METROBROUSSE IN CONCERTO

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Lunedì 3 ore 21.30 METROBROUSSE IN CONCERTO Camilla Barbarito, voce Carla Colombo, Balafon, Carignan, Ngoni Seydou Dao, djembè Baba Diarra, Balafon, Ngoni, Kalebasse Nabil Hamai, violino, darbuka Ivan Rosas, basso elettrico Il progetto nasce dall’incontro di musicisti accomunati dall’amore per le sonorità folk tradizionali e desiderosi di sperimentazione. Nell’intento di dare vita a un suono nuovo e originale, si è voluto affiancare ai ritmi e alle melodie del Popolo Mandeng, alcuni canti e suoni della tradizione rurale di tutta Italia. Questo progetto musicale predilige una dimensione acustica dove la forte presenza ritmica e timbrica africana fa da terreno a innesti melodici inconsueti.Il risultato è un sound colorato, coinvolgente e quasi ipnotico che trae energia dall’incontro di due culture tradizionali. Anche con il desiderio di parlare di Incontro interculturale con il linguaggio diretto e schietto della musica. Il sound meticcio dei MetroBrousse Uno straordinario ensemble che mescola la tradizione musicale dell’Africa occidentale e quella popolare e rurale italiana di Anna Maria Covelli Suoni caldi e colorati. Un'atmosfera brulicante di ritmi a volte incalzanti, a volte ipnotici, idiomi mischiati. Siamo "a bordo" dei MetroBrousse, un ensemble musicale di connotazione meticcia, un gruppo che mescola la tradizione musicale africana del popolo Manding e quella popolare e rurale italiana. Taxibrousse, metrobrousse... et voilà, il gioco di parole... dal taxi brousse africano, una sorta di taxi collettivo che "carica" persone per le affollate strade della città al metrobrousse, "taxi" occidentale sotterraneo, straripante di gente proveniente da ogni angolo del mondo. Incroci di culture, mixage di musiche, incontri possibili che insieme creano una realtà affascinante e foriera di promesse ed entusiasmo. Il gruppo, è costituito da sei elementi ed è misto: due musicisti originari del Burkina Faso, Baba Diarra (compositore, voce e suonatore di balafon, n'goni, calebasse, djembe), Seydou Dao (percussioni africane), Carla Colombo (balafon, carignan, n'goni), Camilla Barbarito (voce), il messicano Ivan Rosas, (basso elettrico) e Francesco Cafagna (zampogna, bombarda, tamburello, fisarmonica). L'idea di sposare il suond africano con il linguaggio evocativo delle melodie popolari italiane, è nata cinque anni fa, dopo una lunga "gestazione", da Baba, Carla e Camilla: Baba, che suona anche nella formazione Parissi, guidata dal celebre percussionista del Burkina Harouna Dembelé, nasce da una famiglia di griot Boaba. I griot sono una delle caste africane le cui tradizioni si tramandano di padre in figlio e Baba è un raffinato griot musicista compositore, che si cimenta con vari strumenti: tra questi, il balafon che, nella tradizione senoufo (una delle numerosissime etnie del Burkina), "parla" perché i suoni provenienti dal balafon corrispondono a quelli che fanno parte della lingua di tutti i giorni; il n'goni, strumento tradizionalmente usato dai cacciatori, dotato di una cassa armonica costruita con una zucca tagliata per 2/3 e ricoperta da pelle di capra nella quale è infilato il manico su cui vengono fissate da 6 a 12 corde; la calebasse (dal francese, zucca), sonaglio di zucca ricavato da zucche essiccate e svuotate e "imprigionata" nella trama di una rete costellata di noccioli, conchiglie, semi essiccati; il djembe, tamburo a calice, ricoperto di pelle di capra e da un sistema di tiraggio della pelle stessa costituito da corde e cerchi metallici. Sembra impossibile che la musica prodotta da questi strumenti possa "gemellarsi" con quella di zampogna e fisarmonica, eppure basta ascoltarla per scoprire come il mixage sia coinvolgente ed energetico. Il punto d'incontro, ci dicono, non è difficile da trovare, le radici della musica popolare sono affini più di quanto si creda. Alcuni brani, come per esempio, Rondinella, denominato "canto all'altalena", canto di gioco per i bambini, proveniente dall'Abruzzo, sono stati recuperati da due noti etnomusicologi, Diego Carpitella e Alan Lomax, che hanno svolto approfondite ricerche sulla tradizione musicale popolare nell'Italia degli anni Cinquanta. La loro musica è rigorosamente "fatta in casa". Ci spiega Carla, straordinaria balafonista e non solo, nata come musicista di formazione classica e "convertita" ai suoni dell'Africa occidentale: «Il lavoro di composizione parte da una proposta musicale di Baba d'ispirazione Manding, da lui creata e arrangiata, nella quale si innesta una melodia tradizionale italiana proveniente da varie regioni come la Liguria, la Campania, l'Abruzzo, la Sicilia, la Sardegna e la Puglia». I brani sono cantati da Camilla, che è anche attrice di teatro, nel dialetto delle varie regioni, liberamente adattate in questo specifico contesto, oppure Camilla usa il testo improvvisando melodicamente. Il risultato è un affascinante idioma musicale meticcio che guarda con entusiasmo allo scambio tra culture, persone e linguaggi diversi: «Quando vado in Africa - ci racconta - ricevo sempre un'accoglienza entusiasta da parte del pubblico anche se canto in una lingua che nessuno conosce. A loro il "purismo" non interessa, quando sentono qualcosa che non conoscono, fanno caso solo a che uno ci metta cuore e anima, non sono mai prevenuti, come spesso accade da noi»

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Lunedì 3 ore 21.30

METROBROUSSE IN CONCERTO

Camilla Barbarito, voce Carla Colombo, Balafon, Carignan, Ngoni Seydou Dao, djembè Baba Diarra, Balafon, Ngoni, Kalebasse Nabil Hamai, violino, darbuka Ivan Rosas, basso elettrico

Il progetto nasce dall’incontro di musicisti accomunati dall’amore per le sonorità folk tradizionali e desiderosi di sperimentazione. Nell’intento di dare vita a un suono nuovo e originale, si è voluto affiancare ai ritmi e alle melodie del Popolo Mandeng, alcuni canti e suoni della tradizione rurale di tutta Italia. Questo progetto musicale predilige una dimensione acustica dove la forte presenza ritmica e timbrica africana fa da terreno a innesti melodici inconsueti.Il risultato è un sound colorato, coinvolgente e quasi ipnotico che trae energia dall’incontro di due culture tradizionali. Anche con il desiderio di parlare di Incontro interculturale con il linguaggio diretto e schietto della musica.

Il sound meticcio dei MetroBrousse Uno straordinario ensemble che mescola la tradizione musicale dell’Africa occidentale e quella popolare e rurale italiana di Anna Maria Covelli Suoni caldi e colorati. Un'atmosfera brulicante di ritmi a volte incalzanti, a volte ipnotici, idiomi mischiati. Siamo "a bordo" dei MetroBrousse, un ensemble musicale di connotazione meticcia, un gruppo che mescola la tradizione musicale africana

del popolo Manding e quella popolare e rurale italiana. Taxibrousse, metrobrousse... et voilà, il gioco di parole... dal taxi brousse africano, una sorta di taxi collettivo che "carica" persone per le affollate strade della città al metrobrousse, "taxi"

occidentale sotterraneo, straripante di gente proveniente da ogni angolo del mondo. Incroci di culture, mixage di musiche, incontri possibili che insieme creano una realtà affascinante e foriera di promesse ed entusiasmo.

Il gruppo, è costituito da sei elementi ed è misto: due musicisti originari del Burkina Faso, Baba Diarra (compositore, voce e suonatore di balafon, n'goni, calebasse, djembe), Seydou Dao (percussioni africane), Carla Colombo (balafon, carignan,

n'goni), Camilla Barbarito (voce), il messicano Ivan Rosas, (basso elettrico) e Francesco Cafagna (zampogna, bombarda, tamburello, fisarmonica). L'idea di sposare il suond africano con il linguaggio evocativo delle melodie popolari italiane, è

nata cinque anni fa, dopo una lunga "gestazione", da Baba, Carla e Camilla: Baba, che suona anche nella formazione Parissi, guidata dal celebre percussionista del Burkina Harouna Dembelé, nasce da una famiglia di griot Boaba. I griot sono

una delle caste africane le cui tradizioni si tramandano di padre in figlio e Baba è un raffinato griot musicista compositore, che si cimenta con vari strumenti: tra questi, il balafon che, nella tradizione senoufo (una delle numerosissime etnie del

Burkina), "parla" perché i suoni provenienti dal balafon corrispondono a quelli che fanno parte della lingua di tutti i giorni; il n'goni, strumento tradizionalmente usato dai cacciatori, dotato di una cassa armonica costruita con una zucca tagliata per

2/3 e ricoperta da pelle di capra nella quale è infilato il manico su cui vengono fissate da 6 a 12 corde; la calebasse (dal francese, zucca), sonaglio di zucca ricavato da zucche essiccate e svuotate e "imprigionata" nella trama di una rete costellata

di noccioli, conchiglie, semi essiccati; il djembe, tamburo a calice, ricoperto di pelle di capra e da un sistema di tiraggio della pelle stessa costituito da corde e cerchi metallici.

Sembra impossibile che la musica prodotta da questi strumenti possa "gemellarsi" con quella di zampogna e fisarmonica, eppure basta ascoltarla per scoprire come il mixage sia coinvolgente ed energetico. Il punto d'incontro, ci dicono, non è

difficile da trovare, le radici della musica popolare sono affini più di quanto si creda. Alcuni brani, come per esempio, Rondinella, denominato "canto all'altalena", canto di gioco per i bambini, proveniente dall'Abruzzo, sono stati recuperati da due

noti etnomusicologi, Diego Carpitella e Alan Lomax, che hanno svolto approfondite ricerche sulla tradizione musicale popolare nell'Italia degli anni Cinquanta.

La loro musica è rigorosamente "fatta in casa". Ci spiega Carla, straordinaria balafonista e non solo, nata come musicista di formazione classica e "convertita" ai suoni dell'Africa occidentale: «Il lavoro di composizione parte da una proposta

musicale di Baba d'ispirazione Manding, da lui creata e arrangiata, nella quale si innesta una melodia tradizionale italiana proveniente da varie regioni come la Liguria, la Campania, l'Abruzzo, la Sicilia, la Sardegna e la Puglia». I brani sono cantati

da Camilla, che è anche attrice di teatro, nel dialetto delle varie regioni, liberamente adattate in questo specifico contesto, oppure Camilla usa il testo improvvisando melodicamente. Il risultato è un affascinante idioma musicale meticcio che

guarda con entusiasmo allo scambio tra culture, persone e linguaggi diversi: «Quando vado in Africa - ci racconta - ricevo sempre un'accoglienza entusiasta da parte del pubblico anche se canto in una lingua che nessuno conosce. A loro il

"purismo" non interessa, quando sentono qualcosa che non conoscono, fanno caso solo a che uno ci metta cuore e anima, non sono mai prevenuti, come spesso accade da noi»

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Martedì 4 ore 21.30

(S)legati "Last Seen 2014" vincitore del premio miglior spettacolo dell'anno di e con Jacopo Bicocchi e Mattia Fabris musiche Sandra Zoccolan produzione A.T.I.R.

Siamo due amici. Siamo due attori E siamo due appassionati di montagna. Meglio: arrampicatori della domenica. Circa tre anni fa ci siamo imbattuti nell’incredibile storia vera degli alpinisti Joe Simpson e Simon Yates. E’ la storia di un sogno ambizioso, il loro: essere i primi al mondo a scalare il Siula Grande, attaccato dalla parete ovest. Ma è anche la storia di un amicizia, e della corda che, durante quella terribile impresa, lega questi due giovani ragazzi. La corda che mette la vita dell’uno nelle mani dell’altro. Come sempre avviene in montagna. C’è dunque una cima da raggiungere. C’è la estenuante conquista della vetta. C’è la gioia dell’impresa riuscita. E infine, quando il peggio è passato, e la strada è ormai in discesa, c’è la vita, che fa lo sgambetto e c’è la morte, che strizza l’occhio: un terribile incidente in alta quota. Joe durante una banale manovra si rompe una gamba. Da quel momento in poi, tutto cambia. L’impresa diventa riuscire a tornare vivi: a 5.800 metri, la minima frattura si può trasformare in una condanna a morte, i due ragazzi ne sono consapevoli, ma nonostante le condizioni disperate tentano un’ operazione di soccorso. Tutto sembra funzionare finché, proprio quando le difficoltà paiono superate ecco che c’è un altro imprevisto, questa volta fatale: e c’è allora il gesto, quel gesto che nessun alpinista vorrebbe mai trovarsi obbligato a fare: Simon è costretto a tagliare la corda che lo lega al compagno. Un gesto che separa le loro sorti unite. Che ne (s)lega i destini per sempre. Quell’atto estremo però, in questo caso miracoloso, salverà la vita a entrambi: tutti e due, riusciranno a tornare vivi al campo base. E a ritrovarsi insperatamente lì dopo 4 giorni. E’ la storia di un miracolo. Di un avventura al di là dei limiti umani ed è al contempo una metafora: delle relazioni, tutte, e dei legami. La montagna diventa la metafora del momento in cui la relazione è portata al limite estremo, in cui la verità prende forma, ti mette alle strette e ti costringe a “tagliare”, a fare quel gesto che sempre ci appare così violento e terribile, ma che invece, a volte, è l’unico gesto necessario alla vita di entrambe.

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Mercoledì 5 ore 21.00 MORMOROLA - VALMOZZOLA

A QUALCUNO PIACE CALDO Prendere (quasi) sul serio il clima che cambia

di Stefano Caserini e Francesca Cella racconto scientifico Stefano Caserini / docente al Politecnico di Milano digressioni comiche Diego Parassole / attore comico pianoforte Erminio Cella / pianista Jazz

”Dov’è finito il riscaldamento globale?”,“Se il riscaldamento è globale... perché nevica?”, “È in arrivo l’era glaciale”. I titoli sulla questione climatica a volte sorprendono. Sembra che ad ogni inverno prolungato o primavera ritardata dovremmo mettere in discussione l’esistenza del problema del surriscaldamento globale. Quando nevica, poi, sembrerebbe che non si dovrebbe più discutere dei cambiamenti climatici e mettersi tutti a costruire pupazzi di neve con la faccia di Al Gore. Sarà difficile, ma bisogna abituarsi: anche con il riscaldamento globale le ondate di gelo invernale saranno possibili. Saranno solo meno frequenti, mentre più frequenti saranno le ondate di calore, le estati con i giorni e le serate molto calde; come quelle, che ancora ricordiamo, dell’agosto del 2003. La responsabilità umana sulle variazioni climatiche degli ultimi decenni è chiarissima alla comunità scientifica. Nonostante questo, l’ampia diffusione di argomentazioni senza fondamenti scientifici, che negano l’esistenza della crisi climatica, a volte veri e propri miti e leggende metropolitane, fa sì che la percezione pubblica delle cause della crisi climatica non stia progredendo di pari passo con la crescita del problema. Il racconto scientifico La spiegazione del problema dei cambiamenti climatici inizia mostrando e commentando articoli di quotidiani e brevi spezzoni televisivi in cui si è parlato di cambiamenti climatici, con i due estremi del negazionismo ottuso e dell’esagerato catastrofismo a breve termine. Quindi sono illustrati i più recenti dati pubblicati nella letteratura scientifica, e con animazioni e video l’aumento inequivocabile delle concentrazioni di gas serra e delle temperature medie del pianeta. Sono mostrati con immagini di grande efficacia gli impatti già registrati sui ghiacci del pianeta e gli ecosistemi, i pericoli per gli aumenti previsti per i prossimi decenni. Con dati, brevi video e spezzoni di film si spiega, anche in modo ironico, la grande dimensione etica del problema climatico, che riguarda in larga parte le generazioni future, a cui lasceremo un clima diverso da quello attuale. Infine sono mostrati le possibili soluzioni, la azioni piccole e grandi che possono dare una mano per contrastare i cambiamenti climatici, consumando in modo diverso l’energia e modificando gli stili di vita più impattanti. Il caldo del Jazz e comiche digressioni Al racconto scientifico, coinvolgente ma inevitabilmente preoccupante, sono intervallati gli intermezzi comici, che oltre a sollevare il morale provano a suscitare una riflessione su come affrontiamo le questioni ecologiche nella nostra vita quotidiana. Come nell’originale film di Billy Wilder, il caldo del Jazz suonato al pianoforte (o alla testiera elettronica) farà da sfondo e unione fra la parte scientifica e la parte comica.

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Giovedi 6 ore 21.30

STASERA SONO IN VENA di e con Oscar De Summa produzione La Corte Ospitale in collaborazione con Armunia - Festival Inequilibrio progetto luci Matteo Gozzi testo vincitore del premio Cassino 2015 Io sono qui! Sono vivo!Dopo aver passato una stagione all'inferno, dopo aver attraversato la bruttura che cambia le linee del volto, le rende dure e sinonimo di dolore. Il dolore che si nasconde in ogni piega del corpo, il dolore che detta le azioni da compiere proprio per sottrarsi a quel dolore. Un dolore fisico prima di tutto, un dolore che conforta e ci distrae da un dolore ancora più grande, quello della nostra anima, quello del nostro spirito che non trova collocazione nella società. Quello del nostro sentirsi sempre inadeguati, fuori luogo. Ed é qui che prima di tutto fa breccia l'idea di una "Panacea per tutti i mali", una medicina che ci tolga dall'imbarazzo di vivere, è qui che fa il suo ingresso trionfale ed incontrastato "la droga". Chiaro, ognuno poi ha la sua preferita, la sua prediletta... Ma tutte un unico comun denominatore: toglierci a noi stessi sottolineando la necessità di appartenerci. Stasera sono In vena è uno spettacolo ironico e amaro al tempo stesso, in cui racconto parte della mia adolescenza in Puglia, negli anni Ottanta: sono gli anni in cui si è formata la Sacra Corona Unita, organizzazione che ha allargato i suoi settori di investimento scoprendo che il disagio umano è una delle cose che in assoluto rendono di più sul mercato. Un racconto semplice sul piano-sequenza di una terra che decide di cambiare direzione, di appropriarsi del proprio male. Si sorride delle vicende del protagonista dall'inizio alla fine, tranne che in alcune fratture che interrompono la narrazione, ci ricordano che quello di cui stiamo parlando è vero, è già successo, e buttano una luce sinistra sulla situazione di oggi: il mercato delle droghe performative, come la cocaina, genera introiti che superano il Pil di alcune nazioni come la Spagna o la stessa Italia

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Venerdi 7 ore 21.30

POLVERE Dialogo tra uomo e donna di Saverio La Ruina con Saverio La Ruina e Cecilia Foti musiche originali Gianfranco De Franco contributo alla drammaturgia Jo Lattari contributo alla messinscena Dario De Luca aiuto regia Cecilia Foti disegno luci Dario De Luca audio e luci Gennaro Dolce realizzazione quadro Ivan Donato organizzazione Settimio Pisano con il sostegno di Comune di Castrovillari produzione Scena Verticale con il sostegno di Comune di Castrovillari si ringrazia il White Dove di Genova

Progetto, Drammaturgia e Regia

Le botte sono la parte più fisica del rapporto violento di coppia; l’uccisione della donna la parte conclusiva. Ma c’è un prima, immateriale, impalpabile, polvere evanescente che si solleva piano intorno alla donna, la circonda, la avvolge, ne mina le certezze, ne annienta la forza, il coraggio, spegne il sorriso e la capacità di sognare. Una polvere opaca che confonde, fatta di parole che umiliano e feriscono, di piccoli sgarbi, di riconoscimenti mancati, di affetto sbrigativo, talvolta brusco.

Da un’operatrice di un Centro antiviolenza Non so quanto c’entri il femminicidio con questo lavoro. Ma di sicuro c’entrano i rapporti di potere all’interno della coppia, di cui quasi ovunque si trovano tracce.

Saverio La Ruina a seguire, INCONTRO RELAZIONI con Saverio La Ruina e Cecilia Foti

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Sabato 8 ore 21.30

ADESSO CHE HAI SCELTO

Scritto, diretto e interpretato da Mimmo Sorrentino Produzione Teatro dell'Argine / TeatroIncontro “Lo scorso anno ho raccontato per 24 settimane il sabato pomeriggio nel programma di Radio 3 “Piazza Verdi” di persone incontrate durante il mio percorso teatrale (detenuti comuni e di alta sicurezza, studenti, anziani, rom, malati terminali, giudici, vigili del fuoco, tossici, casalinghe, stranieri,attori, medici, commercianti ambulanti, ecc.). Si tratta di persone così meravigliose che la fantasia umana, per quanto prodigiosa, non sarebbe mai in grado di inventare o immaginare. Così ho scelto di continuare a raccontare di loro, questa volta in teatro. Gli spettacoli che ho allestito con queste persone sono stati esono di solito irripetibili. Sono irripetibili perché il più delle volte persone e spettacolo coincidono. Sono la stessa cosa e se viene meno la persona viene meno anche lo spettacolo e delle volte anche le ragioni stesse del testo. Lo stesso accade in “Adesso che hai scelto”. Sarà sempre irripetibile perché lo spettacolo coincide con il pubblico. Spettacolo e pubblico sono la stessa cosa. Per cui ad ogni pubblico il suo spettacolo. Perché ciò possa accadere, almeno tecnicamente, ho diviso i racconti in tanti gruppi tematici. Il pubblico li voterà determinando una classifica e di conseguenza l’andamento dello spettacolo. Sono possibili 5040 classifiche diverse, pertanto il pubblico sceglierà uno tra 5040 spettacoli possibili. Statisticamente è alquanto improbabile che possa ripetersi allo stesso modo nelle altre repliche. Il finale invece è certo che non potrà ripetersi mai allo stesso modo perché sarà il pubblico presente in sala a scriverlo tutte le sere. “Adesso che hai scelto” è anche uno spettacolo su cosa parliamo, parafrasando Carver, quando scegliamo. D’amore. Sempre d’amore. Ecco di cosa parliamo.

Mimmo Sorrentino