MENSILE DI INFORMAZIONE E DIVULGAZIONE NATURALISTICA · stione e la Scuola è rappresentato...

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ISSN 1124-044 X ANNO XV. N. 1 Gennaio 2000 Spedizione in a.p.-45%-art.2 comma 20/b legge 662/96 Filiale di Torino MENSILE DI INFORMAZIONE E DIVULGAZIONE NATURALISTICA SCIACALLO DORATO Un ritorno dimenticato 2000numero 93 94 95 96 97 98 99 100 101 102 PARCHI PIEMONTESI Lungo i mulini del Ticino BIODIVERSITÀ Scoiattoli grigi contro rossi FAUNA IPOGEA La vita nelle viscere del Piemonte

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124-

044

X

ANNO XV. N. 1 Gennaio 2000Spedizione in a.p.-45%-art.2 comma 20/b legge 662/96 Filiale di Torino

MENSILE DI INFORMAZIONE E DIVULGAZIONE NATURALISTICA

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2000numero 93 94 95 96 97 98 99 100 101 102

PARCHI PIEMONTESILungo i mulinidel Ticino

BIODIVERSITÀScoiattoli grigicontro rossi

FAUNA IPOGEALa vita nelle

viscere delPiemonte

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S. Bertolino, M. Campora, D. Castellino, C. Frapporti,

B. Gambarotta, P. Genovesi, E. Lana, F. Mari, A. Molino,

T. Pascutto, V. Perugia, R. Rutigliano, M. Tessaro

Fotografie:G. Bissattini, D. Castellino,

E. Centofanti, R. Cottalasso, L. Giunti, E. Lana, G. Maletto,

G. Menetto, A. Molino, T. Pascutto,L. Pranovi/Realy Easy Star,

D. Ruiu, M. Tessaro, G. Vanzetti, Cedrap (Carrara/Valterza, Maffiotti).

In copertina:Sciacallo dorato (foto E. Centofanti)

Registrazione del Tribunale di Torino n. 3624 del 10.2.1986

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memo1•2000

2Parchi piemontesiLungo i mulini del Ticinodi Marco Tessaro

6Parchi piemontesiAvigliana: cieli d’acquadi Enrico Massone, Bruno Gambarotta

9OrnitologiaAquila: la regina delle vettedi Massimo Campora

12FaunaLo sciacallo dorato.Un arrivo dimenticatodi Franco Mari, Carlo Frapporti

17BiodiversitàLa guerra degli scoiattoli.grigi contro rossi edivergenze umanedi Piero Genovesi

20BiospeologiaLa vita nelle viscere del Piemontedi Enrico Lana, Tiziano Pascutto

25FossiliForeste pietrificatedi Daniele Castellino

29Notizie, ricerche,rubriche, libri,internet

Benvenuti nel Duemila. Qualche cifra da non dimenticare e checomparendo raramente sui giornali forse dovremmo appuntarci daqualche parte.

840 milioni di uomini malnutriti600 milioni quelli ipernutriti

Gli esseri umani sono 6 miliardi1 miliardo e 600 milioni sono analfabeti1 miliardo e 200 milioni sono senz’acqua2 miliardi di persone non hanno l’elettricità

il 97,3% della materia vivente appartiene al regno vegetale,

il 2,7 a quello animalela nostra biomassa

è pari a quella delle formicheun quinto della popolazione (quello più ricco)

consuma il 58% dell’energiaun altro quinto (quello, più povero) il 4%

1 milione i profughi nella sviluppatissima Europa160.000 i chilometri quadrati di boschi persi ogni anno (l’Inghilterra e il Galles messi insieme)

in un secolo l’umanità è quadruplicata il prodotto mondiale è aumentato di 17 volte

Il problema non sono le risorse ma la loro distribuzioneBenvenuti nel nuovo millennio, anche se come sostengono autorevolmente il Vaticano e il Bureau de Longitudes inizierà il primo gennaio 2001.

Il millennium bug esistePensavamo fosse soltanto una metafora linguistica per indicare il notoproblema informatico del cambio di data allo scadere del 1999. Inveceè proprio la cavalletta, insetto ortottero a cui abbiamo dedicato un ar-ticolo nel numero di novembre, richiamato in copertina, Ortotteri: la

cavalletta, flagello divino. E l’ortottero, vero flagello non dell’agricol-tura, bensì dei computer, si è infiltrato in memorie e circuiti, ce-

landosi per comparire sulla copertina di dicembre sullo strillodedicato alle Api: specchio dell’uomo, insetti anch’esse maImenotteri. Ricomparso così inusitatamente da non darci il

tempo di un cancel che l’avrebbe sconfitto, autoincoronan-dosi in questo modo «l’ultimo refuso del secolo».

PIEMONTE PARCHI ON LINEhttp://www.regione.piemonte.it/parchi/rivista/index.htm

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Scendendo lungo la via dei Mulininel parco del Ticino piemontese sirespirano seicento anni di storia.

Ma non dobbiamo pensare al succe-dersi un po’ caotico di guerre, battaglie,visite reali. Quella che si legge in que-sto suggestivo tratto della valle del Ti-cino è storia del territorio. Non re, eser-citi e cavalieri dunque, ma mulini ad ac-qua, prati irrigui e gesti quotidiani di so-pravvivenza. L’iconema, ovvero l’ele-mento che con la sua presenza dà unaconnotazione forte al paesaggio, è laRoggia Molinara di Oleggio. Grazie aquesto canale, scavato nel basso Me-dioevo, la comunità agricola ha potutodisporre dell’acqua derivata dal Ticinoper irrigare i campi e fare girare i muli-ni. La Roggia Molinara è stata, dal Quat-trocento ad oggi, una fonte permanen-te di energia e quindi di ricchezza. Adambienti paludosi dovuti ad abbondantirisorgive o alla dinamica irruente del fiu-me si è integrato e sovrapposto un nuo-vo assetto del territorio basato sull’a-gricoltura irrigua. Oggi, passeggiandosui questi sentieri nel bel mezzo del par-co, ci troviamo di fronte a un paesag-gio che scaturisce dalle trasformazioniiniziate allora. Il bosco è ancora unapresenza forte che assolve alla stessafunzione di un tempo: crea una fasciaprotettiva tra il Ticino, fiume indomito fa-cile alle esondazioni primaverili e au-tunnali, e l’area coltivata. Questa con-sapevolezza è stata iscritta nella me-moria collettiva per secoli ed è final-mente riemersa anche grazie allo stu-dio della tremenda piena dell’autunno1993. Qui si è riscoperta l’importanzadi definire una fascia di pertinenza delfiume entro cui è possibile mantenereda un lato le sole infrastrutture di attra-versamento viario e dall’altro favorire losviluppo degli ecosistemi naturali. Lostudio ha ampiamente dimostrato co-me i boschi non siano stati danneggia-ti dagli allagamenti provocati dal Tici-

no, al contrario delle aree agricole e ur-banizzate. Non è un caso che da sem-pre, lungo il primo tratto del fiume, gliinsediamenti siano disposti sui crinalianziché in valle. Le diversità forestalisono legate alla presenza d’acqua. Sulgreto del fiume si allinea il saliceto men-tre alberi di legno dolce come pioppobianco, pioppo nero e ontano prospe-rano dove il bosco è inondato regolar-mente, negli ambienti paludosi. Pocopiù all’interno, in una zona ancora ric-ca di umidità dove la falda non è moltoprofonda, si afferma il querco-carpine-to: farnia e carpino a farla da padronima tra loro anche olmo, ciliegio selva-tico e l’alloctono ciliegio tardivo. Que-st’ultimo sta creando seri grattacapi achi si occupa di gestione forestale: siespande al ritmo vertiginoso di un kmall’anno insinuandosi dove incontra unambiente alterato dall’uomo. Tutt’altracosa sono i dossi. Qui, il terreno ciotto-loso e rialzato rispetto alla falda dà luo-

go ad angoli incantati. Sopra un tap-peto di muschio si alternano formazio-ni rade di farnie, roverelle e pini silve-stri che non riescono a crescere, rima-nendo poco più che arbusti. Tronchi erami si contorcono per mancanza d’ac-qua ed elementi nutritivi dando luogoad architetture vegetali fiabesche. Lafascia centrale tra il fiume e la scarpa-ta della valle è, come detto, destinataall’agricoltura irrigua. Svettano gli alli-neamenti un po’ sconcertanti dei piop-pi ibridi coltivati mentre il gelso - qui det-to “murun” in onore di Ludovico il Moroche lo introdusse cinquecento anni fa– è in grave difficoltà. Il manto foresta-le ricompare poi nella parte oppostadella striscia irrigata, sulle pendici del-le valle. E allora sono querce, castagnie ornielli che si contendono la luce delsole sconfinando nella brughiera dellapianura terrazzata fitta di roverelle, pi-ni silvestri, betulle e robinie. Protetti dalbosco, allineati lungo la Roggia, incon-

LUNGO I MULINI

DEL testo e foto

Marco Tessaro

PARCHI PIEMONTESI

Parco ed educazione ambientaleCompletamente funzionante e in buono stato di conservazione, il Mulino Vecchiodi Bellinzago è diventato un Centro regionale di educazione ambientale, un validosupporto alla collaborazione fra realtà territoriale ed attività scolastica.L’ultimo frutto, in ordine di tempo, che sottolinea lo stretto legame fra Ente di ge-stione e la Scuola è rappresentato dall’esperienza didattica di rilievo grafico e foto-grafico del mulino stesso. Nell’ambito di un corso indirizzato alla catalogazione deibeni etnografici, gli studenti del C.S.F. Enaip di Oleggio, hanno messo a punto un’o-riginale ricerca. Oltre all’accurata identificazione dell’utilizzo dei materiali da co-struzione come il legno, la pietra, il laterizio, il ferro. Il lavoro svolto è concentra-to soprattutto sull’edificio del Mulino, dove il pontile, la roggia, il portico e la salamacine, fungono da fulcro di aggregazione nei confronti di altri spazi quali la cu-cina, il forno e l’ex stalla. La redazione di una serie di tavole di rilevamento in sca-la molto particolareggiata (fino a 1:5, o addirittura 1:1) ha costituito il momentoforte di una mostra espositiva, svoltasi lo scorso settembre.La singolare esperienza didattica è ora parte di un volume che raccoglie anche ap-punti per la storia dei mulini ad acqua nella Valle del Ticino.Tel. 0321 93028; E-mail: [email protected].

(e.m.)

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TICINO

triamo finalmente i mulini. Il primo chesi scorge scendendo da nord è dettodi Marano. Viene citato per la prima vol-ta in un documento che regola una lo-cazione nel 1429. Nel secolo scorso hasubito importanti trasformazioni. Sottola spinta dell’industrializzazione nellesue sale viene installato un gruppo al-ternatore-turbina per la produzione dienergia elettrica. Quattro chilometri dicavi vanno ad alimentare l’Opificio Ga-gliardi nell’abitato di Oleggio. E’ una tra-sformazione comune a molti mulini.Quando la crisi dell’agricoltura si fa e-vidente subentra un’industria pionieri-stica assetata di energia che li conver-te alle proprie tecnologie e ai propri sco-pi. Così, spesso, le valli ricche di muli-ni si trasformano in vere e proprie vieall’industrializzazione. Questo proces-so è ben più evidente sulla sponda lom-barda del Ticino o lungo la vicina valledel fiume Olona. Non bisogna dimenti-care che il mulino, le cui origini si per-dono nell’area del Mediterraneo orien-tale nei i primi secoli avanti Cristo, co-me prima associazione tra un edificio e1

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un meccanismo, può essere conside-rato come vero e proprio prototipo difabbrica. Non a caso, in Inghilterra, iltermine con cui lo si indicava origina-riamente, mill, venne utilizzato ancheper alcuni tipi di manifatture (cotton mill,paper mill, steel mill). Il Mulino della Re-sega giace poche centinaia di metri piùa sud. Il primo documento che ne par-la è del 1499, un’investitura per mola epista. Il nome indica che non è statosempre utilizzato per la molitura dei ce-reali. La possibilità di usufruire del mo-vimento che la ruota idraulica traevadall’acqua, non solo in senso rotatorioma anche alternato, ha dato il via ai piùdiversi utilizzi dei mulini. Tra essi ricor-diamo la battitura della canapa, la fab-bricazione del tannino, l’uso di magliidraulici per la lavorazione dei metalli,la fabbricazione della carta e le seghe-rie. Ma il nostro Mulino porta anche unsecondo nome: quello di Bruciato. An-che se le recenti ristrutturazioni hannocancellato ogni possibile traccia, è fa-cile immaginare quale evento ne abbiasconvolto la funzionalità. Mulino dellaResega o Bruciato che dir si voglia;giunge alla fine del secolo scorso incondizioni fatiscenti. In quegli anni però,l’imprenditore Gagliardi, che sta tra-sformando il Mulino di Marano ai propriscopi, viene obbligato di ridare vita alMulino della Resega per compensarela popolazione della perdita dell’im-pianto più settentrionale. Proseguendolungo la strada che porta al Mulino Nuo-vo capita di essere distratti dall’acutopenetrante della poiana o dal verso delpicchio verde. Garzette e aironi svetta-no nei prati come sentinelle poco con-fidenti. In inverno, pavoncelle e anatreapprofittano di questa striscia d’erba trai boschi per trovare un po’ di cibo.All’imbrunire non è raro scorgere la sa-goma elegante e furtiva della volpementre già echeggiano i richiami dei ra-paci notturni. Chi ha avuto la fortuna dipercorrere queste strade nelle notti diplenilunio in febbraio o marzo ha pro-babilmente assistito a dei concerti mi-steriosi: gli allocchi in amore si chia-mano, si cercano tra i rami degli albericon canti acuti e striduli e modulati.Camminando di giorno, capita di os-servare il pettirosso che approfitta del-le foglie spostate dai nostri passi perscovare vermetti. Spesso si incrocianopiccoli stormi di cinciarelle, cince e co-dibugnoli che volano di ramo in ramo.Tra i rapaci diurni è rara la presenza del

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falco lodolaio e del nibbio mentre ilgheppio è una specie abituale. Ac-compagnati da queste presenze si puògiungere al Mulino Nuovo, costruitoquando ancora lupi, cervi e caprioli a-bitavano la valle. Il 21 agosto del 1410un “Istrumento di vendita” di un pratoirriguo nomina per la prima volta il Mu-lino Nuovo. Anche se oggi è in rovina,sprigiona un fascino molto particolare:circondato dai due rami della Roggiache lo lambiscono, con il tetto in coppiricurvo su se stesso come se ogni tra-ve portasse su di sé il peso dei secoli,mentre i muri di pochi mattoni ormaiscavati e ciottoli messi a lisca di pesceparlano di gesti costruttivi comuni in

questo lembo di pianura. Ancora neglianni Trenta del nostro secolo, al MulinoNuovo di Oleggio giravano due ruote inlegno di 18 e 24 pale. La più grande a-veva un diametro poco superiore ai tremetri e mezzo mentre la più piccola nemisurava solo tre. Era l’impianto più ar-retrato dal punto di vista tecnico e il Co-mune, proprietario di tutti i mulini di O-leggio, lo cedeva in locazione semprecon grande difficoltà e naturalmente aicanoni più bassi. Dall’archivio dellaRoggia emergono numerosi verbali diaste in cui la candela, che ne determi-nava la durata, si consumava senza chenessuno si presentasse. Non così peril Mulino Vecchio di Oleggio, il più effi-

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1. Il Ticino all’imbrunire.2. Mulino Vecchio di Bellinzago, la saladelle macine.3. Il Mulino Vecchio di Bellinzago ospitauna esposizione interna di oggettisticarelativa all’attività molitoria.4. Il Naviglio Vecchio, lungo la spondalombarda del Ticino offre angoli di rarabellezza;5. Prati irrigui e pioppeti costituiscono iltipico paesaggio oleggese nei gradoni dellavalle.6. L’upupa nidifica spesso in anfratti ricavatiin vecchi muri.7. Lo scoiattolo, una presenza usuale nella valle del Ticino.8. Il Naviglio Vecchio.

allora è possibile, come per il MulinoVecchio di Bellinzago, il quinto mulinoche si incontra lungo la Roggia, inter-venire coraggiosamente con un cam-biamento di destinazione d’uso: mole epalmenti rimangono ma anziché maci-nare farina macinano idee. Il MulinoVecchio di Bellinzago nel 1985 vieneceduto dal mugnaio Ambrosetti al par-co naturale della Valle del Ticino e do-po un rispettoso intervento conservati-vo diventa Centro Regionale di Educa-zione Ambientale. Classi scolastiche evisitatori possono, con l’aiuto degli ac-compagnatori naturalistici del parco,addentrarsi nei segreti dell’arte molito-ria e apprezzare l’esposizione di carto-grafia e documenti d’archivio oppure dioggetti relativi al Mulino e alle tecnicheagricole che provengono dal Museo Ci-vico Etnografico di Oleggio. I locali ri-cavati dalle stalle ospitano un fitto ca-lendario di mostre di artisti locali e in-contri su temi ambientali. La sala dellemacine è di grande atmosfera. Un am-

biente cinquecentesco in cui ogni co-sa ci parla di una civiltà contadina orascomparsa. A volte il mugnaio Ardiz-zoia, ormai ottantenne, ridà moto allaruota idraulica per macinare ancora unpo’ di farina. Riempie la tramoggia conil mais che inizia a scendere nel forocentrale della mola superiore. Questa,girando sulla mola inferiore fissa, lo fran-tuma e lo spinge per forza centrifugaverso l’esterno, dove ricade nel burat-to. In breve, nella sala si spande un mi-nutissima polvere dorata che esalta iraggi di sole che filtrano dalle piccolefinestre. Altri tempi; a poca distanza daqui, sulla sponda lombarda del Ticino,lo scalo internazionale di Malpensa2000 preme come un ascesso che staper riversare tutt’intorno chilometri dicollegamenti viari e infrastrutture. Il ter-ritorio viene fagocitato sotto l’impulsotecnologico e tecnicistico seguendo mi-ti di benessere creati a colpi di spot edi incerta durata.

ciente e tuttora meglio tenuto, anche sedi proprietà privata. Qui, nel 1879, hafatto per la prima volta la sua compar-sa lungo la Roggia Molinara la ruota inferro a palette ricurve. Si può dire chei mulini del quindicesimo secolo – an-che il Mulino Vecchio è citato per la pri-ma volta nel 1410 – siano arrivati sinoalle soglie del Novecento senza un’ap-prezzabile evoluzione tecnica. Poi peròtutte le parti di movimento che prima e-rano in legno furono costruite in ferroaumentando notevolmente la capacitàmolitoria. Ma la rincorsa li vedrà benpresto perdenti: il calo dei prezzi deicereali, il diffondersi di impianti molito-ri mossi da energia elettrica, il cambia-mento delle abitudini alimentari e l’ina-sprimento delle norme igienico-sanita-rie resero antieconomica la macinazio-ne tradizionale dei cerali. In rarissimicasi li troviamo ancora attivi dopo la Se-conda guerra mondiale. Ma quando ac-cade, giungono a noi con gli impiantiancora ben conservati ed efficienti. E

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aviglianacieli d’acqua

PARCHI PIEMONTESI

Il parco Laghi di Avigliana con il suoincomparabile ambiente, è il prota-gonista di un evento davvero singo-

lare. Il pittore Vinicio Perugia, sensibileal linguaggio della natura già in «tem-pi non sospetti» (nella primavera ‘84 di-pinse un airone appositamente per laretrocopertina di Piemonte Parchi), harealizzato recentemente una serie di o-pere a tema naturalistico per una mo-stra personale in programma fino a fi-ne gennaio a Torino. I dipinti, visti in an-teprima da Bruno Gambarotta, sono sta-ti a loro volta fonte d’ispirazione.Il noto scrittore, ed ex giornalista Rai,infatti, ha raccontato impressioni edidee in uno scritto suggestivo e caricodi significati storici e simbolici. Questoè il classico caso in cui si può ben direche da arte nasce arte! L’originale ab-binamento di pittura e letteratura cheproponiamo non vuole aprire un inutileconfronto fra diverse espressioni arti-stiche, ma semplicemente testimoniarela ricchezza «culturale» della natura ela sua straordinaria generosità.La natura, intesa come potente fonte i-spiratrice di opere scaturite dall’inge-gno dell’uomo è parte della nostra vitae come accadeva al tempo del Rina-scimento e del Romanticismo, ancheoggi è in grado di comunicare concet-ti, significati, emozioni. Chi ha saputostabilire un contatto diretto con la natu-

Enrico Massone

Tronchi d’acqua, acrilico su tela, cm 20x30. A destra: Il filosofo, acrilico su tela, cm 240x60.In alto a sinistra: I contemplatori, acrilico su tela, cm 30x20.

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Il risveglio delruscello, acrilico sutela, cm 40x30.

Aveva chiesto una solagrazia. Aveva un solodesiderio, rivedere la

Terra dopo il passaggiodell’uomo, dopo che anche laspecie umana, alla pari delleinfinite altre che l’avevano pre-ceduta, si era estinta.Fu accontentato.Volle andare nella regione chel’aveva visto nascere e cresce-re, in quella valle che per seco-li era stata la strada maestraper gli eserciti che scendevanoa conquistare l’Italia, dove icampi sono solo campi di bat-taglia.Vagò per orti, prati, boschi, ru-scelli. La sua presenza era me-no di niente, al suo passaggiole foglie che stavano per stac-carsi dal ramo restavano im-mobili e il suo peso non pie-gava un filo d’erba.E vide com’era il mondo pri-ma del mondo. Non si rasse-gnò all’idea che di tanto cla-more, di tanto tintinnare diferri, di tanto fuoco e di tantosangue non fosse rimasto nul-la. Scrutò a lungo il cielo im-mobile che si specchiava in u-na polla d’acqua.Dov’era la grande croce lumi-nosa che aveva visto Costanti-no quando stava per battereMassenzio e dov’era quellascritta - In hoc signo vinces -che il 28 ottobre del 312 gli a-veva dato la certezza della vit-toria? Vide solo l’opalescente,perlacea luce del tramonto.Cercò la roccia, il grande mas-so erratico, sulla quale Deside-rio, re dei Longobardi, e suo fi-glio Adelchi, spezzarono le lo-ro spade nel 773, prima di ar-

rendersi ai Franchi di CarloMagno, che per secoli era sta-ta meta di mesti pellegrinaggi.Ricordava una fessura apertadai colpi come se la pietra fos-se stata la tenera e indifesa car-ne di un nemico. Ora la feritaè coperta da un groviglio di li-cheni, un viticcio verde si av-viluppa e fa nodi su nodi, il ge-lo che uccide le piccole foglienon può soffrire le radici. Ri-cordò i Saraceni feroci e san-guinari che avevano invaso lavalle bruciando e uccidendo,cacciati infine dalla Novalesa,che vagavano randagi per cam-pi, per boschi, soffrendo perfame e miseria, inseguiti e cac-ciati come cinghiali. Dov’erascorso il sangue ora c’eranopaludi iridescenti. Andò a Exil-les, cercò la radura nel boscodove il 15 agosto del 1424 erastata bruciata una povera don-na accusata di stregoneria, laprima di una lunghissima se-rie, e trovò un albero schian-tato dal fulmine, le radici peraria, coperte da un fitto man-to di erbe, arbusti, liane conlunghi filamenti. Infine salì suun’altura e acuì lo sguardo inlontananza, verso il fondo val-le: cercava di vedere le fiammee il fumo che si alzavano dallerovine dei castelli di Aviglianae di Rivoli, distrutti e incen-diati nel 1691 dal maresciallodi Francia Nicolas de Catinat.Niente, il cielo gli trasmettevalo smalto della perfetta e sferi-ca perfezione della sera immi-nente. Contemplò l’erba che a-veva ricoperto le macerie di o-gni guerra, si accostò alla cor-teccia lattiginosa e squarciatain più punti di una betulla e siarrese.Si arrese all’idea che questomondo che credevamo di pos-sedere, di dominare e di tra-sformare a nostro piacimento,era tornato ad essere un mon-do che poteva fare a meno dinoi, era un mondo che vivevaun’altra vita dopo la nostra vi-ta. Perché mai questi tronchi,questi vegetali, queste rocce a-vrebbero dovuto ricordare glianniversari delle nostre guer-

re e delle nostre insurrezioni?Ricordò che da ragazzo osser-vava ammirato e stupito l’erbache ogni anno avanzava daibordi della strada e si mangia-va un pezzo di asfalto. E com-prese.Tutte quelle lotte, quelle al-leanze, quei tradimenti, queimatrimoni dinastici, tutto quelsangue versato avevano lascia-to come unica traccia un pic-colo cerchio di sassolini attor-no a una polla d’acqua.Comprese anche però che lastoria non è solo quelladell’uomo, delle battaglie, deitrattati, delle pestilenze, dellemigrazioni, delle carestie, del-le lotte sociali. C’è anche un’al-tra storia, quella di una piantagracile che si aggrappa alla roc-cia con l’incosciente fiducia cheil vento non la strapperà, lastoria del fitto e intricato tap-peto dei licheni che si insinua-no nelle fessure e vivono unabrulicante vita.La storia di una natura che,ancora una volta, ha vinto.

Il mondo prima del mondoLa vita dopo la vita

Bruno Gambarotta

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ra, ha riscoperto la gioia di un dialogo spirituale che forse credeva irrimediabil-mente perduto. Dagli spazi paludosi delle zone umide ai ghiacciai delle più altevette, sempre più spesso i territori compresi nei parchi e nelle riserve naturali di-ventano lo scenario privilegiato di canzoni, poesie e romanzi e ispirano disegna-tori e pittori, scultori e musicisti. L’articolato sistema delle aree protette in Piemon-te non si limita alla salvaguardia delle bellezze naturalistiche. La valorizzazione delpaesaggio, legata alle tradizioni che le popolazioni locali hanno sviluppato nel cor-so di millenni, resta fra gli impegni prioritari della politica di tutela, con l’obiettivodi consegnare alle generazioni future un patrimonio dotato di un migliore equili-brio.Agli aspetti economici e sociali, si affiancano fattori individuali, che stimolano il rap-porto personale ed intimo con l’ambiente naturale. Le forme espressive più variepenetrano la sfera delle emozioni e dei sentimenti e sono capaci di trasformare lesensazioni che la natura suggerisce in suggestive interpretazioni artistiche. Gli e-sempi in questo campo sono innumerevoli e non si riferiscono alle sole presenzedel passato, come i mirabili complessi abbaziali di Staffarda, Montebenedetto,Chiusa Pesio, i Sacri Monti o i parchi storici di Stupinigi, La Mandria, la Burcina...Andrea Balzola sviluppò il tema del rapporto arte/natura su Piemonte Parchi, in u-na serie di schede nel 1995, mentre già nell’86 e nell’87, il parco Laghi di Aviglia-na, aveva stimolato numerosi pittori dell’area torinese e valsusina alla mostra iti-nerante dal titolo significativo «Ecologismi».

Dipinti di Vinicio Perugiain catalogo il racconto «Il mondoprima del mondo, la vita primadella vita», di Bruno Gambarotta.

Dall’8 al 29 gennaio 2000GALLERIA D’ARTE DAVICO

Torino, Galleria Subalpina 30, tel. 011 5629152.In collaborazione con Il Quadro srl, progetti contemporanei per l’arte.

VINICIO PERUGIA

è originario di Fabriano nelle Mar-che dove apprese i primi rudimen-ti artistici dal padre Gilberto, pitto-re. Trasferitosi ad Avigliana, dovevive tuttora, ha iniziato l’attività pit-torica sotto la guida del torineseFernando Eandi e ha perfezionatola tecnica dell’incisione con Gior-gio Roggino.Alla prima esposizione del 1982 so-no seguite numerose mostre perso-nali e collettive e riconoscimenti in-ternazionali. I suoi quadri si trova-no in permanenza nella pinacotecadi Santhià, in quella di Moncalieri,e alla costituenda Pinacoteca di Ser-ra San Quirico (Alessandria); alMuseo d’arte moderna di Livornoe nelle gallerie d’arte «Davico» diTorino, «Losano» di Pinerolo (TO),«Il Ponte» di Susa (TO), «Il Qua-dro» di Biella.

Isole di cielo, acrilico su tela, cm 60x50.A sinistra: Alla sorgente del tempo, acrilico su tela, cm 140x50.In basso: Guado n.1, acrilico su tela, cm 50x140.

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aquila

tine si vanta l’attaccamento delle aquilea coloro che le allevano. Nei testi an-tichi sovente viene riportata la loro ca-pacità di guardare “Febo”, ossia fis-sare il sole. Una dote presunta cheviene ripresa dagli autori cristiani percui l’aquila divenne il simbolo dell’E-vangelista Giovanni, capace di guar-dare la Luce della Verità, oltre a “vo-lare più in alto, e quindi più vicino aDio”. Plinio il vecchio, inoltre, raccon-ta che alla schiusa delle uova l’aquilarivolge gli implumi verso oriente: quel-li che reggono lo sguardo sono degnidi essere allevati, gli altri verranno ab-bandonati. Vista acuta per scorgere da altezze e-levate prede anche piccole. Insomma,l’aquila ha tutti i numeri per essere unanimale-simbolo. Ed infatti la sua effi-gie è stata per secoli l’insegna milita-re più diffusa: iniziarono i Persiani, poi

aquilaLa reginadelle vette

In un bar dell’Alta Valle di Susa e-spongono una vecchia, ma bella, im-magine in bianco e nero di aquila rea-le in volo che trasporta tra gli artigli ungiovane ungulato (probabilmente uncamoscio). Risale sicuramente ad unepoca in cui le aquile non erano parti-colarmente numerose lungo la catenaalpina ed altrettanto sicuramente nonerano ben viste dalle popolazioni lo-cali. Attualmente invece, uno tra i piùimponenti rapaci diurni italiani, pareabbia con successo conquistato un no-tevole rispetto per se stesso, tanto chetra i principali nemici dell’aquila rea-le figurano raramente bracconieri ecacciatori, mentre il disturbo più fre-quente proviene da fotografi, videoa-matori e rocciatori.

ORNITOLOGIA

Il numero di coppie presenti sulla ca-tena alpina pare sia soddisfacente (sistimano dalle 250 alle 300 coppie), unpo’ meno piacevole è la situazione ap-penninica, discreta la presenza sulleisole, soprattutto in Sardegna.

I greci consideravano l’aquila l’uccel-lo più caro a Zeus; Eschilo ne fa lostrumento della vendetta degli dei suPrometeo, inviata a fare “un nero pa-sto” del suo fegato. Talmente cara aGiove che il padrone dell’Olimpo neassume le forme, nelle Metamorfosi diOvidio, per rapire Ganimede. Pliniochiama l’aquila percnoptero, latiniz-zandone il nome greco, “la sola cheporta in volo i cadaveri delle sue pre-de”. I popoli dell’India hanno sfruttatoquesta sua capacità addestrandola,con altri rapaci, alla caccia delle leprie delle volpi. In molte fonti greche e la-

Massimo Camporaornitologo

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Alessandro Magno, Caio Mario la uti-lizzò per le legioni romane. Ed aquilericamate sugli stendardi, sagomate nelmetallo delle insegne, cucite sulle ban-diere, se ne sono viste molte sfilare neisecoli: da quelle delle truppe dell’im-pero bizantino alla cavalleria asburgi-ca, a quelle fasciste. E di aquile, spe-cie se bicipiti, è piena l’araldica euro-pea; infine, ancor oggi, l’aquila testa-bianca è l’emblema degli USA. Ma torniamo all’aquila concreta: l’a-quila reale (Aquila crysaethos) è un ra-pace di grande taglia, con una aper-tura alare che sfiora i 220 cm ed unpeso che può arrivare nelle femmineaddirittura a 6 chili; i suoi areali prefe-riti per cacciare sono i pascoli d’altaquota e le imponenti foreste.In Italia il rapace costruisce il nido nor-malmente su pareti (raramente su al-beri) spesso inaccessibili e a quoteconsiderevoli (a seconda dell’ambien-te, sulle Alpi tra i 1000 ed i 2500 m). Il nido è spesso posizionato in areestrategiche dove possa accedervi sen-za particolari dispendi energetici. L’a-quila infatti, ha bisogno di un territoriodi caccia sovrastante al sito di nidifi-cazione dove, una volta catturata lapreda, lo sforzo per trasportarla al ni-do risulti minimo. Normalmente unacoppia costruisce sul suo territorio piùnidi che sfrutta saltuariamente; esisto-no casi di coppie che possiedono sul-la stessa parete anche 7/8 nidi.Le prede preferenziali delle aquile chevivono lungo la catena alpina sonoprincipalmente marmotte, volpi, lepri,giovani ungulati, ecc. e, tra gli uccel-li, pernici e galli forcelli.Invece le prede delle aquile appenni-niche o che vivono in Sardegna e Si-cilia, appare meno ricca ma forse piùvariegata: abbiamo così tra i mammi-feri, volpi, giovani ungulati, gatti do-mestici e selvatici, lepri, faine, ratti, ca-rogne ecc. tra gli uccelli, galliformi ecorvidi, notevole è anche la predazio-ne sui grossi rettili (serpenti).Se attualmente la popolazione delle a-

quile viventi sulle Alpi fa allontanare ilrischio di una rarefazione della specie,lo stesso non si può dire di quelle chevivono nel restante territorio italiano.Soprattutto sull’Appennino dove, pur-troppo, questi rapaci risultano ancoramal visti dalle popolazioni locali equindi spesso uccisi.Peraltro va anche detto che l’ambien-te appenninico offre aree meno idoneealla specie, sia sotto il profilo riprodut-tivo sia quello alimentare.L’aquila depone solitamente 2 uova(raramente 1 o 3) che vengono cova-te per circa 45 giorni; i giovani, unavolta nati vengono nutriti principal-mente dalla femmina, il maschio soli-tamente ha il compito di procurare ilcibo, spesso anche per la compagna.I giovani aquilotti permangono sul ni-do per circa 70 giorni. Sovente in co-vate di due pulcini, uno soccombe, uc-ciso dal fratello più forte (generalmen-te la femmina). Questo comportamen-to, detto cainismo, è ancora poco com-preso: pare sia frequente anche quan-do per la coppia adulta vi è un’ab-bondanza di prede che permettereb-

be la sopravvivenza di entrambi i gio-vani, è comunque possibile l’involo dientrambi gli aquilotti.L’involo avviene generalmente in luglio:gli aquilotti vengono comunque ali-mentati ancora per un certo periododai genitori, anche al di fuori del nido.Il legame tra adulti e giovani è moltoforte nella specie; tant’è che frequen-temente i giovani permangono nei ter-ritori dei genitori gli anni successivi,sempre però se la coppia non riescea riprodursi. La maturità sessuale vie-ne raggiunta intorno al quinto anno divita. L’identificazione dei giovani in vo-lo appare estremamente facile per viadelle chiazze bianche sulle ali molto e-videnti sia nella parte superiore sia inquella inferiore. Con il passare del tem-po queste impallidiscono fino a spari-re venendo sostituite dal classico piu-maggio da adulti di marrone uniforme. Il futuro delle aquile reali non sembraparticolarmente minacciato da perico-li incombenti, pare che questo granderapace sia riuscito ad adattarsi, sep-pur con difficoltà, ai cambiamenti dra-stici e veloci avvenuti in questi ultimi

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1. Volo di giovane aquila nel parco Orsiera-Rocciavré (foto L. Giunti).2. Aquila reale con la sua preda in Sardegna (foto D. Ruiu).3. Splendido esemplare che evidenzia la notevole apertura alare (foto D. Ruiu).4. Un’aquila con la nidiata di due pulli (foto D. Ruiu).5. Alcuni popoli in passato e qualchepopolazione tartara ancora oggi, usavanol’aquila per la caccia. Nella foto (ArchivioCedrap) un bronzo di falconiere con aquilaa Mentone, Francia. .

decenni nelle aree dove è presente (soprattutto sul-le Alpi). Comunque questi predatori hanno neces-sità di una vasta disponibilità di cibo, di un territo-rio idoneo alla nidificazione e di un basso disturboantropico: se questi fattori venissero a mancare sa-rebbe sempre più raro osservare il maestoso volodella regina delle vette.

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più illustri compagni di viaggio, ma faparte anch'esso di quelle specie checon un lento processo storico di colo-nizzazione, hanno raggiunto la regionealpina orientale.Il primo dato certo di presenza dellosciacallo sul nostro territorio risale giàall'inizio del 1984 quando un esempla-re è stato abbattuto nei pressi di S. Vi-to di Cadore in provincia di Belluno. Questo fatto impone una riflessione; losciacallo era già arrivato nel bellunesequando ancora la sua possibile com-parsa nelle zone del Carso triestino egoriziano, poste al confine con la ex Yu-goslavia, veniva solo ipotizzata.Questa situazione, che rispecchia pergrandi linee quanto accaduto per il lu-po sul versante opposto, nelle Alpi oc-cidentali, è tipica di quelle specie elu-sive e adattabili in cui gli individui su-badulti, lasciato il nucleo famigliare, di-ventano erratici e compiono sposta-menti anche considerevoli alla ricercadi nuovi territori in cui insediarsi.Il lungo viaggio verso nord-ovest com-piuto dallo sciacallo dorato partendodal suo areale di origine nell'Europasud-orientale, sembra sia iniziato circa30 anni fa e, favorito da una serie con-comitante di situazioni, avrebbe segui-to due probabili direttrici di sposta-mento.Un primo flusso, che avrebbe compor-tato l'arrivo della specie nelle attuali Slo-venia e Croazia già a partire dagli anni'50, sembrerebbe correlato alla pre-senza in quelle zone di greggi di ovi-caprini portati dalla Macedonia persfuggire ad una forte siccità, e al cui se-guito avrebbero viaggiato anche glisciacalli.Un secondo avrebbe avuto invece ori-gine dalla Bulgaria, dove la protezioneaccordata alla specie nel 1962 ne ave-va decretato un forte incremento nu-merico; attraverso i territori della ex Yu-goslavia prima e successivamente del-l'Ungheria, esemplari erratici in disper-sione avrebbero raggiunto le aree sud-orientali dell'Austria verso la fine degli

La ricomparsa spontanea sull'arcoalpino italiano dei tre grandi carni-vori lince, orso bruno e lupo, ha o-

riginato vivaci discussioni che hanno in-teressato non solo la comunità scienti-fica, ma hanno coinvolto anche la stam-pa e i mass media, tanto che attual-mente sono ben poche le persone cheignorano questo importante fenomeno.Sicuramente in questo ha giocato unruolo determinante il notevole impattoche questi affascinanti predatori eser-citano sull'immaginario collettivo.Probabilmente è proprio questo il moti-vo per cui un'altra notizia, forse ancorapiù interessante almeno dal punto di vi-sta scientifico, continua ad essere qua-si ignorata: per la prima volta lo scia-callo dorato (Canis aureus) ha fatto lasua comparsa sul territorio italiano inmodo del tutto spontaneo.L'immagine di questo canide presso ilgrande pubblico è sicuramente pocoaccattivante e non gode certo dellastessa considerazione riservata ai suoi

Franco Mari & Carlo Frapportinaturalisti

fotografie Ettore Centofanti

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anni '80.L'Italia, nel suo versante orientale, nonevidenzia grandi barriere geografichee anzi le zone di confine con l'attualeSlovenia rappresentano un luogo elet-tivo di transito e comunicazione fauni-stica tra questi paesi.Probabilmente è stato proprio sfruttan-do la presenza di questi "corridoi fau-nistici" che lo sciacallo dorato ha fattola sua comparsa nel nostro paese neiprimi anni '80 e, da allora, si è diffusosino a occupare attualmente buona par-te del Friuli-Venezia Giulia, del Venetoe del Trentino orientale, anche se nonsi può escludere che la sua presenzainteressi ormai un areale più vasto.In queste zone mancano stime attendi-bili di consistenza e andamento dellapopolazione che sembrerebbe presen-te con basse densità e costituita pre-valentemente da animali isolati. Si so-no però avute osservazioni di coppie e,in alcuni, casi si è potuto documentarela loro riproduzione.In effetti il monitoraggio dello sciacalloè reso ulteriormente difficile dalle scar-se conoscenze di cui si dispone, e dal-le caratteristiche morfologiche che lorendono facilmente confondibile con uncane di media taglia o una volpe. Le dimensioni risultano infatti interme-die tra queste due specie, misurandocirca 120 cm di lunghezza totale e 50cm di altezza al garrese, per un pesomedio che varia tra i 10 kg dei giovanisino ai 15 degli adulti.La specie non presenta un marcato di-morfismo sessuale e, sia il maschio siala femmina presentano un folto mantel-lo di colore giallo grigiastro sul dorso esui fianchi, che diviene via via più chia-ro e talvolta biancastro, nella regioneventrale.Il muso è appuntito e sono ben eviden-ti le grandi orecchie portate erette; lacoda è molto simile a quella della vol-pe anche se, nello sciacallo, manca del-la caratteristica punta bianca.Gli stessi indici di presenza quali orme,escrementi, ecc., possono essere fa-cilmente confusi con quelli di altre spe-cie di canidi di dimensioni simili. Il fat-to poi che sia di abitudini prevalente-mente notturne, trascorrendo le ore diur-ne celato tra la vegetazione o nella ta-na, e lo scarso impatto emotivo chequesto canide suscita tra la gente, fa siche lo sciacallo passi quasi del tutto i-nosservato.E' invece un animale che presenta a-spetti molto interessanti sia riguardo alcomportamento sia alla capacità di a-dattamento ai più diversi ambienti econdizioni.La coppia tende a mantenere un lega-

1. Femmina.2. Bel primo piano di un maschiodominante.3. Un altrainquadratura dellostesso individuo. Il servizio è statorealizzato nell’Oasifaunistica «La Torbiera» diAgrate Conturbia(Novara).4. Un maschioall’ingresso della tana.5. Zampa anteriore.Si noti l’unione deipolpastrelli come nel lupo.6. Sciacallo doratocon la sua preda.7. Una faseconflittuale tramaschi e femminedominanti e unafemmina ß.8. L’immagine mettein evidenza leorecchie tenute ben dritte.

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me stabile nel tempo ed ambedue i ses-si cooperano nella difesa del territorio. Il periodo degli amori cade tra novem-bre e gennaio, e dopo una gestazionedi circa due mesi, tra marzo e maggiola femmina da alla luce nella tana tra 4e 5 piccoli che vengono accuditi e di-fesi da entrambi i genitori.Nello sciacallo, spesso la coppia è coa-diuvata nelle cure parentali da alcunidei giovani nati l'anno precedente chesi trattengono presso i propri genitori inqualità di "aiutanti" cooperando nel re-perimento del cibo e nella sorveglian-za e difesa dei nuovi nati.

Questa collaborazione permette allacoppia di allevare con successo unmaggior numero di piccoli rispetto aquelle che non possono contare su que-sto aiuto.Il successo di questo canide è dovutoanche alla estrema plasticità che di-mostra nei riguardi dell'utilizzo degli am-bienti e dello spettro alimentare. Pur ap-partenendo all'ordine dei Carnivori e a-vendo come prede elettive i mammife-ri sino ai 2-4 kg di peso, è in pratica unonnivoro in grado di cibarsi di una gam-ma molto ampia di alimenti che vannodalle piccole prede come insetti, mam-

miferi e uccelli, ai vegetali, sino ad ar-rivare a nutrirsi di carogne e rifiuti, dacui la pessima reputazione. Al pari della volpe può occasionalmen-te predare ungulati domestici e selvati-ci delle dimensioni di un capriolo sevengono sorpresi in situazioni ambien-tali particolari, come in caso di copio-se nevicate, o quando questi siano de-bilitati da malattie.Per queste sue abitudini alimentari, losciacallo dorato viene spesso erronea-mente considerato "nocivo" dall'uomoin quanto può competere per le predeselvatiche e, a volte, causare danni a-gli animali domestici. Così anche se inItalia questa specie è stata inserita traquelle particolarmente protette dalla leg-ge n°157/1992 sulla caccia, ancora siregistrano casi di abbattimenti inten-zionali.Teoricamente l'arrivo spontaneo nel no-stro paese di questa nuova specie nondovrebbe comportare inconvenienti perla fauna autoctona, come invece si staverificando a seguito delle immissionieffettuate dall'uomo, in modo più o me-no illegale, di nuove specie come la nu-tria o lo scoiattolo grigio, la cui espan-sione nel nuovo ambiente sta provo-cando gravi squilibri faunistici.In realtà lo sciacallo dorato è un feno-meno nuovo che non va sottovalutato eche deve essere seguito con estremaattenzione. Solo con il passare del tem-po e l'affermarsi di una popolazione sta-bile e vitale sul nostro territorio potremoottenere valide indicazioni di quali sa-ranno i reali effetti di questa nuova com-parsa.

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GRIGI CONTRO ROSSINel nostro Paese vive un roditore

che è considerato dagli esperti ditutto il mondo una tra le più gravi

minacce per gli ecosistemi naturali. Loscoiattolo grigio (Sciurus carolinensis),originario del Nord America, è stato in-trodotto dall’uomo nel parco di Stupini-gi in Piemonte nel 1948. Dove questo scoiattolo arriva, provocarapidamente l’estinzione dell’autoctonoscoiattolo rosso (Sciurus vulgaris) uni-ca specie di scoiattolo europeo ed ele-mento chiave degli ecosistemi foresta-li del nostro continente. In Gran Breta-gna, unico altro paese europeo dovesono presenti gli scoiattoli grigi, questihanno determinato la scomparsa di ol-tre cinque milioni di scoiattoli rossi; orane sopravvivono solo 160.000 consi-derati in gravissimo pericolo di estin-zione. Insomma l’espansione del grigio pro-voca inevitabilmente la scomparsa delrosso. E non è solo l’estinzione dellaspecie europea a preoccupare; infattidove una specie alloctona si sostituiscead una autoctona, si rompono anche idelicati meccanismi ecologici che re-golano gli ecosistemi con danni spes-so inaspettati. Lo scoiattolo grigio, che

Piero Genovesitecnologo Istituto Nazionale Fauna

Selvatica

BIODIVERSITÀ

la guerra degli scoiattoli

e divergenze umane

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in Nord America non è affatto numeroso e anzi in alcune areeè considerato in calo, in Gran Bretagna raggiunge densità e-levatissime e distrugge enormi aree di bosco decorticando fag-gi e altre specie di latifoglie. Anche in Italia la storia si ripete: lo scoiattolo grigio è rimastoa lungo confinato nel parco di Stupinigi, dove l’ultimo scoiat-tolo rosso è stato avvistato nel 1979. All’inizio di questo de-cennio il nuovo arrivato ha improvvisamente cominciato ad e-spandersi colonizzando un’area di diverse centinaia di chilo-metri quadrati; nel 1990 lo scoiattolo rosso era già scompar-so dal 54% dell’areale del grigio, nel 1996 aveva ridotto di u-na altro 55% la sua area di presenza. Nel 1997 sopravvivevasolo in due parchi: Racconigi, dove però era già drasticamentecalato, e Borgo Cornalese, dove il grigio era arrivato da ap-pena un anno. Essendo la popolazione italiana l’unica di tutta l’Europa conti-nentale, è nostra la responsabilità di rimuovere lo scoiattolo gri-gio prima che si espanda al resto del continente. Ed in questi

casi la Convenzione di Berna del 1979 e la Convenzione di Riosulla Biodiversità del 1992, convenzioni che hanno rappresen-

tato una conquista del mondo ambientalista, obbligano i Paesiad eradicare le specie alloctone che rappresentino una minac-cia per la biodiversità.

Per questi motivi le principali associazioni ambientaliste piemon-tesi (WWF, Pro-natura, Italia Nostra) e tutto il mondo della conser-

vazione sia nazionale (Unione Zoologica Italiana, Convegno dei Bio-logi della Selvaggina) che internazionale (International Union for theConservation of Nature, Forestry commission, People Trust for En-dangered Species, etc.) hanno richiesto alle autorità competenti diattivarsi per eradicare lo Scoiattolo grigio dal Piemonte. Il nostro Istituto ha quindi nel 1996 predisposto, in collaborazione con

la Regione Piemonte e l’Università di Torino, uno studio mirato a valu-tare se fosse possibile rimuovere questa specie, e se era possibile e-vitare il ricorso ai metodi usati in Gran Bretagna: uso diffuso di veleno(il Warfarin, un antocoagulante che provoca la morte solo dopo ore disofferenze) o lo sparo nel nido (con problemi di selettività, animali feri-

ti, ecc.); inoltre Legambiente, che aveva approvato il progetto, avevaperò richiesto ufficialmente che gli animali venissero anestetizzati prima

della loro eutanasia. La metodologia utilizzata nel programma di studio era quindi basata sul

trappolamento in vivo degli scoiattoli, l’anestesia sotto controllo veterinariocon un gas, e la soppressione degli animali con un sovradosaggio dello stes-

so anestetico. Tutti gli animali sarebbero poi stati analizzati da veterinari perverificare la presenza del parapox, un virus trasmissibile anche all’uomo e delquale lo scoiattolo grigio è portatore sano. Il progetto, messo a punto con i maggiori ricercatori nazionali ed internaziona-li, è stato quindi reso pubblico (inviato alle associazioni e presentato in Re-gione Piemonte) per avere commenti e suggerimenti. È risultato impossibileutilizzare la sterilizzazione chirurgica come tecnica di eradicazione: non per-ché l’operazione in se crei problemi, ma perché le difficoltà tecniche di ri-muovere migliaia di scoiattoli (strutture di degenza pre- e post operatoria,mantenimento in cattività per l’intero periodo di trappolamento, rischio di dif-fusione del parapoxvirus, ecc.) rendevano questa tecnica inapplicabile.Dopo questa fase di revisione, il progetto sperimentale è quindi partito nelmaggio 1997 nel parco di Racconigi, dando ottimi risultati: siamo infatti riu-sciti a catturare più di metà della popolazione di scoiattoli grigi del parco inpoche settimane e le tecniche di anestesia ed eutanasia hanno dimostra-to di evitare sofferenze agli animali. Nel giugno 1997 però, tre associazioni animaliste hanno denunciato me,come coordinatore del progetto ed il direttore dell’Istituto. Dopo dueanni il processo ha portato alla nostra condanna per attività di caccia il-legale e maltrattamento degli animali. Al di la’ della condanna (sulla qua-le non mi sembra corretto commentare, per la quale ovviamente pre-senteremo appello e che confido sarà annullata), quello che più mi col-

pisce sono le conseguenze che la sentenza avrà per la conservazione del-lo scoiattolo rosso, che rischia di scomparire da gran parte dell’Europa, e

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anche per lo scoiattolo grigio. Intervenire o-ra voleva dire evitare in futuro estesi inter-venti di controllo sul grigio da parte di Par-chi, Province ecc. (pensate al caso della nu-tria: in Italia si uccidono ogni anno migliaiadi individui, mentre in Gran Bretagna la spe-cie è stata definitivamente eradicata neglianni ‘80).Inoltre, Francia e Svizzera, giustamentepreoccupate, stanno già pensando di rea-lizzare piani di controllo dello scoiattolo gri-gio per quando la specie si espanderà dalPiemonte (secondo simulazioni fatte da ri-cercatori inglesi è prevedibile che in pochianni lo scoiattolo grigio colonizzerà le Alpi).E non scordiamoci che in Francia si ucci-dono ogni anno più di 50.000 topi muschiaticon trappole ad annegamento. Non si puòquindi dire che l’interruzione del progettovoglia dire salvare gli scoiattoli: ne morirannomilioni - tra rossi e grigi - nei prossimi de-cenni!Certo l’eradicazione di una specie, che puòvoler dire la soppressione di alcune migliaiadi individui, non è una decisione che puòessere presa a cuor leggero; rappresentacomunque uno strumento estremo, che vavalutato con molta cautela, analizzando i proe i contro sulla base delle nostre cono-scenze scientifiche. Ma non ci si può neanche chiudere gli oc-chi. Ora che l’avanzamento delle cono-scenze ci permette di capire molto meglioche in passato i meccanismi ecologici, diprevedere gli effetti dei nostri atti, e ci indi-ca gli strumenti con cui affrontare efficace-mente le minacce per l’ecosistema, pos-siamo ancora evitare scelte dolorose comequella di sopprimere alcune centinaia discoiattoli per salvarne alcuni milioni? Un principio affermato da tutto il mondo del-la conservazione è che la soppressione dialcuni animali non deve essere un tabù. Sela salvaguardia di una popolazione selvati-ca (o come nel caso degli scoiattoli rossi,di un’intera specie) richiede il sacrificio dialcuni individui, questo strumento deve es-sere accettato; e non solo quando si appli-ca ad animali «antipatici» come i ratti o lenutrie. Insomma quando è in gioco la con-servazione della biodiversità, le responsa-bilità del genere umano sono troppo graviperché l’emotività possa prevalere sulla ra-zionalità.Un altra conseguenza di questa storia è cheil Consiglio d’Europa ha imposto all’Italia,con una raccomandazione votata il 3 di-cembre scorso, di eradicare lo scoiattologrigio, e l’Italia rischia quindi un procedi-mento presso l’Alta corte di giustizia Euro-pea.

I rossi: 2 foto R. Cottalasso, 3 e 4 foto G. Carrara/Cedrap.

I grigi: 1 foto R. Valterza/Cedrap, 5 e 6 foto A. Maffiotti/Cedrap,

7 foto G. Bissattini

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Altri crostacei presenti sul monteFenera e su tutto il territorio piemonte-se sono gli Anfipodi appartenenti algenere Niphargus, piccoli «gamberet-ti» depigmentati, che vivono nelleacque sotterranee e si trovano spessoanche nelle pozze di sti l l icidio.Attualmente sono in studio alcunespecie nuove provenienti sia dalFenera sia da altre zone carsiche.

Organismi, meno adattati alla vita«cavernicola» (troglofili), ma comun-que importanti dal punto di vista zoo-geografico ed ecologico, sono gliOpilioni del genere Ischyropsalis; inquesti ultimi anni, si sono fatte interes-santi scoperte sia nella parte nord delPiemonte, sia in Valle d ’Aosta, inpieno territorio del parco del GranParadiso, («Borna du Ran»,Valsavarenche). Altre nuove speciesono venute alla luce nel comune diSparone (Valle di Locana), ai confinimeridionali del parco, nella Grotta

BIOSPEOLOGIAEnrico Lana

Stazione scientifica Grotta di Bossea, sez. biologica

Tiziano PascuttoGruppo Speleologico Biellese C.A.I.,

sez. biologica

Là dove la luce del sole non riescea filtrare la vita non si ferma ma as-sume forme ed abitudini inconsue-

te. Così negli anfratti delle rocce, dovel’uomo e gli animali esterni non posso-no penetrare, alcuni organismi si sonoevoluti per milioni di anni seguendo vienuove e intessendo una rete di rappor-ti fra loro e con ciò che arriva dall’am-biente esterno; per poterne conoscerei segreti l’unica via possibile sono le ca-vità naturali.Il carsismo in Piemonte è principal-mente localizzato nelle Alpi Liguri che,per la notevole quantità dei fenomenisuperficiali e sotterranei, sono unadelle zone carsiche più interessanti alivello italiano ed europeo. Ma, diffusesu tutto il territorio, si trovano lenti dicalcare carsificate inglobate in altrerocce, fenomeni carsici legati a calce-scisti e inoltre è possibile trovareanfratti e fessure di origine tettonica digrande interesse per chi pratica labiospeleologia.Vediamo un rapido aggiornamentosulle scoperte più recenti in questocampo, seguendo un itinerario, indi-cativamente, da Nord a Sud.

Uno dei massicci carsici più notevolidi tutto il Piemonte è il monte Fenera,nell’omonimo parco naturale, una trale più importanti stazioni preistorichedell’Italia settentrionale. Le oltre 60grotte che si conoscono in quest’area

sono popolate da molte specie di cui,però, ben poche si possono ascriverefra quelle altamente specializzate allavita ipogea (organismi troglobi). Il piùsignificativo, anche dal punto di vitastorico, è Alpioniscus feneriensis, unCrostaceo Isopode terrestre (scopertoe descritto dal Parona nel 1880, unanimaletto di circa 7-8 mm di lunghez-za, totalmente depigmentato che pro-lifera in cavità molto umide). Anche sela sua località tipica è il monte Fenera,esso è diffuso nella maggior parte delPiemonte settentrionale f ino allaGrotta del Pugnetto (Valli di Lanzo) epresenta popolazioni isolate in cavitàdel Cuneese. Isopodi della stessafamiglia, ma di dimensioni decisa-mente inferiori, sono quelli apparte-nenti al genere Trichoniscus, il cuiareale, in base alle attuali conoscen-ze, è ristretto al Piemonte meridionale.I Crostacei Isopodi del genereProasellus, strettamente acquatici, diforma allungata e dimensioni che nonsuperano il centimetro, sono diffusinei fiumi e laghi sotterranei a partiredalla grotta di Rio Martino (Valle Po)fino ai confini liguri (Grotta dell’Orso diPonte di Nava).

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La vita nelle viscere

del Piemonte«Boo’ d’la Faia», posta in una lente dimarmo isolata e, più a sud, in valleChisone, in aggiunta alla specie giànota per la Balma del Rio Martino(Crissolo, Valle Po). Questi Aracnidi,spesso confusi con i veri «ragni»,hanno zampe lunghissime e sensibilie la peculiare presenza di una coppiadi appendici prensili che ricordano lechele degli scorpioni. GliIschyropsalis sono predatori fameliciche svolgono una importante funzioneall’apice della piramide alimentare. Gli Araneidi, i veri «ragni», presentanoforme ben adattate come le speciedel genere Troglohyphantes diffuse

su tutto il territorio.Anche fra gli Acari vi sono entità spe-cializzate appartenenti al genereRhagidia.

Fra gli Insetti (i coleotteri troglobi sonofra i più studiat in particolare, per lanostra regione): i Cholevidi della fami-glia dei Leptodirini, che colonizzanol’ambiente sotterraneo di una vastaparte delle fasce montane fino ai 2000m ca. Questi piccoli coleotteri diforma globosa sono ricoperti da finis-sime setole dai riflessi ambrati e sinutrono di sostanze organiche indecomposizione (saprofagi). Nel set-

tore settentrionale è diffuso il genereArcheoboldoria, che, con la specieDoderoana, popola cavità come laGrotta della cava del Massucco (ValleRassa) e il «Böcc d’la Büsa Pitta» (ValSabbiola). Recentemente è stata sco-perta una nuova specie di questogenere (in corso di descrizione) nellabassa Valle del Cervo (Biellese). Piùa sud-ovest, all’imbocco della Valled’Aosta, presso il pittoresco villaggiodel Maletto (comune di Carema), auna quota superiore ai 1400 m s.l.m.,si trovano alcune cavità tettoniche chehanno preservato dalla morsa dell’ulti-ma glaciazione un’altra nuova specie

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di questo genere, scoperta nel 1995 edenominata Archeoboldoria lanai(Giachino e Vailati, 1997).Ricerche sistematiche condotte nellabassa Valle Locana (Valle dell’Orco)hanno permesso di riportare alla luceun nuovo genere di Leptodirini, ilgenere Canavesiella, descritto daGiachino nel 1993, con due nuovespecie (C. lanai e C. casalei), nellegrotte «La Custreta» e «Boo’ d’laFaia», ai confini sud-orientali delparco del Gran Paradiso.Più a sud, nella famosa Grotta delPugnetto, in Valle di Lanzo, si trova laspecie Dellabeffaella roccai che èstata vivacemente illustrata da MarioSturani nel suo «Caccia grossa tra leerbe». Di questo genere, la specieolmii, descritta da Casale, è diffusanella Valle Chisone ed è stata recen-temente trovata anche in ValleGermanasca.Un Leptodirino diffuso nel Piemontecentro-meridionale è Parabathysciadematteisi.

Fra i Coleotteri Carabidi, i più specia-lizzati appartenengono alla sottofami-glia dei Trechini. I l genereDoderotrechus annovera attualmentetre specie: crissolensis, ghilianii ecasalei, diffuse fra le Valli Chisone,Pellice, Po e Varaita, nelle grotteGhieisa d’la tana (Chiesa della tana),celebre per le frequentazioni Valdesiin epoche oscurantistiche, Buco diValenza e Grotta della Fornace.

Questi Trechini, depigmentati, anoftal-mi e con lunghe appendici, rappre-sentano forme tipiche del loro grupposistematico e sono sostituiti più a suddal genere Duvalius, che occupaun’ampia fascia del Piemonte meridio-nale. Un altro Trechino decisamente«cavernicolo» è Agostinia launoi, sco-perto alla fine del secolo scorso nellaGrotta delle Camoscere, nel territoriodell’attuale parco dell’Alta Valle Pesio.È stato recentemente trovato daCasale anche in cavità del MonteMarguareis. Il Carabide Sfodrino Sphodropsis ghi-lianii è un elemento troglofilo endemi-co delle Alpi Occidentali, che popolagran parte delle cavità sia naturali siaartificiali della nostra regione.

Insetti «troglofili» che hanno integratoil loro regime alimentare per sopravvi-vere nell’ambiente ipogeo, diventandoanche carnivori, sono gli Ortotteri deigeneri Dolichopoda e Petaloptila.Dolichopoda ligustica, cavalletta conlunghissime antenne e occhi ridotti, sipuò facilmente incontrare in prossi-mità degli ingressi della maggiorparte delle cavità piemontesi dalleValli di Lanzo fino alla Liguria.Petaloptila andreinii, invece, è un gril-lo troglofilo che condivide l’habitatdella Dolichopoda, ma è decisamentemeno comune, infatti, finora è statocitato solo per una decina di stazioni,fra cui una cavità nelle marne vicino aCherasco, dove vive una popolazione

decisamente più a nord dell’arealetipico.

Una classe di Artropodi che ha svilup-pano notevoli adattamenti è quella deiDiplopodi, caratterizzata da una formamolto allungata e dalla presenza dinumerose paia di zampe. Il genere Crossosoma, con specieonnivore, totalmente depigmentate eanoftalme, popola le grotte più inquota e più fredde di buona parte delPiemonte meridionale. A più bassaquota è sostituito dal generePlectogona con rappresentanti tipicinelle Grotte di Bossea e del Caudano. Il genere Polydesmus, invece, anno-vera specie fitosaprofaghe molto spe-cializzate.

I Molluschi Gasteropodi del genereOxychilus, piccole chiocciole «troglo-file» carnivore, meriterebbero unadecrizione più dettagliata per i loroparticolari adattamenti; attualmente sista svolgendo uno studio approfondi-to sulle popolazioni piemontesi.

Fra i Vertebrati, i Chirotteri (pipistrelli)sono rappresentati dai generiRhinolophus, Myotis, Barbastellus,Plecotus e Miniopterus. Tra questi, iRinolofidi e gli appartenenti al genereMyotis sono i più frequenti.

A conclusione di questa breve rasse-gna biospeleologica della nostra

1. Plectogona sanfilippoi bosseae, Diplopode (dimensioni reali circa 25 mm), Grotta di Bossea (foto E. Lana).2. Dolichopoda ligustica (25 mm) (foto T. Pascutto).3. Plecotus auritus (70 mm) (foto T. Pascutto).4. Ischyropsalis sp. (5-6 mm), Grotta Boò d’la Faia, Talosio, Valle di Locana (foto E. Lana).5. Coleoptera, Carabidae, Sphodrinae, Sphodropsis ghilianii caprai (circa 15 mm) ( foto T. Pascutto).6. Niphargus gr. Stygius (circa 10 mm), Tana di Morbello, Alessandria ( foto E. Lana).7. Oxychilus draparnaudi (circa 12 mm), Grotta dei Partigiani, Rossana, Cuneo (foto E. Lana).8. Hydromantes stinatii (circa 60 mm), 9. in primo piano (foto T. Pascutto).10. Grotta della Donna selvaggia, Ormea, Cuneo (foto G. Vanzetti).

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regione cit iamo i l geotritone(Hydromates strinatii), anfibio urodelodelle Alpi Liguri e Marittime, oggettodi studi approfonditi da parte dinumerosi specialisti e straordinariosoggetto fotografico.

La scienza del mondo sotterraneo

La biospeleologia é lo studio delleforme viventi (animali e vegetali) edelle loro correlazioni con l’ambien-

te sotterraneo in cui vivono.Nel corso dei millenni gli esseri, chelentamente si sono adattati a vivere inqueste condizioni-limite, hanno svilup-pato particolari adattamenti e strate-gie per poter sopravvivere in questoambiente, che è caratterizzatodall’assenza o riduzione di alcuni fat-tori (es. luce), mentre altri, come latemperatura e l’umidità, risultano rela-tivamente costanti nel tempo. Tra le principali caratteristiche morfolo-giche che contraddistinguono la faunaipogea rispetto a quella epigea, possia-

mo evidenziare l’assenza di occhi(anoftalmia), l’allungamento delleappendici con sviluppo notevole dizampe, antenne e setole con funzionisensoriali e la depigmentazione. Laperdita dei ritmi circadiani, che regola-no l’alternarsi di attività e di riposo (gior-no e notte), la limitata prolificità conconseguente sviluppo di uova grandi elarve a ciclo contratto, la capacità disopravvivere per lunghi periodi senzaassumere cibo, sono alcuni degli adat-tamenti fisiologici peculiari degli organi-smi “cavernicoli”.

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Foreste

Quando si parla di fossili di solitoil pensiero, complici anche i re-centi film americani sull’argo-

mento, corre ai dinosauri. Al massimoci si ricorda delle conchiglie, diffuse peresempio in certe zone del Monferrato eanche sulla collina di Torino. I fossili del-le piante, per quanto i vegetali sianostati in ogni tempo più abbondanti de-gli animali, sono invece meno noti e ap-prezzati: questione forse di minore affi-nità biologica. I resti fossili vegetali so-no comunque diffusi e in certi casi an-che molto appariscenti, soprattutto quel-li provenienti dagli alberi. In alcune lo-calità i reperti sono così ben conserva-ti che si parla di «foreste fossili».Il legno è costituito soprattutto da cel-lulosa e da lignina, molecole organichecomplesse (soprattutto quelle della li-gnina) formate da atomi di Carbonio, diIdrogeno e di Ossigeno. Questi mate-riali, se mantenuti in assenza di ossi-

Daniele Castellino

FOSSILI

pietrificate

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geno, come può accadere a un troncosepolto nel terreno a una certa profon-dità, subiscono il cosiddetto processodi carbonizzazione: le molecole orga-niche si decompongono e rimane co-me residuo un materiale scuro costitui-to prevalentemente da carbonio e damolecole organiche più semplici rispettoa quelle di partenza. In questo modo sisono formati anche i classici giacimen-ti di carbone antracite e litantrace: que-sti sono di molto antichi e traggono ori-gine dalle grandi foreste del Carboni-fero e del Permiano. Nei legni fossili diepoche più recenti il processo di car-bonizzazione è meno spinto e il mate-riale conserva ancora molte delle ca-ratteristiche chimiche e morfologichedel legno originario (ligniti). Le situazioniche permettono di osservare le condi-zioni originarie in cui si trovavano gli al-beri sono piuttosto rare. Nella maggiorparte dei casi infatti i materiali legnosidi partenza sono stati portati lontano,frantumati, ammassati e compressi pereffetto del trascinamento delle acqueprima e dei movimenti tettonici poi. Siparla di “foreste fossili” quando ci si im-batte in giacimenti nei quali i singoli al-beri sono ancora riconoscibili e, a vol-te, si trovano ancora nella posizione o-riginaria. La condizione necessaria af-finché si sia potuta verificare la con-servazione è che il legno sia stato rapi-damente sottratto al contatto con l’aria,in presenza della quale i batteri aero-bici trasformerebbero rapidamente icomposti del Carbonio in Anidride Car-bonica. L’interramento rapido è stato ingenere determinato da alluvioni chehanno abbattuto o inglobato gli alberiricoprendoli con detriti. Così, insiemecon i residui più o meno riconoscibili deitronchi, spesso si trovano foglie, cor-tecce, pollini (importanti per risalire al-le associazioni vegetali) e anche restianimali. In Piemonte i ritrovamenti di le-gno fossile carbonizzato non sono rari.Fino dal secolo scorso sono noti diver-si siti che si riferiscono per lo più al pe-riodo Villafranchiano, tra la fine dell’eraTerziaria e l’inizio del Quaternario, cir-ca un milione di anni fa. Uno in parti-colare, situato sulla Stura di Lanzo fraNole e Cirié poche centinaia di metri amonte del ponte di Robassomero, è sta-to scoperto e studiato in questi ultimianni. In antiche argille messe a nudodalla erosione del fiume sono stati rin-venuti diversi grossi tronchi parzial-mente carbonizzati e ceppi ancora insito, resti di una antica foresta con al-beri di alto fusto. Gli studi, effettuati daIstituti Universitari dal Consiglio Nazio-nale delle Ricerche e dalla Soprinten-denza ai beni Archeologici, hanno per-

messo di individuare diverse specie ve-getali e di ipotizzare che tali resti pro-vengano da un periodo, antecedentealle glaciazioni del periodo Quaterna-rio, nel quale il clima era più caldo e u-mido di quello attuale. Uno dei ceppi èstato prelevato e si trova attualmentepresso il Museo di Scienze Naturali diTorino. Il ritrovamento italiano di questotipo più notevole e famoso è forse quel-lo della cosiddetta foresta fossile di Du-narobba, nel comune di Avigliano Um-bro non lontano da Orte, in Umbria.Nella zona i ritrovamenti di legno fossi-le sono noti da secoli ed esistono an-che piccoli giacimenti di lignite che so-no stati sfruttati in passato. L’appellati-vo di foresta non è in questo caso a-busato: si possono osservare infatti al-meno una trentina di grossi tronchi an-cora in posizione verticale affioranti dauno spesso strato di argilla. Gli alberi,probabilmente classificabili fra le Taxo-diacee (famiglia della classe delle Co-nifere di cui fanno parte anche le Se-quoie tuttora esistenti), circa 2 milionidi anni fa furono investiti da una enor-me colata di fango che li avvolge tutto-ra. Il luogo è stato adibito, fino alla sco-perta ufficiale del 1980, a cava di argil-la per laterizi e i tronchi nel loro stato at-tuale sono quanto rimane della demo-lizione progressiva operata con gli e-scavatori meccanici durante il lavoro diasportazione degli strati di argilla. A ma-no a mano che si scendeva verso ilbasso i tronchi diventavano più grossie resistenti e, a un certo punto, si pre-ferì aggirarli anziché continuare a am-putarli. Si possono osservare esempla-ri che arrivano fino a tre metri di dia-metro e che sporgono verticalmente dalterreno per diversi metri. La conta de-gli anelli di accrescimento ha rivelatoche molti esemplari, al momento dell’in-terramento, avevano almeno mille anni

di età. I tronchi, come risulta dai caro-taggi effettuati, continuano in profonditàdove probabilmente si trova il livello o-riginario del suolo. Nella zona circo-stante non interessata dai lavori dellacava si sono ritrovati alberi praticamenteinteri completamente inglobati nei se-dimenti: essi verranno lasciati così finoa che non si troverà il modo di realiz-zare convenientemente la loro conser-vazione. Il problema principale dei le-gni fossili recenti, poco o nulla carbo-nizzati, è infatti quello della estrema de-peribilità una volta liberati dalla prote-zione dei sedimenti. Gli sbalzi stagio-nali di temperatura, le differenze diumidità fra l’interno dei tronchi (che as-sorbono acqua dal terreno) e l’esternosoggetto all’evaporazione, i parassiti ve-getali e animali determinano un rapidodeterioramento dei reperti. I tronchi diDunarobba non fanno eccezione e, do-po avere provveduto alla loro protezio-ne dagli agenti atmosferici con coper-ture provvisorie, si sta procedendo astudi e a esperimenti per trovare meto-di di conservazione efficaci. Solo allo-ra si potrà procedere a ulteriori scaviche permetterebbero lo studio ap-profondito del sito e da cui si pensa diricavare molte informazioni sull’ambientee sul clima di quel lontano periodo,quando solo una piccola parte della at-tuale penisola italiana emergeva dallasuperficie del mare. Un altro processo che può avvenire, an-che se più raramente, è quello della so-stituzione del materiale originale con so-stanze diverse di origine minerale. Que-sto si verifica quando il legno, ormai se-polto e protetto dall’aria, viene investi-to da soluzioni acquose contenenti car-bonati di calcio e magnesio oppure si-lice. I materiali litoidi che si depositanosostituiscono la cellulosa e la lignina ri-spettandone spesso la trama origina-

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1. Lesbos, Grecia, tronchi fossili (foto D. Castellino).2. USA, foresta pietrificata (foto M. Passanini/Realy Easy Star).3. USA, Arizona, Pietrified Forest Nat.Park (foto L. Pranovi/Realy Easy Star).4. Lesbos, Grecia, legno fossile (foto D. Castellino).5. Lesbos, Grecia, legno fossile (foto D. Castellino).6. USA, Arizona, Pietrified Forest Nat.Park (foto L. Pranovi/Realy Easy Star).7. Asti, legno fossile (foto D. Castellino).8. Namibia, Damaraland, foresta pietrificata e pianta Welwitschia (foto G. Maletto).9. USA, Arizona, Painted Desert Nat.Park (foto L. Pranovi/Realy Easy Star).

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ria. In alcuni casi, soprattutto con i car-bonati, si assiste alla incrostazione del-le foglie e delle parti legnose di minoridimensioni, che poi si dissolvono, conla formazione di strutture che ripetono,per così dire, le forme originali. La sili-cizzazione dà luogo invece ai repertipiù caratteristici, veri alberi pietrificaticon sostituzione molecolare delle partilegnose. Per verificarsi essa richiedecondizioni molto particolari, che si pos-sono verificare, per esempio, quando itronchi vengono inglobati da colate la-viche o tufi vulcanici che successiva-mente sono attraversati da soluzioni i-drotermali contenenti silice. Si trattadello stesso fenomeno che può dare o-rigine alla formazione di noduli di aga-ta e di geodi di quarzo nelle cavità la-sciate dai gas in antiche colate laviche.In alcune località interi lembi di forestahanno subito questo processo: sono lefamose «foreste pietrificate» come quel-le presenti in Arizona fra Flagstaff e Gal-lup e in Patagonia vicino a Sarmiento,di origine Triassica, e in Namibia, neipressi di Khorixas.Un sito di questo tipo relativamente piùvicino a noi si trova nell’isola greca diMitilene (o Lesbos, situata vicino allacosta della Turchia). La parte occiden-tale dell’isola è di natura vulcanica e, indiverse località sparse su di un’area didiversi chilometri quadrati si possonoosservare tronchi fossili inglobati in an-tichi tufi e nei quali si è verificata una si-licizzazione pressoché completa. Fra lespecie vegetali la più diffusa è la se-quoia, ma sono stati trovati resti di mol-

te altre specie vegetali ed anche ani-mali. Alcuni dei reperti, che hanno unaetà di circa 20 milioni di anni, sono mol-to spettacolari: vi sono tronchi di gran-di dimensioni (fino a cinque metri di lun-ghezza e un diametro massimo di oltredue metri) sia coricati sia eretti e spes-so i sali metallici depositati con la silicehanno impartito al legno fossile colora-zioni intense e variegate nei toni del ros-so e del giallo. La zona dove i tronchisono più abbondanti è raggiungibilecon una deviazione segnalata sulla stra-da fra Mitilene e Sigri (pochi chilometriprima di quest’ultima località) ed è re-cintata e custodita. Il luogo è molto sug-gestivo nelle ore del tardo pomeriggioquando la luce accende i tronchi di vi-

vaci colori. Un altro luogo interessantesi trova nella baia di Sigri, sull’isolottodi Nissiopi e nei suoi dintorni, dove al-cuni tronchi sono visibili dalla barca at-traverso l’acqua limpidissima e pocoprofonda. In alcuni tratti le spiagge so-no disseminate di piccoli frammenti mul-ticolori di legno silicizzato. Anche lun-go la costa meridionale di un’altra iso-la greca non lontana da Mitilene, quel-la di Limnos, in gran parte di origine vul-canica, si possono osservare frammentidi legno fossile. Di solito però il pro-cesso di silicizzazione non è avvenutototalmente e i tronchi, spesso di note-voli dimensioni e nei quali è riconosci-bile la struttura fibrosa originaria, sonoparzialmente carbonizzati e quindi dicolore nerastro. In Italia si hanno se-gnalazioni di legno silicizzato in Sarde-gna, dove sono stati ritrovati campioninotevoli. In Piemonte non esistono areevulcaniche recenti e le rocce effusivepresenti in alcune zone (come tra la val-le Tanaro e la Valle Vermenagna in pro-vincia di Cuneo), dove eventualmentesi sarebbero potuti realizzare fenome-ni del tipo descritto, hanno subito mas-sicciamente gli effetti del metamorfismoche ne avrebbe in ogni modo cancel-lato le tracce. Alcuni campioni di legnosilicizzato sono stati comunque ritrova-ti in occasione della piena disastrosadel 1994 non lontano da Asti, nel lettodel Tanaro, in una giacitura non moltodissimile da quella citata del fiume Stu-ra. La maggior parte dei tronchi venutialla luce erano mummificati o parzial-mente carbonizzati ma ve ne erano al-cuni (anche di grandi dimensioni e sin-golarmente appiattiti dalla pressione)che, cosa non frequente nei terreni al-luvionali recenti, mostravano la sostitu-zione pressoché completa con silice.Si ricorda comunque che in Italia e inmolti altri paesi la raccolta dei fossili daparte dei privati e al di fuori di progettidi ricerca scientifici e debitamente au-torizzati è considerata reato al fine diproteggere il patrimonio paleontologi-co da vandalismi e sfruttamenti com-merciali.

• Cavallo O., Fossili dell’Albese, 1986• Pinna G., Il grande libro dei fossili,Rizzoli, Milano 1993• Ambrosetti P., La foresta fossile diDunarobba, Comune di Avigliano Um-bro 1989• Ambrosetti P. e A.V., La foresta fos-sile di Dunarobba, Todi 1992.

• Info sulla foresta di Dunarobba:Centro di paleontologia vegetale, tel e fax 0744 9440348, internet www.caribusiness.it/forestafossilewww.avigliano.com/dunarobba.

P e r s a p e r n e d i p i ù

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Fra le pubblicazioni d’interesse ambientale,L’ALPE è l’ultima nata. Il titolo parla da so-lo e rimanda immediatamente ai temi af-frontati dalla prima rivista dedicata esclusi-vamente a quelle particolari montagne chesono le Alpi. Una testata internazionale, frut-to di un accordo fra editori italiani (Priuli &Verlucca) e francesi (Glénat). 144 pagine, pe-riodicità semestrale, £. 19.500.Gli argomenti trattati sono legati da un uni-co filo conduttore che riflette il carattere mo-nografico della rivista. Il primo numero con-tiene una serie di articoli che mostrano variaspetti della vita dell’uomo nelle Alpi, dallapreistoria ai giorni nostri: un lungo percorsoa tappe su storia, arte, tradizioni, usi e co-stumi delle differenti popolazioni alpine. In-vece, la seconda parte ha il carattere infor-mativo e pratico, tipico del notiziario: una de-cina di rubriche fanno conoscere al grandepubblico il calendario di eventi e manifesta-zioni, appuntamenti, iniziative e attività or-ganizzate dagli Enti e dalle Associazioni.All’eleganza della forma e all’originalità di te-sti, disegni e fotografie, si aggiunge la presenzadi un prestigioso Comitato scientifico, coor-dinato da Daniele Jalla, e composto di stu-diosi ed esperti, scelti fra storici e sociologi-ci, antropologi e glottologi, naturalisti e geo-grafi, tecnici della comunicazione e giornali-sti. L’ALPE è dunque un concentrato inter-disciplinare di temi e tendenze e attraverso ilcoinvolgimento di quanti operano sul terri-torio, rievoca orgogliosamente l’identità del

passato e informa sulle prospettive future. Ricordiamo che le Alpi sono il comprensoriomontano più esteso d’Europa e rivestono unagrande importanza per il Piemonte (ricopronocirca il 40% dell’intera superficie regionale). Per-ciò, oltre ad ingrossare le fila della stampa a fa-vore della salvaguardia dell’ambiente, L’ALPErappresenta anche una «sfida culturale» che in-tende dar voce al dibattito intorno alle possibi-lità dello sviluppo sostenibile delle Alpi. Di qui,la grande attenzione per un prodotto editorialemolto curato, dove nulla è lasciato al caso. (e.m.)

Progetto ecomusei e scuolaIl progetto realizzato dalla Re-gione Piemonte in collabora-zione con l’Istituto per l’am-biente e l’educazione Scholé Fu-turo si propone di promuovereil coinvolgimento attivo dellescuole nelle attività offerte da-gli ecomusei regionali. Il pro-getto prevede la realizzazione aTorino di un corso di aggior-namento per insegnanti inquattro incontri: il 10, 18, 24febbraio e 3 marzo dalle 15,30alle 18,30. I moduli per l’iscri-zione possono essere richiestialla segreteria organizzativa:Scholé Futuro, via Assarotti 15,10122 Torino; via fax al 011 534853; via e-mail scholé@ scholé.com.Restituzione moduli entro 20gennaio per posta o fax.

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Ragazzi in bibliotecaFino al 30 gennaio alla Sala Mo-stre, Centro Culturale «Arpino»,via Guala 45, Bra, la undicesi-ma edizione della Rassegna cu-rata dalla Biblioteca civica. Sei-cento volumi da sfogliare in li-bertà Info: 0172 4130949.

24 maggio festa dei parchiSi terrà nel maggio prossimo la Giornata delle Aree Protette or-ganizzata dalla Federazione Italiana Parchi. La manifestazione acui sono invitati a prendere parte tutte le aree protette, associa-te e non alla Federparchi, prenderà il posto della Festa naziona-le organizzata fino all’anno scorso e giunta alla 4a edizione. Lanuova formula permetterà una presenza più articolata delle ma-nifestazioni in modo da portare all’attenzione di un pubblico piùvasto i temi dei parchi. La giornata coinciderà anche con la ma-nifestazione mondiale dell’UINC dedicata alle aree protette.

L’Inventaparchi, gioco didatticoKinder Cereali propone per l’anno scolastico 1999/2000un progetto didattico, finalizzato a sensibilizzare le sco-laresche alle problematiche ambientali, attraverso la co-noscenza di elementi relativi alla gestione di un ParcoNaturale.A questo scopo, Orizzonte/Il Giraparchi, coadiuvato daun’équipe di specialisti in educazione ambientale, pe-dagogia e gestione di parchi naturali, ha realizzato ungioco didattico da tavolo da utilizzare a scuola, abbi-nato ad un concorso denominato L’Inventaparchi.Utilizzando il gioco, i ragazzi apprenderanno no-zioni utili sulle regole per proteggere e ge-stire un parco naturale, e dovranno pro-gettare il loro parco ideale, realizzando-ne anche il relativo depliant/materiale il-lustrativo, che inviti a visitare e rispetta-re l’area protetta. Ulteriori informazionisul gioco sono disponibili al sito inter-net www.parks.it/inventaparchi.

Mostra «BG Wildlife Photo-grapher of the year». Le 100migliori immagini di naturadel 1998Il Museo Regionale di ScienzeNaturali di Torino presenta incollaborazione con la PASInformazione, la mostra itine-rante del Museo di Storia Na-turale di Londra e della BBC,realizzata in Italia grazie a Bri-tish Gas. La mostra è divenutanegli anni il massimo eventodella fotografia naturalistica.Museo Regionale di Scienze Na-turali di Torino, via Giolitti 36dal 14 dicembre ’99 al 30 gen-naio 2000. Ingresso libero. O-rario: 10-18 tutti i giorni (chiu-so Natale e Capodanno).Info: Pas, tel. 011 645233 - 0116828712 - fax 011 644150.

Cultura per le Alpi

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Con sci e racchettenel rifugio del Gran Bosco

Il «gran bosco» è ovvia-mente quello conosciutis-simo di Salbetrand in Al-

ta Val di Susa, il rifugio, mol-to meno noto, quello diMontagne di Seu. L’itinera-rio è invece quello classico daSauze d’Oulx la nota localitàsciistica valsusina (da Monfolper la precisione): «splendidoitinerario, uno dei più consigliatidella Val di Susa, valido sia sot-to il profilo sportivo che sottoquello ambientale e ancora piùapprezzabile in quanto rappre-senta un autentica boccata diossigeno dopo la confusione el’affollamento che spesso carat-terizzano la vicina Sauzed’Oulx»; così è presentato daEzio Sesia nel suo ormai clas-sico «Fondo escursionismo inPiemonte» (Mulatero 1987).Il rifugio «Daniele Arlaud»(è intitolato al primo presi-dente del «Gran Bosco») diproprietà dell’Ente Parco sitrova a 1770 m di quota inuna magnifica e soleggiata

Sentieri provati di Aldo Molino

radura dove sono le baite diMontagne di Seu, anticoinsediamento stagionaledegli abitanti diSalbertrand. Dopo numero-se vicissitudini, tra cui unincendio che lo ha resoinservibile per diversotempo, da quest ’anno èaperto anche nei mesiinvernali. E’ così possibilesostare nel cuore del GranBosco e scoprire le meravi-glie della foresta ammantatadi neve, inseguire nella luceradente del mattino le milleorme lasciate dagli elusiviabitanti di penna e di pelo,o crogiolarsi al sole per scru-tare il volo dell’aquila e per-ché no quello del miticogipeto i cui avvistamentifortunatamente dopo lerecenti reintroduzioni nelleAlpi Marittime, sono sem-pre più frequenti. E al tra-monto godere della valleche si incendia delle milleluci dei paesi e delle auto-mobili mentre tra le vecchiecase di pietra il silenziosovrano è rotto solo dal fru-scio della brezza.A gestirlo sono Fabrizio eGiuseppe appassionati natu-

ralisti della CooperativaPAN a cui sono affidati iservizi turistici del parco. Ilrifugio dispone di una deci-na di posti letto (in futuro sispera di incrementarli),cucina, riscaldamento alegna e doccia con pannellisolari. Il servizio di “alber-ghetto” è sobrio ma decoro-so e il menù proposto ingrado di soddisfare i robustiappetiti degli escursionisti(polenta, gnocchetti, toma,bagnacauda, salumi etc.).Da Seu transita anche laGTA sul classico percorso,«La vio du Barbés», che

ricalca il «glorioso rimpatriodei valdesi» e che attraversogli altipiani dell’ Assiettaconduce a Usseaux in valChisone dove è un altrosimpatico «Posto tappa», ilPzit Rei, gestito da Anna eClaudio Charrier. Gita checostituisce un interessantealternativa in caso di man-canza di neve.La strada d’inverno giungesino a Monfol (1666 m), laborgata sorge nei pressi dialcune fortificazioni risalen-ti all’inizio del secolo facen-ti parte del sistema difensi-vo della valle della Dora:bisogna raggiungere Sauze epoi deviare a sinistra all’ini-zio del paese seguendo leevidenti indicazioni. A que-sto punto (se l’innevamentoè propizio) si possono calza-re gli sci o le racchette.L’itinerario non presentaparticolari problemi.Svolgendosi interamentenel bosco è sicuro dal peri-colo di valanghe e la nevenon è mai troppo abbon-dante. Anche i dislivellisono contenuti e, ad ecce-zione di una breve rampa,anche le discese sono limi-tate. Le difficoltà maggioripossono venire dal terrenosconnesso e irregolare, nonessendo l’itinerario battutoe quindi percorso da escur-sionisti sia a piedi sia con glisci, situazione che miglioradopo il transito dei guardia-parco con la motoslitta. Da

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Monfol si prende la stradaforestale che con moderatapendenza taglia a mezzacosta il Gran Bosco. Sisupera quindi il parcheggioestivo e la sbarra trascuran-do il viottolo che scende.Con alcune svolte si risaleuna valletta in cima allaquale si gode di un ottimopanorama sull’alta valle esulle montagne circostanti.Si piega a sinistra e dopoaver tralasciato la deviazio-ne per l ’Alpeggio diRanduin si prosegue per untratto in salita. Si giungecosì al bivio con la stradaper il Col Blegier che silascia sulla destra.Ora si continua pressochéin piano nel fitto della fore-sta contornando i numerosivalloncelli. Si esce infinenella luminosa radura dovesi trovano le baite diMontagne di Seu. L’insedia-mento è abbastanza atipico:benché fosse utilizzato sola-mente nei mesi estivi hacase di una certa pretenzio-sità (anche se molte sonoormai in rovina) alcunebelle fontane e una chieset-ta, purtroppo anch ’essabisognosa di urgenti restau-ri. In fondo alla strada è laminuscola piazzetta con ilnostro rifugio. Comples-sivamente sono circa 6 kmche si possono percorrerecomodamente in un’ora emezza (altrettanto occorreràal ritorno). Facendo tappaal rifugio sono possibili altreescursioni. Occorre ricorda-re che nel parco l’attivitàsciistica è comunque regola-mentata per non recaredisturbo alla fauna e limita-ta alle strade esistenti. Unpercorso classico è quello

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1-4. Animali, tracce, alberiinnevati nel Gran Bosco (foto A. Molino e G. Menetto).

che in salita segue il traccia-to della GTA fino alle Selle(2036 m) per poi ridiscen-dere lungo la pista agrofore-stale a Seu. Di più ampiorespiro è invece l’anello chepercorre lo spartiacque dalColle Blegier al Colle diLauzon, indispensabili inquesto caso gli sci da gita.

InfoInformazioni e prenotazioni:tel. 0347.2546958,fax 0119341500Il Rifugio è aperto, nelperiodo invernale, tutti iweek-end di febbraio, marzoe aprile e nel ponte di car-nevale e di Pasqua. In esta-te, nei week end di giugno esettembre e tutti i giorni dal1 luglio al 31 agosto. In dateconcordabili su prenotazio-ne di gruppi di almeno ottopersone.

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Le racchette da neveSono uno degli attrezzi più antichi ma anchepiù nuovi utilizzati per muoversi sulla neve.Dopo molti anni di oblio (per lo meno da noi)sono state recentemente riscoperte e reinterpre-tate in chiave moderna. Rispetto agli sci hannol’indubbio vantaggio di essere facili da usare equindi alla portata di tutti anche di chi abbiapoca dimestichezza con la montagna d’inverno.Consentono inoltre di muoversi sul terrenoinnevato in completa naturalezza contemplati-va come quando si va a piedi senza dover essereconcentrati sul gesto tecnico. Sono l’ideale neiboschi innevati e sul terreno ondulato, un po’meno sui pendii aperti, anche perché dopo esse-re saliti si ridiscende camminando. Si adattanoabbastanza a tutti i tipi di neve anche se conneve crostosa o gelata “non sono il massimo”. Incommercio se ne trovano ormai innumerevolimodelli: le più pratiche sono quelle di plastica ilcui costo si aggira attorno alle 200.000 lire. Daevitare invece i modelli con la coda (quelle che,per intenderci, assomigliano a racchette da ten-nis) perché poco maneggevoli sui pendii un po’ripidi o nei traversi. Prima di procedereall’acquisto è bene comunque fare un’esperien-zacon attrezzi presi a nolo.Per affittarle nelle vicinanze: Eydaillin Sport,via Miramonti 16, Sauze, tel. 0122 850120. Scida fondo da Allemandi Sport, fraz. Jouven-ceaux, tel. 0122 850519.

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Trekking Italia di Torino propone escursioni con racchette da neve nelle domeniche da gennaio a marzo.Attrezzatura eventualmente fornitadall’Associazione. Info 011 3248265 (martedì, giovedì, venerdì: 10/12,30 - 16/19)

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A cura diSandro Bertolino biologo

Frammentazione degli habitat e diversitàUna delle cause che determinano laperdita di biodiversità a livello mon-diale è la progressiva riduzione di alcu-ni ambienti naturali. Il taglio delleforeste, ad esempio, provoca la scom-parsa delle specie legate a quel tipo dihabitat. La perdita di popolazioni, equindi di specie, non segue però unandamento lineare. Il ritmo di scom-parsa iniziale è in genere lento, mapoi, oltre una certa soglia, va aumen-tando velocemente. Questo perchéalla perdita di superficie forestale si vaa sommare l’effetto dovuto alla fram-mentazione delle aree residue. Boschitroppo piccoli non saranno più ingrado di ospitare popolazioni vitali dimolte specie.Henrik Andrén ha raccolto in un arti-colo alcuni spunti di riflessionesull’effetto della frammentazione deglihabitat a livello della biodiversità. Labibliografia sull’argomento è divenutanegli ultimi anni piuttosto volumino-sa, a sottolinearne l’importanza, equest’articolo può costituire un primoapproccio.Uno degli aspetti fondamentali, quan-do si voglia valutare l’ampiezza deglieffetti causati dalla frammentazioneambientale, è quale parametro prende-re in considerazione e a quale scala.Secondo l ’autore, un approccio alivello di ecosistema risulta più effica-ce di un’analisi a livello delle singolespecie per descrivere i processi incorso. Il mantenimento di ecosistemifunzionali, in grado di assicurare, adesempio, un equilibrio nelle interazio-ni tra preda e predatore e tra competi-tori, deve essere uno degli obiettividella conservazione. Le valutazionidevono quindi essere fatte a scalaalmeno regionale, considerandol’insieme del paesaggio. In genere sicercano i motivi per sottoporre a tute-la una singola area. Quello che, inve-ce, spesso manca è un’analisi dellepriorità da considerare a livello regio-nale e nazionale. Definito un pianogenerale, che indichi finalità e mezzi,si potranno considerare le azioni alivello locale.

Andrén H., 1997. Habitat fragmenta-tion and changes in biodiversity.Ecological Bulletins, 46: 171-181.

Dal mondo della ricerca

Di Giulio Berruto: PARCHI RISERVE E PREALPI - 153 Itinerari intorno a Torino:un pratico volumetto, edito dall’Istituto Geografico Centrale (£. 28.000) che sipropone come occasione per la conoscenza della varietà ambientale di 15 A-ree protette nelle vicinanze del capoluogo piemontese. Il libro rivolge una par-ticolare attenzione ai dettagli di tipo informativo e culturale e offre diverse pos-sibilità di visita: agli itinerari veri e propri si affiancano le gite, le escursioni inMTB e le gite in bicicletta. Le caratteristiche dei parchi e delle riserve naturalie le emergenze storiche, architettoniche, naturalistiche delle singole mete, so-no valorizzate da schede sintetiche e fotografie. La guida può essere utilizzatain tutte le stagioni perchè quando la montagna d’alta quota non è più pratica-bile a causa delle prime nevi autunnali, l’appassionato escursionista può co-gliere le opportunità offerte nelle zone collinari e di pianura. La cartina d’in-quadramento geografico dell’area costituisce infine un ottimo supporto di o-rientamento.

MASCHE - Voci, luoghi epersonaggi di un “Pie-monte altro” attraversoricerche, racconti e testi-monianze autentiche, è iltitolo-sommario del nuo-vo volume che gli editoriPriuli & Verlucca, dedica-no al complesso fenome-no culturale legato alle an-tiche credenze popolari.Agli autori Donato Boscae Bruno Murialdo va ri-conosciuto il merito di a-ver contribuito alla con-danna della ‘caccia allestreghe’ (£. 38.000).

SIBERIAN ROCK ART - Archaeology, Interpreta-tion and Conservation è il volume curato dalCeSMAP di Pinerolo, che trae origine dall’e-sperienza della spedizione scientifica interna-zionale avvenuta nell’agosto 1998, in occasio-ne del Congresso di Arte Preistorica tenutosia Kemerovo, Russia (Info: Tel. 0121794382;Fax 012175547; E-mail: [email protected]).

In questi ultimi anni, ilbirdgardening (termineinglese che significa pres-sappoco “giardinaggio ri-volto ad accogliere e pro-teggere l’avifauna”) staconoscendo un’ampiadiffusione anche in Ita-lia. Sono ormai migliaiacoloro che installano ni-di artificiali e mangiatoieper uccelli nei giardini,sui balconi, negli spaziverdi pubblici e privati.Il libro SIEPI NIDI ARTIFI-CIALI E MANGIATOIE, a cu-ra di Renzo Rabacchi(CIERRE edizioni,£.39.000) è allo stessotempo guida e manualeper chi voglia iniziarsi aquesta nuova arte ecolo-gica. In una serie di sag-gi, redatti da esperti especialisti, si affrontanogli aspetti teorici e cultu-rali di questa particolareforma di educazione am-bientale. Nella secondaparte del volume sonocontenute utili indica-zioni, pratiche e tecniche,per la coltivazione dellesiepi e l’installazione dinidi e mangiatoie.

Tutto quello che avrestevoluto sapere sui rondo-ni e non avete mai osatoleggere perché il libronon era ancora statoscritto. Questa parafrasischerzosa introduce inmodo efficace il contenu-to del libro di GiovanniBoano e Giorgio Mala-carne: I RONDONI Instan-cabili volatori (Ed. AL-TRIMEDIA, £. 36.000) Gli autori sono noti alpubblico per la serietàdelle ricerche in campoornitologico. Al pregio diuna trattazione precisa e

rigorosa il volume unisce il carattere avvincente del rac-conto. Dalla sistematica all’alimentazione, dalla descrizio-ne degli habitat naturali prediletti, dalla vita sociale allariproduzione, oltre ad un capitolo sulle problematiche del-la conservazione e un interessante resoconto storico sullostato della ricerca specifica dei rondoni. Grafici, tabelle,fotografie e disegni, sono un costante e puntuale com-pendio visivo ai testi, sempre chiari, corretti e di piacevo-le lettura. Completano l’opera una serie di appendici coni dati ecologici e biologici e una cheek-list dei rondoni delmondo.

Patrocinata dalla Presidenza Generale del C.A.I., una

nuova collana in otto volumi per valorizzare gli straor-

dinari paesaggi alpini. I GRANDI SPAZI DELLE ALPI, Vol.

I: Alpi Marittime/Monviso/Alpi Cozie/Delfinato/Va-

noise, di Alessandro Gogna, Marco Milani, Federico

Raiser (Ed. Priuli & Verlucca, £. 95.000). Il libro con-

tiene 30 proposte di visite alla scoperta di scenari pa-

noramici di immensa bellezza. Poco lo spazio riser-

vato al tradizionale turismo montano, di ciascuna lo-

calità sono privilegiate le escursioni che meglio rap-

presentano le caratteristiche di quello specifico am-

biente. Le fotografie di altissima qualità rispecchiano

lo splendore degli scenari. Un testo introduttivo, cu-

rate cartine topografiche e dettagliate schede infor-

mative, redatte per ciascuna visita, costituiscono il va-

lido supporto alle immagini e svolgono la funzione di

una vera e propria guida per le visite escursionistiche

dei luoghi.

LIB

RI

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@vvisi ainaviganti

«Tentiamo così di raggiungere tutte lefibre intime della terra e viviamo sopracavità che vi abbiamo prodotto, mera-vigliandoci che talvolta essa si spa-lanchi o si metta a tremare, come se,in verità, non potesse esprimersi cosìl’indignazione della nostra sacra geni-trice». Queste parole di Plinio (“StoriaNaturale”, XXXIII) possono ben servi-re da introduzione al nostro “percorsospeleologico” in Internet, sulle traccedi una disciplina in continuo sviluppo.Per averne un’idea basta fare un sal-to nel sito appropriatamente battezza-to “Souterrains”, grande sede virtualedell’Unione Internazionale di Speleo-logia: è sempre aperta all’http://www.xs4all.nl/~jorbons/souterrains.eng.html, con la mappa del mondocliccabile per aree e con una quantitàincredibile di materiale.La Società speleologica italiana, inve-ce, è in rete all’http://ssi.geomin.uni-bo.it/index.html, dove si può appren-dere che le competenze dei nostri spe-leologi sul mondo sotterraneo (in par-ticolare quello d’Italia) sono molto gran-di e frutto di oltre un secolo di ricerche.Speleologia italiana anche nell’ottimosito presente all’http://net.onion.it/speleoit/index.html: serissimo neicontenuti, ma dalla grafica simpatica-

mente allegra, è stato fondato nell’a-prile 1995 «grazie alla collaborazionedi numerosi speleo italiani, senza laminima distinzione di sesso, bandiera,tessera o regione». Con un obiettivoambizioso (ma i risultati sono eccel-lenti!): quello di «rappresentare, ospi-tando pagine da chiunque le voglia for-nire o mediante link ad altri siti, tutto ilpanorama speleo nazionale». Tra l’al-tro: si è formata una corposa lista diindirizzi e-mail di speleologi (ma aper-ta alla partecipazione di chiunque siainteressato all’argomento) ed è stataistituita una mailing list. Oltre alle mol-te pagine per gli esperti, ce n’è ancheuna per i semplici curiosi (http://net.o-nion.it/speleoit/novizi.html) che si a-pre con questa bella citazione ricava-ta da “Il Signore degli anelli” di J.R.R.Tolkien: «Pensi forse che siano bellele stanze dove dimora il tuo re? Manon sono che tuguri, in confronto allecaverne che ho visto; saloni intermi-nabili pieni dell’eterna musica dell’ac-qua che gocciola in stagni splendidicome Kheled-Zaram al lume delle stel-le».E poi ancora: ci sono una ricca seriedi link speleo in Italia e nel mondo, lo“speleo software” (l’informatica è sem-pre più al servizio anche di chi scen-de sottoterra…), una vasta biblioteca(con riviste, leggi, bibliografie, libri on-line ed altre «varie e amenità»), ap-profondimenti tematici. Da notare: illink diretto al CNSAS, il Corpo nazio-nale di soccorso alpino e speleologi-co, con la sua storia, la sua realtà(struttura, statuto, regolamento etc), lerelazioni sui suoi interventi, pubblica-zioni, le regole per l’attivazione del soc-corso etc. Se volete segnarlo tra i vo-stri preferiti, l’url è il seguente:http://net.onion.it/speleoit/soccor-so/soccorso.html.Decisamente interessante, non esclu-

sivamente per gli addetti ai lavori, ladocumentazione reperibile all’urlhttp://net.onion.it/speleoit/artificia-li/artifi.html. Qui si trova un’ampia se-zione dedicata alle cosiddette “cavitàartificiali”: ci sono il catasto, il centro didocumentazione, i riferimenti biblio-grafici, persino le tecniche esplorativeetc. Di cosa si tratta? Di miniere e gal-lerie, ad esempio. Ma non solo: nel lun-go elenco figurano cisterne, pozzi, cu-nicoli di vario genere ed utilizzo; ed an-che necropoli e santuari ipogei, oppu-re le opere di fortificazione di tempi re-centi o lontani…A proposito, un sito molto interessan-te che si occupa specificamente delsottosuolo delle aree urbane èall’http://www.mclink.it/assoc/asso-net/itcavind.htm. Da notare tra l’altro(e non è poco!) i link alle “città sotter-ranee”: da Cagliari a Treviso, natural-mente senza dimenticare l’archeolo-gia sotterranea di Roma in un sito cu-rato dalla Sovraintendenza ai Beni Cul-turali del Comune (http: //www.co-mune.roma.it/cultura/uff monsc/ro-masot.htm).

Rita [email protected]

GLI INDIRIZZIsegnalati in questa rubrica sono«linkati» nella versioneon-line dellarivista in cui sitrovano anchegli abstractdegli articoli,bibliografie,indici tematici e link.Altre informa-zioni acceden-do al sito dellaBiblioteca

http://www.regione.piemonte.it/parchi/rivista/index.htm

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