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Magia e spazzatura Un viaggio attraverso la geografia delle parole di Emma Muracchioli (da Il sapore delle parole, cap. 3) Mentre nel primo incontro abbiamo analizzato l’aspetto semantico-antropologico del cibo e nel secondo ci siamo occupati di generi letterari, oggi scenderemo più nel concreto per vedere come possiamo costruirci delle bibliografie personalizzate sul tema. Costruiamoci una bibliografia Innanzitutto, possiamo ricorrere a strumenti di consultazione facilmente accessibili a chiunque, come gli schedari delle biblioteche pubbliche (divisi per autori e titoli o per tema) e internet, dove si possono ugualmente trovare siti di ricerca bibliografica, come quello del Sistema Bibliotecario Nazionale italiano (www.sbn.it) e quello del sistema bibliotecario lombardo (www.biblioteche.regione.lombardia.it), da cui si accede al sistema bibliotecario milanese, che comprende le biblioteche rionali e la Comunale Centrale, ovvero Palazzo Sormani.

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Magia e spazzatura

Un viaggio attraverso la geografia delle parole

di Emma Muracchioli

(da Il sapore delle parole, cap. 3)

Mentre nel primo incontro abbiamo analizzato l’aspetto semantico-

antropologico del cibo e nel secondo ci siamo occupati di generi letterari, oggi

scenderemo più nel concreto per vedere come possiamo costruirci delle

bibliografie personalizzate sul tema.

Costruiamoci una bibliografia

Innanzitutto, possiamo ricorrere a strumenti di consultazione facilmente

accessibili a chiunque, come gli schedari delle biblioteche pubbliche (divisi per

autori e titoli o per tema) e internet, dove si possono ugualmente trovare siti di

ricerca bibliografica, come quello del Sistema Bibliotecario Nazionale italiano

(www.sbn.it) e quello del sistema bibliotecario lombardo

(www.biblioteche.regione.lombardia.it), da cui si accede al sistema bibliotecario

milanese, che comprende le biblioteche rionali e la Comunale Centrale, ovvero

Palazzo Sormani.

Inoltre esistono altri siti molto utili, come quello della ricchissima Libreria del

Congresso di Washington (catalog.loc.gov) per le ricerche di testi in lingua

inglese, oppure Internet Bookshop (www.ibs.it) per acquistare libri in commercio

ma anche per leggere le schede di lettura e fare ricerche tematiche. E non

dimentichiamo i siti di appassionati della lettura, come Anobii (www.anobii.com),

in cui si può andare a curiosare nelle biblioteche virtuali di lettori affini per

cercare spunti o leggere le recensioni.

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Dovremo poi decidere se ci interessa l’aspetto più prettamente saggistico

del tema (vogliamo focalizzarci su come si mangiava nel Medioevo, per esempio,

oppure approfondire gli aspetti sociologici dell’alimentazione) o quello letterario.

Se puntiamo alla saggistica dovremo:

1. Consultare i cataloghi tematici di cui abbiamo parlato prima e trascriverci i

titoli che ci sembrano più pertinenti.

2. Annotarci i nomi degli autori più citati o che più si sono occupati del nostro

tema.

3. Consultare questi primi testi e soprattutto le loro bibliografie.

4. Riprendere la ricerca da queste bibliografie, dando ancora la preferenza agli

autori più citati o dei quali abbiamo letto qualche riferimento interessante nel

testo... e così via.

È stato con questo sistema che ci siamo procurati, per esempio, i testi

antropologici di Lévi-Strauss e Mara Mabilia, quelli di storia sociale

dell’alimentazione di Massimo Montanari e quelli storico-letterari di Piero

Camporesi (tutte classificazioni dai confini labili), come anche quelli psicologici

sulle patologie alimentari o quelli letterari sul significato delle fiabe.

Un percorso che comprenda invece solo i volumi posseduti dalle biblioteche

rionali e dalla Comunale Centrale di Milano potrebbe partire, per esempio, dalla

parola chiave «Alimentazione», per poi restringere il campo ad «Alimentazione –

Aspetti socio-culturali». I risultati saranno una novantina, e tra questi potremo

già individuare percorsi godibilissimi sul rapporto tra cibo e magia, sulla storia

dell’alimentazione, sulla simbologia della tavola...

Alimentazione – Aspetti socio-culturali (Rionali e Sormani)

Allen, Stewart Lee, Nel giardino del diavolo: storia lussuriosa dei cibi proibiti,

Feltrinelli traveller 2005

Angelini P. et al., A tavola con gli dei: la cultura del cibo tra alimentazione e

simbologia, Il cerchio iniziative editoriali 1996

Antolini, Piero, I manducanti: storia e civiltà dell’uomo a tavola, Rebellato 1983

Antomarini B., M. Biscuso (a cura di), Del gusto e della fame: teorie

dell’alimentazione, Manifestolibri 2004

Ariès, Paul, I figli di McDonald’s: la globalizzazione dell’hamburger, Dedalo 2000

Barzano, Carla, Marconi, Luisa, Buono da mangiare, Coop. Cariplo Comune 1994

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Bonder, Nilton, La teoria della felicità gastronomica, Sperling & Kupfer 2000

Boudan, Christian, Le cucine del mondo: geopolitica del gusto, Donzelli 2005

Camporesi, Piero, Alimentazione folclore società, Pratiche, Parma 1980

—, Il brodo indiano: edonismo ed esotismo nel Settecento, Garzanti 1990

—, Il pane selvaggio, Garzanti 2004

—, La terra e la luna: alimentazione folclore società, Il saggiatore1989

—, Le vie del latte: dalla Padania alla steppa, Garzanti 1993

Chef Kumale, Il mondo a tavola: precetti, riti e tabù, Einaudi 2007

Cipriani, Alberto, L’uomo è ciò che mangia: breve storia dell’alimentazione

umana, Camera di commercio industria agricoltura e artigianato, Maschietto &

Musolino 1996

—, Mangiare per vivere: breve storia sociale dell’alimentazione, Rotary Club Gli

ori 2005

Colella, Anna, Figura di vespa e leggerezza di farfalla: le donne e il cibo nell’Italia

borghese di fine Ottocento, Giunti 2003

Consiglio, Carlo, Siani Vincenzino, Evoluzione e alimentazione: il cammino

dell’uomo, Bollati Boringhieri 2003

Degli_Esposti, Piergiorgio, Il cibo dalla modernità alla postmodernità, Franco

Angeli 2004

D’Eramo, Marco, Spurlock Morgan, Il grande tritacarne, Feltrinelli 2005

Di Nallo, Egeria (a cura di), Cibi simbolo nella realtà d’oggi, Franco Angeli 1986

Diodato, Luciana, Il linguaggio del cibo: simboli e significati del nostro

comportamento alimentare, Rubbettino 2001

Dosi, Antonietta, Pasti e vasellame da tavola, Quasar 1986

Dosi Antonietta, Schnell F., Le abitudini alimentari dei romani, Quasar 1986

—, I romani in cucina, Quasar 1986

Ferrieres, Madeleine, Storia delle paure alimentari: dal Medioevo all’alba del 20.

secolo, Editori riuniti 2004

Finkelstein, Joanne, Andare a pranzo fuori: Sociologia delle buone maniere, Il

Mulino, Bologna 1992

Fischler, Claude, L’onnivoro: il piacere di mangiare nella storia e nella scienza,

Mondadori 1992

Flandrin Jean-Louis e Massimo Montanari (a cura di), Storia dell’alimentazione,

Laterza 2003

Guadagno, Giovanni, Pelizzoni Stefano, Erudite degustazioni: rimandi tra cucina e

cultura, OCD 2005

Page 4: menù bibliografico di Emma Muracchioli

Harris, Marvin, Buono da mangiare: enigmi del gusto e consuetudini alimentari,

Einaudi 1990

Istituto nazionale di sociologia rurale (a cura di), Gastronomia e società: nuovi

documenti e testimonianze, Franco Angeli 1988

Jones, Martin, Il pranzo della festa: una storia dell’alimentazione in undici

banchetti, Garzanti 2009

Kostioukovitch, Elena, Perché agli italiani piace parlare del cibo, Sperling &

Kupfer Milano 2006

La_Cecla, Franco, La pasta e la pizza, Il mulino Bologna 1998

Le Barzic, Michelle, Il miglior modo di mangiare: la moderna confusione

alimentare, Editori riuniti 2000

Lupton, Deborah, L’anima nel piatto, Il Mulino, Bologna 1999

Marchi, Cesare, Quando siamo a tavola, Rizzoli 1990

Mariotti, Fiorenza, Mazzoni, Patrizia, Buono da pensare, Comune Coop. Cariplo

1994

Marturano, Aldo, Vita di Smierd: cibo e magia nel medioevo russo, Atena 2007

Mazzetti di Pietralata Mario (a cura di), Prima colazione: come & perché, Agra

2006

Meldini, Piero, Le pentole del diavolo: cibo e eros, violenza e corruzione, Camunia

1989

Montanari, Massimo, Alimentazione e cultura nel Medioevo, Laterza 1988

—, Convivio oggi: storia e cultura dei piaceri della tavola nell’età contemporanea,

Laterza 1992

—, Convivio: storia e cultura dei piaceri della tavola: dall’antichità al Medioevo,

Laterza 1989

—, Il cibo come cultura, Laterza 2004

—, Il formaggio con le pere: la storia in un proverbio, Laterza 2008

—, La fame e l’abbondanza: storia dell’alimentazione in Europa, Laterza 1993

—, Nuovo convivio: storia e cultura dei piaceri della tavola nell’età moderna,

Laterza 1991

Montanari Massimo (a cura di), Il mondo in cucina: storia, identità, scambi,

Laterza 2002

Muller, Klaus, Piccola etnologia del mangiare e del bere, Il mulino 2005

Muzzarelli, Maria Giuseppina, Donne e cibo: una relazione nella storia, Bruno

Mondadori 2003

Nabhan, Gary Paul, A qualcuno piace piccante, Codice 2005

Page 5: menù bibliografico di Emma Muracchioli

Paolini, Davide, Tullio Seppilli, Alberto Sorbini, Migrazioni e culture alimentari,

Editoriale umbra 2002

Pollan, Michael, Il dilemma dell’onnivoro, Adelphi 2008

Poulain, Jean-Pierre, Alimentazione, cultura e società, Il mulino, Bologna 2008

Rappoport, Leon, Come mangiamo: appetito, cultura e psicologia del cibo, Ponte

alle Grazie 2003

Rebora, Giovanni, La civiltà della forchetta: storie di cibi e di cucina, Laterza

1998

Rifkin, Jeremy, Ecocidio: ascesa e caduta della cultura della carne, Mondadori

2001

Russell, Sharman Apt, Fame: una storia innaturale, Codice 2006

Scarpi, Paolo, Il senso del cibo: mondo antico e riflessi contemporanei, Sellerio,

Palermo 2005

Schivelbusch, Wolfgang, Il paradiso, il gusto e il buonsenso: una storia dei generi

voluttuari, De Donato 1988

Schlosser, Eric, Fast food nation, Marco Tropea Editore 2002

Segre, Andrea, Dalla fame alla sazietà, Sellerio 2007

Solci, Guglielmo, Degustibus: la Roma imperiale a tavola, con 140 ricette di

Apicio, Alexa 1999

Sorcinelli, Paolo, Gli italiani e il cibo: dalla polenta ai cracker, Bruno Mondadori

1999

Teti, Vito, Il colore del cibo: geografia, mito e realtà dell’alimentazione

mediterranea, Meltemi 1999

Veronelli, Luigi, Pablo Echaurren, Le parole della terra, Stampa alternativa 2003

Esistono inoltre altri testi utilissimi, come gli atti di convegni (molto spesso

universitari) o gli articoli di riviste e altri periodici, nonché i loro numeri

monografici. È il caso, per esempio, del numero 39 (1996) della rivista Avallon,

intitolato «A tavola con gli dèi. La cultura del cibo tra alimentazione e

simbologia», che contiene articoli intriganti sul nostro tema. Anche in questo

caso possiamo ricorrere ai cataloghi delle emeroteche pubbliche, così come fare

ricerche su internet e scaricare direttamente gli articoli che hanno solleticato il

nostro interesse.

Esiste infine la serendipità, che consiste nel trovare qualcosa mentre si cerca

tutt’altro. Per esempio, possiamo scegliere il saggio di Maura Franchi Il senso del

consumo perché ci incuriosisce sapere come consumatore e mercato si

influenzano a vicenda... e imbatterci nel capitolo «Il cibo: buono da pensare»,

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che affronta temi interessantissimi come la costruzione sociale del gusto o

l’estetica del cibo.

Se invece vogliamo dedicarci alla letteratura possiamo:

• Partire sempre dalla saggistica e annotarci autori e opere che vi vengono

analizzate (da Proust al più sconosciuto autore ungherese del XVII secolo).

• Procurarci libri bibliografico-antologici come il Calendario goloso di Grandi e

Tettamanti1 o il già citato Pranzi d’autore di Oretta Bongarzoni e simili, che in

genere sono prodotti editoriali agili e accattivanti.

• Fare una ricerca via internet (qui si possono trovare, per esempio, date e

modalità dei «pranzi letterari», che sono costruiti intorno alle ricette di un autore

o di un genere, e che vanno molto di moda in questo periodo).

• Seguire seminari, conferenze e programmi radiotelevisivi. Per esempio, in

questi nostri incontri ci siamo via via costruiti una bibliografia letteraria.

Riassumendo: i nostri percorsi

Dopo aver fatto le dovute ricerche, possiamo stendere una bibliografia

personalizzata. Per esempio, ecco i «menu» dei nostri incontri

Bibliografia saggistica (antropologia, filosofia, psicologia, sociologia, storia, teoria

letteraria...)

Alberini M., Storia della cucina italiana, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1992

Arachi A., Briciole. Storia di un’anoressia, Feltrinelli, Milano 1997

Barthes Roland., Miti d’oggi, Einaudi, Torino 1974

Biasin G.P., I sapori della modernità, Il mulino, Bologna 1991

Bonder Nilton, La teoria della felicità gastronomica, Sperling & Kupfer, Milano

2000

Bourdieu Pierre, La distinzione: critica sociale del gusto, Il mulino, Bologna 1983

Bruch H., La gabbia d’oro. L’enigma dell’anoressia mentale, Feltrinelli, Milano

1983

–, Patologia del comportamento alimentare, Feltrinelli, Milano 1977

Brillat-Savarin Anthelme, Fisiologia del gusto, Rizzoli, Milano 1996

Caleffi P., Si fa presto a dire fame, Mursia, Milano 1998

1 L. Grandi e S. Tettamanti, Calendario goloso, Garzanti, Milano 1999.

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Camporesi Piero, Alimentazione, folclore e società, Pratiche, Parma 1980

—, Il brodo indiano, Garzanti, Milano 1990

—, La carne impassibile, Il Saggiatore, Torino 1983

—, Il paese della fame, Il mulino, Bologna 1985

—, Il pane selvaggio, Il mulino, Bologna 1980

—, Il sugo della vita. Simbolismo e magia del sangue, Garzanti, Milano 1997

Fischler Claude, L’onnivoro, Mondadori, Milano 1992

Flandrin Jean-Louis e M. Montanari Massimo, Storia dell’alimentazione, Laterza,

Bari 1997

Franchi Maura Il senso del consumo, Bruno Mondadori, Milano 2007

Göckel Renate, Donne che mangiano troppo. Quando il cibo serve a compensare

disagi affettivi, Feltrinelli, Milano 1997

King Stephen, Danse macabre, Sperling & Kupfer, Milano 1999

Kott Jan, Mangiare Dio, Il Formichiere, Milano 1990 (riedito come Divorare gli dei,

Bruno Mondadori, Milano 2005)

Lévi-Strauss Claude, Il crudo e il cotto, Il Saggiatore, Torino 1966

—, Dal miele alle ceneri, Il Saggiatore, Torino

—, Le origini delle buone maniere a tavola, Il Saggiatore, Torino 1971

Longo Oddone e Scarpi Paolo, Homo edens: regimi, miti e pratiche

dell’alimentazione nella civiltà del Mediterraneo, Diapress, Milano 1989

Mabilia Mara, Il valore sociale del cibo, Franco Angeli, Milano 1991

Mainardi G. e P. Berta, Il vino nella storia e nella letteratura, Edizioni Agricole,

Bologna 1991

Montanari Massimo, L’alimentazione contadina nell’alto Medioevo, Liguori, Napoli

1979

—, Alimentazione e cultura nel Medioevo, Laterza, Roma-Bari 1995

—, Convivio. Storia e cultura dei piaceri della tavola, Laterza, Roma-Bari 1989

—, Convivio oggi. Storia e cultura dei piaceri della tavola nell’età contemporanea,

Laterza, Roma-Bari 1992

—, La fame e l’abbondanza. Storia dell’alimentazione in Europa, Laterza, Roma-

Bari 1993

—, Nuovo convivio. Storia e cultura dei piaceri della tavola nell’età moderna,

Laterza, Roma-Bari 1991

Okakura Kakuzo, Lo Zen e la cerimonia del tè, Feltrinelli, Milano 1997

Onfray Michel, Il ventre dei filosofi, Rizzoli, Milano 1991

Ongini Vincio (a cura di), Una fame da leggere: il cibo nella letteratura per

l’infanzia, Coop, Firenze 1994

Page 8: menù bibliografico di Emma Muracchioli

Pasini Willy, Il cibo e l’amore, Mondadori, Milano 1995

Perin Andrea, Ricette scorrette. Racconti e piatti di cucina meticcia, Eleuthera,

Milano 2009

Profeti Maria Grazia (a cura di), I codici del gusto, F. Angeli, Milano 1992

Redon O., F. Sabban e S. Serventi, A tavola nel Medioevo, Laterza, Bari 1995

Sabban F. e S. Serventi, A tavola nel Rinascimento, Laterza, Bari 1996

Salza Alberto, Niente. Come si vive quando manca tutto. Antropologia della

povertà estrema, Sperling & Kupfer, Milano, 2009.

Sarti R., Vita di casa, Laterza, Roma 1999

Sentieri M., Cibo e ambrosia. Storia dell’alimentazione mediterranea tra caso,

necessità e cultura, Dedalo, Bari 1993

Selvini Palazzoli M., L’anoressia mentale, Feltrinelli, Milano 1963

Sorcinelli Paolo, Gli italiani e il cibo, Bruno Mondadori, Milano 1999

—, Storia sociale dell’acqua, Bruno Mondadori, Milano

Tannahill R., Storia del cibo. Dalla preistoria all’alimentazione scientifica, Rizzoli,

Milano 1997

Toussant-Samat M., Storia naturale dell’alimentazione, Sansoni, Firenze 1991

Unwin T., Storia del vino. Geografie, culture e miti dall’antichità ai giorni nostri,

Donzelli, Roma 1996

Woolf Virginia, Una stanza tutta per sé, Einaudi, Torino1995

Ricettari... più o meno letterari

Allende Isabel, Afrodita, Feltrinelli, Milano 1997

Amado Jorge, Dona Flor e i suoi due mariti, Garzanti, Milano 1985

Apicio, Manuale di gastronomia (a cura di Bertozzi), BUR, Milano 1967

Artusi Pellegrino, La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene, Mursia, Milano

1989

Ascoli Vitali Norsa G. (a cura di), La cucina nella tradizione ebraica, Giuntina,

Firenze 1987

Bongarzoni Oretta, Pranzi d’autore. Le migliori ricette nei capolavori della

letteratura, Editori Riuniti, Roma 1994

Crick, Mark, La zuppa di Kafka: Storia della letteratura mondiale dalle origini a

oggi, in sedici ricette, Ponte alle Grazie, Milano 2006

Esquivel Laura, Dolce come il cioccolato, Garzanti, Milano 1991 (ora ripubblicato

con il titolo Come l’acqua per il cioccolato)

Page 9: menù bibliografico di Emma Muracchioli

Harris Johanne F. Warde, Il libro di cucina di Johanne Harris, Garzanti, Milano

2003

—, Al mercato con Johanne Harris, Garzanti, Milano 2007

Reichl Reich, Aglio e zaffiri, Ponte alle Grazie, Milano 2005

Rossanigo G. e P.L. Muggiati, Amandole e malvasia per uso di corte. Cibi e ricette

per le tavole dei Duchi di Milano, Aisthesis, Milano 1998

Vázquez Montalbán Miguel, Le ricette di Pepe Carvalho, Feltrinelli, Milano 1994

—, Ricette immorali, Feltrinelli, Milano 1992

Bibliografia letteraria

Allende Isabel, D’amore e ombra, Feltrinelli, Milano 1988

Amado Jorge, Cacao, Mondadori, Milano 1991

—, Dona Flor e i suoi due mariti, Garzanti, Milano 1985

—, Gabriella garofano e cannella, Einaudi, Torino 1991

Bharati Mukerjee, Episodi isolati, Feltrinelli, Milano 1992

Buitrago Fanny, La signora del miele, Feltrinelli, Milano 1999

Calvino Italo, Sotto il sole giaguaro, Mondadori, Milano 1992

Camilleri Andrea, Il cane di terracotta, Sellerio, Palermo 1996

Carroll Lewis, Alice nel paese delle meraviglie, l’Unità, Roma 1993

Carver Raymond, Cattedrale, Serra e Riva Editori/CDE, Milano 1987

—, Di cosa parliamo quando parliamo d’amore, Garzanti, Milano 1987

Cella Letizia, Mammacannibale, Millelire Stampa Alternativa, Viterbo 1996

Cogan Priscilla, La bussola del cuore, Frassinelli, Milano 2000

Collodi Carlo, Pinocchio, Piemme, Casale Monferrato 2001.

Della Porta Giambattista, Commedie, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2002-

2003.

Divakaruni Chitra Banerjee, La maga delle spezie, Einaudi, Torino 2001.

Esquivel Laura, Come l’acqua per il cioccolato

Fenoglio Beppe, La malora, Einaudi, Torino 1954

Flaubert Gustave, Madame Bovary, Garzanti, Milano 1965

Fruttero Carlo & Lucentini Franco, Enigma in luogo di mare, Mondadori, Milano

1991

Gadda Carlo Emilio, La cognizione del dolore, Einaudi, Torino 1963

Goldoni Carlo, La locandiera, BUR, Milano 1998

Gordimer Nadine, Un mondo di stranieri, Feltrinelli, Milano 1980

Grimm Jacob e Wilhelm, Le fiabe del focolare, Einaudi, Torino 1951

Page 10: menù bibliografico di Emma Muracchioli

Harris, Joanne, Chocolat, Garzanti, Milano 2001.

—, Le scarpe rosse, Garzanti, Milano 2007.

Harris Thomas, Hannibal, Mondadori, Milano 1999

Hauptmann Gaby, Ma poi le donne ce la fanno, Feltrinelli, Milano 2000

Hikmet Nazim, Poesie d’amore, Mondadori, Milano 2002

Huysmans Joris-Karl, A ritroso, Rizzoli, Milano 1982

—, L’abisso, SugarCo Edizioni, Milano 1990

Ibsen Eric, Casa di bambola, BUR, Milano 2002

Ionesco Eugene, Cantatrice calva, Einaudi, Torino 2003.

Janowitz Tama, Schiavi di New York, Bompiani, Milano 1989

Jerome Jerome Klapka, Tre uomini in barca, l’Unità, Roma 1993

Khayyâm Omar, Quartine, Einaudi, Torino 1956

Knight India, La mia vita su un piatto, Feltrinelli, Milano 2003

Mahfuz Nagib, Vicolo del Mortaio, Feltrinelli, Milano 1990

Mansfield Katherine, Tutti i racconti. Felicità, Adelphi, Milano 1978

Manzoni Alessandro, I promessi sposi

Mishima Yukio, Dopo il banchetto, Feltrinelli, Milano 1982

Montale Eugenio, La bufera e altro, Mondadori, Milano 1967

Moody Rick, Diviners. I rabdomanti, Bompiani, Milano 2007

Mukherjee Bharati, Episodi isolati Feltrinelli, Milano 1992

Olivieri Renato, Il dio denaro, Mondadori, Milano 1996

Osborne Frances, La stanza delle spezie, Sperling & Kupfer, Milano 2005

Pascoli Giovanni, Primi poemetti, Mondadori, Millano 1974

Pirandello Luigi, Vestire gli ignudi, L’altro figlio, L’uomo dal fiore in bocca,

Mondadori, Milano 1981

Proust Marcel, La strada di Swann, Einaudi/CDE, Milano 1989

Rabelais François, Gargantua e Pantagruele, Einaudi, Torino 1993

Reichl Ruth, Aglio e zaffiri, Ponte alle Grazie, Milano 2005 (CRE 641.5.REIC)

Reichs Kathy, Corpi freddi, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1999

Roy Arundhati, Il dio delle piccole cose, Guanda, Milano 1998

Sayers Dorothy, Veleno mortale, La Tartaruga, Milano 1990

Schine Cathleen, La lettera d’amore, Adelphi, Milano 1999

Simenon Georges, Le due pipe di Maigret, Mondadori/l’Unità, Milano 1991

Stoker Bram, Dracula, Newton Compton, Roma 1993

Stout Rex, «La traccia del serpente», in L’alta cucina del delitto, Mondadori,

Milano 1983

Tomasi di Lampedusa Giuseppe, Il gattopardo, Feltrinelli, Milano 1985

Page 11: menù bibliografico di Emma Muracchioli

Valdés Zoé, Café Nostalgia, Sperling&Kupfer, Milano 2000

Van Dine S.S., La strana morte del signor Benson, Mondadori/l’Unità, Milano 1992

Vázquez Montalbán Manuel, Il labirinto greco, Feltrinelli, Milano 1994

Wilde Oscar, L’importanza di chiamarsi Ernesto, Mondadori, Milano 1990

Yoshimoto Banana, Kitchen, Feltrinelli, Milano 1991

Yourcenar Marguerite, L’opera al nero, Feltrinelli, Milano 1986.

Da questo materiale possiamo ripartire per tracciare altri percorsi, alla

ricerca di sapori che stuzzichino il nostro appetito letterario. Oltre a quelli che

abbiamo già delineato nei due incontri precedenti, facciamo due esempi: il

criterio geografico e un motivo particolare (intendendo per «motivo» uno degli

elementi in cui si può scomporre il tema).

Il pappamondo

Un primo criterio di organizzazione potrebbe dunque essere quello

geografico: suddividere i testi posizionandoli su una sorta di mappamondo e

quindi compararli fra loro per vedere quali sono le peculiarità geografiche e le

differenze su larga scala. Vedere, cioè, come narrano l’atto del mangiare un

peruviano o un giapponese, per esempio, o che affinità possiamo individuare tra

un italiano e un suo vicino francese.

Il nostro «viaggio sulla carta» potrebbe seguire questo percorso:

America centro-meridionale

Parlando di America Centromeridionale viene subito in mente il suo particolare

sincretismo religioso, dalla santeria al candomblé, che spesso sfocia nella magia.

Ed è una magia che fa perno sulla corporeità, dal cibo al sesso, al punto che

questi tre elementi (cibo, sesso e magia) sono un po’ la cifra che ha fatto

conoscere e ha reso facilmente individuabile la letteratura sudamericana nel

resto del mondo. Viene subito da pensare al brasiliano Jorge Amado, per

esempio, con i celeberrimi Gabriella garofano e cannella,2 Cacao3 e Dona Flor e i

suoi due mariti.

2 Jorge Amado, Gabriella garofano e cannella, Einaudi, Torino 1991.3 Jorge Amado, Cacao, Mondadori, Milano 1991.

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In sala da pranzo, in una profusione di cibi da benedire e santificare,

facevano bella mostra di sé i pezzi forti della cucina baiana: vatapá ed efó,

abará e caruru, moqueca di granchi, di gamberoni, di pesce, acarajé e

acaçá, xinxim di gallina e haussá di riso, oltre a montagne di polli e tacchini

arrosto, cosciotti di maiale, fritto misto di pesce [...] Tutto quel ben di dio

innaffiato da aluá, cachaça, birra, vini portoghesi. Da più di dieci anni il

Maggiore dava quella festa, in adempienza a un voto severo di candomblé,

da quando gli orixas gli avevano salvato la moglie, in pericolo di vita per via

dei calcoli renali. 4

E ricordiamo il già citato Come l’acqua per il cioccolato,5 della messicana Laura

Esquivel, con la sua glassa alle lacrime e le sue afrodisiache quaglie ai petali di

rosa, o ancora a La signora del miele, della colombiana Fanny Buitrago, con la

sua gastronomia erotica.

Amiel, in fondo al bancone, preparava il piatto forte di una cena speciale.

Gli ingredienti, sapientemente distribuiti, componevano una ninfa

voluttuosa e sfrontata i cui seni erano due orci ripieni di gamberi e ostriche

al vino che, senza dubbio, sarebbero stati divorati con le telline del sesso e

delle ascelle, e le patate all’aglio che formavano il corpo desiderabile e i

medaglioni di vitello e caviale che avrebbero aureolato il magnifico volto. Gli

invitati all’addio al celibato di un editore di letteratura femminista

avrebbero mangiato tutto fino all’ultima briciola. 6

Ma, ovviamente, il Sudamerica è una terra dal passato (anche

recentissimo) molto cruento e doloroso, in cui le dittature militari hanno inflitto

incalcolabili danni fisici, sociali e psicologici alle popolazioni. È quanto viene

raccontato, tanto per dare un unico esempio dei moltissimi possibili, alla famiglia

Leal in D’amore e ombra, della famosissima scrittrice cilena Isabel Allende.

Ora, i Leal erano una famiglia unita e felice, decisa a ignorare gli orrori della

situazione politica, finché non è la realtà stessa a imporsi con brutalità alla loro

attenzione. Quando il figlio maggiore Javier – un biologo proscritto dalla dittatura

per una sua blanda attività sindacale – si suicida, sua moglie Irene torna dai

genitori portandosi via i bambini: i coniugi Leal perdono così, in un sol colpo, un

figlio, i nipoti e la fiducia nel futuro. E come si esprime la disperazione del

4 Jorge Amado, Dona Flor e i suoi due mariti, Garzanti, Milano 1985, pag. 83.5 Diventato nel 1992 anche un film, sempre con il titolo italiano Come l’acqua per il cioccolato, per la regia del messicano Alfonso Arau.6 Fanny Buitrago, La signora del miele, Feltrinelli, Milano 1999, pag. 8.

Page 13: menù bibliografico di Emma Muracchioli

patriarca, il professor Leal? Con la negazione del cibo, che della famiglia e

insieme della vita è il primo simbolo. Ma leggiamo come si comportano, in

quest’occasione, sua moglie Hilda e suo figlio Francisco (il giornalista che è uno

dei due protagonisti del romanzo).

Dalla stazione il professore ritornò a casa e senza togliersi la giacca né la

cravatta a lutto, si sedette su una seggiola sotto il ciliegio in cortile, con lo

sguardo assente. [...] Quella sera Francisco lo portò a letto quasi di forza,

ma non riuscì a farlo mangiare. Il giorno successivo fu identico. Il terzo Hilda

si asciugò le lacrime, riunì la forza sempre presente in lei e si accinse a

lottare ancora una volta per i suoi. [...]

Dalla cucina potevano vedere attraverso la finestra il professore sulla sua

seggiola che si rigirava fra le mani il regolo. Con un sospiro Hilda ripose il

pranzo nel frigorifero senza averlo assaggiato, portò un’altra seggiola nel

cortile e si sedette sotto il ciliegio con le mani in grembo, per la prima volta

da tempo immemore senza che fossero occupate da un lavoro a maglia o di

cucito, e se ne rimase così immobile per ore. All’imbrunire Francisco li

supplicò di mangiare qualcosa, ma non ottenne risposta. Con grande

difficoltà li portò nella loro camera da letto e li fece coricare, per poi lasciarli

in silenzio, con gli occhi aperti, desolati, come due vecchi sperduti. [...] Il

mattino dopo quando si fu alzato li vide installati sotto l’albero nella stessa

posizione, con i vestiti stropicciati, senza che avessero mangiato né si

fossero lavati, muti. [...] Paziente, si sedette a vigilare rassegnato a lasciarli

toccare il fondo del loro dolore.

A metà pomeriggio il professor Leal sollevò lo sguardo e fissò Hilda.

«Cosa ti succede, cara?» domandò con voce spezzata da quattro giorni di

silenzio.

«Quello che succede a te.»

Il professore capì. La conosceva bene e seppe che si sarebbe lasciata

morire nella stessa misura in cui l’avesse fatto lui, perché dopo averlo

amato senza tregua per tanti anni, non gli avrebbe permesso di andarsene

via da solo.

«Va bene», disse alzandosi a stento e tendendole una mano.

Entrarono con lentezza in casa, sorreggendosi a vicenda. Francisco

riscaldò la minestra e la vita riprese il suo ritmo. 7

7 Isabel Allende, D’amore e ombra, Feltrinelli, Milano 1988, pagg. 112-113.

Page 14: menù bibliografico di Emma Muracchioli

America settentrionale

L’America Settentrionale è il ricettacolo di mille culture che talvolta coesistono

faticosamente, talaltra cozzano sino a deflagrare in una realtà folle e disgregata,

in cui anche il cibo perde il suo significato diventando mera spazzatura. Così, da

un lato nei romanzi di Priscilla Cogan come La bussola del cuore8 la cultura

anglosassone e quella nativo-americana tentano un difficile dialogo fatto anche

di condivisione di cibi rituali ed esperienze spirituali, nei racconti dell’indiana

Bharati Mukerjee contenuti nella raccolta Episodi isolati9 immigrati indiani e

pachistani entrano nelle nuove famiglie o nelle nuove realtà nordamericane

anche attraverso il cibo, mentre nei romanzi della bengalese trapiantata a San

Francisco Chitra Banerjee Divakaruni, come La maga delle spezie, la magia delle

spezie indiane mette radici in California, e talvolta riesce a fare il sortilegio più

potente: dare a una donna maltrattata il coraggio per fuggire dal marito.

Dall’altro lato, nei racconti del padre spirituale del minimalismo, Raymond

Carver, il cibo non ha nulla di magico o suggestivo. Nelle sue pagine mangiare

diventa nel migliore dei casi sintomo di un disagio, nel peggiore una faccenda

decisamente sinistra.

Così, nelle storie raccolte in Di cosa parliamo quando parliamo d’amore,10

in alcuni casi rielaborate nel successivo Cattedrale11 e incluse nel film di Altman

America oggi, cibo può essere la torta di compleanno che nel racconto «Una

piccola, buona cosa» (in Cattedrale) un bambino investito da un’auto non

mangerà mai, che i genitori distrutti dal dolore non ritireranno, e per la quale un

inacidito pasticcere – un uomo che per tutta la vita ha fatto torte di matrimonio,

lui che una moglie non ce l’ha, e torte di compleanno per bambini che lui non

mai avuto – farà telefonate inconsapevolmente agghiaccianti: «Ha dimenticato

Scotty?»

E di cibo si parla anche nel racconto «Tanta acqua così vicino a casa» (in

Di cosa parliamo quando parliamo d’amore).

Mio marito mangia con molto appetito. Ma non credo che abbia veramente

fame. Mastica, con le braccia sul tavolo, e fissa qualcosa sulla parete di

fronte. Guarda verso di me, poi distoglie lo sguardo. Si pulisce la bocca col

tovagliolo. Alza le spalle, e continua a mangiare.

«Perché mi fissi?» dice. «Cosa c’è?» dice posando la forchetta.12

8 Priscilla Cogan, La bussola del cuore, Frassinelli, Milano 20009 Bharati Mukerjee, Episodi isolati, Feltrinelli, Milano 199210 Raymond Carver, Di cosa parliamo quando parliamo d’amore, Garzanti, Milano 1987.11 Raymond Carver, Cattedrale, Serra e Riva Editori/CDE, Milano 1987.12 Raymond Carver, Di cosa parliamo quando parliamo d’amore, cit., pag. 73.

Page 15: menù bibliografico di Emma Muracchioli

Già, cosa c’è, cosa succede tra questi due? C’è che il marito ha la

coscienza sporca ma si ostina a dire che non ha fatto niente di male, mentre la

moglie è schifata dal suo comportamento, che ormai è sulla bocca di tutti. Il

week end precedente l’uomo è infatti andato a pescare con i suoi amici;

parcheggiano l’auto, si fanno una lunga camminata e, proprio quando stanno per

piantare le tende, scoprono nel ruscello lì accanto il corpo nudo di una ragazza

assassinata. Ora, di rifarsi la scarpinata per avvisare subito la polizia non ne

hanno proprio voglia. D’altronde, la ragazza ormai è morta, no? Quindi legano il

cadavere a un albero sulla riva e continuano il campeggio come niente fosse.

Avviseranno la polizia quando torneranno dalla pesca.

La mattina dopo prepararono la colazione, bevvero caffè e whiskey, poi,

ognuno per conto proprio, andarono a pescare. Quella sera cucinarono

pesce e patate, bevvero caffè e whiskey, poi portarono i piatti e gli utensili

da cucina giù al fiume, e li lavarono proprio dove si trovava la ragazza.13

Quella che racconta Carver con il suo tipico stile essenziale è

l’agghiacciante meschinità dell’uomo qualunque, tanto più orrenda in quanto

traspare proprio da gesti quotidiani ed elementari come mangiare o lavare i

piatti, che così si caricano di un alone sinistro.

E anche nei racconti della newyorkese Tama Janowitz il cibo può perdere

significato fino a diventare spazzatura, come nell’episodio «Una santa moderna

n. 271», che ha per protagonisti una prostituta e il suo protettore, un filosofo

aspirante scrittore.

Nessuno di due era portato per i lavori di casa. Passavano mesi e mesi

durante i quali il pavimento del nostro monolocale sulla Avenue A si

riempiva di siringhe usate, scatole di riso, confezioni di lavande vaginali,

biancheria di pizzo nero, fruste, garrote, cinghie, stringhe, Crackers Jakcs,

Kleenex usati, pacchetti semivuoti di patatine e tortilla chips. Gli strumenti

dei rispettivi mestieri. 14

Oppure può diventare il mezzo con cui una situazione banale come

mangiare in una mensa si trasforma in un incubo kafkiano («Pranzo obbligato»)

o, ancora, trasformarsi nel protagonista di una scena comicamente pulp. È il caso

13 Ibidem, pag. 75.14 Tama Janowitz, Schiavi di New York, Bompiani, Milano 1989, pag. 6.

Page 16: menù bibliografico di Emma Muracchioli

del prosciutto confezionato che un universitario riceve in regalo e che rimane su

uno scaffale per settimane nonostante l’affamatissimo compagno di stanza del

ragazzo vi alluda in continuazione.

«Mettilo nel frigo», gli avevo detto, «altrimenti uno di questi giorni esplode

e non vorrei essere qui quando succede.» Tutti i giorni gli dicevo: «Jeff, fai

qualcosa con quel prosciutto.»

Ma le settimane passavano. Una sera che eravamo tutti e due in camera

[...] improvvisamente ci fu un’esplosione. E, spiaccicato ovunque sul suo

lato della stanza, il prosciutto. Un fetore inimmaginabile. Il prosciutto

putrefatto era esploso come una bomba. Per ironia della sorte, il mio lato

della stanza non era stato neppure sfiorato. [...] Ma l’aria era piena di

miasmi e fui costretto a fuggire per non vomitare seduta stante.

Nel giro di dieci minuti, il dormitorio s’era svuotato.15

Siamo ormai persino oltre la spazzatura, siamo arrivati alla pura

putrefazione. Ma non è puro divertissement letterario: ci riporta infatti alla triade

crudo-cotto-putrido che, secondo l’antropologo Claude Lévy-Strauss, comprende

le categorie universali del cibo rintracciabili in tutte le culture.

Tra parentesi, negli ultimi anni sono fioriti gli studi di antropologia

dell’alimentazione per l’importanza rivestita dal cibo in fenomeni imponenti

come le migrazioni di massa e la globalizzazione, con le relative controtendenze,

ovvero la riscoperta delle nicchie del gusto e dello slow-food, così tipiche

dell’Europa contro la macdonaldizzazione americana e l’esotismo di tutto quel

mondo che non è Occidente.

Europa

L’Europa è la culla delle grandiose cucine occidentali eternamente in

competizione fra loro, quella italiana e quella francese, nonché di altre cucine

altrettanto sontuose, come quelle spagnole. Ripensiamo, per esempio, alla sfida

Camilleri-Vàzquez Montalbàn che abbiamo incontrato la scorsa volta. Tra

parentesi, avendo profondamente influenzato altre culture, in quella europea

possiamo trovare motiv che abbiamo già visto altrove, come quello della magia

del cibo: tanto per fare un esempio, Chocolat e il suo seguito, Le scarpe rosse, di

Johanne Harris.

15 Ibidem, pag. 188.

Page 17: menù bibliografico di Emma Muracchioli

Comunque sia, proprio nella letteratura europea ci sono gli esempi più splendidi

di banchetti. Viene subito alla mente, per esempio, il celeberrimo pranzo che il

nobiluomo siciliano protagonista del Gattopardo di Giuseppe Tomasi di

Lampedusa offre a uno scelto gruppo di notabili locali per presentare la futura

nuora, la bellissima Angelica, appena tornata dai suoi studi sul Continente.

Il principe aveva troppa esperienza per offrire a degli invitati siciliani in un

paese dell’interno, un pranzo che si iniziasse con un potage, e infrangeva

tanto più facilmente le regole dell’alta cucina in quanto ciò corrispondeva ai

propri gusti. Ma le informazioni sulla barbarica usanza forestiera di servire

una brodaglia come primo piatto erano giunte con troppa insistenza ai

maggiorenti di Donnafugata perché un residuo timore non palpitasse in loro

all’inizio di ognuno di quei pranzi solenni. Perciò quando tre servitori in

verde, oro e cipria entrarono recando ciascuno uno smisurato piatto

d’argento che conteneva un torreggiante timballo di maccheroni, soltanto

quattro su venti persone si astennero dal manifestare una lieta sorpresa

[...].

Buone creanze a parte, però, l’aspetto di quei babelici pasticci era ben

degno di evocare fremiti di ammirazione. L’oro brunito dell’involucro, la

fragranza di zucchero e di cannella che ne emanava non erano che il

preludio della sensazione di delizia che si sprigionava dall’interno quando il

coltello squarciava la crosta: ne erompeva dapprima un vapore carico di

aromi, si scorgevano poi i fegatini di pollo, gli ovetti duri, le sfilettature di

prosciutto, di pollo e di tartufi impigliate nella massa untuosa, caldissima

dei maccheroncini corti cui l’estratto di carne conferiva un prezioso color

camoscio.

[...] Angelica, la bella Angelica, dimenticò i migliaccini toscani e parte delle

proprie buone maniere e divorava con l’appetito dei suoi diciassette anni e

col vigore che la forchetta tenuta a metà dell’impugnatura le conferiva.16

Così come è celebre il ricevimento al castello del marchese d’Ardevilliers in

cui Emma Bovary viene invitata in quanto moglie del medico condotto,

scoprendo così l’abisso mondano che divide la nobiltà dalla pur agiata borghesia.

Entrando, Emma si sentì avviluppare da un’aria calda, miscuglio di

profumi di fiori e di stoffe, di fragranza di cibi e di odor di tartufi. [...] lungo

16 Giuseppe Tomasi di Lampedusa , Il gattopardo, Feltrinelli, Milano 1985, pagg. 81-81.

Page 18: menù bibliografico di Emma Muracchioli

la tavola erano allineati mazzi di fiori; nei piatti dal largo orlo i tovaglioli

erano allineati a mo’ di cappello vescovile, con un panino ovale racchiuso

tra i due lembi. Le lunghe zampe rosse delle aragoste sporgevano dai

vassoi, strati di grossi frutti erano disposti in cestini traforati e foderati di

muschio leggero; le quaglie avevano ancora tutte le loro piume; s’alzavano

nuvole di vapore. In calze di seta e calzoni corti, cravatta bianca e gala di

pizzo, solenne come un giudice, il maggiordomo insinuava tra le spalle degli

invitati i vassoi con le vivande già scalcate, facendo saltare nel piatto con

un sol colpo di cucchiaio il pezzo scelto.17

Quanta differenza con la sua vita di tutti i giorni, con quel marito

bonaccione e grossolano e le sue economie da poveraccio!

Ma era soprattutto all’ora dei pasti che a lei pareva di non farcela più [...];

era come se tutta l’amarezza dell’esistenza le venisse scodellata nel piatto;

con il vapore del lesso salivano dal profondo del suo animo zaffate di

disgusto. Charles era così lento a mangiare; lei sgranocchiava qualche

nocciola, oppure, appoggiata al gomito, si perdeva a tracciare righe sulla

tela cerata con la punta del coltello.18

Notate che, come abbiamo già visto, il contrasto fra i due modi di

mangiare passa sì, ovviamente, da tutto l’apparato della tavola (belle tovaglie

contro tela cerata, per esempio), ma soprattutto attraverso la carne: cacciagione

e arrosti per la nobiltà, lesso per chi deve far quadrare il bilancio.

Sono le note stonate di una splendida sinfonia che già preludono

all’atteggiamento malato e corrotto dei decadentisti verso il cibo. Nei romanzi del

padre spirituale di questo movimento, Joris-Karl Huysmans, non troviamo mai,

infatti, una concezione sana e vitale dell’alimentazione, ma anche l’occasione più

famigliare o rassicurante finisce sempre per assumere connotazioni inquietanti. È

il caso, per esempio, di questa cena tra amici nel romanzo del 1891 L’abisso, in

cui viene citato proprio Flaubert.

Carhaix preparava lo stufato e un’insalata e mesceva il suo sidro. Per

evitare che spendesse troppo, i due amici portavano il vino, il caffè,

l’acquavite, il dessert, facendo in modo che il loro costo pareggiasse quello

17 Gustave Flaubert, Madame Bovary, Garzanti, Milano 1965, pag. 39.18 Ibidem, pag. 53.

Page 19: menù bibliografico di Emma Muracchioli

della minestra e della carne che consumavano e che ai Carhaix sarebbero

bastate per vari giorni, se avessero mangiato da soli.

«Questa volta è venuto proprio bene!» disse la donna servendo un brodo

color mogano screziato da onde dorate, cosparso di tonde gocce color

topazio.

Era succulento e grasso, forte eppur delicato, reso più nutriente da

frattaglie di pollo bollito.

Tutti tacevano col naso nel piatto, il viso acceso dai vapori profumati del

brodo.

«Sarebbe proprio il momento di ripetere un luogo comune caro a

Flaubert», disse Durtal. «Al ristorante non si mangia così di sicuro!»

«Non denigriamo i ristoranti», gli diede sulla voce Des Hermies. «Riservano

molte sorprese a chi sa studiarli. Sentite, tanto per dare un esempio, due

giorni fa tornavo da una visita a un malato e capito in una di quelle trattorie

dove per tre franchi si ha diritto a una minestrina, a due secondi piatti a

scelta, all’insalata e al dolce. Quel ristorante, in cui vado suppergiù una

volta al mese, ha una clientela fissa, inamovibile, persone ben educate e

chiuse in se stesse, ufficiali in borghese, membri del parlamento, burocrati.

Mentre mangiucchiavo l’intingolo gratinato di una sogliola tutt’altro che

invitante, guardavo quei clienti e li trovai stranamente cambiati dall’ultima

volta che ero stato là. Alcuni erano più magri, altri si erano come gonfiati. I

loro occhi si erano infossati e circondati di violetto, oppure erano nate

occhiaie simili a bisacce rosa. [...] i tremanti intrugli di quella cucina

avvelenavano a poco a poco, ma sicuramente, gli avventori. La cosa mi

interessò, come potete immaginare. Mi impartiva una lezione di tossicologia

e, sforzandomi a mangiare, scoprivo le droghe nocive che mascheravano il

sapore dei pesci disinfettati come cadaveri con miscele di polvere di

carbone e di concia, delle varie specie di carne affogate nelle salse color

fogna, del vino colorato con fucsine, profumato col furturolo, appesantito

con melassa e gesso.»19

Il cibo che dovrebbe dare la vita e invece diventa fonte di contaminazione

e morte, come abbiamo visto nel primo incontro. Il «gusto» che si trasforma in

«disgusto».20 Non molto diversamente, anche nella Cognizione del dolore di Carlo

Emilio Gadda mangiare implica disgusto e frustrazione, in questo caso perché al

19 Joris-Karl Huysmans, L’abisso, SugarCo Edizioni, Milano 1990, pagg. 63-64.20 Così scrive Elio Mosele nell’illuminante intervento «Significative astinenze e mistici digiuni», in Maria Grazia Profeti (a cura di), Codici del gusto, cit.

Page 20: menù bibliografico di Emma Muracchioli

nobiluomo decaduto la misera cenetta ricorda altri pasti possibili, quelli dei

restaurants, descritti con la solita inventiva verbale gaddiana e un tono a metà

tra il sarcasmo e il rimpianto.

La mamma, ora, dopo essere uscita e rientrata più volte, attendeva ella

pure all’impiedi, quasi tremando, le mani ricongiunte sul grembo, che il

figliolo si rimettesse a tavola. Ingegnandosi dentro il buio della cucina, dal

fondo di un dimenticato vaso la sua speranza tenace era pervenuta a

stanare alcuni sottaceti: e quei tre peperoncini verdastri, vizzi, aggiustatili in

un piattino slabbrato, da caffè, tornata poi nella sala aveva deposto il

piattino sulla tavola, nell’atto devoto di Melchiorre che depone in offerta,

davanti al Pargolo, il vasello prezioso della mirra. [...] Gonzalo seguitava a

fissare come un sonnambulo, senza vederli, il servito, la tovaglia, il cerchio

della lucernetta sulla tavola. Poco più fumo, oramai, dalla scodella, verso i

fastigi della tenebra.

Dove andava la sua conoscenza umiliata, coi lembi laceri della memoria

nel vento senza più causa né fine? [...]

Camerieri neri, nei «restaurants», avevano il frac, per quanto pieno di

padelle: e il piastrone d’amido, con cravatta posticcia. [...] Pervase da un

brivido, le signore: non appena si sentissero onorare dell’appellativo di

signora da simili ossequienti fracs. «Un misto panna-cioccolatto per la

signora, sissignora!» Era, dalla nuca ai calcagni, come una staffilata di

dolcezza, «la pura gioia ascosa» dell’inno. E anche negli uomini, del resto, il

prurito segreto della compiacenza, su, su, dall’inguine verso le meningi e i

bulbi: l’illusione, quasi, d’un attimo di potestà marchionale.21

Viene in mente, rifacendo un salto oltreoceano, quanto spiega Ruth Reichl,

celeberrima critica culinaria ebreo-americana, che in diversi romanzi

autobiografici racconta cosa la colpisce di più quando deve recensire un

ristorante. Anticonvenzionale e intraprendente, va diverse volte (spesso

travestita di tutto punto, assumendo un aspetto dimesso oppure da vecchietta

esigente oppure da zitella arrendevole ecc.) nel ristorante che ha preso di mira.

Ciò che le interessa è ovviamente la qualità del cibo, ma altrettanto il servizio:

impossibile gustarsi la serata anche nel più bel ristorante se si viene relegati in

una pessima posizione, con camerieri scorbutici o distratti e piatti preparati

senza quella cura in più che li rende speciali.

21 Carlo Emilio Gadda, La cognizione del dolore, Einaudi, Torino 1963, pagg. 196-197.

Page 21: menù bibliografico di Emma Muracchioli

E questo perché il cibo non è solo ciò che mettiamo in bocca, ma anche il suo

contesto.

...mi ero resa conto che tutti recitiamo quando andiamo fuori a cena. Ogni

ristorante è un teatro, e quelli famosi ci spingono a immaginare noi stessi

ricchi e potenti, circondati da stuoli di camerieri dediti soltanto a garantirci

felicità e piatti sublimi.

Ma anche i più modesti offrono l’opportunità di trasformarsi in qualcun altro,

almeno per pochi istanti. I ristoranti ci liberano dalla realtà quotidiana, fa

parte dell’incantesimo. Varcata la soglia d’ingresso si entra in un territorio

neutrale dove si è liberi di essere chiunque si scelga di essere per la durata

del pranzo.22

Certo, la forma è importante quanto la sostanza, ma non di più! A testimonianza

di questo rapporto squilibrato si potrebbe citare il caso di D’Annunzio, caposcuola

dell’estetismo, che descrive pranzi meravigliosi... in cui non viene citato

esplicitamente nemmeno un alimento.

Africa

Ora, il cibo può essere assente anche per altri motivi, come nel caso di Moha il

folle, Moha il saggio del marocchino Tahar Ben Jelloun: e il motivo contingente è

che per i diseredati dell’Africa il cibo, semplicemente, quasi non esiste. E talvolta

possiamo anche eliminare quel «quasi», come ben dimostrano documentari o

servizi giornalistici sulla piaga della fame nel Terzo Mondo. Merita di essere letto

al proposito Niente, dell’antropologo sul campo Alberto Salza. In questo saggio

che riesce a conciliare un tono spiritoso e lieve con un argomento durissimo, c’è

un capitolo intitolato, appunto, «Niente cibo». L’autore vi racconta, tra l’altro, di

come lui stesso sia rimasto senza cibo per più di una settimana. Prima descrive

le strategie estreme cui ricorre il nostro corpo per sopravvivere, poi parla della

sua esperienza, quando ha dovuto resistere...

...bevendo solo tè nero poco zuccherato e fumando orrido tabacco nero: gli

alcaloidi sopprimono lo stimolo della fame, come mi hanno insegnato i

boscimani del Kalahari. Rammento che, allora, mi veniva in mente una

vignetta in cui un prigioniero riceve la visita del suo feroce carceriere che gli

annuncia: «Oggi non avrai la tua solita brodaglia, per cena».

22 Ruth Reichl, Aglio e zaffiri, Ponte alle Grazie, Milano 2005, pag. 92.

Page 22: menù bibliografico di Emma Muracchioli

«Davvero? E cosa avrò?» chiede il galeotto, entusiasta del cambiamento.

«Crampi.»23

Ovviamente, non tutta l’Africa è però ridotta alla fame. In Vicolo del Mortaio

dell’egiziano Nagib Mahfuz, per esempio, si descrive la vita quotidiana in un

vicolo del Cairo intorno agli anni Quaranta. Una quotidianità che comprende i

piccoli riti del mangiare.

...il buon Kamil si muoveva a quest’ora: apriva il negozio e faceva la sua

prima colazione. La consumavano insieme, lui e Abbas al-Helwu. Posavano

tra di loro un vassoio con un piatto di fave bollite, cipolle verdi e cetrioli

sottaceto.

Erano diversi nel mangiare, al-Helwu trangugiava svelto il pane e lo finiva

in pochi minuti, mentre Kamil masticava ogni boccone lentamente. [...] Così

l’altro aveva già finito e sorseggiava tè fumando il narghilè, mentre lui

ancora sgranocchiava le cipolle. Allora, per assicurarsi che al-Helwu non

prendesse anche la sua parte, separava due porzioni di fave con un pezzo di

pane e non gli permetteva di superare la barriera.24

Ma, come in America, anche in Africa ci sono grossi problemi dovuti alla

convivenza interrazziale. È il caso, per esempio, del Sudafrica, dove si

oppongono una maggioranza nera in fermento e una minoranza bianca che

detiene sì gran parte del potere, ma è fragile ed eterogenea perché composta da

nativi di ceppo straniero e di stranieri veri e propri. Così, tra neri cui è stata

alienata l’autodeterminazione sulla propria terra e bianchi che a quella terra non

sentono appieno di appartenere, il Sudafrica si rivela Un mondo di stranieri,

come Nadine Gordimer ha intitolato un suo romanzo del 1958. Qui, il

protagonista viene invitato a una di quelle rare feste in cui partecipano

sudafricani di tutte le razze.

Sam mi sorrise di sopra la sua scodella di zuppa; Anna aveva fatto

circolare un vassoio di tazze con un ottimo borsch caldo, tazze così bollenti

che si doveva passarle da una mano all’altra. Peter prese per assaggio una

sorsata del brodo agrodolce, odoroso di terra, e poi lasciò la propria tazza

dietro i dischi. Ma Sam e io bevemmo le nostre con gusto. «È un piatto

23 Alberto Salza, Niente. Come si vive quando manca tutto. Antropologia della povertà estrema, Sperling & Kupfer, Milano, 2009, pag. 97.24 Nagib Mahfuz, Vicolo del Mortaio, Feltrinelli, Milano 1990, pag. 31.

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russo, vero?» [...] «Kvas», egli disse. «Sto appunto leggendo un libro in cui

si parla di una donna che lo beve: le viene un improvviso desiderio di berlo.

Sapete com’è, si vorrebbe conoscere a che sapore essa stia pensando.»

«È un peccato che non fosse borsch», io dissi.

Silvia si accostò a noi con le belle sopracciglia sollevate. «T-tutto bene? Vi

hanno dato un po’ di z-zuppa? [...] Ma non vi hanno dato una patata?

Dovete prendere una patata!» [...]

«Bisogna sempre prendere una patata col kvas», dissi a Sam.

«Sempre», egli disse.

«Ha letto Anna Karenina!» essa riuscì a esclamare, con aria di trionfo.

«Ricordo, ricordo! Come si chiama? La ragazza che Levin sposa: è lei che

beve il kvas.»

«Che ha voglia di berlo», disse Sam, schiudendosi in un sorriso di gioia

pura.25

Notate: sono in Africa ma servono piatti russi e, nel generale senso di

straniamento, la felicità viene dalla scoperta di letture comuni, che è come dire

una comune patria dello spirito. Una patria dove si può condividere il cibo, sia

pure solo come citazione.

Asia

La nostalgia di una patria perduta e la sua rievocazione attraverso le piccole

cose, cibo compreso, riappaiono anche in Asia, per esempio nelle Poesie d’amore

di Nazim Hikmet, uno dei maggiori lirici turchi del Novecento, costretto all’esilio

in Russia per il suo impegno politico a favore dell’indipendenza del suo paese.

Ti amo come se mangiassi il pane spruzzandolo di sale

come se alzandomi la notte bruciante di febbre

bevessi l’acqua con le labbra sul rubinetto

ti amo come guardo il pesante sacco della posta

non so che cosa contenga e da chi

pieno di gioia pieno di sospetto agitato

ti amo come se sorvolassi il mare per la prima volta in aereo

ti amo come qualche cosa che si muove in me

quando il crepuscolo scende su Istanbul poco a poco

ti amo come se dicessi Dio sia lodato son vivo.26

25 Nadine Gordimer, Un mondo di stranieri, Feltrinelli, Milano 1980, pagg. 112-113.

Page 24: menù bibliografico di Emma Muracchioli

La patria è come il pane per chi ha fame, l’acqua per chi ha sete. Sono gli

affetti là, distanti, con cui si vorrebbe tanto condividere una parola, un

crepuscolo, le piccole cose della vita. Un’espressione che torna nel titolo del

romanzo dell’indiana Arundhati Roy, Il dio delle piccole cose,27 in cui due fratelli si

riuniscono dopo una lunga separazione famigliare e affrontano la difficile

situazione sociale dell’India, con la sua segregazione in caste e i problemi con cui

si scontrano le donne che, come la loro madre, divorziano dal marito o, come la

loro nonna, diventano imprenditrici. Nel caso specifico, impiantando una fabbrica

di mostarda.

Ma l’Asia è anche quella realtà tutta particolare che è il Giappone,

proiettato economicamente verso i modelli occidentali e il futuro, eppure insieme

ancora profondamente ancorato alle proprie radici tradizionali. Ne offre un

esempio Yukio Mishima, che in Dopo il banchetto28 racconta la storia di una

donna, proprietaria di un ristorante molto rinomato, che per essere accettata

appieno dalla buona società (per avere diritto a una «tomba onorata» dopo la

morte) decide di rinunciare a parte della sua autonomia tanto faticosamente

conquistata e sposare un uomo politico. Ma è una rinuncia più dura del previsto,

tanto è vero che durante il fastoso banchetto di fidanzamento imbandito ai

colleghi del futuro marito, l’uomo esige che lei esca dalla sala da pranzo affinché

sia lui solo a dare l’annuncio ufficiale.

Certo, dagli anni Sessanta di questo romanzo la realtà si è un po’ evoluta, come

ci dimostra il fenomeno letterario di Banana Yoshimoto, che in Kitchen mette in

scena personaggi anticonvenzionali come Eriko, la mamma del ragazzo che

ospita la protagonista Mikage quando questa perde la sua unica parente, la

nonna che l’aveva allevata. Tranne che... Eriko è in realtà uno splendido

transessuale, nonché il padre del giovane Yuichi. Ma come inizia questo libro

pieno di famiglie fuori della norma, famiglie di un solo membro o dai ruoli

sessuali confusi?

Non c’è posto al mondo che io ami più della cucina.

Non importa dove si trova, com’è fatta: purché sia una cucina, un posto

dove si fa da mangiare, io sto bene. Se possibile le preferisco funzionali e

vissute. Magari con tantissimi strofinacci asciutti e puliti e le piastrelle

bianche che scintillano.

26 Nazim Hikmet, «Ti amo come se mangiassi il pane», in Poesie d’amore, Mondadori, Milano 2002. 27 Arundhati Roy, Il dio delle piccole cose, Guanda, Milano 1998.28 Yukio Mishima, Dopo il banchetto, Feltrinelli, Milano 1982.

Page 25: menù bibliografico di Emma Muracchioli

Anche le cucine incredibilmente sporche mi piacciono da morire.

Mi piacciono col pavimento disseminato di pezzettini di verdura [...]. Con

un frigo enorme pieno di provviste che basterebbero tranquillamente per un

intero inverno, un frigo imponente, al cui grande sportello metallico potermi

appoggiare. [...]

Siamo rimaste solo io e la cucina. Mi sembra un po’ meglio che pensare

che sono rimasta proprio sola. 29

E una strana famiglia è anche quella messa in scena nel film di Ang Lee

Mangiare, bere, uomo, donna (Taiwan, 1994), in cui il padre, un celebre cuoco

che si è ritirato dall’attività perché ha perduto l’olfatto, riesce a comunicare con

le tre figlie solo ed esclusivamente attraverso il mangiare, i raffinatissimi

manicaretti che cucina solo per gli intimi.

Un buon motivo

Un secondo percorso possibile è quello tematico: per la precisione,

possiamo scegliere un motivo in questo tema sconfinato che è l’alimentazione e

concentrarci su quello. Raccogliere, cioè, il materiale attorno a un fulcro

contenutistico più o meno circoscritto. Per esempio la carne, il vino, il cioccolato,

la condizione femminile, il cannibalismo, la magia, la cucina giapponese nella

letteratura occidentale oppure la concezione ebraica dell’alimentazione (sapete

riconoscere, nelle indicazioni bibliografiche date fin qui, i testi che ne trattano?).

Insomma, tutto quello che può stuzzicare il nostro appetito letterario, in una

sorta di banchetto in cui tutti i piatti siano collegati da un ingrediente comune.

Tanto per dare un esempio degli innumerevoli possibili, abbiamo scelto la

cerimonia del tè.

Naturalmente, vengono subito alla mente il tè all’orientale e quello

all’inglese, ma sono paradigmi che prevedono innumerevoli declinazioni. Nel già

citato Kitchen della Yoshimoto, per esempio, i due ragazzi protagonisti bevono un

tè che ha più accenti proustiani che della tradizione nipponica. Meditano infatti

sul passato, sui ricordi, tanto più struggentemente piacevoli se riguardano

persone ormai scomparse per sempre. Dal punto in cui li avevamo lasciati sono

successe infatti parecchie cose. Mikage ha superato la propria fase di lutto a casa

Tanabe, dove ricambiava le premure ricevute cucinando manicaretti. Poi ha

29 Banana Yoshimoto, Kitchen, Feltrinelli, Milano 1991, pag. 9.

Page 26: menù bibliografico di Emma Muracchioli

deciso di seguire questa vocazione entrando in un’accademia d’alta cucina. Nel

frattempo Eriko è stata assassinata e ora è Yuichi a essere solo e in lutto. Così,

Mikage prende la scusa di un’improvvisa voglia per andare insieme a lui in una

tranquilla sala da tè, dove poter parlare e consolarlo almeno un po’.

Lui stava bevendo un Earl Grey. L’Earl Grey ha un odore che odio. Mi

ricordai quante volte, a notte fonda, casa Tanabe si riempiva di quell’odore

di saponetta: era Yuichi che usciva dalla sua stanza e faceva il tè mentre io

guardavo la tivù a basso volume nella notte silenziosa.

Nel flusso indefinito del tempo e degli stati d’animo, gran parte della storia

è incisa nei sensi. E cose di nessuna importanza, insostituibili, ritornano così

all’improvviso, in un caffè d’inverno. [...]

«Comunque se...» Stavo per dire: «Se c’è qualcosa che posso fare

dimmelo», ma lasciai perdere. Pregai che il ricordo di questo momento in

cui prendevamo un tè delizioso e bollente seduti l’uno di fronte all’altro in

un posto piacevole e caldo restasse in lui come una scia luminosa e

l’aiutasse.30

Una scena tra il ricordo e la seduzione, visto che tra i due c’è un’attrazione

che però nessuno di loro ha il coraggio di ammettere. Così come un

tentennamento fra attrazione amorosa e tutela della propria indipendenza è ciò

che sta alla base del racconto «Psicologia» di Katherine Mansfield, in cui i due

protagonisti prendono un canonico tè all’inglese, con tutte le sfumature del caso.

Due uccelli cantavano nel bollitore, il fuoco tremolava. Lui sedeva

reggendosi le ginocchia. Era deliziosa questa faccenda del tè – e lei aveva

sempre cose deliziose da mangiare: piccole tartine piccanti, biscottini di

mandorle dolci e una torta scura, succulenta, che sapeva di rum – ma era

sempre un’interruzione. [...]

Lei tagliò accuratamente la torta in tanti pezzetti e lui tese la mano per

prenderne uno.

«Ti prego, renditi conto di quanto è buona», supplicò lei. «Mangiala con

immaginazione. Rotea gli occhi, se puoi, e gustala dal profumo. Non è una

tartina tolta dal sacchetto del cappellaio, è il tipo di torta che meriterebbe di

essere nominata nel libro della Genesi... E Dio disse: ‘Sia fatta la torta, e la

torta fu, e Dio vide che era buona’.»31

30 Ibidem, pagg. 70-71.31 Katherine Mansfield, Tutti i racconti. Felicità, Adelphi, Milano 1978, pagg. 122-124.

Page 27: menù bibliografico di Emma Muracchioli

Un tè tipicamente all’inglese, in bilico fra solennità e humour. Non manca

nemmeno la citazione a un altro famosissimo tè della letteratura anglosassone,

quello che compare nel già citato Alice nel paese delle meraviglie, capitolo VII,

«Un tè fuori di sé».

Davanti alla casa, seduti a un tavolo sistemato sotto un albero, la Lepre

Marzolina e il Cappellaio stavano prendendo il tè: in mezzo a loro era seduto

un Ghiro semiaddormentato su cui gli altri due tenevano i gomiti appoggiati

facendo conversazione al di sopra della sua testa. [...] Il tavolo era grande,

ma i tre se ne stavano pigiati in un angolo. «Tutto esaurito! Tutto esaurito!»

presero a gridare scorgendo Alice che veniva verso di loro. «Esauriti sarete

voi!» disse Alice indignata, e si sedette in un’ampia poltrona a un capo del

tavolo.

«Un goccetto di vino?» disse la Lepre Marzolina in tono incoraggiante.

Alice guardò bene tutt’attorno, ma c’era soltanto il tè. «Io non lo vedo, il

vino» osservò lei.

«Bella scoperta, non c’è!» disse la Lepre Marzolina.32

Una scena che prosegue per diverse pagine, con trovate comiche e

spassosi tormentoni, come non meno esilarante è il tè che compare in un altro

caposaldo della letteratura umoristica inglese, Tre uomini in barca, di Jerome

Klapka Jerome. Protagonisti, come si intuisce dal titolo, sono tre amici che,

stressati dal lavoro (succedeva anche nel 1889), decidono di darsi all’avventura.

Solo che i tre sono dei Fantozzi ante litteram, e le loro avventure si trasformano

sin troppo spesso in dis-avventure, anche perché loro sono di quelli che

pasticciano fino a rendere complicatissimo persino il compito più semplice.

Mettemmo a bollire il bricco del tè, a prua della barca, poi ci portammo a

poppa e fingemmo di non guardarlo mentre ci accingevamo a preparare il

resto.

È questo il solo modo di far bollire l’acqua in un bricco, sul fiume. Se il

bricco si accorge che stai aspettando e sei ansioso, non fischia mai e poi

mai. Devi allontanarti e incominciare il pasto, come se avessi rinunciato

completamente al tè. [...]

32 Carroll Lewis, Alice nel paese delle meraviglie, l’Unità, Roma 1993, pag. 79.

Page 28: menù bibliografico di Emma Muracchioli

È un utile espediente, inoltre, quando si ha molta fretta, dirsi a voce

altissima, gli uni con gli altri, che non c’è nessun bisogno del tè, e che se ne

farà a meno. È necessario avvicinarsi al bricco, affinché possa udire, e poi

urlare: «Io non lo voglio il tè, e tu, George?»

Dopodiché George risponde, urlando a sua volta: «Oh, no, il tè non mi

piace; berremo invece limonata... Il tè è così indigesto!»

Allora nel bricco l’acqua bolle fino a traboccare e spegne il fornellino. 33

E la presa in giro del rito inglese del tè, nonché la tecnica del tormentone,

ricorrono ne L’importanza di chiamarsi Ernesto (1895), che Oscar Wilde scrisse

adottando la struttura dei drammi salottieri francesi ma stravolgendola

parodisticamente, dal momento che qui la parola si sostituisce quasi del tutto

all’azione, in un tourbillon di trovate comiche che mettono sottilmente alla

berlina i luoghi comuni del linguaggio, le convenzioni sociali e gli stereotipi

teatrali (l’ereditiera, il figlio illegittimo, la donna dal misterioso passato, la

nobildonna dispotica ecc.).

Alla fine del II atto, per esempio, Jack e Algernon (i due protagonisti)

stanno prendendo il tè nel giardino di Jack con le loro «fidanzate» quando le due

ragazze si offendono e scappano in casa, lasciandoli fuori con tutto

l’armamentario del rito pomeridiano, che è sì il tè ma anche tutto ciò che lo

accompagna. A quel punto, nel bel mezzo di una burrasca sentimentale,

Algernon si mette a mangiare salatini.

JACK Come puoi startene lì a mangiare tutto calmo dei salatini mentre ci

troviamo in questo atroce pasticcio, non so proprio immaginarlo. Mi sembri

totalmente senza cuore

ALGERNON Beh, io i salatini tutto agitato non so mangiarli. Finirei coperto di

briciole. I salatini vanno sempre mangiati con calma. Non c’è altro modo.

JACK Io dico che il fatto che tu mangi i salatini in circostanze come queste

dimostra una totale mancanza di cuore.

ALGERNON Quando sono nei guai mangiare è la sola cosa che mi consoli.

Anzi, quando mi trovo in guai veramente grossi, come ti dirà chiunque mi

conosca intimamente, rifiuto tutto, tranne il cibo e le bevande. In questo

momento sto mangiando i salatini perché sono infelice. E poi, ho sempre

avuto un debole per i salatini (Si alza.)

33 Jerome Klapka Jerome, Tre uomini in barca, l’Unità, Roma 1993, pag. 118.

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JACK (Alzandosi anche lui) Beh, non è una buona ragione per mangiarli con

quell’ingordigia (Gli toglie i salatini.)

ALGERNON (Offrendogli la ciambella) Vorrei che prendessi la ciambella,

invece. A me la ciambella non piace.

JACK Santo cielo! Spero che non sia proibito mangiare i propri salatini nel

proprio giardino.

ALGERNON Ma se hai appena detto che mangiare i salatini dimostra una

totale mancanza di cuore.

JACK Ho detto che date le circostanze mangiare i salatini dimostra una totale

mancanza di cuore. C’è una bella differenza.

ALGERNON Può essere. Ma i salatini sono gli stessi. (Gli toglie il piatto dei

salatini)34

A Oscar Wilde si può idealmente accostare un altro scrittore-dandy suo

contemporaneo, il già citato Joris-Karl Huysmans, che come lui usa sensibilità e

cultura per prendere le distanze dalle convenzioni sociali. Ma la sua operazione

porta un segno diametralmente opposto: tanto Wilde sbeffeggia la vuota

raffinatezza della nobiltà, tanto invece Huysmans la supera, estremizzandola. Lo

possiamo riscontrare, per esempio, paragonando il brio della precedente scena di

Wilde con un brano del romanzo di Huysmans A ritroso (1884), in cui il

protagonista Des Esseintes, l’esteta decadente per eccellenza, sta prendendo il

tè mentre contempla una tartaruga cui ha fatto lucidare e quindi incrostare il

carapace di gemme sino a formarvi un disegno floreale.

Si sentì perfettamente felice; i suoi occhi si inebriavano di quello splendere

di corolle fiammeggianti sul fondo d’oro. Inoltre, contrariamente alla sua

abitudine, aveva appetito e inzuppava i suoi crostini spalmati di un burro

straordinario in una tazza di tè, un’impeccabile miscela di Si-a-Fayun, di Mo-

yu-tan e di Khansky, tè gialli venuti dalla Cina in Russia con carovane

eccezionali.

Beveva questo liquido profumo in quelle porcellane cinesi dette gusci

d’uovo, tanto sono diafane e leggere; e, come non ammetteva se non

queste adorabili tazze, così, in fatto di stoviglie, si serviva solo di autentico

vermeil dalla doratura un po’ consunta, quando l’argento appare appena

sotto il rivestimento stanco dell’oro e gli dà una tinta di dolcezza antica,

spossata, moribonda. 35

34 Oscar Wilde, L’importanza di chiamarsi Ernesto, Mondadori, Milano 1990.35 Joris-Karl Huysmans, A ritroso, Rizzoli, Milano 1982, pag. 74.

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In realtà, di moribondo a pieno titolo c’è solo la povera tartaruga, che

soccombe mentre Des Esseintes sta gustando il suo preziosissimo tè. Ma questo

è un particolare che non intacca la sensibilità dell’esteta se non in quanto incrina

la sua percezione sinestesica (vista, gusto, tatto, olfatto) di quel momento di

pura bellezza.

Al capo opposto dell’estetismo europeo ottocentesco c’è invece la pratica

economia di gesti dell’America novecentesca, che possiamo trovare ben

riassunta nel racconto «Visitatori» della già citata raccolta Episodi isolati di

Bharati Mukherjee. In questo episodio la giovane Vinita, che si è appena

trasferita dalla Calcutta-bene al New Jersey grazie a un matrimonio combinato

dai suoi genitori, sta tentando di ambientarsi nonostante la perplessità che le

suscitano le strane usanze americane. Come è lecito vestirsi? Chi è lecito

frequentare? E come ci si comporta con un ospite? Così, quando le fa visita un

attraente universitario suo conterraneo, si muove oscillando fra la sicurezza delle

tradizioni e il piacere del nuovo, l’imbarazzo e la curiosità.

«Le posso offrire dell’autentico tè all’indiana?» gli chiede. È questa la cosa

corretta da fare per una padrona di casa indiana, anche nel New Jersey;

offrire all’ospite qualcosa da bere, sia pure soltanto un bicchiere d’acqua.

«Lo faccio esattamente come i chai-vala. Faccio bollire le foglie di tè in una

miscela di latte, acqua e zucchero, e ci metto un pizzico di cardamomo,

chiodi di garofano, cannella eccetera.»

«Non voglio che lei rimanga bloccata in cucina», dice ridendo. «Vorrei che

mi raccontasse di Calcutta. [...]»

Rajiv le si accosta con passo diseguale, nervoso; è un potenziale invasore

del suo cucinino-fortezza.

«Ho capito che lei era speciale la prima volta che l’ho vista. [...] Non

riuscivo a togliermela dalla mente.»

Vinita finisce di tenere le due bustine di Twining in infusione nella teiera

prima di rispondere allo sfogo del giovane visitatore. Non è shoccata,

contrariamente a quanto aveva immaginato. [...] Si concentra sulla

preparazione del tè; l’infuso deve essere ambrato al punto giusto. Ma

preparare il tè nel New Jersey non è una grande impresa. Affonda e tira fuori

ciascuna bustina ripetutamente, tenendola per la fragile cordicella. Si perde

un po’ di sapore, ma si acquista un po’ di convenienza nel rimettere

Page 31: menù bibliografico di Emma Muracchioli

rapidamente in ordine. Il nuovo mondo ti costringe a sapere cos’è che vuoi

veramente.36

La nuova esistenza di Vinita passa attraverso la metafora di quella tazza di

tè: la pragmaticità delle bustine, la fragile cordicella, l’esortazione implicita a far

ordine subito anche dentro di sé. Ma, come abbiamo notato più e più volte per

qualsiasi altro cibo, l’offerta del tè è anche e soprattutto un atto sociale,

un’apertura al contatto, alla relazione. E non solo, come in questo caso, alla

relazione sessuale.

Il tè si offre agli amici o ai potenzialmente tali, è un gesto di accettazione, di

rassicurazione, persino di tregua. Questo, per esempio, è il senso della tazza di

tè che nel romanzo della tedesca Gaby Hauptmann Ma poi le donne ce la fanno

Monika, imprenditrice di successo ma evitata dalla buona società da quando il

marito l’ha abbandonata per risposarsi con una ragazza, offre a Marion, che di

quella élite era un pilastro fino al giorno prima, quando è stata a sua volta

“scaricata” dal marito. E, somma beffa, per una ragazza che l’uomo ha

conosciuto proprio al fastoso buffet che la moglie gli ha organizzato per il suo

sessantesimo compleanno. Ora Marion deve ricorrere alla paria per farsi

consigliare un avvocato divorzista, ma in quello che inizia come una richiesta

formale si apre presto uno spiraglio di complicità, forse addirittura di amicizia.

Marion guarda dritto negli occhi Monika, e all’improvviso la diga si rompe:

Marion scoppia in singhiozzi irrefrenabili, la faccia rigata di lacrime. «Come

si può essere tanto disumani?» esclama piangendo e Monika le porge un

pacchetto di fazzoletti di carta.

«Pianga quanto vuole, fa bene! È quel che ci vuole per l’anima, così si

ripulisce. Vado a mettere su un tè.»

Ma alla fine anche il pianto di Marion si arena in radi spasmi senza più

lacrime. «Perché piango, in verità?» si chiede Marion, mentre Monika le

versa una tazza di tè nero e le porge dello zucchero di canna. [...]

«Si ricorda dell’ultimo compleanno di Günther?»

«Come potrei dimenticarlo», risponde Marion con un sospiro.

«Io pure!» Monika appoggia il cucchiaino a lato della tazza e fissa Marion.

«E perché? Se non è nemmeno venuta!»

«Appunto!» La parola resta un attimo sospesa nell’aria, prima che altre ne

seguano. «Non sono stata invitata!»

36 Bharati Mukherjee, Episodi isolati , Feltrinelli, Milano 1992, pagg. 127-130.

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Per un attimo cala il silenzio. Marion si guarda le mani, inerti sul tavolo

vicino alla tazza. Poi annuisce. 37

Tè nero e zucchero di canna per le signore della buona società europea,

simboliche bustine di Twining per l’immigrata indiana, tè rari della Cina dal

«liquido profumo» per l’esteta ottocentesco, i salatini di Oscar Wilde e i dolci al

rum della Mansfield, il tè proustiano della Yoshimoto e quello folle di Lewis

Carroll... e ancora la Bibbia, l’Odissea e il Popol Vuh, la Recherche e Dracula,

Nora e Pinocchio, Manzoni e la Yoshimoto... tanti significati, tante suggestioni

diverse, ma un unico filo conduttore: il sapore della parola.

37 Gaby Hauptmann, Ma poi le donne ce la fanno, Feltrinelli, Milano 2000, pag. 193. Si tratta del terzo romanzo di questa autrice dopo i fortunati Uomo impotente cercasi per serena convivenza (1997) e Un letto di bugie (1998).

Page 33: menù bibliografico di Emma Muracchioli

Indice

1. La fame e la sete. Significati e simbologia dell’alimentazione

Dentro e fuori

Il cibo della memoria

L’alchimia dei sentimenti

Cibo e sesso

Il vino, rosso come il sangue

Dacci oggi il nostro pane quotidiano

Tra mente e cuore

2. Dai dolcetti di Nora allo sciroppo di Alice. Il cibo nei generi

letterari

Andiamo in scena

Un cibo da favola

Farcitori e farciti

Invito a cena con delitto

3. Magia e spazzatura. Un viaggio attraverso la geografia delle

parole

Costruiamoci una bibliografia

Riassumendo: i nostri menu

Il pappamondo

Un buon motivo