Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE FACOLTA’ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELL’EDUCAZONE ___________________________________________________ “METODI E STRUMENTI EDUCATIVI NELL’ACCOMPAGNAMENTO LAVORATIVO DI SOGGETTI SVANTAGGIATI” RELATRICE Prof.ssa Silvia Guetta LAUREANDO Antonio Sammartino ANNO ACCADEMICO 2005-2006

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE

FACOLTA’ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONECORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELL’EDUCAZONE

___________________________________________________

“METODI E STRUMENTI EDUCATIVI

NELL’ACCOMPAGNAMENTO LAVORATIVO

DI SOGGETTI SVANTAGGIATI”

RELATRICEProf.ssa Silvia Guetta

LAUREANDOAntonio Sammartino

ANNO ACCADEMICO 2005-2006

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“Le persone si accompagnano non si portano”

Don Luigi Ciotti

Fondatore del Gruppo Abele

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Introduzione

Una prima definizione legislativa che riconosce lo status di persona

svantaggiata la troviamo inserita all’interno della legge n° 381 del 1991, una

norma che disciplina e regola l’attività delle cooperative sociali. Queste

organizzazioni si propongono come scopo statutario la promozione umana e

l’integrazione sociale dei cittadini attraverso l’inserimento lavorativo di persone

svantaggiate, come nel caso delle cooperative sociali di produzione e lavoro (tipo

B). La suddetta legge, all’articolo quattro, considera persone svantaggiate gli

invalidi fisici, psichici e sensoriali, gli ex degenti d’istituti psichiatrici, i soggetti in trattamento psichiatrico , i tossicodipendenti, gli alcolisti, i minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiare e i condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione.

Nel corso degli anni la definizione di svantaggio, seppur non

applicabile alle cooperative sociali, si è estesa ad ulteriori tipologie di soggetti 1 in

precedenza non rientranti in questa particolare categoria, quasi a testimonianza

della crisi socio – economica che sta attraversando la nostra società.

Le analisi sociologiche del periodo storico attuale, che investono anche il

campo della riflessione pedagogica, si pensi ad esempio all’elaborazione teorica

all’interno della pedagogia della marginalità e della devianza, rilevano un

rafforzamento in termini negativi di quei meccanismi d’espulsione sociale, che

rendono più faticoso rispetto a periodi antecedenti, la conduzione di un’esistenza

“normale”. L’uomo d’oggi vive un senso profondo di precarietà che lo rende

inquieto, perché avverte in fondo quanto sia più facile, rispetto al passato, cadere

nel baratro dell’isolamento sociale e della povertà e quanto, nello stesso tempo,

sia più difficile risalire dopo la caduta, riportandosi su un livello minimo di

sopravvivenza e di sicurezza sociale.

Nella determinazione di questo senso d’inquietudine e precarietà concorrono

vari fattori, tra i quali in modo particolare quello rappresentato dal mondo del

lavoro, caratterizzato da una sempre maggiore selezione, minori tutele, nonché da

una crescente perdita d’identità da parte della stessa forza lavoro. In questo

meccanismo nel quale il lavoro è strutturato da forme d’accentuata flessibilità

1 Si veda nello specifico il Regolamento CE n° 2204/2002, all’articolo 2 lettera f e il D.lg. n° 276/03.

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(contratti a progetto, lavoro interinale, a chiamata, ripartito, a termine, ecc.) 2, sono

emerse in questi ultimi anni nuove forme di disagio sociale, le cosiddette nuove

povertà3. Situazioni ritenute vent’anni fa eccezionali in Europa, e più o meno

circoscritte, sono oggi ricorrenti. I casi di disagio sono diventati più numerosi e più

critici del previsto: periodi lunghissimi senza lavoro, livelli d’istruzione bassi o

peggiorati in seguito a lavori aridi, mancanza d’abitazione o cattive condizioni

d’alloggio, salute deteriorata, sentimento d’impotenza, d’isolamento, d’abbandono

e disperazione.

Per le giovani generazioni che crescono in questi contesti, gli strumenti

utilizzati dai servizi sociali e da quelli scolastici, sembrano essere inadeguati ed è

in questo clima d’incertezza, d’incomprensione e di disperazione, che

l’atteggiamento adolescenziale si trasforma talvolta in rivolta o in comportamento

deviante, solo per affermare la propria esistenza.

Il presente lavoro intende affrontare in termini pedagogici il percorso del

reinserimento sociale attraverso lo strumento dell’inserimento lavorativo rivolto ai

soggetti svantaggiati, e più estesamente a tutti coloro che rientrano tra le

cosiddette fasce deboli.La premessa teorica, che comunque è suffragata anche da

elementi di praticità4, è che l’esperienza lavorativa stessa ha in sé degli elementi

che possano generare una sorta di riabilitazione sociale del soggetto che vive

difficoltà di tipo clinico o sociale , se l’inserimento al lavoro è accompagnato da

adeguati strumenti di mediazione pedagogica.

Di seguito sono presentati i principali temi che saranno trattati

approfonditamente nei rispettivi capitoli.

Nel primo capitolo è discusso l’elemento che contraddistingue il paradigma

pedagogico dalle altre scienze sociali ed umane, nel campo della marginalità e

della devianza, che è rappresentato dalla concezione del deviante come soggetto

attivo. La visione pedagogica pone sempre il soggetto deviante o marginale non

come protagonista passivo degli eventi circostanti, ma come attore del proprio

comportamento antisociale, che è per lui giustificabile, perché in linea con la

2 Cfr. Riforma Biagi: le nuove norme in materia d’occupazione e mercato del lavoro Decreto legislativo 10.09.2003 n° 276 , G.U. 09.10.2003 3 Cfr. S.Uliveri (a cura di), L’Educazione e i marginali, La Nuova Italia, Firenze,1997 e vedi anche Il servizio “Torino, laboratorio di povertà” pubblicato dal quotidiano La Repubblica il 9 Dicembre 1998, nonché l’intervista a Stefano Zamagni, economista all’Università di Bologna, a cura di Silvio Mini, pubblicata su UniboMagazine il 23 Gennaio 2004.4 Si guardi a proposito il capitolo n°5 dedicato all’esperienza della Cooperativa Sociale “In Cammino” di Pistoia e la sua metodologia d’inserimento lavorativo rivolta a soggetti svantaggiati.

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propria visione del mondo.

Il lavoro educativo di reinserimento sociale che sarà progettato ed illustrato

nelle sezioni successive partirà pertanto da questa impostazione teorica.

Il secondo capitolo illustra la metodologia adottata nella mediazione pedagogica

dell’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati, partendo dalla fase dell’orientamento,

fino ad arrivare ad illustrare i fondamenti e le prospettive collocate all’interno del

progetto individuale d’inserimento lavorativo. Il presente capitolo fornisce inoltre

una rappresentazione degli strumenti utilizzati, che gli operatori della mediazione

adoperano nell’interazione con i soggetti coinvolti, come l’utilizzo dell’Analisi

Transazionale per la stipulazione dei contratti di cambiamento, nonché particolari

tecniche di comunicazione.

Il terzo capitolo presenta un modello applicativo d’inserimento lavorativo

all’interno delle cooperative sociali di produzione e lavoro, andando ad analizzare

anche qui la metodologia e gli strumenti educativi impiegati e volti al reinserimento

sociale dei soggetti inseriti. In questo capitolo sono anche presentati alcuni aspetti

problematici relativi all’organizzazione e alla gestione delle attività, mettendo in

evidenza anche le dinamiche relazionali che si sviluppano all’interno delle

cooperative sociali stesse, che si presentano come delle vere e proprie realtà

lavorative, svolgendo contemporaneamente anche determinate azioni formative e

rieducative.

Nel quarto capitolo è presentata la metodologia adottata durante

l’accompagnamento lavorativo all’esterno dell’ambito lavorativo della cooperativa

sociale. In questo caso, secondo la tipologia di svantaggio presentata dai soggetti

coinvolti, viene progettato un percorso formativo individuale, che va dalla

frequenza presso i laboratori formativi prevedendo la presenza di un tutor e di un

docente per l’attività pratiche specifiche, all’esperienza degli stage e dei tirocini

lavoro. All’interno di questa sezione di lavoro vengono anche illustrate alcune

schede di rilevazione che i tutor utilizzano durante la fase di monitoraggio e di

verifica per le persone inserite nelle aziende.

L’ultimo capitolo è dedicato alla particolare esperienza della cooperativa

sociale “In Cammino” di Pistoia, dove il sottoscritto ha svolto l’attività di tirocinio e

attualmente lavora come operatore sociale e tutor degli inserimenti lavorativi di

persone con svantaggio di tipo clinico e/o sociale. Molte delle riflessioni

pedagogiche ed educative che saranno presentate di seguito hanno avuto

riscontro nell’attività pratica svolta all’interno di questa cooperativa. L’esperienza

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stessa ha fornito poi delle occasioni d’arricchimento e di rivisitazione, in senso

critico, delle impostazioni teoriche di partenza.

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Capitolo I

I SOGGETTI SVANTAGGIATI, IL RAPPORTO

CON IL MONDO DEL LAVORO ED IL RUOLO

DELLA COOPERAZIONE SOCIALE

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I.1 Paradigma pedagogico dello svantaggio

Le persone cosiddette svantaggiate appartengono a quella fascia di popolazione

connotata da una forte componente d’emarginazione e d’atteggiamenti devianti5. Tra

questa tipologia di soggetti sono comprese varie realtà disagiate, tra cui quelle

contraddistinte da una maggiore problematica psico - sociale, come i tossicodipendenti, gli

alcolisti, i detenuti ed i minori con difficoltà familiare.

Parlare di queste persone, indagare sul loro vissuto, ed ancora più difficile,

riuscire a stabilirci una relazione conquistando la loro fiducia, al fine di

intraprendere un percorso riabilitativo, implica il presupposto di un approccio

pedagogico, che sappia interpretare tali realtà e pensare adeguate modalità

d’intervento. L’elemento che contraddistingue il paradigma pedagogico dalle altre

scienze sociali ed umane, nel campo della marginalità e della devianza, è per

l'appunto la concezione del deviante come soggetto attivo, che prende parte ad un

contesto comunicativo di tipo interattivo e intenzionale. 6

La visione pedagogica pone sempre il soggetto deviante come attore del

proprio comportamento antisociale, che è per lui giustificabile, perché in linea con

la propria visione del mondo, nonché con il suo progetto di vita. Anche a fronte

dell’esistenza di contesti caratterizzati da una disgregazione famigliare, carenza di

cure parentali, appartenenza della famiglia ad una subcultura criminale o la

presenza in essa di soggetti che hanno già intrapreso una carriera deviante, sono

tutte condizioni che non implicano un’evoluzione necessaria del soggetto in una

direzione predeterminabile. I fattori familiari come d’altra parte quelli psicologici,

non sono cause del comportamento deviante, ma realtà che possono essere

investite di senso dal soggetto e da chi lo circonda. Ed è l’individuazione del

particolare significato ad esse accordato, che permette di cogliere le motivazioni

del passaggio ad un certo agire. In altre parole, certe condizioni di vita possano

limitare la scelta dei significati loro attribuibili entro una gamma piuttosto ristretta,

ciò non significa però che la capacità di significazione attiva del soggetto sia

neutralizzata e che quindi quei fattori familiari e/o psico-sociali, determinino

meccanicisticamente le forme di comportamento assunte dal soggetto.5

Per semplificare il concetto si può definire la devianza come “un’infrazione della norma sociale, un comportamento non conforme ai modelli o alle aspettative istituzionalizzate”. Cfr. De Marchi F. (a

cura di), Nuovo dizionario di Sociologia, Ed. Paoline, Milano, 1987, p.655. 6 Cfr. P. Barone, Pedagogia della marginalità e della devianza,Ed. Guerini Studio, Milano, 2001.

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L’oggetto specifico di riflessione e d’intervento pedagogico è allora

rappresentato dal contributo del soggetto alla costruzione del proprio modello

d’interpretazione del mondo e d’azione nel mondo. Il termine, contributo

soggettivo, si riferisce esclusivamente a quella capacità di investire di senso il

reale, che appartiene ad un soggetto che non appare mai globalmente determinato

da pressioni e costrizioni esterne. Da questo punto di vista il comportamento

antisociale del soggetto appare come una forma di agire comunicativo, la cui

comprensione necessita di un approccio interpretativo, che tenda a cogliere le

tracce di quella particolare visione del mondo e quel profondo sistema di significati

in base a cui egli interpreta la realtà e progetta di conseguenza la sua esistenza.

Emerge dall’analisi di queste dinamiche la centralità del soggetto ed i

processi squisitamente personali e originali in base a cui egli partecipa alla

costruzione di se stesso. Di se stesso come deviante, ma anche di se stesso come

capace di cambiamento. Possiamo quindi affermare che là dove si rivelano dei

casi d’irregolarità della condotta le cause sono da ricercarsi nei limiti dello sviluppo

della coscienza intenzionale e si manifestano attraverso due diversi tipi

d’atteggiamento: l’assenza dell’intenzionalità e la distorsione dell’intenzionalità.

“L’assenza dell’intenzionalità rappresenta l’incapacità del soggetto di sentirsi

attore nel proprio contesto di vita, a situarvisi come donatore di senso e origine

d’ogni investimento di significato del mondo circostante. L’individuo rinuncia a

concepirsi all’origine del proprio comportamento e corresponsabile nella

costruzione della propria esistenza e di quelle altrui. Egli rimane costretto entro i

limiti di una visione del mondo dominata dal senso della nullità del sé di fronte alle

cose del mondo, che gli appaiono dotate di una forza autonoma e soverchiante” 7. Il

soggetto tende così a considerare se stesso come sganciato dal resto del mondo:

egli vive continuamente la sensazione di non potervi in alcun modo intervenire in

maniera significativa. La sua vita scorre sotto il segno del patire, ossia del

soccombere sotto la pressione di una potente ed incontestabile realtà. Uno

scetticismo acritico ed un fatalismo esistenziale, nati dalla percezione che la

trasformazione della propria realtà sia fuori della sua portata, saranno gli esiti di

quella visione disadattiva di sé e del mondo. In assenza di un’adeguata

competenza cognitiva a pensare una possibile trasformazione di sé, tende a

produrre continui fallimenti nei tentativi abbozzati di diventare un altro, creando

7

P. Bertolini, L. Caronia, Ragazzi difficili. Pedagogia interpretativa e linee d’intervento. Pag. 58-59, Ed. La Nuova Italia, Firenze, 1993.

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così un circolo infernale che non fa che confermare e rafforzare la convinzione

della propria totale negatività.

Quando il soggetto possiede una sufficiente carica vitale egli tenderà a

precipitarsi nella vita, cercherà di distrarsi dalla scomoda consapevolezza della

sua insufficienza impegnandosi in imprese capaci di dargli un brivido, un interesse

che possa per un po’ attutire quel sentimento, più o meno latente, di totale nullità.

Il fenomeno del teppismo, o almeno alcune sue manifestazioni, rivela a volte

proprio un desiderio di evadere da un mondo giudicato insostenibile e di gettarsi

nella vita quasi per dimenticare se stesso e la propria nullità annullandosi nel

mondo.

Quando al contrario, per varie ragioni, il soggetto non possiede la carica

vitale necessaria a questa reazione, il rischio maggiore è che egli metta in atto

gesti d’autoannullamento, come ad esempio l’uso di sostanze stupefacenti o alcol,

fino al vero e proprio suicidio.

Tra tutti questi soggetti, la cui difficoltà nasce da un’assenza d’intenzionalità,

sembra esserci alla fine un comune denominatore: un arresto nella loro evoluzione

verso quel livello d’esistenza che abbiamo chiamato soggettività.

“ La distorsione dell’intenzionalità implica un secondo limite nello sviluppo

della coscienza intenzionale, e a differenza del primo caso essa nasce da una

sorta d’eccesso dell’io. Il soggetto si rapporta al mondo attraverso una pratica di

fagogitazione totale dell’oggetto, consumato da una soggettività che si ritiene

onnipotente. La visione del mondo che scaturisce da quest’intenzionalità onnivora

è profondamente disadattiva: il mondo delle cose è un universo da fagocitare e

l’altro, in quanto soggetto dotato almeno di un analogo diritto verso il mondo,

semplicemente non esiste, ridotto allo stato d’oggetto anche lui”. 8 Il mondo e

l’altro, i vincoli che essi pongono a qualunque persona non sono riconosciuti e

questa tipologia di soggetti ritengono, più o meno consapevolmente, di poter

disporre e fare di tutto. Essi elaborano così un mondo per sé frutto di un

immaginario d’onnipotenza, di un’intenzionalità fantasmatica, che accredita l’io di

un posto centrale ed esclusivo nella costruzione della realtà.

A questa visione del mondo che ruota intorno ad un eccesso dell’io possono

essere ricondotti molti comportamenti d’aggressività fino alla violenza, d’assenza

d’autocontrollo, d’irresponsabilità, nonché veri atti delinquenziali. 9 Come nel caso

8

P. Bertolini, L. Caronia, Op.citata, pag. 64, Ed. La Nuova Italia, Firenze, 1993.9 Cfr. P. Orefice (a cura di), L’operatore sociale di strada, Edizioni ETS, Pisa 2002.

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dei soggetti privi d’intenzionalità anche questi individui cercano nella compagnia e

nell’aggregazione una soluzione ai loro problemi, ma a differenza dei primi,

l’incontro costituisce per loro il luogo in cui poter imporre la propria egoità, lo

strumento con cui dimostrare agli altri, e di riflesso a sé, di essere in grado di

dominare e di decidere in totale autonomia del proprio destino. Dietro questi

incontri, dunque, non c’è vera apertura alla dimensione sociale: l’altro è

essenzialmente un mezzo necessario all’affermazione di se, spettatore del proprio

esibizionismo narcisista.

Seppur in modo diverso dai soggetti privi d’intenzionalità, anche questi

“giganti”, maturano un profondo senso d’insoddisfazione che scaturisce da un

eccesso dell’io, così come nel primo caso scaturiva da un eccesso del mondo.

Tuttavia tengo a sottolineare che trattandosi di schematizzazioni, seppur

efficaci ed importanti ai fini di approfondire e chiarire eventuali cause comuni a

certi atteggiamenti devianti, nessun caso concreto, nessuna personalità deviante,

potrà mai rientrare completamente ed essere ridotto nelle due categorie suddette;

Il soggetto umano è sempre più complesso ed articolato, portatore di molteplici

sfaccettature e peculiarità, che vengono perse ogni qual volta si cerca di

generalizzare, chiudere o ridurre in categorie certi atteggiamenti.

Scopo del rapporto educativo, come vedremo, è quello di portare il soggetto a

riformulare lo stile della sua percezione di sé e del mondo depurandola dagli

eccessi che la rendono disfunzionale. Il suo comportamento verso il mondo e gli

altri muterà di conseguenza.

I.2 L’intervento rieducativo

Rieducare non vuol dire puntare sulla scomparsa del comportamento

irregolare, ma eliminare i motivi che inducano il soggetto ad assumere quel

comportamento.

Intervenire per aiutare il soggetto deviante a modificare il suo comportamento

irregolare significa, paradossalmente, tralasciare il comportamento in questione o,

quanto meno, utilizzarlo solo come punto di partenza per cercare di comprendere

la visione del mondo e l’orientamento dell’intenzionalità che possono averlo

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motivato.

Una volta individuato il disturbo in questa sfera della soggettività, il compito

dell’educatore professionale sarà quello di provocare una progressiva

trasformazione di quella visione del mondo e una ristrutturazione dell’attività

intenzionale.

Ri – educare significa quindi procedere ad una profonda trasformazione della

visione del mondo del soggetto: del suo modo di intendere se stesso, gli altri e le

cose, del suo modo di mettersi in relazione con queste realtà e di procedere quindi

nella scelta dei suoi atteggiamenti e dei suoi comportamenti.

L’intervento rieducativo, rispetto ad un’esperienza di tipo educativa, presenta

maggiori difficoltà sulla concreta realizzazione, in quanto si colloca in un momento

spostato nel tempo rispetto all’avvio della normale storia educativa d’ogni

individuo. Un soggetto svantaggiato ha, in genere, avuto modo di elaborare un

proprio vissuto, di sedimentarlo e di arricchirlo di successive stratificazioni. In

questo lasso di tempo egli ha avuto modo di consolidare una certa visione del

mondo che egli sente come propria e spesso come per nulla disadattiva. Dover

rimettere in gioco tutto questo, rivedere e modificare le proprie convinzioni, il

proprio modo di percepire sé, il mondo e gli altri non è cosa facile, soprattutto

quando queste convinzioni sono introiettate e difese come proprie. Il lavoro

rieducativo non può partire dal passato della persona pretendendo che egli ne

prenda le distanze; questo semmai è il punto d’arrivo di un processo costruttivo

rivolto, fin dall’inizio, al futuro. Si tratta di sfruttare quegli aspetti della personalità

del soggetto che possono essere valorizzati, di fargli compiere nuove esperienze e

di prospettargli nuove possibilità capaci di aprirgli orizzonti diversi e diverse forme

d’esistenza.

Quando questo lavoro pedagogico avrà provocato il necessario

disorientamento inducendo la persona a problematizzare uno stile di vita che egli

tendeva a dare per scontato, quando lo stesso soggetto avrà cominciato ad

ampliare o modificare la sua tavola di valori e sarà mosso da nuove esigenze e da

nuovi interessi, solo allora avrà senso provocare un ripensamento del suo passato.

Sarà, infatti, la trasformazione della sua visione del mondo, avvenuta

progressivamente e autonomamente, a permettere una visione critica del passato,

una nuova attribuzione di senso al proprio vissuto e un effettivo suo superamento.

Il significato della rieducazione è, dunque, essenzialmente quello di essere una

trasformazione attiva, frutto non tanto di una sistematica negazione del passato,

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quanto di una rinnovata proiezione nel futuro.

Il primo momento fondamentale della pratica rieducativa, secondo il

paradigma fenomenologico,10 è quello della conoscenza. In questa fase non si

tratta solo di recuperare il maggior numero di dati possibili, circa la storia di vita di

quella persona e il suo ambiente familiare e sociale, quanto soprattutto di

percepire come questo insieme di condizioni siano state vissute dal soggetto, quali

convinzioni e quali pensieri su di sé e sugli altri egli abbia elaborato a partire da

quelle premesse. La visione del mondo costituisce il suo quadro motivazionale: è a

partire da questa che egli agisce ed è conoscendo questa che possiamo

comprendere il perché del suo agire. Da un punto di vista pedagogico è essenziale

giungere a tracciare gli autentici motivi dell’agire, perché è a partire da questi che

va predisposto il progetto rieducativo se vogliamo che esso si riveli efficace.

Tutto questo comporta che l’osservazione, che s’instaura come momento

iniziale dell’incontro, non debba configurarsi come uno “stare a guardare”, ma

come un “vivere con”. Non si tratta di una pratica asettica fondata sul

distanziamento e sulla non implicazione dell’educatore; al contrario, prevedendo

come suo momento fondamentale la necessità di mettersi dal punto di vista

dell’altro, essa si pone immediatamente come un momento di relazione e di

comunicazione.11

L’educatore deve conoscere ciò che dal soggetto è stato investito di

significato. Infatti non è sufficiente sapere che il soggetto ad esempio è figlio di

genitori tossicodipendenti, ma è altrettanto importante per l’operatore capire cosa

nel processo di crescita questa condizione ha significato per lui; così come non è

sufficiente constatare che proviene da un ambiente socialmente, economicamente,

culturalmente deprivato, ma è altrettanto importante comprendere quale immagine

del mondo e di sé egli si è costruita a partire da quell’ambiente: un mondo contro

cui lottare o un mondo da subire? Un io titanico disancorato da qualsiasi vincolo

con la realtà o un io sopraffatto e destituito d’ogni possibilità intenzionante?

Molto spesso per giungere al nocciolo del problema, ossia alla messa in crisi

dell’intera visione del mondo su cui si regge il comportamento deviante, è

necessario, in prima istanza, puntare alla riduzione della forza vincolante d’alcune

carenze o di certi usi distorti delle abilità cognitive e relazionali, che altrimenti

10 Da un punto di vista fenomenologico, ogni individuo in quanto soggetto vivente ha nell’intenzionalità della coscienza, nella sua capacità d’investire di senso il mondo naturale e sociale, la sua caratteristica essenziale. Cfr. Schutz A., La fenomenologia del mondo sociale, Ed. Il Mulino, Bologna, 1974.

11 Cfr. P.Bertolini, L’esistere pedagogico, La Nuova Italia, Firenze,1990

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potrebbero neutralizzare qualsiasi intervento educativo. Il valore di questi primi

interventi consiste nel preparare il terreno all’intervento rieducativo vero e proprio,

quello cioè che mira ad una ricostruzione radicale della visione del sé e del

mondo.

Le attività manuali in un laboratorio formativo, (facendo un esempio

nell’ambito dei percorsi di formazione lavoro, che illustrerò nei capitolo successivi),

possono in questa fase iniziale costituire una palestra d’acquisizione o

ridefinizione delle abilità percettive, cognitive e sociali necessarie per affrontare un

nuovo rapporto con il mondo e con gli altri. 12 Lo stile, i modi con cui il soggetto

partecipa a queste attività, il genere di relazioni che egli tende a stabilire con gli

altri, possono essere osservati come tracce che testimoniano quale particolare

visione del mondo sia dominante nel soggetto e quale difetto dell’intenzionalità

caratterizzi la persona. Rispetto ai casi in cui il soggetto mostri nel rapporto con

l’altro delle interazioni inautentiche, occorre trasmettergli l’impressione

dell’inefficacia e della non convenienza di quegli atteggiamenti asociali. Per

circoscrivere la forza vincolante di quest’incapacità di relazione interpersonale

appare opportuno puntare sulla partecipazione ad alcune attività di gruppo, in cui i

processi di comunicazione e d’accordo intersoggettivo sul da farsi, la distribuzione

di ruoli complementari a persone diverse, l’interdipendenza delle azioni, la

necessità che ciascuno svolga il proprio compito nei tempi previsti e che mantenga

l’impegno che si è assunto, si rivelano pratiche indispensabili al conseguimento

dello scopo. La persona attraverso queste esperienze comincerà a sperimentare

gli esiti positivi dell’interazione, comincerà a percepire che, assumendo

atteggiamenti più relazionali nei confronti del gruppo, è possibile vivere meglio ed

evitare spiacevoli inconvenienti. In altre parole si tratta di mostrare che se alcune

dinamiche interpersonali o alcune tacite regole dell’interazione si rivelano efficaci e

produttive con alcuni compagni, ciò può valere anche nei confronti d’altre persone:

per parlare con gli altri, per fare qualcosa con gli altri, per ottenere dagli altri, in

ogni caso e qualunque sia l’oggetto dello scambio, bisogna mettere in atto alcune

strategie di negoziazione e di mediazione non molto diverse da quelle che il

soggetto in questione sta sperimentando nei confronti d’alcune persone. Certi

rifiuti, certe maschere impenetrabili, certe stereotipie nel vestire, nel parlare del

soggetto sembrano vanificare ogni sforzo da parte dell’educatore. Egli si trova di

12

Gli aspetti rieducativi, legati all’inserimento dei soggetti svantaggiati nei percorsi formativi e lavorativi, che qui sono solamente accennati, saranno ripresi e approfonditi nel dettaglio nei prossimi capitoli.

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fronte ad un muro di gomma fatto di discorsi sentiti mille volte, di gesti mille volte

visti, di parti mille volte recitate. Spesso l’unico modo per far breccia in questo

muro, alla ricerca di un’individualità nascosta dietro ad una serie di cliches è

proprio quello di destrutturare quelle abitudini, organizzando degli scenari in cui il

soggetto sia costretto ad abbandonare quei comportamenti e quegli atteggiamenti

che ne impediscono ogni conoscenza. Questa, quando si compie, nell’istante o nel

lungo periodo, ha sempre una valenza formativa: perché c’è educazione anche

nella de – formazione o nella de – strutturazione, nella perdita d’abitudini e

convinzioni.13

L’idea di formazione, che ci riporta alla nozione del letterale “dar forma”, è

pertanto spendibile anche quando ci si decostruisce e non solo quando si

aggiunge a quella precedente una nuova rappresentazione. Per entrare nel nuovo

bisogna ristrutturare il vecchio o disimpararlo: questa dinamica pedagogica è il

nucleo dell’esperienza formativa e si presenta allo stesso modo in ogni fase o

momento della vita.

Il momento conclusivo del percorso rieducativo è quello in cui il soggetto,

avendo avuto occasioni per scoprirsi responsabile delle proprie scelte e per

cogliere la necessità di dimensionare queste a quelle del gruppo sociale in cui

vive, fa proprio questo modo di pensare se stesso nel mondo e con gli altri. Tale

momento rappresenta un’appropriazione soggettiva di un nuovo punto di vista sul

sé e sul mondo.

La chiave di volta per giungere a questo momento è la ristrutturazione

dell’intenzionalità, ossia un cambiamento profondo degli schemi di significato con

cui il soggetto si dirige verso un mondo attuale e possibile. E’ proprio l’immersione

in un nuovo e più vasto campo d’esperienze, che permette alla persona di

superare quei limiti dell’intenzionalità che in qualche modo provocavano e

sostenevano una visione disadattiva del sé, del mondo e del loro essere in

relazione. Questo rovesciamento di prospettiva, e l’adeguazione di un nuovo

modo di pensare la propria implicazione nel reale, è la condizione per un

ripensamento del passato. Un ripensamento che, a questo punto, non è più la

ripetizione più o meno farfugliata di un giudizio altrui su di sé, ma la produzione di

un giudizio proprio: non si tratta di collocarsi in una prospettiva indicata

dall’esterno, ma di raggiungerla personalmente e di riconoscerla alla fine come

propria.13

Cfr. D. Demetrio, L’età adulta, Carocci, Roma, 1990

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I.3 La professione come proposta ri – educativa.

La riflessione specificamente pedagogica sul problema del lavoro, non ha

raggiunto una salda sistemazione teorica e si scontra ancora oggi con retaggi

culturali persistenti. Si può affermare con Dewey che: “…la più fondamentale delle

scissioni fra i valori educativi è probabilmente quella fra cultura e utilità”. 14

L’opposizione dei termini nasce in contesti nei quali la cultura è identificata

con l’esercizio delle abilità cognitive disposte alla contemplazione, mentre l’utilità

delle attività pratiche è relegata allo stato servile. Tale deprivazione produttiva

dall’educazione, ancorata all’idea di una necessaria opposizione tra intelligenza

educata al sapere ed inutilità culturale d’ogni fine pratico, ha di larga misura

superato le condizioni storico sociali d’origine. Non sono peraltro mancati, con la

pedagogia moderna, riflessioni e sperimentazioni tendenti ad avvicinare

educazione e lavoro. Da quando Pestalozzi denunciava i limiti sociali della

pedagogia tradizionale “troppa educazione da bocca”, si è indubbiamente

rafforzata la convinzione della necessità di riconoscere la partecipazione del

lavoro ai processi educativi.

Sotto le spinte dell’affermazione industriale, si è aperto un sostanziale

capitolo della pedagogia sociale, che ha trovato proprio nel lavoro, l’elemento

cardine di un’aperta critica all’idea stessa d’educazione, come andava

sviluppandosi nelle società avanzate. E’ all’interno dell’attivismo pedagogico che si

afferma l’idea di una formazione integrale, comprensiva quindi anche della

dimensione del lavoro, quale fondamento di rinnovamento culturale.

Da queste riflessioni nasce la formazione professionale come animazione e

come interprofessionalità, nel senso di mirare ad uno sviluppo armonico e globale

delle risorse intellettive, motorie, attitudinali e creative di un soggetto. La

formazione professionale diventa e si pone come processo formativo e educativo

autonomamente determinato e organizzato, assorbendo nelle sue finalità

professionali e globali gli scopi stessi della rieducazione. Quest’ultimo aspetto

assume una peculiare rilevanza per i soggetti svantaggiati, aventi caratteri di

minorità fisica, psichica o socio – culturale.

14

J. Dewey, Democrazia ed educazione,La Nuova Italia, Firenze, 1949, p. 341.

Page 17: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

Con il concetto di “formazione ad una professionalità”, si comprende

quell’area di competenze ed atteggiamenti che risultano validi e spendibili tanto in

un contesto lavorativo, come in un più ampio ambito sociale. Sul versante

prettamente lavorativo la professionalità include elementi essenziali per la

gestione dei processi di lavoro in un’organizzazione, quali l’affrontare imprevisti e

variazioni, risolvere problemi, comprendere l’organizzazione nella quale si è

collocati ed interagire con i diversi soggetti: ruoli, funzioni in essi presenti; lavorare

in gruppo; prendere decisioni.

L’acquisizione di queste capacità in ambito lavorativo e la loro, seppur non

automatica, trasferibilità anche ad altri contesti, favorisce nel soggetto

svantaggiato una ri – acquisizione della propria soggettività intenzionate, ed è

proprio in questo senso che l’esperienza lavorativa assume una valenza anche

rieducativa. I possibili percorsi di socializzazione lavorativa includono differenti

aspetti e contribuiscono non solo alla progressiva definizione d’identità

professionali, ma anche della stessa identità personale e sociale dell’individuo.

L’inserimento lavorativo non significa di per sé il raggiungimento di un livello

sufficiente d’inserimento sociale, ma la socializzazione al lavoro può però

costituire l’avvio e l’asse portante di un percorso di socializzazione globale. Se si

attribuisce quindi alla socializzazione non il semplice valore d’adattamento a

condizioni concrete di lavoro (ruolo, organizzazione, relazioni…), ma un più ampio

riferimento al processo di costituzione di un’identità professionale e di

conseguenza personale e sociale, centrale diventa la questione del rapporto tra

socializzazione e formazione.

Le interpretazioni della relazione che si viene a creare tra questi due ambiti

sono diverse. Assai diffusa risulta essere, anche in concrete realizzazioni, una

concezione della formazione come funzione coincidente con la stessa

socializzazione lavorativa. In questo senso, nella pratica, non esiste azione

formativa esplicita e formalizzata: il lavoro stesso è ritenuto formativo. A questo

sacrificio della formazione è stato ad esempio costretto lo strumento

dell’apprendistato, nato peraltro con intenti sostanzialmente formativi. 15 La

concezione alla quale ci si riferisce è assai diffusa e tradotta in concrete forme

d’intervento soprattutto nei settori lavorativi a basso livello di qualificazione, quindi

15 Cfr. E. Porzio Serravalle,<<Apprendistato: dall’idea d’addestramento all’idea di formazione>>, in <<Ceep>> n. 15, lug. – sett. 1981, pp. 29 – 51.

Anche l’inserimento di alcuni moduli formativi introdotti con la nuova legislazione sull’apprendistato, che in gran parte dei casi sono risultati fallimentari per scarsa partecipazione e motivazioni da parte degli allievi, non sembra incidere in modo sostanziale né contraddire quanto sopra esposto.

Page 18: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

coinvolge in particolar modo l’area dei soggetti svantaggiati. Da una ricerca

condotta sul ruolo della formazione nelle piccole – medie imprese è stato rilevato

come “ … processi d’acquisizione, di socializzazione, di mutamento e di sviluppo

professionale sono avvenuti e per gran parte avvengono in assenza d’appositi,

espliciti, intenzionali, formali processi formativi: la professionalità è normalmente

acquisita sul mercato del lavoro e/o la professionalizzazione avviene

generalmente sul posto di lavoro e attraverso processi di trasmissione orale

individuale e collettiva”.16

Da tale impostazione di sostanziale scomparsa del momento formativo si

discosta l’ipotesi che vede nella formazione una funzione indispensabile,

finalizzata e subordinata alla riuscita del processo di socializzazione lavorativa. In

questa prospettiva le due fasi (formazione e socializzazione) sono separate ed

ordinate secondo un criterio di succedaneità temporale: la formazione si esaurisce

nel tempo della preparazione, la socializzazione si realizza durante l’inserimento

lavorativo. All’interno di tale concezione, che si realizza secondo modalità spesso

differenziate, pare di poter collocare le esperienze di formazione aziendale,

giustificate spesso da visioni produttivistiche della professione.

Appare chiaro, da un punto di vista formativo, i limiti di quest’impostazione,

soprattutto per i soggetti svantaggiati, che apertamente manifestano sintomi di

demotivazione, rifiuto dell’impegno e delle regole.

A partire da queste constatazioni si aprono possibili piste di ricerca per

l’elaborazione d’ipotesi alternative.

Occorre innanzitutto esplicitare la centralità che il momento della formazione

e quello della socializzazione rivestono per la condizione concreta del soggetto

con difficoltà d’inserimento sociale.

Il rapporto tra formazione, vista come processo di cambiamento della

persona, dell’ambiente (soggetti, organizzazioni…) e delle relazioni che in questa

stabilisce, e socializzazione (processo d’integrazione e ricerca d’identità

personale, professionale, sociale) può essere impostato e realizzato secondo

criteri di circolarità. I due momenti si presentano non solo complementari ma

essenzialmente come funzioni di uno stesso processo.

Dal punto di vista del soggetto marginale momenti formativi e di

socializzazione in ambito formativo costituiscono opportunità differenti che, se

adeguatamente valorizzate, possono significare l’aumento delle possibilità

16 P. Montobbio, Il contenuto manageriale del lavoro nella piccola e media impresa , Angeli, Milano, 1984, p.99.

Page 19: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

individuali d’inserimento sociale.

All’agenzia formativa (all’educatore in concreto) spetta il compito di governare

la coerenza del processo che si struttura in modo ricorrente ed oscillatorio tra

cambiamento formativo ed impatto con la realtà produttiva.

Innanzi tutto occorre anticipare, nello svolgersi stesso della formazione,

alcune tappe di socializzazione lavorativa. Oltre l’attuazione di stage, tirocini, si

può attribuire dignità alla socializzazione formativa nell’ambito del laboratorio

formativo, in quanto momento d’anticipazione della successiva realtà di lavoro.

Quanto più l’ambito formativo per organizzazione, attività, metodologia, luoghi, si

discosta dal modello scolastico (aula) e si avvicina alla realtà produttiva

(laboratorio, officina), tanto più la socializzazione durante la formazione può

contenere elementi reali del mondo del lavoro. Tale validità dell’attività formativa

dovrebbe risultare evidente e concretamente riconosciuta non solo dai soggetti

direttamente coinvolti (operatori, educatori, allievi), ma anche dagli interlocutori

esterni, in primo luogo dall’impresa.

Per il soggetto svantaggiato, che sta facendo un’esperienza formativa sul

posto di lavoro, è necessario porre attenzione alla formalizzazione delle diverse

tappe, all’esplicitazione degli elementi importanti (obiettivi, metodi, tempi, …), alla

predisposizione di modalità di controllo e supporto. Quel tasso di casualità a cui è

comunque esposto, l’esistenza di difficoltà, incoerenze, contraddizioni, che da una

parte lo espone a rischi d’insuccesso, costituisce comunque l’occasione di

un’effettiva maturazione e crescita di quell’identità professionale che è inclusa fra

gli obiettivi della socializzazione.

.Sia l’azione formativa, che quella di socializzazione in ambito lavorativo,

richiedono una preparazione/programmazione che definisca strumenti, risorse,

organizzazione e, soprattutto, professionalità necessarie alla realizzazione

dell’intervento. Se l’intero processo va governato occorre, infatti, la presenza di

figure di significato formativo nel corso delle diverse fasi. Tali soggetti possono

essere diversi nei differenti momenti (tutor, docente, tutor aziendale sul lavoro),

ma esercitando funzioni concordanti in alcuni punti essenziali:

- Attenzione al percorso d’apprendimento (difficoltà, possibilità, vincoli,

capacità di risolvere problemi, superare difficoltà, trasferire soluzioni)

della singola persona;

- Interazioni che il soggetto stabilisce o non riesce a stabilire;

- Evoluzione dell’identità professionale, personale, sociale del soggetto

Page 20: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

e della consapevolezza che questi mostra di raggiungere.

Nell’arco della successione, dalla socializzazione formativa, alla

socializzazione lavorativa, particolare rilievo riveste la dimensione del gruppo

come ambito d’apprendimento e d’interazioni. Il progressivo affermarsi del gruppo

come situazione ricorrente in campo lavorativo come formativo, enfatizza

l’importanza di capacità di carattere comunicativo ed interattivo:

- processi e modalità di presa di decisione sia individuali che di gruppo;

- esercizio della funzione di coordinamento e di leadership;

- modalità di risoluzione di problemi (individuo/gruppo);

- orientamento individuale e di gruppo agli obiettivi;

- modalità di risposte a varianze;

Saper comunicare significa sempre più saper lavorare, anche a livelli bassi di

qualificazione e per ruoli di carattere esecutivo.

Il formatore si presenta allora come facilitatore dei processi di socializzazione

all’interno del gruppo di formazione ed ancora una volta tutor del singolo percorso

dell’allievo durante le fasi di socializzazione lavorativa (alternanza formazione –

lavoro).

I.4 Rapporto tra il sistema produttivo tradizionale, i

soggetti svantaggiati e il ruolo della cooperazione sociale.

Un’organizzazione produttiva che sta sul libero mercato rappresenta come un

sistema, di cui una volta stabiliti gli obiettivi, organizza le sue risorse per

raggiungere dei risultati. Quest’aspetto è vero in una grande impresa dove gli

obiettivi saranno esplicitati e pianificati, come in una piccola azienda artigiana

dove gli obiettivi potranno essere impliciti all’organizzazione, o magari solo

presenti nella testa dell’artigiano. Il rapporto tra obiettivi e risultati rappresenta

l’efficacia del sistema. L’azienda è inserita in un sistema competitivo, costituito da

clienti e concorrenti, entro il quale essa può restare a condizione che il suo

prodotto resti conveniente, pertanto è spinta a rispettare gli obiettivi utilizzando al

Page 21: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

meglio le risorse di cui dispone.

All’interno dell’ambiente lavorativo, e non potrebbe essere altrimenti,

prevalgono pertanto leggi di produttività rispetto alle quali il soggetto svantaggiato

è subito visto come un potenziale contravventore e ciò lo pone immediatamente in

una condizione atipica rispetto ai compagni di lavoro. La sua disarmonia evolutiva,

personale o sociale che sia, ed i suoi bisogni, di solito mal si adattano alle

richieste che comunque giungono dall’organizzazione. L’ingresso di una persona

svantaggiata in un’organizzazione produttiva è vissuta dall’organizzazione stessa

come una possibile minaccia al suo equilibrio interno. I compagni di lavoro,

secondo il loro ruolo di responsabilità che ricoprono nell’organizzazione

aziendale, possono far prevalere una delle seguenti reazioni: 17

- Diffidenza per il nuovo arrivato, che si ritiene possa far gravare una parte

delle incombenze che gli sono state affidate sulle persone più vicine a lui.

Questo tipo d’atteggiamento prevale nel settore terziario.

- Simpatia per un elemento che può opporsi ai ritmi dell’attività lavorativa

senza subirne conseguenze dirette, diventando una sorta di rivalsa

simbolica nella dinamica conflittuale fra “padroni” ed operai.

Quest’utilizzazione “classista” della disabilità, che spesso si maschera da

solidarietà ideologica nei confronti di un compagno svantaggiato, prevale nel

settore dell’industria.

- Accettazione paternalistica di un individuo che si presume sia, in ogni

circostanza, più debole e debba quindi essere protetto e guidato, ma senza

porsi il problema di una sua reale emancipazione ed autonomia lavorativa.

Quest’atteggiamento prevale nel settore del lavoro artigianale, ma è anche

frequente all’interno della fabbrica.

In queste condizioni l’infantilizzazione, la passività, l’isolamento, le soluzioni

disadattative di vario tipo da parte del soggetto svantaggiato, sono all’ordine del

giorno ed assumono un valore di risposta che deve essere riconosciuto ed

interpretato. Gli effetti riabilitativi collegati con il ruolo lavorativo sono, infatti, più

17

Cfr. M. Cannao, A. Moretti, G.P. Guaraldi, Filosofia dell’integrazione di Giorgio Moretti, Redazione Editoriale IRCCS E. Medea.

Page 22: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

significativi quando il ruolo affidato è percepito dal soggetto come vero, reale,

utile, intercambiabile con gli altri lavoratori e quindi non costruito ad hoc per lui.

L’inserimento al lavoro costituisce uno degli elementi cardine su cui fondare

percorsi riabilitativi, miranti ad una concreta reintegrazione sociale dell’individuo

svantaggiato, se e solo se, si prevedono delle forme d’accompagnamento di

carattere educativo e professionale. Gli elementi fondamentali sui quali costruire

validi percorsi rieducativi, atti a ridefinire un’adeguata visione del proprio sé e del

mondo, devono essere orientati all’acquisizione d’autonomia gestionale e

comportamentale.

All’azienda comunemente intesa di lavoro, che è strutturata per la sua finalità

produttiva, salvo casi eccezionali, non può essere pertanto relegato il compito

d’essere anche un’agenzia con finalità di riabilitazione sociale, in quanto per

quest’importante obiettivo occorre la partecipazione, l’intervento diretto o il

supporto d’altri attori sociali.

La forma lavoro della cooperativa sociale sembra quella che meglio risponde

alle esigenze occupazionali espresse dalle persone con disagio clinico o sociale.

Nel 1991 con l’approvazione della legge n° 381, si sancisce giuridicamente

l’esistenza di una particolare forma della cooperazione: quella per l'appunto

cosiddetta sociale. Questo riconoscimento legislativo introduce, tuttavia, alcune

notevoli differenze tra questa forma cooperativa e le altre. La più importante è

sicuramente quella esplicitata nell’articolo numero 1, che recita quanto segue: “ le

cooperative sociali hanno lo scopo di perseguire l’interesse generale della

comunità alla promozione umana ed all’integrazione sociale dei cittadini”; esse

svolgono quindi le loro attività principalmente a favore di terzi. Si rafforza così la

loro natura solidaristica, mentre in qualche modo s’indebolisce la finalità

mutualistica, quella cioè rivolta ai soli soci.

L’innovazione introdotta dalla legge n°381/91, con riferimento alle cooperative

sociali di produzione e lavoro (tipo B), sta nell’averle individuate come strumento

privilegiato e specialistico per l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati e

come soggetto titolato a svolgere una formazione professionale sul campo, a

lavorare per una piena integrazione sociale delle persone in difficoltà e a favorire,

se possibile, un loro successivo avviamento lavorativo all’esterno della

cooperativa. Il valore della cooperativa sociale si riconosce nella qualità del

contesto lavorativo, delle relazioni, coniugando l’emancipazione dei soggetti deboli

Page 23: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

con la produzione e la qualità del prodotto. A partire da tutto questo le cooperative

riescono a svolgere nelle comunità, accanto ai servizi, un’importante azione

riabilitativa mediata dal “fare” anche nei confronti di soggetti con disturbo psichico,

arrivando a volte dove il farmaco o la parola non arrivano. Le cooperative sociali

sono organizzate come luogo di lavoro, ma anche di formazione professionale, di

costruzione d’identità, di capacità relazionali, d’espressione, luogo di scambi

sociali e d’emancipazione dove si favoriscono lo sviluppo d’abilità professionali e

competenze trasversali.

La formazione avviene prevalentemente attraverso il fare ed è formazione ad

un’abilità, ad un compito, ad una mansione, ma tanto più formazione all’autonomia

ed indipendenza, alla responsabilità, alla possibilità e capacità di scelta, all’utilizzo

dei servizi e delle istituzioni del territorio, alle relazioni e agli scambi sociali. A tal

fine occorre però che le persone svantaggiate inserite in cooperativa abbiano

comunque un’attitudine sufficiente al lavoro, che la presenza di lavoratori ordinari

sia tale da garantire lo svolgimento delle attività e che le cooperative siano gestite

tenendo presente, sia un progetto complessivo di formazione, sia programmi

personalizzati. Sulla base dell’esperienza sembra che una quota eccessivamente

elevata di lavoratori svantaggiati ponga due ordini di problemi: il primo riguarda il

fatto che la presenza di soli lavoratori disabili non caratterizza l’ambiente di lavoro

come luogo d’integrazione, il secondo che l’assenza di una quota significativa di

lavoratori normodotati impedisce di utilizzare il loro apporto in termini di supporto

ai lavoratori disabili e la possibilità di integrare le competenze assenti a causa

della loro disabilità. Per questi aspetti, l’articolo n° 4 della legge 381/91, stabilisce

che le persone svantaggiate devono costituire almeno il trenta per cento dei

lavoratori normodotati della cooperativa e, compatibilmente con il loro stato

soggettivo, essere soci della cooperativa stessa.

L’esperienza ha mostrato che un rapporto equilibrato fra le due componenti di

lavoratori ha prodotto buoni risultati, sia in merito alla gestione dei problemi

connessi alla produttività, che alla capacità d’integrare effettivamente la

componente dei lavoratori disabili. Nelle realtà cooperative, dove il numero di

lavoratori disabili è molto elevato, sono invece particolarmente pesanti i problemi

connessi alla produttività e le imprese trovano maggiori difficoltà a promuovere

all’esterno l’immagine di una realtà produttiva invece che assistenziale.

Valutando l’insieme delle esperienze, nelle cooperative sociali sono impiegati

Page 24: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

lavoratori con le più varie forme di disagio, sia esso di tipo clinico e/o sociale. A

livello di singole cooperative esistono però esperienze che per “tradizione” o per

scelta operano esclusivamente con una sola categoria, mentre ce ne sono altre

che sono aperte a tutte le categorie di disabili. La tendenza sembra essere

comunque verso la massima apertura a tutti i lavoratori disabili indipendentemente

dal loro handicap, purché, come già ricordato, vi sia un minimo di compatibilità

delle abilità residue con quanto richiesto dagli specifici processi produttivi

dell’azienda. In questo senso alcune cooperative sociali tendono a differenziare le

proprie attività proprio per ampliare il target di lavoratori disabili impiegati.

La cooperazione, intesa come impresa sociale, è eminentemente una filosofia,

un lavoro progettuale, d’attivazione di risorse, di sinergie, d’intelligenze, di

trasformazione culturale, di connessione tra mondi di norma separati, che

concretamente avvia l’accesso materiale ai diritti di cittadinanza per i soggetti

deboli. La conciliazione tra mondo della produzione e quello dello svantaggio, pare

essere il nuovo terreno di sfida nelle pratiche della riabilitazione, come nelle

pratiche sociali. Dell’impresa sociale le cooperative sociali non rappresentano né

l’unica espressione, né la totalità dell’esperienza, ma certamente sono uno dei

terreni privilegiati attraverso cui l’impresa sociale stessa si può articolare.

Oggi più che mai è importante che la cooperazione sociale trovi il proprio

spazio nello sviluppo di comunità. Il rischio che corre l’impresa sociale altrimenti, è

quello di diventare un mero prestatore d’opera nei confronti dell’Ente locale.

Ritengo che la cooperazione sociale deve sì prestare dei servizi al territorio e

agli enti locali, ma anche promuovere lo sviluppo sociale della comunità,

dissolversi nelle reti sociali e familiari ed essere co-generatrice di progetti per il

territorio stesso.

La cooperazione sociale insomma non deve perdere l’ambizione di leggere i

bisogni emergenti e farsene interprete con progetti di sostegno alla comunità

locale.

Page 25: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

Capitolo II

LA MEDIAZIONE PEDAGOGICA

NELL’ACCOMPAGNAMENTO LAVORATIVO DI

SOGGETTI SVANTAGGIATI

Page 26: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

II.1 L’orientamento lavorativo: tipologizzazione dello

svantaggio e possibili azioni d’intervento.

Le pratiche d’orientamento e accompagnamento al lavoro di persone collocate

nell’area dello svantaggio, si pone come obiettivo quello di concretizzare un’offerta

in grado di ricanalizzare storie individuali, potenzialmente a rischio

d’emarginazione e di forte involuzione, in processi di motivazione e riattivazione

personale. Tali interventi assumono come presupposto di natura culturale, che

diviene anche orientamento teorico e metodologico, la centralità dei beneficiari

dell’intervento, attraverso un approccio che sappia riconoscere le singole identità.

E’, infatti, nella relazione e nel reciproco riconoscimento tra il tutor

dell’orientamento e i rispettivi utenti, quest’ultimi molto spesso condizionati da

esistenze fragili e provate nel corso della vita, che si rende possibile il riattivarsi di

disponibilità, il germinare di risorse proprie, l’affermarsi di volontà, il crescere del

senso di responsabilità nel protagonismo personale.18 Per questo l’attività di

supporto necessita di una connotazione fortemente guidata dagli aspetti

relazionali, e non può essere ridotta alla tematica della semplice costruzione di un

meccanico incontro fra domanda e offerta di lavoro.

Fin dall’inizio dell’attività d’orientamento al lavoro è opportuno l’impostazione

di un modello basato sull’ascolto attivo e l’accoglienza della persona, offrendo a

quest’ultima la possibilità di essere sostenuta nel vivere esperienze positive in un

percorso di sviluppo concordato, in una cornice in cui sia possibile ripensarsi nella

propria condizione di vita e ritrovare, in questa riflessività, spunti positivi per un “ri

– cominciare”.19 In questo modello, che prevede avanzamenti graduali di sviluppo

di nuove consapevolezze ed esperienze, connotate da una circolarità tra

riflessione – sperimentazione – riflessione, non si vogliono negare le limitazioni di

carattere sociali e/o psicofisiche, anche molto gravi, che riguardano una parte dei

beneficiari dell’intervento, quanto piuttosto riconoscere la possibilità di procedere

verso una direzione riabilitativa, che la stessa persona svantaggiata ha scelto di

18 Cfr. G. Iannis (a cura di), Orientamento e integrazione socio – lavorativa per soggetti svantaggiati. L’esperienza di un progetto pilota di formazione in Provincia di Treviso. Ed. Del Cerro, Pisa, 2000.19 Cfr. Scalvini F. L’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate, Impresa sociale, n° 21 anno 1995.

Page 27: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

percorrere insieme con un operatore, che per un periodo limitato svolgerà un ruolo

di supporto e accompagnamento.

Nella ricerca della destrutturazione della complessità, rappresentata

dall’eterogeneità delle varie forme di svantaggio 20, è opportuno come prima cosa la

costruzione di un modello di tipologizzazione dei beneficiari, cogliendo i tratti

caratteristici che quest’ultimi assumono, relativamente alle proprie autonomie 21. E’

possibile pertanto ipotizzare una classificazione in un modello che contempla

quattro diverse tipologie basate sull’individuazione delle autonomie personali. Tali

tipologie sono d’orientamento nell’identificazione di modalità diverse per far fronte

ai problemi, nonché sui tempi necessari per modificare gli stili disfunzionali e per

acquisire strumenti efficaci per l’inserimento lavorativo.

Quest’operazione supporta gli operatori nel processo valutativo e di

comprensione dei bisogni degli utenti e conseguentemente favorisce la definizione

dell’approccio più opportuno da utilizzare in ciascuna singola situazione.

La lettura delle situazioni personali rappresentate per livelli d’autonomia

personali aiuta a coniugare la condizione di svantaggio della persona e le sue

risorse presenti e potenziali, con gli standard d’autonomia che i vari contesti di

lavoro richiedono. Come già accennato questa strutturazione permette una

prefigurazione del percorso più idoneo da offrire, in relazione ad un contesto

d’inserimento adeguato alla situazione.

Di seguito sono illustrate le quattro tipologie di svantaggio socio –

lavorative22.

1) Persone in situazioni di difficoltà transitorieGli appartenenti a questo gruppo rivelano alte motivazioni alla ricerca di

lavoro, sono persone dotate di sufficiente o buon’autostima, dimostrano discrete

capacità comunicative e relazionali, hanno la capacità di costruire amicizie. Il loro

sistema valoriale è in genere consolidato, quindi dimostrano una chiarezza d’idee,

buone convinzioni e capacità introspettive. Pertanto sono persone dotate di un

buon livello d’autonomia generale. Se è loro possibile tendono ad essere 20 Nell’articolo 4 della legge 381/91, già menzionata nell’introduzione, sono compresi tra questa tipologia di soggetti

gli invalidi fisici, psichici e sensoriali, gli ex degenti d’istituti psichiatrici, i soggetti in trattamento psichiatrico, i tossicodipendenti, gli alcolisti, i minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiare e i condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione.

21 Cfr. Colaianni L., La competenza ad agire nelle situazioni problematiche. Animazione Sociale, Inserto numero d’Aprile 2004, Ed. Gruppo Abele, Torino.

22 Cfr. Quaderni d’Orientamento n° 26 Maggio 2005. Periodico semestrale edito da Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia.

Page 28: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

indipendenti per cui si spostano da sole, quasi sempre hanno la patente e l’auto

propria. Le difficoltà che spingono queste persone alla richiesta d’aiuto presso i

servizi sociali generalmente non dipendono dalla mancanza di risorse proprie,

quanto da circostanze esterne (eventi sfavorevoli, malattie, separazioni, ecc..).

Quindi si trovano in condizioni economiche precarie o gravati da altri vincoli, che

limitano la loro possibilità di ricerca di lavoro. Generalmente hanno già maturato

esperienze di lavoro significative, talvolta di medio – lungo periodo, in cui non

sono mancati il senso di responsabilità e la capacità organizzativa. L’urgenza di

disporre subito di un lavoro per migliorare la precaria situazione economica

personale o familiare li limita fortemente nella possibilità di fruire di corsi di

formazione, che permetterebbero loro un re – inserimento lavorativo più qualificato

e remunerato23.

2) Persone che vivono situazioni d’empasse o crisi temporaneeQuesto gruppo di persone dimostra una molteplicità di risorse che sono

bloccate da eventi sfavorevoli che però non sfociano in situazioni di vita

particolarmente critiche. In genere si rivelano situazioni in cui l’assenza di punti di

riferimento e l’inesperienza ad affrontare la vita in piena autonomia, ha condotto

tali soggetti a compiere scelte che si sono rivelate errate. Queste scelte a loro

volta hanno penalizzato lo sviluppo d’esperienze e competenze utili al lavoro, tra

cui l’area delle relazioni. Se questa categoria di persone sono poste nella

condizione di riconoscere le loro risorse, e queste possono essere stimolate e

indirizzate operando scelte significative, hanno la possibilità di fare cambiamenti e

adattarsi a nuove realtà ed esperienze di vita, compresa quella lavorativa.

In questo gruppo si trovano persone che, a fronte d’iniziali resistenze,

dimostrano in seguito una disponibilità a ri - esaminare i comportamenti che hanno

generato o favorito i vari fallimenti, non solo lavorativi, ma anche su altri fronti

della loro vita (relazioni, istruzione, ambito famigliare). Fondamentale per loro è

maturare la consapevolezza che hanno le risorse interne e la capacità per

fronteggiare le difficoltà, e che non è un dramma riconoscere di avere dei limiti 24,

ciò li porta ad acquisire maggiore autonomia. Hanno la capacità di adattarsi ai

cambiamenti, muoversi con autonomia e, generalmente, intuiscono quando è il

23 Cfr. Selvatici A., D’Angelo M.G., Il bilancio di Competenze, Ed. Franco Angeli, Milano, 1999.

24 Cfr. N. Radia, L. Verini, L’orientamento come counseling”, in Psicologia dell’Orientamento scolastico e professionale. Teorie, modelli e strumenti. Ed. Franco Angeli, Milano, 2002

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momento di ricercare orientamento e sostegno in situazioni di criticità.

3) Persone con vissuti problematici consolidati nel tempoQuesto gruppo di persone si presenta generalmente con una richiesta di

lavoro inizialmente chiara. In un secondo momento, avviata la fase di conoscenza,

si coglie una loro domanda latente, che preme con forza, di appoggiarsi a

qualcuno che considerano autorevole, che le aiuti a chiarire la loro confusione e la

loro incapacità ad operare scelte non necessariamente rivolte al contesto

lavorativo.

Queste persone quasi sempre mancano di pre – requisiti per avviarsi al lavoro

o quantomeno per mantenerlo, e vivono con difficoltà e sofferenza problematiche

personali e sociali irrisolte consolidate nel tempo, che limitano fortemente la loro

autonomia. La loro capacità organizzativa è molto carente e quasi sempre non

dispongono d’autonomia di movimento con mezzi propri. Hanno serie difficoltà a

riflettere per fronteggiare e risolvere i loro problemi, sono persone inclini ad

autosvalutarsi, talvolta con accanimento. Spesso l’operatore deve relazionarsi con

il loro vittimizzarsi che non le aiuta in termini evolutivi.

E’ difficile articolare progetti dallo sviluppo lineare perché sono persone

soggette ai dubbi, ai ripensamenti e quindi vanno continuamente sostenute e

incoraggiate, pertanto i tempi d’accompagnamento si allungano.

Parallelamente ad un accompagnamento prolungato nel tempo necessitano di

contesti lavorativi parzialmente tutelati, non competitivi, dove vi sia una

componente di socialità che possa soddisfare il bisogno di accoglienza e di

rassicurazione sulle loro capacità25.

4) Persone con disagi significativiIn questa fascia si collocano persone che per condizioni e stile di vita possono

essere considerate ad alto rischio di marginalità sociale, se non già rientranti in

questa condizione. Talvolta si rilevano situazioni in cui alla radice della

problematicità vi sono carenze cognitive ed intellettive riscontrabili da diagnosi

cliniche. Queste persone vivono una condizione esistenziale di forte disagio che si

aggrava quando vivono da sole, senza risorse familiari e privi di reti sociali. La loro

fragilità deriva spesso da marcati disagi nella loro dimensione più profonda, con

25 Cfr. A. Grimaldi (a cura di), Orientamento:modelli, strumenti ed esperienze a confronto, Isfol strumenti e ricerche, Ed. Franco Angeli, Milano, 2002.

Page 30: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

problematiche personali irrisolte ed una conseguente ricaduta negativa sulle

autonomie, che dovrebbero presiedere i normali processi vitali, così da impedire

condizioni di vita d’emarginazione e solitudine.

La loro richiesta di lavoro è assente o minima perché sono mentalmente

coinvolte in una difficile, talvolta sterile, ricerca di soluzioni al loro faticoso vivere

quotidiano, oppure sono già da tempo rassegnate e in qualche modo “si lasciano

vivere”. La loro domanda è confusa e mutevole per cui cambiano spesso opinioni

ed obiettivi. Talvolta si riscontrano forti dipendenze da alcol, dipendenze da droghe

in connessione a problematiche pre – esistenti.26

L’offerta loro rivolta richiede l’attivazione di una serie articolata di risorse, sia

del servizio sociale, sia di altri tipi di servizi, come ad esempio il Ser.T (Servizio

tossicodipendenze) e/o la psichiatria.

La problematicità dei vissuti richiede, che al costante accompagnamento e

sostegno di tipo educativo, siano affiancati progetti di re – integrazione sociale

realizzati in contesti propedeutici ad un inserimento lavorativo e comunque

tutelanti27.

In relazione all’esigenza e alle risorse dei beneficiari appena descritti e

classificati, si procede ad identificare l’intervento d’orientamento lavorativo più

appropriato per ognuna di queste categorie. Pertanto, seguendo lo stesso ordine di

classificazione, avremo:

A1) Le consulenze orientative 28 Tali consulenze costituiscono dei percorsi brevi di chiarificazione del proprio

progetto lavorativo – professionale. Solitamente di questo intervento ne

beneficiano persone che non hanno elevati problemi di criticità sull’asse cognitivo

e relazionale, ma piuttosto si trovano in situazioni di difficoltà transitoria, e

contemporaneamente mostrano sufficienti livelli di autonomia personale per

riattivare una propria progettualità. In questo caso il colloquio di orientamento è

inteso più come uno strumento a carattere informativo, fornendo al soggetto le

informazioni indispensabili per una lettura corretta della realtà, che gli

consentiranno successivamente di operare le proprie scelte in ambito 26 Tali situazioni ricadono nelle cosiddette “doppie diagnosi”, per cui i soggetti affetti da disturbi di natura

psicologia/psichiatrica, ricorrono all’uso di sostanze alcoliche o stupefacenti con l’intento di attutire lo stato di malessere che provano.

27 Cfr. Montobbio, Lepri, Lavoro e fasce deboli, Op. citata28 Cfr. Pombeni M.L., Il Colloquio d’orientamento, Ed.NIS, Firenze, 1996

Page 31: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

professionale. Si offre pertanto un orientamento per un periodo concordato

solitamente volto a verificare e sostenere scelte già fatte, ma che richiedono

opportuni passi per una loro concretizzazione.

B1) I percorsi di sviluppo delle potenzialità individuali (empowerment) 29

Sono percorsi di durata variabile incentrati sull’accompagnamento e sostegno

educativo. Sono articolati per fasi dove l’attenzione è rivolta a sostenere processi

di maturazione individuale e di miglioramento delle abilità relazionali. Ne

beneficiano persone che hanno la necessità di affinare caratteristiche e

competenze funzionali all’occupabilità, per poi presentarsi attivamente nel mercato

del lavoro in autonomia, o inizialmente supportati dagli operatori del progetto.

I percorsi riguardano persone in situazione di fragilità, ma dotati di risorse che

permettono una ri – elaborazione dell’esperienze di vita tali da garantire ricadute positive

nell’area lavoro. Questi percorsi spesso si accompagnano ad esperienze di formazione

personalizzate.30 L’attenzione nell’intervento è rivolta alla valutazione delle competenze

lavorative e all’individuazione di possibili percorsi positivi caratterizzati da scelte formative

o lavorative sentite come proprie.

C1) Percorsi di supporto all’accesso al mercato del lavoro (placement)

Le persone con carenze consolidate hanno bisogno di tempi più lunghi per

beneficiare degli interventi educativi, delle pratiche di valutazione e d’indirizzo alle

competenze lavorative. Da tali soggetti emergono richieste che esprimono una domanda

di lavoro non sempre chiara31. L’intervento pertanto si propone di sostenere le motivazioni

a perseguire obiettivi lavorativi alla reale portata della persona e, contemporaneamente,

favorire lo sviluppo delle capacità atte a fronteggiare condizioni di criticità con ricadute

sull’autostima, sull’intraprendenza personale e su quanto necessario a creare condizioni di

vita dignitose. Come già accennato si rivela importante inserire la persona in contesti

lavorativi parzialmente tutelati, non competitivi, dove vi sia una componente di socialità

che possa soddisfare il bisogno di accoglienza e di rassicurazione sulle loro capacità,

29 Cfr. C. Ancona e D. Boerchi, Il bilancio di competenze. All’interno del testo di C. Castelli, L. Venini (a cura di), Psicologia dell’orientamento scolastico e professionale. Teorie, modelli e strumenti, Ed. Franco Angeli, Milano, 2002.

30 Cfr. capitolo n° 4 nella sezione in cui si parla dell’esperienza formativa del laboratorio e dello stage formativo, o quella direttamente del tirocinio lavoro.

31 Cfr. N. Ranie e L. Venini, L’orientamento come counseling”, Op. citata.

Page 32: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

nonché aumentare il numero di relazioni sociali. Tutto questo si concretizza attraverso

l’inserimento lavorativo della persona all’interno di una cooperativa sociale,

prevedendo nel lungo periodo (1 – 2 anni), la fuoriuscita del soggetto e

l’inserimento lavorativo presso altri contesti aziendali, a fronte di un’avvenuta ri

-acquisizione delle competenze professionali e trasversali. 32

D1) Progettualità d’integrazione socialeSono percorsi finalizzati a strutturare opportunità di miglioramento della

qualità della vita per adulti in gravi difficoltà. I percorsi d’accesso al lavoro sono

valutati a scadenza molto lunga ed il principale obiettivo consiste nell’inserire in un

contesto relazionale, mediato dall’esecuzione di un compito identificato, persone

fortemente deprivate sul versante delle relazioni umane e della capacità adattativa

al lavoro33. In questo modo si promuove la rigenerazione del capitale di fiducia e la

riattivazione di processi di contrattualità con il servizio sociale.

Questo tipo di progettualità infatti sostanzia il superamento della semplice

erogazione di contributi economici a favore d’interventi finalizzati al miglioramento

della qualità della vita, mirando a ridefinire processi ed abitudini di comportamento

e rinforzando la rete sociale di riferimento.

L’intervento si concretizza nell’offerta di luoghi particolarmente accoglienti che

permettono situazioni di sperimentazione. In questi contesti le persone possano

vivere l’accoglienza positiva delle proprie capacità misurandosi con compiti definiti.

Lo sviluppo dell’autostima e l’interiorizzazione delle regole funzionali al lavoro

si possano generare in presenza di un sostegno costante. Il percorso tipo per

questa tipologia d’utenza da individuare, progettare e sostenere nella fase

d’orientamento lavorativo, potrebbe essere il seguente:

- Inserimento in un laboratorio formativo34(3 mesi);

- Inserimento in stage formativo all’interno di una cooperativa sociale di

produzione e lavoro, di tipo B35 (3 mesi);

- Assunzione all’interno della cooperativa sociale seguendo un percorso

32 Cfr. capitolo n° 3 e 5 della presente tesi dove è affrontato in modo più specifico il percorso lavorativo della persona svantaggiata all’interno delle cooperative sociali di produzione e lavoro.

33 Cfr. C. Calkins, H. Walzer, L’adattamento all’ambiente di lavoro nei soggetti deboli –interventi psicoeducativi di supporto, Ediz. Erickson, 1996

34 Cfr capitolo n° 4 per quanto riguarda la metodologia d’intervento e le figure professionali previste.

35 Cfr capitolo n° 3 per quanto riguarda la metodologia d’intervento e le figure professionali previste.

Page 33: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

individuale d’inserimento lavorativo (1,5 – 2 anni);36

- Fuoriuscita dalla cooperativa ed inserimento in un’azienda esterna,

prevedendo un periodo iniziale di stage (1 – 2 mesi), con un

accompagnamento del tutor (operatore sociale) e di un tutor aziendale.

- Assunzione all’interno dell’azienda esterna.

II.2 Fondamenti e prospettive del progetto individuale

d’inserimento lavorativo

L’inserimento lavorativo è finalizzato ad un progetto di crescita globale della

persona. Il lavoro dunque può rappresentare uno strumento efficace soltanto se è

vissuto come un valore positivo. L’attività lavorativa e l’interazione con l’ambiente

di lavoro permettono di creare nuove relazioni umane, di misurarsi con il mondo

della produzione, con le sue contraddizioni, ma anche con la possibilità di una

crescita nel campo economico e sociale e, attraverso questo, come ricordato nel

primo paragrafo, acquisire la statura di cittadino di pari dignità con diritti e doveri.

Pertanto, nel percorso di formazione, acquistano particolare importanza il

desiderio di apprendere, l’impegno, l’assiduità, la precisione e la partecipazione

attiva. La crescita in questa direzione è ciò che rende concretamente verificabile il

significato dell’inserimento lavorativo.

Il progetto d’inserimento richiede, infatti, un’adesione convinta, che non si

limiti alla mera esecuzione dei compiti, ma stimoli una crescita personale. La

valutazione del tutor sull’andamento del percorso di reinserimento sarà fatta

tenendo conto di questi criteri.

Il significato dell’inserimento lavorativo di persone svantaggiate non può

prescindere da obiettivi fondamentali come quelli dell’autonomia e uguaglianza

delle opportunità. Amartya Sen37, nel suo libro “La disuguaglianza”, scrive: ”La

libertà è uno dei possibili campi d’applicazione dell’eguaglianza, e l’eguaglianza è

36 Cfr. il modello d’inserimento lavorativo illustrato nel capitolo n° 5 della presente tesi.37 Amartya Sen, premio Nobel per l´economia nel 1998, è uno dei più originali e influenti pensatori contemporanei.

Benché egli abbia lasciato l´India nel 1971 per insegnare nelle più prestigiose università del mondo, dalla London School of Economics a Harvard, non ha mai smesso di interessarsi ai destini del suo paese: ne ha sempre mantenuto la cittadinanza esclusiva, e ne ha studiato a fondo le problematiche economiche e sociali. Amartya Sen è stato l'ideatore della Grameen Bank, nata in Bangladesh per finanziare i piu` poveri. Quasi paradossale considerando che le banche, di norma, finanziano solo chi ha già dei beni per assicurarsi la restituzione del prestito.

Page 34: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

una delle possibili configurazioni della distribuzione della libertà”. C’è libertà dove

c’è autonomia e ripristino delle capacità del soggetto nel gestire la propria

esistenza come progetto di vita. Il ragionamento di Sen è calzante per chi si

occupa d’inserimento al lavoro di persone svantaggiate, di persone con handicap,

di tossicodipendenti, detenuti ed ex detenuti, minori a rischio d’esclusione, ma

anche donne disoccupate di lungo periodo, donne sole con figli a carico senza

un’occupazione, donne che escono dal circuito dello sfruttamento della

prostituzione e persone migranti. E’ quando viene meno “l’insieme delle capacità”

ed il loro “funzionamento”, per usare un’espressione di Sen, che si creano le

situazioni d’esclusione.

L’economista indiano scrive anche che “ l’eguaglianza delle libertà è garantita

da un diritto diseguale, che recepisce le diversità per favorire il ripristino del

funzionamento delle capacità e la soddisfazione dei bisogni ”. Le acquisizioni, in

termini di conoscenze e competenze di una persona sono quindi il vettore dei suoi

funzionamenti e lo strumento per riattivare la capacità d’essere e di fare. Sono le

reali opportunità, come quelle lavorative, che producono la capacità di decidere e

di scegliere.

Sen ricorda che “l’uguaglianza delle opportunità” deve tener conto di diverse

“variabili focali” per lottare contro le disuguaglianze, le discriminazioni e

l’esclusione, come la sostanziale eterogeneità degli esseri umani e dei loro

percorsi; la varietà dei contesti relazionali di vita; le condizioni socio – culturali. I

processi d’acquisizione di competenze relazionali e sociali (capacità comunicative,

capacità di valutare, di decidere, di scegliere), dipende quindi dall’opportunità di

acquisire queste abilità.

I progetti d’inserimento lavorativo devono tener conto di queste “variabili

focali”, per ripristinare “l’insieme delle capacità” della persona e per garantire una

possibile integrazione socio- lavorativa. Il ruolo dell’accompagnatore sta quindi nel

creare tra i diversi passaggi, le varie tappe, i vari attori e i vari contesti, le

connessioni utili alla creazione di uno “sfondo integratore”.

L’accompagnatore è un tessitore di connessioni tra il soggetto, il suo contesto

di vita, la rete dei servizi del territorio e l’azienda. Garantisce continuità e un

supporto costante all’utente nelle varie tappe del suo percorso. Questa figura è

quindi un’interfaccia tra sistema dei servizi, contesto lavorativo e soggetto. Nel

rapporto con l’utente deve creare delle congruenze situazionali, cioè un

abbinamento riuscito tra le caratteristiche dell’utente (potenzialità, deficit,

Page 35: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

situazioni di vita) e quelle del contesto lavorativo.

L’attività dell’accompagnatore produce relazione d’aiuto nei processi

d’inserimento lavorativo di persone in difficoltà; in questo senso si tratta quindi di

un operatore della mediazione. Le mediazioni sono l’insieme di strumenti e

tecniche, che usa l’operatore per facilitare l’integrazione socio – lavorativa della

persona svantaggiata38.

Il modello del progetto individuale d’inserimento lavorativo, rivolto ad utenza

svantaggiata, rielabora alcuni aspetti delle pratiche dell’apprendistato artigianale:

come ragionare e fissare gli scopi dell’attività, verificarla e rettificarla di continuo,

anche attraverso la valutazione finale del prodotto, senza per questo distogliere

completamente lo sguardo da ciò che accade all’esterno, proprio come il vecchio

artigiano, che stava con un occhio in bottega e l’altro in strada. Il maestro forniva il

modello, sosteneva, dava strumenti, ambienti, seguiva “passo dopo passo” l’allievo

nel processo di lavorazione fino a renderlo indipendente. In generale l’obiettivo era

d’acquisire competenze e qualità che si dovevano estrinsecare in un “capolavoro”

finale, che doveva rivelare le virtù dell’allievo. Si apprendeva pertanto “in

situazione”, insieme al maestro e agli altri allievi, condividendo le competenze e

divenendo così esperti attraverso “scambi virtuosi”.

Prendendo spunto da quest’impostazione, anche Il progetto individuale

d’inserimento lavorativo rivolto ad utenza svantaggiata, definisce i processi,

basandosi su quattro aspetti particolari dell’apprendistato artigianale 39:

➢ Il modelling (fornire il modello): si mostrano i processi. Il maestro (nel

nostro caso, come vedremo nei capitoli seguenti, il tutor aziendale o il

docente per l’attività d’aula – laboratorio) dimostra all’allievo come fare;

➢ Il coaching (accompagnamento): si dirige, si fornisce assistenza, si

agevola il lavoro;

➢ Lo scaffolding (fornire impalcature): si forniscono dei supporti durante

lo svolgimento di compiti, incoraggiamenti, spiegazioni, chiarimenti;

➢ Il falding (dissolvenza): lenta rimozione del supporto, in cui si

assegnano compiti di sempre maggiore complessità e responsabilità,

sfumando e rimovendo gradatamente le azioni di supporto.

38 Cfr., Mappatura degli accompagnatori – Sintesi della rilevazione,Progetto Equal, Bologna, 200239 Cfr. M. Pascucci, G. Stacciali, Itinerari nell’educazione, Carocci, Roma, 2001

Page 36: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

Il tutor in queste fasi è colui che allestisce gli ambienti formativi, fornisce

l’impalcatura (scaffolding) per le attività, svolge il ruolo di stimolo, di facilitatore, di

guida, di sostegno, di supporto ed accompagnamento nelle strategie cognitive,

affettive e sociali. Per svolgere queste funzioni sono di particolare importanza la

conoscenza e l’acquisizione di particolari strumenti di mediazione pedagogica,

quali i contratti di cambiamento e l’utilizzo di tecniche di comunicazione.

II.3 L’utilizzo dell’Analisi Transazionale nella stipulazione dei contratti di cambiamento.

All’interno di tutti i progetti individuali d’inserimento lavorativo, l’operatore

sociale, insieme al soggetto svantaggiato, individuerà il raggiungimento graduale

d’alcuni obiettivi, riguardanti l’acquisizione di competenze professionali, ma anche

di tipo trasversale già accennati (esempio: sviluppare le capacità relazionali, saper

osservare gli orari di lavoro, riuscire ad avere una presenza costante e

continuativa, saper sostenere complessivamente la dimensione lavorativa).

Particolari tecniche, riprese dall’Analisi Transazionale, possono facilitare

l’operatore ed il soggetto cui è rivolto l’intervento a raggiungere tali obiettivi.

L’Analisi Transazionale è di solito considerata una delle nuove psicoterapie, ma

diversi studi e la mia modestissima esperienza “sul campo”, dimostrano che essa

può essere trasferita ed applicata in ambito sociale e nell’azione di tutoraggio,

relativo all’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati. Al fine di poter

comprendere meglio e poter dimostrare quanto appena esposto, si rende

necessaria una presentazione sintetica dell’impianto teorico dell’Analisi

Transazionale.

L’Analisi Transazionale, di seguito abbreviata con le lettere A.T., fu

originariamente elaborata da Eric Berne (1910 – 1970), psichiatra americano di

formazione freudiana. Le sue idee teoriche derivano dall’osservazione clinica dei

pazienti, mentre la sua filosofia scaturiva dalla critica che muoveva a gran parte

della pratica psicoanalitica tradizionale. Era contrario ad un modello terapeutico

paternalistico o medicalizzato, in cui gli operatori si assumevano responsabilità di

analizzare i problemi dei clienti e di decidere le varie soluzioni, mentre i clienti

Page 37: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

rimanevano passivi e scarsamente coinvolti nell’elaborazione delle loro difficoltà.

Al contrario, egli sosteneva che le persone potessero e dovessero avere una parte

attiva nel processo, assumersi delle responsabilità, comprendere i propri problemi

e sforzarsi di trovare delle soluzioni adeguate. Berne partiva dalla convinzione che

suo primo dovere fosse quello di aiutare le persone a stare meglio, piuttosto che

concentrarsi sulle origini del problema. Ciò significava abbandonare un modello in

cui il cambiamento avveniva dopo un’esplorazione, un’analisi, e l’acquisizione

d’insight40, per passare a un modello il cui obiettivo principale era giungere

rapidamente ad un reale cambiamento nelle emozioni e nel comportamento. Il

grande merito di Berne è stato quello di aver elaborato un sistema di psicologia

altamente semplificato, ma non per questo superficiale, che può essere insegnato

a tutti, adolescenti compresi. La sua linea psicologica prende il nome di “Analisi

Transazionale” per il fatto che si interessa dei meccanismi con cui gli individui

interagiscono tra loro; meccanismi da lui definiti “transazioni”. Per transazione,

pertanto, s’indica qualsiasi scambio che avviene tra due o più persone: un dialogo

è una serie di transazioni, così come lo può essere uno scambio di gesti d’affetto 41.

All’interno di questa disciplina s’inseriscono quelli che Berne definisce i

contratti di cambiamento, e che possono costituire come cercherò d’illustrare, degli

strumenti importanti nel rapporto educativo – rieducativo tra l’operatore sociale ed

il soggetto svantaggiato nel processo d’inserimento lavorativo. Berne definisce un

contratto come “un esplicito impegno bilaterale per un ben definito corso

d’azione42”. Nei contratti è specificato:

- Chi sono entrambi le parti

- Che cosa faranno insieme

- Quanto tempo ci vorrà

- Quale sarà l’obiettivo o l’esito di questo processo

- come faranno a sapere quando l’avranno raggiunto

- come questo sarà vantaggioso per il soggetto

I contratti si basano sul consenso reciproco. Questo significa che entrambe le 40 Insight (intuizione): termine inglese che significa letteralmente “vedere dentro” ed è (non perfettamente) tradotto

con intuizione o illuminazione. Indica quel fenomeno per cui un qualsivoglia contenuto della mente (una sensazione, un ricordo, la risoluzione di un problema) appare come un’idea improvvisa e inaspettata (non come la conseguenza di un pensiero logico o discorsivo) ed è vissuto dal soggetto come un’esperienza indipendente dalla volontà cosciente.

41 Cfr. E. Pitman, L’analisi transazionale per l’operatore sociale, Astrolabio, Roma, 1985

42 I. Stewart, V. Joines, L’Analisi Transazionale – guida alla psicologia dei rapporti uman, pag. 331- Ed. Garzanti, Milano,1998.

Page 38: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

parti devono essere d’accordo con quanto è sancito nel contratto. Il tutor non

impone al soggetto svantaggiato degli obiettivi da raggiungere, né quest’ultimo li

impone al tutor. Invece al contratto si giunge attraverso la trattativa tra le due parti.

Le due parti stabiliscono insieme i compiti da svolgere al fine di raggiungere gli

obiettivi, concordano i tempi per fare una verifica, prevedono insieme una penalità

se quanto stabilito non è rispettato. (Esempio. Tutor: <<In questo mese non devi

fare ritardo al lavaro>>. Risposta: << Di sicuro non ce la farò sempre>>. Tutor:

<<Allora concordiamo, come consentito, solamente una giornata, ma non oltre>>.

In questo caso anche il soggetto svantaggiato ha concorso nello stabilire la

condizione).

Il soggetto deve essere in grado di capire il contratto e avere le risorse fisiche

e mentali per portarlo a termine. Questo indica che, per esempio, una persona con

una grave lesione cerebrale potrebbe non essere in grado di stipulare in modo

competente un contratto di cambiamento. Né un contratto valido può essere

stipulato da chi sia sotto l’immediata influenza dell’alcol o di sostanze stupefacenti

che alterano la mente. Questo chiaramente non significa che un contratto non

possa essere definito con soggetti alcoldipendenti o tossicodipendenti, come

invece sto cercando di dimostrare.

Un altro aspetto da tener presente è che uno degli scopi della stipulazione dei

contratti, tra il tutor e l’utente, è di deviare l’attenzione dal problema ed incentrarla

sull’obiettivo del cambiamento . Al contrario, se entrambi le parti hanno

indirizzato prevalentemente la loro azione al problema, avranno dovuto costruirsi

un’immagine mentale del problema stesso. Senza volerlo avranno effettuato una

visualizzazione negativa dirigendo le loro risorse all’esame del problema più che

alla sua risoluzione. C’è un altro vantaggio ancora nello stabilire un obiettivo di

contratto chiaramente enunciato. Esso dà ad entrambe le parti un modo di sapere

quando il loro lavoro insieme è effettuato. Permette anche di valutare il progresso

che stanno facendo lungo il cammino, evitando le situazioni in cui il processo

d’inserimento potrebbe trascinarsi interminabilmente.

Un obiettivo di contratto deve essere enunciato in termini positivi. I contratti

che individuano degli obiettivi negativi, esempio smettere di fare qualcosa, non

funzionano mai nel lungo termine.

Questo è in parte dovuto al modo in cui l’obiettivo di contratto funziona come

visualizzazione. Non si può visualizzare di non fare o immaginare qualcosa

(esempio visualizzare “non un elefante rosso”). Quando si cerca di farlo,

Page 39: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

automaticamente si crea un’immagine mentale di qualsiasi cosa segua al “non”, o

di qualsiasi altra cosa negativa. (Esempio: se il problema consiste nel non essere

puntuali al lavoro, un contratto di cambiamento da stipulare potrà essere

rappresentato dal raggiungimento del seguente obiettivo: svegliarsi alle ore 7:00

ed arrivare sul luogo di lavoro alle ore 8:00; anziché stipulare un accordo generico

e di negazione del tipo: non arrivare più in ritardo). Proseguendo con un altro

esempio: se una persona stipula un contratto per smettere di bere, non può

affrontare il contratto senza visualizzare continuamente l’attività problematica che

il prefiggersi di smettere comporta. Per arrivare ad un contratto efficace si deve

allora specificare la cosa positiva con una chiara direttiva d’azione, una nuova

opzione di sopravvivenza e d’esaudimento dei bisogni che sia altrettanto valida

della vecchia opzione. Inoltre l’obiettivo deve essere specifico e osservabile.

Le persone esterne devono essere in grado di riconoscere se è stato

raggiunto l’obiettivo. Spesso i soggetti del contratto partano con obiettivi generici

del tipo “Voglio migliorare la mia situazione”. Stipulare un contratto come questo

significherebbe mettersi in un lavoro indefinito, dato che l’obiettivo enunciato non è

abbastanza specifico perché permetta a qualcuno di sapere se è stato raggiunto.

Occorre quindi da questo desiderio generico espresso dall’utente scendere nel

particolare, “affondare dei paletti” ben visibili nella pratica del quotidiano.

II.4 Tecniche di comunicazione

La comunicazione all’interno del processo d’aiuto rappresenta uno degli

elementi centrali. E’ attraverso la comunicazione verbale e non verbale, che il tutor

stabilisce con il soggetto un rapporto che tende ad orientare, sostenere ed

accompagnare l’utente durante l’intero percorso lavorativo. Per questo è

importante andare ad esaminare in modo più approfondito le dinamiche che

agiscono durante il processo comunicativo e individuare alcune tecniche che

possono rendere più agevole la trasmissione dei messaggi 43.

La nostra fantasia e le nostre idee influiscono a tal punto che ciò che avviene

43 Cfr. R. Carli, Il colloquio in una prospettiva psicosociale in G. Trentini (a cura di), Manuale del colloquio e dell’intervista, Ed. Mondatori, Milano, 1995.

Page 40: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

all’altro può assumere improvvisamente un senso diverso. Inoltre i sentimenti

immediati, da noi provati nei confronti dell’interlocutore, incidono sul modo in cui lo

ascoltiamo.

Requisito fondamentale per un ascolto attivo44, in una relazione di tutoraggio

con soggetti svantaggiati, è la capacità del tutor di neutralizzare tutti i

condizionamenti che provengono dalla sua persona in modo da penetrare nei

significati, nelle emozioni e nei problemi così come sono provati dai soggetti

stessi. Cioè si deve decentrare da se stesso e penetrare nell’universo dell’altro per

comprenderlo umanamente. Questo deve però avvenire mantenendo tutta la

lucidità necessaria, senza farsi trascinare emotivamente da colui che parla

perdendo l’obiettività. L’ascolto deve avvenire in modo empatico. “ Si chiama

empatia l’atto con il quale un soggetto esce da se stesso per comprendere

qualcun altro senza, tuttavia, provare realmente le medesime emozioni dell’altro.

Si tratta perciò di una simpatia fredda, ossia capace di penetrare nell’universo

soggettivo dell’altro, pur mantenendo il proprio sangue freddo e la possibilità

d’essere obiettivo45”.

Il tutor, proprio per la responsabilità che si assume e per il ruolo che occupa in

senso più ampio all’interno del processo d’aiuto, deve:

Non giudicare la persona che sta parlando, né con le parole, né con il pensiero. Se si vuole ascoltare veramente l’altro si deve sospendere ogni

considerazione dentro di noi, si deve sentire ed assorbire il suo messaggio senza

esprimere nessun giudizio, negativo o positivo che sia.

Non dare consigli personali. Non si deve assolutamente dire: <<Secondo

me bisogna fare così>>; << Io dico che la cosa deve essere fatta in questo

modo>>.

Non interpretare. Non bisogna attribuire alle parole, ai sentimenti, alle

emozioni e ai problemi dell’interlocutore il significato che non hanno.

Non assumersi la responsabilità del problema presentato dalla persona. Si deve sempre ricordare che le emozioni, i sentimenti e i problemi appartengono

all’altro. Si deve pertanto assumere nei suoi confronti, come enunciato in

44 L’ascolto attivo è una tecnica di comunicazione usata nella Peer counseling (Consulenza alla Pari), che nacque negli Stati Uniti d’America a metà degli anni sessanta, quando all’Università di Berkeley un gruppo di studenti disabili, decisero di incontrarsi regolarmente e di dedicarsi del tempo l’un l’altro, per discutere e confrontarsi sui problemi, di ordine pratico e sociale, che ogni giorno si trovavano ad affrontare. In questi gruppi si offrivano sostegno emozionale reciproco e sperimentarono attraverso un processo interiore di crescita in gruppo, la forza di contribuire a cambiare le condizioni di vita delle persone disabili. Un’esperienza ormai radicata ed a tutti nota nel mondo è quella degli Alcolisti Anonimi.

45 R.Mucchielli, Apprendere il counseling, Erickson, Trento, 1996

Page 41: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

precedenza, un atteggiamento di tipo empatico46.

Tutto questo non è di facile attuazione anche per la valenza che l’ascolto ha

assunto nella società attuale, pertanto occorre all’operatore rieducarsi e

disciplinarsi verso tale attività e acquisire alcune capacità indispensabili, quali:

a) Prestare attenzione; b) Utilizzare domande; c) Parafrasare d) Riassumere .

Prestare attenzione vuol dire che il tutor deve ascoltare con molta attenzione

ciò che la persona dice. L’attenzione è dimostrata attraverso il linguaggio del

corpo, cioè attraverso il linguaggio non verbale. Bisogna stare molto attenti alla

posizione che si assume con il corpo, all’espressione del viso e al contatto con gli

occhi.

Per quanto riguarda la posizione del corpo il “consulente” (tutor/operatore

sociale), deve mantenere la giusta distanza dal “consultante” (persona

svantaggiata), in modo tale da farlo sentire a proprio agio, rilassato. Quindi non

deve stare né troppo vicino da essere intrusivo, togliendo spazio, né troppo

lontano da sembrare disinteressato. Bisogna stare molto attenti alle posture che si

assumono, perché attraverso di esse comunichiamo all’altro quanto si è disponibili

nei suoi confronti. Il più delle volte i pensieri, le emozioni e le sensazioni sono

riflessi, traspaiono nella postura che è assunta dalla persona. Una delle posizioni

da assumere per dare attenzione all’altro è mettersi l’uno di fronte all’altro, faccia a

faccia. Se si è seduti bisogna inclinare leggermente il corpo in avanti verso l’altro.

In relazione all’espressione del viso, il consulente, nella figura del tutor, deve

mantenere un’espressione naturale in modo che le emozioni e gli stati d’animo del

consultante, nella figura della persona svantaggiata, si riflettano sul suo viso.

Inoltre il consultante deve avere un buon contatto con gli occhi; attraverso gli

occhi gli deve dire: <<Sono con te, non sei solo, lavorando insieme ti ritroverai>>.

“Contatto oculare” vuol dire non fissare la persona che ci sta davanti, ma

guardarla. In altre parole non è sufficiente che il consulente assuma le posture

46 Alla base della filosofia della Consulenza alla Pari c’è l’idea che le persone sono capaci di trovare dentro di sé le soluzioni ai propri problemi e alle proprie difficoltà e sono in grado di raggiungere da sole i loro traguardi. Il consulente non ha il compito di risolvere i problemi dell’altro, ma aiutare il consultante ad attivare le proprie capacità di conoscere e sperimentare, a ricercare dentro di sé la propria creatività, a divenire consapevole delle proprie emozioni, dei propri desideri e dei propri bisogni. In sostanza il consulente deve svolgere un lavoro di promozione delle capacità (empowerment) del consultante.

Page 42: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

giuste, ma deve usare tutto se stesso per comunicargli la propria attenzione.

E’ chiaro che il prestare attenzione implica anche un contatto fisico più

esplicito come l’abbraccio. Abbracciare, in alcuni casi e con alcune persone, è la

cosa più giusta da fare, ma in altri è meglio evitarlo perché può mettere in difficoltà

il consultante. E’ il consulente, in queste situazioni, che deve valutare e

comportarsi di conseguenza.

Un altro modo per dimostrare che si sta ascoltando l’altro è quello di

“annuire”, dire: << Si, vai avanti>>. Inoltre è molto importante non interrompere il

consultante mentre sta parlando, in modo da permettergli di determinare il corso

della conversazione.

L’utilizzo delle domande è di fondamentale importanza per il lavoro del tutor,

perché gli permette di ottenere informazioni e d’incoraggiare il soggetto a dire di

più su un determinato problema. Le domande possono essere di due tipi: aperte e

chiuse.

Le domande aperte, quali <<raccontami quali sono i sentimenti che provi>>,

servono per approfondire, per aiutare l’altro ad esplorare a fondo un problema, le

proprie idee, i propri sentimenti, le proprie emozioni, per incoraggiarlo a parlare e

possono sciogliere una situazione bloccata, nonché guidare la conversazione

verso un punto più personale, intimo. Naturalmente le domande aperte possono

essere pericolose, perché si può arrivare a concedere troppe libertà al consultante

facendolo andare a “ruota libera”, lasciando che si perda in chiacchiere inutili.

Le domande chiuse servono per avere maggiori informazioni, per

puntualizzare, per specificare meglio quando una cosa non è chiara, per limitare le

chiacchiere indiscriminate, possono colmare ansie e paure e aiutare ad analizzare

la veridicità delle informazioni. Naturalmente anche le domande chiuse hanno dei

lati negativi, inducendo talvolta a soffocare il dialogo, provocando risposte del tipo

<<si – no>> e favorendo il crearsi di un clima impersonale.

Non bisogna assolutamente utilizzare le domande per riempire il silenzio. Non

si deve assolutamente farsi prendere dalla fobia del silenzio, ma bisogna

ascoltarlo, perché anche se c’è un silenzio vuoto, vi è anche quello pieno che

esprime comunicazione, riflessione, e non è da considerarsi un problema da

eliminare riempiendolo con domande.

Page 43: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

Parafrasare significa ripetere in modo conciso, utilizzando parole diverse, ciò

che precedentemente il consultante ha detto.

Per non turbare il colloquio è opportuno iniziare la parafrasi con espressioni

quali: <<Vediamo se ho capito bene; hai detto così; è giusto ciò che ho capito?>>.

E’ importante che la parafrasi sia breve, comunque più breve della frase detta dal

consultante, e bisogna assolutamente evitare di concluderla con esclamazioni del

tipo: <<non è vero?>> oppure <<si o no?>>.

Questa tecnica serve:

a) A dimostrare che si sta ascoltando l’altro e che lo si sta comprendendo;

b) Al consulente per verificare se ha capito bene quello che è stato detto

dal consultante;

c) Da specchio al consultante. Infatti parafrasando si riflette a quest’ultimo

ciò che è e ciò che ha detto, aiutandolo a chiarirsi su ciò che sta

provando e pensando, portandogli così nuove conoscenze e

prospettive;

d) Ad aiutare il consultante a prendere coscienza quando si trova in preda

alle emozioni.

E’ di fondamentale importanza, infine, riassumere ciò che è stato detto e ciò

che emotivamente si è sentito in un incontro. Con questa tecnica si coglie

l’essenza di ciò che il consultante ha detto, s’individuano le idee, i problemi e la

prospettiva di un percorso.

Questa tecnica, che lega insieme contenuti ed emozioni, è utilizzata

soprattutto alla fine dell’incontro e serve per dare un quadro preciso del problema,

identificando possibili contrasti e possibili decisioni che sono state prese.

Come con la parafrasi anche con il riassunto si rischia di interpretare o

falsificare ciò che il consultante ha detto, quindi è molto importante che il

consulente verifichi insieme a lui se quello che ha capito è giusto, oppure se ha

aggiunto o sottratto qualcosa a quello che è stato detto durante l’incontro. Pertanto

sarebbe opportuno sempre concludere con la domanda: << E’ giusto?>>.

Page 44: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

Capitolo III

METODOLOGIA DELL’INSERIMENTO

LAVORATIVO DI SOGGETTI SVANTAGGIATI

ALL’INTERNO DELLE COOPERATIVE SOCIALI

DI PRODUZIONE E LAVORO:

PRESENTAZIONE DI UN MODELLO

APPLICATIVO E RELATIVE PROBLEMATICHE.47

47 Il modello qui proposto delle cooperative sociali di produzione e lavoro (tipo b), come tutti i modelli, è da intendersi come una rappresentazione generale che non tiene in considerazione, né sarebbe stato possibile fare altrimenti, le specificità che ogni cooperativa possiede al proprio interno, sia a livello organizzativo, che di gestione dell’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati (art. 4 legge 381/91).

Page 45: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

III.1 La cooperativa come organizzazione complessa

dell’integrazione lavorativa di soggetti deboli.

La cooperazione sociale di produzione e lavoro, come illustrato anche nel primo

capitolo, rappresenta un’organizzazione finalizzata all’integrazione lavorativa di persone

con svantaggio. Essa va a collocarsi idealmente sull’asse che congiunge il mondo del

disagio a quello del lavoro: due realtà sempre meno distanti, anche se ancora fortemente

estranee l’una all’altra.

Fig. 1 – L’asse della mediazione48

Collocarsi su quest’asse con l’intenzione di sviluppare interventi e strategie di

mediazione, atte a favorire l’avvicinamento tra questi due poli opposti, significa

uscire da un’ottica di contrapposizione tendente ad accentuare i motivi

d’inconciliabilità tra queste due distinte realtà, e muoversi verso una visione

maggiormente partecipativa. In tal senso il modello cooperativo non viene ad

essere solo un mero fatto formale, ma si arricchisce d’implicazioni pedagogiche e

metodologiche forti e tali da mutare la relazione univoca e bipolare in una

relazione complessa, cioè reciproca e triangolare.49

48 Cfr. C. Lepri, E. Montobbio, Lavoro e fasce deboli-strategie e metodi per l’inserimento lavorativo di persone con difficoltà cliniche o sociali, FrancoAngeli, Milano, 1999.

49 Cfr. G. Mancini, G. Sabbattini (a cura di), Una metodologia per l’inserimento lavorativo delle persone ex tossicodipendenti, disabili e dei pazienti psichiatrici, Carocci, Roma, 1999.

SVANTAGGIO LAVORO

Page 46: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

Fig. 2 – Il sistema di mediazione della cooperativa sociale

L’organizzazione che intende operare all’interno di questo sistema assumerà al suo

interno professionalità, ruoli e funzioni, orientate all’agevolazione dell’accesso per le

persone svantaggiate al mondo del lavoro, tramite progetti personalizzati di formazione

professionale “in situazione”50, e sviluppando tutte le strategie alla propria portata per

promuovere la figura di questa tipologia di lavoratore all’interno della società e nel mercato

del lavoro, facilitandone in un certo senso la capacità d’accoglienza. Ecco, quindi, che il

lavoro svolto all’interno della cooperativa sociale non è solo una mera attività produttiva

finalizzata al sostentamento dei soci lavoratori (svantaggiati e non), ma il lavoro, in questa

particolare organizzazione, assume valori ulteriori di formazione professionale e

promozione sociale, tali da attuare in senso pieno e forte l’originaria missione affidata dal

legislatore alla cooperazione sociale.51

Il sistema di mediazione che la cooperativa sociale promuove verte sull’intenzione di

fare della cooperazione, intesa come modalità di relazione tra soggetti, il fluidificante per la

miglior riuscita dell’integrazione sociale e lavorativa. In questo senso, il modello di

relazioni che la cooperativa instaura con tutti i soggetti con cui opera, si dispongono in un

sistema reticolare di relazioni complesse di scambio, in cui chiunque secondo il proprio

ruolo deve aver chiaro di stare collaborando all’inserimento lavorativo di persone

svantaggiate52.

50

Cfr. Montobbio E.; Handicap &Lavoro. La formazione professionale e l’inserimento lavorativo degli handicappati. Parte I: riflessioni e proposte. Quaderno n°1 di “handicappati e società”. Edizioni del Cerro, Tirrennia (PI), 1981.

La formazione in situazione, rivolta a soggetti svantaggiati, rappresenta una metodologia di lavoro insita nel progetto individuale d’inserimento lavorativo. L'imparare lavorando in situazione di lavoro reale tenta di creare nelle persone inserite le condizioni per favorire la sperimentazione di una propria autonomia, nonché di una propria libertà consapevole. Tale concetto sarà comunque illustrato nel terzo paragrafo del presente capitolo.

51 Cfr. Art. 1 legge n° 381/91 – disciplina delle cooperative sociali.52

Cfr. Perrini F, Zanoni G., Inserimento lavorativo nelle cooperative sociali. Criteri, strumenti, fonti normative, Ed.

SVANTAGGIO LAVORO

COOPERAZIONE SOCIALE

Page 47: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

Il modello di rete di relazioni con l’esterno e l’intenzione di svolgere le proprie attività

su più livelli, oltre il mero piano dell’esecuzione del lavoro, impone la progettazione di

un’organizzazione che si strutturi secondo una chiara divisione degli ambiti d’intervento,

tenendo soprattutto a mantenere il più aperti possibile i contatti con altre organizzazioni,

enti o progetti, orientati allo stesso fine o in cui sia possibile portare il proprio peculiare

contributo53.

Per l’organizzazione e la gestione di quest’aspetti della vita della cooperativa è

necessario lo sviluppo d’aree gestionali dedicate alla regolazione dei rapporti e alle

funzioni principali necessarie allo svolgimento dell’intervento sociale, (formazione

professionale, accompagnamento al lavoro, attività di promozione). Nel pensare a

quest’ulteriore sviluppo dell’organizzazione cooperativa si sono individuati cinque ambiti

fondamentali concepiti come aree gestionali trasversali al funzionamento dei vari settori

produttivi:

1. Relazioni esterne

2. Supporto utenza

3. Sviluppo progetti

4. Ricerca commesse

5. Amministrazione economica

Volendo dare a questo modello organizzativo una forma grafica, otteniamo uno

schema diviso per aree di questo tipo54:

Franco Angeli, Milano, 2005.53 Cfr. Seed P., Analisi delle rete sociali; Folgheraiter F., Interventi di rete e comunità locali, Ed. Centro Studi

Erickson, Trento, 1996.54 Lo schema grafico prende spunto dalle riflessioni riportate dal testo di F. Bartolotti, Marco Batazzi (a cura di),

L’evoluzione della struttura dell’occupazione nel sistema cooperativo toscano, edito dalla Regione Toscana, 2003, nonché dallo schema grafico riportato dal progetto della cooperativa sociale denominata “La Bottega”di Torino, e ricavabili dal sito della cooperativa stessa

Page 48: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

Fig. 3 – Le cinque aree gestionali della cooperativa sociale

Com’è stato evidenziato nello schema, ricorrendo al pentagono centrale, l’azione

d’intervento sociale e riabilitativo che la cooperativa svolge è il risultato dell’interazione dei

cinque ambiti gestionali. Risulta chiaro, infatti, che il progetto di mediazione e integrazione

lavorativa potrà realizzarsi se, e solo se, la cooperativa riuscirà nello stesso tempo a

ricercare ed acquisire nuove commesse di lavoro, mantenere una buona amministrazione

economica – finanziaria della società, nonché sviluppare delle relazioni esterne e delle

capacità progettuali con Enti e altre realtà del privato sociale, che operano anch’essi sul

tema dell’inserimento al lavoro rivolto a soggetti appartenenti alle cosiddette fasce deboli.

Nell’intervento d’integrazione lavorativa è particolarmente importante adottare il

sistema della cooperazione come momento formativo, in cui coinvolgere anche le persone

con svantaggio, cercando di renderle il più possibile partecipi della sorte

dell’organizzazione stessa. Solo in questo modo la formazione “in situazione”, offerta alla

persona svantaggiata, va a sedimentarsi su quel sostrato forte d’adesione ad una causa,

d’appartenenza ad un’organizzazione lavorativa e di valorizzazione delle capacità di

ognuno, che caratterizzano lo sviluppo dell’integrazione stessa.

La principale valenza di carattere educativo di questa scelta sta nell’opporsi il più

possibile al rischio, sempre presente negli inserimenti lavorativi, che la persona una volta

raggiunto la stabilità del posto di lavoro lasci cadere le proprie aspettative, vivendo il

lavoro e la retribuzione ad esso correlata come un diritto acquisito, e mutando

gradualmente quest’atteggiamento in una sempre più marcata rivendicazione

d’assistenza, che spesso caratterizza il rapporto tra la persona con svantaggio e qualsiasi

Relazioni esterne

Ricerca commesse

Sviluppoprogetti

Amministrazione

Supporto utenza

Page 49: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

organizzazione.

In riferimento al tipo di strutturazione organizzativa esistono due concezioni differenti

sulla cooperazione sociale: una che vede questa come luogo finale di collocamento dei

soggetti svantaggiati, un’altra che invece interpreta l’ambiente cooperativa come luogo di

transito verso altre soluzioni occupazionali55, andando a costituirsi come una sorta di

“azienda ponte”.

Quest’ultima impostazione prevede un percorso lavorativo nel quale il soggetto

inserito in cooperativa, dopo un congruo periodo di permanenza in quest’ambiente, maturi

delle competenze di tipo professionale e trasversali, atte a permettergli di trovare un’altra

ricollocazione lavorativa all’interno del normale mercato di lavoro.

In entrambe le concezioni l’approccio culturale al problema dell’integrazione

lavorativa, ruota intorno alla visione della dimensione del lavoro, svincolato dalla visione

solo produttivistica ed individuale, ma inteso invece come ambiente che favorisce lo

sviluppo relazionale, in cui è importante far prevalere il gioco di squadra e la

partecipazione di tutti i suoi componenti.

III.2 L’ambiente della cooperativa come luogo di mediazione.

Fin qui abbiamo descritto gli aspetti organizzativi e di strutturazione delle funzioni

vitali della cooperativa, non perdendo l’occasione d’individuare anche quelli impliciti,

spesso non detti, relativi alla portata pedagogica e formativa d’alcune scelte

organizzative.56

Abbiamo visto in precedenza come la mediazione implichi la strutturazione di

relazioni triangolari tra le due parti e la figura del mediatore stesso.57 La stessa

strutturazione, tipica di qualsiasi fase del processo d’integrazione lavorativa, caratterizza il

modello operativo di lavoro in cooperativa.

55 Cfr, Perrini F, Zanoni G., Op. citata.56

Cfr. Bocca G., Pedagogia e Lavoro tra educazione permanente e professionalità, Ed. Franco Angeli, Milano, 1992.57 Cfr. Fig.2. Il sistema di mediazione della cooperativa sociale

Page 50: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

Fig. 4 – La mediazione per il lavoro in cooperativa58

Se il ruolo del lavoratore svantaggiato appare il più chiaro, è opportuno

illustrare con maggiore accuratezza la funzione delle altre due figure coinvolte

nello schema triangolare di mediazione59:

- Il tutor aziendale: è un tecnico specializzato nello sviluppo delle attività lavorative

proprie di uno o più settori produttivi della cooperativa ed è colui che svolge il ruolo

di formatore tecnico del lavoratore svantaggiato. Collabora con il tutor (mediatore),

al fine di garantire il buon esito del percorso lavorativo del soggetto inserito.

- Il tutor (mediatore). E’ una delle principali espressioni dell’area

dell’accompagnamento dell’utente all’interno della cooperativa. Ha il compito di

agevolare e stimolare l’inserimento in cooperativa dell’utenza, nonché di progettare

assieme al tutor aziendale il percorso formativo allargandone la portata oltre il mero

svolgimento tecnico della mansione. Egli si fa carico di tutti quei problemi legati

all’avviamento al lavoro della persona svantaggiata e durante la permanenza in

cooperativa.

Appare immediatamente chiaro che uno schema del genere, sia pur affrontando i

principali aspetti dell’inserimento lavorativo, rimanga comunque aperto ad altre tipologie

d’intervento e vada ad integrarsi con l’insieme delle aree gestionali60, aprendo così nuove

opportunità di sviluppo dei singoli progetti personali. In questo senso la cooperativa

58 Lo schema prende spunto dal testo di C. Lepri, E. Montobbio, Op. citata

59 Cfr. Alessandrini G., Manuale per l’esperto nei processi formativi, Carocci, Roma, 2000; Bruscaglioni M., La gestione dei processi nella formazione degli adulti, Franco Angeli Editore, 1997.

60 Cfr. Fig.3 Le cinque aree gestionali della cooperativa.

LAVORATORESVANTAGGIO

TUTOR AZIENDALE

TUTOR (MEDIATORE)

Page 51: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

diviene luogo privilegiato in cui sperimentare e sviluppare una progettualità imprenditoriale

e formativa orientata alla creazione di nuove situazioni lavorative, nuovi percorsi di

formazione ed integrazione lavorativa, sia all’interno delle strutture stesse della

cooperativa, che nel mondo del lavoro e delle imprese in generale.

Ancorare la progettualità individuale allo sviluppo delle attività imprenditoriali della

cooperativa, significa tenere il problema dell’integrazione lavorativa all’interno del mondo

del lavoro, ricercando in questo soluzioni e risposte che altri servizi, orientati

maggiormente all’assistenza alla persona, stentano a trovare.

La cooperativa, metà azienda e metà sede di formazione, si propone di operare

all’interno del mercato del lavoro delle aziende, dimostrando con i fatti che l’integrazione

lavorativa di persone con svantaggio non solo è possibile, ma è foriera di valori aggiunti

per l’organizzazione, il lavoro in sé e la clientela. A questo scopo per rendere

perfettamente interfacciabile la formazione professionale con il mercato, si deve concepire

quest’ultimo come una parte della rete sociale in cui svolgere il proprio intervento61.

Facendo del lavoro lo strumento principale di riabilitazione sociale e personale è

inevitabile, dal punto di vista progettuale della cooperativa, rivolgersi ai soggetti coinvolti

nelle attività economiche della cooperativa stessa, promovendo la peculiare funzione di

mediazione che quest’ultima svolge. La mediazione non è più solamente intesa come

attività interna alla situazione di lavoro, ma diviene al tempo stesso contenuto

promozionale inscindibile delle attività produttive svolte dalla cooperativa.62

L’esperienza maturata in ambiti progettuali, appositamente per svolgere funzioni di

mediazione, diviene in quest’ottica patrimonio preziosissimo per la società, per le imprese

e per le persone svantaggiate. E’ sempre più chiaro che il luogo della mediazione non sia

ristretto ai laboratori e ai cantieri della cooperativa, ma debba necessariamente trovare i

canali per raggiungere realtà aziendali più consolidate ed interessate a questo tipo

d’intervento.

Volendo rappresentare graficamente lo schema delle reti relazionali, che definiscono

il circuito all’interno del quale una cooperativa sociale tipo va a collocarsi, otteniamo il

seguente grafico63: 61

Cfr. Quaderni d’Animazione e formazione, L’intervento di rete, concetti e linee d’azione, Collana a cura d’Animazione Sociale Università della strada, Ed. Gruppo Abele.

62

Cfr. Lepri C., Montobbio E., Lavoro e fasce deboli, strategie e metodi per l’inserimento lavorativo di persone con difficoltà cliniche e sociali, Franco Angeli, Milano, 1993.

63 Tale schema prende spunto dalle riflessioni riportate dal progetto della cooperativa sociale “La Bottega”di Torino e ricavabili dal sito della cooperativa stessa, nonché dai testi e riviste:

G.Mancini, G. Sabbatici (a cura di), Op. citataG.Cotronei, Cooperative sociali, Buffetti editore, Roma, 1998 Animazione sociale, mensile per operatori sociali, Gennaio 2001, Gruppo Abele, Torino.

Page 52: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

Fig. 5 – La rete di promozione sociale di una cooperativa sociale

Da questo schema si evidenzia che la rete sociale in cui la persona del lavoratore

svantaggiato viene ad inserirsi, è determinata dall’insieme dei soggetti che la cooperativa

coinvolge nelle proprie attività. Va chiarito che la stessa persona svantaggiata,

partecipando alle attività lavorative in modo integrato e continuo, viene a contatto con gli

stessi soggetti, allargando da un lato la propria rete relazionale, e dall’altro testimoniando

direttamente con il proprio lavoro la possibilità dell’integrazione lavorativa.

Specificato questo si evince un ulteriore aspetto, che assume un valore decisivo in

relazione all’integrazione lavorativa, e al transito verso l’inserimento presso altre realtà

Fornitori

Cliente privato/pubblico

Aziende clienti *

Servizi socio – sanitari invianti RETE PER

L’INSERIMENTO

MIRATO E/0 ALTRE

TIPOLOGIE DI

SVANTAGGIO

RETE COMMERCIALE

DI PROMOZIONE

Page 53: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

occupazionali al termine del percorso in cooperativa: il rapporto di fiducia incentrato

sull’effettiva capacità di quest’ultima di sviluppare lavoro assieme a persone con disagio di

tipo clinico e/o sociale. Quest’aspetto costituisce uno strumento che in qualche modo

agevola la possibilità, da parte della cooperativa stessa, di operare inserimenti mirati

all’interno d’aziende clienti *, che sono vincolate dalla legge n.68/9964, oppure, laddove

questo vincolo per loro non sussista, promovendo comunque dei tirocini lavoro finalizzati

ad un conseguente contratto d’assunzione65. Tali aziende, come risulta dallo schema, si

trovano in una posizione d’intersezione tra la rete promozionale e quella dell’inserimento

mirato o altre tipologie di svantaggio66. Una simile risorsa costituisce indubbiamente

un’opportunità preziosa per tutte quelle agenzie interessate all’integrazione lavorativa di

soggetti svantaggiati.

E’ importante, infine, approfondire maggiormente l’azione che la cooperativa sviluppa

all’interno di quella che è stata definita come “rete commerciale di promozione”, nella

quale s’intende dare visibilità alle capacità lavorative di persone svantaggiate, e alla

stessa organizzazione cui queste partecipano. L’azione della cooperativa diviene in

quest’ottica essenzialmente un progetto di comunicazione in cui l’integrazione si rivela,

tramite le attività lavorative, non solo dato di fatto tangibile per il cliente, ma anche oggetto

promozionale. Sicuramente la promozione sociale dei lavoratori con svantaggio, senza

alcun riferimento ad attività concrete o senza alcuna testimonianza diretta da parte degli

stessi, rischierebbe d’essere poco credibile, vana e per certi aspetti criticabile. Interpretata

invece come attività complementare ed inscindibile alle attività lavorative e produttive,

sviluppate dai lavoratori svantaggiati assieme agli operatori della cooperativa, essa si

64 Cfr. A. Simontacchi, L’inserimento lavorativo dei disabili, “Salute e territorio”, n° 122/2000, p. 19. Tale legge disciplina l’assunzione nelle aziende dei soggetti con invalidità civile riconosciuta dall’apposita commissione

medica ed iscritti nelle liste speciali di collocamento (categorie protette), gestite dall’Ente Provincia. L’obbligo dell’assunzione dei lavoratori iscritti nelle categorie protette, chiamato inserimento mirato, scatta per tutte quelle aziende sopra i 15 dipendenti. Nello specifico si rimanda al testo di legge oggetto della presente nota, ricavabile anche dal sito internet www.camera.it, all’interno della sezione normativa – leggi 13° e 14° legislatura.

65 Alcune aziende clienti, anche se non rientrano nell’obbligo dell’inserimento mirato, perché di dimensioni più piccole (esempio con numero di dipendenti inferiore alle 15 unità), possono ugualmente essere interessate, in una fase d’aumento della produzione, ad inserire al proprio interno persone svantaggiate , che hanno concluso l’inserimento in cooperativa e che dimostrano delle capacità lavorative.

Cfr. Marocchi G., Integrazione lavorativa, impresa sociale, sviluppo locale, … F.Angeli, 1999.La fase finale, che prevede una fuoriuscita del soggetto svantaggiato e l’inserimento presso un’altra realtà di lavoro, al

termine del percorso lavorativo all’interno della cooperativa, si pone per tutte quelle cooperative che sono strutturate per inserimenti a tempo. L’aspetto riguardante l’inserimento lavorativo, tramite lo strumento del tirocinio lavoro, sarà approfondito maggiormente nel prossimo capitolo.

66 Cfr. Lepri C., Papone G., Alcune considerazioni critiche sullo stato di attuazione della legge 68/99, “Appunti”, n. 5/2000, p.2;

Per inserimento mirato s’intende l’accompagnamento lavorativo di soggetti appartenenti alle categorie protette e pertanto con un’invalidità civile riconosciuta. E’ sembrato pertanto opportuno aggiungere la dizione “altre tipologie di svantaggio”, comprendendo anche quei soggetti con problematiche sociali (tossicodipendenza, problemi giudiziari), non necessariamente quindi con un’invalidità civile, ma ugualmente appartenenti alle fasce deboli del mercato del lavoro.

Page 54: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

configura com’essenziale momento di crescita culturale della società civile, del mondo

delle organizzazioni lavorative e del mercato del lavoro nel suo insieme, nonché

espressione di una nuova sensibilità sociale della società nel suo insieme.

La testimonianza offerta dai lavoratori con disabilità clinica o sociale, il loro attivarsi

nel portare a termine il lavoro nel miglior modo possibile, accompagnati in

quest’importante compito dalla figura del tutor aziendale, è il primo strumento di

promozione delle capacità lavorative espresse da questi soggetti.

III.3 Le attività lavorative della cooperativa

Fino a questo punto ci siamo soffermati sugli aspetti dell’intervento sociale e

sulla ripercussione che questi hanno sull’organizzazione di una cooperativa. Ora ci

soffermeremo sull’attività lavorativa che quest’ultima sviluppa al suo interno,

prendendo come riferimento principale quelle realtà che sono rivolte alla

produzione artigianale67, anche se questo non costituisce l’unico settore di lavoro,

infatti in altri casi il lavoro delle cooperative sociali consiste nella fornitura di

servizi, come ad esempio l’attività di pulizia dei locali pubblici, purché sempre

finalizzata all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate.

In questa sezione possiamo descrivere i tratti fondamentali della proposta

formativa, che si offre alle persone svantaggiate inserite, nonché le tipologie

d’interventi possibili.

Ogni settore produttivo è sorretto dalle cinque aree gestionali 68 descritte in

precedenza, e va pertanto considerato come campo in cui si svolge la mediazione

tra: lavoratore svantaggiato, tutor (mediatore) e tutor aziendale. 69

Gli ambiti che s’individuano nelle cooperative sociali, che svolgono attività di

tipo artigianale, si denotano generalmente per due tipi di situazione di lavoro: i

laboratori ed i cantieri.

I laboratori sono ambiti strutturati ed attrezzati nei quali le persone sono

formate allo svolgimento di mansioni specifiche, comprendenti l’utilizzo di

67 Cfr. Marocchi G., Op.citata.68

Cfr. fig. n° 369 Cfr. fig. n° 4

Page 55: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

macchinari e compiti lavorativi compatibili con il grado di disagio presentato.

I cantieri si svolgono presso i clienti che richiedono interventi specifici di

manutenzione od altre tipologie di lavoro.

Come situazione lavorativa questa presenterebbe delle ottime possibilità di

promozione sociale della figura del lavoratore svantaggiato, in quanto ne

permetterebbe il contatto con la clientela .

In ogni settore di lavorazione il setting formativo adottato è quello della

formazione “in situazione”70.

Nello specifico è attivata attorno alla persona svantaggiata una rete di risorse

e di professionalità, secondo lo schema cui più volte abbiamo fatto riferimento, in

grado di consentire la progressiva crescita “sul campo” delle potenzialità operative

e relazionali, in una prospettiva d’integrazione sempre più stretta all’interno delle

strutture organizzative della cooperativa.

La formazione “in situazione” si connota d’alcuni aspetti peculiari tali da

rendere difficile, e sotto certi aspetti impossibile, una strutturazione a priori della

formazione stessa, poiché questa si sviluppa adattandosi alle differenti situazioni

lavorative (intese come luoghi in cui svolgere un lavoro), e alle criticità che volta

per volta vengono a presentarsi. Questa caratteristica, che apparentemente rischia

di sconfinare nell’improvvisazione, in realtà ci permette di definire un aspetto

chiave del funzionamento dello schema formativo adottato.

La differenza è tra una formazione occasionale, incentrata sulla casualità

delle occasioni formative, ed una formazione “occasionata”, in cui le situazioni

rientrano in uno schema precedentemente strutturato secondo modalità verificabili,

orientate verso obiettivi definiti in cui i momenti formativi sono strettamente

correlati allo sviluppo effettivo del lavoro e della vita dell’organizzazione stessa 71.

Cercando di chiarire ulteriormente questo concetto possiamo affermare che la

caratteristica fondamentale della formazione “in situazione” è di inserire la persona

con svantaggio in una situazione di lavoro effettivo, partendo dal presupposto di

rendere questa il più possibile protagonista del lavoro, dei suoi aspetti sociali e

d’inserimento, sia all’interno della cooperativa, che del mondo del lavoro in genere.

Tale approccio offre la possibilità di mediare l’esperienza dell’inserimento

lavorativo, tramite progressivi passaggi di un processo che deve configurarsi

70 Cfr. Montobbio E. (a cura di), Handicap e lavoro-La formazione in situazione una forma originale d’addestramento lavorativo per handicappati psichici – La storia – Il metodo – I risultati, Ed. Del Cerro, 1985.

71

Montobbio E. (a cura di), Op. citata.

Page 56: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

sempre più come un continum, dalla formazione al collocamento.

La scansione dei differenti passaggi del processo d’integrazione lavorativa si

configura e sviluppa parallelamente alla complicazione della situazione lavorativa

della persona con svantaggio, che progressivamente accresce le proprie abilità, le

reti relazionali ed il bagaglio esperienzale, connesso alla situazione di lavoro.

La formazione “in situazione”, concepita come strumento metodologico di

base dell’inserimento lavorativo, fa dell’inserimento stesso un processo di crescita

e sviluppo della persona svantaggiata, che qualora inserita in cooperativa,

trasferisce queste tendenze allo sviluppo dell’organizzazione, secondo il principio

che l’accrescimento del potenziale operativo d’ogni socio, porta inevitabilmente

all’aumento del potenziale lavorativo della stessa organizzazione 72.

Esiste quindi una relazione stretta tra le capacità di crescita della persona

all’interno della formazione “in situazione” e quella della cooperativa.

In questo aspetto risiede forse la forza della proposta della cooperazione

sociale, intesa come sede ideale della formazione in situazione.

III.4 Come le cooperative sociali generano capitale

sociale.

Il capitale sociale è un concetto che deriva dalle scienze economiche, e in

quest’area disciplinare vuole distinguersi da altri tipi di capitale. Sappiamo, infatti,

come ogni organizzazione produttiva contenga al suo interno il capitale

finanziario, che è costituito dal denaro, un capitale fisso che è dato dagli immobili,

un capitale umano che sono le conoscenze, i saperi, le informazioni, che ciascun

attore organizzativo possiede e mette in gioco nei processi di lavoro 73.

Il capitale sociale è invece il network74 di relazioni di cui un soggetto

individuale (imprenditore o lavoratore) o collettivo (privato e pubblico) dispone.

Attraverso questo capitale di relazioni, si rendono disponibili risorse cognitive,

emotive, strategiche, indispensabili per il raggiungimento d’obiettivi individuali o 72 Gruppo Abele, L’impresa Sociale in Italia, 2002, tratto da http://www.gruppoabele.org/lavoro73 Cfr. Auteri E., Management delle risorse umane, Ed. Angelo Guerini e Associati, 1999, Milano.74 Termine inglese la cui traduzione letterale è rete. In questo caso il termine è da intendersi come rete sociale, Cfr.

Seed P., Op.citata.

Page 57: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

collettivi, come sostenere che il capitale sociale permette di conseguire scopi, che

con le nostre sole forze non sarebbero raggiungibili (e forse neanche

concepibili)75.

Capiamo subito come il capitale sociale possa essere inteso in due modi:

come proprietà dei singoli attori o risorsa in loro possesso per meglio perseguire

fini privati, ma anche come dotazione di un contesto, come “attributo della

struttura sociale in cui la persona è inserita”.76

In tutti e due i modi è una risorsa per l’azione sociale. Esso può, infatti,

favorire il cambiamento sociale, nel senso che attraverso l’interazione e lo

sviluppo di nuove forme di cooperazione, un contesto può facilmente aprirsi

all’innovazione.

In questo senso il capitale sociale si connette strettamente alle questioni

dello sviluppo locale, ed è per questo motivo che è entrato a far parte dei discorsi

sulla cooperazione sociale77. In quanto frutto dell’interazione tra soggetti, il

capitale sociale non appartiene ai singoli individui, ma appartiene al network.

Come attributo della struttura sociale in cui la persona è inserita, il capitale

sociale non è proprietà privata di qualcuna delle persone che ne traggono

vantaggi78, ma, a differenza del capitale privato, ha natura di bene pubblico.

Non diversamente da altre forme di capitale, tuttavia, esso ha bisogno

d’investimenti continui.

Il capitale sociale è il risultato di un processo d’interazione dinamico: si crea,

si mantiene e si distrugge. Si alimenta nella misura in cui i diversi attori del

network, mentre ne usufruiscono, si preoccupano di rigenerarlo; si distrugge se si

limitano a consumarlo.

Facciamo l’esempio di essere un network di cooperative sociali che lavorano

all’interno del territorio e scambiano informazioni, conoscenze, risorse, saperi.

La questione dirimente è: mentre usiamo le conoscenze ed i saperi che gli

altri mettono a disposizione nel network, riusciamo a reciprocare, immettendo

75 Cfr. Camarlinghi R. e D’Angela F. (a cura di) (2003), “Quanto è sociale il capitale delle cooperative?”, in Animazione Sociale, n°9.

76

Cit. in AA.VV., Il capitale sociale. Istruzioni per l’uso, Il Mulino,200177 Cfr. Zandonai (a cura di), La creazione d’occupazione a livello locale: il ruolo delle reti del terzo settore, Rapporto

finale, realizzato da Cgm nel 2001 con il sostegno della Commissione Europea – Direzione occupazione e affari sociali.

78 Cfr. Animazione Sociale, Novembre 2002. Mensile per gli operatori sociali, Gruppo Abele, Torino.

Page 58: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

anche noi conoscenze e saperi che diventano beni collettivi, patrimonio di tutti,

oppure no? All’interno di un territorio, la cooperazione sociale come si posiziona?

Si posiziona nella direzione di usare il capitale sociale locale oppure in quella

d’incrementarlo?

Il concetto di capitale sociale diventa importante oggi per tre ordini di

ragioni79:

• In un’epoca in cui ci confrontiamo con fenomeni di frammentazione (sociale,

organizzativa), mettere al centro il network vuol dire evidenziare la dimensione

dell’integrazione, della cooperazione e della fiducia reciproca come fattori

essenziali per lo sviluppo locale. Quanto più un contesto è frammentato, infatti,

tanto più il capitale umano degli individui si dissiperà e tanto più la capacità

produttiva di un’azienda s’indebolirà, se è vero che essa deriva anche dal tipo

di network in cui è inserita.

• In un’epoca in cui si constata la scarsità delle risorse, evitare i fenomeni di

spreco, prodotti dal posizionamento individuale – egoistico, diventa centrale

nella costruzione dello sviluppo sostenibile.

• In un‘epoca in cui si ripensano le risorse per garantire un sistema di tutela

sociale e sanitaria, incentivare gli attori sociali a pensarsi nella logica della

produzione di capitale sociale, verso il territorio d’appartenenza, ma anche al

proprio interno, diventa importante: non solo per andare oltre la crisi del

welfare state, ma per dotare i soggetti di fattori di protezione sociale. Anche

con la propria base dei soci una cooperativa può sviluppare capitale sociale e

questo non è una questione secondaria, perché se un lavoratore dentro la

propria impresa non fa esperienza d’apprendimento di costruzione di capitale

sociale, difficilmente riuscirà a riprodurlo nel suo servizio e nei suoi rapporti

interpersonali.

Il concetto di capitale sociale è oggi quindi strategico sia per il contesto socio – economico

– politico, sia nel ripensare la propria prospettiva d’impresa sociale.

Contribuire all’inclusione sociale di soggetti che vivono condizioni

d’emarginazione attraverso una proposta lavorativa, che modifica la condizione

dei soggetti stessi, da assistiti a cittadini attivi, (come nel caso delle cooperative

sociali di produzione e lavoro), genera sicuramente capitale sociale.79 Cfr. Animazione Sociale, Agosto -Settembre 2002. Mensile per gli operatori sociali, Gruppo Abele, Torino.

Page 59: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

Le cooperative sociali debbono, allora, assumersi il compito di elaborare un

doppio prodotto: il primo, legato alle prestazioni specifiche richieste dal

committente, ed il secondo, proiettato verso la ricostruzione del tessuto sociale

interno ed esterno all’ambiente di lavoro.

La cooperazione sociale dovrebbe essere in grado, quindi, di contribuire ad

un disegno politico di cambiamento della società che sappia coniugare le

esigenze di mercato e profitto, con gli obiettivi di coesione sociale e

integrazione80.

Il condizionale è d’obbligo, in quanto nella fase attuale si avvertono alcune

problematiche.

Infatti, rispetto all’invadenza di un mercato che tende a fagocitare tutto,

anche il sociale, le cooperative corrono talvolta il rischio di pensare soprattutto ad

autoconservarsi. La stessa tendenza a costituirsi in consorzi, a costruire network,

a tessere alleanze, sembra rispondere più ad una funzione difensiva, che

propulsiva di un’idea81.

Sulla “scia” di quest’atteggiamento alcune cooperative corrono anche il

rischio dell’istituzionalizzazione, in un triplice senso: di aderire alle richieste

custodialistiche che provengono dalla società (il declino dell’ideale riabilitativo si

manifesta anche nelle cooperative d’inserimento lavorativo); d’arroccarsi a

protezione della propria identità; di appiattirsi sul registro del mercato.

In tutti i casi, gli ideali che hanno animato il movimento cooperativo si

spengono: nel primo caso per snaturamento, nel secondo per entropia, nel terzo

per colonizzazione82.

L’istituzionalizzazione è il nemico numero uno del lavoro sociale, in quanto si

traduce molto spesso in una totale chiusura e grado zero dello scambio. Nel

nostro caso significa che il capitale sociale s’impoverisce. La logica

dell’istituzionalizzazione è, infatti, una logica dell’autoreferenza. E’ l’irrigidimento

nei propri confini, l’appiattimento sulla dimensione gestionale, la rinuncia alla

propria specificità83.

80 Cfr. Zalla D., La cooperazione sociale d’inserimento lavorativo e il punto di vista dell’utente, W.P. 16, Issan, 2001, Trento.

81 Cfr. Istituto Tagliacarte, Report settore No profit, Progetto Quasar, 2003, Milano.82 Cfr. Centro Studi CGM (a cura di), Comunità cooperative. Terzo settore sulla cooperazione sociale in Italia,

Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, 2002, Torino.83 Cfr. Forum Permanente Terzo Settore, Le prospettive per l’occupazione e il ruolo del terzo settore,documento per il

Governo, 1999.

Page 60: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

Per chiarire: nel momento in cui la legittimazione è cercata

nell’accreditamento presso l’ente pubblico, o attraverso la sub-fornitura di

commesse per l’industria, si può sostenere che le cooperative si stanno movendo

nella logica del capitale sociale?

Oppure: se pur di accaparrarsi l’appalto di una comunità alloggio per minori o

delle commesse di lavoro, che prevedono l’inserimento lavorativo di soggetti

svantaggiati, si accettano logiche al ribasso (per cui si finirà col ridurre il rapporto

numerico tra operatori ed utenti, con ripercussioni sulla qualità del servizio, sulla

possibilità di dialogare con il contesto sociale, di lavorare con la rete dei servizi,

ecc..), si può affermare che questo comportamento produrrà legame sociale?

Sono esempi reali perché presi dalla cronaca, retorici perché contengono in

sé la risposta.

La cooperazione sociale può cambiare restando fedele alla propria storia, se

accetta di tornare a confrontarsi fino in fondo con i cambiamenti intervenuti

all’esterno e se riprende contatto con il mandato sociale, che certo oggi parla più

il lessico della sicurezza, che non quello della socialità.

La cooperazione sociale deve riscoprire che significato può assumere la sua

presenza dentro questo contesto socio – economico e deve farlo insieme ad altri,

in una società che ha molti mezzi di comunicazione, ma è fin troppo povera di

luoghi di discussione.

Il dibattito sulla funzione sociale delle cooperative può apparire vecchio e

può sembrare addirittura ingenuo lo stratagemma di rinominarlo con un linguaggio

aggiornato, quale quello per l'appunto denominato “capitale sociale”. Eppure la

modernizzazione della cooperazione passa di qui: per la ripresa di domande di

fondo, questioni strategiche su cui oggi non c’è investimento 84.

Le cooperative possono generare capitale sociale se riescono, senza

compiere un’azione di demonizzazione, a pensare la catena del valore economico

e quella del valore sociale non “attaccate ad un palo”, ma nel movimento di una

storia che continua.85

84 Cfr. Marocchi G., Integrazione lavorativa, Impresa Sociale, Sviluppo locale, Op. citata.85 Cfr. Magatti – Monaci, L’impresa responsabile, Bollati Boringhieri, 1999.

Page 61: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

Capitolo IV

INSERIMENTO LAVORATIVO DI SOGGETTI

SVANTAGGIATI: L’ESPERIENZA RIEDUCATIVA DEI

LABORATORI FORMATIVI, DEGLI STAGE E DEI

TIROCINI LAVORO

Page 62: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

IV.1 L’esperienza rieducativa del laboratorio pre-

lavorativo

Fig.6 – Schema delle fasi del percorso all’interno del laboratorio pre- lavorativo

Il percorso formativo all’interno del laboratorio pre-lavorativo nasce con la

finalità di offrire a persone caratterizzate da vari tipi di problematiche, cliniche o

sociali, la possibilità di sperimentarsi in un’esperienza lavorativa semi – protetta, in

vista di un futuro inserimento nel mondo del lavoro. Scopo ultimo è quello di

ricreare all’interno di questa struttura le condizioni più simili alla normale realtà

lavorativa, permettendo di far sentire l’utente il più utile possibile, e favorendone

un suo potenziale reinserimento all’interno del mercato del lavoro. Il tentativo è

pertanto quello di offrire uno spazio di lavoro diverso, che tuttavia sappia misurarsi

con le esigenze reali di produzione e di vendita. Solo così, infatti, sembra sia

possibile conciliare l’attenzione delle persone con l’esigenza di non emarginarle

ulteriormente86.

Le attività di lavoro, così come all’interno della cooperativa sociale, si

sviluppano proponendosi alcune qualità87: realizzare una pratica diversa nel

lavorare affermando il valore del lavoro come modo d’espressione e di

realizzazione personale; formare un’abitudine al lavoro rifiutando però una

mentalità che vede le persone adattarsi passivamente; affermare la validità della

condizione delle responsabilità in un impegno qualificato 88.

Il momento formativo, non costituendo un intervento in termini

assistenzialistici, è caratterizzato da un’attenzione al metodo d’apprendimento, che

parte dalla pratica e vuole confrontarsi fin dall’inizio con i problemi reali del

contesto sociale ed economico in cui si colloca89.86 Cfr. Sanavio G., L'inserimento lavorativo dei disabili: condizioni e strumenti, Fondazione Zancan, Padova 1990.87 Cfr. AA.VV., Gli strumenti e metodi che consentono alla persona disabile un inserimento graduale e mirato in un

contesto produttivo, Fondazione Zancan, Padova 1991.

88 Cfr. Marocchi G., Integrazione lavorativa, impresa sociale, sviluppo locale,..Ed. F.Angeli, 1999.89 Cfr. Donvito P., L'evoluzione dell'organizzazione del mercato del lavoro, con specifico riferimento agli interventi

Segnalazione soggetto svantaggiatoda parte dell’Ente

Colloqui con il tutor dell’agenzia formativa

Attività di Aula Laboratorio

Stage formativo

Page 63: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

Gli obiettivi specifici90 dell’intervento sono:

e) Favorire nelle persone destinatarie del servizio l’apprendimento del concetto

“lavoro” a livello sia cognitivo che pratico91:

- Permettendo l’acquisizione e lo sviluppo delle capacità nel

rispettare l’orario e l’organizzazione del lavoro (incarichi,

riordino dei propri spazi, ecc..);

- Promovendo l’importanza della continuità produttiva e del

completamento del lavoro;

- Favorendo l’acquisizione della maturazione al lavoro e della

capacità di prendere decisioni, di avere iniziativa e di

organizzarsi;

- Sviluppando la consapevolezza delle responsabilità in ambito

lavorativo;

- Permettendo l’acquisizione e lo sviluppo delle capacità di

lavorare in gruppo e di rapportarsi con colleghi e “superiori”;

- Facilitando l’interiorizzazione della relazione tra retribuzione e

lavoro.

f) Potenziare le risorse delle persone destinatarie del servizio a livello sia intra -

individuale che interpersonale92:

- Aumentando l’autostima ed il senso di competenza;

- Favorendo la scoperta in sé di un interesse e di un’attitudine

specifici;

- Aumentando le abilità sociali e relazionali.

Le modalità con le quali si articola l’azione formativa è evidenziata dalla

successione d’alcune fasi realizzative del progetto, che sono illustrate di seguito 93.

Le persone alle quali è rivolto il servizio possono essere inviati da vari Enti

istituzionali, secondo il loro tipo di svantaggio: esempio il Ministero di Grazia e possibili per le fasce deboli, Fondazione Zancan, Padova 1990.

Cfr. Montobbio E. (a cura di), Handicap e lavoro – La formazione in situazione una forma originale d’addestramento lavorativo per handicappati psichici – La storia – Il Metodo –I risultati, Ed. Del Cerro, 1985.

90 Gli obiettivi elencati di seguito sono gli stessi che si cerca di perseguire durante il percorso lavorativo della persona svantaggiata all’interno dell’ambito di lavoro della cooperativa sociale, così come illustrato nel terzo capitolo.

91 Cfr. AA.VV., Ricerca dei modi sempre più efficaci di avvicinare fino all’integrazione le parti coinvolte nell'inserimento dei disabili,Fondazione Zancan, Padova 1991.

92 Cfr. Cottoni G., Riflessioni sull'importanza della competenza relazionale comunicativa e psico-pedagogica nell'inserimento lavorativo, Fondazione Zancan, Padova 1989.

93 Cfr. Monterisi G. (a cura di), il laboratorio protetto, A.A.I., Roma 1971.

Page 64: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

Giustizia attraverso le assistenti sociali del CSSA (Centro servizi sociali per adulti),

il SERT (Servizio per le tossicodipendenze), nonché i Servizi sociali del Comune

del territorio e delle ASL.

Inizialmente è concordato un incontro tra il referente dell’Ente inviante ed il

tutor che gestirà il progetto del laboratorio pre - lavorativo, al fine di raccogliere

informazioni relative alle caratteristiche socio-anagrafiche e l’eventuale stato di

svantaggio o di handicap della persona, così da stilare una scheda di pre –

ingresso. Tale incontro è reso necessario anche allo scopo di valutare in che

modo l’inserimento all’interno del laboratorio pre – lavorativo s’integri in un

processo più globale di cura, riabilitazione ed inserimento sociale 94.

In una fase successiva sono concordati più incontri diretti di conoscenza tra il

tutor e il potenziale allievo, durante i quali in particolare l’attenzione sarà rivolta

nell’osservare quale percezione ha quest’ultimo sul tema lavoro e quali sono le

sue motivazioni ad affrontarlo: quali aspettative e bisogni lo muovono

all’esperienza pre-lavorativa e quali significati sono da lui attribuiti ad una sua

eventuale occupazione.95.

In una terza fase, dopo che il tutor ha verificato le motivazioni reali dell’utente

e ritenute idonee con il tipo di percorso formativo proposto, il soggetto è

effettivamente iscritto ed inserito all’interno del corso 96.

Le attività pratiche che si svolgono all’interno del laboratorio possono essere

varie, perlopiù, come accennato in precedenza, ricadono nel settore di lavoro di

tipo artigianale. Anche in quest’ambito d’intervento, come per l’inserimento

lavorativo di soggetti svantaggiati all’interno della cooperativa, è prevista la

presenza di un’equipe professionale di supporto, composta da 97:

- Un responsabile tecnico per le attività pratiche di laboratorio (docente);

- Un tutor con funzione di preparazione, supporto e supervisione degli

allievi, allo scopo di accompagnarli nell’apprendimento cognitivo e

pratico del lavoro, di sostenerli a livello informativo ed emotivo, nonché

di sostenerli nell’eventuale difficoltà conoscitiva e/o relazionale;

94 Cfr. AA.VV., Orientare educando, LAS, 1981.95

Cfr. Mucchielli R., Manuale d’autoformazione al colloquio d’aiuto,Ed. Erikson, Trento 1993. 96 Cfr. Cottoni G., Cenni generali sulla valutazione nell'inserimento lavorativo dei disabili, Fondazione Zancan,

Padova 1991.97 Cfr. Bocca G., Pedagogia e lavoro tra educazione permanente e professionalità, Franco Angeli, Milano, 1992.

Page 65: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

- Un coordinatore dell’intera attività, con il quale sia il tutor sia il docente

si rapportano per ricevere le eventuali azioni correttive d’attuare.

Per la valutazione dell’intervento98, il tutor si avvale d’alcuni strumenti di

verifica che sono:

- Un diario giornaliero finalizzato alla registrazione delle presenze degli

allievi, nonché all’eventuale annotazione del tutor su alcuni aspetti

inerenti al comportamento dimostrato dagli utenti;

- Una scheda d’osservazione e valutazione delle abilità lavorative per

ogni soggetto inserito, (comprendendo sia le capacità cognitive, sia

quelle relazionali, sia quelle realizzative), compilata dal tutor all’inizio

del corso, in itinere e al termine dell’esperienza.

Inoltre il tutor svolge con i soggetti inseriti degli incontri specifici finalizzati

all’individuazione, verifica e valutazione sui progetti individuali d’inserimento.

Attraverso dei colloqui l’operatore cerca di conoscere le impressioni, le riflessioni,

il livello di soddisfazione o le difficoltà riscontrate dall’utente, prevedendo anche

delle azioni correttive, qualora si rilevassero delle incongruenze tra gli obiettivi

fissati dal progetto individuale d’inserimento stesso, e l’andamento effettivo del

soggetto inserito.

Nell’incontro di verifica finale l’intera equipe (docente, tutor, coordinatore),

relativamente all’andamento tenuto dai singoli allievi durante il percorso formativo

dell’aula laboratorio, esprime alcune linee d’indirizzo 99:

• Un inserimento in un contesto lavorativo esterno (stage), finalizzato ad

una possibile assunzione e proseguendo nell’azione di monitoraggio e

accompagnamento del tutor;

• Un inserimento in stage in un contesto lavorativo esterno protetto, quale

quello in una cooperativa sociale, per affinare le capacità professionali

e di tipo trasversale acquisite durante l’esperienza dell’aula laboratorio,

ma risultanti ancora insufficienti per affrontare un normale contesto di

lavoro;

98 Cfr.Felisatti, E., (a cura di), Modelli progettuali e valutativi per l'intervento didattico, , CLEUP, Padova 2005.99

Cfr. Baudino R. – Nicolotti V. (a cura di), Lo sviluppo e la gestione degli interventi formativi,Ed. Armando,1992.

Page 66: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

• Un ulteriore periodo di permanenza nel laboratorio pre-lavortivo: si

elaborerà un nuovo progetto individuale considerando i risultati ottenuti

e le eventuali modifiche da apportare per gli obiettivi non ancora

raggiunti;

• L’invio e l’accompagnamento del soggetto verso altri tipi di servizi

sanitari per ulteriori nuove problematiche rilevate durante il periodo

d’inserimento in laboratorio, che rendono incompatibile la collocazione

del soggetto presso realtà esterne di lavoro, e/o il rinvio dell’utente

stesso verso il Servizio pubblico che lo aveva inizialmente segnalato. Il

tutor fornirà una relazione sull’esperienza pre - lavorativa della persona,

in particolare relativamente agli aspetti che hanno portato a ritenere il

soggetto non ancora pronto ad affrontare il mondo del lavoro.

La durata dell’esperienza pre – lavorativa delle persone inserite può variare a

seconda dei vari percorsi formativi, sia per il tipo d’attività proposte, sia in

relazione alla tipologia dello svantaggio dei soggetti coinvolti. Mediamente la

durata di questi percorsi, in relazione anche al tipo di disponibilità economica del

progetto, può variare dai tre ai sei mesi100.

IV.2 Lo stage e i tirocini formativi nella formazione

professionale.

I cosiddetti stage all’interno della formazione professionale costituiscono uno

dei più consolidati strumenti di contatto tra l’apprendimento in aula – laboratorio e

l’apprendimento nelle situazioni lavorative. La loro storia risale alla sistemazione

della cosiddetta Legge quadro sulla formazione professionale 101 e precedono di

parecchi anni l’istituzione dei tirocini e dei piani d’inserimento. Nello stage della

formazione professionale è escluso, per definizione, il rapporto di lavoro 100 Cfr. Cedefop, I sistemi di formazione professionale in Italia, Ceca – Ce-Ceea, Bruxelles,1994.101 Cfr. legge n° 845 del 1978.

Page 67: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

dell’allievo: esso consiste, infatti, in un periodo più o meno lungo nel quale gli

utenti di un corso di formazione professionale, individualmente o suddivisi in

gruppi, sono inseriti in una o più imprese del settore pertinente alle competenze

professionali apprese, per svolgere compiti di norma sintonizzati su di esse.

(Questo non esclude però la possibilità che dopo un congruo periodo

d’inserimento in stage, l’inserimento non possa tramutare in un vero e proprio

contratto d’assunzione, e che quindi anche lo strumento dello stage stesso non

possa essere adoperato con questa finalità, come ho cercato d’illustrare nei

precedenti paragrafi). Nel senso comune diffuso l’obiettivo dello stage sarebbe la

messa in pratica, la verifica, la validazione e l’arricchimento delle competenze

apprese precedentemente in aula a livello teorico.

Nella riflessione scientifica, il lungo processo d’attivazione e consolidamento

di questo modello, ha dato agli studiosi l’occasione per problematizzare molto la

definizione di stage usata nell’ambito del senso comune, non solo relativamente

ad un approfondimento di quello che avviene nel corso di queste esperienze, ma

ancor più di quello che dovrebbe avvenire 102. Nella realtà le prassi degli stage, ai

diversi livelli regionali, sono state molteplici, e non hanno corrisposto ad un

modello omogeneo che ne definisse le modalità attuative simili a quello che

caratterizza oggi, ad esempio, il dispositivo dei tirocini di formazione ed

orientamento103. In tale assenza di riferimenti e vincoli univoci, la funzione dello

stage è stata, nel corso degli anni ed a seconda delle diverse situazioni regionali,

interpretata e soprattutto declinata in una ricchissima fenomenologia di prassi 104:

1. “Stage conoscitivo”, attraverso cui un individuo comprende,

direttamente nella realtà lavorativa completa, il ruolo al quale è formato,

grazie a momenti d’osservazione di processi organizzativi, che

presuppongono l’accesso a fonti informative ed il sostegno di un tutor.

2. “Stage applicativo”, un evento formativo attraverso cui un individuo

sperimenta od agisce nella realtà lavorativa concreta il ruolo al quale è

102 Cfr.Ghiotto G., Le competenze per la transizione al lavoro, in "Professionalità", n. 38, 1997, pagine XXIX-XXXI.103 Cfr.QUAGLINO G.P., Fare formazione, Bologna, Il Mulino, 1985104

Cfr. Callini e Montaguti, Lo stage: Modelli e strumenti per la formazione, IAL Emilia Romagna, Efeso, 1995, pagg. 19 – 20.

Page 68: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

formato, tramite l’applicazione, la verifica ed il consolidamento di

conoscenze, abilità ed atteggiamenti precedentemente acquisiti

all’interno della struttura formativa.

3. “Stage orientativo”, sottospecie dello stage cognitivo, un evento

formativo attraverso cui l’individuo ha modo di comprendere le

caratteristiche fondamentali dell’attività facente capo ad uno o più

ambiti professionali, con il fine di facilitare la scelta di percorsi di

carriera.

4. “Stage di pre – inserimento”, sottospecie dello stage applicativo, che

ha doppia valenza: da un lato formativa – applicativa, dall’altro di

sostegno ad un vero e proprio inserimento lavorativo futuro in una data

precisa realtà organizzativa.

La tipizzazione proposta è da utilizzarsi in maniera flessibile e non esclude la

presenza d’altre forme in qualche modo “miste”, che si manifestano nel concreto

operare degli enti e dei centri di formazione distribuiti sul territorio nazionale.

Generalmente, la seconda e la quarta tipologia di stage elencati sopra, meglio si

prestano all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate con disagio di tipo

clinico o sociale, in quanto in gran parte dei casi tali soggetti si

contraddistinguono per un basso livello di scolarizzazione e con un bisogno

economico immediato. Questi due elementi giustificano pertanto una dimensione

formativa professionale in cui sia prevalente l’azione del “fare”, nella quale si

apprende facendo e che sia finalizzata ad un effettivo inserimento lavorativo nel

contesto aziendale, in modo da garantire loro un ritorno economico quasi

immediato per le attività svolte. Lo stage nella formazione professionale ha

costituito in molti casi e modelli regionali un importante strumento di raccordo tra

la formazione professionale e le imprese, ed uno strumento essenziale per la

finalizzazione occupazionale delle attività formative.

La mancanza di un modello operativo omogeneo o di standard condivisi per

programmare e realizzare gli stage, ha prodotto una differenziazione delle prassi

accomunate genericamente sotto la nozione stessa di stage. Quantunque la

modalità più diffusa permanga quella dell’inserimento in impresa di corsisti per

Page 69: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

periodi definiti, sotto la supervisione di un tutor, tuttavia sono state considerate

concorrenti all’assolvimento degli obblighi previsti anche attività di visita guidata,

partecipazione a mostre e fiere campionarie, attività esterne all’aula di ricerca

intervento, ecc..

In numerosi casi, comunque, lo stage è posizionato a conclusione del

progetto formativo come verifica e validazione delle competenze apprese in aula e

pertanto senza funzione di retro – azione sulla didattica stessa in itinere 105. Il

modello pedagogico sotteso da quest’impostazione è quello rigidamente

sequenziale (prima la teoria, poi la prassi), che non prevede una riflessione

sull’esperienza pratica come argomento di ri – definizione e ri – orientamento

dell’esperienza teorica.

Da un punto di vista sostanziale il tirocinio si affianca all’istituto dello stage

nella formazione professionale e, rispetto ad esso, ha la proprietà di poter essere

allestito ed utilizzato anche al di fuori di un percorso strutturato di formazione del

quale lo stage costituisce una parte o un modulo didattico.

L’intento è:

- Nel caso del tirocinio formativo, offrire ai soggetti destinatari la possibilità di

trascorrere periodi definiti di lavoro e formazione all’interno delle imprese, allo

scopo di accrescere le loro competenze professionali ed innestare, sullo

zoccolo dei saperi prevalentemente teorici posseduti, il valore aggiunto di

saperi tecnico – professionali e trasversali, attraverso la collocazione in un

preciso segmento produttivo e l’esercizio d’attività pienamente partecipi della

produzione stessa dell’impresa;106

- Nel caso del tirocinio d’orientamento, offrire ai soggetti coinvolti, sempre

attraverso una partecipazione quantunque più modesta e meno coinvolta nei

processi di lavoro, una panoramica delle funzioni presenti in un’impresa ed

una prima percezione del clima aziendale complessivo, allo scopo di favorire

105 REALE G.G., Il percorso d’orientamento professionale per disabili G.O.A.L. (Gruppo d’Orientamento Al Lavoro): una riflessione sull'esperienza, in "Quaderni CROSS", ISU Università Cattolica Milano, n. 6, 2001, pagine 141-159.

106

Tale tipologia di tirocinio è quella che più s’addice nel caso dei soggetti svantaggiati, per le implicazioni e necessità illustrate nelle sezioni precedenti.

Page 70: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

scelte successive di formazione o di lavoro più consapevoli.

Il dispositivo dei tirocini formativi e d’orientamento 107 e la sempre maggiore

diffusione di tale metodologia ha negli ultimi anni consentito un graduale

incremento del livello d’integrazione fra il sistema scolastico ed il sistema

produttivo, riducendo così il divario fra il tempo della formazione e il tempo del

lavoro, favorendo la creazione di percorsi “guidati” d’ingresso nel mondo del

lavoro delle persone in cerca di un’occupazione, ed in particolare delle cosiddette

fasce deboli108. La realtà lavorativa, infatti, come ampiamente illustrato anche nei

capitoli precedenti, può assolvere a tre funzioni:

- Rappresenta uno spazio ideale per l’acquisizione e lo sviluppo delle

conoscenze di base, delle abilità tecnico – professionali e delle

competenze trasversali;

- Stimola il confronto e lo scambio d’esperienze e di conoscenze;

- Rappresenta un luogo di verifica e di monitoraggio della qualità e della

pertinenza delle competenze professionali e contribuisce a rielaborare i

contenuti in funzione delle difficoltà da risolvere e delle decisioni da

prendere.

Più in particolare il dispositivo dei tirocini formativi e d’orientamento può

essere così sintetizzato109:

a) I percorsi di tirocinio sono promossi dall’Agenzie per L’Impiego (Enti

strumentali delle Regioni), dai Centri per l’Impiego, dalle Scuole, Università e

Provveditorati, dagli Enti di Formazione Professionale e d’Orientamento, dalle

Comunità Terapeutiche, dalle Cooperative Sociali e dai Servizi d’Inserimento

per disabili, in favore di soggetti inoccupati e disoccupati, senza limiti d’età,

107 Cfr. legge n° 186 del 24/6/97 che all’art. 18 tratta proprio dei tirocini formativi e d’orientamento. Tali principi sono stati successivamente tradotti in norma operativa dal Decreto del Ministero del Lavoro n° 142 del 25/03/98.

108 Cfr. Giugni G., Pedagogia dell'orientamento scolastico e professionale, in "Orientamento Scolastico e Professionale", n. 1-2, 1987, pagine 11-52.

109

Cfr. Arkel D. (a cura di), Introduzione al modello per l’inserimento lavorativo di soggetti deboli, Ed. dall’Agenzia Liguria lavoro – Unità Operativa Fasce Deboli.

Page 71: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

che abbiano assolto l’obbligo scolastico;

b) Preso atto dell’interesse dei potenziali utenti e della disponibilità delle

imprese, i promotori realizzano una convenzione e stilano un progetto

formativo con i datori di lavoro pubblici e privati, la trasmettono agli organi

ispettivi competenti, nonché alle parti sociali, e nominano un tutor

responsabile della didattica e dell’organizzazione delle attività;

c) Le imprese accolgono i tirocinanti e designano un responsabile aziendale con

funzioni di tutoring. Nel caso che il proponente sia un’agenzia del lavoro od un

ufficio del lavoro, le imprese assumono gli oneri assicurativi (che nei casi

restanti sono a carico dei soggetti proponenti), favoriscono l’esperienza del

tirocinante e possono rilasciare un attestato che certifica le competenze

acquisite;

d) Il tirocinio è prestato a titolo gratuito110 e la durata massima varia111:

• Dai quattro mesi, per gli studenti della scuola secondaria superiore;

• Ai sei mesi, per gli allievi degli Istituti Professionali e della

Formazione Professionale, e gli studenti frequentanti corsi post - diploma o

post - laurea;

• Ai 12 mesi, per gli studenti universitari e soggetti svantaggiati;

• Ai 24 mesi, per i portatori di Handicap.

Riassumendo gli attori del processo individuati dalla normativa sono: il

soggetto promotore, il tirocinante, l’azienda o realtà produttiva, il tutor dell’Ente

promotore ed il tutor aziendale. Sembra opportuno al riguardo chiarire alcuni

aspetti riguardanti quest’ultimi due attori.

110 Nel caso specifico d’inserimento in tirocinio lavoro di soggetti svantaggiati, com’è facilmente comprensibile per chi vive situazioni d’emarginazione sociale, è invece opportuno, per esigenze soggettive e per incentivare l’aspetto motivazionale, prevedere qualche forma di compenso economico per le ore effettivamente svolte.

111 Fonte Decreto del Ministero del Lavoro n° 142 del 25/03/1998.

Page 72: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

Il tutor del soggetto promotore112 è un operatore dei servizi incaricato dal

soggetto promotore di accompagnare il tirocinante durante l’esperienza

d’apprendimento in azienda ed è il garante del raggiungimento degli obiettivi

formativi. Il tutor, che accompagna il soggetto durante l’inserimento, è una sorta di

facilitatore dell’esperienza formativa orientativa sul lavoro e non soltanto un

mediatore fra la persona e l’azienda. Per tale motivo assicura un costante

monitoraggio delle attività svolte collaborando con il tutor aziendale affinché

l’inserimento rispetti i contenuti del progetto formativo. La riuscita del tirocinio,

nonché la sua credibilità, si misurano da com’è svolto il monitoraggio

dell’esperienza in atto. Il ruolo del tutor è centrato sostanzialmente sulle seguenti

azioni: sviluppare le capacità decisionali del soggetto, favorire l’interscambio tra

saperi teorici appresi e capacità pratiche, facilitare lo sviluppo di competenze

nella situazione lavorativa, aiutare la persona nella costruzione di un’identità socio

– professionale, nonché sostenere la persona nella socializzazione all’interno del

contesto lavorativo. I compiti del tutor del soggetto promotore sono quelli di

effettuare dei colloqui d’accoglienza e di monitoraggio con il tirocinante al fine di

assicurarsi che il tirocinio corrisponda alle sue aspettative e lo faciliti nel

conseguimento dei propri obiettivi. (Standard minimo: occorre garantire, oltre al

colloquio d’accoglienza, almeno altri tre momenti relazionali con il tirocinante:uno

prima dell’avvio propedeutico all’inserimento, uno durante lo svolgimento del

tirocinio, monitoraggio in itinere, e uno al termine dello stesso, verifica e

valutazione). Inoltre nell’attività di monitoraggio, oltre a verificare lo svolgimento

del compito, il tutor rileva eventuali problematiche e si attiva per dare risposte

efficaci, valorizza i successi conseguiti, ed interviene prontamente qualora

riscontri irregolarità od una non coerenza tra le aspettative e il progetto

professionale del tirocinante, con l’esperienza che egli sta conducendo in azienda.

Inoltre il tutor cura la stesura del progetto formativo in collaborazione con il tutor

aziendale, individuando gli obiettivi, le conoscenze e le competenze necessarie in

ingresso, nonché le conoscenze, competenze, strumenti e metodologie che

dovranno essere acquisite dall’allievo, andando a definire anche nello specifico i

compiti che dovrà svolgere ed i risultati che si attenderanno da tale intervento

formativo. A questa figura spetta anche il compito di curare, eventualmente in

collaborazione con i colleghi od operatori del servizio promotore, la stesura e la

trasmissione delle convenzioni (allegando copia del progetto 112 Tale figura professionale è equiparabile a quella dell’operatore sociale all’interno dell’ambito di lavoro della

cooperativa sociale.

Page 73: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

formativo/orientativo), agli organi individuati dal D.M. n° 142/98. Infine Il tutor

relaziona in itinere e al termine del tirocinio all’Ente promotore o ai soggetti

promotori, circa l’andamento ed i risultati del tirocinio, nonché valuta e verifica i

risultati attesi con i risultati ottenuti.

Il Tutor Aziendale113(responsabile del reparto o altro dipendente in organico)

è colui che accoglie il tirocinante, favorisce l’inserimento e l’intero percorso

d’apprendimento sul luogo di lavoro. Deve essere individuato prima che il

tirocinante arrivi in azienda, scelto fra i lavoratori in organico in possesso di una

significativa esperienza professionale, disponibile a seguire stabilmente e fino al

termine dello stage il tirocinante, al fine di tradurre in compiti gradualmente più

complessi gli obiettivi del progetto formativo (sviluppo delle competenze sociali,

professionali e dell’autonomia lavorativa). Infine collabora ed intrattiene rapporti

con il tutor disegnato dal progetto promotore, sia nella fase di progettazione e

programmazione, sia durante l’esperienza in azienda. Il ruolo del tutor aziendale è

centrato pertanto nelle seguenti funzioni:

- Informativa: vale a dire il tirocinante deve essere informato circa norme,

consuetudini e regole informali, che vengano rispettate dall’organizzazione

aziendale;

- Integrativa: vale a dire il tutor aziendale deve facilitare l’integrazione nel

contesto aziendale ponendo attenzione agli aspetti di relazione e di

socializzazione;

- Sostegno all’apprendimento: vale a dire facilitare lo sviluppo delle conoscenze

e delle competenze richieste dal ruolo professionale ricoperto;

113 Tale figura è equiparabile al responsabile che accompagna il soggetto svantaggiato durante l’intero processo produttivo all’interno dell’ambito di lavoro della cooperativa, al fine di trasmettergli gradualmente le competenze professionali del settore di lavoro specifico.

Page 74: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

IV.3 Congruenza tra competenza sociale e richiesta

dell’ambiente di lavoro. Strumenti di rilevazione e

metodologia d’intervento.

I soggetti deboli (persone con ritardo mentale, problemi psichiatrici, forme

varie di disadattamento sociale), che cercano un impiego in un qualsiasi ambiente

di lavoro, devono essere in grado di soddisfare non soltanto le richieste di buona

esecuzione del lavoro medesimo, ma anche un certo numero d’aspettative di

competenza interpersonale, che qualsiasi ambiente di lavoro nutre nei confronti

delle persone occupate. Purtroppo, la gran parte dei soggetti deboli spesso

delude le aspettative del minimo di competenza interpersonale e d’adeguatezza

comportamentale richiesto all’interno di un ambiente di lavoro (ad esempio,

interagire con i superiori ed i colleghi, conformarsi alle regole formali ed informali

dell’ambiente di lavoro e così via).

Alcuni ricercatori114sostengono che l’adattamento soddisfacente di un

lavoratore ad un qualunque ambiente di lavoro, dipende meno dalle caratteristiche

individuali e molto di più dalla relazione tra gli attributi della persona e le richieste

dell’ambiente di lavoro, e cioè dalla congruenza tra persona ed ambiente.

Nell’analizzare sistematicamente la congruenza tra lavoratore ed impiego è

importante allora programmare interventi appropriati, che riducano la discrepanza

tra le abilità sociali di un lavoratore e le competenze interpersonali cruciali

richieste nell’ambiente di lavoro.

Per competenza sociale s’intende un giudizio di valore, espresso da un

superiore o da un collega, o qualunque operatore sociale, tutor, sull’efficacia del

comportamento di un individuo in uno specifico ambito di relazioni.

Le abilità sociali, d’altro canto, sono i comportamenti interattivi e relazionali

che consentono ad un individuo d’agire in una maniera che viene giudicata

socialmente competente da un osservatore.

I giudizi di competenza sociale (o interpersonale) sono influenzati dalla

natura del compito che i lavoratori devono svolgere, dal contesto sociale in cui la

114 Cfr. C. Calkins, H. Walzer, L’adattamento all’ambiente di lavoro nei soggetti deboli –interventi psicoeducativi di supporto, Ediz. Erickson, 1996

Page 75: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

competenza trova espressione e dalle caratteristiche personali dell’individuo che

viene valutato.

Un modo opportuno di considerare il problema della rispondenza del

lavoratore inserito, rispetto alle richieste ed aspettative dell’azienda di lavoro, è

porsi la seguente domanda: con quali risultati il soggetto si adatta ed aderisce alle

richieste d’abilità comportamentali, personali e sociali ritenute importanti

nell’ambiente di lavoro? Formulando altrimenti, quanto sono adeguate le

interazioni di un individuo con i superiori e i colleghi sia nel contesto dell’eseguire

mansioni lavorative, sia in quello di stabilire rapporti con altre persone

nell’ambiente di lavoro?

I primi passi da muovere per aiutare i soggetti deboli a rispondere in modo

proficuo alle richieste di competenza sociale legate al lavoro sono:

1) Valutare le competenze sociali attuali delle persone inserite;

2) Valutare le richieste di competenza sociale dell’eventuale ambiente

di lavoro in cui un inserimento può essere effettuato.

Una volta acquisite queste informazioni, l’operatore è in grado di

determinare il grado in cui le competenze sociali manifestate da un dato individuo

siano in linea con le richieste di uno specifico ambiente di lavoro. Per esempio, un

individuo potrebbe possedere l’abilità di interagire appropriatamente con i colleghi

e i superiori, ma il posto preso in considerazione (per esempio, quello di custode

notturno, che si svolge in assoluta solitudine), potrebbe non richiedere la

presenza di quella particolare abilità o fornirebbe opportunità estremamente

limitate per manifestarla. In alternativa un soggetto potrebbe manifestare una

carenza come quella di essere pulito e vestito in modo ordinato e trovarsi in un

ambiente di lavoro in cui tali requisiti risultino necessari, (per esempio, un

ristorante o un bar). In questo modo l’operatore può facilmente rendersi conto che

un buon grado di congruenza tra un particolare individuo ed un particolare lavoro

può contribuire in modo decisivo a migliorare l’adattamento di quella persona

all’ambiente di lavoro e ad aumentare le probabilità che il suo impiego dia buoni

risultati.

Ogni lavoratore deve essere in grado di seguire le regole, stabilite dalla

Page 76: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

direzione e applicate dallo staff dei superiori, che riflettono le politiche relative al

personale e le procedure operative dell’azienda.

I lavoratori devono essere capaci di seguire le istruzioni relative

all’esecuzione dei propri compiti impartite loro dai superiori o dai colleghi. Devono

anche essere in grado di accettare il feedback115 dei superiori, in particolare le

critiche relative all’esecuzione di un lavoro, senza arrabbiarsi. I lavoratori devono

riuscire a fare domande relative all’attuazione delle procedure relative al lavoro

quando sono incerti sul comportamento auspicato, perché non sono informati su

un particolare aspetto del lavoro o perché necessitano d’ulteriori istruzioni.

L’igiene personale e un abbigliamento adeguato sono sempre richiesti, così

come la capacità di rendere noti i bisogni personali, (facendo domande,

dichiarando le proprie necessità, ecc..).

I lavoratori devono iniziare puntualmente ogni giorno. Ritardi o assenze

occasionali avranno come conseguenza dei rimproveri verbali. Ritardi frequenti o

un atteggiamento assenteista avranno come conseguenza richiami scritti da parte

dei superiori, e nel caso il comportamento non migliori, potranno sfociare in

un’ulteriore azione disciplinare. Educazione, cortesia e appropriate abilità sociali

sono auspicate ed incoraggiate in tutte le interazioni con superiori e colleghi, sia

nelle situazioni formali (per esempio nelle riunioni del personale, sia in quelle

informali, come la pausa per il caffè). Piagnucolare, lamentarsi, criticare

sistematicamente o rifiutarsi di cooperare sono comportamenti inaccettabili. Ogni

sorta di comportamento aggressivo verso se stessi o altri (sia colleghi sia

superiori), non sarà tollerato e avrà come conseguenza la conclusione del

rapporto di lavoro. Anche distruggere, deturpare o rubare qualcosa che

appartenga all’azienda (o ad altri lavoratori), risulterà inaccettabile e significherà

la risoluzione del rapporto di lavoro.

Per rilevare appropriati interventi educativi di supporto (per esempio, una

formazione specifica sulle abilità sociali o sulle procedure di gestione di

comportamento), rivolti all’inserito che sta manifestando problemi di competenza

sociale sul suo attuale posto di lavoro, diventa indispensabile, come strumento di

115 Feedback Termine inglese, derivato dalla cibernetica e ampiamente diffuso anche in psicologia e nelle altre scienze

umane, usato per indicare l'informazione che l'allievo riceve dal docente o dal sistema informatico in conseguenza di una sua azione. Il feedback, immediato o dilazionato nel tempo, consente al discente di conoscere i risultati di volta in volta conseguiti e, pertanto, di migliorare le sue prestazioni.

Page 77: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

rilevazione, lo strumento del protocollo di congruenza. Tale protocollo, articolato in

16 item116, trae origine da uno studio preliminare condotto in America su uno

strumento che comprendeva 18 item e che venne spedito nel Marzo 1987 ad una

serie di figure professionali, che rivestivano ruoli di primo piano nell’ambito

dell’inserimento lavorativo di persone con difficoltà (specialisti dell’inserimento,

assistenti sociali, psicologi, ricercatori, datori di lavoro). Gli item vennero

selezionati sulla base della letteratura relativa alle ricerche più recenti sui fattori

connessi alla competenza sociale, che migliorano o danneggiano un buon

inserimento lavorativo. Nel protocollo i 16 item selezionati sono stati suddivisi in

due sezioni fondamentali (item positivi ed item negativi). All’interno di ciascuna

sezione fondamentale, sono state create due sottosezioni, ciascuna delle quali

comprende quattro item. Nell’ambito della sezione d’item positivi, troviamo

dapprima quattro comportamenti giudicati “critici” per l’adattamento ad un posto di

lavoro, cui seguono quattro comportamenti giudicati “desiderabili”. Nell’ambito

della sezione d’item negativi, troviamo invece quattro comportamenti giudicati

“inaccettabili”, cui seguono quattro comportamenti giudicati “tollerabili”.

Riportiamo di seguito la scheda del protocollo della congruenza tra

competenze interpersonali e ambiente di lavoro.

116 Il significato di item sta per articoli, punti.

Page 78: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati
Page 79: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati
Page 80: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

TABELLA A

TotaleDella congruenza

Quo

zientedi congruenza

TotaleDella congruenza

Quo

zienteDi congruenza

Totaledella congruenza

Quo

zientedi congruenza

1 2,7 13 36.1 25 69.42 5.6 14 38.9 26 72.23 8.3 15 41.6 27 75.04 11.1 16 44.4 28 77.85 13.9 17 47.2 29 80.66 16.7 18 50.0 30 83.37 19.4 19 52.8 31 86.18 22.2 20 55.6 32 88.99 25.0 21 58.3 33 92.7

10 27,8 22 61.1 34 94.411 30.6 23 63.9 35 97.3

12 33.3 24 66.7 36100.

0Tabella ripresa dal testo di Calkins,Walzer, Op. citata.

Sulla colonna del “Lavoratore” figurano dei quadratini che si devono barrare per

verificare se il comportamento corrispondente è presente (viene manifestato) o assente

(non viene esibito) dal lavoratore. Sulla colonna dell’”Ambiente di Lavoro” figurano

analoghi quadratini che si devono barrare per verificare se, in relazione allo specifico

comportamento, ne è richiesta la presenza, ne è richiesta l’assenza o non c’è nessuna

richiesta. Per esempio, può darsi che del comportamento “E’ pulito e vestito in modo

ordinato” (item positivo, comportamento desiderabile) sia richiesta la presenza agli occhi

del caporeparto di un’azienda alimentare, mentre non figuri nessuna richiesta in proposito

da parte di chi intenda assumere un custode per uno stabile che rimane vuoto di notte. Di

altri comportamenti come “Ruba” (item negativo, comportamento inaccettabile), sarà

probabilmente richiesta l’assenza in entrambi gli ambienti di lavoro.

Si fa ricorso alla colonna della Discrepanza (barrando il quadratino) in tutti i casi in

cui si verifica una discrepanza tra il lavoratore e l’ambiente di lavoro. Ciò avviene quando:

• Un particolare comportamento viene registrato come presente (viene esibito dal

Page 81: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

lavoratore), ma ne viene al tempo stesso richiesta l’assenza (nell’ambiente di lavoro);

• Un comportamento è assente (non viene esibito dal lavoratore), ma ne viene al

tempo stesso richiesta la presenza (nell’ambiente di lavoro)

Se invece tra il comportamento del lavoratore e le richieste dell’ambiente vi è

congruenza, si cerca il valore corrispondente nella colonna Congruenza. Il livello

globale di congruenza viene determinato calcolando il punteggio totale di

congruenza (sommando i valori degli item segnati nella colonna di congruenza) e

trasformando nel quoziente corrispondente della tabella A (riportata alla fine del

protocollo).

Vale la pena sottolineare che, ogni volta un comportamento viene etichettato con

“nessuna richiesta” nell’ambiente di lavoro, ciò significa che non può esservi né

congruenza né discrepanza e per conseguenza non va spuntata alcuna colonna. Per

esempio, un particolare item positivo (per esempio: “Si adatta ai cambiamenti di ruolo di

colleghi e superiori” può rientrare in “Nessuna richiesta” semplicemente perché è un

comportamento che ha poche possibilità di verificarsi o perché non viene valutato né

critico né desiderabile per un risultato positivo nel lavoro. Nelle aziende o nelle industrie in

cui il turnover di colleghi e superiori è particolarmente basso, per esempio, può non essere

fondamentale essere capaci d’adattarsi a cambiamenti che comunque non

sopraggiungono che molto di rado.

Il protocollo della congruenza dovrebbe essere compilato dal tutor o dall’operatore

direttamente responsabile dell’inserimento lavorativo della persona con difficoltà, e magari

si auspica che venga usato insieme ad altri strumenti o procedure che valutino l’idoneità

delle abilità specifiche di una persona alle particolari richieste di un determinato ambiente

di lavoro.

Esso può essere usato per:

a) Coadiuvare gli operatori nel determinare quale posto, tra i possibili, si adatta

meglio alle competenze di una persona;

b) Aiutare gli operatori a determinare quale persona tra quelle disponibili, è più

idonea ad un particolare posto di lavoro;

c) Assistere gli operatori nell’identificare le discrepanze tra gli individui e le

richieste dei posti disponibili che richiedono un intervento, se si desidera che i

posti vengano mantenuti nel tempo.

Page 82: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

In generale per stabilire se una particolare discrepanza riveste un’importanza

critica sufficiente a garantire la necessità di un intervento, è opportuno assumere

come punto di partenza le linee guida esposte di seguito:

1) Discrepanza per la quale l’intervento ha la priorità più alta: item

negativi inaccettabili;

2) Discrepanza per la quale l’intervento ha una priorità

moderatamente alta: item positivi critici;

3) Discrepanza per la quale l’intervento ha una priorità moderata:

item negativi tollerabili;

4) Discrepanza per la quale l’intervento ha la priorità più bassa:

item positivi desiderabili.

Page 83: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

Capitolo V

L’ESPERIENZA DELLA COOPERATIVA

SOCIALE “IN CAMMINO” DI PISTOIA

Page 84: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

V.1 Presupposti teorici e culturali della cooperativa

sociale “In Cammino” nella pratica d’inserimento

lavorativo di soggetti svantaggiati.

Avere un lavoro vuol dire, prima d’ogni altra cosa, garantirsi una certa

stabilità nel tenore di vita, nelle relazioni affettive e, più in generale, nella vita

sociale. Oltre alla funzione manifesta di produrre beni, il lavoro produce anche una

serie di funzioni latenti: chi lavora acquista una certa legittimazione sociale (è

accettato dalla società, in quanto lavorando si crea un proprio ruolo sociale),

inoltre il lavoro spinge ad un’affermazione personale attraverso un consolidamento

della personalità e stimola il soggetto alla crescita, a migliorarsi.

Il lavoro, in ogni caso, oltre ad avere una valenza come strumento di

produzione di benessere e sicurezza, se ben strutturato può avere funzioni di tipo

educativo – riabilitativo: un esempio molto esplicito è rappresentato per l'appunto

dalle esperienze relative agli inserimenti lavorativi di soggetti svantaggiati. La

possibilità di interagire, di produrre, di responsabilizzarsi (iniziando anche solo a

rispettare gli orari di lavoro), stimolando l’uscita dalla logica assistenziale, sono gli

elementi chiave in ogni tipo di progetto risocializzante o riabilitativo e possono

essere sperimentati proprio nell’ambito lavorativo. E’ chiaro che tutte queste

funzioni devono essere riferite e pensate col soggetto del progetto su cui si lavora,

e con l’ambiente in cui si va creando il nuovo ruolo professionale del soggetto

inserito.

L’operazione d’inserimento lavorativo di fasce deboli si presenta come

un’operazione connotata da una doppia complessità 117: da un lato quella collegata

con l’organizzazione sociale (l’evoluzione del mercato del lavoro, le nuove

tecnologie, i cambiamenti organizzativi), dall’altro la complessità collegata ai

soggetti coinvolti.

Per sperare in un buon esito dell’inserimento è necessario far crescere nel soggetto

una certa predisposizione al lavoro e suscitare in lui quelle potenzialità in grado di renderlo

“recettore” degli elementi positivi che si possono ritrovare in un ambiente lavorativo. In

117 Cfr. C.Lepri, Lavoro e fasce deboli, Franco Angeli, Milano, 1999

Page 85: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

questo tipo di percorso è fondamentale, oltre alla figura del tutor aziendale118, anche quella

dell’operatore sociale, che all’interno della cooperativa “In Cammino” coincide con altre

figure professionali illustrate in precedenza, come ad esempio quella del tutor,

dell’accompagnatore dell’inserimento lavorativo, del mediatore, nonché quella del

facilitatore. All’interno della cooperativa tutte queste figure sono pertanto riconducibili ad

unico soggetto.

Estendendo tali definizioni in senso più generale s’impongono però alcune

precisazioni. Generalmente alla figura del tutor è attribuito come oggetto della

relazione con l’utente, il perseguimento d’obiettivi di tipo formativo, come aiutare

ad acquisire competenze, a sviluppare la capacità di apprendere, a porsi come

soggetto autonomo nella realtà sociale.

Alla figura dell’operatore sociale è invece relegata la funzione di esplorare

le dinamiche intrapsichiche personali del soggetto affidato, i rapporti con la

famiglia, con il gruppo dei pari, lo scioglimento dalle forme di dipendenza.

In quel che può essere definito come il percorso d’aiuto e promozione, che

l’operatore/tutor instaura con l’utente, possono essere evidenziate alcune fasi. E’

chiaro che questa scansione in fasi corrisponde solo parzialmente alla realtà

fattuale119, perché se fosse seguita in modo automatico, il processo d’aiuto

risulterebbe irrigidito, tale da non poter più rispondere in modo originale alle

necessità soggettive dell’utente.

Appropriarsi del concetto di processualità ed utilizzarlo nell’ambito di un intervento di

sostegno all’utente significa considerare tutte le sue varie tappe in una successione non

automatica, ma soggetta a variazioni, a retroazioni, a rimandi continui derivanti da

momenti di valutazione in cui sono analizzati criticamente i vari momenti del processo. “Il

percorso d’aiuto prende forme che si distanziano dalla successione prevista, poiché

l’evoluzione subisce degli arretramenti, dei ritorni, dei blocchi e le operazioni che vi sono

contenute non si concludono una volta per tutte120”. Questa stessa logica vale anche nello

specifico per l’inserimento lavorativo, in quanto essendo formato da più fasi, l’operatore

sociale inizia ad attivarsi in tal senso già da subito, andando a rilevare quegli elementi

indispensabili per delineare le basi su cui poi, in futuro, compiere scelte relative

all’inserimento nella società lavorativa.

Nella fase d’esplorazione l’operatore, dopo aver ricevuto la richiesta dalla

118 Per la definizione di questa figura professionale si rimanda a quanto illustrato nel capitolo n° 3 e 4 del presente lavoro.

119 F.Ferrario, Le dimensioni dell’intervento sociale, Nuova Italia Scientifica, Urbino, 1996120 F.Ferrario, Le dimensioni dell’intervento sociale, op. citata

Page 86: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

persona, inizia a ricostruire la situazione attuale dell’utente così da arrivare alla

definizione di un quadro problematico definito, nel quale sarà attivato l’intervento

dell’operatore. Raggiunta questa prima meta, utente e operatore giungono ad un

accordo operativo in cui sono concordati il “verso dove ci s’incammina” e il “perché

si lavora”, insomma, il tipo d’intervento, gli obiettivi e gli strumenti necessari per

raggiungerli.

La seguente fase di realizzazione dei contenuti degli accordi vede accanto

al soggetto il sostegno dell’operatore, che organizza il suo affiancamento in

funzione dell’orientamento, del supporto e del richiamo verso impegni assunti

dall’utente nella prima fase.

Al termine d’ogni intervento è prevista la fase di valutazione, che non

rappresenta soltanto la conclusione di quel particolare intervento, ma costituisce,

attraverso le riflessioni maturate in sede valutativa, nuovo materiale conoscitivo,

che sarà utilizzato per la predisposizione di futuri interventi.

Predisporre un progetto d’inserimento lavorativo comporta un lavoro che parte

ben prima del formale atto del contratto di lavoro. È necessario, già da subito,

iniziare a curare con particolare attenzione gli ambiti già descritti: il mondo del

lavoro, le risorse disponibili sul territorio d’azione e la persona.

L’utente in carico ai servizi sociali offre, solitamente, un quadro della propria

vita burrascoso, in modo particolare per ciò che concerne la qualità e la quantità

delle relazioni sociali, affettive e lavorative. Da questa situazione di partenza il

soggetto dovrebbe intraprendere un percorso di maturazione che lo possa portare

ad affrontare il lavoro. Prima di tutto, dovrà essere in grado di rispettare i vincoli

che il lavoro impone: il dover svolgere quel particolare lavoro magari con quel

particolare compagno, il dover rispettare gli orari di lavoro sopportando la fatica,

avere una presenza costante, nonché rispettare le “gerarchie” ed i ruoli. Inoltre è

abbastanza chiaro che la funzione risocializzante del lavoro, sebbene sia sempre

presente, spesso è nascosta da elementi d’ostilità e competizione interna. E’

necessario allora che il soggetto sia supportato, nel senso di renderlo

progressivamente in grado di recepire e distinguere gli elementi positivi del proprio

ambito lavorativo, quando quest’ultimi sono apparentemente meno evidenti.

“Se il processo d’aiuto, con i suoi interventi, si pone come obiettivo la

produzione di benessere ed autonomia, allora dovrà influenzare la qualità della

vita delle persone attivando soprattutto processi d’apprendimento, che fanno

Page 87: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

maturare nelle persone nuove strategie di fronte ai problemi quotidiani 121”. Questo

concetto può essere incluso nel più ampio concetto di counselling espresso da

Rogers, con cui s’intende quella strategia d’aiuto in cui si cerca di fare in modo

che il soggetto si riappropri del proprio ruolo individuale e sociale e gestisca il

problema attraverso scelte di cui si assuma le proprie responsabilità 122.

Visto in questo senso, diviene dunque molto importante che il soggetto si

faccia capace di bilanciare ed orientare le proprie competenze ed i propri

strumenti.

V.2 Breve presentazione della cooperativa sociale “In

Cammino” e descrizione della sua metodologia

d’intervento e degli strumenti utilizzati.

L’idea di costituire una cooperativa sociale, che abbia come finalità

l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, nasce, oltre che da aspetti legati

alle motivazioni etiche di carattere personale dei propri soci fondatori, anche da

alcune considerazioni riguardanti i mutamenti sociali ed economici, che hanno

investito negativamente in questi anni la nostra società e il mondo del lavoro nel

suo insieme.

Nel settore lavorativo si assiste ad una sempre maggiore specializzazione del

personale occupato. Tanto i ruoli, che le figure intermedie del processo lavorativo,

sono messe ai margini e soppiantate da un meccanismo economico che richiede

una redditività e una capacità lavorativa alta. L’alto costo del lavoro e le nuove

esigenze del mercato contribuiscono ad un processo di questo tipo.

Il risultato evidente dal punto di vista occupazionale, è che le fasce cosiddette

deboli sono espulse dal mercato del lavoro, e si vengono a creare situazioni di

doppio disagio: alle difficoltà sociali esistenti si sommano quelle derivanti da una

mancata collocazione lavorativa. Quest’ultima è poi motivo sufficiente per

alimentare e moltiplicare ulteriori tensioni sociali.

Il divario fra chi ha avuto condizioni favorevoli dalla vita e chi invece non le ha

avute, non necessariamente per loro scelta, si allarga sempre di più producendo 121 F.Ferrario, Le dimensioni dell’intervento sociale, op. citata. 122 R.Mucchielli, Apprendere il counseling, Erickson, Trento, 1996

Page 88: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

maggiori povertà.

Il lavoro sta così perdendo una fisionomia ed un ruolo educativo che gli

compete e che sta nella sua stessa essenza: la capacità di mettere in relazione

persone, integrarle fra di loro, essere motivo di crescita e di sviluppo di processi

d’autonomia della persona, colmando difficoltà di tipo sociali.

La persona in quanto tale ha il diritto di essere accolta e valorizzata nel

contesto della società, ed anche stimolata a superare difficoltà che si possono

essere presentate in momenti particolari della vita.

L’inserimento lavorativo è, secondo la filosofia della cooperativa, un mezzo

concreto con cui può essere accompagnato un processo di questo tipo che deve

veder convivere solidarietà e qualificazione, per non fermarsi a soluzioni di tipo

assistenzialistico.

Con questi intendimenti e nell’adesione ai principi e alle norme che regolano il

mondo della cooperazione sociale, si è costituita a Pistoia, nel Luglio del 1996, la

“In Cammino” Cooperativa Sociale. La cooperativa è nata dalla trasformazione di

una preesistente azienda individuale, che dopo diversi anni d’attività nel settore

artigianale della carpenteria in ferro, ha modificato la propria struttura adeguandosi

alle normative di legge sulla cooperazione sociale.

Nel tentativo di coniugare l’aspetto lavorativo, con quello del recupero delle

persone svantaggiate, servendosi proprio dell’inserimento lavorativo come

strumento ri/educativo, la cooperativa sociale si trova a svolgere un duplice ruolo:

quello di normale impresa artigiana, e quello d’agenzia formativa, la cui azione

socio educativa è rivolta ai soggetti con difficoltà di tipo clinico e/o sociale.

Il numero delle persone svantaggiate, che sono regolarmente assunte dalla

cooperativa attraverso il Contratto Collettivo Nazionale delle Cooperative Sociali,

percependo una regolare busta paga, deve costituire, ai sensi della legislazione

vigente, almeno il 30% dei lavoratori “normodotati” della cooperativa stessa 123.

L’inserimento lavorativo avviene cercando di accompagnare ciascuna di

queste persone lungo un percorso formativo, che preveda nel tempo l’acquisizione

di competenze lavorative ed un serio tentativo di eliminare le situazioni di

svantaggio, al fine di permettere loro, conseguentemente all’esperienza all’interno

della cooperativa stessa, un concreto sbocco lavorativo presso altre aziende

esterne. Per facilitare quest’obiettivo sono attivate insieme al lavoro anche delle

ore specifiche di formazione professionale, in modo da consentire un’acquisizione

123 Fonte art. 4 legge n° 381/91, disciplina delle cooperative sociali.

Page 89: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

più precisa delle varie tecniche di lavorazione.

Per questi motivi sono presenti in azienda, sia operai qualificati, sia degli

operatori sociali con funzioni di tutoring e accompagnamento psico - pedagogico.

La Cooperativa sociale, in conformità con quanto richiesto dal Ministero del

Lavoro, si trova così a svolgere il ruolo di “un’azienda ponte”, dove si compie un

percorso lavorativo, che punta ad una qualifica professionale e ad un’acquisizione

di regole comportamentali, tali da permettere una reale immissione sul normale

mercato del lavoro124.

La cooperativa dal punto di vista lavorativo svolge la propria attività nel

settore della carpenteria in ferro, nell’imbiancatura, nella verniciatura su ferro e

legno, nonché nelle opere di restauro di portoni e cancelli. Il lavoro si svolge su

diversi cantieri, che sono gestiti a seconda delle fasi e necessità lavorative.

L’inserimento delle persone svantaggiate avviene attraverso i settori di lavoro

sopra indicati, cercando d’accompagnare ciascuna di loro insieme ad un operaio

qualificato della cooperativa, a seconda del grado di competenza che ogni persona

riesce ad esprimere. Si vengono così a formare delle squadre miste (una in

laboratorio, due al montaggio ed una nel settore della verniciatura), dove è

possibile individuare un responsabile già esperto nel lavoro insieme a persone

meno qualificate.

Parallelamente all’esperienza lavorativa le persone inserite ricevono un

accompagnamento di tipo pedagogico da un operatore della cooperativa stessa,

con il quale sono previsti degli incontri di monitoraggio e verifica, generalmente

con cadenza mensile.

Dall’inizio della propria attività, in conformità con il proprio scopo statutario, la

cooperativa “In Cammino”, all’interno dei propri ambiti di lavoro, ha inserito

complessivamente 56 soggetti. Nello specifico sono state inserite le seguenti

tipologie: 22 minori con situazioni familiari a rischio, 15 detenuti ammessi alle

misure alternative alla pena detentiva, 2 invalidi civili, 5 psichiatrici, 9 soggetti con

problemi di tossicodipendenza, 3 soggetti con problemi d’alcolismo. Gran parte

degli inserimenti lavorativi di questi soggetti è avvenuta su segnalazione dei

servizi sociali delle varie circoscrizioni del Comune di Pistoia, del Ser.t (servizio

tossicodipendenze), della Psichiatria dell’azienda Asl di Pistoia e dalle assistenti

sociali del CSSA (Centro servizi sociali per adulti) del Ministero di Grazia e

124

Cfr. Atti del Convegno “Dal disagio individuale al Benessere collettivo”, 3 Dicembre 2004 Palazzo comunale di Pistoia.

Page 90: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

Giustizia. Questi Enti, al momento dell’ingresso delle persone all’interno della

cooperativa, hanno certificato con un atto formale il loro status di persone

svantaggiate.

Il bilancio riguardo all’andamento delle persone inserite può considerarsi

positivo, infatti, gran parte di loro, dopo aver completato il percorso in cooperativa,

hanno trovato una collocazione lavorativa stabile presso altre realtà di lavoro.

Il percorso d’inserimento lavorativo presso la cooperativa sociale “In Cammino”

prevede l’acquisizione graduale di competenze lavorative, nonché l’acquisizione di

competenze trasversali (rispetto di regole, capacità relazionale, tenuta della dimensione

lavorativa globale). Le fasi del percorso, volendo schematizzare, sono così strutturate:

1) Accoglienza e preparazione di base;

2) Trasmissione di competenze lavorative professionali e trasversali;

3) Autonomia nei processi lavorativi;

4) Fuoriuscita dalla cooperativa e assunzione presso un’altra realtà

di lavoro.

Ciascuna fase del percorso prevede al suo interno l’individuazione d’obiettivi precisi,

che il soggetto, in accordo con l’operatore sociale della cooperativa, s’impegnerà a

raggiungere.125

E’ riportato di seguito uno schema esplicativo delle fasi del percorso, che riassume la

metodologia adottata negli inserimenti lavorativi. I tempi di durata d’ogni singola fase

riportate nello schema, sono da intendersi in senso generale, in quanto il progetto

d’inserimento lavorativo viene di volta in volta adattato, in relazione alle specificità d’ogni

singolo lavoratore svantaggiato inserito.

125 Sul tema riguardante il contratto di cambiamento che si stipula tra il tutor/operatore sociale della cooperativa e la persona inserita, si veda quanto riportato dal cap. 2 della presente tesi.

Page 91: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati
Page 92: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

V.3 Aspetti valutativi sulla tipologia dei percorsi

d’inserimento lavorativo realizzati all’interno della

cooperativa sociale.

A) Soggetti provenienti dall’area psichiatrica.

Il livello di disturbo psichico presentato da quest’utenza è stato di medio livello.

Nella gran parte dei casi si è trattato di soggetti affetti da malattie come depressione

e disturbo della personalità, con dei precedenti ricoveri ospedalieri. Al momento

della segnalazione alla cooperativa i medici e gli operatori di riferimento hanno

ritenuto tali soggetti in grado di essere inseriti gradualmente all’interno del contesto

lavorativo, prevedendo nel contempo delle forme d’accompagnamento. Inizialmente

sono stati inseriti attraverso lo strumento dell’inserimento socio – terapeutico,

prevedendo un periodo d’impiego part – time e con oneri assicurativi e contributivi,

spettanti alla persona inserita, totalmente a carico dell’azienda sanitaria locale126.

Successivamente per alcuni di loro l’inserimento socio terapeutico, dopo un graduale

aumento dell’impegno lavorativo, si è trasformato in un contratto d’assunzione; per

altri, invece, non si sono presentati a livello soggettivo quei requisiti minimi per

procedere in questa direzione.

Esprimendo alcune valutazioni a riguardo possiamo constatare che la

cooperativa sociale “In Cammino”, per il tipo di lavorazione che svolge, riguardante i

settori della carpenteria in ferro e quello del restauro del legno, e per gli obiettivi

d’autonomia che si pone per ciascun soggetto inserito, come illustrato in precedenza,

non si è in qualche modo dimostrata particolarmente “adatta” alla forma di svantaggio

di tipo psichiatrico. Infatti, seppur la cooperativa si presenta come un ambiente di

lavoro protetto, è pur sempre una realtà lavorativa. Pertanto gli obiettivi di

un’acquisizione di competenze, nonché il raggiungimento di una progressiva

126 L’inserimento socio – terapeutico segue le modalità operative e legislative del tirocinio lavoro. Per una presentazione dettagliata si rimanda al capitolo n°4 dedicato prettamente a quest’argomento.

Page 93: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

autonomia lavorativa, si sono rivelati obiettivi “troppo alti” per soggetti affetti da

patologie significative di tipo psichiatrico.

Dall’analisi appena esposta non potendosi realizzare per queste persone lo

schema dell’inserimento illustrato in precedenza, la cooperativa ha cercato di

orientare gli utenti verso canali di lavoro più tutelanti, che dessero più garanzie e

tenessero in considerazione le difficoltà e i bisogni specifici. I soggetti provenienti da

quest’area di svantaggio, che hanno terminato il proprio percorso lavorativo, hanno

così trovato in qualche modo una risposta positiva al problema lavoro, da verificarsi

nel tempo, attraverso i percorsi di collocamento mirato gestiti dalla Provincia di

Pistoia127. Il ruolo svolto dalla cooperativa con i soggetti in questione è stato

soprattutto quello di accompagnarli verso questo tipo di percorsi esterni, rendendo

effettivo il loro inserimento nel mondo del lavoro. L’azione d’accompagnamento si è

pertanto così articolata:

- Accoglienza in ambito lavorativo all’interno della cooperativa puntando alla ri-

acquisizione di una minima capacità relazionale, saper sostenere la dimensione

lavorativa complessiva, nonché, dove possibile, acquisire alcune competenze

professionali di base;

- Accompagnamento per l’espletamento delle pratiche burocratiche al fine del

riconoscimento dello stato dell’invalidità civile e la conseguente iscrizione nelle liste

di collocamento relative alle categorie protette gestite dal Servizio Lavoro dell’Ente

Provincia.

- Inserimento dei soggetti all’interno dei percorsi di collocamento mirato, favorendo

l’incontro tra gli operatori del Servizio Lavoro e gli utenti stessi.

127 Cfr. Disposizioni legislative della legge n° 68/1999 sul collocamento mirato rivolto ai soggetti disabili o con invalidità civile, riconosciuta dall’apposita commissione medica locale.

Page 94: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

B) Detenuti ammessi alle misure alternative alla pena detentiva.

L’inserimento di questi soggetti all’interno della cooperativa è avvenuta per

singolo caso su segnalazione dell’ufficio educatrici della Casa Circondariale di

Pistoia, o su richiesta diretta d’alcuni detenuti che conoscevano l’attività della

cooperativa.

In un primo momento l’operatore sociale della cooperativa ha svolto dei colloqui

interni all’istituto penitenziario con le persone interessate, andando ad esaminare il

quadro generale dei soggetti, cercando anche di capire se vi fossero le condizioni

giudiziarie per accedere alle misure alternative alla pena detentiva, come

l’ammissione al regime della semilibertà o l’affidamento ai servizi sociali.128

Conseguentemente a queste prime verifiche, la seconda fase ha riguardato

l’impostazione di un’ipotesi di progetto d’inserimento lavorativo, prevedendo, qualora

ve ne fossero state le necessità, anche altre forme d’accompagnamento, come ad

esempio quelle di tipo terapeutico – sanitario. Questa fase di lavoro ha previsto il

confronto tra l’operatore sociale e gli altri soggetti istituzionali coinvolti: l’educatrice

dell’Istituto penitenziario, l’assistente sociale del CSSA (Centro servizi sociali per

adulti)129, nonché per alcune situazioni anche gli operatori del Ser.T (servizio 128 Cfr. quanto stabilito in materia legislativa per i condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione previste

dagli articoli 47, 47-bis, 47-ter e 48 della legge 26 luglio 1975, n. 354, come modificati dalla legge 10 ottobre 1986, n. 663, nonché dell’articolo 21 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni.

129 Le competenze operative dei CSSA sono individuate nella Legge n. 354 del 26/7/1975 di Riforma dell'Ordinamento Penitenziario (o.p.), nel Regolamento d’Esecuzione (R.E.), D.P.R. 431/76, ed in altre leggi successive. I C.S.S.A. hanno specifici compiti e responsabilità in relazione alle misure alternative, alle sanzioni sostitutive ed alla libertà vigilata. • Per quanto riguarda l'affidamento in prova al servizio sociale (art. 47 o.p., come modificato dalla Legge 27/05/98

n.165) "il condannato può essere affidato al servizio sociale ..." e quest'ultimo ne "controlla la condotta e lo aiuta superare le difficoltà d’adattamento alla vita sociale, anche mettendosi in relazione con la sua famiglia e con gli altri ambienti di vita" (art. 47 comma 9). "Il servizio sociale riferisce periodicamente al Magistrato di Sorveglianza sul comportamento del soggetto" (idem, comma 10);

• Il servizio sociale è altresì competente per (art. 94 ), ovvero l'affidamento concesso a soggettitossicodipendenti o alcool dipendenti che abbiano in corso un programma di recupero o che ad esso intendano sottoporsi;

• Nei confronti dei soggetti ammessi al regime di semilibertà (artt. 48 e 50 o.p.), l'attività di vigilanza ed assistenza è espletata in via primaria dal servizio sociale. "La responsabilità del trattamento resta affidata al direttore dell'Istituto, che si avvale del Centro di servizio sociale" (art. 92, comma 3, reg. es.);

• I Centri provvedono "... a prestare la loro opera per assicurare il reinserimento nella vita libera dei sottoposti a misure di sicurezza non detentive" (art. 72 comma 4 o.p.), e più specificamente, "il servizio sociale svolge compiti di sostegno e d’assistenza..." nei confronti dei sottoposti alla libertà vigilata", al fine del loro reinserimento sociale" (art. 55 o.p.). Anche nel caso di libertà vigilata a seguito della liberazione condizionale "al C.S.S.A. è affidato il compito di aiutare il soggetto ai fini del suo reinserimento. Il Centro riferisce periodicamente al Magistrato di Sorveglianza sui risultati degli interventi effettuati." (art. 55 o.p. e art. 95 r. e.);

• I Centri di Servizio Sociale possono svolgere, per richiesta della Magistratura di Sorveglianza, eventuali "interventi idonei al reinserimento sociale" anche per i condannati sottoposti alle misure sostitutive della e della (artt. 53, 55 e 56 della Legge 24 novembre 1981 recante "Modifiche al sistema penale");

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tossicodipendenze delle Unità sanitaria locale) ed i servizi sociali del territorio.

Per quanto riguarda questa tipologia d’utenza si è rilevato nel corso del tempo

una buona percentuale d’inserimenti riusciti. Il soggetto detenuto, con la possibilità di

svolgere attività lavorativa all’esterno, è naturalmente un utente motivato, perché in

parte vuole realmente uscire da certe situazioni di marginalità, dall’altra,

specialmente nel regime di semilibertà, è consapevole che in qualche modo “non può

sgarrare”. Il rischio della revoca del beneficio ottenuto, in questo caso, funge da forte

deterrente.

Possiamo comunque precisare che anche per questa tipologia d’utenza, quando

oltre al problema della detenzione si unisce anche quello della tossicodipendenza, o

problemi d’ordine psichiatrico, la situazione diventa sicuramente più problematica. I

detenuti tossicodipendenti subiscono durante la detenzione una disintossicazione

forzata, pertanto non si ha più un utilizzo di sostanze stupefacenti da parte del

soggetto, ma permangono tutti quei problemi soggettivi di carattere psicologico, che

hanno spinto la persona alla tossicodipendenza. Questi problemi “riesplodono”

quando la persona esce dal carcere, pertanto al soggetto detenuto

tossicodipendente, oltre all’inserimento lavorativo deve essere offerto anche un altro

tipo d’accompagnamento, tramite il Ser.T o attraverso altri strumenti terapeutici.

Dall’esperienza degli inserimenti svolti all’interno della cooperativa sociale “In

Cammino” possiamo affermare che, qualora i servizi sanitari preposti (Ser.T e/o unità

psichiatrica) non fossero disponibili ad una seria presa in carico della persona, o se

quest’ultima rifiutasse il loro intervento, sarebbe più opportuno rinunciare

all’attivazione di un percorso lavorativo, perché in questi casi il solo strumento lavoro,

seppur svolto all’interno del contesto di una cooperativa sociale, non risulterebbe

sufficiente per fronteggiare alle problematiche presenti nel soggetto, e pertanto non

sarebbe possibile svolgere alcuna azione socio -riabilitativa.

• Il direttore dell'Istituto di pena può richiedere ai Centri interventi di servizio sociale in favore degli ammessi al lavoro all'esterno (art. 21 o.p.), con particolare riferimento alla tutela dei diritti e della dignità del detenuto e dell'internato (art. 46 reg. es.).

Page 96: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

c) Minori con disagio socio – familiare.

La problematicità di questi soggetti è per certi aspetti più complessa, rispetto ai

casi precedentemente descritti. Ci troviamo di fronte a ragazzi con una personalità

non ancora definita. L’età stessa, coincidente con il periodo adolescenziale, anche in

soggetti provenienti da un contesto familiare “normale”, si contraddistingue

generalmente con un comportamento antisociale, che si manifesta contro le

istituzioni e contro tutto quello che può essere identificato con l’autorità costituita. Tali

soggetti vivono con difficoltà l’accettazione delle regole, sono discontinui e non

accettano consigli. Questo comportamento che contraddistingue il periodo

adolescenziale in soggetti “normali”, lo troviamo triplicato e più violento nei ragazzi

che vivono un disagio socio - familiare. Le ragioni possono essere tante, anche in

questo caso provo ad indicarne alcune:

La mancanza di figure di riferimento significative con le quali aver condiviso un

rapporto educativo, ma anche autentici sentimenti d’affetto. Alcuni

atteggiamenti violenti sono quasi sempre una conseguenza di una carenza

d’affetto e di gesti d’attenzione, che purtroppo non hanno ricevuto.

L’uso di sostanze stupefacenti, le cosiddette “droghe leggere”, assume per

questi soggetti una dimensione (seppur gradualmente) incontrollabile, che in

qualche modo tende sempre più a dominarli. Infatti possiamo constatare che

in molti casi tali soggetti tendono ad amplificare le situazioni problematiche di

partenza, in quanto l’uso ripetuto di sostanza abitua a non affrontare le

situazioni difficili e progressivamente anche una piccola frustrazione

quotidiana diventa un problema insormontabile, che richiede la presenza della

sostanza stessa per essere superato. Progressivamente questo tipo

d’atteggiamento modifica in senso negativo il comportamento di questi

ragazzi, nonché la loro capacità relazionale e d’adattamento ai vari contesti,

siano essi di tipo sociale o lavorativo. Anche il loro livello d’attenzione,

costanza e concentrazione, gradualmente viene meno, rendendo problematico

il prosieguo della loro attività lavorativa.

Page 97: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

La fase dell’inserimento lavorativo di questi soggetti all’interno degli ambiti di

lavoro della cooperativa hanno evidenziato alcuni aspetti problematici che riporterò di

seguito.

Per quanto riguarda l’ambito esterno al lavoro è stata riscontrata in alcuni casi

l’assenza dei servizi sociali, che come Enti pubblici dovrebbero svolgere un

ruolo di monitoraggio e d’accompagnamento, oltre a quello svolto dalla

cooperativa, durante l’intera fase del progetto individuale d’inserimento

lavorativo. E’ stata rilevata che per alcune situazioni la dimensione lavorativa da

sola non è sufficiente per affrontare le problematiche presentate dai ragazzi, e

pertanto è necessario l’intervento di uno psicologo e/o degli operatori del Ser.T,

nonché quello dei servizi sociali del territorio. La difficoltà riscontrata è stata nel

mettersi in relazione con queste strutture, sia per il tempo d’attesa troppo lungo,

sia come nel caso delle assistenti sociali, per il fatto di non avere sempre

un’unica persona di riferimento. In molti casi si assiste ad un repentino

succedersi delle assistenti sociali nell’arco di pochi mesi, creando così grossi

disagi all’utenza, ma anche agli operatori che in qualche modo con questi servizi

devono rapportarsi.

Un’analisi critica porta ad affermare che un errore commesso dagli operatori

della cooperativa è stato forse anche quello, in alcuni casi, di aver voluto trovare

delle soluzioni alle problematiche dei ragazzi, senza aspettare che maturassero

loro stessi un’esigenza di cambiamento e fossero così gli attori principali della

trasformazione delle proprie visioni del mondo. Questo ha indotto gli operatori

stessi a “rincorrerli troppo”, quasi a fargli le cose più che fare in modo che le

facessero, andando a determinare situazioni in cui invece di accompagnare

questi soggetti, fossero in qualche modo “portati”. Dopo una prima fase in cui è

naturale che vi sia uno sbilanciamento dei propri operatori nei confronti di questi

utenti, cercando di coinvolgerli in un progetto, dovrebbe seguire una seconda

fase (e questo è l’aspetto critico), in cui la cooperativa svolge un ruolo di stimolo

verso un cambiamento che parta da situazioni concrete e verificabili, ma in

nessun modo, salvo situazioni particolari, deve sostituirsi al ragazzo in ciò che

quest’ultimo è chiamato a fare. L’esperienza di questi anni ha dimostrato che

nessuno può essere spinto a fare qualcosa, se fondamentalmente, almeno per il

Page 98: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

momento, non la vuole realizzare, anche quando questa è rivolta

oggettivamente a migliorare la propria situazione. Forse dopo aver compiuto

diversi tentativi, senza aver ricevuto da parte dei ragazzi coinvolti alcuna

rispondenza, siamo arrivati alla conclusione che l’atteggiamento educativo più

appropriato, rischiando anche in molti casi l’abbandono da parte dell’utenza del

percorso d’inserimento, è quello dell’attesa, cioè aspettare che siano i soggetti

stessi che tornino per un’eventuale richiesta d’aiuto e in quell’occasione

riprovare a parlare, prendendo delle decisioni insieme sul dove e come ci si

vuole orientare.

d) Soggetti con problemi di tossicodipendenza e/o alcolismo130.

Come accennato in precedenza la problematica della tossicodipendenza

sembra essere incompatibile con l’esperienza lavorativa, quando questa non è

accompagnata anche da un’azione terapeutica significativa, che vada aldilà di una

semplice somministrazione del metadone. I numeri dei risultati relativi ai soggetti che

sono stati inseriti all’interno della cooperativa lo dimostrano. Se l’inserimento

lavorativo non è anticipato da un percorso psico – educativo serio del soggetto

tossicodipendente, (comunità, supporto psicologico, gruppi d’auto – aiuto), vi sono

scarse possibilità che questo vada a buon fine. Le ragioni della tossicodipendenza

sono da ricercarsi molte volte in situazioni familiari e sociali che hanno ostacolato uno

sviluppo sereno e completo della propria identità, tant’è che la sostanza stupefacente

sembra costituire un sostituto di questo vuoto affettivo e di mancanza di riferimenti

significativi. Pertanto il campo di lavoro su questi soggetti deve concentrarsi prima su

gli aspetti più prettamente psicologici – educativi, e solo successivamente spostarsi

su una prospettiva d’inserimento lavorativo. L’uso delle cosiddette “droghe pesanti”

rendono incompatibile l’impegno lavorativo richiesto, perché il soggetto non è nella

condizione psico – fisica per sostenere con continuità e costanza il lavoro. Può

essere pertanto tentato un percorso d’inserimento lavorativo con questa tipologia

d’utenza, solo se a monte è stato svolto un lavoro di supporto terapeutico, oppure se

questo tipo d’intervento è previsto e concretamente realizzato contestualmente alla

collocazione all’interno della cooperativa sociale.

130Alcuni degli aspetti problematici dello stato di tossicodipendenza coniugati all’esperienza lavorativa sono già stati trattati al punto b, relativo ai soggetti detenuti ammessi alle misure alternative con la possibilità di svolgere lavoro all’esterno.

Page 99: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

V.4 Progetti realizzati all’esterno degli ambiti strettamente

lavorativi della cooperativa e risultati131 conseguiti

La cooperativa sociale “In Cammino” con l’intento di perseguire gli scopi

statutari che si è data, in quanto riconosciuta anche come agenzia formativa

accredita132, ha promosso e svolto nel corso di questi anni dei progetti formativi

rivolti alle persone che rientrano nelle cosiddette “fasce deboli”. Con il

riconoscimento dell’accreditamento, la cooperativa ha inoltre ottenuto nel luglio

del 2004 la certificazione di qualità ISO 9001, sia per l’attività produttiva sia per

quella della formazione professionale. Non essendo possibile fare un resoconto

complessivo dettagliato delle attività formative realizzate in questi anni, è

presentata di seguito una sintesi della relazione sociale della cooperativa “In

Cammino”, relativa al periodo 2004. Tale relazione è sufficiente a far comprendere

la tipologia dei corsi di formazione sviluppati dalla cooperativa in questi anni,

tenendo presente che molte delle azioni formative elencate di seguito,

rappresentano la riedizione d’attività già svolte negli anni precedenti.

a) Il progetto denominato “Virgilio”, finanziato dagli Istituti Raggruppati di Pistoia133 è

stato rivolto ad alcuni giovani rientranti nell’età dell’obbligo formativo (15 – 18 anni), che

presentavano numerose difficoltà ad inserirsi nei percorsi promossi dalle istituzioni

131 E’ difficile poter definire un parametro di giudizio che stabilisca in termini assoluti quando si sono raggiunti dei risultati al termine o durante l’accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati. L’esperienza c’insegna che al di là dell’esito dell’inserimento avuto con il ragazzo, cioè che si abbia o no al termine del percorso formativo l’assunzione dell’allievo all’interno dell’azienda ospitante, rappresenta in ogni caso un risultato, in termini educativi, aver dato l’occasione al ragazzo/a di potersi confrontare con se stesso/a, inducendo ad un possibile graduale cambiamento della propria visione del mondo, così come spiegato nel capitolo uno.

132 Cfr. Direttiva in materia di accreditamento delle agenzie formative emanata dalla Regione Toscana (allegato A alla D.G.R.T. n° 436/2003 e come modificato dall’allegato A alla D.G.R.T n° 786/2003).

133 Conservatorio degli orfani, bb. e regg. 500 ca, (1722-1907). Elenco 1984. [vol. III, pag. 763] Fu istituito da Cesare Godemini nel 1722 per l'assistenza, l'istruzione e l'avviamento al lavoro di quattordici orfani e conobbe con il tempo un notevole sviluppo grazie a provvedimenti del granduca Pietro Leopoldo e a lasciti e donazioni di munifici benefattori.Il filantropo pistoiese Niccolò Puccini morendo nel 1852 elesse il conservatorio erede universale del proprio patrimonio. Con r.d. 30 giu. 1907 il conservatorio degli orfani e la pia casa di lavoro Conversini (vedi p. 764) furono unificati negli Istituti raggruppati.L'archivio afferisce all'amministrazione patrimoniale dell'ente, agli alunni ospiti, ad iniziative legate a Niccolò Puccini, quale la " festa delle spighe ", da lui organizzata negli anni 1841-1846.Con le eredità di Cesare Godemini e Niccolò Puccini giunsero inoltre al conservatorio nuclei documentari di famiglie pistoiesi ed altri documenti di vario argomento (vedi Raccolte e miscellanee, Famiglie pistoiesi e documenti diversi, p. 785). BIBL.: L. BARGIACCHI, Storia... cit., II, pp. 170-250.

Page 100: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

competenti in materia d’inserimento lavorativo. Le attività promosse dal progetto sono

state rivolte a quei soggetti, che non avevano più nessun tipo di legame né con la scuola,

né con altri percorsi d’inserimento lavorativo. Il rischio di devianza è, in questi casi, molto

elevato in quanto questi giovani si trovano ad avere pochi e sporadici rapporti con referenti

adulti appartenenti ai Servizi sociali o ad altre realtà del privato sociale. Il progetto ha

previsto degli incontri formativi della durata di tre ore ciascuno, due volte la settimana, per

un periodo di sei mesi, in cui si sono svolte delle attività sulla carpenteria in ferro,

prevedendo la presenza di un tutor e di un docente esperto nel settore. In questi incontri,

strutturati in un aumento progressivo delle ore di corso, è stato approfondito il livello

motivazionale degli allievi e sono state valutate alcune componenti essenziali per il lavoro,

quali la frequenza assidua e l’acquisizione di capacità relazionali in rapporto con i propri

compagni di lavoro, nonché con le altre figure adulte previste dal corso.

Al termine della fase d’aula – laboratorio si è svolto un periodo di stage aziendale, di

due mesi, che non aveva come obiettivo principale quello dell’assunzione. (Solo in un

secondo momento, in considerazione della giovane età degli allievi, e della normativa in

materia di collocazione al lavoro di soggetti minorenni134, può, infatti, essere preso in

considerazione attraverso nuovi progetti lo svolgimento di un periodo di stage finalizzato

all’assunzione). Per incentivare i ragazzi ad una frequenza il più possibile costante e

continua, era stato previsto, in tutte le fasi del percorso, (aula laboratorio + stage

aziendale), l’assegnazione di un compenso economico, che tenesse conto delle ore

effettivamente svolte dagli allievi.

I ragazzi coinvolti complessivamente nel progetto sono stati cinque (due in più

rispetto a quanto previsto inizialmente dal progetto).

Riportiamo di seguito una tabella riassuntiva del progetto realizzato.

Numero di soggetti inseriti in attività d’aula laboratorio 5Numero di soggetti inseriti in attività d’aula laboratorio +

stage formativo2

Numero di soggetti assunti in azienda 1

Tabella riassuntiva relativa al progetto denominato Virgilio

134 Cfr. D.lgs. n° 262 del 18 Agosto 2000, “Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 4 agosto 1999, n° 345, in materia di protezione dei giovani sul lavoro, a norma dell’articolo 1, comma 4, della legge 24 Aprile 1998, n° 128”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n° 224 del 25 Settembre 2000; nonché la legge n° 9/99 avente come oggetto le Disposizioni urgenti per l’elevamento all’obbligo di Istruzione.

Page 101: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

b) Il progetto denominato “Carcere e Lavoro”, finanziato dalla Diocesi di Pistoia, ha

promosso dei tirocini - lavoro rivolti a tre persone detenute, che sono state ammesse alle

misure alternative alla pena detentiva135. Questo tipo d’accompagnamento si è realizzato

attraverso la presenza, al fianco della persona svantaggiata, di un tutor durante tutte le

fasi del progetto. La presenza continua e assidua del tutor ha permesso gradualmente una

conoscenza reciproca con l'utenza, svolgendo una funzione di supporto e sostegno nei

momenti più difficili del percorso.

Il percorso proposto si è realizzato tenendo conto della normativa vigente, tutelando

ampiamente sia gli utenti, che le aziende, attraverso una copertura assicurativa per la

Responsabilità Civile, che per gli infortuni sul luogo di lavoro (INAIL).

Le fasi del progetto si sono così articolate:

1. Conoscenza e “selezione” dell'utenza durante i colloqui all’interno della Casa Circondariale di Pistoia;

2. Individuazione delle aziende;

3. Tirocinio lavoro;

4. Possibili inserimenti definitivi in azienda.

Riportiamo di seguito il resoconto del progetto:

E. M., un uomo di 37 anni, di nazionalità marocchina, in detenzione domiciliare, con

una moglie e due figlie a carico. Attraverso il progetto è stato autorizzato a svolgere

attività lavorativa presso una ditta artigiana di carpenteria in ferro, situata nel Comune di

Quarrata, in Provincia di Pistoia. L’inserimento è iniziato in data 29/03/’04 e si è svolto con

regolarità, evidenziando da parte del soggetto una buona partecipazione al lavoro. Con la 135 Misure alternative alla pena detentiva: Affidamento in prova al servizio sociale (art. 47 della legge n° 354/1975 e

come sostituito anche dall’art.11e 12 della legge n° 663/1986); Detenzione domiciliare (art. 47 ter, della legge n° 354/1975 e come aggiunto dall’art. 13 della legge n°663/1986); Regime di semilibertà (art.48 della legge n° 354/1975 e come modificato dall’art. 29 della legge n°663/1986).

Page 102: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

conclusione dello stage, terminato in data 30/06/’04, il soggetto è stato assunto

dall’azienda come operaio con contratto a tempo indeterminato.

V.A., un uomo di 35 anni, con problemi d’alcoldipendenza, conosciuto dal Ser.T –

(Centro Alcologico di Pistoia). Al momento in cui si sono svolti i colloqui era entrato da

poco tempo in carcere e si trovava in custodia cautelare. Ha svolto inizialmente dei

colloqui d’orientamento con il tutor del progetto e successivamente è stato inserito dal

31/05/’04 in tirocinio lavoro, presso un’azienda operante nel settore del giardinaggio.

Contemporaneamente all’inserimento lavorativo è stato attivato un programma terapeutico

con il rispettivo servizio sanitario di provenienza, che comprendeva un trattamento di tipo

farmacologico, dei colloqui di sostegno psicologico, nonché la partecipazione, per tre

giorni alla settimana, ai gruppi d’auto - aiuto organizzati dall’Associazione degli Alcolisti

Anonimi. Al termine dello stage (31/07/’04), nel quale il soggetto ha dimostrato un forte

impegno e partecipazione, si è creata l’opportunità di un’assunzione presso un’azienda

con la quale la ditta ospitante era in rapporto di lavoro. Dal mese d’Agosto del 2004 è stato

pertanto regolarmente assunto.

C.G., un ragazzo di 30 anni, residente a Pescia, in Provincia di Pistoia, con un “fine –

pena”136 fissato per il mese di Settembre del 2004. L’obiettivo dichiarato con il ragazzo è

stato quello di procedere ad un suo accompagnamento lavorativo fino alla scadenza

giudiziaria, senza porsi l’obiettivo prioritario dell’assunzione, e questo essenzialmente per

due ragioni: la residenza nel territorio di Pescia e la volontà manifestata dal soggetto di

trovare una collocazione definitiva, a conclusione della pena detentiva, vicina al proprio

luogo di residenza. Il ragazzo è stato inserito in stage presso un’azienda artigiana di

Pistoia dal giorno 22/04/’04 e successivamente, in data 06/07/’04, presso un vivaio di

Pistoia. Con il soggetto, in prospettiva di facilitare una sua collocazione futura, il tutor del

progetto ha anche svolto le seguenti azioni:

➢ Accompagnamento all’ufficio di collocamento per aggiornare la posizione

lavorativa e ottenere il riconoscimento dello status di disoccupato di lunga durata, con

conseguenti facilitazioni fiscali per l’azienda che potenzialmente fosse interessata

all’assunzione137 del soggetto.

136 Con questo termine s’intende il temine ultimo nel quale la pena sarà completamente espiata, dopo che il soggetto detenuto è stato condannato con sentenza definitiva.

137 Secondo la legge 407/90 (art.8 comma 9), le aziende che assumo a tempo indeterminato lavoratori disoccupati da almeno 24 mesi (purché non in sostituzione di lavoratori dipendenti dalle stesse imprese per qualsiasi causa licenziati o

Page 103: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

➢ Stesura del proprio curriculum vitae e segnalazione d’alcune aziende

con le quali sono stati svolti dei colloqui di lavoro.

Lo stage attraverso la cooperativa si è concluso in data 24/09/’04.

c) Il progetto denominato “Itinerari”, finanziato dai Servizi Sociali del Comune

di Pistoia, è stato articolato in quattro azioni diverse:

- Azione 1: Attività d’accoglienza e accompagnamento verso le Politiche attive

del lavoro, rivolto ad un massimo di dieci utenti (risultati poi molti di più), segnalati

dal Servizio Sociale e che necessitavano di un aiuto per meglio orientarsi nella

ricerca del lavoro ed eventualmente essere inseriti nei percorsi proposti dal

Servizio Lavoro e Istruzione e formazione Professionale della Provincia;

- Azione 2: Orientamento per la valutazione delle motivazioni al lavoro rivolto

ad un massimo d’otto utenti, che di norma hanno difficoltà ad entrare in contatto

con i servizi. Nello specifico giovani adolescenti che hanno concluso l’obbligo

scolastico, ma non ancora maggiorenni. (L’attività, che ha riguardato degli incontri

formativi sulla carpenteria in ferro con la presenza di un docente e di un tutor e

successiva prova di un mese di stage in aziende esterne, non si poneva come

obiettivo prioritario quello dell’assunzione, bensì quello di verificare le motivazioni

dei soggetti e approfondire le problematiche sociali cercando di individuare

possibili indirizzi di crescita);

- Azione 3: Percorso integrato d’inserimento lavorativo rivolto ad un massimo

di cinque persone con disagio conclamato, che hanno difficoltà a reinserirsi nel

mondo del lavoro. L’intervento formativo (attività d’aula laboratorio per tre mesi

con docente e tutor, più tre mesi di stage in azienda) si è posto come obiettivo

quella dell’assunzione in azienda dei soggetti inseriti nel progetto;

-Azione 4: Accompagnamento e tutoraggio in percorsi di tirocinio lavoro, rivolto solo a

donne. (Tale azione è stata inserita nel progetto in corso d’opera per venire incontro alle

numerose richieste provenienti dall’azione1).

sospesi) possono godere di agevolazioni previdenziali e assistenziali.

Page 104: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

In riferimento alla tipologia degli indicatori della cooperativa sociale In Cammino, che

riporta unicamente gli interventi svolti sulla base delle attività di svolte in aula – laboratorio

e negli stage formativi, si riporta di seguito una tabella riassuntiva dei risultati conseguiti

limitatamente per le azioni due e tre.

Numero di soggetti inseriti in attività d’aula laboratorio 7Numero di soggetti inseriti in attività d’aula laboratorio + stage

formativo6

Numero di soggetti inseriti in stage formativo 2Numero di soggetti assunti in azienda 4

Tabella riassuntiva relativa al progetto denominato “Itinerari” (azione 2 e 3).

Page 105: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

Appendice

Schede di monitoraggio e verifica utilizzate dai tutors della

Cooperativa Sociale “In Cammino”.

Per il monitoraggio e la verifica del raggiungimento degli obiettivi stipulati con

le persone inserire, il tutor della cooperativa utilizza alcune schede di rilevazione,

cui riportiamo di seguito una breve presentazione.

Scheda A: colloquio iniziale di conoscenza della persona Questa scheda permette la rilevazione dei dati personali del soggetto, che

chiede personalmente, o perché inviato dal rispettivo servizio sociale di

provenienza, di essere inserito all’interno degli ambiti di lavoro della cooperativa.

Tale scheda può servire, sia per un successivo inserimento della persona

all’interno della cooperativa, sia per i possibili percorsi d’accompagnamento al

lavoro attraverso i progetti esterni gestiti sempre dalla cooperativa stessa.

Scheda B: dati del soggetto inserito all’interno della cooperativaQuesta scheda è compilata successivamente all’ingresso del soggetto

all’interno degli ambiti di lavoro della cooperativa. Tale scheda riprende i dati che

erano stati trascritti nella scheda A, apportando altri tipi d’informazioni, nonché

riportando le date dei colloqui che l’operatore sociale svolgerà insieme al soggetto

inserito. La scheda è inoltre munita anche di una sorta di calendario, dove sono

riportati i giorni in cui il lavoratore è assente, oppure arriva in ritardo al lavoro,

indicandone le eventuali motivazioni.

Scheda C: progetto individuale d’inserimento lavorativo.

Si delineano le fasi e gli obiettivi specifici che seguirà il soggetto durante l’intero arco

dell’inserimento lavorativo.

Page 106: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

Scheda D: Verifica degli obiettivi del progetto

Con questa scheda l’operatore sociale, insieme alla persona inserita e al tutor

aziendale (o docente per i percorsi esterni), va ad individuare gli obiettivi specifici che il

soggetto s’impegna a raggiungere in un determinato tempo (generalmente un mese). Gli

obiettivi, individuati di volta in volta, riguarderanno sia competenze di tipo professionali, sia

quelle di tipo trasversali.

Per una maggiore comprensione si riportano di seguito i modelli delle suddette

schede.

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Conclusioni

L’azione rieducativa nei confronti dei soggetti svantaggiati necessita di misure

che non si fermino ad un disegno occupazionale in senso stretto, ma sappiano

stimolare e sostenere lo sviluppo di capacità soggettive di progettazione e

realizzazione di un progetto di vita. Nella gran parte dei casi il livello di

compromissione sociale di queste persone è tale, per cui l’intervento necessita di

un’azione difficoltosa di recupero, che si deve dispiegare nella più ampia

dimensione della vita quotidiana degli individui, che è fatta di relazioni e di

capacità di gestione delle stesse138. L’esperienza dell’inserimento lavorativo non si

esaurisce quindi nella dimensione dell’apprendimento di competenze lavorative,

ma parte del progetto sulla e con la persona svantaggiata, deve prevedere

occasioni per la formazione di competenze sociali, senza lo sviluppo delle quali

l’esperienza lavorativa rischia di rimanere fine a se stessa 139.

In questo senso l’apporto della pedagogia diventa determinante, al fine

d’individuare e progettare appropriate metodologie d’intervento, nonché per

definire la strutturazione dei progetti formativi individuali.

La cooperazione sociale, ed in particolare quella di tipo b, cioè di produzione

e lavoro, il cui scopo sociale è quello dell’inserimento lavorativo di soggetti

svantaggiati, deve essere capace di tessere vasti e positivi legami sociali (con le

istituzioni locali, il mondo del volontariato, le forze sociali, le imprese e le loro

organizzazioni), in grado di favorire percorsi di riabilitazione sociale e ridurre gli

effetti negativi dello stigma che si costituisce attorno alla sofferenza e al disagio.

L’inserimento lavorativo deve creare collegamenti e sinergie sia con la società

civile e con i servizi sociali specifici, sia con le imprese al fine d’individuare la

domanda delle professionalità richieste e, quindi, i successivi sbocchi lavorativi per

le persone inserite in cooperativa.

La cooperazione sociale non riesce a risolvere da sola il problema del lavoro

dei soggetti svantaggiati, e al fine di migliorare l’efficacia dell’intervento rispetto

all’obiettivo dell’integrazione lavorativa di queste persone, è necessario insistere

sul coinvolgimento delle imprese tradizionali. E’ necessario costruire percorsi di

reinserimento che possano sfociare nella collocazione aziendale e che sappiano

concentrarsi sulla costruzione di una risposta complessiva. C’è la necessità di 138 Su questo tema si rimanda nello specifico a quanto illustrato nel capitolo 2.139 Sul tema riguardante l’importanza delle competenze sociali vedi capitolo 4 e cfr. il testo di C. Calkins, H. Walzer,

L’adattamento all’ambiente di lavoro nei soggetti deboli. Interventi psicoeducativi di supporto, Ed. Erikson, 1996.

Page 115: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

muoversi verso la creazione di una rete integrata di servizi, che sappia

promuovere e valorizzare lo sviluppo di competenze lavorative e relazionali, e

sappia cogliere la complessità e la dinamicità delle traiettorie del disagio, per

reimpostare ipotetici indirizzi e possibili percorsi.

Questo mutamento deve dar luogo ad un processo d’attivazione di risorse e

competenze improntate a restituire al soggetto svantaggiato le basi minime per

intraprendere un cammino d’emancipazione che ha, come primo obiettivo, quello

della ricostruzione di un’identità personale complessiva, costituita sia da

competenze lavorative e professionali, sia psicologiche e sociali. Bisogna

affiancare alle misure volte all’inserimento lavorativo, azioni capaci di sostenere i

processi di sviluppo di competenze sociali, agendo in modo il più possibile

individualizzato sui molteplici e complessi fattori che determinano l’esclusione, al

fine di favorire l’inclusione e l’integrazione dei soggetti in stato di svantaggio.

Per il raggiungimento di tutti questi obiettivi, come già accennato in

precedenza, si rende sempre più necessario lavorare in futuro alla costruzione di

una rete di servizi,140 in grado di rispondere ai bisogni dei singoli e di operare su

più livelli. Nello specifico:

a) Con i servizi sociali, sanitari ed abitativi operanti sul territorio, con

l’obiettivo di affiancare e integrare l’attività svolta dalle cooperative

sociali;

b) Con il mondo imprenditoriale e le associazioni di categoria per favorire

lo scambio tra mondo profit e non profit, ed evitare che le relazioni siano

limitate alle reti amicali;

c) Con gli Enti locali e le Amministrazioni allo scopo di creare forme di

partnerariato proficue nel contesto di un welfare municipale;

d) Con il mondo del volontariato e dell’associazionismo al fine di creare

una rete di sostegno alla persona e di offrire occasioni di formazione,

scambio e socializzazione.

140 Cfr. Ministero del lavoro e delle politiche sociali - Commissione d’indagine sull’esclusione sociale (a cura di), Rapporto sulle politiche contro la povertà e l’esclusione sociale, anno 2003

Page 116: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

E’ opportuno lavorare in questa direzione affinché la parola “rete” diventi

davvero un’esperienza concreta e verificabile sul “campo”, e non solo un termine

astratto molto spesso abusato nelle conferenze e nei dibattiti, ma privo di un

riscontro reale.

Page 117: Metodi e strumenti educativi nell'accompagnamento lavorativo di soggetti svantaggiati

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Colaianni L., “La competenza ad agire nelle situazioni problematiche”, in Animazione Sociale. Mensile per gli operatori sociali, (Inserto) n° 4/2004.

Ghiotto G., “Le competenze per la transizione al lavoro”, in Professionalità, n° 38/1997.

Giugni G., “Pedagogia dell'orientamento scolastico e professionale”, in Orientamento Scolastico e Professionale, n° 1-2/1987.

Innocente L., Pradella M., “Lavoro e svantaggio sociale”, in Quaderni d’Orientamento Periodico

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Lepri C., Papone G., “Alcune considerazioni critiche sullo stato di attuazione della legge 68/99”, in Appunti, n. 5/2000.

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Leggi e decreti sul mercato del lavoro in riferimento all’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati

Legge n° 381/91 "Disciplina delle cooperative sociali".

Legge n° 104/92, “Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”.

Il Decreto Legislativo 23 dicembre 1997, n. 46951 “in materia di servizi per l’impiego e di politiche attive del lavoro”.

Legge n° 68/99, “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”.

Legge n° 193/2000, “Norme per favorire l’attività lavorativa dei detenuti”

Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 13 gennaio 2000, “Atto di indirizzo e coordinamento in materia di collocamento obbligatorio dei disabili, a norma dell'art. 1, comma 4, della legge 12 marzo 1999, n. 68”.

Decreto Legislativo 21 aprile 2000, n. 181 "Disposizioni per agevolare l'incontro fra domanda ed offerta di lavoro, in attuazione dell'articolo 45, comma 1, lettera a), della legge 17 maggio 1999, n.144"

Legge n° 328/2000 "Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali".

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Decreto Legislativo 19 dicembre 2002, n° 297, “Disposizioni modificative e correttive del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, recante norme per agevolare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, in attuazione dell'articolo 45, comma 1, lettera a) della legge 17 maggio 1999, n. 144”.

Legge n° 30/2003, "Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro".

Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n° 276 "Attuazione delle deleghe in materia dioccupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30".

Legge Regione Toscana n° 73/1982 “Interventi di preformazione professionale e per l' inserimento al lavoro delle persone handicappate”.

Legge Regione Toscana n° 44/1986 “Modifiche ed integrazioni della L.R. 6 settembre 1982, n. 73 concernente: << interventi di preformazione professionale e per l'inserimento al lavoro delle persone handicappate >>”.

Legge Regione Toscana n° 70/1994, “Nuova disciplina in materia di formazione professionale”.

Legge Regione Toscana n° 52/1998, “Norme in materia di politiche del lavoro e di servizi per l'impiego”.

Legge Regione Toscana n° 85/1998, “Attribuzione agli enti locali e disciplina generale delle funzioni e dei compiti amministrativi in materia di tutela della salute, servizi sociali, istruzione scolastica, formazione professionale, beni e attività culturali e spettacolo, conferiti alla regione dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112”.