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ABI Position Paper Metodo dei rating interni per il calcolo del requisito patrimoniale a fronte del rischio di credito Versione al 17 Ottobre 2006

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Metodo dei rating interni per il calcolo del requisito

patrimoniale a fronte del rischio di credito

Versione al 17 Ottobre 2006

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Sommario

Premessa ............................................................................................... 4 Emendamenti al testo .............................................................................. 6 • Rif.: pag. 5, par. 2.3 Perdita attesa e perdita inattesa ........................ 6 • Rif.: 2.4 Definizione di default ......................................................... 6 • Rif.: 3 Classi di attività (pag.8) ........................................................ 7 • Rif.: pag. 9, par. 3.1 Esposizioni creditizie verso amministrazioni centrali e banche centrali .................................................................................. 7 • Rif.: 3.4 Esposizioni creditizie al dettaglio (pag. 11) ............................ 8 • Rif.: pag. 12, par. 3.4 Esposizioni al dettaglio .................................... 9 • Rif.: pag.15, par. 3.8 Crediti commerciali acquistati .......................... 10 • Rif.: pag.22, par. 4.2.1 Il processo di attribuzione del rating - iv) integrità del processo di attribuzione del rating ....................................... 11 • Rif: 4.4.2 Controlli di secondo livello. La validazione interna. (pag. 28) 12 • Rif.: 4.7 L’utilizzo del sistema di rating (Pag. 32).............................. 13 • Rif.: 4.8.2 – Sistema informativo aziendale – Pag. 34 ....................... 14 • Rif.: pag. 39, par. 5.4 Quantificazione dei parametri di rischio............ 15 • Rif.: 5.4 Quantificazione dei parametri di rischio Nota 10................... 15 • Rif. Pag. 41, 42 - 5.4.2 Probabilità di default: .................................. 16 • Rif. Pag. 43 - 5.4.3 Tasso di perdita in caso di default - LGD tasso di sconto per l’attualizzazione: ................................................................. 17

Criteri specifici per le esposizioni verso imprese, enti, amministrazioni centrali e banche centrali .................................................................. 19

• Rif.: Pag. 47 – 5.4.4 Fattori di conversione creditizia......................... 19 Criteri specifici per le esposizioni verso imprese, enti, amministrazioni centrali e banche centrali .................................................................. 20

• Rif.: Pag. 52 – 5.7 Utilizzo di modelli di fornitori esterni..................... 20 • Rif.: pag. 55 par. 6.1 Perdita in caso di default (metodo avanzato) ..... 21 • Rif.: Pag. 61 – 6.2.1 Garanti (o venditori di protezione) ammessi ....... 21 • Rif.: pag. 62, par. 6.2.5 Metodologia di calcolo dell’effetto di double default .............................................................................................. 22 • Rif.: pag. 64, Riquadro 6.1 Esposizioni connesse con finanziamenti specializzati: ponderazione di favore...................................................... 22 • 6.4 Esposizioni al dettaglio ............................................................ 23 • Rif.: 6.5: Esposizioni in strumenti di capitale: esclusioni dal metodo IRB (pag. 67)........................................................................................... 24 • Rif.: pag. 71,- 72, paragrafo 6.61 e 6.62. Metodo della scomposizione integrale e metodo del fattore di ponderazione........................................ 25 • Rif.: 6.6.1 Metodo della scomposizione integrale (pag. 71) ................ 25 • Rif.: 7.2.1 La presentazione della domanda di autorizzazione (pag. 79 ) 26 • Rif.: 7.3 Estensione progressiva del metodo IRB (Pag. 80)................. 26 • Rif.: 7.3.1 Le condizioni per l’estensione progressiva del metodo IRB (pag. 81)........................................................................................... 26

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• 7.4 Utilizzo parziale permanente del metodo standardizzato............... 27 Riquadri ............................................................................................... 28 • Riquadro 2.1 Riscadenzamento ...................................................... 28 • Riquadro 2.2 Esposizioni al dettaglio: default per controparte o per transazione........................................................................................ 30 • Riquadro 4.1 Requisito dell’integrità: alcune ipotesi organizzative ....... 30 • Riquadro 5.1 Distribuzione delle esposizioni per gradi o aggregati (pool) 32 • Riquadro 5.2 Stima della PD e prociclicità ........................................ 32 • Riquadro 5.3 Dati relativi a recuperi non definitivi............................. 33 • Riquadro 5.4 “Downturn” LGD ....................................................... 33 • Riquadro 6.4 Definizione di “diversificazione” ................................... 33 • Riquadro 7.1 Risultati del “calcolo parallelo”..................................... 33

Quesiti ................................................................................................. 33 • Trattamento esposizioni coperte da ipoteca su immobili residenziali e loro allocazione nei portafogli regolamentari ................................................. 33 • 3.3.1 Esposizioni connesse con finanziamenti specializzati ................. 33 • 3.4 Esposizioni creditizie al dettaglio............................................... 33 • 3.5. Esposizioni in strumenti di capitale........................................... 33 • 4.4.2 Controlli di secondo livello. La validazione interna..................... 33 • 4.5 Le specificità dei sistemi IRB nell’ambito del gruppo bancario........ 33 • 5.3 Uso delle prove di stress per la valutazione dell’adeguatezza patrimoniale....................................................................................... 33 • 5.4 Quantificazione dei parametri di rischio...................................... 33 • 5.4.2 Probabilità di default ............................................................ 33 • 5.4.3 Tasso di perdita in caso di default .......................................... 33 • 5.5–Validazione dei modelli di rating e delle stime dei parametri di rischio 33 • 5.7– Utilizzo di modelli di fornitori esterni........................................ 33 • 6.1 - Regole di ponderazione – Probabilità di default ......................... 33 • 6.1 - Regole di ponderazione - Operazioni pronti contro termine su titoli e merci ed altre operazioni assimilate....................................................... 33 • 6.1 - Regole di ponderazione - scadenza ......................................... 33 • 6.2.1 Garanti (o venditori di protezione) ammessi ............................ 33 • 7. Procedura di autorizzazione ....................................................... 33 • 7.3 Estensione progressiva del metodo IRB (pag.80) ........................ 33 • 7.3.1 Le condizioni per l’estensione progressiva del metodo IRB (pag. 81) 33 • 7.3.1 Le condizioni per l’estensione progressiva del metodo IRB (pag. 81) 33 • 7.4 Utilizzo parziale permanente del metodo standardizzato............... 33 • Riquadro 4.1 Requisito dell’integrità: alcune ipotesi organizzative ....... 33 • Riquadro 5.1 Distribuzione delle esposizioni per gradi o aggregati (pool) 33 • Riquadro 5.2 Stima della PD e prociclicità ........................................ 33 • Allegato 4 –“Scheda modello”- cap. 8.4 Interventi di modifica del modello 33

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Premessa

Gli Uffici dell’ABI, al fine di elaborare la posizione del sistema bancario italiano con riferimento al Documento di consultazione pubblicato dalla Banca d’Italia nel mese di agosto, hanno raccolto dagli Associati i diversi punti di vista e le diverse proposte sugli aspetti trattati nello stesso. Sulla base delle osservazioni pervenute è stato predisposto dall’ABI l’allegato Position Paper che si suddivide in tre parti. La prima è composta da emendamenti al testo, la seconda da specifiche osservazioni sui riquadri del documento oggetto di consultazione, la terza da quesiti su alcune questioni di interesse rilevante Il sistema bancario italiano esprime apprezzamento per l’opportunità offerta dalla Banca d’Italia di commentare tali documenti interlocutori e rimane in attesa della analoga procedura di consultazione per le Istruzioni di Vigilanza definitive. In appendice si allegano i commenti predisposti dall’Associazione Italiana Leasing (ASSILEA) e dall’Associazione Italiana per il Factoring (ASSIFACT) per i rispettivi ambiti di interesse. Le osservazioni dell’Associazione Italiana del Credito al Consumo e Immobiliare (ASSOFIN) sono state incorporate nel presente Position Paper. Tra le considerazioni di carattere generale, si ritiene che uno degli argomenti più importanti dal punto di vista metodologico del documento di consultazione, riguardi la stima della LGD. Tra le varie questioni che sono state sollevate nel presente position paper, si ricorda quella di rendere nota, nella formula per il calcolo della downturn LGD, la metodologia di determinazione dei parametri, la cui calibrazione dovrebbe però essere effettuata caso per caso nell’ambito della flessibilità concessa al regulator a valere sul Pillar II. Su questo specifico tema sarebbe auspicabile un supplemento di analisi e di scambio di opinioni ed esperienze tra banche e Autorità di Vigilanza. Sembrerebbe, inoltre, ravvisarsi un profilo di criticità connesso al disallineamento tra le disposizioni di recepimento della nuova regolamentazione prudenziale internazionale e la disciplina in materia di IAS/IFRS, poiché il metodo di svalutazione previsto dagli IAS/IFRS, non ammettendo l’immediata deducibilità del fondo svalutazione crediti, determina un indebito ampliamento dei requisiti e quindi dei costi di patrimonializzazione. In tema di requisiti organizzativi, si ritiene che la collocazione a livello aziendale di funzioni strategiche di controllo, in particolare l’unità di validazione interna, dovrebbe essere valutata con la maggiore flessibilità possibile tenendo

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adeguatamente conto delle specificità e delle complessità aziendali, nonché delle competenze disponibili. Riteniamo altresì opportuno evidenziare che l’impostazione adottata nello schema di Istruzioni per le esposizioni in Private Equity è di non distinguere il rischio tra un investimento diretto delle singole banche e un investimento in OICR che investe in private equity1. Viene infatti previsto per tali esposizioni un fattore di ponderazione pari al 190% (relativamente al metodo della ponderazione semplice). Analoga ponderazione è prevista nel caso di esposizione verso OICR (relativamente al metodo della scomposizione integrale). Tale impostazione, derivante dalla Direttiva comunitaria, non risponde ad una logica di mercato. Un investimento in OICR dovrebbe essere ponderato diversamente rispetto ad un investimento diretto della banca in quanto:

• investe in un portafoglio di società generalmente operanti in settori diversi;

• rispetta i limiti prudenziali di concentrazione fissati dalla Banca d’Italia che prevedono un limite compreso tra il 15% e il 20% del totale investito su una singola partecipazione;

• è gestito da una società specializzata (SGR) con un team di professionisti dedicati che spesso hanno un track record di performance su investimenti passati dello stesso tipo.

A ciò aggiungasi che l’investimento in un OICR evita alla banca di cumulare un rischio di credito ed un rischio di capitale verso una stessa impresa laddove la banca, come spesso accade, è anche finanziatrice dell’impresa. Come ultimo punto di interesse si vuole sottolineare che, al fine di evitare ingiustificate asimmetrie tra intermediari, si rinnova la richiesta già avanzata nel precedente position paper sul metodo standardizzato, di prevedere la possibilità anche per gli intermediari finanziari ex art. 107 TUB che non appartengano a gruppi bancari di adottare a livello individuale il metodo dei rating interni (IRB) per il calcolo dei requisiti patrimoniali a fronte del rischio di credito, alle medesime condizioni previste per le banche.

1 Ciò vale sia nel caso di adozione del metodo dei rating interni (in esame) sia nel caso di adozione del metodo standardizzato.

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Emendamenti al testo

• Rif.: pag. 5, par. 2.3 Perdita attesa e perdita inattesa

Testo originario: “La perdita attesa (Expected Loss, EL) rappresenta, in termini percentuali, la perdita che in media si manifesta entro un intervallo temporale di un anno su ogni esposizione (o pool di esposizioni) esistente in portafoglio. La EL si calcola per ciascuna esposizione (o pool di esposizioni) come prodotto tra PD di classe (o pool) e LGD. Per i crediti in stato di default la PD è pari a 100%, quindi la EL è pari alla LGD.” Testo emendato: “La perdita attesa (Expected Loss, EL) rappresenta, in termini percentuali, la perdita che in media si manifesta entro un intervallo temporale di un anno su ogni esposizione (o pool di esposizioni) esistente in portafoglio. La EL si calcola per ciascuna esposizione (o pool di esposizioni) come prodotto tra PD di classe (o pool), LGD ed EAD. Per i crediti in stato di default la PD è pari a 100%, quindi la EL è pari alla LGD. LGD EL è pari alla migliore stima della perdita attesa. Le migliori stime della perdita attesa coincidono di norma con le rettifiche analitiche.” Motivazione: la perdita inattesa viene definita come una quantità pari alla perdita eccedente la EL a un livello di confidenza del 99,9 per cento su un orizzonte temporale di un anno. La EL è quindi una quantità ben definita, non espressa in termini percentuali; presumibilmente, la definizione presentata dalla Banca d’Italia nel testo originario è quella del c.d. Expected Loss Rate, pari al prodotto di PD e LGD, che rappresenta la perdita attesa espressa come percentuale dell’EAD; la EL risulta pari al prodotto dell’ Expected Loss Rate e dell’EAD. Nel caso dei crediti in stato di default, per il calcolo della EL è necessario (così come previsto anche nell’Accordo) far riferimento alla best estimate EL (migliore stima della perdita attesa) e non alla downturn LGD. Infatti se così non fosse la banca pagherebbe due volte (poiché a pag. 46 è specificato che le migliori stime della perdita attesa coincidono di norma con le rettifiche analitiche): la prima il requisito patrimoniale a fronte della perdita inattesa, pari alla differenza tra downturn LGD e migliori stime della perdita attesa; la seconda come deduzione dal patrimonio di vigilanza (50% al patrimonio di base e 50% al patrimonio supplementare) dell’eventuale saldo positivo tra perdita attesa e rettifiche di valore nette specifiche e di portafoglio.

• Rif.: 2.4 Definizione di default

Testo originario: …2) la soglia di “rilevanza” è pari al 5% dell’esposizione…

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Testo emendato: 2) la soglia di “rilevanza” è pari al 5% dell’esposizione, ovvero nel caso di approccio per transazione al 5% della transazione Motivazione: Con l’inserimento degli sconfini nella definizione di default sembra plausibile l’adozione di una definizione per transazione, soprattutto per banche che hanno adottato una logica di trattamento dei portafogli di Privati per prodotto. Sarebbe opportuna in tal senso l’applicazione della soglia di rilevanza del 5% a livello di transazione (per evitare di intercettare posizioni minori) e non di controparte, con conseguente classificazione a default della sola transazione in oggetto.

• Rif.: 3 Classi di attività (pag.8)

Testo originario: Le attività del banking book (diverse cioè da quelle allocate nel “portafoglio di negoziazione di vigilanza”) vengono distinte nelle seguenti classi: a) esposizioni creditizie verso amministrazioni centrali e banche centrali; b) esposizioni creditizie verso enti; Testo emendato: : Le attività del banking book (diverse cioè da quelle allocate nel “portafoglio di negoziazione di vigilanza”) vengono distinte nelle seguenti classi: a) esposizioni creditizie verso amministrazioni centrali e banche centrali; b) esposizioni creditizie verso enti istituzioni; Motivazione:Si propone di sostituire il termine “enti” con “istituzioni” in quanto il termine “enti” potrebbe risultare misleading.

• Rif.: pag. 9, par. 3.1 Esposizioni creditizie verso amministrazioni centrali e banche centrali

Testo originario: “In questa classe sono comprese tutte le esposizioni verso amministrazioni centrali e banche centrali così definiti nel metodo standardizzato. Essa include: (i) governi regionali, le autorità locali e gli enti del settore pubblico equiparati a soggetti sovrani nel metodo standardizzato; le banche multilaterali d sviluppo e le organizzazioni internazionali che soddisfano i criteri per la ponderazione dello 0% nel modello standardizzato (…)” Testo emendato: “In questa classe sono comprese tutte le esposizioni verso amministrazioni centrali e banche centrali così definiti nel metodo standardizzato. Essa include: (i) governi regionali (risultanti da un elenco che la Banca d’Italia provvederà ad aggiornare annualmente), le autorità locali e gli enti del settore pubblico equiparati a soggetti sovrani nel metodo standardizzato; le banche multilaterali d sviluppo e le organizzazioni internazionali che soddisfano i criteri per la ponderazione allo 0% nel modello standardizzato (…).”

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Motivazione: Nel novero dei governi regionali che possono essere ricompresi nell’ambito dell’esposizioni verso amministrazioni e banche centrali andrebbero ricompresse tutte le Regioni italiane. Queste difatti rispettano tutti i requisiti previsti dalla Direttiva - e dal documento di consultazione della Banca d’Italia sul metodo standardizzato – per il riconoscimento delle relative esposizioni nell’ambito del portafoglio sovereign: le amministrazioni regionali hanno infatti specifici poteri di amministrazione fiscale ed assetti istituzionali tali da rendere le loro probabilità di insolvenza simili a quelle dello Stato italiano.

• Rif.: 3.4 Esposizioni creditizie al dettaglio (pag. 11)

Testo originario: “Esposizioni garantite da ipoteca su immobili residenziali: ai fini della individuazione di tale sottoclasse di attività valgono le medesime regole previste per il metodo standardizzato (cfr. relativo documento per la consultazione).” Testo emendato: Esposizioni garantite da ipoteca su immobili residenziali: ai fini della individuazione di tale sottoclasse di attività valgono le medesime regole previste per il metodo standardizzato (cfr. relativo documento per la consultazione). Sono compresi all’interno di questa sottoclasse anche i crediti verso imprese garantiti da ipoteca su immobili residenziali. A questi ultimi può essere assegnata la probabilità d’insolvenza di controparte. Motivazione: Dal testo sembra evincersi che anche i crediti verso imprese garantiti da ipoteca su immobili residenziali vengano incluse nel segmento “Esposizioni creditizie al dettaglio”. Di conseguenza sorgerebbe il problema dell’associazione di una probabilità d’insolvenza per rapporto, ad esempio per una controparte corporate cui è di solito associata una probabilità d’insolvenza per cliente. Si richiede di precisare l’ambito di riferimento.

* * * * Testo originario: “Esposizioni verso piccole imprese e piccoli operatori economici, a condizione che:

- l’esposizione totale (per cassa e “fuori bilancio”) della banca o del gruppo bancario nei confronti della piccola impresa o del piccolo operatore economico (o del gruppo di clienti connessi), ivi compresi i prestiti concessi per finalità personali, sia inferiore – in termini di accordato (ovvero utilizzato, se maggiore) - a €1 milione, al netto delle esposizioni (per cassa e “fuori bilancio”) garantite da ipoteca su immobili residenziali; per le forme tecniche che prevedono piani di ammortamento la verifica del rispetto della suddetta soglia va effettuata con riferimento agli importi originari; (omissis)”

Testo emendato: “Esposizioni verso piccole imprese e piccoli operatori economici, a condizione che:

- - l’esposizione totale (per cassa e “fuori bilancio”) della banca o del gruppo bancario nei confronti della piccola impresa o del piccolo

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operatore economico (o del gruppo di clienti connessi), ivi compresi i prestiti concessi per finalità personali, sia inferiore – in termini di accordato (ovvero utilizzato, se maggiore) - a €1 milione, al netto delle esposizioni (per cassa e “fuori bilancio”) garantite da ipoteca su immobili residenziali; per le forme tecniche che prevedono piani di ammortamento la verifica del rispetto della suddetta soglia va effettuata con riferimento agli importi originari agli importi residui in essere alla data di segnalazione; (omissis)”

Motivazione: Un simile dettame non è conforme con le prassi gestionali e con le metodologie di monitoraggio andamentale correntemente adottate dalle banche. Con specifico riferimento alle esposizioni rateali, è prassi comune definire quale importo “accordato” il debito residuo risultante da piano di ammortamento e quale importo “utilizzato” il debito residuo effettivo. Un eventuale “sconfino” non è niente altro che il differenziale positivo tra l’utilizzato e l’accordato. Si ritiene che la formulazione non abbia nessun senso economico in quanto un mutuo che sia giunto alla quasi estinzione peserebbe, se di stesso importo originario, come uno appena acceso; artificialmente gonfiando l’utilizzato della controparte. Tale impostazione sembrerebbe in palese contrasto con l’Accordo che prevede l’adozione di curve di ponderazione più favorevoli verso le piccole e medie imprese, mentre l’impiego di tale norma potrebbe portare ad un innalzamento del costo del credito per le stesse sia via l’adozione di una ponderazione sfavorevole sia per la necessità di utilizzare più intermediari finanziari. Si segnala, infine, che la versione che fa riferimento agli importi originari, che dovrebbe essere stata introdotta al fine di limitare la variabilità del fenomeno dei passaggi tra “retail” e non, genera comunque movimenti di segmento regolamentare quando la controparte stipuli nuovi contratti in sostituzione di finanziamenti ormai prossimi alla scadenza naturale, qualora la somma delle nuove erogazioni con quanto erogato in passato (e prossimo alla chiusura naturale) determini il superamento della soglia di rilevanza”.

* * * *

Testo originario: “Esposizioni verso piccole imprese e piccoli operatori economici”

Testo emendato: “Esposizioni verso piccole e medie imprese e piccoli operatori economici”

Motivazione: per omogeneità con il resto della normativa di riferimento (cfr. pag. 61 del documento 6.2.2 “esposizioni verso piccole o medie imprese classificate tra le esposizioni al dettaglio”).

• Rif.: pag. 12, par. 3.4 Esposizioni al dettaglio

Testo originario: (…) All’interno delle esposizioni al dettaglio si distinguono tre sottoclassi:

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(i) esposizioni garantite da immobili residenziali; (ii) esposizioni rotative al dettaglio; (iii) altre esposizioni al dettaglio.

Un’esposizione può rientrare nella categoria delle esposizioni rotative al dettaglio qualificate se sono soddisfatti i seguenti criteri: (…) d) la banca dimostra che l’esposizione rientra in una tipologia di portafoglio che presenta una bassa volatilità dei tassi di perdita in relazione al livello medio di tali tassi, in particolare all’interno delle fasce basse di PD. La valutazione del livello di volatilità relativa dei tassi di perdita va effettuata per confronto con le evidenze relative alla sottoclasse (iii). (…) Testo emendato: : All’interno delle esposizioni al dettaglio si distinguono tre sottoclassi:

(i) esposizioni garantite da immobili residenziali; (ii) esposizioni rotative al dettaglio; (iii) altre esposizioni al dettaglio.

Un’esposizione può rientrare nella categoria delle esposizioni rotative al dettaglio qualificate se sono soddisfatti i seguenti criteri: (…) d) la banca dimostra che l’esposizione rientra in una tipologia di portafoglio che presenta una bassa volatilità dei tassi di perdita in relazione al livello medio di tali tassi, in particolare all’interno delle fasce basse di PD. La valutazione del livello di volatilità relativa dei tassi di perdita va effettuata per confronto con le evidenze relative alla sottoclasse (iii) (ii). (…) Motivazione: La proposta della Banca d’Italia prevede che il benchmark che deve essere considerato per valutare la volatilità del tasso di perdita del comparto dei crediti al dettaglio debba essere il “subportafoglio” di “altre esposizioni al dettaglio”. Al riguardo, è opportuno rilevare che nel portafoglio “altre esposizioni al dettaglio” rientrano i finanziamenti alle PMI che presentano livelli di volatilità dei tassi di perdita significativamente differenti rispetto alle esposizioni revolving (segnatamente carte di credito rotative). Pertanto utilizzare questo subportafoglio per monitorare il livello di variazioni di perdita delle esposizioni revolving finirebbe per essere fuorviante e non coerente con le normali best practice bancarie di gestione efficiente del rischio di credito. Inoltre, tale ipotesi non risponde a quanto disposto dall’Allegato VII, parte 1, punto 13, della Direttiva Europea che più opportunamente fa riferimento a sub portafogli retail rotativi. Si propone quindi di recepire il disposto della Direttiva Europea.

• Rif.: pag.15, par. 3.8 Crediti commerciali acquistati

Testo originario: “In relazione a quanto precede, i contratti stipulati con il cliente cedente prevedono la possibilità per la banca di effettuare, in proprio o tramite una società di revisione, accessi in loco al fine di effettuare i controlli di cui sopra. I risultati di questi riesami sono documentati.”

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Testo emendato: In relazione a quanto precede, i contratti stipulati con il cliente cedente prevedono la possibilità per la banca di effettuare, in proprio o tramite una società di revisione, accessi in loco al fine di effettuare i controlli di cui sopra. Nei confronti di controparti di elevato standing che per prassi non concedono alle banche / intermediari finanziari accessi in loco, i contratti devono prevedere obblighi informativi puntuali a favore della banca / intermediario finanziario. I risultati di questi riesami e flussi informativi sono documentati. Motivazione: Nella prassi operativa corrente le controparti primarie riescono a ottenere l’esclusione della clausola di “accesso in loco” sostituendola con obblighi informativi. La proposta di emendamento rende più flessibile la possibilità per banche / intermediari finanziari di monitorare il rischio garantendo allo stesso tempo l’efficacia dell’attività di controllo.

• Rif.: pag.22, par. 4.2.1 Il processo di attribuzione del rating - iv) integrità del processo di attribuzione del rating

Testo originario: La problematica relativa al rispetto del requisito organizzativo dell’integrità del processo di attribuzione del rating si pone nei casi in cui viene lasciato spazio all’intervento umano nell’attribuzione definitiva del rating. In tali ipotesi le banche devono promuovere e rafforzare l’autonomia del processo di rating predisponendo ogni cautela per far sì che l’attribuzione dei rating e la loro revisione periodica siano compiute o approvate da soggetti che non traggono "diretti benefici" dalla concessione del credito. Ciò al fine di evitare che il giudizio finale prodotto dal sistema IRB sia condizionato dai possibili interessi di cui possono essere portatori i soggetti responsabili dell’attribuzione definitiva del rating. ..omissis.. L’obiettivo dell’integrità del processo richiede pertanto l’adozione di soluzioni organizzative incentrate sul criterio-guida della netta separazione tra le funzioni di delibera del fido e quelle di attribuzione definitiva del rating. Il principio di separatezza deve essere assicurato anche nei casi in cui coesistano in capo ad un medesimo soggetto - destinatario di incentivi retributivi correlati all’andamento dei volumi erogati - compiti di sviluppo commerciale e responsabilità di attribuzione definitiva del rating. Testo emendato: La problematica relativa al rispetto del requisito organizzativo dell’integrità del processo di attribuzione del rating si pone nei casi in cui viene lasciato spazio all’intervento umano nell’attribuzione definitiva del rating. In tali ipotesi le banche devono promuovere e rafforzare l’autonomia del processo di rating predisponendo ogni cautela per far sì che l’attribuzione dei rating e la loro revisione periodica siano compiute o approvate da soggetti che non traggono "diretti benefici" dalla concessione del credito ovvero assicurano le opportune misure cautelative volte a escludere i conflitti di interesse della specie. Ciò al fine di evitare che il giudizio finale prodotto dal sistema IRB sia

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condizionato dai possibili interessi di cui possono essere portatori i soggetti responsabili dell’attribuzione definitiva del rating. ..omissis.. L’obiettivo dell’integrità del processo richiede pertanto l’adozione di soluzioni organizzative incentrate sul criterio-guida della netta separazione tra le funzioni di delibera del fido e quelle di attribuzione definitiva del rating. Il principio di separatezza deve essere assicurato anche nei casi in cui coesistano in capo ad un medesimo soggetto - destinatario di incentivi retributivi correlati all’andamento dei volumi erogati - compiti di sviluppo commerciale e responsabilità di attribuzione definitiva del rating. L’applicazione del principio di integrità ed il soddisfacimento del requisito della separatezza sono da intendersi per i portafogli retail meno stringenti rispetto agli altri portafogli. Avuta considerazione delle dimensioni e della complessità organizzativa della banca, della tipologia dei portafogli coinvolti nonché dell’impostazione complessiva del sistema di rating, l’ammissione di soluzioni organizzative che prevedano la coesistenza in capo a un medesimo soggetto di compiti di delibera e/o di sviluppo commerciale e di assegnazione del rating risultano condizionate dall’adozione di opportune misure cautelative da parte dell’intermediario sul piano procedurale e organizzativo. Motivazione: il paragrafo che sancisce l’applicazione del principio di integrità ed il soddisfacimento del requisito della separatezza secondo criteri meno stringenti per i portafogli retail, è stato introdotto per tenere conto dell’elevato frazionamento dei suddetti portafogli a fronte di un alto impatto a livello commerciale e organizzativo per la banca. Con l’aggiunta del secondo paragrafo si intende ammettere, coerentemente alla dimensione e alla complessità dell’intermediario, la possibilità di definizione di adeguate soluzioni organizzative che assicurino l’integrità del processo senza richiedere la duplicazione all’interno della banca di funzioni o fasi valutative. Tali soluzioni prevedono il coinvolgimento di figure quali organi deliberanti o con funzione anche commerciale nella attribuzione del rating (per esempio nelle fasi di compilazione dei questionari qualitativi sulla controparte ovvero di correzione al giudizio di rating espresso dal modello statistico (override)). Inoltre consentono di apportare allo stesso rating del contributo informativo di soggetti con forte competenza in ambito creditizio o con conoscenza della controparte. Tuttavia assicurano al contempo il controllo degli interventi apportati dalle figure suddette e, nei casi in cui il loro intervento sia determinante, la ratifica di questo da parte di altri organi.

• Rif: 4.4.2 Controlli di secondo livello. La validazione interna. (pag. 28)

Testo originario: La responsabilità della validazione fa capo a una struttura indipendente che può se del caso avvalersi, per lo svolgimento di talune attività, dell’apporto di altre unità operative; detta struttura può essere eventualmente già responsabile di funzioni di controllo di secondo livello su altre aree operative.

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Testo emendato: La responsabilità della validazione fa capo a una struttura funzione indipendente che può se del caso avvalersi, per lo svolgimento di talune attività, dell’apporto di altre unità operative; detta struttura può essere eventualmente già responsabile di funzioni di controllo di secondo livello su altre aree operative. In considerazione delle proprie peculiarità dimensionali e operative, della rischiosità dei portafogli gestiti, dell’impostazione complessiva del sistema di rating nonché dei molteplici profili professionali richiesti in rapporto alla struttura organizzativa, è riconosciuta la discrezionalità all’intermediario di affidare la funzione di validazione a strutture organizzative diverse, già presenti nella banca (es. risk management, sistemi informativi, organizzazione), purché il processo di validazione venga ricondotto a unità mediante la nomina di un responsabile che coordini e sovrintenda alle diverse attività, anche attraverso la predisposizione di un apposito programma. Motivazione: al fine di assicurare un maggior grado di neutralità della normativa circa i differenti e possibili assetti organizzativi delle banche, si chiede di sostituire il termine “struttura” con il termine “funzione” intendendosi per tale il presidio di un processo, riconducibile a sua volta ad una o anche più entità organizzative, purché sufficientemente coordinate tra di loro nonché gerarchicamente ed operativamente indipendenti, secondo i criteri indicati nel documento. Inoltre, in generale, si suggerirebbe di riferire i requisiti richiesti più al processo di validazione interna che ad una struttura aziendale, in quanto una pluralità di soluzioni organizzative potrebbero egualmente soddisfare i requisiti (di indipendenza, ecc.), senza ricorrere ad una segregazione in una apposita unità. Con l’aggiunta dell’ultimo paragrafo si intende ammettere esplicitamente per gli intermediari, in relazione alla dimensione e alla complessità, la possibilità di prevedere delle soluzioni organizzative più consone, che evitino la creazione di strutture dedicate ed autonome, ricorrendo invece a risorse già impiegate nelle fasi di sviluppo, assicurando tuttavia un più stringente controllo degli organi di terzo livello.

• Rif.: 4.7 L’utilizzo del sistema di rating (Pag. 32)

Testo originario: “Per le banche che adottano il metodo IRB avanzato o il metodo IRB per le esposizioni al dettaglio andrà verificato che le modalità di utilizzo anzidette si estendano anche alle stime interne di LGD e CCF.” Testo emendato: “Per le banche che adottano il metodo IRB avanzato o il metodo IRB per le esposizioni al dettaglio andrà verificato che le modalità di utilizzo anzidette si estendano anche alle stime interne di LGD e CCF, riducendo il limite minimo di rispetto del requisito di esperienza all’anno precedente il rilascio del provvedimento di autorizzazione.”

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Motivazione: Si richiede di portare l’orizzonte temporale di utilizzo gestionale di LGD e CCF per l’IRB avanzato ad un anno prima del provvedimento di autorizzazione, possibilità emersa nel corso degli incontri tenutisi.

* * * *

Testo originario: “Tale requisito di esperienza deve essere rispettato nei tre anni precedenti il rilascio del provvedimento; il limite minimo di 3 anni viene ridotto ad un anno (nel metodo IRB di base e per la classe delle esposizioni al dettaglio) ovvero due anni (per quanto riguarda il metodo IRB avanzato) per le richieste di convalida presentate entro il 31 dicembre 2009.” Testo emendato: “Tale requisito di esperienza deve essere rispettato nei tre anni precedenti il rilascio del provvedimento di autorizzazione; il limite minimo di 3 anni viene ridotto ad un anno (nel metodo IRB di base e per la classe delle esposizioni al dettaglio) ovvero due anni (per quanto riguarda il metodo IRB avanzato) per le richieste di convalida presentate entro il 31 dicembre 2009.” Motivazione: Senza la specificazione aggiunta poteva intendersi il rilascio delle Istruzioni Bankit.

• Rif.: 4.8.2 – Sistema informativo aziendale – Pag. 34

Testo originario: “Le procedure operative devono essere integrate con il modulo di calcolo del rating in modo da consentire un’adeguata gestione del processo di attribuzione, approvazione e revisione del punteggio dei singoli debitori o dei pool di crediti, compreso il ricorso ad override. Qualora siano rilevate modifiche rilevanti rispetto ai dati su cui è stato calcolato il rating corrente, e comunque con cadenza almeno annuale, il programma deve proporre una revisione del merito di credito.” Testo emendato: “Le procedure operative devono essere integrate con il modulo di calcolo del rating in modo da consentire un’adeguata gestione del processo di attribuzione, approvazione e revisione del punteggio dei singoli debitori o dei pool di crediti, compreso il ricorso ad override. I processi interni devono garantire che, qualora siano rilevate modifiche rilevanti rispetto ai dati su cui è stato calcolato il rating corrente, e comunque con cadenza almeno annuale, il programma deve proporre una sia effettuata una revisione del merito di credito” Motivazione: L’esplicito riferimento alla predisposizione di un programma che di sua iniziativa richieda una revisione del merito di credito di ciascuna controparte ogni anno e ad ogni variazione significativa dello stesso pare eccessivamente onerosa nonché, francamente, irrealizzabile. Se un programma automatico è infatti in grado di proporre una revisione annua, non è però in grado di proporre la stessa al succedere di modifiche rilevanti nei dati che compongono il modello di rating (esempio: notizie qualitative rilevanti tali da modificare sostanzialmente il merito di credito dell’azienda).

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La modifica proposta ha pertanto lo scopo di “trasferire” l’obbligo di revisione puntuale da un programma IT alle normative e ai processi interni, con evidente vantaggio in termini di garanzia di conformità con i requisiti minimi.

• Rif.: pag. 39, par. 5.4 Quantificazione dei parametri di rischio

Testo originario: “(…) Le stime di PD, LGD, e CFF possono comportare errori inattesi; pertanto, al fine di evitare valutazioni troppo ottimistiche, le banche devono incorporare nelle proprie misurazioni un fattore di cautela commisurato al prevedibile margine di errore. Nei casi in cui le metodologie e i dati sono meno soddisfacenti e il presumibile margine di errore più ampio, la cautela deve essere maggiore. (…)” Testo emendato: “(…) Le stime di PD, LGD, e CFF possono comportare errori inattesi; pertanto, al fine di evitare valutazioni troppo ottimistiche, le banche devono incorporare nelle proprie misurazioni un fattore di cautela commisurato al prevedibile margine di errore. Nei casi in cui le metodologie e i dati sono meno soddisfacenti e il presumibile margine di errore più ampio, la cautela deve essere maggiore. (…)” Motivazione: La proposta di Banca d’Italia non è coerente con i contenuti della Direttiva che non richiedono un incremento delle PD, LGD ed CCF computate al fine di compensare eventuali errori di valutazione. Nel documento, peraltro sono già previste altre disposizioni cautelative.

• Rif.: 5.4 Quantificazione dei parametri di rischio Nota 10

Testo originario: Ai fini della stima dei parametri di rischio, data l’attuale rilevanza del fenomeno dei past-due cd. “tecnici” (non rappresentativi di un effettivo stato di difficoltà finanziaria del debitore tale da generare perdite), è preferibile – almeno nella prima fase di applicazione della disciplina – non includere i suddetti past-due tra i default. Testo emendato: Ai fini della stima dei parametri di rischio, data l’attuale rilevanza del fenomeno dei past-due cd. “tecnici” (non rappresentativi di un effettivo stato di difficoltà finanziaria del debitore tale da generare perdite), è preferibile – almeno nella prima fase di applicazione della disciplina – non includere i suddetti past-due tra i default. Motivazione: Per dare forza all’inclusione del concetto di past due economico è stato eliminato nella parentesi “….tale da generare perdite”. Si richiede, inoltre, se sia possibile definire un criterio oggettivo proxy per la definizione dei past-due tecnici, al fine di procedere con una classificazione automatica degli stessi.

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• Rif. Pag. 41, 42 - 5.4.2 Probabilità di default:

Testo originario: La quantificazione della PD associata a ciascuna classe di rating avviene concettualmente in due stadi: in una prima fase la banca assegna ciascuna controparte ad una classe di rating, definita sulla base di criteri espliciti e formalizzati; in una fase successiva la banca determina una PD per ciascuna classe di rating, che dovrà essere assegnata a ciascuna controparte inclusa nella stessa classe di rating. Testo emendato: La quantificazione della PD associata a ciascuna classe di rating avviene concettualmente in due stadi: ad esempio in una prima fase la banca assegna ciascuna controparte ad una classe di rating, definita sulla base di criteri espliciti e formalizzati; in una fase successiva la banca determina una PD per ciascuna classe di rating, che dovrà essere assegnata a ciascuna controparte inclusa nella stessa classe di rating. Motivazione: Si osserva che la metodologia descritta nel presente paragrafo non è la sola percorribile per la quantificazione della PD per ciascuna classe di rating. A tal fine si richiede di indicare tale metodo solo a fini esemplificativi.

* * * *

Testo originario: “A prescindere dal fatto che la banca impieghi fonti informative interne, esterne, condivise o una loro combinazione, al momento della richiesta di convalida il periodo storico di osservazione di almeno una fonte ai fini della stima della PD deve avere una durata minima di due anni per il metodo di base, che aumenta poi di un anno ogni anno, fino a quando i dati pertinenti coprono un periodo pari ad almeno cinque anni.” Testo emendato: “A prescindere dal fatto che la banca impieghi fonti informative interne, esterne, condivise o una loro combinazione, al momento della richiesta di convalida il periodo storico di osservazione di almeno una fonte ai fini della stima della PD deve avere una durata minima di due anni per il metodo di base e IRB retail, che aumenta poi di un anno ogni anno, fino a quando i dati pertinenti coprono un periodo pari ad almeno cinque anni. Motivazione: La CRD nell’annex VII, parte 4 para71 prevede, nella sezione delle Esposizioni al dettaglio: “Gli Stati membri possono autorizzare gli enti creditizi ad utilizzare dati pertinenti che coprono un periodo di due anni quando applicano il metodo basato sui rating interni. Il periodo da coprire aumenta di un anno ogni anno, fino a quando i dati pertinenti coprono un periodo pari a cinque anni.” La deroga temporale sui 2 anni dovrebbe essere estesa quindi non solo all’IRB base, ma anche all’IRB retail.

* * * *

Testo originario: “Anche per i crediti al dettaglio valgono gli stessi criteri di lunghezza delle serie storica da utilizzare per la stima della PD.”

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Testo emendato: “Anche per i crediti al dettaglio valgono gli stessi criteri di lunghezza delle serie storica da utilizzare per la stima della PD nell’ambito del metodo IRB di base.” Motivazione: Per fugare dubbi, si richiede di esplicitare che per il calcolo della PD riferita ai crediti al dettaglio vale la regola dei due anni iniziali di profondità della serie storica nell’ambito del metodo IRB di base

• Rif. Pag. 43 - 5.4.3 Tasso di perdita in caso di default - LGD tasso di sconto per l’attualizzazione:

Testo originario: “L’effetto di attualizzazione va considerato nelle stime mediante la scelta di un tasso di sconto dei flussi basata sui seguenti criteri: − il tasso di sconto ...; − quando i flussi di recupero sono incerti, il calcolo del valore attuale deve

riflettere sia il valore monetario del tempo sia il rischio non diversificabile insito nella volatilità dei flussi di recupero mediante l’individuazione di un premio al rischio adeguato;”

Testo emendato: “L’effetto di attualizzazione va considerato nelle stime ad eccezione di quelle ottenute sui recuperi storici,mediante la scelta di un tasso di sconto dei flussi basata sui seguenti criteri: − il tasso di sconto …; − per le “posizioni non chiuse”, quando i flussi di recupero sono incerti, il

calcolo del valore attuale deve riflettere sia il valore monetario del tempo sia il rischio non diversificabile insito nella volatilità dei flussi di recupero mediante l’individuazione di un premio al rischio adeguato;

Motivazione: Le stime di LGD su posizioni chiuse per definizione sono effettuate ricorrendo agli incassi effettivamente realizzati e quindi sono “oggettive”. Se con il premio al rischio si intende cogliere l’effetto che quegli incassi sarebbero potuti essere inferiori (o superiori) e che pertanto questa incertezza deve trovare contropartita nel sommare al tasso di attualizzazione una componete per il rischio, si creerebbe una duplicazione con l’effetto colto tramite la downturn LGD.

* * * *

Testo originario: “Si può verificare il caso in cui la LGD osservata per le esposizioni presenti nell’archivio di riferimento assuma un valore negativo (recupero superiore all’importo nominale dell’esposizione in default), ad esempio in presenza di un tasso di attualizzazione dei flussi finanziari più basso rispetto al livello assunto dal tasso effettivo, comprensivo delle altre componenti di ricavo spettanti alla banca. Al riguardo, gli archivi di riferimento mantengono evidenza delle LGD osservate negative; resta comunque fermo che le stime di LGD devono essere non

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negative e che le banche dimostrano alla Banca d’Italia l’accuratezza e la solidità del processo di stima adottato, specie quando i valori stimati siano particolarmente bassi o pari a zero. Occorre anche illustrare i principali fattori che hanno determinato tali valori.” Testo emendato: “Si può verificare il caso in cui la LGD osservata per le singole esposizioni presenti nell’archivio di riferimento assuma un valore negativo (recupero superiore all’importo nominale dell’esposizione in default), ad esempio in presenza di un tasso di attualizzazione dei flussi finanziari più basso rispetto al livello assunto dal tasso effettivo, comprensivo delle altre componenti di ricavo spettanti alla banca. Al riguardo, gli archivi di riferimento mantengono evidenza delle LGD osservate negative; resta comunque fermo che le stime di LGD media devono essere non negative e che le banche dimostrano alla Banca d’Italia l’accuratezza e la solidità del processo di stima adottato, specie quando i valori stimati siano particolarmente bassi o pari a zero. Occorre anche illustrare i principali fattori che hanno determinato tali valori.” Motivazione: Sarebbe opportuno che l’Organo di Vigilanza permettesse di poter rilevare i casi singoli in cui la LGD risulta negativa, fermo restando che la LGD media del pool di crediti non possa risultare negativa. Mantenere i valori negativi della LGD dei casi singoli ha l’effetto di ridurre maggiormente LGD media del pool rispetto a porli pari a zero.

* * * * Testo originario: Nello stimare la LGD le banche tengono conto delle caratteristiche delle esposizioni (dimensione, forma tecnica, garanzie, settore economico, ecc.), Testo emendato: Nello stimare la LGD le banche tengono conto delle caratteristiche delle esposizioni (dimensione, forma tecnica, garanzie, settore economico, ecc.), Motivazione:l’inclusione tra i parametri di stima del settore di attività economico può creare problemi di numerosità.

* * * *

Testo originario: ad esempio attraverso modelli multivariati o sulla base della LGD media osservata di lungo periodo (long run default weighted average LGD) per le diverse tipologie di esposizione. Testo emendato: ad esempio attraverso modelli multivariati o sulla base della LGD media osservata di lungo periodo (long run default weighted average LGD) per le diverse tipologie di esposizione operazione.

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Criteri specifici per le esposizioni verso imprese, enti, amministrazioni centrali e banche centrali

Testo originario: “Le banche devono, in ogni caso, impegnarsi a raccogliere dati che, nel tempo, arrivino a coprire un ciclo economico completo.”. Testo emendato: “Le banche devono, in ogni caso, impegnarsi a raccogliere dati che, nel tempo, arrivino a coprire un ciclo economico completo. Le banche non sono tenute ad attribuire uguale importanza ai dati storici se dimostrano che le informazioni più recenti costituiscono un migliore indicatore dei tassi di perdita”. Motivazione: non si ravvede la necessità di limitare tale prescrizione al solo segmento retail, che peraltro prevede l’utilizzo di serie storiche di minore profondità (inizialmente 2 anni rispetto ai 5 degli altri segmenti). Si richiede pertanto di estendere tale possibilità anche al segmento “corporate” ed agli altri. Una simile previsione dovrebbe inoltre essere riportata anche con riferimento alla determinazione dei punti di ancoraggio per la PD.

• Rif.: Pag. 47 – 5.4.4 Fattori di conversione creditizia

Testo originario: “Le stime dei fattori di conversione creditizia (CCF) rispecchiano la possibilità di ulteriori utilizzi del credito da parte del debitore prima e, ove rilevi, dopo il momento in cui si verifica il default. I CCF devono essere espressi in percentuale del margine non utilizzato e non possono essere inferiori a zero; quindi, l’esposizione al momento del default (EAD) non può scendere al di sotto del valore dell’esposizione.” Testo emendato: “Le stime dei fattori di conversione creditizia (CCF) rispecchiano la possibilità di ulteriori utilizzi del credito da parte del debitore prima e, ove rilevi, dopo il momento in cui si verifica il default qualora questi ultimi non siano compresi tra i costi nella stima della LGD. I CCF devono essere espressi in percentuale del margine non utilizzato o dell’incremento complessivo dell’utilizzato quando l’accordato è inferiore all’utilizzato, e non possono essere inferiori a zero; quindi, l’esposizione al momento del default (EAD) non può scendere al di sotto del valore dell’esposizione.” Motivazione: la citata disposizione sembra essere perentoria per quanto riguarda il corporate, contrariamente a quanto previsto dal CEBS (248), che prevede la possibilità di inserire gli utilizzi successivi al default tanto nella stima dei CCF quanto in quella della LGD, e a quanto rappresentato nel corso dei incontri tenutisi. Si richiede pertanto che venga esplicitata la possibilità di inserire gli utilizzi successivi al default anche nella stima di LGD Quanto al secondo inserimento - l’esigenza di riformulazione della definizione di CCF deriva dal fatto che i clienti appartenenti agli speculative grade spesso mostrano la presenza di sconfini o assenza di margini già 12 mesi prima dell’evento default. La possibilità di calcolare il CCF prendendo in considerazione l’incremento complessivo di utilizzato “senza riguardo al limite superiore

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dell’accordato” permetterebbe di calcolare un CCF più coerente con il profilo di rischio di questi clienti.

* * * * Testo originario: Per la stima dei CCF devono essere prese in considerazione le caratteristiche delle esposizioni (dimensione, forma tecnica, rating, settore economico, ecc.), ad esempio attraverso modelli multivariati o sulla base dei CCF medi osservati di lungo periodo per le diverse tipologie di esposizione. Testo emendato: Per la stima dei CCF devono essere prese in considerazione le caratteristiche delle esposizioni (dimensione, forma tecnica – es. classe come da centrale rischi -, rating, settore economico, ecc.), ad esempio attraverso modelli multivariati o sulla base dei CCF medi osservati di lungo periodo per le diverse tipologie di esposizione.

* * * *

Criteri specifici per le esposizioni verso imprese, enti, amministrazioni centrali e banche centrali

Testo originario: …omissis… “Le banche devono, in ogni caso, impegnarsi a raccogliere dati che, nel tempo, arrivino a coprire un ciclo economico completo.” Testo emendato: …omissis… “Le banche devono, in ogni caso, impegnarsi a raccogliere dati che, nel tempo, arrivino a coprire un ciclo economico completo.” Le banche non sono tenute ad attribuire uguale importanza ai dati storici se dimostrano che le informazioni più recenti costituiscono un migliore indicatore degli utilizzi. Motivazione: non si ravvede la necessità di limitare tale prescrizione al solo segmento retail, che peraltro prevede l’utilizzo di serie storiche di minore profondità (inizialmente 2 anni rispetto ai 5 degli altri segmenti). Si richiede pertanto di estendere tale possibilità anche al segmento “corporate” ed agli altri.

• Rif.: Pag. 52 – 5.7 Utilizzo di modelli di fornitori esterni

Testo originario: “Quando l’assegnazione dei rating o l’attribuzione delle posizioni ai pool si basa su modelli quantitativi, le banche li progettano e sviluppano al proprio interno, eventualmente con l’ausilio di collaborazioni esterne, e ne mantengono la proprietà.” …omissis…

- la banca deve essere in grado di garantire il funzionamento e la validazione dei modelli esterni anche nel caso in cui venga interrotto il rapporto professionale con il fornitore esterno;

Testo emendato: “Quando l’assegnazione dei rating o l’attribuzione delle posizioni ai pool si basa su modelli quantitativi, le banche li progettano e sviluppano al proprio interno, eventualmente con l’ausilio di collaborazioni

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esterne, e ne mantengono la proprietà; è comunque ammesso il ricorso a modelli acquisiti da fornitori esterni purché la banca sia in grado di dimostrarne l’idoneità e il rispetto degli stessi obblighi di documentazione richiesti per i modelli interni, anche nel caso in cui quelli esterni si basino su una tecnologia brevettata” …omissis…

- la banca in fase contrattuale deve porre particolare attenzione per salvaguardare deve essere in grado di garantire il funzionamento e la validazione dei modelli esterni anche nel caso in cui venga interrotto il rapporto professionale con il fornitore esterno;

Motivazione: L’accordo di Basilea e il CEBS non prevedono restrizioni all’utilizzo di vendor model. Alcuni dei modelli disponibili incorporano tra i propri componenti anche modelli o score di fornitori esterni aumentando di fatto gli elementi informativi a supporto degli stessi

• Rif.: pag. 55 par. 6.1 Perdita in caso di default (metodo avanzato)

Testo originario: “Le banche che utilizzano il metodo avanzato possono scegliere di riconoscere gli effetti di attenuazione del rischio di credito prodotti da garanzie personali, derivati su crediti ed altre attività assimilate rettificando la PD e/o la LGD, a condizione che siano soddisfatti i pertinenti requisiti minimi.” Testo emendato: Le banche che utilizzano il metodo avanzato possono scegliere di riconoscere gli effetti di attenuazione del rischio di credito prodotti da garanzie personali, derivati su crediti ed altre attività assimilate rettificando la PD e/o la LGD, a condizione che siano soddisfatti i pertinenti requisiti minimi. Motivazione:Nel metodo IRB avanzato la Direttiva prevede specifici requisiti per il riconoscimento ai fini di mitigazione del rischio di credito delle cosiddette unfunded credit protection; spetta infatti alla banca di dimostrare – sulla scorta delle informazioni a disposizione - la capacità della malleva di attenuare il rischio di credito, tanto più se la garanzia venga posta a riduzione della LGD. Si propone pertanto di recepire quanto disposto in materia dalla Direttiva.

• Rif.: Pag. 61 – 6.2.1 Garanti (o venditori di protezione) ammessi

Testo originario: Sono riconosciuti come fornitori di protezione le istituzioni finanziarie soggette a vigilanza, le imprese di assicurazione e di riassicurazione e le agenzie per il credito all'esportazione (ECA). Il garante (o venditore di protezione), che deve avere esperienza e competenza sufficienti in materia di protezione del credito non finanziata, soddisfa le seguenti condizioni: Testo emendato: Sono riconosciuti come fornitori di protezione le istituzioni finanziarie soggette a vigilanza, le imprese di assicurazione e di riassicurazione e le agenzie per il credito all'esportazione (ECA). Il garante (o venditore di protezione), che deve avere esperienza e competenza sufficienti in materia di protezione del credito non finanziata, soddisfa le seguenti condizioni:

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Motivazione: Si propone di eliminare l’inciso “che deve avere esperienza e competenza sufficienti in materia di protezione del credito non finanziata” in quanto si ritiene che le banche, le assicurazioni e le ECA per definizione rispettino il requisito di esperienza.

• Rif.: pag. 62, par. 6.2.5 Metodologia di calcolo dell’effetto di double default

Testo originario: “(…) le banche che applicano le regole del double default devono valutare l’impatto di una eventuale perdita di idoneità da parte del garante nonché l’impatto de default di uno tra debitore e garante, con conseguenti effetti in termini di maggior rischio e requisito di capitale al momento del default”. Testo emendato: “(…) le banche che applicano le regole del double default devono valutare l’impatto di una eventuale perdita di idoneità da parte del garante nonché l’impatto de default di uno tra debitore e garante, con conseguenti effetti in termini di maggior rischio e requisito di capitale al momento del default”. Motivazione: La raccomandazione della Banca d’Italia risulta particolarmente penalizzante e non coerente con quanto disposto dalla Direttiva Europea in materia di double default. Al riguardo, è opportuno rilevare che il dettato comunitario ha già previsto significativi vincoli all’applicazione delle regole del DD. Ipotizzare un possibile aggravio in termini di PD tra garante e obbligato principale finirebbe per rendere inutile l’applicazione del DD ai fini di mitigazione del rischio di credito, privando il sistema bancario italiano di un’ opportunità prevista negli altri paesi europei.

• Rif.: pag. 64, Riquadro 6.1 Esposizioni connesse con finanziamenti specializzati: ponderazione di favore

Testo originario: con riferimento alle esposizioni connesse con finanziamenti specializzati, la direttiva 2006/48/CE prevede che nel caso in cui l’esposizione abbia una durata residua pari o superiore a 2,5 anni, l’Autorità di Vigilanza può autorizzare la banca ad assegnare fattori di ponderazione preferenziali del 50% alle esposizioni classificate nella categoria 1 e del 70% a quelle classificate nella categoria 2, a condizione che le caratteristiche di assunzione e gestione del rischio della banca siano particolarmente robuste. Nel caso di esercizio di tale discrezionalità nazionale, le perdite attese relative alla categoria 1 sono pari allo 0% e quelle relative alla categoria 2 sono pari allo 0,4%. La Banca d’Italia non intende esercitare tale opzione. Testo emendato: con riferimento alle esposizioni connesse con finanziamenti specializzati, la direttiva 2006/48/CE prevede che nel caso in cui l’esposizione abbia una durata residua pari o superiore a 2,5 anni, l’Autorità di Vigilanza può autorizzare la banca ad assegnare fattori di ponderazione preferenziali del 50% alle esposizioni classificate nella categoria 1 e del 70% a quelle classificate nella categoria 2, a condizione che le caratteristiche di assunzione e gestione del

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rischio della banca siano particolarmente robuste. Nel caso di esercizio di tale discrezionalità nazionale, le perdite attese relative alla categoria 1 sono pari allo 0% e quelle relative alla categoria 2 sono pari allo 0,4%. La Banca d’Italia non intende esercitare tale opzione. Motivazione: L'opzione prevista dalla direttiva CE consente di ridurre (per i finanziamenti di durata residua pari o superiore a 2,5 anni) dal 70 al 50% il fattore di ponderazione dei finanziamenti specializzati "Forte" e dal 90 al 70% per i finanziamenti "Buono" a condizione che le modalità di assunzione e gestione del rischio da parte della banca siano particolarmente robuste. La decisione di non esercitare l’opzione determina le seguenti principali conseguenze:

1. nel confronto con le altre banche europee, che partecipano alla sindacazione di project finance su scala sovranazionele, le banche italiane avranno un requisito patrimoniale più elevato del 40% (finanziamenti "Forte") o del 28,5% (finanziamenti "Buono") diminuendone drasticamente la competitività;

2. sarà più difficile per le banche italiane acquisire lo status di Originator, Underwriter e Mandated Lead Arranger, i ruoli più remunerativi per la banca, nei finanziamenti infrastrutturali in Europa (Italia inclusa) in considerazione del maggior onere sul capitale assorbito;

3. nel caso di gestione del rischio non particolarmente robusta le Autorità di Vigilanza dovrebbero intervenire mediante le regole del secondo pilastro;

Si pongono sullo stesso piano banche efficienti e banche meno efficienti, penalizzando le prime (attuando una sorta di selezione avversa).

• 6.4 Esposizioni al dettaglio

Testo da aggiungere a fine paragrafo: In relazione ai crediti totalmente garantiti da ipoteca su immobili residenziali per i quali l’importo del credito al momento della sottoscrizione del contratto, sommato al capitale residuo di eventuali precedenti mutui ipotecari ecceda l’80% e non superi il 100% del valore del bene immobile ipotecato, per i quali siano state attivate garanzie integrative idonee (2), la banca potrà calcolare i requisiti patrimoniali in uno dei seguenti modi: 1. Utilizzando la funzione di ponderazione relativa alle esposizioni garantite da

immobili residenziali, riducendo la LGD in modo da riflettere il livello di copertura creditizia della garanzia integrativa, e ponderando il rischio di controparte in funzione della classe di merito di credito del garante.

2 Per le garanzie integrative idonee si veda il provvedimento della Banca d'Italia del 17.3.2005 (cfr.

Bollettino di Vigilanza, marzo 2005, pag. 11-12).

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2. Valutando i requisiti patrimoniali della porzione del finanziamento “garantita” e di quella “non garantita” nel modo seguente:

a. La porzione “non garantita” verrà considerata un’esposizione “al dettaglio”, a cui applicare la funzione di ponderazione relativa alle esposizioni garantite da immobili residenziali, con una PD non influenzata dalla garanzia e una LGD ridotta per riflettere il livello di copertura creditizia della garanzia integrativa e calcolata sulla sola quota del finanziamento non garantita

b. La porzione “garantita” verrà considerata un’esposizione “verso imprese”, a cui applicare la funzione di ponderazione relativa alle imprese, soggetti sovrani e banche

Motivazione: Al fine di evitare un’asimmetria tra le previsioni contenute nel documento di consultazione sul Metodo Standardizzato, in cui è indicata esplicitamente la disciplina relativa ai crediti con Loan-to-Value superiore all’80% (cfr. capitolo 3.1 paragrafo (d)) ed il documento di consultazione sul Metodo IRB, si propone di valutare l’inserimento di alcune linee guida relative al trattamento delle garanzie integrative nell’ambito di un modello IRB. Si propone, pertanto, di inserire in coda al paragrafo 6.4 la formulazione sopra riportata in corsivo, che chiarisce l’indicazione già contenuta nel documento di consultazione secondo cui “la banca può riconoscere gli effetti di mitigazione del rischio di credito derivanti da garanzie personali o derivati su crediti, rettificando la PD o la LGD a livello di singole posizioni oppure di portafoglio, a condizione che siano soddisfatti i previsti requisiti minimi”.

• Rif.: 6.5: Esposizioni in strumenti di capitale: esclusioni dal metodo IRB (pag. 67)

Testo originario: Le attività di rischio di seguito indicate possono essere escluse dal calcolo dei requisiti patrimoniali secondo il metodo IRB ed essere assoggettate al metodo standardizzato:

− … − attività rientranti nel portafoglio “esposizioni in strumenti di

capitale, qualora il loro importo complessivo calcolato come media degli importi dei quattro trimestri del precedente anno, al netto degli eventuali strumenti di cui al punto precedente, supera il 10% del patrimonio di vigilanza della banca. Se gli strumenti di capitale si riferiscono a un numero di emittenti minore di 10, allora la soglia riferita al Patrimonio di vigilanza è pari al 5%, in luogo del 10%;

Testo emendato: Le attività di rischio di seguito indicate possono essere escluse dal calcolo dei requisiti patrimoniali secondo il metodo IRB ed essere assoggettate al metodo standardizzato:

− … − attività rientranti nel portafoglio “esposizioni in strumenti di

capitale, qualora il loro importo complessivo calcolato come media degli importi dei quattro trimestri del precedente anno, al netto degli eventuali strumenti di cui al punto precedente, supera il è inferiore al 10% del patrimonio di vigilanza della

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banca. Se gli strumenti di capitale si riferiscono a un numero di emittenti minore di 10, allora la soglia riferita al Patrimonio di vigilanza è pari al 5%, in luogo del 10%;

Motivazione: Il paragrafo in oggetto è in contrasto con quanto riportato nel capitolo 7, paragrafo 4, dove si dice che le esposizioni in strumenti di capitale, il cui valore medio aggregato …è superiore al 10% del patrimonio di vigilanza, sono rilevanti e quindi da considerare ai fini del calcolo del requisito di capitale.

• Rif.: pag. 71,- 72, paragrafo 6.61 e 6.62. Metodo della scomposizione integrale e metodo del fattore di ponderazione

Testo originario: “ (…) alle esposizioni [alle parti di quote di OICR riconducibili ad attività di rischio rientranti] nel portafoglio “attività ad alto rischio”, cui di norma corrisponde un fattore di ponderazione pari al 150%, si applica un fattore di ponderazione pari al 200%.” Testo emendato: “ (…) alle esposizioni [alle parti di quote di OICR riconducibili ad attività di rischio rientranti] nel portafoglio “attività ad alto rischio”, cui di norma corrisponde un fattore di ponderazione pari al 150%, si applica un fattore di ponderazione pari al 200% al 150%.” Motivazione: La direttiva europea prevede un cap del 150% al fattore di ponderazione previsto per le esposizioni in discorso. La Banca d’Italia ha invece previsto un cap più penalizzante pari al 200%. Al fine di garantire il level playing field del sistema bancario italiano con quelli europei, si richiede di recepire quanto disposto dal dettato comunitario.

• Rif.: 6.6.1 Metodo della scomposizione integrale (pag. 71)

Testo originario: “In base a tale metodo, la banca attribuisce pro-quota il proprio certificato di partecipazione a OICR agli investimenti del fondo cui si riferisce ed assoggetta ciascuna quota al pertinente metodo IRB.” Testo emendato: “In base a tale metodo, la banca attribuisce pro-quota il proprio certificato di partecipazione a OICR agli investimenti del fondo cui si riferisce ed assoggetta ciascuna quota al pertinente metodo IRB. Nel caso di investimenti in OICR dedicati ad operazioni di private equity il certificato di partecipazione a OICR si riferisce alle partecipazioni in tutti i fondi di private equity che la banca ha sottoscritto.” Motivazione: Al fine di consentire alla banche di ponderare il rischio assunto verso OICR specializzati nel private equity secondo una logica di diversificazione degli investimenti effettuati nei diversi fondi, si propone che l’applicazione del metodo della scomposizione integrale sia riferito alle partecipazioni detenute dalle banche in tutti i fondi di private equity e non alle partecipazioni detenute in un solo fondo. E’ stato quindi proposto che il certificato di partecipazione a OICR si riferisca alle partecipazioni in più fondi di private equity che le banche hanno sottoscritto.

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• Rif.: 7.2.1 La presentazione della domanda di autorizzazione (pag. 79 )

Testo originario: In considerazione della elevata complessità e del rilevante impatto organizzativo, le banche hanno la facoltà di sottoporre alla Banca d’Italia, prima dell’inoltro formale della domanda, il progetto e la documentazione relativi all’adozione dei sistemi dei rating interni. Testo emendato: In considerazione della elevata complessità e del rilevante impatto organizzativo, le banche hanno la facoltà di sottoporre alla Banca d’Italia, prima dell’inoltro formale della domanda, il progetto e la documentazione relativi all’adozione dei sistemi dei rating interni.In considerazione della elevata complessità e del rilevante impegno organizzativo le banche hanno la facoltà, nelle fasi di sviluppo, di confrontarsi con continuità con la Banca d’Italia. A tali fini, le sottopongono in visione il piano progettuale funzionale alla predisposizione e messa in opera di adeguamento dei sistemi di rating, con particolare riguardo agli aspetti fondamentali riconducibili alle metodologie utilizzabili per le stime, alle caratteristiche e alla struttura del sistema informativo e agli assetti organizzativi e alle procedure che presiedono alla gestione dei rischi. La Banca d’Italia su tali basi, e pure tenendo dei criteri di proporzionalità nell’applicazione della disciplina nonchè delle dimensioni e della complessità organizzativa dell’intermediario, verificherà lo stato di avanzamento delle attività e fornirà alle controparti indicazioni circa il posizionamento rispetto ai criteri quantitativi e qualitativi fissati dalla nuova disciplina.

• Rif.: 7.3 Estensione progressiva del metodo IRB (Pag. 80)

Testo originario:”L'estensione progressiva (“roll-out”) può riguardare: i) le classi di esposizioni; ii) le entità giuridiche che compongono il gruppo; iii) l'utilizzo di alcuni parametri di rischio.” Testo emendato:”L'estensione progressiva (“roll-out”) può riguardare: i) le classi di esposizioni; ii) le entità giuridiche che compongono il gruppo, o unità operative identificabili sulla base di criteri tecnico-operativi, geografici o organizzativi; iii) l'utilizzo di alcuni parametri di rischio.” Motivazione: si richiede di chiarire se l’estensione sia funzionale alle entità giuridiche del gruppo o più genericamente ad “unità operative” (come previsto a pag. 84), identificabili sulla base di criteri tecnico-operativi, geografici o organizzativi (ad esempio: filiali estere).

• Rif.: 7.3.1 Le condizioni per l’estensione progressiva del metodo IRB (pag. 81)

Testo originario: “Per “copertura” si intende la percentuale – in termini di importi ponderati calcolati secondo il metodo standardizzato – delle posizioni

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alle quali è assegnato un rating conforme ai requisiti indicati nella presente normativa o classificato come default.” Testo emendato: “Per “copertura” si intende la percentuale – in termini di importi ponderati calcolati secondo il metodo standardizzato vigente o comunque utilizzato dalla Banca – delle posizioni alle quali è assegnato un rating conforme ai requisiti indicati nella presente normativa o classificato come default.” Motivazione: si richiede di chiarire se il riferimento sia al metodo standardizzato attualmente vigente o a quello previsto da BIS II.

• 7.4 Utilizzo parziale permanente del metodo standardizzato

Testo originario: a) esposizioni riferite ad unità operative non importanti, nonché le classi di esposizioni non rilevanti in termini di dimensioni e di rischiosità; Testo emendato: a) esposizioni riferite ad unità operative non importanti, nonché le classi di esposizioni non rilevanti in termini di dimensioni e o di rischiosità; Motivazione: La soglia del 75% indicata nel documento per potersi avvalere della facoltà di estensione progressiva dei modelli interni, appare particolarmente restrittiva, in considerazione del fatto che debbano essere comprese nel computo le esposizioni di cui al paragrafo 7.4 sub a): tale insieme di esposizioni può comprendere classi di esposizioni non rilevanti in termini di rischiosità (ad esempio società assicurative e finanziarie o enti no profit per i quali non è previsto un modello di rating ad hoc e che pertanto confluirebbero permanentemente nel metodo standardizzato), ma talvolta di dimensioni notevoli.

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Riquadri

• Riquadro 2.1 Riscadenzamento

In alcune realtà sono in corso di definizione nuove normative interne volte a definire logiche, criteri e modalità di riscadenzamento dei crediti in essere. In particolare alcuni segnalano come opportuno valutare l’introduzione di procedure di riscadenzamento/proroghe, soprattutto alla luce della nuova normativa sui past-due, estremamente penalizzante in presenza, p.e., di mutui con morosità modeste ma trascinate nel tempo (ritardo costante, ma permanenza di flussi di pagamento). In relazione all’introduzione di tale previsione da parte della Vigilanza, si richiede che la stessa definisca nel dettaglio l’oggettiva differenza tra ristrutturazione e riscadenzamento del debito. Sul tema debiti rateali (in particolare mutui ipotecari) si riterrebbe inoltre opportuno sottoporre alla Vigilanza di valutare, per i debiti rateali, la possibilità di prevedere un numero di rate massime scadute in alternativa al “contatore” past due per non considerare in default mutui con arretrato “stabile” ma modesto (p.e. 1-2 rate). Il tutto salvo ovviamente che nella definizione “il debitore è in ritardo su una obbligazione creditizia” sia da interpretare per i rateali come ritardo puntuale e non come conteggio temporale decorrente dal verificarsi della prima morosità. Si richiede inoltre di valutare anche l’opportunità di inserire una soglia minima in termini assoluti sotto la quale il past due non è ritenuto significativo. Si riportano di seguito due esperienze: A) Allo stato attuale, le operazioni di riscadenzamento di crediti ordinari – qualora non sussistano i presupposti per la classificazione delle pratiche tra i crediti ristrutturati - sono assoggettate a procedure e processi decisionali analoghi a quelli definiti per il processo del credito ordinario. In particolare le modifiche al dispositivo fidi che comportano variazioni di durata comportano la necessità di riesame istruttorio, revisione eventuale del rating assegnato e inoltro all’organo deliberante competente. Per le operazioni di anticipi su crediti le banche commerciali hanno stabilito modalità di gestione delle proroghe di crediti maturati anticipati e scaduti che prevedono: ⋅ limiti massimi di giorni di proroga concessi al Gestore del credito,–previo

riesame con esito positivo della situazione gestionale e delle motivazioni relative al ritardo di regolamento;

⋅ competenza dell’organo deliberante della filiera creditizia in caso richiesta di proroga oltre tali limiti ed entro soglie massime di durata, sempre nell’ambito di un positivo esito delle verifiche di cui sopra;

Nell’ambito di tale operatività è sensibilizzata l’attenzione all’attivazione del processo di valutazione gestionale (in caso di evidenza di anomalie o di decadimento del rischio della posizione nel suo complesso) da parte del gestore o dell’organo deliberante.

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Gli interventi della specie sono sottoposti a processi di monitoraggio sistematico. La gestione delle posizioni riscadenzate rimane assegnata al gestore del credito in bonis e non prevede l’intervento delle strutture addette al recupero delle posizioni in default. Non sono previste specifiche norme relative al livello minimo di morosità, in quanto la variazione di un piano di ammortamento può riguardare un credito in bonis, senza rate insolute, e riflettere motivazioni tecniche, quali la diversa modulazione dei cash flow attesi. Con riferimento alle operazioni di credito fondiario concesse a persone fisiche (mutui fondiari assistiti da garanzie ipotecarie) sono previste procedure specifiche per la ristrutturazione dei mutui correlate al manifestarsi di difficoltà di rimborso da parte del cliente. La materia allo stato attuale non è caratterizzata da modalità uniformi nell’ambito del Gruppo e verrà razionalizzata nei prossimi mesi. Tuttavia, in via generale, è previsto che: ⋅ le operazioni di riscadenzamento “ordinarie” – secondo le tipologie di

interventi stabiliti dalla Direzione Centrale - sono decisioni di facoltà delle strutture di rete (senza quindi preventiva autorizzazione della Direzione Centrale) e i relativi processi autorizzativi sono in carico agli organi deliberanti delegati;

⋅ qualora si tratti di interventi non inquadrabili nelle casistiche predefinite, è prevista l’autorizzazione della Direzione Centrale;

⋅ è previsto il riesame istruttorio delle capacità reddituali e patrimoniali del mutuatario;

⋅ la posizione oggetto di riscadenzamento rimane in carico al gestore del credito se effettuata su una posizione in bonis;

⋅ una operazione oggetto di riscadenzamento non può essere oggetto di ulteriori interventi della specie.

B) Le banche del Gruppo dispongono di una procedura formalizzata che gestisce il riscadenzamento del credito concesso, inteso sia come riformulazione di un piano di ammortamento di un finanziamento a medio o lungo termine, sia come facilitazione erogata a fronte di esigenze straordinarie della clientela. In particolare, se ne riassumono di seguito i contenuti essenziali:

• All'interno del processo sono attribuite le facoltà di delibera che in caso di controparti con elevati livelli di PD vengono esclusivamente assegnate alle Strutture Centrali. Inoltre quest'ultime rappresentano anche il livello minimo di competenza per la riformulazione di un piano di ammortamento;

• Ad oggi non è definita un'anzianità minima affinché un'operazione possa

essere ammessa al riscadenzamento, ma è stabilita, ai soli fini gestionali, una "soglia di materialità" di Euro 500 al di sotto della quale non vengono richiesti interventi formali;

• E' definito il numero massimo di riscadenzamenti per operazione (due) e

la loro durata massima che non può comunque eccedere i 120 giorni. Questo tipo di operatività viene inoltre rivolta esclusivamente a clientela

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affidata e conseguentemente già valutata dall'attuale processo di determinazione del merito creditizio;

• All'atto della concessione di tale facilitazione è effettuato il riesame della

solvibilità dei debitori utilizzando anche verifiche in automatico sul sistema informativo. In particolare, queste ultime riguardano il controllo della presenza di dati aggiornati concernenti le informazioni qualitative legate alle controparti, come il bilancio d'esercizio e la compilazione di questionari ad esso correlati e resi obbligatori dalla normativa interna;

• Viene prodotta la relativa comunicazione alla clientela e vengono

automaticamente aggiornati gli archivi delle procedure destinate alla gestione degli affidamenti;

Le strutture preposte all'erogazione del credito ed al controllo della qualità dello stesso sono quelle coinvolte nelle verifiche previste per tale prassi, l'attività viene supportata dalla produzione automatizzata di specifiche evidenze.

• Riquadro 2.2 Esposizioni al dettaglio: default per controparte o per transazione

Le 13 risposte che sono pervenute in ambito associativo non permettono di pervenire ad un orientamento unitario da parte del sistema bancario italiano. Cinque istituti (in generale grandi gruppi) sono favorevoli ad un approccio per transazione, in particolare per i Privati, sette istituti adottano l’approccio per controparte, un istituto adotta un sistema misto. Si segnala, infine, che un istituto che ha espresso orientamento favorevole per il trattamento per controparte ha dichiarato di non essere contrario al trattamento per transazione, aggiungendo che il tempo necessario per un adeguamento sarebbe di tre anni; altresì un istituto che ha espresso orientamento favorevole per il trattamento per transazione ha dichiarato di non essere contrario al trattamento per controparte. A tali informazioni vanno aggiunte quelle relative agli operatori che si caratterizzano da un business specifico (es. credito al consumo), i quali sono orientati a mantenere l’approccio per transazione.

• Riquadro 4.1 Requisito dell’integrità: alcune ipotesi organizzative

Esempio 1: Avuto presente che la banca non prevede sistemi di incentivazione legati ai volumi del credito concesso, si intenderebbe assegnare un potere – limitato - di correzione del risultato dei modelli statistici ai soggetti titolari di potere di delibera; l’individuazione dell’organo competente per la delibera verrebbe tuttavia effettuata “a monte” delle eventuali deroghe migliorative introdotte, al fine di evitare l’inserimento di deroghe volte a modificare l’originario percorso deliberativo del credito.

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Nei casi in cui la concessione del credito o comunque la determinazione di importanti elementi quali l’ammontare del finanziamento e/o il prezzo siano vincolati a determinate soglie di classe di rating, le eventuali deroghe che dovessero comportare un superamento delle stesse dovrebbero essere confermate dall’organo deliberante superiore. Esempio 2: Si ritiene che tra i due approcci il primo comporti una eccessiva rigidità, rischiando di introdurre un elemento di “separazione” tra i sistemi di rating e l’attività dei gestori della relazione. In questo, caso a nostro avviso, ci sarebbe il rischio concreto che il rating venga vissuto eccessivamente come un oggetto “imposto dall’alto”, rischiando di impoverire sensibilmente il contributo alla valutazione del merito creditizio fornito dai gestori della relazione. Esempio 3: Viene lasciata la responsabilità definitiva dell’attribuzione del rating al gestore del credito (in nessun caso al deliberante), “sterilizzando” tutte le possibili cause di conflitto di interessi (il gestore non avrebbe nessun vantaggio nell’apportare un override al rating e lo farebbe solo al fine di una corretta valutazione del rischio). In caso permanga un conflitto di interesse, viene prevista un’attività di convalida dell’override da parte di una terza parte: in questo caso il suo intervento potrebbe essere limitato alle modifiche del rating maggiormente rischiose per la banca e che possono generare confitto di interesse (upgrading). Inoltre, la possibilità di ricorre ad override judgemental potrebbe essere esclusa per determinati sotto-classi di portafoglio (ad esempio, retail “di base”), caratterizzati da processi di erogazione e prodotti creditizi fortemente standardizzati, in considerazione della loro non obbligatorietà per l’intero sistema di rating (cfr. pag. 37, par. 5,2, “..eventuale componente soggettiva nell’attribuzione del rating”). Esempio 4: In merito alle soluzioni organizzative volte al presidio del processo operativo di attribuzione e gestione del rating, l’accentramento delle responsabilità su strutture che non rilevano un “conflitto di interesse” con i soggetti preposti alla concessione del credito, risulta essere la scelta migliore che peraltro definisce con maggiore chiarezza, anche in considerazione delle attività svolte dalla rete operativa, i compiti e le relative competenze, rispetto a gestire le esigenze di integrità del processo attraverso l’adozione di regole comportamentali su soggetti inseriti nell’ordinario percorso di delibera del credito. Esempio 5: La normativa stabilisce che l’integrità del processo richiede l’adozione di soluzioni organizzative incentrate sul criterio guida della netta separazione tra le funzioni di delibera del fido e quelle di attribuzione definitiva del rating. Il gruppo si è dotato di un processo di validazione del rating che prevede che, nel caso in cui i giudizi qualitativi aumentino il valore di rating di una classe rispetto al giudizio quantitativo, la validazione del rating debba essere effettuata esclusivamente dalla Direzione Crediti. Si ritiene che tale impostazione sia coerente con la normativa in quanto, laddove vi sia un significativo scostamento per effetto del giudizio soggettivo (ovvero in

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presenza di modelli di tipo judgmental), la validazione a cura della Direzione Crediti non comporta conflitto di interessi poiché quest’ultima non ha obiettivi commerciali (ampliamento dei volumi/redditività) ma di miglioramento della qualità del portafoglio crediti. Per i segmenti per i quali i modelli sono incentrati sulla componente automatica (eventualmente comprensiva di elementi qualitativi oggettivizzati) l’integrità è garantita da spazi minimi di soggettività, pertanto sembra non porsi la necessità di un processo di validazione del rating.

• Riquadro 5.1 Distribuzione delle esposizioni per gradi o aggregati (pool)

Nel segmento retail la struttura del sistema di rating segue un approccio per transazione. Coerentemente, alle esposizioni viene assegnata una classe di merito (pool). La creazione dei pool avviene considerando le caratteristiche di rischio dell’operazione sintetizzate da un punteggio di score. Si concorda, quindi, con l’idea di gestire in pool solo le esposizioni in cui il sistema di rating è strutturato per transazione, anche se la conseguente attribuzione delle singole esposizioni ai pool avviene ai soli fini regolamentari (calcolo del requisito patrimoniale) e non a fini gestionali (concessione degli affidamenti). Più in generale, l’approccio del pool sembrerebbe più adeguato ad una realtà molto diversificata e di grandi dimensioni. In una banca di medie o di piccole dimensioni, che necessariamente si caratterizza per un forte legame con il territorio su cui opera e per la quale appare relativamente più importante la spinta al cross selling, l’approccio valutativo per controparte è a giudizio di alcuni il più appropriato. D’altra parte, ritengono altri, l’approccio per pool non è l’unico approccio che consenta di tenere conto delle caratteristiche congiunte del debitore e dell’esposizione, dal momento che i modelli potrebbero esser sviluppati sulle singole tipologie di esposizioni e incorporare tra le loro variabili sia quelle riferite al debitore, sia quelle riferite all’esposizione.

• Riquadro 5.2 Stima della PD e prociclicità

In generale il sistema bancario italiano concorda con quanto indicato sul tema della prociclicità. Si ritiene che allo stato attuale sia difficilmente praticabile un approccio “attraverso il ciclo” (TTC), almeno fintantoché non siano disponibili serie storiche lunghe, caratterizzate al loro interno di un numero sufficiente di casi di default e di una sostanziale omogeneità dei dati disponibili3.

3 Nella pratica è possibile che i rating abbiano caratteristiche intermedie tra le due ipotesi (PIT e TTC): uno studio sulle matrici di transizione (interne) può condurre a quantificare approssimativamente in che misura incidano rispettivamente le componenti PIT e TTC, in modo da poterne tener conto per esempio in sede di stress test.

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Inoltre non appare sempre agevole individuare una correlazione inequivocabile tra variabili “di mercato” e dinamica dei default, tale da poter costituire un elemento robusto di modellizzazione. Si sottolinea, però, la necessità che gli esiti sui requisiti patrimoniali degli stress test non siano inclusi nel Primo Pilastro, ma facciano parte del processo di valutazione dell’adeguatezza patrimoniale condotte nell’ambito del Secondo Pilastro e dunque la conseguenza di queste valutazioni non si traduca necessariamente in un aumento dei requisiti minimi ottenuta utilizzando la PD sotto condizioni di stress, ma possa consistere in altri tipi di risposte, come previsto dalle Guidelines n.3 del CEBS.

• Riquadro 5.3 Dati relativi a recuperi non definitivi

Alcune banche utilizzano per la stima modello di LGD dati relativi a posizioni “chiuse”, per cui non vengono adottati criteri di stima del tempo massimo di recupero (cut off time). Presso alcune banche una pratica si intende “chiusa” all’atto della chiusura contabile della posizione, pur non essendo formalmente terminato il processo di recupero. Eventuali spese o recuperi successivi non vengono tenute in considerazione, in quanto l’ammontare di tali voci è di modesta entità. Si riporta di seguito l’approccio adottato da un istituto:

1. per le posizioni in default non chiuse alla data di osservazione, si è convenzionalmente ipotizzato un tempo massimo di permanenza in default di 5 anni ( ridotto a 36 mesi nel caso del credito al consumo) oltre il quale la posizione è stata chiusa forzatamente considerando irrecuperabile il credito ancora in essere. L’approccio prevede un ricalcolo della LGD in presenza di recuperi/costi successivi e, comunque, a chiusura effettiva del default.

2. Il trattamento è stato ispirato da criteri di estrema prudenza e i risultati appaiono notevolmente penalizzanti e conservativi.

Considerazioni:

1. Risulta chiaro che le stime di LGD sono significativamente influenzate dalla scelta del criterio da applicare. Demandare ad ogni intermediario la facoltà di tale scelta può implicare differenze sostanziali nella stima dei parametri di LGD all’interno del sistema bancario.

2. In relazione a ciò, si auspica l’emanazione, da parte della Banca d’Italia, di linee guida più stringenti al fine di rendere il più possibile omogeneo l’approccio dell’intero sistema bancario italiano.

• Riquadro 5.4 “Downturn” LGD

Si riportano di seguito alcune esperienze pervenute:

Esperienza n. 1: Nell’attuale modello, la LGD viene calcolata anche in funzione di una varabile ricavata dal tasso di decadimento Banca d’Italia. In particolare, agendo su tale variabile (i.e. utilizzando un opportuno percentile della distribuzione della variabile stessa calcolata sul portafoglio di riferimento) si può in teoria tenere conto delle fasi recessive del ciclo economico.Da un punto di

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vista concettuale, pur avendo riscontrato empiricamente una relazione inversa tra tasso di decadimento e tasso di recupero, non è certo è quanto tale relazione sia da attribuirsi al ciclo economico o quanto piuttosto non possa attribuirsi ad un miglioramento nel processo di recupero.Si ritiene che debbano essere compiuti ulteriori approfondimenti al fine di definire gli effetti di condizioni avverse a livello di singoli sottoportafogli.

Esperienza n. 2: Uno studio effettuato internamente si è concentrato su due obiettivi:

in primo luogo, cercare di mettere in evidenza eventuali relazioni empiriche tra tassi di default e recovery rate: non sembra peraltro, alla luce dei dati a disposizione, potersi sostenere che esista una dipendenza significativa tra le due grandezze;

in secondo luogo, cercare di quantificare l’impatto del ciclo economico sulla LGD. A tal fine sono stati seguiti due metodi tra loro alternativi:

il primo modello esplora una ipotetica relazione tra un fattore di rischio sistematico (non osservato ma anch’esso stimato all’interno del modello) e il recupero in caso di default; pur se coerente con il dettato normativo, in quanto stabilisce un legame tra PD ed LGD evidenziandone la correlazione inversa, porta alla conclusione che l’effetto “downturn” sulla LGD, se esiste, è comunque di entità irrilevante;

nel secondo modello il meccanismo di trasmissione passa attraverso i tassi di attualizzazione, che si ipotizza siano influenzati dal ciclo economico (espresso dal tasso a breve e dall’indice di mercato). In questo caso l’effetto downturn appare non trascurabile, ma non applicabile in quanto i presupposti teorici su cui si basa (in particolare il fatto che il maggior premio al rischio richiesto dal mercato nelle fasi negative del ciclo economico eserciti un effetto negativo sui flussi di recupero attraverso i tassi utilizzati per l’attualizzazione dei flussi stessi) prescindono dal legame tra probabilità di default e recupero e dall’individuazione di un fattore di rischio sistematico.

Un approccio particolare di stima della LGD, limitato al caso di esposizioni a medio lungo termine coperte da garanzia immobiliare (mutui residenziali e crediti ipotecari verso il segmento Sme Retail), aveva invece evidenziato la possibilità di identificare un effetto downturn legato alla potenziale diminuzione di valore degli immobili a garanzia In questo caso il legame tra recupero e PD è catturato dalla scelta di una variazione dei prezzi immobiliari corrispondente a quella realizzatasi nel momento in cui i tassi di default hanno raggiunto i massimi valori del periodo sotto osservazione. Si ritiene di limitare a questo segmento l’inclusione di un effetto downturn nei parametri stimati di LGD, ferma restando la possibilità di aggiornare le stime anche per gli altri segmenti se si rendessero disponibili evidenze empiriche di una relazione “forte” tra ciclo economico e recuperi. Circa la possibilità che la Banca d’Italia possa applicare i parametri standard previsti a pag 46, si propone:

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a) di portare a conoscenza del sistema bancario la metodologia di determinazione dei parametri;

b) di fissare i parametri stessi caso per caso nell’ambito della flessibilità concessa al regulator a valere sul pillar II (alla luce del fatto che talune banche potrebbero presentare significative differenze nelle caratteristiche del portafoglio creditizio piuttosto che incorporare fenomeni di stress sulle garanzie; le banche potrebbero inoltre essere dotate di modelli di portafoglio in grado di quantificare nella misura di capitale economico le code di rischio derivanti dalla volatilità della LGD).

Esperienza n. 3: In prima approssimazione possiamo distinguere due tipologie di gruppi di portafogli, ovvero: (i) LDP (Low Default Portfolios), tipicamente i portafogli large corporate e banche; (ii) Portafogli con un numero di default significativi (ad esempio, retail, small business e mid-corporate). Per gli LDP si ritiene inevitabile il ricorso a benchmark esterni4, che già incorporano un elemento di correlazione tra classe di merito (a sua volta correlata coi tassi di default) e LGD. Per gli altri portafogli, la possibilità di una stima di questa correlazione è strettamente legata alla disponibilità delle profondità storiche necessarie alla stima e, in generale, di una stima della LGD differenziata per classe di rating/ PD del pool. Inoltre, poiché si verificano molti più default in momenti di crisi economica piuttosto che in momenti di espansione, la stima della LGD incorpora “naturalmente” una componente cautelativa dovuta al ciclo economico. Pertanto in caso di stima della LGD dai dati interni (workout LGD), tipica dei portafogli di cui al punto (ii), si richiedono chiarimenti sulle modalità con cui debba includersi l’effetto negativo del ciclo economico ovvero se la considerazione sopra esposta possa valere, almeno parzialmente, per coprire il requisito. In relazione ai portafogli di cui al punto (i) si ritiene opportuno ricevere chiarimenti relativamente al trattamento della LGD desunta da dati esterni in logica di benchmarking, inevitabile quando il numero di default è troppo ridotto per poter effettuare stime statisticamente significative5, sia ai fini della correzione per la correlazione con la PD, sia per tenere conto degli effetti di fasi recessive del ciclo economico. Esperienza n. 4: la banca ha, nel corso dello sviluppo del modello interno di LGD effettuato analisi di dipendenza tra tassi di default e di recupero non rilevandone una significatività statistica. Si è, invece, riscontrata una correlazione tra tassi di recupero ed il ciclo economico (in termini di variazione trimestrale del PIL); tali stime sono state incorporate nel calcolo della LGD regolamentare fissando il valore della variabile di ciclo ad una marcata fase recessiva. Per quanto attiene all’adozione di un meccanismo di maggiorazione unico per tutto il sistema esprimiamo perplessità e ci riserviamo di commentare

4 Ad esempio, tassi di recupero in caso per fascia di rating relativi alla rating agency sul quale viene mappato il rating interno sui bond “senior unsecured”. 5 Ma in questo caso la correlazione tra classe di rating e LGD è riscontrabile nei dati pubblicati e, quindi, è già implicitamente considerata.

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quando l’eventuale proposta assumerà connotati e motivazioni più dettagliate. Sarebbe, inoltre, auspicabile che tale scelta venisse fatta al più presto per non inficiare gli sforzi implementativi del processo di segnalazione del patrimonio di vigilanza.

• Riquadro 6.4 Definizione di “diversificazione”

In relazione alla richiesta della Banca d’Italia di conoscere le politiche di diversificazione del portafoglio di private equity adottate dalle banche, è opportuno in primo luogo evidenziare che, per le ragioni evidenziate in premessa, gran parte dell’attività di investimento in private equity svolta dalle banche avviene tramite sottoscrizione di quote di OICR specializzati in tale asset class e non tramite assunzione di partecipazioni dirette. Ciò posto, non è agevole definire a priori nel settore del “private equity” il concetto di diversificazione. In linea generale si ritiene che la diversificazione di un investimento in private equity dipenda da fattori quali: i) l’ambito geografico dell’investimento del Fondo (che potrà avere carattere locale, nazionale o internazionale) ; ii) il settore in cui operano le società partecipate dal Fondo; iii) la scansione temporale degli investimenti effettuati6; iv) il numero dei fondi in cui la banca ha investito. Tale indicazione è in linea con le prassi adottate a livello internazionale, in particolare dall’ EVCA (European Venture Capital Association), che individua i suddetti fattori di diversificazione per la costruzione di un portafoglio di un investitore qualificato che investe nell’asset class private equity. Esistono inoltre altri elementi che contribuiscono alla diversificazione dell’investimento in OICR quali:

1. l’individuazione di limiti prudenziali di concentrazione degli investimenti, fissati dalla Banca d’Italia, che prevedono, tra l’altro, un limite compreso tra il 15% e il 20% del totale investito su una singola partecipazione;

2. la presenza di management team diversi che gestiscono i fondi di “private equity” in cui investe la banca;

3. l’esistenza di procedure interne per la gestione dei conflitti d’interesse tra i soggetti che gestiscono il fondo e quelli che partecipano alla SGR che promuove il fondo stesso;

4. le politiche di diversificazione previste dal regolamento dei singoli fondi.

6 Si ricorda che nel private equity, a differenza di quando accade ad es. per i fondi che investono in azioni quotate, i fondi raccolti vengono investiti solo allorquando si presenta l’opportunità di investimento. Ciò determina una forte influenza del profilo temporale degli investimenti a circostanze economiche esterne.

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La nozione di “sufficientemente diversificata”, quindi, dovrebbe essere basata sostanzialmente sui fattori ora indicati, diversi dei quali sono desumibili dal regolamento dei singoli fondi. Le politiche di diversificazione nell’assunzione di partecipazioni dirette delle banche possono essere sintetizzate come segue. In linea di massima vengono scartati a priori gli investimenti in aziende in fase di start up, in quelle non dotate di un’adeguata struttura gestionale oltre che in quelle dove non vi siano garanzie sulla professionalità e correttezza dell’imprenditore, dei manager e degli eventuali coinvestitori. Durante la fase di analisi vengono effettuate tutte le necessarie due diligence (contabile, fiscale, legale, ambientale, di mercato, …) i cui risultati, unitamente al business plan, sono alla base del processo di valutazione dell’impresa target. La banca effettua una continua attività di monitoraggio dell’andamento delle imprese partecipate e ne informa trimestralmente il Consiglio di Amministrazione.

• Riquadro 7.1 Risultati del “calcolo parallelo”

Si deve intendere che nel parallel running l’IRB retail deve essere calcolato utilizzando i parametri di vigilanza del foundation? (LGD unsecured 45%, LGD mutui residenziali 35% etc ) ? Il parallel running effettuato dopo il 2009 come requisito di valutazione dovrà essere ancora effettuato rispetto alle regole BIS1 oppure BIS2 Standard? Nel momento in cui si è ottenuta l’autorizzazione all’utilizzo dei metodi IRB è necessario continuare per un certo periodo la segnalazione parallela?

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Quesiti

E’ possibile identificare regole comuni sulla definizione dei gruppi economici (società consolidate / affidate, percentuali di controllo, ecc.)?

• Trattamento esposizioni coperte da ipoteca su immobili residenziali e loro allocazione nei portafogli regolamentari

1. La tipologia di crediti garantiti da ipoteca su immobili residenziali è descritta all’interno delle esposizioni al dettaglio; in tale ambito si specifica che, ai fini dell’individuazione di tale sottoclasse, si deve far riferimento alle regole dettate dal metodo standardizzato. Secondo questo approccio, l’inclusione al segmento regolamentare retail è subordinata alla verifica di tre condizioni (cfr. pag. 8 metodo standard). Le stesse condizioni devono sussistere anche nella metodologia IRB? In tal caso la soglia di importo (pari a 1 mln di euro) sancisce la separazione tra mutui residenziali retail verso i corporate?

2. La funzione di ponderazione specifica per i mutui residenziali è applicabile

a tutte le esposizioni in oggetto indipendentemente dalla controparte da cui sono contratti? In caso contrario i mutui residenziali legati a clienti corporate vanno valutati utilizzando le regole di calcolo del portafoglio di appartenenza, a prescindere dalle caratteristiche specifiche dell’esposizione?

• 3.3.1 Esposizioni connesse con finanziamenti specializzati

1. “Nell'ambito della classe delle esposizioni verso imprese, le banche individuano come esposizioni connesse con finanziamenti specializzati quelle che presentano le seguenti caratteristiche: a) il credito è erogato a un soggetto creato ad hoc per finanziare e/o amministrare attività reali (veicolo societario); b) le condizioni contrattuali conferiscono al creditore un sostanziale controllo sulle attività e sul reddito da esse prodotto; c) la fonte primaria di rimborso dell’esposizione è rappresentata dal reddito generato dalle attività finanziate piuttosto che dall’autonoma capacità di una più ampia iniziativa imprenditoriale.” Non appare chiaro se le caratteristiche elencate debbano essere soddisfatte contemporaneamente o singolarmente.

2. Non sono chiare la modalità di classificazione del credito edilizio. Al

riguardo è opportuno che venga offerta da parte della Banca d’Italia una definizione più puntuale delle caratteristiche che un’esposizione della specie deve avere per rientrare nel portafoglio Corporate / retail piuttosto che nel sottoportafoglio specialised lending.

3. Il sistema basato sui criteri regolamentari di classificazione prevede la

scelta di una sola categoria finale, scelta effettuata sulla base delle

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caratteristiche contenute nelle tabelle dell’allegato 2. Nel caso in cui un’operazione presenti diversi gradi di valutazione associati ai fattori elencati a pag. 64, sulla base di quale modalità e secondo quale ordine di priorità di tali fattori è possibile determinare il giudizio finale?

• 3.4 Esposizioni creditizie al dettaglio

Dal paragrafo “qualora la banca abbia scelto un approccio per transazione, queste posizioni non devono essere gestite su base individuale”: ciò significa che TUTTI i crediti al dettaglio debbano essere gestiti esclusivamente con una singola metodologia (“controparte” o “pool”) o è ammissibile un approccio misto (es. per l’other retail)? In particolare, per quanto riguarda il leasing automobilistico, si segnala che la prassi commerciale attuale non prevede particolari istruttorie sulla qualità creditizia della controparte (indipendentemente dal fatto che si tratti di SME Corporate, SME retail oppure persona fisica) in quanto normalmente si applica uno score incentrato sul prodotto e sui dati anagrafici del richiedente, con tempi di risposta molto brevi. Su tale forma tecnica, sarebbe auspicabile che la normativa prevedesse un certo grado di flessibilità, ad es. escludendo tali importi dal calcolo del cumulo (come per i mutui residenziali) e/o ammettendo approcci per transazione, anche qualora la banca sulle medesime controparti applichi valutazioni di controparte (es. SME Corporate, SME retail valutate di norma per controparte fatta eccezione per gli affidamenti di leasing auto entro certi limiti di importo).

• 3.5. Esposizioni in strumenti di capitale

Per agevolare l'identificazione degli strumenti definibili come strumenti di capitale ai fini del computo dei relativi requisiti patrimoniali, gioverebbe precisare, almeno a titolo di esemplificazione, quale o quali siano le corrispondenti voci di bilancio IAS. Pag. 68. Come è noto, i Gruppi bancari che applicano gli standard IAS sottopongono a valutazione trimestrale al fair value il proprio portafoglio di Attività disponibili per la vendita, in cui sono compresi anche gli strumenti di capitale. Le conseguenti rivalutazioni e svalutazioni del portafoglio determinano periodicamente corrispondenti incrementi e deduzioni delle riserve da valutazione previste nello stato patrimoniale del bilancio bancario. Le "perdite attese" relative agli strumenti di capitale sono pertanto rappresentate dalle predette svalutazioni e queste trovano adeguata copertura nella variazione del patrimonio. Analogo discorso vale per il portafoglio di negoziazione valutato al mark to market. Non si capisce pertanto, quale sia la ratio del requisito patrimoniale a fronte delle perdite attese relativi agli strumenti di capitale, ancorché tale previsione derivi dal testo della direttiva comunitaria. Si teme anzi che si possa trattare di una duplicazione di oneri dettata da scarsa fiducia, peraltro infondata se fatta valere indiscriminatamente, nella adeguatezza delle valutazioni contabili poste in essere dalle banche.

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• 4.4.2 Controlli di secondo livello. La validazione interna.

Banca d’Italia cita che “la responsabilità della validazione fa capo ad una struttura indipendente che può se del caso avvalersi, per lo svolgimento di talune attività, dell’apporto di altre unità operative”. Nel caso in cui la responsabilità della validazione sia in capo ad un’unità indipendente, l’avvalersi dell’apporto delle funzioni che sviluppano i modelli o che disegnano i processi è in contrasto con l’affermazione che “la struttura di validazione dovrebbe essere indipendente anche dalla funzione che sviluppa i modelli o che disegna i processi di rating”?

• 4.5 Le specificità dei sistemi IRB nell’ambito del gruppo bancario

1. La Banca d’Italia cita che “nell’eventualità che uno stesso cliente intrattenga relazioni di affari con più società del gruppo, la capogruppo deve assicurare l’univocità del rating o l’attribuzione dell’esposizione al pool, evitando il rischio di valutazioni difformi dello stesso cliente o della stessa fattispecie all’interno del gruppo”. Ci si chiede se tale principio è condiviso anche dagli altri organi di vigilanza. Questo presuppone che, nel caso di clienti cross border valutati con modelli locali, una singola società del gruppo possa essere vincolata ad utilizzare un rating assegnato da un modello sviluppato e gestito da un’altra società del gruppo. Ci si chiede inoltre se debba essere garantita un’univocità in termini di rating o di PD assegnata alla singola controparte. Si ritiene ci si riferisca alla misura di PD. Se così fosse, nel caso di utilizzo di scale di rating diverse nelle singole LEs, dovendo utilizzare ai fini regolamentari la PD media delle controparti all’interno della classe di rating, la PD utilizzata per il calcolo degli RWA potrebbe differire seppur risulti la stessa a livello di controparte. E’ corretto?

2. “Nei gruppi si accentua il rischio che debitori caratterizzati dal medesimo

grado di rischiosità siano assegnati a diverse classi di rating (violazione del principio di omogeneità). La capogruppo deve pertanto adottare, per ciascun segmento di portafoglio, le necessarie iniziative volte a garantire l’applicazione, in sede di assegnazione del rating, di criteri valutativi uniformi da parte di tutte le banche del gruppo” Si richiede di esplicitare chiaramente all’interno delle Istruzioni di Vigilanza se il giudizio di rating uniforme da parte di tutte le banche del gruppo debba riguardare anche i clienti in stato di default (assegnati pertanto alla/e classe/i di rating riferita/e ai clienti non in bonis). Si richiede infine di definire chiaramente se lo status di default debba essere uniforme esclusivamente in sede di assegnazione del rating o se tutte le banche del gruppo debbano attribuire un cliente allo status di default all’interno di tutti i loro processi gestionali nel momento in cui una singola banca del gruppo proceda ad attribuire tale cliente ad uno status di insolvenza. Le motivazioni alla base della richiesta sono le seguenti: I requisiti strutturali minimi di un sistema di rating (Cfr. pag. 35) prevedono che esso abbia come minimo 7 classi per i debitori adempienti

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e 1 classe per quelli inadempienti. Nel momento in cui una capogruppo garantisce che ai clienti comuni a più banche del gruppo sia attribuito un giudizio di rating uniforme, questa deve obbligatoriamente impostare regole/procedure tali per cui uno stesso cliente non sia attribuito su una banca del gruppo ad una delle 7 o più classi per i debitori adempienti e su un’altra banca del gruppo alla/e classe/i relativa/e ai debitori inadempienti. Una simile eventualità non sarebbe giustificabile né con riferimento alle prassi gestionali e al calcolo del requisito patrimoniale consolidato né, soprattutto, con riferimento alla costruzione dei campioni statistici per la stima/calibrazione del modello di rating. La richiesta di esplicitare chiaramente questo fatto deriva dalla sentita esigenza di conoscere con precisione se l’attribuzione di un cliente comune a più banche del gruppo alla/e classe/i relativa/e ai debitori inadempienti su tutte le banche del gruppo sia da limitarsi al modello di rating o se debba essere estesa ad un vero e proprio passaggio a default su tutte le banche del gruppo.

• 5.3 Uso delle prove di stress per la valutazione dell’adeguatezza patrimoniale

Con riferimento all’uso delle prove di stress per la valutazione dell’adeguatezza patrimoniale, si chiede che vengano fornite indicazioni, anche in via esemplificativa, in merito a come effettuare le analisi di scenario degli “stress test” nel caso in cui le controparti siano rappresentate unicamente o in larga prevalenza da soggetti privati e non da imprese.

• 5.4 Quantificazione dei parametri di rischio

Le banche che non soddisfino i requisiti per l’utilizzo di proprie stime di LGD e CCF per le esposizioni verso imprese, soggetti sovrani e banche devono impiegare i valori regolamentari. Tale previsione si applica alle banche che avendo richiesto l’AIRB non lo ottengono e vanno in FIRB.

• 5.4.2 Probabilità di default

Nel paragrafo indicato, tra le tecniche indicate vi è quella basata sull’esperienza interna di default (c.d. “use test”). In proposito, si ritiene importante che venga chiarito se la richiesta che le stime della PD rispecchino i criteri di affidamento significa che tra i sistemi di rating ed i criteri di affidamento (con particolare riferimento ai sistemi di scoring largamente utilizzati nel credito al consumo) vi debba essere coincidenza oppure che essi debbano essere tra loro “coerenti”: in quest’ultimo caso si chiede di chiarire, anche con degli esempi, in cosa debba consistere tale coerenza.

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• 5.4.3 Tasso di perdita in caso di default

Nel caso di esposizioni in stato di default, “la banca si basa sulle proprie migliori stime della perdita attesa” …” che di norma coincidono con le rettifiche di tipo analitico portate in bilancio”. Su tale punto pare riduttivo nell’approccio AIRB il computo delle sole differenze positive tra la LGD e le svalutazioni analitiche. Ciò implica che, anche in caso di ampia copertura delle svalutazioni a livello di portafoglio complessivo, si genererebbe un requisito per il solo effetto della variabilità delle svalutazioni in contrasto con la “stabilità” della LGD, basata su medie storiche. Si tenga conto che, nell’approccio FIRB, l’applicazione del requisito pari a zero per le posizioni in default (cfr formula a pagina 89 del documento) risulta disincentivante alla adozione di metodi più sofisticati.

• 5.5–Validazione dei modelli di rating e delle stime dei parametri di rischio

Si chiede un chiarimento in merito al concetto di backtesting delle stime di LGD e CCF, fermo restando il necessario confronto con le stime ottenute su serie storiche via via più ricche negli anni. Sull’argomento si raccomanda di raccordare la consultazione del Pillar 1 con quella del Pillar 3, il cui documento di consultazione affronta temi analoghi (cfr. documento di recepimento terzo pilastro, tavola 7–lettera h).

• 5.7– Utilizzo di modelli di fornitori esterni

Sarebbe auspicabile che il Regulator prevedesse un principio di proporzionalità nell’interpretare il soddisfacimento dei requisiti previsti per i modelli esterni a seconda delle modalità di adozione (ad es. prevedere requisiti rigidi o al limite l’inammissibilità per modelli standard adottati tout court vs. criteri più “leggeri” nel caso di modelli adattati / calibrati sulla realtà interna o di uso parziale, non determinante, di modelli esterni a completamento dei modelli sviluppati internamente, in particolare quando la Banca non disponga di adeguate osservazioni per sviluppare un modello in completa autonomia piuttosto che nel caso in cui il modello esterno fornisca informazioni non accessibili alla banca / complementari con quelle utilizzate dalla stessa).

• 6.1 - Regole di ponderazione – Probabilità di default

Nel caso di ratei, interessi e competenze non riconducibili a singoli soggetti e pertanto per i quali non è disponibile una indicazione di portafoglio, non risulta chiaro come si debba determinare la PD media, né quale funzione di ponderazione si debba applicare.

• 6.1 - Regole di ponderazione - Operazioni pronti contro termine su titoli e merci ed altre operazioni assimilate

Si richiede conferma sul fatto che la possibilità di ricorrere a stime interne per il calcolo degli haircut riguarda solo le banche già autorizzate all’utilizzo di modelli interni per il rischio di mercato come ipotizzato dal documento “Schede sulle

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discrezionalita’ nazionali contenute nel nuovo accordo sul capitale (“Basilea 2”) e nelle proposte di direttive europee in materia di requisiti patrimoniali delle banche e di adeguatezza patrimoniale delle banche e delle imprese di investimento” Banca d’Italia, marzo 2005. Si osserva, al riguardo che, data la differenza dei contesti operativi in cui si applicano i due modelli (il modello interno del Trading Book sostanzialmente nelle sale di trading e finanza, mentre le stime degli haircut nell’ambito della rete commerciale) vedremmo anche corretto l’applicazione di modelli coerenti, ma distinti e quindi validazioni separate e quindi sostanziale indipendenza tra le stime interne degli haircut e l’esistenza e validazione del modello interno ai fini del Trading Book.

• 6.1 - Regole di ponderazione - scadenza

Si richiede di definire degli esempi per “attività di rischio aventi un profilo di cash flow predeterminato” e per “le attività di rischio diverse da quelle aventi un profilo di flussi di cassa predeterminato” Gli strumenti a tasso variabile rientrano nella prima tipologia ? se sì, la stima dei cash flow futuri deve avvenire attraverso i tassi forward di mercato? Rientrano nella prima categoria anche i derivati opzionali su tassi? Se sì, come si modifica la formula per il calcolo della maturity (ponderando i flussi attesi per la probabilità di realizzazione)? Nel caso invece si considerino detti strumenti come appartenenti alla seconda categoria, quale potrebbe essere un valore congruo per M, la durata dell’opzione o quella del sottostante (nel caso, ad esempio, delle swaption)?

• 6.2.1 Garanti (o venditori di protezione) ammessi

Testo: “b) sin dal momento in cui ha rilasciato la protezione dal rischio di credito presenta un rating interno cui corrisponde una PD equivalente o inferiore a quella associata alle classi di merito creditizio 1 o 2 previste dal metodo standardizzato con riferimento alle imprese non finanziarie (cfr. documento di consultazione relativo); c) ha un rating interno con una PD equivalente o inferiore a quella associata alla classe di merito creditizio 3 prevista dal metodo standardizzato con riferimento alle imprese non finanziarie (cfr. documento di consultazione relativo).” Commento: Quanto riportato al punto c) sembra in contraddizione con il punto b), a meno che il punto c) non si riferisca ad attribuzioni del rating nel tempo successive a quella effettuata al momento del rilascio della protezione.

• 7. Procedura di autorizzazione

Alle banche che utilizzano l’approccio AIRB, per i primi 3 anni di applicazione della normativa, il requisito patrimoniale Bis 2 (credito, mercato ed

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operativo) non può essere inferiore al 95%, 90% e 80% del requisito Basilea 1. Il calcolo “parallelo” fino al 2009 andrà effettuato rispetto al metodo attualmente vigente (pag. 79). Forse l’esempio riferito al 2007 riportato in normativa di consultazione per una banca che ha esercitato l’opzione di rimanere in codesto anno in Basilea 1 può essere fuorviante. I vari valori percentuali, ottenuta la validazione AIRB vanno riferiti al metodo standardizzato e non a Basilea 1? E’ forse opportuno che La Banca d’Italia presenti un chiaro esempio (ad esempio richiesta di convalida al 30 giugno 2008 e ottenimento della validazione al 31 dicembre 2008) su cosa occorre segnalare nelle date del 31 dicembre 2007, 31 dicembre 2008, 31 dicembre 2009, 31 dicembre 2010, inclusivo di delucidazioni su come fare il parallelo e su cosa calcolare le soglie di limitazione.

• 7.3 Estensione progressiva del metodo IRB (pag.80)

Si richiede di precisare la banca che decide di estendere progressivamente uno dei parametri di rischio relativi al metodo AIRB (LGD o EAD) applicandone inizialmente solo due venga comunque considerata soggetta al metodo Advanced.

• 7.3.1 Le condizioni per l’estensione progressiva del metodo IRB (pag. 81)

Testo: Le banche possono avvalersi della facoltà di estensione progressiva purché dimostrino che, alla data di inoltro della domanda, i metodi dei rating interni coprono per le singole classi (o sotto-classi) di esposizioni almeno il 75% delle esposizioni stesse; a tali fini, le “altre esposizioni al dettaglio”, di cui al punto iii) del par. 3.4 del presente documento, vanno distinte tra le esposizioni verso privati e quelle verso le imprese e i piccoli operatori economici. In ogni caso, l’insieme delle attività sottoposte a convalida deve rappresentare una quota significativa del portafoglio complessivo. Commento: Anche se il testo sembra prevedere la possibilità dell’esistenza di controparti unrated, non viene fornito nessun riferimento esplicito per il trattamento di tali esposizioni. Proposte al riguardo potrebbero essere l’utilizzo dell’approccio Standardized o di opportune probabilità di insolvenza medie per la singola classe (o sotto-classe) in questione. Sembra utile che la Banca d’Italia esprima il proprio parere a proposito di questo problema.

• 7.3.1 Le condizioni per l’estensione progressiva del metodo IRB (pag. 81)

Testo:“Resta comunque ferma la necessità di disporre sin dal momento dell’inoltro della domanda, oltre alla PD, di stime di LGD in linea con i requisiti di cui al cap. 4.”

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Commento: si richiede di chiarire il significato di tale previsione, con particolare riferimento al metodo IRB per le esposizioni al dettaglio.

• 7.4 Utilizzo parziale permanente del metodo standardizzato

Esposizioni verso amministrazioni centrali e banche centrali, a condizione che il numero di controparti sia limitato ed in più risulti oneroso dotarsi di un sistema di rating. La carenza di dati sui default non è vista da Banca d’Italia come possibile ragione a richiedere l’esenzione permanente Cosa si intende per un numero limitato di controparti ? Il numero va determinato a livello di gruppo connesso oppure a livello individuale ?

• Riquadro 4.1 Requisito dell’integrità: alcune ipotesi organizzative

1. Nel caso in cui l’algoritmo di combinazione del qualitativo con la componente statistica di analisi finanziaria preveda uno scostamento max di 1 sola classe per effetto del qualitativo (compilato dal gestore) si richiede alla Banca d’Italia se questa misura organizzativa possa essere ritenuta efficace per limitare la discrezionalità del gestore della relazione ed il potenziale conflitto di interesse. Infatti, si ritiene che in tale modo la discrezionalità del gestore venga gestita con una modalità tecnica (l’algoritmo di calcolo) anziché con una modalità organizzativa e che in tale modo il potenziale conflitto di interesse venga confinato in un ambito piuttosto limitato.

2. Si ritiene che, quantomeno nella fase di impianto del sistema la struttura

di assegnazione dei rating possa essere identificata all'interno della Direzione Crediti, attribuendone la responsabilità a figura di rilievo (dirigente) non destinatario di deleghe in materia di credito e non "interessato" (leggasi: sistema premiante) agli aspetti commerciali; ciò soprattutto per capitalizzare le conoscenze specialistiche già presenti. In questo senso si esprime una preferenza per la soluzione sub 2), per quanto ovvio con l'adozione dei presidi prima accennati. È possibile prevedere una transizione nel tempo da un modello all’altro?

• Riquadro 5.1 Distribuzione delle esposizioni per gradi o aggregati (pool)

1. Si ritiene opportuno chiedere chiarimenti, con riferimento ai riquadri 2.2 e 5.1, in cui sembra escludersi la possibilità di segnalare i default per transazione relativamente alle esposizioni verso le piccole imprese e i piccoli operatori economici (POE).

2. Infatti, poiché per le esposizioni verso queste categorie è possibile scegliere se adottare un approccio per transazione o per controparte (cfr par 3.4 del Documento di Consultazione), la scelta di un approccio per transazione per le esposizioni classificabili come al dettaglio verso piccole imprese e POE sembrerebbe comportare la gestione di una doppia

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definizione di default, ovvero una per controparte a fini segnaletici ed un'altra, per transazione, finalizzata alla costruzione del sistema di rating.

3. Poiché, dalla lettura del documento di consultazione, sembra emergere la preferenza da parte dell’Organi di vigilanza per un approccio metodologico che mantenga la coerenza tra concetto di default utilizzato per le segnalazioni di vigilanza e quello utilizzato ai fini del sistema IRB, si richiede se l’esclusione della segnalazione dei default per transazione espressa al Riquadro 2.2 indichi anche una preferenza da parte dell’Organo di Vigilanza per un approccio per controparte per le esposizioni verso piccole imprese e POE:

4. In questo caso, e più in generale nel caso in cui gli intermediari scelgano l’approccio per controparte per le esposizioni verso piccole imprese e POE, si vorrebbe meglio specificato:

- se, e in che misura un approccio per controparte rispetto ad un approccio per transazione comporti una differenziazione dei requisiti organizzativi richiesti per la classificazione di un’esposizione al dettaglio; - restino in questo caso applicabili i criteri relativi al numero elevato di esposizioni e di gestione su base aggregata. 7

5. Tra i criteri per identificare i pool si ritiene sufficiente anche una clusterizzazione in base alle seguenti categorie: tipo prenditore, tipo prodotto, classe di rating.

6. E’ possibile calcolare la PD media per prodotto / classe di rating partendo dalle PD individuali, come rappresentativa del pool?

7. E’ ammissibile la definizione dei cluster in base alla PD, con associazione ex-post ai singoli pool del valore di LGD più appropriato, eventualmente con un livello di granularità diverso da quello della PD (es. 13 classi di rating definite in base alle PD, con associati due valori di LGD).

• Riquadro 5.2 Stima della PD e prociclicità

Si richiede un chiarimento sulle modalità di conduzione degli esercizi di stress nel caso di rating “che non incorporano condizioni avverse”, alle quali la Banca d’Italia “riserverà particolare attenzione”: Si tratta di rating di tipo PIT, ritenendo che l’approccio TTC incorpori condizioni avverse? Lo stress riguarda in questo caso unicamente la master scale (in luogo dei rating attribuiti) o sono pensabili altre tipologie di stress?

7 Nel caso del leasing, l’individuazione di questi criteri è fondamentale. Infatti, nello specifico: • ogni posizione riceve uno scoring/ rating individuale; • nella gestione del back-office, se accade un qualche evento (sinistro, furto del bene, estinzione

anticipata) viene attivata una gestione per definizione 'ad-hoc'; • se la pratica presenta problemi di recupero è trattata individualmente. Inoltre, dal punto di vista della standardizzazione del prodotto (un altro degli elementi organizzativi comunemente utilizzabili per classificare un’esposizione come al dettaglio), il leasing è tipicamente uno strumento sostanzialmente standardizzato, anche se normalmente più “flessibile” del mutuo nella strutturazione delle condizioni finanziarie.

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Si richiede che il regolatore inserisca in normativa una precisa definizione delle caratteristiche di un sistema PIT vs. TTC.

• Allegato 4 –“Scheda modello”- cap. 8.4 Interventi di modifica del modello

Si sottolinea l’opportunità che la Banca d’Italia produca apposite linee guida circa la revisione dei modelli nel caso di operazioni di natura straordinaria che coinvolgono gli assets della banca.

***

Quale ultimo aspetto si richiede alla Banca d’Italia di arricchire il documento sugli IRB con l’illustrazione di alcuni aspetti specifici che attualmente, pur nel rispetto delle peculiarità dei modelli aziendali, se non normati potrebbero determinare significative distorsioni nel confronto dei requisiti patrimoniali calcolati dalle diverse banche. Fra questi, in parte già descritti in alcuni dei quesiti precedenti, si ricordano i criteri per la classificazione in portafogli regolamentari, principi per la classificazione delle imprese appartenenti a gruppi economici, principi di classificazione delle controparti unrated di segmenti soggetti a convalida con metodo IRB, principi per il trattamento di dati missing nell’applicazione dei modelli di PD.

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POSITION PAPER ASSILEA SUL DOCUMENTO DI CONSULTAZIONE BANCA D’ITALIA PER IL RECEPIMENTO DELLA NUOVA

REGOLAMENTAZIONE PRUDENZIALE INTERNAZIONALE IN TEMA DI: METODO DEI RATING INTERNI PER IL CALCOLO DEL RISCHIO DI

CREDITO (DI LUGLIO 2006)

PREMESSA DI CARATTERE GENERALE Le disposizioni di cui al presente documento “si applicano ai gruppi bancari e alle banche individuali non appartenenti a gruppi.” Richiamiamo anzitutto l’attenzione sul fatto che attualmente le “banche attive nel settore del leasing” rappresentano circa un terzo del mercato leasing, in termini di volumi di contratti annualmente stipulati, per un importo compreso tra i 12 e i 14 miliardi di euro, a seconda che ci si riferisca a banche specializzate nell’attività di leasing o a banche generaliste, con una propria divisione preposta all’attività di leasing. Sommando a tale categoria le quote di mercato delle altre società di leasing diverse dalle banche, ma che fanno parte di gruppi bancari, si stima una quota di mercato complessiva vicina al 95% di operatori leasing che potranno essere direttamente o indirettamente coinvolti nell’applicazione dei sistemi di rating interni. Se ne deduce che le disposizioni di cui al presente documento avranno un impatto rilevante sul mercato italiano del leasing (che, con un valore complessivo di oltre 44 miliardi di euro di stipulato nel 2005, rappresenta il terzo per importanza in Europa) e pertanto si raccomanda di tenere adeguatamente in considerazione le specificità del prodotto. Inoltre, nel documento di consultazione sull’ambito di applicazione dei nuovi requisiti patrimoniali di marzo 2006 si prevede che gli Intermediari Finanziari vengano sostanzialmente equiparati alle banche in termini di trattamento ai fini del calcolo dei requisiti patrimoniali individuali. Nel citato documento viene previsto, circa le metodologie di misurazione dei rischi, l’utilizzo, in generale, del metodo standardizzato e il possibile utilizzo di metodi IRB solo nel caso di I.F. ex art. 107 facenti parte di gruppi bancari che abbiano ottenuto la convalida di tali modelli. Per quanto riguarda operatori leasing I.F. ex art. 107 richiamiamo, di seguito, quanto già espresso nel nostro position paper trasmessovi l’8 maggio u.s.. Non si ritiene corretto, in via di principio, che agli I.F. ex art. 107 non appartenenti a gruppi bancari sia preclusa la possibilità di validazione in tempi brevi di metodi più avanzati per la misurazione del rischio di credito e del rischio operativo. Questa disparità di trattamento rispetto alle banche ed agli I.F. facenti parte di gruppi bancari porterebbe sia per il rischio di credito che per il rischio operativo ad asimmetrie competitive sul mercato, nonché a disincentivare la creazione delle basi dati che, anche a livello consortile, si stanno via via formando nel settore e che potrebbero coadiuvare molto i soggetti vigilati nella corretta misurazione delle proprie perdite.

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1. DEFINIZIONE DI DEFAULT - TERMINE TEMPORALE PER I RITARDATI

PAGAMENTI Si chiede conferma della corretta interpretazione di quanto riportato a pag. 6 del documento in oggetto al capitolo 2.4 punto 1): “il debitore è in ritardo su una obbligazione creditizia rilevante verso la banca o il gruppo bancario da un numero di giorni pari a: 180 per i crediti al dettaglio e quelli verso gli enti del settore pubblico; 180 - fino al 31.12.2011 - per i crediti verso le imprese; 90 per gli altri.” In particolare si chiede un chiarimento sulla tipologia di esposizioni per le quali rimane valido il termine di 90 giorni per il tardato pagamento. Confrontando, infatti, le attività menzionate a pag. 6 con l’elenco delle classi di esposizioni in cui il portafoglio della banca può essere ripartito all’interno di un sistema di rating (cfr. pag. 8 del Documento in oggetto), risulterebbe quanto segue:

• un termine di 90 giorni per le esposizioni creditizie verso amministrazioni centrali e banche centrali – coerentemente, del resto, con quanto previsto anche nel metodo standardizzato (di cui al relativo Documento di consultazione Banca d’Italia di marzo 2006);

• mentre per le esposizioni garantite da immobili (per le quali è esplicitamente previsto un termine di 90 nel metodo standardizzato), non essendo nel metodo IRB riconosciute come classi di esposizioni a sé stanti (fatto salvo quanto previsto in tema di Credit Risk Mitigation), il termine sarebbe quello dei 180 giorni, stante l’inclusione di tali esposizioni nella classe retail ovvero in quella corporate.

Con riferimento a quanto sopra, chiediamo conferma del fatto che per le esposizioni di leasing immobiliare sia previsto ai fini della definizione di “default” un ritardo di pagamento di 180 giorni (almeno fino al 31.12.2011, se si tratta di esposizioni corporate).

2. DEFINIZIONE DI DEFAULT – SOGLIA DI RILEVANZA Sempre ai fini della definizione di default, è stata introdotta una soglia di rilevanza pari al 5% dell’esposizione. Si riporta in merito quanto già esposto al punto 10 del Position Paper Assilea (trasmessovi in data 8 maggio 2006) sui documenti di consultazione di marzo 2006, con riferimento alla soglia di materialità per la definizione delle Past due: “Si ritiene opportuno inserire una soglia di materialità ai fini della definizione di past due, sia in termini di percentuale di debito impagato rispetto al totale dell’esposizione originaria (facendo riferimento alla soglia del 5% già prevista alla Voce 2479 della Matrice di Vigilanza per le banche), sia in termini di importo assoluto … Soglie di questo tipo eviterebbero anzitutto che alcune poste insolute d’importo modesto (quali oneri di pre-locazione, costo perizia iniziale, oneri accessori, ecc.) – che di per sé non incidono sul merito creditizio del debitore ed il cui ritardo di pagamento è spesso dovuto a motivi “tecnici”- rilevino ai fini della definizione di default. In particolare, si sottolinea che l’utilizzo di una soglia commisurata solo all’esposizione in essere – anziché come da noi proposto all’esposizione originaria - comporterebbe per le operazioni a scadenza come il leasing una costante diminuzione dell’importo corrispondente a tale soglia durante la vita contrattuale, con effetti distorsivi paradossali.”

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Inoltre, anche al fine di assicurare quella coerenza richiesta fra i comportamenti gestionali e le prassi operative dell’IRB, appare indispensabile prevedere una perfetta coerenza con le procedure di individuazione delle posizioni in default stabilite (ovvero se del caso da adeguare a Basilea 2) nelle istruzioni sulle segnalazioni di Vigilanza e di Centrale dei Rischi. Sulla base di quanto sopra, si chiede:

• che la soglia di materialità del 5% venga applicata – in coerenza del resto con quanto previsto anche ai fini del calcolo della soglia dimensionale di 1 milione di € per la definizione di retail – non sull’esposizione in essere alla data, ma sull’importo dell’esposizione originaria al momento della messa in decorrenza del leasing;

• che venga fissato anche un importo minimo del saldo scaduto per la definizione di default (in analogia, seppur di minore rilevanza, con quanto previsto per le segnalazioni di Vigilanza per le esposizioni verso gli enti pubblici );

• che venga più in generale assicurata piena e puntuale coerenza fra la metodologia di individuazione delle posizioni in default ai fini IRB e di quella ai fini delle segnalazioni di Vigilanza e Centrale Rischi.

3. VALORI DELLA LGD NEL METODO BASE Al capitolo 6.1 del presente documento di consultazione, pag. 54 e pag. 55, vengono indicati i valori di LGD da applicare, per il metodo base, alla funzione regolamentare. Con riferimento alle esposizioni leasing garantite da beni immobili e da beni mobili, non c’è alcuna disposizione specifica, salvo un rimando a quanto previsto in caso di possibili riduzioni dei valori regolamentari di LGD in presenza di garanzie (personali e reali) di cui al documento di consultazione Banca d’Italia in tema di Credit Risk Mitigation di dicembre 2005. A tal proposito:

1. si chiede un riscontro sulle osservazioni da noi inviate il 31.1.2006 sul documento di consultazione Banca d’Italia in merito di Credit Risk Mitigation;

2. si chiede conferma della possibilità di applicare fino al 31.12.2012, nel caso vengano rispettati i requisiti per il riconoscimento del bene come garanzia di cui all’Allegato VIII della Direttiva 2006/48/CE, una LGD del 30% anziché del 35% per il leasing di immobili non residenziali ed una LGD del 35% anziché del 40% per il leasing mobiliare (pag. 151-152 della Direttiva 2006/48/CE e paragrafo 2.11 del documento Banca d’Italia sulla CRM di dicembre 2005).

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4. ESPOSIZIONI CONNESSE CON FINANZIAMENTI SPECIALIZZATI

Sulla base di quanto discusso durante i lavori preparatori dell’Accordo di Basilea 2 e della direttiva europea, nella categoria di esposizioni connesse con finanziamenti specializzati (SL) dovrebbe rientrare un numero estremamente limitato di operazioni di finanziamento aventi impostazioni particolari su investimenti d’importo notevolmente elevato. Proprio la scarsa numerosità di tali operazioni renderebbe molto complessa la creazione di serie storiche di PD e/o LGD idonee all’utilizzo di sistemi di rating interni e per questo motivo viene previsto, in alternativa, un apposito “sistema basato sui criteri regolamentari di classificazione”. Il delicato ed articolato sistema di valutazione di queste esposizioni sulla base di tali criteri regolamentari, si giustifica per la particolarità, la rilevanza unitaria e la complessità delle operazioni sottostanti. L’attuale redazione delle norme sulle SL, senza richiamare in modo esplicito il contesto di operatività particolare sopra delineato nel quale le stesse devono ricercarsi, fornisce una serie di criteri molto generali per l’individuazione delle operazioni da classificare all’interno di tali categorie, la cui lettura, se non chiarita, appare foriera di interpretazioni che potrebbero attrarre nella categoria delle SL molte operazioni di leasing stante la stretta correlazione “finanziamento bene locato reddito prodotto dal bene locato” connaturata all’operazione di leasing e punto di forza della validità economica della stessa. Come noto, infatti l’attività di leasing, principalmente rivolta alle piccole e medie imprese, consiste nel finanziamento di uno o più beni che sono strumentali allo svolgimento di un’attività imprenditoriale ed è tale attività che, proprio attraverso l’utilizzo dei beni locati, genera il cash flow necessario al rimborso del debito. Se da un lato quindi, la particolare forma della garanzia intrinseca al leasing (la proprietà giuridica del bene) costituisce in molte situazioni un efficiente ed efficace strumento di mitigazione del rischio (come del resto è stato previsto nel relativo documento di consultazione Banca d’Italia di dicembre 2005), dall’altro lato proprio la peculiare e precisa destinazione “di scopo” del finanziamento leasing assicura al rimborso dello stesso l’esistenza di un flusso di risorse interne generate dall’oggetto stesso finanziato. Così, ad esempio, in assenza di un chiarimento sull’ambito di applicazione della normativa sulle SL, il leasing di uno o più veicoli commerciali o industriali ad un autotrasportatore, che magari non possiede altri beni oltre a quelli presi in leasing, per la natura stessa dell’operazione, potrebbe impropriamente ritenersi da classificare nella categoria dell’ “object finance”, invece di essere considerato – riteniamo propriamente - come un normale credito per un finanziamento di scopo assistito da garanzia reale, o, qualora ne sussistano i presupposti, come un credito retail a piccole imprese e piccoli operatori economici. Similmente, il leasing di un fabbricato industriale ad una società immobiliare che come principale attività lo affitta all’impresa industriale facente capo agli stessi azionisti dell’immobiliare potrebbe astrattamente essere considerato da inquadrare tra le “income producing real estate.” Al contrario anche in questo caso, tenuto conto anche dell’estrema linearità dell’operazione, quest’ultima dovrebbe a nostro avviso comunque essere assimilata ad un normale credito garantito da immobile. Si ricorda, in proposito, con riferimento al leasing di immobili destinati ad essere locati, quanto già osservato nel nostro Position Paper trasmesso l’8 maggio in risposta ai documenti di consultazione Banca d’Italia di marzo 2006: “Per quanto attiene comunque al requisito della assenza di una correlazione rilevante fra solvibilità del debitore e proventi dell’immobile in garanzia, si osserva che esistono talvolta nella prassi contratti di leasing su immobili destinati ad essere locati. Tuttavia in questi casi, di norma, la società di leasing richiede garanzie specifiche al locatario finale sul pagamento dei canoni leasing al soggetto finanziato in leasing.

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Si chiede conferma del fatto che – indipendentemente dall’auspicata deroga - la presenza di tali garanzie consenta in ogni caso di considerare soddisfatto il principio secondo il quale il rischio del debitore non debba dipendere in misura rilevante dal cash-flow generato dall’immobile. Sarebbe sufficiente in tal senso sostituire il concetto di “rischio del debitore” con quello (peraltro più proprio) di “rischio dell’operazione.” Si chiede pertanto che per le disposizioni riguardanti le esposizioni connesse con i finanziamenti specializzati venga adeguatamente chiarito e precisato il relativo ambito applicativo, distinguendolo in tal modo con chiarezza dalla generalità delle operazioni di leasing che seppur per natura indirizzate al finanziamento di investimenti in beni materiali, non devono configurarsi come finanziamenti specializzati, bensì come normali finanziamenti all’attività d’impresa giuridicamente particolarmente ben garantiti dalla proprietà del bene finanziato e spesso economicamente ben sostenuti proprio dalla capacità di generare cash-flow intrinseca al bene locato medesimo. 5. CALCOLO DELL’ESPOSIZIONE LEASING E TRATTAMENTO DELL’ESPOSIZIONE AL VALORE RESIDUO Si rileva una totale discordanza tra il trattamento previsto per l’esposizione al valore residuo di cui alla Direttiva Comunitaria, rispetto a quello previsto nel presente documento di consultazione. Sulla base di quanto disposto nella Direttiva 2006/48/CE, infatti l’esposizione leasing risulterebbe composta da due parti:

• i canoni leasing minimi scontati, comprensivi (conformemente alla definizione di cui allo IAS 17, che si è correttamente voluto riprendere nella direttiva) - oltre che dei canoni che il locatario è o può essere obbligato a pagare per la durata del leasing – di qualsiasi opzione finale d’acquisto “conveniente” (vale a dire un’opzione il cui esercizio è ragionevolmente certo) e di eventuali valori residuali garantiti (Allegato VII, Parte 3, punto 4, pag. 106);

• un’eventuale esposizione sul valore residuo “non garantito” che rientra nelle altre attività diverse dai crediti (cfr. Art. 86, punto 8, pag. 37) e che andrà ponderata conformemente a quanto previsto dall’Allegato VII, Parte 1, punto 27, pag. 100: “1/t * 100% * valore dell’esposizione, dove “t” è il numero di anni della durata del contratto di leasing.”

In particolare, nel presente documento di consultazione: 1. non viene fornita una specifica definizione di esposizione leasing; 2. viene previsto un diverso trattamento dell’esposizione al rischio di valore residuo

(Paragrafo 6.7 a pag. 73 del presente documento di consultazione Banca d’Italia); 3. viene introdotto (Paragrafo 6.7 a pag. 73 del presente documento di consultazione

Banca d’Italia) un improprio riferimento al leasing “finanziario” ed al valore di “riscatto” tipico di quest’ultima forma, anziché al leasing in genere, creando un grave disallineamento concettuale con l’impianto – per contro pienamente condivisibile - presente nella Direttiva europea e nell’Accordo di Basilea.

1. Definizione di esposizione leasing Con riferimento al primo punto:

• si chiede di confermare che, ai fini della definizione di esposizione leasing, ci si possa riferire a quella presente nella Direttiva 2006/48/CE;

• chiediamo inoltre, coerentemente con quanto evidenziato nel nostro Position Paper trasmessovi in data 31 gennaio u.s. (punto 10), di riconoscere fra i valori residui garantiti da includere nell’esposizione leasing tutte quelle esposizioni sul Valore

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Residuo originariamente aventi natura di “rischio commerciale” che, in ottemperanza alle disposizioni della Banca d’Italia, sono state trasformate in esposizioni a natura di “rischio creditizio” a seguito dell’acquisizione di un impegno al riacquisto del bene da parte di soggetti terzi. Ovviamente in questi casi, il rating del rischio di controparte sarà quello proprio del soggetto sottoscrittore la garanzia sul valore residuo, per questa quota parte dell’esposizione .

2. Esposizione al valore residuo Ai sensi dei citati articoli della Direttiva 2006/48/CE, si prospetta un calcolo dei requisiti patrimoniali leasing così articolato: Contratti di leasing non esposti al rischio di valore residuo K= [(MLP * RWR) dove MLP è l’importo dei canoni leasing scontati comprensivi anche dell’opzione finale d’acquisto e degli eventuali valori residuali garantiti. Contratti di leasing esposti al rischio di valore residuo K= [(MLP * RWR) + (RV * 100%)] * 8% t dove RV è il Valore Residuo non garantito e t è il numero di anni della durata del contratto di leasing. Più in particolare, con riferimento alla modalità di calcolo del requisito patrimoniale a fronte dell’esposizione al valore residuo per ciascun anno di durata del contratto di leasing, la disposizione della Direttiva 2006/48/CE di cui all’Allegato VII, Parte 1, Punto 27, pag. 100 è teoricamente interpretabile con tre diverse metodologie di calcolo:

a) t è pari al numero di anni di durata del contratto e ogni anno va prevista una quota incrementale di capitale pari a 1/t*100%*Esposizione al valore residuo fino ad arrivare allo scadere del contratto ad una porzione di capitale a copertura dell’esposizione al valore residuo pari al 100% di tale esposizione; questa è l’interpretazione condivisa e sostenuta dalla Federazione europea del leasing (Leaseurope) e più coerente con la dinamica del rischio di valore residuo, crescente in funzione dell’avvicinarsi della scadenza del contratto, fino alla completa ricostituzione del 100% dell’esposizione al valore residuo al termine del contratto;

b) t è pari al numero di anni di durata del contratto e la quota di capitale prevista a copertura

dell’esposizione al valore residuo rimane costante e pari a 1/t * 100% * Esposizione al valore residuo, anche nell’anno in cui il contratto arriva a scadenza; tale interpretazione non è condivisa in ambito Leaseurope perché in questo caso l’esposizione al valore residuo verrebbe ridotta ad un importo estremamente limitato e non coerente con il rischio in essere al momento della fine locazione, disattendendo così l’originario intento della nuova normativa;

c) t è pari al numero di anni di durata residua del contratto; tale interpretazione, pur

prevedendo quote di capitali crescenti all’avvicinarsi della scadenza del contratto, fino alla completa ricostituzione dell’esposizione al valore residuo al termine del contratto, è la più lontana dalla traduzione del testo della Direttiva, dove viene esplicitamene chiarito che “t è il numero di anni della durata del contratto di leasing.”

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Si chiede che venga riconosciuto dall’Autorità di Vigilanza nazionale il trattamento dell’esposizione al valore residuo non garantito previsto dalla citata disposizione della direttiva europea, seguendo l’interpretazione prudenziale di cui alla lettera a). L’attuale previsione di una ponderazione al 100% dell’esposizione al valore residuo per tutta la durata contrattuale creerebbe un evidente svantaggio competitivo in Italia rispetto alle società di leasing di altri Paesi in cui venisse invece applicato il trattamento di cui alla direttiva europea.

3. Impropria introduzione del concetto di leasing “finanziario” Al fine di evitare problemi interpretativi, sia nell’Accordo di Basilea, che nella Direttiva 2006/48/CE, non è stata inserita alcuna distinzione tra leasing finanziario e leasing operativo, ma si è voluto molto semplicemente distinguere tra contratti di leasing esposti o meno al rischio di valore residuo. Viene dunque ammessa, sia in ambito di Accordo di Basilea che in ambito di Direttiva 2006/48/CE l’operatività da parte delle banche nel leasing operativo, pur con differenti regole sulla ponderazione dell’esposizione al valore residuo. Su questo punto è molto esaustiva la risposta ufficiale fornita dal CEBS al quesito n. 24 (nell’ambito dell’attività del Capital Requirements Directive Transposition Group) in cui si legge, con riferimento alle disposizioni della Direttiva 2006/48/CE sul calcolo ed il trattamento delle esposizioni leasing che queste ultime “non pongono una differenziazione tra leasing finanziario e leasing operativo. L’Allegato VII, Parte 3, punto 4 stabilisce come si calcola l’esposizione leasing, e quanto ivi stabilito si applica a tutti i tipi di leasing. 1 Qualsiasi elemento del leasing che non ricade in detta definizione, ricade nelle altre attività diverse dagli strumenti finanziari (cfr. Allegato VII; Parte 1, punto 27).” Si chiede pertanto, in coerenza con la regolamentazione internazionale, di eliminare dalla disposizione sul leasing di cui al Paragrafo 6.7, pag. 73 del presente documento di consultazione ogni riferimento al leasing “finanziario” ed al valore “di riscatto.”

1 Per altro, seguendo i criteri di qualificazione del leasing finanziario stabiliti dal Principio Contabile Internazionale IAS 17, un contratto di leasing esposto al rischio di valore residuo sarebbe di norma un leasing operativo e non un leasing finanziario, come invece impropriamente indicato nella bozza del documento trasmesso.

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6. DOWNTURN LGD Con riferimento a quanto previsto nel Riquadro 5.4 del presente documento di consultazione, esprimiamo le nostre perplessità sull’utilizzo di una “downturn LGD” nella metodologia di calcolo della LGD. E’ evidente anzitutto che le LGD calcolate in una fase recessiva saranno più elevate di quelle calcolate sulla media di lungo periodo. Pur comprendendo il fatto che a regime la stima della LGD debba avvenire sulla base di serie storiche abbastanza profonde da tener conto anche di eventuali fasi economiche recessive (e delle conseguenti possibili correlazioni positive fra tassi di perdita e tassi di default), non si comprende perché ai fini della metodologia di calcolo dei rating interni debbano essere utilizzate downturn LGD e non semplicemente le LGD attese. Questa disposizione andrebbe, a nostro avviso, a vanificare l’intero processo di stima delle serie storiche di LGD, la cui corretta e puntuale attuazione è per altro già di per sé stessa particolarmente complessa. Del resto, ai sensi di quanto specificato nel presente documento di consultazione (ultimo capoverso di pag. 5) le funzioni regolamentari per il calcolo dei requisiti patrimoniali sono basate sul concetto di perdita inattesa e quindi costruite dal regolatore in maniera tale da trasformare le stime di perdita attesa in perdite inattese, e quindi in requisiti minimi di capitale. In questo senso l’input da inserire nelle funzioni deve essere coerente con le stime delle perdite attese dalla banca, costruite ovviamente tenendo conto anche delle perdite riscontrate nelle fasi di recessione. A tal proposito, si coglie l’occasione per segnalare che in ambito associativo è stata avviata da tre anni una rilevazione dei tassi di recupero sui beni rivenduti dalla società di leasing a seguito del default del cliente (ai quali è stata associato da due anni anche il calcolo della probabilità di recupero del bene stesso) ai fini della costruzione di curve di degrado del valore del bene nel tempo. L’intento di questa iniziativa è quello di costituire una vera e propria “banca dati sui beni ex-leasing,” al fine di poter creare un riferimento certo sul valore di mercato dei beni oggetto del contratto, fornendo alle società di leasing gli strumenti necessari per “stabilire in modo obiettivo un prezzo o un valore di mercato” dei beni in leasing, e poter così rispettare i requisiti previsti dalla Direttiva 2006/48/CE all’Allegato VIII, (quali quello di cui alla Parte 2, punto 10, lett. f, pag. 134), per il riconoscimento di tali beni come garanzie idonee ai fini della mitigazione del rischio di credito. Tale lavoro, impostato sui tassi di perdita sul valore originario del bene effettivamente realizzate nei diversi anni consentirà alle società di leasing di calcolare le proprie LGD tenendo conto delle indicazioni emergenti dal benchmarking settoriale sui concreti valori medi di realizzo dei beni in funzione della vetustà degli stessi. Con gli anni, la profondità storica di tali rilevazioni consentirà di includere anche i tassi di decadimento che – a seconda delle tipologie di beni e delle specifiche contingenze economiche - si riscontreranno nelle fasi recessive associati alle diverse probabilità di recupero degli stessi in tali periodi. Utilizzare downturn LGD equivarrebbe a parametrare le proprie stime solo sulle risultanze dei periodi recessivi, senza tener conto dei risultati delle rilevazioni riferite alle altre fasi del ciclo economico; una simile previsione, oltre ad apparire impropria sotto il profilo concettuale, farebbe perdere significatività ed utilizzabilità alle rilevazioni sui periodi non recessivi e indurrebbe pertanto le diverse società a non impegnarsi nella partecipazione – attualmente sempre più numerosa e attiva (proprio ai sensi dei mutati approcci alla determinazione dei requisiti patrimoniali) - a questo tipo di iniziative. Chiediamo pertanto di consentire l’utilizzo di metodi dei rating interni basati su stime della LGD di media-lunga durata che tengano conto delle eventuali fasi recessive, ma che non si limitino esclusivamente a queste ultime ovvero a stime meramente teoriche delle stesse.

POSITION PAPER

DELL’INDUSTRIA DEL FACTORING

SUL DOCUMENTO

“RECEPIMENTO DELLA NUOVA REGOLAMENTAZIONE

PRUDENZIALE INTERNAZIONALE- METODO DEI RATING

INTERNI PER IL CALCOLO DEL REQUISITO PATRIMONIALE A

FRONTE DEL RISCHIO DI CREDITO”

Settembre 2006

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PRESENTAZIONE

Il presente documento riporta il punto di vista dell’industria del factoring in merito alla proposta sul recepimento della nuova regolamentazione prudenziale internazionale. In particolare, il documento fa riferimento ai contenuti della proposta della Banca d’Italia, presentati nel documento “Recepimento della nuova regolamentazione prudenziale internazionale - metodo dei rating interni per il calcolo del requisito patrimoniale a fronte del rischio di credito” (d’ora in poi il Documento) diffuso nel mese di agosto 2006. Per ogni argomento rilevante dal punto di vista dell’industria del factoring, vengono presentate alcune osservazioni, rivolte a motivare il punto di vista suddetto, e, se possibile, vengono formulate le conseguenti proposte di emendamento del testo di riferimento, con particolare attenzione alle tematiche indicate nei riquadri del Documento. Il presente documento è il risultato dell’attività svolta dall’Associazione Italiana per il Factoring. Esso recepisce le osservazioni formulate dagli operatori del comparto, costituiti da banche ed intermediari finanziari specializzati, in particolare nell’ambito del Consiglio, del Comitato Esecutivo, delle Commissioni Tecniche e di un apposito gruppo di lavoro dell’Associazione. Il presente documento è destinato alla Banca d’Italia. I principali contenuti del documento sono stati discussi nell’ambito dei lavori di preparazione del Position Paper dell’Associazione Bancaria Italiana, che recepisce le principali osservazioni e proposte dell’industria del factoring. Informazioni e documentazione ulteriore possono essere richieste a: ASSIFACT – Associazione Italiana per il factoring Via Cerva, 9 – 20122 MILANO [email protected] www.assifact.it

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INDICE GENERALE (*)

PRESENTAZIONE ................................................................................................................................................ 2 2. DEFINIZIONI..................................................................................................................................................... 4

2.4 Definizione del default .................................................................................................................................. 4 Osservazioni................................................................................................................................................ 4 Proposte ...................................................................................................................................................... 4

Riquadro 2.2 - Esposizioni al dettaglio: default per controparte o per transazione......................................... 5 Commenti .................................................................................................................................................... 5

3. CLASSI DI ATTIVITA' ..................................................................................................................................... 5 Commenti .................................................................................................................................................... 5 Proposte ...................................................................................................................................................... 5

3.8 Crediti commerciali ...................................................................................................................................... 6 1. Certezza giuridica........................................................................................................................................ 6

Osservazioni................................................................................................................................................ 6 2. Efficacia dei sistemi di sorveglianza ........................................................................................................... 6

Osservazioni................................................................................................................................................ 6 Proposte ...................................................................................................................................................... 6

4. Efficacia dei sistemi per controllare le garanzie reali, la concessione dei crediti e gli incassi.................... 7 Osservazioni................................................................................................................................................ 7 Proposte ...................................................................................................................................................... 7

5. Conformità con le politiche e le procedure interne alla banca .................................................................... 7 Osservazioni................................................................................................................................................ 7 Proposte ...................................................................................................................................................... 7

Riquadro 3.1 - Inquadramento della cessione di crediti commerciali come portafoglio a sé stante o come garanzia. .......................................................................................................................................................... 8

Commenti .................................................................................................................................................... 8 Riquadro 3.2 - Trattamento del “factoring not notification” ........................................................................... 9

Commenti .................................................................................................................................................... 9 3.8.3 Trattamento come cartolarizzazione - Riquadro 3.3 .............................................................................. 9

Commenti .................................................................................................................................................... 9 4. REQUITI ORGANIZZATIVI ............................................................................................................................ 9

4.5 Le specificità dei sistemi IRB nell’ambito del gruppo bancario ................................................................... 9 Osservazioni................................................................................................................................................ 9

5. REQUITI QUANTITATIVI ............................................................................................................................. 10 5.4.3. Tasso di perdita in caso di default ....................................................................................................... 10 Riquadro 5.3 – Dati relativi a recuperi non definiti....................................................................................... 10

Commenti .................................................................................................................................................. 10 6. REGOLE DI PONDERAZIONE...................................................................................................................... 10

6.8 Crediti commerciali acquistati.................................................................................................................... 10 Osservazioni.............................................................................................................................................. 10

6.8.2 Rischio di default: crediti commerciali ................................................................................................ 11 Osservazioni.............................................................................................................................................. 11 Proposte .................................................................................................................................................... 11

(*) La struttura del documento riflette quella del documento della Banca d’Italia e fa riferimento solo alle parti oggetto di specifiche osservazioni e proposte.

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2. DEFINIZIONI 2.4 Definizione del default Osservazioni Nelle operazioni di factoring, l’esposizione verso la controparte debitore ceduto è determinata dall’insieme dei rapporti commerciali intrattenuti con uno o più cedenti: l’inadempimento del debitore rispetto a una o più obbligazioni commerciali può essere determinata da vicende che concernono lo svolgimento del rapporto commerciale, come le contestazioni sull’erogazione della fornitura, e non dal decadimento del merito creditizio della controparte. L’applicazione della definizione contenuta al paragrafo 2.4 comporterebbe la rilevazione di numerosi default in assenza dell’effettivo decadimento del merito creditizio della controparte: analogamente a quanto previsto dalla nota 10 a pagina 39 del Documento1, tali eventi rappresentano inadempimenti tecnici che, come riconosciuto nel Documento, non determinano perdite a carico dell’intermediario finanziario. Al fine di assicurare coerenza nello sviluppo e nell’utilizzo del sistema di rating interno, l’Associazione ritiene opportuno generalizzare il principio contenuto nella citata nota 10, nel convincimento che gli inadempimenti tecnici dovrebbero essere esclusi dalla definizione delle posizioni in default. Diversamente, l’adozione di tale proxy risulterebbe scarsamente efficace e sarebbe operativamente inutilizzabile nella individuazione sia delle situazioni di decadimento del merito creditizio sia della causa dell’inadempimento, vale a dire il rischio di insolvenza o il rischio di annacquamento. Si evidenzia che per tale fonte di rischio, il Documento prevede un trattamento ad hoc ed indipendente rispetto a quello di credito. Proposte Al fine di migliorare l’efficacia delle posizioni scadute come proxy del default, l’Associazione propone di arricchire la definizione di cui al paragrafo 2.4 attraverso attributi comportamentali dell’adempimento del debitore. Sebbene la definizione sia già arricchita di un attributo dimensionale, vale a dire la soglia di rilevanza del 5%, si evidenzia che a fronte della natura commerciale delle obbligazioni alla base delle operazioni di factoring, tale filtro potrebbe risultare inefficace rispetto ai default tecnici: infatti, in caso di contestazione della fornitura, il debitore potrebbe astenersi totalmente dal pagamento di debiti originati da una fornitura rilevante in presenza di adempimenti regolari di altre obbligazioni. Qualora fossero presenti insoluti da 90/180 giorni, l’Associazione ritiene fondamentale l’osservazione del comportamento del debitore rispetto all’insieme delle obbligazioni commerciali. Sulla base delle evidenze empiriche riscontrate, l’Associazione propone di restringere la classificazione in default solamente alle posizioni scadute da 90/180 giorni che presentano gli attributi seguenti: 1 Si veda, Banca d’Italia (Luglio 2006), “Recepimento della nuova regolamentazione prudenziale internazionale. Metodologia dei rating interni per il calcolo del requisito patrimoniale a fronte del rischio di credito”, Nota 10 a pagina 39: “Ai fini della stima dei parametri di rischio, data l’attuale rilevanza del fenomeno dei past-due cd. “tecnici” (non rappresentativi di un effettivo stato di difficoltà finanziaria del debitore tale da generare perdite), è preferibile – almeno nella prima fase di applicazione della disciplina – non includere i suddetti past-due tra i default.”

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- l’importo è superiore al 5% del monte crediti verso il debitore alla data dell’osservazione;

- la posizione scaduta persiste per 3 mesi consecutivi precedenti alla data dell’osservazione;

- il debitore cui fa riferimento la posizione scaduta non ha eseguito alcun pagamento nel mese dell’osservazione e nei due precedenti.

Inoltre, si evidenzia che la definizione del default adottata nel documento sul metodo standardizzato2 “…La parte non garantita delle esposizioni che presentano un mancato pagamento da oltre 90 giorni...”,, appare in linea con il trattamento proposto da tale Associazione, individuando l’esposizione nell’insieme delle obbligazioni gravanti sul debitore verso il factor.

Riquadro 2.2 - Esposizioni al dettaglio: default per controparte o per transazione Commenti In coerenza con la pluralità di obbligazioni assunte dal debitore ed alla base dell’esposizione del cessionario, l’adozione dell’approccio per transazione appare diffuso presso i factor che stanno sviluppando i sistemi di rating interno. Pertanto, in considerazione del segmento preminente fra le controparti che sono coinvolte in operazioni di factoring, l’Associazione propone di consentire l’adozione di tale approccio anche alle esposizioni verso piccole e medie imprese. Con riferimento alle piccole e medie imprese, l’Associazione suggerisce l’opportunità di un chiarimento relativamente alla definizione della categoria nell’ambito del portafoglio retail, individuando un set di parametri quantitativi e/o qualitativi cui gli intermediari possano fare riferimento. 3. CLASSI DI ATTIVITA' Commenti L’acquisto di crediti commerciali per la realizzazione delle operazioni di factoring non è limitato a obbligazioni vantate verso imprese e clientela al dettaglio, ma può riguardare qualsiasi credito sorto nell’ambito dello svolgimento dell’attività d’impresa del cedente, come ad esempio quelli verso gli enti. Proposte L’Associazione propone di eliminare il riferimento aprioristico della suddivisione dei crediti commerciali fra il portafoglio imprese e clientela al dettaglio: il portafoglio di riferimento verrà di volta in volta identificato in base alle caratteristiche del debitore. 2 Banca d’Italia (2006), “Recepimento della nuova regolamentazione prudenziale internazionale. Metodo standardizzato per il calcolo del requisito patrimoniale a fronte del rischio di credito”, marzo

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3.8 Crediti commerciali

1. Certezza giuridica Osservazioni La legge 52 del 1991 tutela i factor verso il rischio della revocatoria dell’acquisto dei crediti commerciali: infatti, l’efficacia della cessione verso i terzi non è opponibile al fallimento del cedente solo se il corrispettivo dei crediti è stato corrisposto al cedente nell’anno antecedente la sentenza dichiarativa del fallimento, sempre che il factor conoscesse lo stato di insolvenza. In ogni caso, ai fini della corretta applicazione dei requisiti indicati nel paragrafo sulla certezza giuridica, l’Associazione ritiene necessario un chiarimento su quali possano essere “..le particolari cautele..”, diverse dall’astenersi nell’effettuare operazioni, che l’intermediario finanziario dovrebbe usare nei confronti dei cedenti più rischiosi.

2. Efficacia dei sistemi di sorveglianza Osservazioni In generale, si evidenzia che il requisito è già presente nell’attività di factoring svolta nel contesto nazionale: la frequenza dei rapporti con il cedente ed i debitori ceduti è funzione dell’erogazione di servizi di natura gestionale e/o finanziaria che hanno ad oggetto i crediti ceduti, le cui scadenze sono di breve termine. Queste caratteristiche operative consentono al factor di svolgere efficacemente l’attività di monitoraggio, permettendo di evidenziare tempestivamente eventuali criticità. In relazione alle attività dell’intermediario finanziario per assicurare la sorveglianza sulla qualità dei crediti, l’Associazione reputa necessario un chiarimento in merito alla tipologia del rating da assegnare al cedente e/o gestore: si ritiene, infatti, che esso debba essere coerente rispetto all’approccio (base/avanzato) utilizzato per la valutazione dei crediti commerciali acquistati. Proposte L’Associazione ritiene che la proposta di prevedere strutturalmente l’effettuazione di accessi in loco sia sostanzialmente ingiustificata per le operazioni che prevedono la notifica della cessione del credito al debitore ceduto. A tal proposito, l’Associazione sottolinea anche che tale prassi non è attualmente prevista dai contratti, né riflette una practice del mercato3. In assenza della notifica, l’Associazione concorda con l’opportunità di prevedere la possibilità di tali accessi, ma, considerando le caratteristiche dei sistemi dei controlli interni, oggetto di requisiti regolamentari nell’ambito di una disciplina specifica relativa all’organizzazione amministrativa e contabile ed ai controlli interni per gli intermediari finanziari vigilati, l’Associazione propone di limitarne la frequenza su base campionaria. 3 Si tratta, in effetti, di una prassi generalizzata sui mercati anglosassoni, e diffusa anche in altri mercati, di solito in corrispondenza di operatività esclusivamente finanziarie, in cui l’incasso dei crediti è fiduciariamente attribuito al cedente.

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4. Efficacia dei sistemi per controllare le garanzie reali, la concessione dei crediti e

gli incassi Osservazioni Il requisito è certamente posseduto dal processo produttivo che caratterizza l’attività di factoring svolta nel contesto nazionale: i requisiti previsti sul controllo dei crediti acquistati, dei finanziamenti concessi e del flusso degli incassi trovano riscontro nel regolamento interno, come previsto dalla disciplina specifica relativa all’organizzazione amministrativa e contabile ed ai controlli interni negli intermediari finanziari vigilati. Pertanto, l’Associazione non condivide il requisito della consegna dei documenti giustificativi dei crediti previsto per le cessioni non notificate; infatti il requisito:

a) determinerebbe un sensibile incremento dei costi operativi di acquisizione ed archiviazione della documentazione (fatture, contratti e, ove previsti, stati di avanzamento dei lavori); l’incidenza di tali costi potrebbe intensificarsi alla luce della scarsa diffusione della fattura elettronica nell’ambito dei segmenti della clientela di dimensioni minori;

b) secondo l’esperienza degli operatori del settore, la sua influenza sulla mitigazione del rischio appare incerta.

Proposte L’Associazione propone di eliminare i requisiti sulla consegna dei documenti giustificativi dei crediti e delle garanzie previsti per le cessioni non notificate, inserendo una raccomandazione in tal senso, in relazione all’apprezzamento del rischio concretamente operata, caso per caso, dall’intermediario.

5. Conformità con le politiche e le procedure interne alla banca Osservazioni Sebbene le practices sulla valutazione del rischio più diffuse presso gli operatori del mercato domestico del factoring prevedano la valutazione indipendente del debitore e del cedente, la separatezza funzionale rappresenta una scelta dell’intermediario finanziario in coerenza con la sua strategia e con le sue dimensioni. In particolare, presso gli intermediari finanziari che svolgono l’attività nei confronti delle società del gruppo di appartenenza, la valutazione viene svolta dalla medesima funzione in accordo con la disciplina specifica concernente l’organizzazione amministrativa ed i controlli interni, senza compromettere l’integrità del processo. L’Associazione ritiene che i requisiti operativi imposti dalla normativa debbano essere armonizzati con le scelte organizzative degli intermediari Proposte L’Associazione propone di prevedere un requisito di separatezza sostanziale della valutazione del debitore rispetto al cedente, piuttosto che funzionale (in termini di organi diversi).

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Riquadro 3.1 - Inquadramento della cessione di crediti commerciali come

portafoglio a sé stante o come garanzia. Commenti L’analisi condotta dall’Associazione ha permesso di evidenziare che la fattispecie descritta nel riquadro 3.1 si manifesta nelle operazioni di factoring al ricorrere di particolari clausole contrattuali. Nell’ambito delle operazioni di acquisto di crediti verso la Pubblica Amministrazione realizzate secondo la modalità pro soluto, la fattispecie descritta nel riquadro 3.1 ricorre quando il cedente, attraverso la corresponsione degli interessi per ritardato pagamento da parte del debitore, trattiene il rischio di liquidità in presenza del trasferimento del rischio di credito verso il debitore. Alla luce del confronto fra l’operatività dei factor domestici, la fattispecie descritta nel riquadro 3.1 sussiste anche, ad esempio, al ricorrere delle clausole seguenti:

Addebito degli interessi sul corrispettivo della cessione. Tale clausola rileva sotto il profilo del trasferimento del rischio di ritardato pagamento ma non comporta alcuna criticità sul trasferimento del rischio di credito che risulta in capo al factor.

Pagamento sotto garanzia ad una data prestabilita successiva alla scadenza del credito. Anche tale clausola rileva non sotto il profilo del rischio di credito ma del rischio di ritardato pagamento.

Contratti di “sola garanzia” senza anticipazione; Esclusione del rischio di cambio Clausole di revisione periodica dei compensi Altre clausole inserite nel contratto per prevenire comportamenti non corretti

da parte del cedente (anche tramite accordi con i debitori ceduti), seppure sono considerate critiche ai fini della recognition / derecognition, non dovrebbero rilevare ai fini della valutazione del rischio e determinazione dei requisiti di capitale (es. ordine di priorità nell’imputazione degli incassi ai crediti “più vecchi”)

Clausole di first loss protection, laddove tale forma di protezione può risultare quantitativamente anche piuttosto limitata eppure inibire in toto l’iscrizione del credito acquistato nell’attivo.

Al ricorrere della fattispecie descritta nel riquadro 3.1, l’Associazione evidenzia che l’applicazione delle regole sulla recognition prescritte dallo IAS 39 possono portare a rappresentazioni assolutamente parziali, oltre che estremamente volatili, del rischio di credito effettivamente assunto dagli intermediari, per dimensioni tutt’altro che irrilevanti in rapporto al totale degli attivi di bilancio delle associate4. Il limite fondamentale all’utilizzo del criterio contabile di iscrizione dei crediti nell’attivo del bilancio deriva dalla condizione posta dal principio contabile per lo storno del credito in capo al cedente, vale a dire il 4 L’Associazione sta effettuando un’indagine presso gli Associati per disporre di un riscontro quantitativo puntuale. Da una prima parziale stima, i crediti rientranti nelle fattispecie considerate dal presente documento rappresentano una quota considerevole del totale crediti factoring attualmente in bilancio (stimabile in circa il 25%).

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trasferimento di “sostanzialmente tutti” i rischi e benefici connessi con l’asset, dove l’avverbio sostanzialmente, nella prassi delle società di revisione, viene tradotto in una percentuale di trasferimento non inferiore all’80%. Ciò significa precludere l’iscrizione all’attivo del cessionario di crediti che comunque sono caratterizzati da una componente di trasferimento di rischio assai importante, benché inferiore a questa soglia convenzionale. Al fine di garantire la coerenza della misurazione del requisito patrimoniale fra i diversi metodi, l’Associazione ritiene che il trattamento della fattispecie discussa nel paragrafo 3.1 debba essere equivalente nel metodo standardizzato5 e in IRB.

Riquadro 3.2 - Trattamento del “factoring not notification” Commenti In merito alla compatibilità dei requisiti operativi rispetto alle operazioni non notificate, l’Associazione concorda con l’Autorità di vigilanza in merito alla necessità di maggiori controlli sul cedente, ma garantendo la libertà di azione ed organizzazione dell’intermediario finanziario. Per i commenti in dettaglio, si rinvia alle osservazioni già proposte nei precedenti paragrafi.

3.8.3 Trattamento come cartolarizzazione - Riquadro 3.3 Commenti Nel contesto domestico attuale, la prassi operativa del factoring non appare in linea con quella descritta nel riquadro: ciononostante, gli intermediari finanziari ritengono di esplorare in futuro tale fenomeno per comprenderne le potenzialità anche nel contesto domestico. 4. REQUITI ORGANIZZATIVI 4.5 Le specificità dei sistemi IRB nell’ambito del gruppo bancario Osservazioni Il paragrafo affronta la tematica dell’applicazione delle regole ai gruppi bancari: il Documento non affronta i requisiti che i sistemi di rating interno degli intermediari finanziari vigilati non appartenenti a gruppi bancari debbano possedere per consentire il loro utilizzo per la misurazione del requisito patrimoniale. Come già manifestato nella consultazione sull’ambito di applicazione6, l’Associazione ritiene che l’evoluzione verso il metodo IRB permette la progressiva convergenza fra le logiche dell’allocazione del capitale economico e 5 Sulla posizione dell’Associazione in merito alle proposte sul metodo standardizzato, si veda: Assifact (2006), “Position paper dell’industria del factoring sulle proposte di normativa secondaria concernenti la nuova regolamentazione prudenziale internazionale (Basilea 2)”, marzo 6 Si veda: Assifact (2006), “Position paper dell’industria del factoring sulle proposte di normativa secondaria concernenti la nuova regolamentazione prudenziale internazionale (Basilea 2)”, aprile

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l’assorbimento del capitale regolamentare e stimola gli intermediari finanziari verso l’adozione di sistemi dei controlli efficaci ed efficienti. Pertanto, l’Associazione richiede che agli intermediari finanziari non appartenenti a gruppi bancari sia consentita la possibilità di adottare il metodo Internal Ratings Based (IRB), qualora fossero in possesso dei requisiti previsti ai fini della convalida da parte dell’autorità di vigilanza 5. REQUITI QUANTITATIVI

5.4.3. Tasso di perdita in caso di default

Riquadro 5.3 – Dati relativi a recuperi non definiti Commenti In merito ai dati sui recuperi non definitivi, l’Associazione evidenzia che l’introduzione del cut-off implica l’attribuzione di perdite figurative, salvo che si proceda anche alla radiazione contabile delle posizioni: questo implica, in prospettiva, un problema di riconduzione delle riprese di valore in diminuzione delle perdite stimate. 6. REGOLE DI PONDERAZIONE 6.8 Crediti commerciali acquistati Osservazioni Gli intermediari finanziari che esercitano l’attività di factoring acquisiscono le informazioni per la valutazione del rischio delle controparti in prevalenza direttamente: a tal fine, l’Associazione evidenzia che le informazioni acquisite dal cedente vengono utilizzate per lo più nella fase precontrattuale, vale a dire per un’analisi della convenienza dell’avvio del rapporto di factoring con il cedente. Successivamente, le informazioni sono acquisite, internamente o esternamente, dal factor. Il riferimento alle informazioni ed alle politiche del cedente contenuto nel documento di Basilea 2 è, in effetti, il riflesso delle pratiche diffuse principalmente nei Paesi anglosassoni, in cui prevale l’operatività cosiddetta di invoices discounting, che si traduce nel finanziamento senza notifica di stock di crediti, la cui individuazione preliminare viene operata in base a criteri determinati sul portafoglio del cliente e la cui gestione è interamente rimessa al cliente stesso, previa analisi delle sue policies in materia: i contratti includono quindi esplicitamente il riferimento sia ai criteri di selezione dei crediti eligibles, sia dei covenant relativi alle modalità e performances della gestione. Tali fattispecie sono evidentemente lontane dalle prassi domestiche e la loro menzione fuori del loro contesto originario è suscettibile di produrre incertezza. L’Associazione ritiene necessario un chiarimento sul significato dei dati acquisiti dal cedente e, in particolare, di quelli riguardanti aggregati analoghi.

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6.8.2 Rischio di default: crediti commerciali

Osservazioni In relazione al metodo top-down, l’Associazione ritiene necessari alcuni approfondimenti in merito alla creazione dei pool ed all’attribuzione dei debitori ai pool. In primo luogo, l’Associazione manifesta la necessità di un chiarimento in merito a “…prassi di erogazione del cedente..” per la creazione/attribuzione dei debitori ai pool. In secondo luogo, l’Associazione ritiene prescrittiva l’indicazione sulla attribuzione del medesimo debitore a pool diversi in caso di cessione da parte di più cedenti: la creazione/attribuzione della controparte al pool dovrebbe riflettere esclusivamente le discriminanti dei modelli quali-quantitativi sviluppati internamente dall’intermediario finanziario. Considerando la durata residua in caso di stime affidabili della PD, l’Associazione ritiene che il limite inferiore convenzionale fissato a 90 giorni possa risultare eccessivamente elevato per le operazioni basate sull’acquisto di crediti commerciali, come il factoring, tenuto conto della possibile presenza di pool caratterizzati da rotazioni medie molto più brevi, anche nell’ordine dei 15 giorni. In considerazioni di tali aspetti, l’Associazione propone di ridurre a 30 giorni tale soglia per le operazioni di factoring. In relazione al trattamento previsto per i margini non utilizzati nell’ambito dei programmi di acquisto rotativi, si ritiene necessario un chiarimento in ordine ai seguenti elementi: a) la controparte di riferimento dell’impegno ad acquistare crediti. Nella prassi operativa nazionale, la nozione di “programma di acquisto rotativo” dovrebbe coincidere con il contratto di factoring. All’interno di questa cornice, i factor determinano un limite operativo nel finanziamento dei crediti al cedente, il cui importo sovente non è contrattualizzato e non può quindi costituire un impegno. Dall’altra parte, in caso di operatività pro soluto, essi stabiliscono dei limiti di credito riferiti ai singoli debitori ceduti: solo tali limiti costituiscono un impegno effettivo, di norma revocabile senza preavviso; b) la natura dell’impegno, revocabile o irrevocabile, e, nel secondo caso, il rilievo della durata. Si ritiene, pertanto, che gli elementi di cui al punto a) debbano attualmente essere identificati esclusivamente nei limiti di credito pro soluto stabiliti per ciascun debitore ceduto. Da ultimo, si evidenzia che il Documento introduce una significativa divergenza fra le regole proposte per l’esposizione relativamente all’approccio top-down rispetto al trattamento previsto per l’approccio bottom-up. Nell’ambito del quarto capoverso, si segnala un probabile errore materiale “…Viceversa, la banca può ottenere il valore della LGD impiegando una stima affidabile della LGD”. Si ritiene che il primo termine LGD debba essere sostituito con PD. Proposte L’Associazione propone di eliminare il riferimento alla classificazione del debitore in pool diversi se vantati da cedenti diversi.