in sa lettiera,

su sanguini ti torrit a sa vena.

Gesù Cristu è mortu in sa gruxi,

su sanguini ti torrit a luxi.

Cristus vincit, Cristus regnat de dogna mali ti difendat.

3 – Santa lughia,

de oju majia,

santu damianu torramilu sanu,

custa no est sa manu mia: est sa manu e maria,

no est sa manu mia pius :est sa manu ‘e gesus.

santa lughia ( 3 volte)

liberanos de oju e de majia

4 – Da San Sperate

Deusu e Santu Antiogu

e deusu ti torri s’ogu

e Santu Patriaccu ti torridi sacra,

e Sant’Anni Battista

e Santu Liberau sogu ti sia torrau..

5 – Da Serramanna

Gesu Cristu Santu adi nau una cosa,

chi ti pongiu una manu in fronti,

manu in fronti e in conca,

po chi no timmasta custa notti,

ca andausu de Santu Juanni,

e du narada Deusu, ca su mellusu seu deu,

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su mellusu battiau,

a s’ogu sa luxi torridi

Custa mexina de s’ogu d’happu fatta po (e si narada su nomini)

6 – Gallura

Féli e invidia cosa fai

chi pulpa e ossu vói chilivrà?

Anda a l’azza di lu mari

e sulivrigghjia chi sali

e chistu lassalu sta.

Maria cu la Trinitai

ti ponghia li mani.

Santu Gosimu

e Santu Dumianu

unu médicu

e l’altu sulgianu;

Santu Silvestru médicu lestru

Santu Pantalléu

midichési a Déu.

Cussì midichigghjia

e middhória

ca pongu li mani éu.

Fiele e invidia cosa fai

che polpa e osso vuoi frantumare?

Vai vicino al mare

e squagliati come il sale

e questo lascialo stare.

Maria con la Trinità

ti metta le mani.

San Cosimo

e San Damiano

uno medico

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e l’altro sulgianu (?)

San Silvestro medico svelto

San Pantaleo medicò a Dio.

Così che possa medicare

e migliorare

a chi metto le mani io.

7 – Da Vallermosa 1725, recitata da Barbara Lochy davanti al commissario del

S.Ufficio.

Maria Madaleny girada e su fillu laudada

e a su fillu laudendi e Cristus numenendi e a Cristus laudada.

Adoramus te Cristhe, ogu malu t’a bistu,

ogu malu no ballada ni tengiada,

Jesu Cristu du mantengiada

8 – Monserrato

Fare il segno della croce, inumidire il pollice con la lingua e fare il segno della

croce sulla fronte del malato.

Recitare la preghiera:

“No timasa fillu miu

de a ca seu ti biu

ca t’happu afumentau

a timongiu e a lau

a timongiu e a cera

e sa luxi era

e sa era luxi

Deus ti onga luxi

e luxi ti onga Deus

cun Luca, Giuanni, Marcu e Matteu”

Fare la croce in fronte al malato sempre con il pollice inumidito

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“De santu Giuanni

bettiau in Sant’Ambrosiu

e Santu Lioni e Conti

ti ponga manu in fronti

ti ponga manu in conca

no timmas nottesta e no tengasa paura

che in s’arriu de Giordanu

sa conca torra sanu

cessu Santu Simoni e Conti e Santu Pantaleu

ogus ti torru deu

e Santu Patriarca

ti torri tottu is sacra

is sacra de su coru

ca est santu bonu”

(sempre il solito segno della croce)

“Cessu Santa Susanna

mamma de Sant’Anna

Sant’Anna mamma de Maria

Maria mamma de Gesusu

cust’ogu pigau no ddu bia prusu

no ddu bia prusu cust’ogu pigau”

(segno della croce al solito modo)

(Segno della croce normale. La fanno malato e esecutrice)

“De patti de Deus t’happu cumandau”

(Segno della croce normale. La fanno malato e esecutrice)

“De patti de Deus cumandau d’happu

in nomini de su Babbu, su Fillu e su Spiritu Santu”

(Segno della croce normale. La fanno malato e esecutrice)

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“Cessu Santa Maria

sa manu posta siada

e no sa mia”

(Segno della croce normale. La fanno malato e esecutrice)

1 padre nostro

1 ave maria

1 gloria al padre

(Le fanno malato e esecutrice)

COME SI TRASMETTE E CHI PUO’ PRATICARE LA MEDICINA DELL’OCCHIO

Su questo aspetto della pratica sciamanica sarda ci sono diverse correnti di

pensiero. Riportiamo quelle da noi raccolte:

Solo chi ha entrambi i genitori in vita può curare il malocchio.

Si ha l’obbligo di non insegnare la medicina ad una persona più anziana.

Si deve obbligatoriamente mantenere segreti “is brebus”, le formule che

accompagnano il rito.

Solo le donne possono praticare la medicina;

Si può apprendere sia da un familiare che da estranei;

Deve essere trasmessa la notte di Natale;

Una volta che il rituale viene passato, chi lo trasmette non può più

ripeterlo;

Deve essere fatta prima che il sole tramonti;

Si può insegnare solo a tre persone;

Si possono ricevere is brebus in sogno

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BIBLIOGRAFIA

“Magia e superstizione tra i pastori della Bassa Gallura” – Nicolino Cucciari

– Ed. Chiarella, 1985 – 279 pagine

“Streghe, esorcisti e cercatori di tesori” – Salvatore Loi – Ed. AM&D – 306

pagine

“Medicina popolare in Sardegna” – nando Cossu – Ed. Carlo Delfino – 366 pagine