Menandro e la palliata romana - La Scuola · D OSSIER: M ENANDRO E LA PALLIATA Menandro e la...

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DOSSIER: MENANDRO E LA PALLIATA ROMANA: DUE CONFRONTI Menandro e la palliata romana: due confronti A ncora in pieno III secolo a.C. con Livio Andronico (Gladiolus) e con Nevio (Tarentilla, Corollaria etc.), e poi fra III e II secolo con Plauto e nel II con Cecilio Stazio e con Terenzio, i poeti romani fecero ben presto la fortuna della Commedia Nuova, nella forma della palliata, sulle scene italiche. Ma fino al 1968 la perdita degli originali greci riduceva la possibilità di un confronto diretto con le rielaborazioni dei poeti romani a un breve brano del Plocium di Cecilio Stazio (che riporteremo più oltre), citato da Aulo Gellio in confronto con la cor- rispondente scena menandrea. Per questo la ricerca dell’originalità o specificità dei procedimenti adottati da Plauto (la ricostruzione degli «elementi plautini in Plauto», come suona il titolo di un mirabile saggio di Eduard Fraenkel) si doveva fondare esclusivamente su ipotesi e congetture non di rado acute e plausibili ma prive di qualsiasi riscontro diretto. Appunto nel 1968 un papiro di Ossirinco pubblicato da E.W. Handley restituiva un brano menandreo del Δὶς ἐξαπατῶν («Il due volte ingannatore», «Il doppio inganno») corrispondente ai vv. 494-562 delle Bacchides di Plauto, una com- media che già alcuni indizi inducevano a ritenere esemplata su questo dramma di Menandro. Le linee dell’azione che precede la parte in cui modello e rielaborazione risultano Dossier Menandro e la Commedia Nuova

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    Menandro e la palliata romana: due confronti

    Ancora in pieno III secolo a.C. con Livio Andronico (Gladiolus) e con Nevio (Tarentilla, Corollaria etc.), e poi fra III e II secolo con Plauto e nel II con Cecilio Stazio e con Terenzio, i poeti romani fecero ben presto la fortuna della Commedia Nuova, nella forma della palliata, sulle scene italiche. Ma fino al 1968 la perdita degli originali greci riduceva la possibilità di un confronto diretto con le rielaborazioni dei poeti romani a un breve brano del Plocium di Cecilio Stazio (che riporteremo più oltre), citato da Aulo Gellio in confronto con la cor-rispondente scena menandrea. Per questo la ricerca dell’originalità o specificità dei procedimenti adottati da Plauto (la ricostruzione degli «elementi plautini in Plauto», come suona il titolo di un mirabile saggio di Eduard Fraenkel) si doveva fondare esclusivamente su ipotesi e congetture non di rado acute e plausibili ma prive di qualsiasi riscontro diretto.Appunto nel 1968 un papiro di Ossirinco pubblicato da E.W. Handley restituiva un brano menandreo del Δὶς ἐξαπατῶν («Il due volte ingannatore», «Il doppio inganno») corrispondente ai vv. 494-562 delle Bacchides di Plauto, una com-media che già alcuni indizi inducevano a ritenere esemplata su questo dramma di Menandro. Le linee dell’azione che precede la parte in cui modello e rielaborazione risultano

    Dossier

    Menandro e la Commedia Nuova

  • 2 DOSSIER: MENANDRO E LA PALLIATA ROMANA: DUE CONFRONTIDO

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    R22 DD

    confrontabili sono le seguenti. Un giovane ateniese (Sostrato in Menandro, Mne-siloco in Plauto) si era recato ad Efeso insieme con un servo (Siro/Crisalo) per raccogliere una grossa somma di denaro depositata da suo padre (“Nicobulo”1 in Plauto) presso un ospite del luogo e lì aveva incontrato un’etera (una delle due Bacchidi plautine), innamorandosene. Ma “Bacchide”, noleggiata per un anno da un soldato, è stata da questi condotta ad Atene. Perciò Sostrato/Mnesiloco scrive a un amico (Mosco in Menandro, Pistoclero in Plauto) chiedendogli di scoprire dove sia alloggiata “Bacchide”: così Mosco/Pistoclero viene a sapere che ella è appena arrivata con il soldato ma è andata a far visita alla propria sorella, pari-menti etera e parimenti di nome “Bacchide”. Costei mette gli occhi sul giovane e lo attira in casa sua per una cena. Mentre Lido, il pedagogo di Mosco/Pistoclero, sorpreso il giovane a banchettare in casa dell’etera, si precipita a informare il di lui padre (“Filosseno” in Plauto), Sostrato/Mnesiloco fa ritorno ad Atene col denaro del padre; ben presto il suo servo Siro/Crisalo apprende da Mosco/Pis-toclero che la ragazza è stata rintracciata ma che occorre una cospicua somma di denaro per sciogliere il suo contratto col soldato. Ecco perché, al momento dell’incontro col padrone “Nicobulo”, Siro/Crisalo inventa che, temendo un at-tacco dei pirati, egli stesso e Sostrato/Mnesiloco avevano ritenuto più prudente lasciare il denaro in deposito a Efeso. “Nicobulo” esce per andare incontro al figlio ma non lo trova; quest’ultimo si imbatte invece, tornando a casa, in “Filos-seno” e Lido, e dalle parole che i due si scambiano ricava che Mosco/Pistoclero ha avviato una relazione con “Bacchide”: di qui il suo scoppio di indignazione per la presunta slealtà dell’amico (ma “Filosseno” e Lido credono che egli sia turbato per il comportamento disdicevole dell’amico).Il brano menandreo recuperato dal papiro ha inizio nel momento in cui “Filos-seno” e Lido incitano Sostrato a rimproverare e a far rinsavire Mosco dopo aver-lo fatto uscire dalla casa della ragazza. Rimasto solo, Sostrato recita un breve monologo costellato di incisi e di pause in cui, rivolgendosi prima fittiziamente all’amata e poi a se stesso, dichiara la propria decisione di restituire il denaro al padre: cosa che egli fa subito dopo, quando “Nicobulo” riappare dopo averlo cercato invano. Così l’atto finisce mentre i due si allontanano in direzione del luogo dove il denaro è stato depositato, con Sostrato che rivela al padre come il racconto di Siro sia stato inventato di sana pianta. Dopo l’intermezzo corale il terzo atto ricomincia con i due che si ripresentano sulla scena continuando la dis-cussione (questa è rimasta inghiottita da una lacuna quasi completa di 26 versi): al termine, “Nicobulo” si allontana in direzione dell’agorà lasciando il figlio a monologare per la seconda volta, fra invettive contro «la più sfacciata di tutte le donne» e un misto di rancore e di compassione nei confronti dell’amico fedifra-go. Poi Mosco/Pistoclero esce finalmente dalla casa di “Bacchide” (“Bacchide” II!) e avvia con l’amico un colloquio che doveva portare a un rapido chiarimento dell’equivoco:

    1. Poniamo tra virgolette, qui e a seguire, i nomi attestati solo in Plauto.

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    3DOSSIER 33

    σ]ὺ δ᾽ ἐκεῖνον ἐκκάλει ], νουθέτει δ᾽ ἐναν[τίοναὐτόν τε σῶσον, οἰκίαν ᾽ ὅλην φί.Λυδέ, προάγωμεν.Εἰ δὲ κἀμὲ καταλίποις –προάγωμεν· ἱκανὸς οὗτος.Αὐτῷ, Σώστρατε,χρῆσαι πικρῶς, ἔλαυν᾽ ἐκεῖνον τὸν ἀκρἄτῆ.Ἅπαντας αἰσχύνει γὰρ ἡμᾶς τοὺς φίλους.Ἤδη ᾽στιν οὗτος φροῦδος. Ενπλἤτούτου καθέξει. Σώστρατον προήρπασας.Ἀρνήσεται μέν, οὐκ ἄδηλόν ἐστί μοι –ἰταμὴ γάρ – εἰς μέσον τε πάντες οἱ θεοὶἥ ξουσι. Μὴ τοίνυν [.]ον[κακὴ κακῶς τοίνυν – ἐ[π]ά[αγε, Σ]ώστρατε·ἴσως σε πείσει· δοῦλὄἐγὼ μάλισθ᾽, ἡ δ᾽ ὡ[ς κενὸν συ]μπεισάτω

    Menandro, Δὶς ἐξαπατῶν

    (1-112)

    ΜΟΣΧΟΥ ΠΑΤΗΡ

    ΛΥΔΟΣ

    ΜΟΣΧΟΥ ΠΑΤΗΡ

    ΛΥΔΟΣ

    ΣΩΣΤΡΑΤΟΣ

    ... Ma chiamalo fuori2... e redarguiscilo a tu per tu: metti in salvo lui e tutta la sua famiglia. [A Lido] Allontaniamoci, Lido.

    Ma se tu lasciassi qui anche me...No, allontaniamoci: basta lui.Maltrattalo, Sostrato, incalza quell’incontinente: sta svergognando tutti noi che gli vogliamo bene.

    [Rimasto solo] Oh, finalmente è andato via (...) avrà in suo potere quella testa cal-da. «Prima hai messo le tue grinfie su Sostrato...»3. Certo, negherà, me lo aspetto, sfrontata com’è, e tirerà in ballo tutti gli dèi. E allora non (...) dunque faccia la brutta fine che si merita... ritirati, Sostrato4! Potrebbe riuscire a convincerti. Schiavo (...)5 io

    PADRE DI M.

    LIDO

    PADRE DI M.

    LIDO

    SOSTRATO

    2. Il padre di Mosco si rivolge a Sostrato chiedendogli di chiamare il figlio fuori della casa dell’etera (“Bacchide II”).

    3. Qui e anche in seguito Sostrato apostrofa direttamente la ragazza amata (che immagina dentro la casa in compagnia di Mosco).

    4. Col dire «faccia la brutta fine che si merita!» Sostrato accenna un movimento in direzione della porta della casa di “Bacchide”, ma subito si ritrae («ritirati!») al pensiero della forza di persuasione dell’amata.

    5. La frase parzialmente in lacuna doveva suonare all’incirca: «sono completamente suo schiavo».

  • 4 DOSSIER: MENANDRO E LA PALLIATA ROMANA: DUE CONFRONTIDO

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    R44 DD

    ἔχοντα μηδ[έν· τ]ῷ πατρὶτὸ χ]σίον· πιθαν[ευομέν]η γὰρ παύσεταιὅταν] ποτ᾽ αἴσθητἄι, τὸ τῆς πἂροιμίας,νεκρῷ] λέγουσα [μῦθον. Ἀλλ᾽] ἤδη [με] δεῖἐλθεῖν ἐπ᾽ ἐ]κεῖνον.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

    Ἔ]δωκεν δέ σοι τ]ὸν τόκον ] .ειδον· μηδὲ ἓν ἐγκ]άλει χρηστῷ ξένῳ. Ἥ]κω κομίζων δεῦρό σοι ]σα· τ[ὸ ρυ]σίον [δό]θ᾽ ὑμεῖς, παῖ, ταχύ.

    Π]αρ᾽ [ἡ]μῶν· μὴ πρόσεχ᾽ ἐκείνῳ λόῳ.Οὐδεὶς] παρώρμησ᾽ οὐδ᾽ ἐπεβούλευσ᾽ οὐδὲ εἷς.Οὐ πρὸς Θ]εότιμον κατετέθη τὸ χρυσίον;

    ΣΩΣΤΡΑΤΟΥ ΠΑΤΗΡ

    ΣΩΣΤΡΑΤΟΣ

    ΣΩΣΤΡΑΤΟΥ ΠΑΤΗΡ

    ΣΩΣΤΡΑΤΟΣ

    ΣΩΣΤΡΑΤΟΥ ΠΑΤΗΡ

    6. Dal padre (“Nicobulo” in Plauto).7. L’interesse maturato sul denaro depositato da “Nicobulo” a Efeso.8. Secondo il rocambolesco racconto inventato da Siro/Crisalo, l’ospite efesino (“Archidemide”

    in Plauto) a cui “Nicobulo” aveva affidato il suo denaro avrebbe negato di averlo ricevuto e poi, dopo esser stato costretto a restituirlo in seguito a un’azione giudiziaria, avrebbe istigato i pirati a impadronirsene.

    9. Il falso racconto di Siro/Crisalo.10. Un personaggio inventato da Siro/Crisalo (il denaro sarebbe stato depositato per sicurezza da

    Sostrato presso di lui, sacerdote di Artemide efesina).

    moltissimo, ma cerchi pure di adescarmi quando sarò con le tasche vuote. [Voglio restituire tutto] l’oro a mio padre: la smetterà di blandirmi quando si accorgerà, come dice il proverbio, di raccontar frottole a un morto. [Sopraggiunge il padre di Sostrato] Ma ora devo andare da lui6.

    (...) e ti ha dato (...) l’interesse7 (...)

    (...) non c’è rimprovero che tu possa fare al tuo ospite: è stato onesto8. (...) Ecco, sono tornato portando (...).(...) voi consegnate il denaro. Presto, ragazzo!(...) da parte nostra: non pensare a quella storia9. Nessuno ha istigato, nessuno ci ha assalito.Ma il denaro non era stato depositato presso Teotimo10?

    PADRE DI S.

    SOSTRATO

    PADRE DI S.

    SOSTRATO

    PADRE DI S.

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    5DOSSIER 55

    Τί «πρὸς Θ]εότιμον»; Αὐτὸς ἐφύλαττεν λαβὼντ[ό τε πρὸ]ς βίον διφορεῖ, πάτερ.

    Χρηστὸ σφόδρα·ἐφ[ρόντι]σέ τι. Τί οὖν ὁ Σύρος ἐβούλετο;Ἐ[ατέο]ν. Μετ᾽ ἐμοῦ δ᾽ ἀκολούθει καὶ λαβὲτὸ χρυσίον.Παίζεις;Ἀκολούθει καὶ λαβέ.Οὐκοῦν ἀκολουθῶ· δὸς μόνον, καλῶς τέ μοιὸὡ [δεῖ] κέχρησαι· πρὶν λαβεῖν μάχομαί τι σοι;Ἐμοὶ δὲ πάντων τοῦτο προὐργιαίτερον.

    ΧΟΡΟΥACTUS III (uersus laceri xxvi) ].μοι.Ταῦτ᾽ ἄπειμι πρὸς ἀγορὰνπρ]άττ[ων. ὅ ] τι πράττῃς ἄλλο δέδοται τοῦτό σοι.Κἂὶ [ὴν δο]κῶ μοι τὴν καλήν τε κἀγαθὴνἰδεῖν ἐρωμένην ἂν ἡ[έ]ω κενὸς

    ΣΩΣΤΡΑΤΟΣ

    ΣΩΣΤΡΑΤΟΥ ΠΑΤΗΡ

    ΣΩΣΤΡΑΤΟΣ

    ΣΩΣΤΡΑΤΟΥ ΠΑΤΗΡ

    ΣΩΣΤΡΑΤΟΣ

    ΣΩΣΤΡΑΤΟΥ ΠΑΤΗΡ

    ΣΩΣΤΡΑΤΟΣ

    ΣΩΣΤΡΑΤΟΥ ΠΑΤΗΡ

    ΣΩΣΤΡΑΤΟΣ

    Macché «presso Teotimo»! Chi l’aveva ricevuto11 l’ha custodito come un albero, bab-bo, che fa i frutti due volte all’anno.È davvero una brava persona: si è dato premura. Ma allora a cosa mirava Siro?Lascia perdere! Seguimi12 e recupera il denaro. Mi prendi in giro?Seguimi e recupera.D’accordo, vengo. Basta che me lo rendi e vedrai che ti tratterò con tutti i dovuti riguardi. Dovrei mettermi a litigare con te prima di averlo? Fare come dici è la cosa più vantaggiosa di tutte.

    INTERMEZZO DEL CORO(26 versi molto mutili)

    (...).Voglio andare in piazza a sbrigare questa faccenda. Tu devi risolvere quest’altra que-stione.Sì, mi par proprio di vedere, ora che ho le tasche vuote, questo modello di bellezza

    SOSTRATO

    PADRE DI S.

    SOSTRATO

    PADRE DI S.

    SOSTRATO

    PADRE DI S.

    SOSTRATO

    PADRE DI S.

    SOSTRATO

    11. L’ospite di “Nicobulo”.12. Da qualche parte in Atene, dove Sostrato ha depositato il denaro prima di tornare a casa.

  • 6 DOSSIER: MENANDRO E LA PALLIATA ROMANA: DUE CONFRONTIDO

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    R66 DD

    πιθανευομένην καὶ προσδοκῶσαν – «αὐτίκα»φησὶν δ᾽ ἐν αὑτῇ – πᾶν ὃκομίζω χρυσίον.«Πάνυ γὰρ κομίζει τοῦτο καί, νὴ τοὺς θεούς,ἐλευθερίως – τίς μᾶλλον; – Ἀξίως τ᾽ ἐμοῦ».Αὕτη δ᾽ ἱκανῶς, καλῶς ποοῦσά γ᾽, εὑρέθηοἵαν ποτ᾽ ᾤμην οὖσα, τὸν δ᾽ ἀβέλτερονΜόσχον ἐεῶ· καὶ τὰ μὲν ἔγωγ᾽ ὁργίζομαι,τὰ δ᾽ οὐκ ἐκεῖνον τοῦ γεγονότος αἴτιονἀδικήματος νενόμικα, τὴν δ᾽ ἰταμωτάτηνπασῶν ἐκείνην.Εἶτ᾽ ἀκούσας ἐνθάδεεἶ ναί με, ποῦ γῆς ἐστι; χαῖρε, Σώστρατε.Καὶ σύ.Τί κατηφὴς καὶ σκυθρωπός, εἰπέ μοι;Καὶ βλέμμα τοῦθ᾽ ὑπόδακρυ· μὴ νεώτερονκακὸν κατείληφάς τι τῶν [γ᾽] ἐνταῦθα;Ναί.Εἶτ᾽ οὐ [λέ]γεις;ἔνδον γὰρ ἀμέλει, Μόσχε.

    Πῶς; ]φιλοῦντα τὸν πρὸ τοῦ χρόνον ]α· τοῦτο πρῶτον ὧν ἐμὲ ]ἠδίκηκας.

    ΜΟΣΧΟΣ

    ΣΩΣΤΡΑΤΟΣ

    ΜΟΣΧΟΣ

    ΣΩΣΤΡΑΤΟΣ

    ΜΟΣΧΟΣ

    ΣΩΣΤΡΑΤΟΣ

    ΜΟΣΧΟΣ

    ΣΩΣΤΡΑΤΟΣ

    e di virtù adescarmi con le sue moine e aspettarsi – «subito», dice fra sé e sé – tutto l’oro che ho portato. «Ecco, me lo sta portando, e, per gli dèi, generosamente – chi è più generoso di lui? – e secondo i miei meriti». Col suo bel modo di agire lei si è proprio rivelata come una volta credevo che fosse, e quello sciocco di Mosco mi fa pena: da una parte sono arrabbiato, dall’altro mi rendo conto che non è lui il respon-sabile del torto che ho ricevuto ma solo lei, la più sfacciata di tutte le donne. [Appare Mosco, uscendo dall’etera]Ma come! Dove si è cacciato? Eppure ha saputo che ero qui. [Scorge Sostrato] Salve, Sostrato.Salve.Perché, dimmi, così avvilito e accigliato? E questo sguardo lucido di lacrime? Non ti sarà capitato qualche altro guaio, al ritorno? Sì.E perché non me lo dici?[Accennando alla casa dell’etera] È lì dentro, lo sai, o Mosco.Come?(...) che in passato eri mio amico (...) questo è il primo torto che mi hai fatto (...).

    MOSCO

    SOSTRATO

    MOSCO

    SOSTRATO

    MOSCO

    SOSTRATO

    MOSCO

    SOSTRATO

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    7DOSSIER 77

    ᾽Ηδίκηκα δὲἐγώ σε; μὴ γένοιτο τοῦτο, Σώστρατε.Οὐκ ἠξίουν γοῦν οὐδ᾽ ἐγώ.Λέγεις δὲ τί;

    ΜΟΣΧΟΣ

    ΣΩΣΤΡΑΤΟΣ

    ΜΟΣΧΟΣ

    Io ho fatto un torto a te? Non sia mai, Sostrato.Nemmeno io lo credevo possibile.Ma di che parli?

    MOSCO

    SOSTRATO

    MOSCO

    ...Perdidisti me, sodalis. Egone ut illam mulieremcapitis non perdam? Perire me malis malim modis.Satin ut quem tu habeas fidem tibi aut cui credas nescias?Viden ut aegre patitur gnatum esse corruptum tuum,suum sodalem, ut ipsus sese cruciat aegritudine?Mnesiloche, hoc tecum oro ut illius animum atque ingenium regas:serva tibi sodalem et mihi filium.Factum volo.In te ego hoc onus omne impono. Lyde, sequere hac me. Sequor.Melius multo, me quoque una si cum hoc reliqueris.Adfatim est.Mnesiloche, cura, ei, concastiga hominem probe,qui dedecorat te, me, amicosque alios flagitiis suis. –

    Plauto, Bacchides 489-562:

    MNESILOCHUS

    LYDUS

    PHILOSSENUS

    MNESILOCHUS

    PHILOSSENUS

    LYDUS

    PHILOSSENUS

    LYDUS

    [A parte] Che colpo, compagno, mi hai inferto! E io quella donna non la colpirò a morte? Scom-parire, meglio scomparire in malo modo. Non si può mai sapere chi ti è fedele e di chi puoi fidarti.[A Filosseno, indicando Mnesiloco] Vedi come soffre per i vizi di tuo figlio, del suo compagno? Vedi come se ne cruccia amaramente?[A Mnesiloco] Mnesiloco, ti prego, guida tu il cuore e la mente di quel ragazzo, conserva a te un compagno e a me un figlio.

    Così fosse!Mi rimetto a te per tutto. Tu, Lido, vieni con me, di qua.Vengo. Sarebbe molto meglio se lasciassi con lui anche me.Basta lui solo.Mnesiloco, abbine cura. Va’, dàgli una bella strapazzata. È un disonore per te, per me, per gli amici e per tutti; è uno scandalo.[I due rientrano in casa]

    MNESILOCO

    LIDO

    FILOSSENO

    MNESILOCO

    FILOSSENO

    LIDO

    FILOSSENO

    LIDO

  • 8 DOSSIER: MENANDRO E LA PALLIATA ROMANA: DUE CONFRONTIDO

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    R88 DD

    MNSILOCHVSadolescens

    Inimiciorem nunc utrum credam magissodalemne esse an Bacchidem incertum admodumst.Illum exoptavit potius? Habeat, optumest.Ne illa illud hercle cum malo fecit... meo:nam mihi divini numquam quisquam creduat,ni ego illam exemplis plurimis planeque... amo.Ego faxo haud dicet nactam quem derideat:nam iam domum ibo atque... aliquid surrupiam patri.Id isti dabo. Ego istanc multis ulciscar modis.Adeo ego illam cogam usque ut mendicet... meu’ pater.Sed satine ego animum mente sincera gero,qui ad hunc modum haec hic quae futura fabulor?Amo hercle, opino, ut pote quod pro certo sciam.Verum quam illa unquam de mea pecuniaramenta fiat plumea propensior,mendicum malim mendicando vincere.Numquam edepol viva me inridebit. Nam mihidecretumst renumerare iam omne aurum patri.Igitur mihi inani atque inopi sublandibiturtum quom mihi illud {blandiri} nihilo pluris referetquam si ad sepulcrum mortuo narret logos.Profecto stabilest me patri aurum reddere.Eadem exorabo Chrysalo causa meapater ne noceat neu quid ei suscenseatmea causa de auro quod eum ludificatus est;nam illi aequumst me consulere, qui causa meamendacium ei dixit. Vos me sequimini. –

    MNESILOCHUS

    SCENA QUARTAMnesiloco, servi

    Chi mi è più nemico? Il mio compagno, devo credere, o Bacchide? Proprio non so. Ha preferito lui? E se lo tenga, per me va benissimo. Ma porterà male, perdio,... a me. Nessuno creda mai più ai miei sacra-menti, se non le dimostro chiaro e tondo che... l’amo. Lasciatemi fare: non potrà più dire d’aver trovato il suo zimbello. Corro a casa e là... rubo qualcosa a mio padre e lo do a lei. Farò mille vendette, la riduco al punto che chiederà l’elemosina... mio padre. Ma ho il cervello e la mente a posto per fantasticare così sul futuro? Credo proprio di essere innamorato, se mai posso sapere qualcosa in modo certo. Ma piutto-sto di vederla ingrassare del rimasuglio d’una piuma coi miei soldi, preferisco mendicare come l’ultimo mendico. Non mi farà mai uno sberleffo da viva. Ho deciso: rifonderò senz’altro tutti i soldi a mio padre. Povero e squattrinato, le moine di quella donna non m’importeranno più che le fole raccontate sul sepolcro a un morto. Sì, è stabilito: restituisco i soldi a mio padre. Lo scongiurerò anche per Crisalo, di non fargli del male per colpa mia. Non dovrà adirarsi con lui, se per me gli ha giocato il tiro dei soldi. È giusto che mi preoccupi di lui: per me ha mentito. [Ai servi] Voi seguitemi. [Entra in casa coi servi]

    MNESILOCO

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    9DOSSIER 99

    PISTOCLERUSadolescens

    Rebus aliis antevortar, Bacchis, quae mandas mihi:Mnesilochum ut requiram atque ut eum mecum ad te adducam simul.Nam illud animus meu’ miratur, si a me tetigit nuntius,quid remoretur. Ibo ut visam huc ad eum, si forte est domi.

    MNESILOC·HÒVS PISTOCLERUSadolescentes

    Reddidi patri omne aurum. Nunc ego illam me velimconvenire, postquam inanis sum, contemptricem meam.Sed veniam mihi quam gravate pater dedit de Chrysalo!Verum postremo impetravi ut ne quid ei suscenseat.Estne hic meus sodalis?

    Estne hic hostis quem aspicio meus?Certe is est.Is est.Adibo contra {et}.

    PISTOCLERUS

    MNESILOCHUS

    PISTOCLERUS

    MNESILOCHUS

    PISTOCLERUS

    MNESILOCHUS

    PISTOCLERUS

    SCENA QUINTAPistoclero

    [Esce dalla casa di Bacchide, continuando a parlare verso l’interno]Anteporrò a ogni altra cosa l’incarico che mi hai dato, Bacchide. Cercherò Mnesiloco e te lo riporterò in mia compagnia. (Avanzando) Non capisco: se il mio messaggio lo ha raggiunto, come mai tarda? Andiamo a vedere in casa sua: forse è ancora lì.

    SCENA SESTAMnesiloco, Pistoclero

    [Mnesiloco esce di casa, senza scorgere Pistoclero]Ecco restituiti tutti i soldi a mio padre. Ma vorrei incontrarla quella permalosa, mentre sono a tasche vuote. Ma il perdono per Crisalo che fatica per strapparlo a mio padre! Però alla fine ho ottenuto che si calmi.[Scorgendo Mnesiloco, a parte] Non è lui, il mio compagno?Non è lui il mio nemico, che vedo?[c.s.] È lui certamente.È lui.Lo affronto.

    PISTOCLERO

    MNESILOCO

    PISTOCLERO

    MNESILOCO

    PISTOCLERO

    MNESILOCO

    PISTOCLERO

  • 10 DOSSIER: MENANDRO E LA PALLIATA ROMANA: DUE CONFRONTIDO

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    R1010 DD

    Contollam gradum.Salvus sis, Mnesiloche.Salve.Salvus quom peregre Advenis,cena detur.Non placet mihi cena quae bilem movet.

    Numquae advenienti aegritudo obiectast?

    Atque acerruma.Unde?Ab homine quem mihi amicum esse arbitratus sum antehac.Multi more isto atque exemplo vivunt, quos cum censeasesse amicos, reperiuntur falsi falsimoniis,lingua factiosi, inertes opera, sublesta fide.Nullus est quoi non invideant rem secundam optingere;sibi ne invideatur, ipsi ignavia recte cavent.Edepol ne tu illorum mores perquam meditate tenes.Sed etiam unum hoc: ex ingenio malo malum inveniunt suo:nulli amici sunt, inimicos ipsi in sese omnis habent.Atque i se quom frustrant, frustrari alios stolidi existumant.Sicut est hic quem esse amicum ratu’ sum atque ipsus sum mihi:ille, quod in se fuit, accuratum habuit quod posset malifaceret in me, inconciliaret copias omnis meas;

    MNESILOCHUS

    PISTOCLERUS

    MNESILOCHUS

    PISTOCLERUS

    MNESILOCHUS

    PISTOCLERUS

    MNESILOCHUS

    PISTOCLERUS

    MNESILOCHUS

    PISTOCLERUS

    MNESILOCHUS

    Gli vado incontro.Salute a te, Mnesiloco.Salve.Torni sano e salvo dall’estero: darò una cena in tuo onore.

    Non mi va una cena che mi metta in rabbia.Hai trovato qualche cruccio al tuo ritorno?Sì, atroce.Da parte di chi?Di uno che prima d’ora mi pensavo amico.È il comportamento di molti: li credi amici, e sono falsi, mentitori; a parole attivi, in pratica inerti, con una fedeltà smilza. Per chi ha fortuna, provano solo invidia, e loro l’invidia la evitano assai bene, con la pigrizia.

    Ah, ma tu conosci a fondo la loro indole! C’è però da aggiungere una cosa: la malvagità del carattere procura loro del male: la mancanza di amici e l’inimicizia di tutti. Nella loro stoltezza credono d’ingannare gli altri, mentre ingannano se stessi. Come un tale, che mi credevo amico quanto lo sono a me stesso, e cercò, per quant’era in lui, di farmi tutto il male possibile, frodando ogni mio avere.

    MNESILOCO

    PISTOCLERO

    MNESILOCO

    PISTOCLERO

    MNESILOCO

    PISTOCLERO

    MNESILOCO

    PISTOCLERO

    MNESILOCO

    PISTOCLERO

    MNESILOCO

  • DOSS

    IER:

    MEN

    ANDR

    O E

    LA PALLIATA

    ROM

    ANA:

    DUE

    CON

    FRON

    TI

    11DOSSIER 1111

    Inprobum istunc esse oportet hominem.Ego ita esse arbitro.Obsecro hercle loquere, quis is est.Benevolens vivit tibi.Nam ni ita esset, tecum orarem ut ei quod posses malifacere faceres.Dic modo hominem qui sit si: non feceroei male aliquo pacto, me esse dicito ignavissimum.Nequam homost, verum hercle amicus est tibi.Tanto magisdic quis est; nequam hominis ego parvi pendo gratiam.Video non potesse quin tibi eius nomen eloquar.Pistoclere, perdidisti me sodalem funditus.

    Quid istuc est?Quis est? Misine ego ad te ex Epheso epistulamsuper amica, ut mihi invenires?Fateor factum, et repperi.

    PISTOCLERUS

    MNESILOCHUS

    PISTOCLERUS

    MNESILOCHUS

    PISTOCLERUS

    MNESILOCHUS

    PISTOCLERUS

    MNESILOCHUS

    PISTOCLERUS

    MNESILOCHUS

    PISTOCLERUS

    13. Plauto. Le Commedie, Torino, Einaudi 1975. La traduzione dei vv. 495-498, del v. 503 e del v. 536 è stata però adattata al testo latino stabilito da C. Questa (Firenze, Sansoni 19752).

    Canaglia d’un uomo!Lo credo anch’io.Ti prego, dimmi chi è.Uno che ti vuol bene. Non fosse così, ti chiederei di procurargli tutto il male possibile.

    Dimmi almeno il nome, e se non lo colpisco in qualche modo, chiamami il più vile dei mortali.È un farabutto; però, ahimè, un tuo amico.Ragione di più per dirmi chi è. Non apprezzo l’affetto di un farabutto.Vedo che non posso fare a meno di dirti il suo nome: Pistoclero, hai distrutto completamente questo tuo compagno.Cosa dici?Cosa dico? Non ti ho mandato da Efeso una lettera, chiedendo di ritrovarmi la mia amante?Certo, e l’ho trovata.

    [Tr. di C. Carena]13

    PISTOCLERO

    MNESILOCO

    PISTOCLERO

    MNESILOCO

    PISTOCLERO

    MNESILOCO

    PISTOCLERO

    MNESILOCO

    PISTOCLERO

    MNESILOCO

    PISTOCLERO

  • 12 DOSSIER: MENANDRO E LA PALLIATA ROMANA: DUE CONFRONTIDO

    SSIE

    R1212 DD

    Dal punto di vista della scansione drammatica Menandro ha realizzato un agile montaggio di sequenze grazie al quale le due espressioni monologiche di So-strato chiudono al proprio interno un dialogo fra il giovane e il padre, a sua volta bipartito in due sequenze separate dalla fine d’atto (una cesura sfruttata per una pausa che coincide con il materiale recupero del denaro). Così il pensiero dominante in Sostrato – l’amarezza di essere stato ingannato sia dall’etera che dall’amico – non viene bloccato entro una forma chiusa, ma affiora come una linea tematica più rilevata che si afferma non appena lo spazio scenico si svuoti di figure (prima si allontanano “Filosseno” e Lido, poi suo padre).Plauto, al contrario, cancellando i due dialoghi fra Sostrato e il padre dislocati a cavallo della fine d’atto (qui “Nicobulo” si trova in casa e il figlio vi entra dopo il v. 525, una volta espresso il proposito di restituire il denaro), ha fuso i due inserti monologici menandrei in un unico intervento ben incorniciato da un preambolo esordiale (vv. 500 s.) e da un verso di chiusa (v. 520: profecto stabilest me patri aurum reddere), che sanziona lo sbocco operativo delle sue riflessioni.L’atteggiamento monologico cessa in Plauto di porsi come un tratto etopoietico – un modo, in Menandro, per trascrivere con attenzione analitica le “naturali” reazioni di un giovane improvvisamente e doppiamente disilluso – per diventare occasione di riso, e non solo attraverso ma addirittura sul personaggio, suscetti-bile di disarticolarsi in marionetta governata da un tic di sicuro effetto quando per quattro volte (vv. 503, 505, 507, 508) nel giro di sette versi conclude una frase sostituendo alla prevista conclusione l’esatto contrario. Anche la disponibilità da parte di Sostrato a giungere a un rapido chiarimento con l’amico da cui si ritiene offeso (ciò che si intuisce nonostante il venir meno a questo punto della testi-monianza del papiro) viene sostituita in Plauto da un gioco insistito di allusioni e doppi sensi fra Mnesiloco e Pistoclero senza che si giunga prima del v. 569 a un abbozzo di spiegazione, anzi con l’accusato (Pistoclero) che, ignaro di essere sospettato di slealtà, solidarizza caldamente con l’accusatore per preparargli la battuta (cfr. vv. 540-544) o, viceversa, suggella con un commento enfatico (cfr. v. 552: «Canaglia d’un uomo!») la tirata moraleggiante dell’altro.Innegabilmente, come si esprime F.H. Sandbach, «Plauto lavorava con motivi di repertorio, Menandro con figure vivide scaturite dalla sua personale fantasia»14, ma questo non deve indurci a sminuire l’arte di Plauto, quanto piuttosto a meglio individuarla in quanto essa ha di più personale e irripetibile: un vortice di suoni che stridono e rimbalzano, un allineamento di brevi membri sintattici in serie incalzanti, un gusto per l’iperbole sorprendente (ad es. ai vv. 512 s. e 537) e per il gioco di parole, una volontà insomma di scandire con colorito vigore – «non più secondo il “moderato” tempo della vicenda menandrea ma, almeno in certi momenti e per certi personaggi a lui più congeniali, secondo un ritmo di “pre-sto” giocoso» (C. Questa)15 – una situazione che Menandro aveva disegnato con sfumature capaci di suggerire e di accennare più che di esprimere con segno marcato.

    14. Il teatro comico in Grecia e a Roma (1977), Roma-Bari, Laterza 1979, 166.15. Plauto. Bacchides, Firenze, Sansoni 19752, 12.

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    TI

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    Interessante anche il confronto, a cui si è accennato, fra un canticum del Plocium («La collana») di un altro autore della palliata, Cecilio Stazio (dove un marito si lamenta di essere oppresso dalla moglie, ricca ma brutta e bisbetica), col suo modello menandreo (entrambi i brani sono riportati da Aulo Gellio II 23, 9).

    Ἐπ᾽ ἀμφότερα νῦν ἡ ᾽πίκληρος ἡ καλὴμέλλει καθευδήσειν. Κατείργασται μέγακαὶ περιβόητον ἔργον· ἐκ τῆς οἰκίαςἐξέβαλε τὴν λυποῦσαν ἣν ἐβούλετο,ἵν᾽ ἀποβλέπωσιν πάντες εἰς τὸ Κρωβύληςπρόσωπον ᾗ τ᾽ εὔγνωστος οὖσ᾽ ἐμὴ γυνὴδέσποινα. Καὶ τὴν ὄψιν ἣν ἐκτήσατο·ὄνος ἐν πιθήκοις, τοῦτο δὴ τὸ λεγόμενον,ἔστιν. Σιωπᾶν βούλομαι τὴν νύκτα τὴνπολλῶν κακῶν ἀρχηγόν. Οἴμοι Κρωβύληνλαβεῖν ἔμ᾽, εἰ καὶ δέκα τάλαντ᾽ ἠνέγκατο,τὴν ῥῖν᾽ ἔχουσαν πήχεως. Εἶτ᾽ ἐστὶ τὸφρύαγμα πῶς ὑποστατόν; Μὰ τὸν Δίατὸν ᾽Ολύμπιον καὶ τὴν Ἀθηνᾶν, οὐδαμῶς.Παιδισκάριον θεραπευτικὸν δὴ καὶ λόγου†τάχιον· ἀπαγέσθω δέ. Τί γὰρ ἄν τις λέγοι;

    La bella ereditiera dormirà fra due guanciali: ha compiuto un’impresa grande e degna di fama, riuscendo a cacciar fuori di casa colei che la infastidiva, così che tutti volgano lo sguardo al volto di lei, Crobile, e sia ben evidente che mia mo-glie è la mia padrona. Certo, per quello che è il suo aspetto sembra, come dice il proverbio, un’asina tra le scimmie. Lasciamo perdere la notte che fu l’inizio di tanti guai. Accidenti a me per essermi preso Crobile, anche se ha portato in dote dieci talenti, lei che ha un naso lungo una spanna. E poi, come si può tollerare la sua arroganza? No, per Zeus Olimpio e per Atena, non è possibile. Una servetta così servizievole, così meritevole di considerazione16... e va bene, la si mandi via. Che si potrebbe obiettare?

    Is demum miser est, qui aerumnam suam nequit occulta re ferre: ita med uxor forma et factis facit, si taceam, tamen indicium. Quae, nisi dotem, omnia que nolis habet: qui sapiet de me discet, qui, quasi ad hostis captus, liber servio, salva urbe atque arce.

    Menandro, fr. 296

    Kassel-Austin

    Cecilio Stazio, Plocium,

    fr. I Guardì

    16. Con la correzione di Sandbach a[xion o[n in luogo del corrotto tavcion a principio del v. 16.

  • 14 DOSSIER: MENANDRO E LA PALLIATA ROMANA: DUE CONFRONTIDO

    SSIE

    R1414 DD

    Quae, mihi quidquid placet, eo privat vi: volt vix me servatum.Dum ego eius mortem inio, egomet vivo mortuus inter vivos.Ea me clam se cum mea ancilla ait consuetum, id me arguit;ita plorando, orando, instando atque obiurgando me obtudit, eam uti venderem. Nunc credo inter suas aequalis et cognatas sermonem serit: “Quis vestrarum fuit integra aetatula, quae hoc idem a viro impetrarit suo, quod ego anus modo effeci, paelice ut meum privarem virum?” Haec erunt concilio hodie: differor sermone miser.

    È proprio disgraziato chi non può sopportare di nascosto la propria sventura: e così, anche se stessi zitto, mia moglie con la sua bruttezza e col suo modo di comportarsi mi fa la spia. Essa, tranne la dote, ha tutto ciò che non vorresti: chi ha senno imparerà da me, che libero vivo in schiavitù, come un prigioniero di guerra, pur essendo la città e la rocca in salvo. Essa con la forza mi priva di tutto ciò che mi piace, mi vuole quasi morto. Mentre bramo ardentemente la sua morte, vivo come un morto tra i vivi. Disse che io di nascosto da lei me la intendevo con la mia serva, di ciò mi accusò: mi ha tanto rotto la testa con pianti, preghiere, insistenze e rimproveri, che alla fine l’ho venduta. Ora sono sicuro che con le sue amiche e parenti sta facendo questo discorso: «Chi di voi, nel fiore degli anni, fu capace di ottenere dal proprio marito quella stessa cosa che sono riuscita a fare ora da vecchia, cioè privare mio marito dell’amante?». Questi saranno i pettegolezzi della riunione di oggi: io disgraziato sono straziato dalle chiacchiere.

    [Tr. di T. Guardì]17

    Come osserva I. Mariotti18, il brano di Cecilio «è un canticum: ai trochei ( ) e agli anapesti ( ) si succedono bacchei ( ), giambi ( ), cretici ( ) e coriambi ( , qui in alternanza con –). Questa varietà e vivacità ritmica lo distingue nettamente dal corrispondente passo di Menandro, che è in metro recitativo (trimetri giambici). Le allitterazioni e le altre figure di suono danno ai versi di Cecilio un rilievo espressivo non superiore, ma del tutto diverso dall’elegante semplicità dell’originale, che corre tanto limpido e piano quanto il testo latino procede a sbalzi, fra la sentenza iniziale e la scenetta finale ritratta con sapida malizia. Energiche pennellate e tinte vive in Cecilio; in Menandro tocco leggero e sobrietà di colori».

    17. Cecilio Stazio. I frammenti, Palermo, Palumbo 1974.18. Storia e testi della letteratura latina, I, Bologna, Zanichelli 1976, 110 s.