Metta Karuna Mudita Upekka

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Mettâ significa amore, amore puro, benevolenza, amore universale, infinito o senza limiti. Ci sono vari tipi d'amore fra gli esseri umani. C'è l'amore dei genitori per i figli, quello del marito per la moglie, quello della moglie per il marito, l'amore fraterno, l'amore fra uomo e donna, quello fra parenti ed amici. Ma nessuna di queste forme è mettâ, amore puro. Esse sono tutte radicate nella brama (lobha), nel desiderio (upâdâna) e nell' ignoranza (moha). Karunâ significa compassione, pura compassione, infinita o compassione senza limiti. Esistono molti tipi di compassione. Se il nostro prossimo o i nostri cari soffrono, in noi nasce la compassione: incominciamo a condividere la loro miseria e il loro dolore a causa dell'affetto che nutriamo per loro. Ma se a soffrire è qualcun altro, per il quale non abbiamo attaccamento, allora non sentiamo compassione, non sentiamo la sua miseria come nostra. Questa non è karunâ, infinita compassione. Similmente, se le persone a noi care sono felici e fortunate, ci sentiamo felici per loro a causa del nostro affetto. Anche questa non è muditâ, gioia compartecipe, perché è radicata nell'ignoranza. Muditâ significa pura gioia compartecipe, infinita gioia compartecipe, per tutti gli esseri, conosciuti e sconosciuti, senza alcuna discriminazione. Upekkhâ significa equanimità. È un perfetto, incontrollabile equilibrio della mente, saldamente basato sull'insight. Nella misura in cui ci si riesce a liberare dall'attaccamento se stessi (l'«io» e il «mio») tanto più ci si ritrova colmi d'equanimità. L'equanimità è il più importante dei quattro stati sublimi (mettâ, karunâ, muditâ e upekkhâ). Ma ciò non significa che la serenità sia superiore all'amore, alla compassione e alla gioia compartecipe: l'uno comprende gli altri e viceversa. Finché nell'intimo saremo impuri o contaminati, non potremo dare questo amore puro agli altri esseri. Questo amore si

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Mettâ significa amore, amore puro, benevolenza, amore universale, infinito o senza limiti. Ci sono vari tipi d'amore fra gli esseri umani. C'è l'amore dei genitori per i figli, quello del marito per la moglie, quello della moglie per il marito, l'amore fraterno, l'amore fra uomo e donna, quello fra parenti ed amici. Ma nessuna di queste forme è mettâ, amore puro. Esse sono tutte radicate nella brama (lobha), nel desiderio (upâdâna) e nell' ignoranza (moha).

Karunâ significa compassione, pura compassione, infinita o compassione senza limiti. Esistono molti tipi di compassione. Se il nostro prossimo o i nostri cari soffrono, in noi nasce la compassione: incominciamo a condividere la loro miseria e il loro dolore a causa dell'affetto che nutriamo per loro. Ma se a soffrire è qualcun altro, per il quale non abbiamo attaccamento, allora non sentiamo compassione, non sentiamo la sua miseria come nostra. Questa non è karunâ, infinita compassione. Similmente, se le persone a noi care sono felici e fortunate, ci sentiamo felici per loro a causa del nostro affetto. Anche questa non è muditâ, gioia compartecipe, perché è radicata nell'ignoranza.

Muditâ significa pura gioia compartecipe, infinita gioia compartecipe, per tutti gli esseri, conosciuti e sconosciuti, senza alcuna discriminazione.

Upekkhâ significa equanimità. È un perfetto, incontrollabile equilibrio della mente, saldamente basato sull'insight. Nella misura in cui ci si riesce a liberare dall'attaccamento se stessi (l'«io» e il «mio») tanto più ci si ritrova colmi d'equanimità. L'equanimità è il più importante dei quattro stati sublimi (mettâ, karunâ, muditâ e upekkhâ). Ma ciò non significa che la serenità sia superiore all'amore, alla compassione e alla gioia compartecipe: l'uno comprende gli altri e viceversa. Finché nell'intimo saremo impuri o contaminati, non potremo dare questo amore puro agli altri esseri. Questo amore si trova oscurato o bloccato dalle nostre impurità. Ma, una volta che si è incominciato a purificarsi con la meditazione vipâssanâ, nella misura in cui l'impurità sarà stata rimossa, si sarà proporzionalmente capaci di mettâ verso gli altri.

Mettā

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Mettā (in sanscrito è maitrī) è una parola Pali che significa amore-gentilezza non condizionate. Mettā è una delle dieci pāramitā della scuola buddhista Theravada . Il mettā bhāvanā (coltivazione del mettā) è una forma comune di meditazione, praticata con la coscienza del respiro, che dà concentrazione, al fine di prevenire la perdita di compassione.

L'oggetto della meditazione mettā è quello di sviluppare benevolenza e compassione verso tutti gli esseri senzienti . La pratica solitamente inizia con la coltivazione della compassione e dell'amore per se stessi, poi per le persone amate, gli amici, maestri, stranieri ed infine per i nemici. Costituisce un buon metodo per calmare la mente, essendo un "antidoto" all'ira. Chi sviluppa il mettā difficilmente sarà turbabile e potrà sopprimere la rabbia sul nascere. Tali persone saranno più attente verso gli altri, più disposte a voler bene ed amare, e più inclini ad amare incondizionatamente.

I Buddhisti credono che le persone che hanno molto mettā saranno più felici poiché non vedranno motivi per volere il male di qualcuno. I maestri buddhisti possono raccomandare la meditazione sul mettā come antidoto all'insonnia e agli incubi. È comunemente sentito che coloro i quali sono intorno ad una persona che ha sviluppato il mettā si sentono a loro agio e più felici. L'emanazione del mettā contribuisce ad un mondo pacifico, d'amore e felicità.

Passi

I sei passi del mettā bhāvanā sono coltivare amore e benevolenza verso:

1. Se stessi2. Un buon amico3. Una persona neutrale4. Una persona difficile5. Tutti quattro i precedenti6. Gradualmente, l'intero universo

(Kamalashila 1996, p.25-26)

(EN) Un testo sul mettā di Acharya Buddharakkhita (EN) Il Mettā Sutta

KARUNA (sanscrito), Pura compassione, il secondo dei quattro Brama Vihara del Theravada. 

muditaGIOIA CONDIVISA

gioia e compassione

Mudita

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Mudita è un termine proprio del Buddhismo, che significa godere del benessere altrui. La mudita è dunque spesso considerata essere l'opposto della Schadenfreude, la gioia infame di chi prova piacere nel compiacersi delle disgrazie altrui.

L'esempio tipico dello stato mentale proprio di chi riesce ad entrare nello spirito della Mudita, è quello di un genitore che osserva compiaciuto e gioioso la felicità di un proprio figlio.

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upekkha

indifferenza e neutralità Equanimità