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51° Congresso Nazionale SICM Artroscopia e artroplastica del polso: metodiche a confronto Corsi di istruzione

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51° Congresso Nazionale SICM

Artroscopia e artroplastica del polso:metodiche a confronto

Corsi di istruzione

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RICOSTRUZIONE CON LEMBI MICROCHIRURGICI INURGENZA. COSA, COME, DOVE E QUANDO

P. TOS, D. CICLAMINI, B. PANERO, P. TITOLO, A. CROSIO, B. BATTISTONUOD Microchirurgia Ricostruttiva - Dipartimento di Ortopedia e Traumatologia - AOU Città della Salute e della Scienza di Torino,

PO CTO-Maria Adelaide,Torino

Riv Chir Mano - Vol. 50 (2) 2013

CORSO DI ISTRUZIONE: RICOSTRUZIONE CON LEMBI MICROCHIRURGICI IN URGENZA

Corrispondence: Tos Pierluigi UOD Microchirurgia ricostruttiva, PO CTO, Via Zuretti 29, 10126 Torino - Fax 0116963662E-mail: [email protected]

INTRODUZIONE

La ricostruzione degli arti superiori negli ultimi40 anni ha beneficiato in maniera sempre maggioredelle tecniche microchirurgiche per via della possi-bilità di eseguire trasferimenti tessutali compositiper ripristinare la funzione dell’arto (1, 2). Negliultimi anni sempre più evidenze riportano beneficidella copertura cutanea definitiva eseguita precoce-mente dopo il trauma (4, 5). I lembi microchirurgi-ci sono strumenti efficaci nella copertura immedia-ta poichè permettono di ridurre il rischio di conta-minazione batterica, permetto una precoce mobi-lizzazione e ripresa funzionale del segmento, noncausano lesioni all’arto già traumatizzato e riduco-no l’ospedalizzazione del paziente (3-14).

Attualmente esistono indicazioni assolute per illoro impiego: esposizione di strutture vitali (3-7).

Sono quindi strumenti versatili in urgenza; de-vono tuttavia essere eseguiti e allestiti da chirurghiesperti sostenuti da strutture adeguate (3).

Esistono oggi alcune criticità riguardanti spe-cialmente il timing corretto che lasciano aperto ildibattito. Inoltre recenti studi (19) mettono in di-scussione alcuni aspetti riguardanti il rischio di in-feione che sono cambiati nel tempo.

Questo lavoro ha l’intento di descrivere gliaspetti principali dell’utilizzo di lembi microchirur-gici in urgenza secondo le più recenti considerazio-

ni presenti in letteratura e la nostra esperienza di-retta in questo ambito.

COSA: INDICAZIONI

In seguito ad un trauma complesso degli arti su-periori può essere necessario l’utilizzo di lembi li-beri microchirurgici. Ciò accade quando la perditadi sostanza risulta troppo estesa, profonda e com-plessa per essere chiusa con lembi loco regionalioppure non vi è possibilità di chiusura con un inne-sto per le cattive condizioni del letto di guarigione(4). L’utilizzo di un lembo libero microchirurgicopermette inoltre di non danneggiare ulteriormentel’arto già traumatizzato (3) e molto spesso ha mini-ma morbilità sul sito donatore. I lembi liberi multi-tissutali inoltre possono ricostruire immediatamen-te strutture funzionali così da riprendere in brevetempo la funzione dell’arto lesionato.

Vi sono alcune condizioni in cui richiedonol’allestimento di un lembo libero nella fase acutadopo il trauma. Le indicazioni assolute per l’alle-stimento di un lembo libero in urgenza sono rap-presentetae da esposizione di strutture nobili so-prattutto anastomi arteriose o venose (4, 5), l’espo-sizione di nervi, ossa o articolazioni.

Altra indicazione in urgenza consiste nel per-mettere la vascolarizzazione del segmento a valle

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per cui si possono allestire lembi porta vaso (6) op-pure si utilizza tessuto non reimpiantabile a coper-tura della lesione secondo il concetto di banca deitessuti (7).

Indicazione relative consistono nel trasferimentoin acuto di dita dal piede. Questo intervento puòessere eseguito in acuto per cercare di mantenere almeglio la funzione, ma solo in pochi casi seleziona-ti in cui la lesione tissutale sia ben demarcate, nonvi sia coinvolgimento tenare e vi sia a disposizioneun team microchirurgico esperto (8).

COME: ISTRUZIONI PER L’USO

Il primo step irrinunciabile risulta essere il debri-dement accurato della lesione. Questa procedurapermette di identificare le strutture danneggiate eriduce inoltre il rischio infettivo dopo trasferimentitissutali (1). Nelle lesioni degli arti superiori Wange altri autori ritengono necessario un debridementradicale singolo mentre una recente revisione siste-matica (9) sembra a favore di debridement seriatinel tempo. Quanto possibile l’esecuzione di un uni-co debridement singolo e definitivo permette la ri-costruzione in minor tempo così da riprendere pre-cocemente la mobilizzazione del segmento, elemen-to fondamentale nella mano per prevenire le com-plicanze da immobilizzaizone: rigidità articolare,adesione tendinea (3-10). Si può optare per un de-bridement seriato in lesion da schiacciamento mol-to gravi o lesioni da elettricità in cui sia impossibilepulire in unica soluzione la ferita (11); in questo ca-so può essere utile l’ausilio della terapia a pressionenegativa per preparare adeguatametne il terreno al-l’intervento definitive di copertura e guadagnaretempo senza eccessivi rischi infettivi (12). Il debri-demente deve essere eseguito per piani a partire dal-la cute. Bisogna rimuovere tutto il tessuto non vitalefino a raggiungere I tessuti in vita. Tutte le strutturevitali devono essere identificate al fine di pianificareal meglio la copertura cutanea definitive.

Elemento chiave nella pianificazione deve esserela selezione del vaso donator così che l’anastomosimicrochirurgica sia alloggiata in un terreno vitalelontano dal sito di lesione (3).

I lembi microchirurgici più usato sono lembicompositi (13) per ripristinare perdite multitissutalie ricostruire anche strutture funzionali. Inoltre ilembi utilizzati devono avere due caratteristichefondamentali rappresentate da un lungo peduncolocosì daessere posizionato al di fuori della area di le-sion e garantire una estesa copertura cutanea (1).

I principali lembi liberi utilizzati in urgenza so-no i seguenti:

- Lembo antero laterale di coscia- Lembo di gracile- Lembo laterale di braccio- Lembo radiale di avambraccio- Scapolare o parascapolare- Gran dorsale- Alluce pro pollice

QUANDO: TIMING

Il corretto timing per coprire una perdita di so-stanza degli arti superiori rimane ancora oggi mol-to dibattuto. Godina fu il primo a dare una tempi-stica della copertura cutanea suddivisa come preco-ce entro le 72 h e ritardata o tardiva oltre questo li-mite. Dal suo lavoro fu evidente che la coperturaeseguita entro le 72 h presentasse un outcome mi-gliore rispetto alla copertura eseguita oltre le 72 h(14) in termini di riduzione delle infezioni, guari-gione ossea, fallimento del lembo e tempo di ospe-dalizzazione. Successivametne Lister e Schekerhanno proposto sintesi ossea definitive e coperturacutanea definitive in un unico intervento al fine diridurre il rischio infettivo e rendere più rapida la ri-presa funzionale (15). Il vantaggio funzionale diuna ricostruzione definitive eseguita in breve tem-po è dimostrato anche dal lavoro di Chen e Wei(5).

Attualmente molti autori (3, 5, 7) ritengono ne-cessaria la copertura cutanea definitive entro le 72h dal trauma. Il motivo principale è rappresentatodal rischio infettivo. Le ferrite traumatiche sonosempre considerate contaminate e il pool battericocresce di 10^6 batteri per g di tessuto ogni 24 h(3). Inoltre i patogeni che più frequentemente sonocausa di infezione dopo un trauma vengono in con-

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tatto con il paziente durante il ricovero ospedalierioprima della chiusura definitiva (16). Inoltre dopocirca due settimane dal trauma i batteri che occu-pano il tessuto in fase di guarigione passano da unostato di contaminazione ad uno stato di colonizza-zione del tessuto stesso e pertanto la loro eradica-zione diviene più complessa (17).

Altro aspetto a favore della chiusura precoceconsiste nella più facile esecuzione tecnica delle co-perture di tessuto e del confezionamento di anasto-mosi microchirurgica per via del minor tessuto ci-catriziale presente in sede di lesione (18).

Una recente revision sistematica (19) mette tut-tavia in discussione la necessità di coprire rapida-mente le perdite di sostanza per ridurre il rischioinfettivo: dai suoi risultati si evidenzia che la coper-tura cutanea nella fase sub acuta non è correlate adun aumento del rischio infettivo, di non guarigioneossea, di fallimento del lembo. Unico dato a favoredella copertura precoce consiste secondo gli autorinella riduzione del tempo di ospedalizzazione (19).

DOVE

l’utilizzo di lembi liberi in urgenza rimane co-munque appannaggio di centri altamente specializ-zati in cui questo tipo di procedure venga eseguitoroutinariamente.

Fondamentale deve essere prima di tutto l’esecu-zione di un debridement adeguato, passo fonda-mentale per il corretto bilancio lesionale. In seguitol’allestimento di un lembo microchirugico necessitadi notevole esperienza sia in termini di pianifica-zione che di esecuzione della procedura. Molti au-tori sottolineano il fatto che la buona riuscita del-l’intervento dipenda dalla presenza di un team alta-mente specializzato (3-4).

Altro aspetto importante consiste nella organiz-zazione della struttura Ospedaliera. Per questo tipodi interventi si richiede infatti una disponibilitàspecifica di strumentario e di personale altamenteformato in grado di gestire interventi molto lunghiin sale operatorie con strumentario dedicato. Si ri-chiede la presenza di un team microchirurgicoesperto h 24. Estremamente importante è anche il

monitoraggio post operatorio che deve essere ese-guito da personale dedicato in grado di cogliere isegni precoci di eventuli complicanze post operato-rie.

Qualora un trauma complesso degli arti superio-ri giungesse in un centro non dedicato è necessarioprendere immediatamento contatto con il centro ditraumatologia della mano più vicino, trasmettere leinformazioni principali, eventualmente eseguire uniniziale debridement e stabilizzazione ossea prima-ria con fissazione esterna oltre che una adeguataprofilassi antibiotica. Successivamente il pazientedeve essere inviato il più rapidamente possibile alcentro di riferimento per il trattamento definitivo.

DISCUSSIONE E CONCLUSIONE

Secondo la letteratura e secondo la nostra espe-rienza il trattamento di un trauma complesso degliarti superiori deve essere eseguito il più rapidamen-te possibile, in presenza di un quadro emodinamicostabile.

Secondo la nostra esperienza l’allestimento di unlembo microchirurgico è essenziale in presenza diesposizione dell’arteria principale dell’arto, di sutu-re vascolari o nervose, esposizione ossea, necessitàdi rivascolarizzare il segmento a valle mediantelembi porta vaso o ancora in presenza di tessutonon reimpiantabile ma utilizzabile per coprire l’arto(7). Negli altri casi una copertura definitiva esegui-ta entro 72 h porta benefici in termini di ripresafunzionale e guarigione ossea oltre a trovare un ter-reno più favorevole all’esecuzione delle anastomosimicrochirurgiche e all’attecchimento del lembo perminor presenza di tessuto cicatriziale (1)8. Inoltreuna ricostruzione rapida e definitive degli arti su-periori mediante lembi microchirurgici permetteuna precoce ripresa funzionale, aspetto fondamen-tale in chirurgia della mano dove l’immobilizza-zione prolungata è responsabile di adesioni tendi-nee, rigidità articolare, retrazione tessutale conpeggiore ripresa funzionale (1).

Il lavoro di Harrison e colleghi (19) riporta unnon incremento del rischio di infezione o di ritardodella guarigione ossea per lesioni coperte tra 7 e 20

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giorni dal trauma. Questo aspetto sembra potersispiegare con il miglioramento della gestione in-traospedaliera delle lesioni cutanee e con la mag-giore disponibilità di antibiotici sempre più selettivi(19) rispetto a quanto disponibile circa 20 anni fa.La revisione di Harrison tuttavia non valuta l’out-come funzionale delle lesioni coperte oltre le 72 hdal trauma.

A favore della copertura cutanea definitiva in ur-genza permane, anche secondo Harrison (19), laminore ospedalizzazione del paziente (7, 19) cherisulta vantaggiosa in termini di spesa sanitaria e ri-schio di infezioni nosocomiali.

Il debridement è aspetto fondamentale per tuttiI passaggi successivi. Secondo la nostra esperienzadeve essere radicale ed eseguito in unica esecuzioneper determinare i margini della lesione. Debride-ment ripetuti possono essere eseguiti in caso di le-sioni contaminate come trauma da schiacciamentoo da ustione, eventualmente con l’aiuto della pres-sione negative.

Una volta determinata la perdita di sostanza de-finitiva è possibile eseguire la ricostruzione me-diante lembi microchirurgici compositi così da ri-costruire il più possibile le strutture lesionate; ilvantaggio dei lembi microchirurgici consiste nellaricostruzione di più strutture con minima morbi-dità del sito donatore e non ulteriore danno all’artoleso. I lembi più impiegati dovrebbero avere pedun-colo lungo e garantire ampia copertura cutanea.Nel nostro centro i più utilizzati son oil lembo digracile, il lembo antero laterale di coscia e il lembolaterale di braccio.

Svantaggio dei lembi microchirurgici consistenei lunghi tempi operatori, della necessità di unteam esperto, disponibile anche h24 e un buonacoordinazione Ospedaliera. Per questo motivo laricostruzione in urgenza con lembi microchirurgicideve essere eseguita in centri di riferimento dove visia l’organizzazione delle strutture e del personaleadeguata. Se eseguito in centro adeguato e conesperienza il fallimento dell’intervento presentauna incidenza intorno all’1% (3).

Riteniamo quindi che la ricostruzione in urgen-za mediante lembi microchirurgici se adeguata-mente pianificata ed eseguita in centri di esperien-

za porti ottimi vantaggi dal punto di vista dell’out-come funzionale senza eccessivi rischi per il pa-ziente.

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ADVANCED FLAPS

P. CORTESE, E. CAVALLI, P. BORTOT, G. PAJARDIU.O.C. Chirurgia della Mano e Microchirurgia - Ospedale San Giuseppe - Gruppo Multimedica - Milano

Riv Chir Mano - Vol. 50 (2) 2013

CORSO DI ISTRUZIONE: RICOSTRUZIONE CON LEMBI MICROCHIRURGICI IN URGENZA

Corrispondence: Paolo Cortese, Dirigente Medico, U.O.C. Chirurgia della Mano e Microchirurgia - Ospedale San Giuseppe - Grup-po Multimedica - Via S.Vittore, 12 - Milano - E-mail: [email protected]

La ricostruzione delle perdite di sostanza com-plesse della Mano richiede specifiche competenze etecniche, oltre ad un ambiente adeguato per la ge-stione pre-, peri- e post-operatoria del paziente.La ricostruzione in emergenza-urgenza con lem-

bi microchirurgici rappresenta già di per sé unascelta impegnativa: è noto il largo impiego di lembi“workhorse” per le loro caratteristiche di affidabi-lità e versatilità. Pur rimanendo queste soluzionivalide riteniamo che anche in urgenza debbano es-sere prese in considerazione scelte ricostruttive piùavanzate.La nostra esperienza in urgenza con lembi

perforanti come lo SCIP, il TAP, il MPAP nonmostra una diversa percentuale di insuccesso ocomplicazioni rispetto al loro impiego in elezione.La stessa considerazione può essere effettuata

per le ricostruzioni delle dita con lembi chimerici

dal piede al punto da estendere le indicazioni ancheai trasferimenti liberi di complesso ungueale per leperdite di sostanza apicali.Laddove sia necessaria la ricostruzione troviamo

quindi indicato offrire al paziente il medesimo ven-taglio di possibilità ricostruttive prospettabile nellericostruzioni secondarie o differite.La nostra esperienza mostra anzi che spesso la

soluzione microchirurgica avanzata, in urgenza, èpiù facilmente accettata dal paziente non ancoramedicalizzato al punto da cercare la via più breveper la guarigione.Pur rimanendo valida in urgenza qualunque

scelta ricostruttiva che consenta di risolvere la pro-blematica del paziente, l’avanzamento delle tecni-che microchirurgiche rende fruibili, in ambientiprotetti e controllati, possibilità avanzate di rico-struzione.

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RISULTATI A DISTANZA DELLA CHIRURGIA DELLEFRATTURE DEL CAPITELLO RADIALE ETRATTAMENTO DELLE COMPLICANZE

F. MOSETTO2, B. PANERO1, A. CROSIO1, D. CICLAMINI1, P. TITOLO1, B. BATTISTON1, A. CELLI1, P. TOS1

1S.C.D.O.Traumatologia a indirizzo Muscolo-Scheletrico, U.O.D.Microchirurgia, Ospedale CTO,Torino.2S.C. Ortopedia, Presidio Sanitario Gradenigo,Torino

3Hesperia Hospital,Modena

Riv Chir Mano - Vol. 50 (2) 2013

CORSO DI ISTRUZIONE: LE FRATTURE DEL CAPITELLO RADIALE

Corrispondence: Bernardino Panero, corso Galileo Ferraris 136, 10129 Torino - Tel. 348-6613351 - E-mail: [email protected]

Il trattamento cruento delle fratture del capitelloradiale prevede tre distinti approcci chirurgici : laresezione, la sintesi interna e la protesizzazione,eventualmente associate ad altre procedure. Ognu-no di essi deve mirare all’ottenimento di un gomitostabile e precocemente mobilizzabile al fine di evi-tare, da un lato, l’instabilità e, dall’altro, la rigidità.Le indicazioni ai singoli tipi di trattamento sonoprecise e ben codificate: errori di indicazioni posso-no facilmente condurre verso alcune delle compli-canze che descriveremo. Si possono suddividere lecomplicanze fra generiche, relative ad un qualsiasitraumatismo a livello del gomito, e specifiche persingolo tipo di trattamento. Fra le complicanze ge-neriche si annoverano: l’artrosi parziale/totale delgomito, le calcificazioni intra e periarticolari, la ri-gidità, la neuropatia radiale (NIP)/ ulnare e le infe-zioni. Le complicanze specifiche dei singoli tipi ditrattamento possono essere suddivise in tre catego-rie: complicanze derivate da errori di indicazione,legate all’utilizzo di materiali o mezzi di sintesi edovute ad errori nell’esecuzione della tecnica chi-rurgica.

RESEZIONE DEL CAPITELLO RADIALE

Costituisce il primo approccio, da un punto divista storico, al trattamento chirurgico delle fratturedel capitello radiale: si dispone, quindi, di risultati a

lungo termine. Studi presenti in letteratura con fol-low-up oltre i 15 anni riportano risultati soddisfa-centi (definiti in base a diverse scale di valutazione,generalmente considerano su una scala a 4 step ipazienti con risultati ottimi o buoni) in alte percen-tuali di pazienti (80-90%) (1, 2), ma si riferiscono afratture descritte come semplici o isolate, tipo Ma-son 2, 3 e 4, non associate ad altre lesioni a livellodel gomito. Studi più recenti rivelano, però, risulta-ti clinici peggiori e un maggior tasso di complican-ze nelle fratture più complesse tipo Mason 3 o as-sociate a lussazione di gomito tipo Mason 4 (3).Fra le complicanze intrinseche e non evitabili di ta-le procedura, la più frequentemente riscontrata (inpiù del 50% dei Pazienti) è l’artrosi omero-ulnare,raramente correlata al risultato clinico (4); si ritienesia determinata maggiormente dal danno cartilagi-neo iniziale e, secondariamente, dall’instabilità resi-dua del gomito. La sua incidenza correla con lo sta-dio di Mason della frattura del capitello. La secon-da complicanza per frequenza di riscontro (fino al50% dei pazienti) è la migrazione prossimale delradio che si associa alla comparsa di un’ulna-plus alivello del polso (3). Lavori diversi riportano per-centuali di sintomaticità (dolore al polso, deficit diestensione) che vanno dal 10 al 25% dei casi, unamigrazione prossimale media di 2 mm e la neces-sità di intervenire chirurgicamente con una resezio-ne in accorciamento dell’ulna nel 7% dei casi (1).Decisamente meno frequente è, invece, il riscontro

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F. MOSETTO, B. PANERO, A. CROSIO, ET AL.

della lesione di Essex Lopresti (1-2% in associazio-ne a lussazioni di gomito), in cui il plus ulnare è as-sociato ad una instabilità longitudinale dell’avam-braccio per lesione della membrana interossea. Al-tre complicanze della resezione sono l’aumentatoangolo di valgismo del gomito, generalmente dimodesta entità (+3°-7° a seconda degli studi), neu-ropatia dell’ulnare (segno di Tinel positivo al canalecubitale in circa ¼ dei casi), riduzione dell’articola-rità del gomito (generalmente di pochi gradi) eperdita di forza, particolarmente in prono-supina-zione, anch’essa di modesta entità (1, 3).Fra le complicanze evitabili si annoverano le in-

stabilità di gomito: l’instabilità mediale, quella po-sterolaterale rotatoria, quella longitudinale dell’a-vambraccio e quella del moncone prossimale delradio. Le prime tre possono derivare da errori diindicazione determinati dal mancato riconosci-mento di lesioni associate alla frattura del capitelloradiale quali la lesioni dei legamenti collaterali odella membrana intersossea. L’instabilità mediale eposterolaterale vengono riportate in percentuali dal15 al 35% negli esiti delle lussazioni traumatiche digomito (4). L’instabilità posterolaterale è ricono-sciuta come causa di dolore nel 17% dei gomiti sin-tomatici non traumatici (5). Errori di tecnica chi-rurgica possono, invece, determinare l’insorgenza diinstabilità posterolaterale dovuta alla mancata rico-struzione del complesso legamentoso collaterale la-terale al termine della procedura, o di instabilità delmoncone prossimale del radio per resezione ecces-siva (prossimale al legamento anulare) dello stesso.La gestione dell’instabilità di gomito è un argo-

mento ancora dibattuto. Per quanto concerne le in-stabilità mediali o laterali, è condivisa la necessitàdell’impianto di una protesi di capitello radiale as-sociata o meno alla ricostruzione dei complessi le-gamentosi interessati (pareri discordanti in lettera-tura), tenendo particolarmente in considerazione lastabilità intraoperatoria del gomito successiva al-l’impianto protesico. Alcuni Autori associano an-che il posizionamento di un fissatore esterno arti-colato di gomito a seconda dei casi. L’instabilitàlongitudinale costituisce un argomento ancora piùspinoso e controverso: le possibilità proposte vannodal one-bone-forearm, alla protesizzazione secon-

daria associata ad accorciamento ulnare, o associa-ta a ricostruzione della membrana interossea (nof-u) fino alla protesi radiocapitellare di recente in-troduzione (4, 5).

RIDUZIONE CRUENTA E SINTESI INTERNA

La possibilità di ottenere buoni risultati con taleprocedura si basa su tre cardini largamente condivi-si: riduzione anatomica, sintesi stabile e mobilizza-zione precoce (entro le prime due settimane posto-peratorie) (2, 4). Gli studi riportano risultati soddi-sfacenti nell’80-90% dei casi (4). La letteratura de-gli ultimi dieci anni ha evidenziato, però, risultatifunzionali peggiori e più alti tassi di complicanzeper le fratture di tipo Mason 3 rispetto alle Mason2, in particolare se confrontati con la protesizzazio-ne del capitello radiale. In dettaglio, per fratture apiù di 3 frammenti David Ring propone la resezio-ne o la protesizzazione. Le caratteristiche che de-vono essere intergrate nella frattura perché sia con-siderata sintetizzabile sono state riassunte dallostesso Ring nel 2008: contiguità dei frammenti,numero frammenti minore o uguale a tre, fram-menti non impattati o deformati, dimensioni deiframmenti sufficienti ad accogliere una vite, assen-za di perdita ossea metafisaria. In caso di frattureinstabili con perdita di contiguità dei frammenti,un numero di frammenti maggiore di tre o fratturain un contesto di lesione complessa devono portareall’impianto di una protesi di capitello radiale. Lamaggior parte delle complicanze della sintesi delcapitello radiale possono essere considerate comeevitabili o, comunque, gestibili dal Chirurgo, inquanto correlate ad errori di indicazione o di tecni-ca chirurgica o all’utilizzo dei mezzi di sintesi: ne-crosi di frammenti ossei, pseudoartrosi e/o rotturamezzi di sintesi, conflitto intrarticolare dei mezzidi sintesi, instabilità di gomito. Recentissimi studianatomici hanno evidenziato la natura terminaledella vascolarizzazione del capitello radiale a par-tenza da un circolo anastomotico a livello del collo.Le fratture con comminuzione a livello del passag-gio testa-collo, l’eccessiva deperiostizzazione a talelivello o l’utilizzo di mezzi di sintesi ingombranti a

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tale livello (come le placche, anche anatomiche!)possono inficiare la vascolarizzazione del capitellostesso. Caratteristiche della frattura associate aduna più alta incidenza di pseudoartrosi o necrosidei frammenti ossei sono: le fratture che coinvolgo-no interamente il capitello, un numero di fram-menti maggiore di tre (rischio > 50%) e le fratturea livello della giunzione testa-collo. Infine, la pseu-doartrosi può derivare dalla realizzazione di unasintesi non stabile (errori di tecnica o utilizzo dimezzi di sintesi non adeguati). Un’altra complican-za determinata da un errore di tecnica è la creazio-ne di un conflitto intrarticolare dei mezzi di sintesidovuta al mancato rispetto della cosiddetta “Safe-zone” o all’utilizzo di mezzi di sintesi non adeguati(viti con testa, placche non adeguatamente model-late, dal profilo spesso). Infine, l’instabilità di go-mito nelle sue diverse accezioni, può derivare, comeprecedentemente descritto per la procedura dellaresezione, dalla mancata ricostruzione del comples-so legamentoso laterale o dal mancato riconosci-mento e/o trattamento di lesioni associate coinvol-genti i legamenti o gli altri stabilizzatori ossei delgomito (coronoide e olecrano).Nel caso di pseudoartrosi o necrosi di frammenti

ossei asintomatiche e senza esposizione intrartico-lare dei mezzi di sintesi, la maggior parte degli Au-tori propone una strategia attendista. In caso dipseudoartrosi o necrosi di frammenti ossei sinto-matiche o di esposizione intrarticolare dei mezzi disintesi si può ricorrere alla resezione del capitelloradiale qualora persista intraoperatoriamente unacondizione di stabilità del gomito dopo la resezio-ne. In caso contrario o di stabilità dubbia, sarà ne-cessaria la protesizzazione, associata o meno alla ri-costruzione dei legamenti e al posizionamento diun fissatore esterno articolato. Fondamentale e di-rimente rimane la valutazione intraoperatoria dellastabilità del gomito.

CHIRURGIA PROTESICA

La valutazione dei risultati e delle complicanzedella chirurgia protesica presenta alcuni limiti, le-gati in particolare alla recente introduzione e al nu-

mero dei diversi modelli disponibili sul mercato.Inoltre le casistiche disponibili in letteratura pre-sentano risultati solo a breve e medio termine enon confrontano le diverse tipologie di protesi. At-tualmente sono presenti sul mercato più di 10 mo-delli di protesi metalliche , ma sono individuabilitre principali categorie: UNIPOLARI con testafissa cilindrica o modulari, BIPOLARI con testamobile cilindrica e ANATOMICHE (6).L’analisi delle principali casistiche presenti in

letteratura negli anni 1990-2000, con un follow-upmedio di 3-4 anni, evidenzia una percentuale del92% di pazienti soddisfatti in seguito a impiantoprotesico eseguito precocemente, mentre con iltrattamento in differita la percentuale scende al48% (7).La nostra casistica è composta da 23 pazienti

con frattura del capitello radiale sottoposti a sosti-tuzione protesica presso il CTO (Centro Trauma-tologico Ortopedico) di Torino tra il 2005 e il2012. Gli interventi sono stati condotti con accessochirurgico laterale secondo Kocher. Sono state uti-lizzate 12 protesi Bipolari cementate e 11 Unipola-ri con tenuta a press-fit. Diciannove pazienti (13uomini e 6 donne) affetti da fratture del capitelloradiale Mason III (8 casi) e 11 Mason IV (11 casi)si sono presentati per una rivalutazione clinica e ra-diografica con un follow-up medio di 26 mesi (9 -64 mesi). L’età dei pazienti è compresa tra i 23 e i70 anni. Nel 52% dei casi la lesione ha coinvoltol’arto dominante. In 13 casi erano presenti lesioniassociate: 6 fratture del processo coronoideo, stabi-lizzate tramite viti o ancorette, 2 fratture di ulnaprossimale, sintetizzate con placca e viti, 1 lesionedel LCM (legamento collaterale mediale) e 3 delLCL (legamento collaterale laterale), sottoposte asutura o re-inserzione con ancorette, e 1 lesionedella membrana interossea tipo Essex-Lopresti. In6 pazienti è stato posizionato un fissatore esternoarticolato al termine dell’intervento, mantenuto insede per circa 40 giorni.La valutazione clinica dell’articolarità del gomito

ha evidenziato i seguenti valori medi: flessione atti-va 128,3° (valore minimo 110°, valore massimo145°), deficit di estensione attiva 17,7° (0-40°),pronazione attiva 70,5° (20-85°), supinazione attiva

RISULTATI A DISTANZA DELLA CHIRURGIA DELLE FRATTURE DEL CAPITELLO RADIALE 83

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63,3° (0-90°), flessione passiva 129,7° (110-150°),deficit di estensione passiva 16,1° (0-40°), prona-zione passiva 72,7° (20-85°) e supinazione passiva66,9° (0-90°).Il valore medio del MEPS (Mayo Elbow Perfor-

mance Score) ottenuto è stato di 81,1 (50-100),con il 79% di risultati eccellenti-buoni. Per quantoriguarda le complicanze abbiamo rilevato 9 casi diartrosi omero-ulnare (47%), 7 casi di ossificazioni(36%), 6 casi di overstuffing (26%), 1 caso di rot-tura dell’impianto (5,2%). La percentuale di rein-tervento è stata del 17,4%: 1 caso di rimozione perrottura dell’impianto, 2 casi di exeresi delle ossifi-cazioni, 1 caso di reimpianto del collo e della testaper overstuffing.Le COMPLICANZE SPECIFICHE della

chirurgia protesica del capitello radiale possono es-sere legate all’INTERFACCIA OSSO-METAL-LO, ai MATERIALI o a ERRORI di TECNICA.Le complicanze legate all’INTERFACCIA OS-

SO-METALLO sono rappresentate dalle linee diradiolucenza, dall’osteolisi a livello dello stelo, dallearee di riassorbimento osseo a livello del collo del radio,dalla mobilizzazione asettica e dalla condropatia a li-vello del capitulum humeri.L’incidenza delle linee di radiolucenza riportata

in letteratura è molto variabile (0-100%); in parti-colare sono tipiche dei modelli protesici unipolaricon testa fissa cilindrica, in cui si ipotizza che du-rante i movimenti di prono-supinazione dell’a-vambraccio la diafisi radiale ruoti intorno allo steloche rimane fermo (8). In genere le linee di radiolu-cenza compaiono precocemente ma sono stabili neltempo e non presentano un’associazione significati-va con dolore a livello dell’avambraccio o ridottafunzionalità (9). Le aree non lineari di osteolisi a li-vello dello stelo sono più frequentemente sintomati-che, progressive e associate alla mobilizzazione del-lo stelo protesico (10).Il riassorbimento osseo a livello del collo radiale è sta-

to attribuito a fenomeni di stress shielding o, nel ca-so di protesi bipolari, a osteolisi da debris di polieti-lene, e non è significativamente associato a mobiliz-zazione protesica. Rotini e coll. (6) hanno notatol’associazione tra la comparsa precoce (3-6 mesi) diun’ossificazione antero-laterale a livello del collo ra-

diale e una bassa incidenza di riassorbimento osseo.La condropatia a livello del capitulum humeri è stataosservata più frequentemente con l’utilizzo di prote-si metalliche e in caso di impianto tardivo dopo unprimo trattamento con resezione della testa radiale,probabilmente a causa di un’osteopenia da disusodel capitello omerale. Inoltre può essere favorita daerrori di tecnica come l’overstuffing o il malallinea-mento tra testa protesica e la superficie articolareomerale. Tra le possibilità di trattamento proposte inletteratura troviamo la rimozione della testa protesi-ca (nel caso di gomiti stabili), l’artroplastica di inter-posizione con anconeo o le protesi monocomparti-mentali radio-capitellari di recente introduzione.L’incidenza della mobilizzazione asettica non è anco-ra nota, come non sono presenti in letteratura lineeguida riguardo alla diagnosi e al trattamento. E’ sta-ta osservata un’associazione con la presenza di sinto-matologia dolorosa di nuova insorgenza in una sedespecifica, la regione antero-laterale di avambraccio.La diagnostica radiografica non è sempre utile, inquanto la mobilizzazione non è sempre correlabile alinee di radiolucenza. Le radiografie sotto stresspossono evidenziare la mobilizzazione dello steloprotesico, con necessità di rimozione ed eventualereimpianto protesico, per il quale si tende ad utiliz-zare modelli protesici con lo stelo più lungo el’eventuale utilizzo di cemento.Tra le complicanze legate ai MATERIALI ven-

gono riportati casi di rottura dell ’impianto e feno-meni di slipping assiale tra la testa e il collo fino alladissociazione completa della testa (Figg. 1 e 2).I casi di rottura colpiscono in particolare le pro-

tesi Unipolari modulari a livello della giunzione delcollo con lo stelo. Le protesi Bipolari invece posso-no essere affette dal fenomeno dello slipping assialetra la testa e il collo, il cui meccanismo non è ancoracompletamente chiaro; tre sono le ipotesi possibili:1. La presenza di tessuto cicatriziale che impedi-sce alla testa di seguire lo stelo distalmentedurante i movimenti di prono-supinazionedell’avambraccio o nei casi di lassità in varo.

2. La presenza ai gradi estremi del movimento diuna coppia di forze in compressione su unaparte della testa e in distrazione sull’altra conprogressiva usura dell’inserto in polietilene.

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3. la presenza di una sublussazione posterioredella testa protesica rispetto al capitello ome-rale, in particolare nei casi di lesione tipo Es-sex-Lopresti, con conseguente spinta della te-sta oltre i limiti possibili di angolazione.

L’usura dell’inserto determina la produzione didebris di polietilene con attivazione dei macrofagie sinovite; nel caso delle protesi di capitello radialenon è ancora dimostrato ma è prevedibile che que-sto comporti la produzione di citochine infiamma-torie con danno cartilagineo, attivazione degliosteoclasti e osteolisi. Lo slipping della testa puòessere inizialmente asintomatico; la sintomatologiatipica è rappresentata dalla comparsa di un nuovotipo di dolore, non sperimentato prima dal pazien-te, in regione antero-laterale di avambraccio. Leradiografie di gomito in proiezione laterale inmassima flessione ed estensione possono eviden-ziare una differenza di lunghezza apparente tra latesta protesica e la base del collo. L’esecuzione diun test in stress postero-laterale rotatorio sottocontrollo fluoroscopico può evidenziare lo slippingdella testa radiale dentro e fuori l’inserto in polie-

tilene. Tra i trattamenti proposti in letteratura tro-viamo la sola rimozione (della testa o della protesicompleta) in gomiti stabili, mentre in caso di in-stabilità residua è necessario procedere con il reim-pianto protesico.Gli ERRORI DI TECNICA più frequenti sono

rappresentati dal malallineamento e dall’overstuf-fing.L’inserimento anatomico delle protesi di capitel-

lo radiale può essere difficile da ottenere anche daparte di chirurghi esperti. Il malallineamento deter-mina una riduzione dell’area di contatto tra testaprotesica e capitulum humeri con un conseguenteaumento delle forze di contatto; ciò può determi-nare una riduzione di articolarità e la condropatiadella superficie articolare omerale. Gli impianti bi-polari, grazie all’articolarità della testa protesica,evidenziano un certo grado di auto-allineamentoche può compensare un eventuale malallineamento.Inoltre alcuni modelli protesici permettono di sce-gliere a livello intraoperatorio se procedere con unimpianto unipolare o bipolare, a seconda dell’alli-neamento ottenuto con lo stelo.

RISULTATI A DISTANZA DELLA CHIRURGIA DELLE FRATTURE DEL CAPITELLO RADIALE 85

Figura 1. Dissociazione della testa dallo stelo protesico.Proiezione AP.

Figura 2. Dissociazione della testa dallo stelo protesico.Proiezione LL.

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L’impianto di una protesi troppo lunga viene de-finito “overstuffing” dell’articolazione radio-capitel-lare. Un overstuffing maggiore di 2,5 mm è stato as-sociato ad alterazione del carico assiale, perdita diarticolarità in flessione, erosione capitellare, insor-genza precoce di artrosi e dolore. Non esistono at-tualmente linee guida per la prevenzione, la diagno-si e il trattamento di questa complicanza. La dia-gnosi non è semplice; l’evidenza radiografica dell’a-pertura dello spazio articolare omero-ulnare lateraleè il segno classicamente utilizzato per la diagnosi mapresenta alcuni limiti: è positiva solo per overstuf-fing maggiori di 6 mm ed è presente in circa un ter-zo dei gomiti sani, rendendo necessaria l’esecuzionedi un rx del gomito controlaterale per la confermadiagnostica. In letteratura è possibile trovare alcuniconsigli tecnici utili per la prevenzione:1. Misurare lo spessore e il diametro della testaradiale rimossa, scegliendo la misura minorerilevata

2. Utilizzare come repere anatomico intraopera-torio il margine laterale della coronoide, limiteprossimale dell’impianto

3. Valutare visivamente il gap omero-ulnare late-rale durante gli impianti di prova

4. Considerare e correggere un’eventuale instabi-lità in varo durante gli impianti di prova

5. Eseguire controlli fluoroscopici intraoperatoricon il fascio correttamente orientato, perpen-dicolare al terzo prossimale dell’avambraccio

6. Valutare alterazioni della varianza ulnare dipolso

CONCLUSIONI

La sintesi rimane il trattamento ottimale dellefratture della testa radiale, a condizione che la ridu-zione sia anatomica e stabile per consentire unamobilizzazione precoce del gomito. Qualora nonsia possibile, la resezione ha ancora un ruolo neltrattamento di fratture non sintetizzabili, in gomitistabili, almeno fino a quando non saranno evidenti

risultati migliori a lunga distanza in casistiche dipazienti trattati con protesi. Attualmente i risultatia medio termine della chirurgia protesica sono pro-mettenti, ma sono necessarie casistiche con follow-up più lunghi per valutare correttamente l’inci-denza delle complicanze correlate.

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RISPETTO DELLE UNITÀ ESTETICHE DELLA MANONELLE PROCEDURE RICOSTRUTTIVE

F. BASSETTO, E. DALLA VENEZIA, C. CAPPELLINA, V. VINDIGNIClinica di Chirurgia Plastica Ricostruttiva ed Estetica dell’Azienda Opedaliera Universitaria di Padova

Scuola di Specialità di Chirurgia Plastica dell’Università di Padova

Riv Chir Mano - Vol. 50 (2) 2013

CORSO DI ISTRUZIONE: ESTETICA DELLA MANO

Corrispondence: Franco Bassetto, Clinica di Chirurgia Plastica Ricostruttiva ed Estetica dell’Azienda Ospedaliera di PadovaE-mail: [email protected]

Per unità estetiche di una regione anatomica siintendono aree suddivise in base alle caratteristichemorfo-funzionali di cute, sottocute, muscoli e pianiossei sottostanti e alla presenza di pliche e solchi didepressione e movimento.Generalmente se ne parla in riferimento all’este-

tica del volto (1) ma questo concetto può esseretraslato a tutti i distretti corporei. In particolare lamano è l’esempio evidente di come aspetto e fun-zione sono strettamente in relazione tra loro.È importante che chi si appresta ad affrontare la

chirurgia della mano sia profondamente consape-vole dell’importanza di quest’organo nella presen-tazione alla collettività, nella partecipazione alla co-municazione e nel ruolo che l’individuo può assu-mere all’interno della società (2). Non è realisticooggi considerare la funzione solo nei termini sem-plicistici della capacità prensile ma deve compren-dere anche la capacità di relazionarsi con gli altri.Nella mano si possono individuare alcune unità

distinte tra loro per estetica e funzione; infatti rico-nosciamo un elemento fisso, centrale, costituito daun lato volare ed uno dorsale ed elementi mobilidigitali i cui caratteri distintivi sono le proporzionidei segmenti e l’unghia a livello apicale dorsale (3).Per quanto riguarda l’elemento centrale, esistono

delle importanti differenze tra la cute dorsale equella palmare della mano. L’epidermide sul latodorsale si presenta sottile ed elastica, caratteristicheindispensabili al fine di assicurare una completa

mobilità della mano che altrimenti sarebbe limitatadurante la presa (4).Questa mobilità consente, in chirurgia ricostrut-

tiva, spostamenti tissutali, quali lembi locali, chesono invece di difficilissima realizzazione a livellovolare.Diversamente, la cute della superficie palmare è

anelastica e attaccata saldamente allo scheletro peruna presa sicura, inoltre è ricca di terminazioni ner-vose sensoriali essenziali per la normale funzionepercettiva della mano.Inoltre bisogna tener presente che l’epidermide

della faccia dorsale della mano si assottiglia pro-gressivamente nel corso della vita, mentre la pelledella superficie palmare è più spessa e tende ad au-mentare le proprie dimensioni (2).Queste caratteristiche devono essere tenute in

considerazione nella programmazione di interventiricostruttivi in questo distretto corporeo; per esem-pio nel caso di perdite di sostanza a livello del dor-so si predilige una ricostruzione basata su lembi pe-duncolati o lembi microchirurgici piuttosto che in-nesti di cute per garantire l’apporto di un tessutosottocutaneo adeguato alla funzionalità e allamorfologia della mano (5). In particolare per rico-struzioni di questa porzione corporea si possonoutilizzare lembi peduncolati come il lembo radiale,il lembo ulnare e il lembo interosseo posteriore olembi microchirurgici come lo SCIP e l’ALT tra ipiù frequenti (6).

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Per quanto riguarda gli elementi digitali sonomolto frequenti i traumi a carico degli apici digita-li, dove l’obiettivo chirurgico non è solo il ripristinodella sensibilità del polpastrello ma anche il mante-nimento di un aspetto estetico più fisiologico pos-sibile.A questo proposito sono numerose le opzioni ri-

costruttive attuabili che hanno lo scopo di conser-vare sia la percezione sensitiva sia la lunghezza deisegmenti digitali dai più semplici lembi locali diavanzamento ai più complessi lembi microchirurgi-ci.Diversi lembi sono stati descritti per la perdita di

sostanza a livello degli apici digitali come il lembodi avanzamento V–Y, il lembo di Hueston, il lem-bo di Venkataswami, i lembo eterodigitali ed i lem-bi ad isola omodigitali diretti o reverse che hanno ilvantaggio di offrire una cute simile per aspetto efunzionalità alla zona ricevente (7). Il primo dito, acausa della sua differente vascolarizzazione ed allasua fondamentale importanza nell’azione di presa edi pinza, presenta opzioni ricostruttive distinte; an-che in questo caso si passa dai lembi di avanzamen-to come il lembo di Elliot fino ai più recenti lembiliberi di polpastrello dell’alluce utilizzati per ripro-durre morfologicamente l’apice del pollice.Altro elemento distintivo fondamentale delle di-

ta è l’unghia. I traumi ungueali presentano conse-guenze funzionali limitate ma esitano spesso in di-fetti estetici evidenti che portano il paziente a ri-volgersi al chirurgo della mano. Un adeguato ap-proccio al trauma ungueale inizia già in urgenza,preservando la matrice, ricostruendo per quantopossibile la continuità dell’eponichio e del letto un-gueale, che va poi protetto da traumatismi durantela guarigione. Inoltre per prevenire la deformità ingrifosi va garantito un sufficiente supporto osseosottostante (8). Amputazioni a livello distale posso-no permettere risultati comunque soddisfacenti conun trattamento conservativo, invece se la lesione èpiù prossimale e comporta un residuo unguealeesteticamente corto si può procedere ad una corre-zione secondaria mediante l’allestimento di unlembo di eponichio (9).

Alla luce di questa breve trattazione si evince co-me ogni scelta ricostruttiva sia un bilancio tra lamorbilità del sito donatore ed il risultato estetico efunzionale a livello del ricevente. Il chirurgo dellamano che affronta traumi a carico di questo di-stretto, dai più semplici ai più complessi, si devesempre porre l’obiettivo di ripristinare, oltre allafunzionalità, l’aspetto morfologico della mano perrispettarne al meglio il ruolo psico-sociale (10).Questo può essere ottenuto tenendo conto delle

differenze anatomiche delle unità estetiche dellamano scegliendo degli approcci ricostruttivi chenon ne alterino l’aspetto e ne garantiscano la fun-zione.

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VALUTAZIONE DEL DANNO E PRIMO TRATTAMENTONELLE USTIONI DELLA MANO

A. CARBONI, R. NERI, C.ORLANDI, D. MELANDRIU.O. Centro Grandi Ustionati e Banca regionale della Cute e dei tessuti Bioingegnerizzati,

Ospedale “M. Bufalini”, AUSL Cesena

Riv Chir Mano - Vol. 50 (2) 2013

CORSO DI ISTRUZIONE: PROTOCOLLI AVANZATI DI TRATTAMENTO DELLA MANO USTIONATA

Corrispondence: Davide Melandri, AUSL Cesena, Ospedale M. Bufalini, Centro Grandi Ustionati, V.le Ghirotti 286, CesenaE-mail: [email protected]

Le ustioni alla mano sono più frequenti in ambi-to lavorativo e più spesso provocate da fiamma ocorrente elettrica ad alto voltaggio. Meno frequen-temente sono in causa i liquidi bollenti.L’esame clinico della mano ustionata deve valu-

tare l’entità delle lesioni distinguendo tra i vari gra-di di profondità. Tutto ciò, soprattutto in fase ini-ziale e nelle ustioni non palesemente profonde, nonè facile.Il primo intervento alla mano ustionata già sul

luogo dell’incidente prevede il raffreddamento, unefficace mezzo per fornire sollievo dal dolore e li-mitare ulteriori danni ai tessuti. La mano ferita èimmersa in acqua corrente fredda per una decina diminuti; tassativamente vietato l’uso del ghiaccio. Incaso di ustioni chimiche è consigliato un lavaggiopiù prolungato.Una parte fondamentale del primo approccio alle

ustioni della mano è quella di garantire una validaperfusione ai tessuti colpiti. Detendere aree forte-mente edematose può fare una grossa differenza intermini di outcome. Mani a rischio di ischemia so-no quelle colpite da ustioni circonferenziali o quasicirconferenziali, quelle con ustioni molto profonde,ed ustioni elettriche ad alto voltaggio. La pressionearteriosa media centrale è tre volte superiore allapressione capillare e ciò può far si che il flusso disangue sia mantenuto nei vasi più grandi ma siafortemente compromesso distalmente. Se la mano ècalda, e presenta un flusso pulsatile rivelabile con

Doppler sia nell’arco palmare che nei vasi digitalicon un normale segnale di pulsossimetria la portataè adeguata. Più il flusso risulta compromesso più lamano diventerà progressivamente immobile e fred-da, con riduzione del flusso all’esame Doppler econ perdita del segnale di pulsossimetria. Il movi-mento volontario diventerà difficile e la mano assu-me una posizione di contrattura ad artiglio. Per evi-tare danni ischemici occorre procedere a decom-pressione in urgenza mediante escarotomia eseguitacon elettrobisturi. Su braccio e avambraccio vengo-no effettuate incisioni longitudinali mediali e late-rali fino alla stiloide ulnare fermandosi alle articola-zioni del metacarpo del primo e quinto raggio. Poiprima di eseguire le escarotomie digitali si rivalutala perfusione della mano perché spesso, la decom-pressione del braccio è sufficiente a garantire nuo-vamente una valida perfusione distale rendendo su-perflue ulteriori escarotomie. Sull’efficacia e la sicu-rezza delle escarotomie digitali la discussione è tut-tora aperta. Se, da un lato l’escarotomia perifericapuò ridurre il ricorso ad amputazioni a carico delledita non si può nascondere il rischio di causare le-sioni significative soprattutto nei bambini piccoli,per escarotomie non correttamente eseguite.Le incisioni detensive (una sul lato radiale del

pollice e una sul lato ulnare delle altre dita) vannopreferenzialmente eseguite con elettrobisturi tra ilfascio neurovascolare digitale e i tendini estensorievitando accuratamente entrambe le strutture. L’in-

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cisione sul dito medio può essere estesa prossimal-mente sul dorso della mano tra i metacarpi per mi-gliorare la decompressione. La posizione ideale dellalinea d’incisione può essere identificata mettendo ledita in massima flessione e unendo gli apici dellepieghe flessorie con una linea continua.L’escarotomia può essere eseguita in pronto soccor-so, nel filtro di ingresso o al letto del paziente in se-doanalgesia eventualmente integrata con infiltrazio-ni di anestetico locale al di sotto dell’escara. Alcunipazienti però possono richiedere una anestesia gene-rale in sala operatoria. Un successivo Doppler ci puòdare ragguagli sull’efficacia della procedura eseguita.In caso di ustioni elettriche ad alto voltaggio o,

più raramente in caso di ustioni termiche con car-

bonizzazione profonda per prevenire un dannoischemico e/o una sindrome compartimentale puòrendersi necessaria la fasciotomia. Si pratica un’in-cisione curvilinea con esposizione volare del com-partimenti dell’avambraccio; questo approccio per-mette di accedere a tutti i singoli fasci muscolaridella porzione volare dell’avambraccio e di decom-primere il tunnel carpale attraverso un’incisionecontigua creando un lembo cutaneo ben vascolariz-zato a copertura del nervo mediano a livello delpolso. Sulla porzione dorsale dell’avambraccio,quando necessario, si praticano incisioni lineari ret-tilinee. Infine sul dorso della mano si praticano in-cisioni intermetacarpali per decomprimere i mu-scoli intrinseci della mano.

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PRASSI DI CHIRURGIA DELLA COXA MANUS

G.M. GRIPPI, L. CUGOLA, M. D’ARIENZO, U. PASSARETTIChirurgia della Mano – SOC di Ortopedia e Traumatologia - Osp. San Lazzaro di Alba (CN) -

ASL CN2 del Piemonte

Riv Chir Mano - Vol. 50 (2) 2013

CORSO DI ISTRUZIONE: PRASSI DI CHIRURGIA DELLA COXA MANUS

Corrispondence: G.M. Grippi, via dell’Acquedotto 7/1 - 12051 Alba (CN) - Tel. 0173282768 - E-mail: [email protected]

INTRODUZIONE

Nello studio sono esposte le opportunità tera-peutiche offerte dalla metodologia della Chirurgiadella Coxa Manus (CCM) nel trattamento deldanno carpale estremo. Ossia, quando il trauma, ladismorfia o la degenerazione hanno prodotto ilsovvertimento dell’anatomia e si ponga il problemadel recupero chirurgico di una funzione carpale,ancora fisiologica.

MATERIALI E METODI

La CCM si è sviluppata come logica applica-zione pratica della scoperta della Meccanica Biarti-colare Concentrica (MBC) e individuazione anato-mo-funzionale della Coxa Manus (CM). Il tuttoiniziava nel 1996, sollecitato dall’inconsistenzascientifica delle tesi dell’epoca riguardo la meccani-ca del carpo e la conseguente insoddisfazione per larelativa empiria chirurgica derivata (1).

Cioè, nella letteratura pre-CM, il funzionamen-to del carpo risultava un enigma e i modelli bio-meccanici proposti a spiegazione, pur ciascuno conuna relativa verità, oltre a contraddirsi a vicendanon risolvevano la funzione del carpo in terministrutturali. Ossia, il perché di quell’architettura equale fosse il ruolo specifico e il modo in cui le 8ossa carpali interagiscono nel realizzare il movi-mento, la coerenza spaziale e la stabilità del com-plesso.

Per esempio, il modello di Kapandji del 1974descrive la cinematica del carpo come contrapposi-

zione di due blocchi: l’intera 1a filiera sulla 2a filie-ra, con reciproci spostamenti che nella mediocarpi-ca si annullano. Ciò, è anche vero. Ma questa visio-ne, fin troppo semplice, è fuorviante nella misura incui misconosce il significato dei movimenti inte-rossei all’interno delle 2 filiere. E tuttavia questaconoscenza ha notevole importanza pratica, poichéla chirurgia ricostruttiva è concepita sul modellobiomeccanico e, certamente, se questo è sbagliatolo è anche l’intervento derivato.

Esemplare a riguardo è l’artrodesi STT - intro-dotta da Watson nell’artrosi triscafoidea, secondo imodelli a colonna, originati da quello di Navarrodel 1919 - oggi praticamente abbandonata perl’eccessiva rigidità articolare che ne deriva. Analo-gamente, l’artrodesi S-L proposta nella dissociazio-ne scafo-lunare secondo il modello ad anello diLictman del 1981, etc.

Ma un’altra fondamentale questione è statal’indeterminazione del concetto di Instabilità Car-pale. Infatti, l’entità patologica cui si riferisce, purindicando inequivocabilmente un fatto meccanico, inorigine è stata inquadrata con termini descrittivi.Esemplare a riguardo, è stata la definizione diDobyns della Mayo Medical School: “... la perditadel fisiologico rapporto anatomico o cinematico delle os-sa carpali tra di loro o con gli elementi appena prossi-mali o distali al carpo”. Questa e altre definizionicoeve si sono concretizzate nello schema DI-SI–VISI di Linscheid del 1972 che (appunto) de-scrive il malallineamento rx-grafico delle ossa carpalisenza, tuttavia, esplicitare quale sia l’alterazioni mec-canica fondamentale dell’IC (2).

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Anche tale fraintendimento è stato il prodottostorico dell’incomprensione riguardo la meccanicacarpale. Infatti, i principali modelli adottati: “Con-cetto delle colonne” Navarro (1919) - “Movimentoa catena” Gilford (1943) - Kapandji (1974) - “Car-po a geometria variabile” Taleisnik (1976) - “Con-cetto dell’anello” Lictman (1981), etc. - pur vali-dando lo schema DISI-VISI nelle forme statichedell’IC – sono risultati inadeguati a definire le for-me non strutturate: pre-dinamiche e dinamiche,com’è opportuno che sia.

Comunque, le suddette incertezze sono state re-settate dalla MBC e definitivamente superate dalriesame dei fondamentali riguardo l’architettura ela fisiologia carpale nella filo-ontogenesi (3); connumerosi fatti documentali - corroborati da osser-vazioni e verifiche sperimentali - che hanno con-sentito di esplicitare l’evoluzione e dis-velare la ra-tio meccanica immanente nel massiccio carpale.

Quest’ultima infine, si è rivelata semplice, auto-evidente, di facile verifica sperimentale e, nello specifi-co, idonea alla comprensione e accertamento univocodell’IC.

Concetto cardine della MBC è che l’architetturadel carpo è assimilabile ad una protesi bi-articolaredi femore che, nella testina protesica - riprodottadal capitato - ha il Centro di Rotazione (CR). Inquesta similitudine, nella medio-carpica è indivi-duata l’enartrosi della Coxa Manus (CM); la “vera”e più antica articolazione del carpo, la cui sconnes-sione comporta l’IC caratterizzata, in termini pato-gnomonici, dallo spostamento (statico o dinamico)della testa del capitato/CR.

La MBC è il prodotto dell’Evoluzione Darwi-niana e il carpo a duplice filiera - bi-articolare e in-centrato sulla CM dei Primati - deriva dal carpomono-filiera uni-articolare dei Rettili; con una suc-cessione riprodotta nell ’embrione – secondol’assioma di Haeckel: “l ’Ontogenesi ricapitola la Fi-logenesi” – per cui la radio-carpica compare dopo lamedio-carpica.

Cosicchè, nel massiccio carpale è possibile indivi-duare due parti dall’ontogenesi differenziata: unadistale, più antica (rettiliana): il Paleo-carpo, rappre-sentato dalla coppia capitato-uncinato compresa lamedio-carpica che nella centralità della Coxa Ma-

nus detiene il privilegio del riferimento meccanico(il CR); l’altra prossimale, recente (primatile): ilNeo-carpo, rappresentato dalla prima filiera compresala radio-carpica, che nell’evoluzione si sovrapponeva.

La transizione Paleo/Neo-carpo è avvenuta nelprocesso di brachiazione dei Primati assecondandola meccanica della locomozione arboricola el’utilizzo della mano a difesa di cadute. Nell’iter, ilcarpo uni-filiera-articolare diventa bi-filiera-artico-lare, assemblato come un giunto cardanico sui generische amplifica l’arco di movimento e, al contempo,ottiene – con la I filiera conformata ad arco roma-nico, in grado di assorbire e/o deviare al radio granparte dell’energia di un impatto – di proteggere laCM nel trauma.

Le suddette circostanze evolutive spiegano (an-che) la natura del riassesto cinematico che può pro-dursi nel generico danno radio-carpico. Ossia, nelc.d. Carpo Adattativo (CA) che talvolta (parados-salmente) esibisce una funzione relativamente du-revole e accettabile; pur consistente nell’emergeredi una modalità di funzionamento ancestrale: percui il movimento – più o meno impedito dal dannoradio-carpico – tende a concentrarsi nella mediocarpica indenne, insistendo sulla testa del capitato(4).

In altri termini, il CA tende a riesumare il prota-gonismo del Paleo-carpo ed è da considerare ste-reotipo potenziale in qualsivoglia alterazione ana-tomica (congenita o acquisita) del Neo-carpo:quindi, emergente negli esiti di fratture del radiodistale, nel Madelung, nel Kienböck terminale, nelpolso SNAC, SLAC, SCAC, etc.

In queste patologie, comune denominatore è ildecadere della funzione bi-articolare verso quellauni-articolare incentrata sulla Coxa Manus - in ge-nere, coi segni clinici dell’instabilità carpale (quindicon riscontro patognomonico di sub-lussazione ce-falo-capitato) - in un processo variabilmente di-scontinuo - relativo alla diversità eziologica e dispecifico decorso - sintomatico prevalentementementre la dislocazione del CR è “in fieri”. Per cui,non infrequente è la remissione del dolore quandola pur precaria configurazione si assesta e non sonorichieste elevate prestazioni: per l’appunto, nellacondizione di CA.

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Il Graal della Chirurgia del Polso (Graal C-P)

Dalla MBC e dalla para-fisiologia del CA derival’assioma Graal C-P: “tutto il movimento può essereconcentrato sul capitato” estrema sintesi del concettoche guida al recupero naturale del danno carpaleestremo, secondo la direttiva che l’intervento devemirare al ripristino delle funzioni meccaniche e com-prendere il riposizionamento, anche sostitutivo, delCentro di Rotazione.

Ossia, nella specifica lesione carpale, in primoluogo bisogna valutare la possibilità della restituitoad integrum. Se ciò è fattibile, allora per riposizio-nare il CR potrà essere sufficiente l’osteosintesi e/ola riparazioni di eventuali lesioni legamentose (es.in una frattura e/o pseudoartrosi di scafoide, o inuna dissociazione S-L, etc.). Viceversa, quando nonè possibile il reintegro anatomico, bisogna procede-re con soluzioni che utilizzano il potenziale meccanicodelle parti ancora integre e/o che ottimizzano il natu-rale processo di adattamento.

In tal senso, il riscontro di una condizione di CAfunzionalmente OK, può sconsigliare l’interventose i sintomi sono minimi e/o troppo in contrastocon il pur pessimo aspetto rx-grafico.

Qualora l’adattamento sia deragliato tanto daobbligare l’intervento è, altresì, ridimensionatal’importanza del recupero chirurgico della radio-carpica e/o della I filiera danneggiate. In alternati-va, valida opzione è l’abolizione del Neo-carpo afavore del Paleo-carpo con l’ottimizzazione chirur-gica del CA nei termini della “elementarizzazionedel massiccio carpale con concentrazione del movimentonella Coxa Manus; ossia, sulla testa del capitato o, sequesta a sua volta danneggiata, su una protesi cefalo-capitato sostitutiva ”.

Tali concetti compendiano le specifiche metodo-logiche generali della prassi di CCM.

Procedure e indicazioni della CCM

In applicazione al Graal C-P, per resettare il CRin ogni ipotetico danno carpale, la CCM consideraquattro principali procedure, di cui le prime due daattuare in caso di integrità della testa del capitato(Fig. 1). Rispettivamente:

- La Resezione Centrocarpica (RC): corrisponden-te alla Carpectomia Prossimale, in cui il capitatoviene fatto articolare direttamente sulla fossetta lu-nata del radio, che deve essere integra. L’intervento,indicato nel danno irreparabile del condilo carpale(e preferibilmente nell’adulto e/o anziano con scar-so impegno lavorativo), risulta utile in caso di note-vole rigidità poiché accorcia il carpo fino a 2-3 cm,recuperando spazio al movimento.

- La Ricostruzione della Coxa Manus (RCM):consistemte in un’artrodesi radio-carpica con rese-zione dello scafoide distale (artrodesi radio-luno-emiscafoidea). L’intervento - indicato nel recuperodella flesso-estensione e/o deviazione ulno-radiale,principalmente nel giovane e/o nell’adulto, ancor-ché in attività lavorativa - modella un neo-CotileManus che accoglie la testa del capitato col CRstabilmente riposizionato che trasformando la CMnell’unica articolazione del carpo. In tal modo, èeliminato ogni residuo movimento nella radio-car-pica danneggiata e viceversa amplificato quello del-la medio-carpica indenne, così ottimizzando il na-turale processo di adattamento dalla meccanica bi-articolare alla mono-articolare. Una variante tecni-ca: la RCM (nel Kienböck) è impiegata al III e IVstadio in cui il semilunare collassato non può essereutilizzato per ricomporre il Cotile Manus. In talcaso, l’intervento è comunque realizzato mediantela traslazione osteotomica della faccetta lunata delradio, a ridosso del capitato.

Tuttavia, sia la RC che la RCM sono controindi-cate se la lesione carpale comprende il danno del ca-pitato. In tal caso, per superare l’ostacolo può essereposizionata una protesi cefalo-capitato nelle corri-spondenti procedure gemelle. Rispettivamente:

- La Resezione Centrocarpica Sostitutiva (RCS)consistente in una RC più la protesizzazione delcapitato.

- La Ricostruzione Sostitutiva della Coxa Manus(RSCM) consistente in una RCM più la protesiz-zazione del capitato. Nel caso di danno limitato alcapitato consistente, invece, nella sola protesizza-zione.

Con questi interventi base è possibile trattarequalsivoglia danno carpale col minimo sovverti-mento anatomico e con la garanzia, nell’eventualità

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di un ipotetico insuccesso, di facilmente ripiegaresu interventi più definitivi ma destruenti, come lapanartrodesi e/o la protesizzazione totale. Ciò lirende strategicamente alternativi e di prima scelta,con l’ulteriore vantaggio della polivalenza. Infatti -ad esclusione del polso con flogosi attiva (reuma-toide, infettiva, etc.) e/o con osso scadente (graveosteoporosi, neoplasie, etc.) – possono trovare im-piego nei casi più disparati e/o disperati.

Iconografia casistica

Ad esemplificazione, sono riportati alcuni casilimite, rispettivamente: di trattamento nel dannoartrosico-degenerativo, nel danno post frattura del-l’EDR, nel Madelung sintomatico e nel Kienböckterminale.

Caso n. 1 - Polso SCAC con artrosi e instabilità dellaRUD - (Fig. 2).

Caso n. 1 - C. Vincenzo, nato il 13/01/1946,

edile in pensione. I visita a febbraio 2012, da circa2 anni comparsa di carpalgia dx ingravescente conoccasionale flogosi e tumefazione dorsale. Conco-mitano disestesie di mediano e ulnare. L’articolaritàè ridotta al minimo, con vivo dolore ai movimentiestremi. L’esame rx documenta la scomparsa dellarima radio-carpica (A). L’RMN documenta la dia-stasi scafo-lunata da erosione cartilaginea radio-carpica e la frammentazione della FCT. Il17/04/2012 effettua l’intervento di RCM. Il con-trollo clinico-rx-grafico ad 1 anno, documenta ilbuon reallineamento carpale (B), con articolaritàindolente e utile in flex-est 45°- 0 – 50°, ripristinocompleto della prono-supinazione e regressionesintomi nevralgici (C).

Caso n. 2 – Polso SCAC (Scaphoid ChondrocalcinosisAdvanced Collapse) con distruzione massiva dellaCoxa Manus – (Fig. 3)

Caso n. 2 - F. Alessandro, nato il 27/03/1926,

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Figura 1. Le principali procedure della Chirurgia della Coxa Manus (v. testo)

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contadino viticultore. I visita a settembre 2004, daparecchi anni carpalgia e progressiva rigidità delpolso sx, negli ultimi mesi dolore persistente e gra-ve STC (A). L’esame RX documenta la panartrosied il collasso avanzato del carpo con necrosi cefalo-

capitato (B). Il 3/11/2004 effettua l’intervento diRCS con protesi cefalo-capitato HGP. Il controlloclinico-rx-grafico a 3 anni dall’intervento docu-menta la buona osteointegrazione della protesi (C),con articolarità indolente e utile in flex-est 60°- 0 –

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Figura 2. Caso n. 1 (V. testo).

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45°, completa prono-supinazione e regressione sin-tomi nevralgici (D).

Caso n. 3 – Viziosa consolidazione frattura-lussazione(pluriframmentaria) RUD distale - (Fig. 4)

Caso n. 3 - R. Francesco, nato il 14/02/1984, di-soccupato. I visita a giugno 2009, riferisce 8 mesiprima un trauma da caduta al polso dx, non trattatoperché in stato di detenzione. Attualmente è presen-te minima articolarità solo in flessione con bloccodella prono-supinazione, risulta inabile in qualunqueattività manuale. Il controllo rx documenta il com-pleto sovvertimento carpale con strutturazione di unCA, limitato a pochi gradi di flessione sulla CoxaManus ancora integra (A). Il 8/09/2009 effettua

l’intervento di RCM (per il recupero della flesso-estensione) completato dalla osteotomia correttivadel radio (per correggere il varismo) e dall’interventodi Sauvè-Kapandj (per il recupero della prono-supi-nazione). Il controllo clinico-rx-grafico a 1 anno dal-l’intervento documenta l’eccellente reallineamentocarpale (B), con articolarità indolente e utile in flex-est 50°- 0- 50°, completa prono supinazione (C). Da2 anni lavora proficuamente in una tipografia.

Caso n. 4 – Madelung sintomatico con sub-lussazione econflitto ulno-carpale - (Fig. 5).

Caso n. 4 - T. Giuseppe, nato il 8/10/1954, im-piegato comunale. I visita a novembre 2011, fin daragazzo ricorda dolori occasionali a entrambi i pol-

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Figura 3. Caso n. 2 (V. testo).

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si: da 1 anno carpalgia sx ingravescente, con limita-zione occupazionale. L’anamnesi depone per unacondizione di Madelung displasico associato a di-scondrosteosi a bassa espressività. Attualmente, alpolso sx è presente dolore centrocarpico con blocco

prono-supinazione. All’EO si rileva una bassa sta-tura e deformità dei polsi con minima deviazionevolare-ulnare e abnorme sporgenza dorsale dell’ul-na. L’rx-grafia del polso sx evidenzia la formatriangolare del radio distale con curvatura ad arco

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Figura 4. Caso n. 3 (V. testo).

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volare, l’osteofitosi sulla parte infero-ulnare, la sub-lussazione dorsale dell’ulna distale (allargata edeformata), l’incipiente artrosi radio-carpica, l’im-pingement ulno-carpale, (A). Il 24/01/2012 effet-tua intervento di RCM, completato dall’interventodi Sauvè-Kapandj (per il reallineamento ulno-car-

pale e il recupero della prono-supinazione). Il con-trollo clinico-rx-grafico a 9 mesi dall’interventodocumenta l’eccellente reallineamento carpale (B),con articolarità indolente e utile in flex-est 40°- 0-40°, completa prono supinazione (C). Ha ripresoogni attività precedente.

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Figura 5. Caso n. 4 (V. testo).

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Caso n. 5 – Carpalgia in M. di Kienböck stadio IIIb –(Fig. 6)

Caso n. 5 - S. Antonio, nato il 16/09/1959, ope-raio metalmeccanico. I visita a febbraio 2008 per

polso dx rigido e dolente. Rammenta un trauma dacaduta polso dx nel 2001 (41aa). I sintomi attualisono iniziati 2 anni prima (nel 2006). Il controllorx evidenzia K. stadio IIIb (dissociativo, in esten-

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Figura 6. Caso n. 5 (V. testo).

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sione scafoidea) (A). Il 20/05/2008 (a 49 aa) è statoeffettuato intervento di RCM (nella variante ditraslazione osteotomica della faccetta lunata del ra-dio) utilizzando per la sintesi. una placchetta circo-lare (B). Il controllo clinico-rx-grafico a marzo2013 (a 5, 7 anni dall’intervento) documenta ilbuon reallineamento carpale con articolarità utilein flex-est 35 - 0 – 28 (C). Asintomatico e soddi-sfatto ha continuato a fare l’operaio.

RISULTATI

L’intera casistica di CCM consiste di 91 inter-venti in 85 pz., dal 1997 al 2012, di cui: 7 RC; 54RCM; 7 RCM nel Kienböck; 2 RCM nel Made-lung; 4 RSCM; 17 RCS. I risultati, controllati conun follow-up medio di 5,7 anni, sono stati soddis-facenti in oltre 85% dei soggetti. I dettagli sono ri-portati nei lavori pubblicati, e a questi si rimanda(5-10).

CONCLUSIONI

I suddetti risultati convalidano la CCM e avva-lorano l’idea originale di risolvere gravi lesioni car-pali elementarizzando le funzioni meccaniche, coninterventi dalla minima invasività chirurgica, logi-camente adattati al danno specifico, e che - incor-porando e ottimizzando il naturale processo diadattamento - consentono il valido recupero me-diante la medesima concentrazione del movimentonella Coxa Manus, protesizzata o meno.

In termini comparati, tale metodologia corri-sponde nel semplificare il carpo bi-articolare uma-

no al carpo uni-articolare dei Dinosauri, rievocan-do un assetto meccanico ancestrale che ha funzio-nato nell’Evoluzione per milioni di anni.

BIBLIOGRAFIA

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9. Grippi GM. La Chirurgia della Coxa Manus nel salvatag-gio del polso post-frattura dell’EDR. Lo Scalpello 2008;22 (2): 107-13.

10. Grippi GM. Patomeccanica regressiva nel Kienböck e trat-tamento con la Chirurgia della Coxa Manus – 2013 – incorso di pubblicazione su Rivista Chirurgia Mano.

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