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37 Medioevo: un pregiudizio secolare che perdura nel discorso comune. Esercizi di decostruzione alla luce delle scienze sociali di Franz Brandmayr * 1. Introduzione. Un contributo ab extra Provengo da una formazione storica, anche se già prima degli studi universitari (si era negli anni Settanta) i miei interessi antro- pologico-culturali si erano ben caratterizzati. Indirizzai poi deci- samente le mie ricerche nel campo degli studi sociali, all’interno dei quali mi sono mosso fino a oggi in maniera quasi esclusiva. In ogni caso la storia ha continuato a rappresentare un mio interesse costante, spesso anche ineludibile, tanto nella ricerca sociale, 2 La vita del medievalista potrebbe consumarsi tutta nel raddrizzare torti: perché quasi sempre i fatti, i testi del tempo, smentiscono le leggende accumulatesi a partire dal XVI secolo e diffuse soprattutto con il XIX secolo. 1 * Docente di I. r. c. 1 PERNOUD R., Medioevo. Un secolare pregiudizio, Bompiani, Milano 1998 5 (1977), p. 146. 2 Per una introduzione dal punto di vista dell’antropologia ai rapporti inter- correnti fra le scienze etnoantropologiche e la storia rinvio a BELLAGAMBA A., s.v. Annales, Scuola delle, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), Dizionario di antropologia. Etnologia antropologia culturale antropologia sociale, Zanichelli, Bolo- gna 1997, p. 49; COMBA E., s.v. Storia, ivi, pp. 709-710; CIRESE A.M., Cultura

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Medioevo: un pregiudizio secolare che

perdura nel discorso comune. Esercizi

di decostruzione alla luce delle scienze sociali

di Franz Brandmayr *

1. Introduzione. Un contributo ab extra

Provengo da una formazione storica, anche se già prima degli

studi universitari (si era negli anni Settanta) i miei interessi antro-

pologico-culturali si erano ben caratterizzati. Indirizzai poi deci-

samente le mie ricerche nel campo degli studi sociali, all’interno

dei quali mi sono mosso fino a oggi in maniera quasi esclusiva. In

ogni caso la storia ha continuato a rappresentare un mio interesse

costante, spesso anche ineludibile, tanto nella ricerca sociale,2

La vita del medievalista potrebbe consumarsi

tutta nel raddrizzare torti: perché quasi sempre

i fatti, i testi del tempo, smentiscono le leggende

accumulatesi a partire dal XVI secolo e diffuse

soprattutto con il XIX secolo.1

* Docente di I. r. c.

1

PERNOUD R., Medioevo. Un secolare pregiudizio, Bompiani, Milano 19985

(1977), p. 146.

2

Per una introduzione dal punto di vista dell’antropologia ai rapporti inter-

correnti fra le scienze etnoantropologiche e la storia rinvio a BELLAGAMBA A.,

s.v. Annales, Scuola delle, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), Dizionario di

antropologia. Etnologia antropologia culturale antropologia sociale, Zanichelli, Bolo-

gna 1997, p. 49; COMBA E., s.v. Storia, ivi, pp. 709-710; CIRESE A.M., Cultura

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Franz Brandmayr

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egemonica e culture subalterne. Rassegna degli studi sul mondo popolare tradizionale,

Palumbo, Palermo 19732

(1971), pp. 24-39; RIVIERE C., Introduzione all’antro-

pologia, Il Mulino, Bologna 1995, pp. 18-19; TULLIO-ALTAN C., Antropologia.

Storia e problemi, Feltrinelli, Milano 19852

(1983), pp. 267-304.

3

Dalle mie matrici culturali non ho ricavato una grande propensione a

soffermarmi sul dato autobiografico; tuttavia nell’ambito antropologico-cul-

turale è divenuto ormai costume consolidato il farlo, allo scopo di esplicitare

al lettore, almeno indicativamente, le premesse teoriche di partenza e i possibili

condizionamenti che vi sono connessi [cfr. GEERTZ C., Opere e vite. L’antropologo

come autore, Il Mulino, Bologna 1995 (1992), pp. 85-86].

4

Cfr. BUCARO G., Filosofia della religione. La riflessione sul “senso” del fatto religioso

da Spinoza a Nietzsche, da Bloch a Eliade, Città Nuova, Roma 1986, pp. 13-15;

FILORAMO G.-PRANDI C., Scienze delle Religioni, Morcelliana, Brescia 19973

(1987),

passim; RAGOZZINO G., Il fatto religioso. Introduzione allo studio della religione, Edi-

zioni Messaggero, Padova 1990, pp. 50-75; TERRIN A.N., Introduzione allo stu-

dio comparato delle religioni, Morcelliana, Brescia 1991, pp. 13-29.

5

Conferisco al termine tutta la pregnanza storiografica che gli deriva dalla riflessio-

ne dei Post-colonial Studies [cfr. ad es. CHAKRABARTY D., Storia delle minoranze, passati

subalterni, in ID., Provincializzare l’Europa, Meltemi, Roma 2004 (2000), pp. 135-155].

quanto nell’attività di insegnamento della Religione cattolica,3 nella

quale è noto che essa debba intessere un confronto serrato con

altre discipline diacroniche (soprattutto con la Storia delle Reli-

gioni e con la Storia della Chiesa), oltre che, più in generale, con

tutte le Scienze delle Religioni.4

Ciò nonostante – come esplicito fin dal titolo – non vorreb-

be essere quello prettamente storiografico l’angolo visuale di

questo contributo. Il mio vorrebbe configurarsi come un ap-

proccio antropologico-culturale alla “narrazione”5 del Medioe-

vo nel discorso comune. Data la vastità del campo considerato,

proverei a sperimentare qualche forma di esercizio critico avva-

lendomi soprattutto di poche pubblicazioni (qualche manuale

scolastico e una sintesi divulgativa), prese quasi a caso dalla pleto-

ra di produzioni di qualità assai diversificata, che hanno per og-

getto l’epoca medievale o qualche suo aspetto specifico.

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In queste pagine cerco anche di configurare alcune linee ipo-

tetiche di un possibile successivo lavoro di ricerca più esteso,

volto ad accertare con criteri anche quantitativi l’eventuale per-

sistenza del pregiudizio antimedievale nel discorso comune. Nel

caso la presente riflessione dovesse portare a sviluppi di questo

genere, si renderebbe naturalmente necessario operare concre-

tamente su un “terreno” accuratamente definito, come da con-

solidata tradizione antropologico-culturale.6

Tuttavia questo elaborato potrebbe risultare forse già apprez-

zabile anche sotto due altri profili: in prima istanza in una pro-

spettiva didattica, in quanto esprimo il punto di vista del docente,

che da più di un quarto di secolo rileva – o ritiene di rilevare –

negli studenti la persistenza di una forte stereotipizzazione delle

conoscenze e delle competenze interpretative intorno al Medioe-

vo europeo. Queste sembrerebbero – in buona sostanza – ripro-

durre pedissequamente i luoghi comuni che numerosi storici de-

nunciano essere ricorrenti in tanta manualistica e pubblicistica

attuali. Pernoud scriveva già nel 1977 di «opere “storiche”» o addi-

rittura di collane storiche scritte con «procedimenti giornalistici»7.

6

Cfr. ad es. BERNARDI B., Uomo cultura società. Introduzione agli studi etno-antropolo-

gici, Franco Angeli, Milano 19848

(s.d. orig.), p. 119; BIANCO C., Dall’evento al

documento. Orientamenti etnografici, C.I.S.U., Roma 1988, passim; «è proprio su que-

sto punto che può individuarsi la distinzione fra ogni tipo di filosofia e ogni

tipo di antropologia culturale scientificamente valida: la falsificabilità delle pro-

posizioni antropologiche e il suo carattere sperimentale» [TULLIO-ALTAN C., Ma-

nuale di antropologia culturale. Storia e metodo, Bompiani, Milano 1979 (1971), p. 573].

7

CARMO FELICIANI S., Introduzione, in DAWSON CH., Il cristianesimo e la formazio-

ne della civiltà occidentale, Rizzoli, Milano 19972

(1950), p. 6; PERNOUD R., op. cit.,

p. 145; cfr. PIVATO S., Vuoti di memoria. Usi ed abusi della storia nella vita pubblica

italiana, Laterza, Roma-Bari 2007, pp. 22, 26, 34, 74, 87-88, 129, 131 et alibi. Il

pensiero non può non correre ai giorni nostri, in cui – ad esempio – un

«libraccio» (F. Cardini) come Il codice Da Vinci viene accolto anche da un

soggetto laureato come una sorta di rivelazione esoterica (colloquio 1.1.

02.02.2006). Vd. anche infra nt. 291.

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Peraltro la critica storiografica a queste produzioni di consumo è

destinata a rimanere confinata in riviste erudite8 e non riesce a scal-

fire il complesso stereotipico antimedievale sedimentato nell’im-

maginario collettivo, che – invece – di questa pubblicistica sembra

nutrirsi abbondantemente. Inoltre – più in generale – pare che que-

sto senso comune pervada anche i cosiddetti ambienti colti.9

In queste rappresentazioni collettive10

il Medioevo costitui-

rebbe, pertanto, proprio come asserivano gli umanisti, un perio-

do storico «vuoto» e «scadente»,11

un autentico «iato» fra due

epoche che sarebbero invece significative, quella classica e quel-

la moderna. Per gli storici delle più svariate impostazioni è ora-

mai acquisito il fatto che sia vero «il contrario»,12

ma le ricerche

scientifiche dell’ultimo secolo e mezzo13

sembrano non avere

ancora raggiunto il grande pubblico e – talvolta – neanche i

manuali scolastici;14

e – lo si sa bene – sono questi ultimi a rap-

presentare più efficacemente la «verità storica ufficiale»15

. Al

posto della storiografia più avanzata potrebbe prevalere – è que-

sta l’ipotesi antropologico-culturale che formulo, in vista di un

8

PERNOUD R., op. cit., p. 145; SANFILIPPO M., La storia in edicola: biografie, roman-

zi, gadget, in “Memoria e Ricerca”, gennaio-aprile 2007, passim.

9

LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario medievale, Laterza, Roma-Bari

19982

(1985), p. XVIII.

10

DURKHEIM E., Rappresentazioni individuali e rappresentazioni collettive, in ID., Le

regole del metodo sociologico. Sociologia e filosofia, Comunità, Torino 2001 (1898),

pp. 137-164.

11

LE GOFF J., Prefazione, in ID., Tempo della Chiesa e tempo del mercante, Einaudi,

Torino 1977 (1976), pp. VII-VIII.

12

LE GOFF J., ivi, p. IX.

13

DAWSON CH., op. cit., pp. 23-24 scriveva questo già nel 1950; PERNOUD R.,

op. cit., p. 16.

14

Cfr. ibidem.

15

CONTI F., Massoneria e religioni civili. Cultura laica e liturgie politiche fra XVIII e

XX secolo, Il Mulino, Bologna 2008, p. 8.

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possibile rilevamento empirico sul campo – una sorta di

rielaborazione e di amplificazione mediatica;16

questa sembra

alimentarsi (anche questo andrebbe dimostrato con uno studio

sistematico) – oltre che di sintesi manualistiche – della

pubblicistica non-specialistica sopra menzionata, di documen-

tari televisivi, di enciclopedie on line, in cui il controllo della pro-

duzione spesso sfugge a una selezione seria, e di altre opere di

divulgazione più o meno dilettantesche.17

Non nutro dubbio alcuno sulle gravose difficoltà insite nella

didattica della storia;18

io stesso le sperimento quando tento di

porgere dei contenuti la cui distanza culturale dal “mondo vita-

le”19

degli studenti è particolarmente marcata. È per questo moti-

vo che invito i colleghi storici e/o insegnanti di storia o di altre

discipline interessate20

(la filosofia,21

le letterature italiana e stra-

niere, la storia dell’arte ecc.) ad avviare un dibattito che prenda sul

serio il difficile compito del docente che si impegna a trasmettere

una certa sensibilità storica22

agli allievi, con un particolare riferi-

16

Cfr. PERNOUD R., op. cit., p. 149.

17

Ivi, pp. 9, 16, 145, 156 et alibi. Cfr. supra anche nt. 7 e infra nt. 291.

18

PIVATO S., op. cit., p. 37.

19

ABBAGNANO N., s.v. Mondo della vita, in ID., Dizionario di filosofia, U.T.E.T.,

Torino 19712

(s.d. orig.), p. 596; PARDI F., s.v. Soggettività, in DEMARCHI F.-

ELLENA A.-CATTARINUSSI B. (a cura di), Nuovo dizionario di sociologia, San Paolo,

Cinisello Balsamo (MI) 19943

(1987), p. 1986.

20

Cfr. PERNOUD R., op. cit., pp. 153 e 168. Devo ai colleghi e amici Paolo

Emilio Biagini, Brigitta Bianchi, Federico Creazzo, Lucia D’Agnolo, Silvia

Visintini e Marco Zocchi svariati stimoli e suggerimenti preziosi per la stesu-

ra di queste pagine: colgo qui l’occasione per ringraziarli. Va da sé che ascrivo

a me stesso ogni carenza di questo scritto.

21

Vd. ad es. PORCARELLI A., Insegnare la filosofia medievale. Stereotipi e innovazioni

didattiche, in http://archive.sfi.it/cf/cf4/articoli/porcarelli.htm.

22

Cfr. MARROU H.-I., La conoscenza storica, Il Mulino, Bologna 1988 (1954), p.

36; PERNOUD R., op. cit., p. 168.

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mento all’epoca in questione. All’inevitabile semplificazione del

discorso storiografico congenito alla manualistica e alla spropor-

zione esistente fra la lunghezza dell’arco temporale considerato

nei programmi e le scarse risorse (misurate in unità orarie scola-

stiche, in pagine di libri di testo e altro ancora) disponibili per lo

studio del Medioevo,23

vengono spesso ad aggiungersi ancora tante

difficoltà: tra le altre quelle determinate dalla diffusa svalutazione

della storia,24

ma anche quelle originate da una cultura dominante

(non solo didattica) ossessionata dal problem solving,25

oramai incli-

ne a formare l’allievo al “saper fare” senza indurlo a concentrare

l’attenzione sul “perché fare”, cultura inoltre sempre meno pro-

pensa a cogliere le sfumature – di cui la narrazione storica è invece

solitamente ricca. Nel nome di una sorta di pragmatismo cognitivo

– infine – si spaccia talvolta per un attardamento passatistico26

la

presa in esame di tematiche che si presumono antiquate.

Su queste premesse della questione articolerei il mio discorso

focalizzando l’attenzione su un secondo obiettivo, in qualche modo

conseguente e funzionale al primo: ritengo che, per allentare la

presa del pregiudizio antimedievale, ci possa provenire un sup-

porto epistemologico importante dalla strumentazione concet-

tuale più “classica” delle scienze sociali.27

Gli allievi (ma, perché

23

Ivi, p. 153.

24

PIVATO S., op. cit., pp. 37-46.

25

Vd. ad es. CICATELLI S., Conoscere la scuola. Ordinamento didattica legislazione, La

Scuola, Brescia 2004, p. 117.

26

A questo proposito PERNOUD R., op. cit., p. 177 scriveva negli anni Settanta

che la scuola francese produceva soggetti «amnesiaci», che rischiavano di

diventare inabili all’esercizio della responsabilità e della libertà.

27

Per un’introduzione all’utilizzo delle prospettive concettuali antropologi-

che nella storiografia vd. LE GOFF J., Prefazione, cit., p. VIII; LE GOFF J.-NORA

P. (a cura di), Fare storia. Temi e metodi della nuova storiografia, Einaudi, Torino

1981 (1974), passim; BOGLIONI P., Introduzione, in MANSELLI R., Il soprannaturale

e la religione popolare nel Medio Evo, Studium, Roma 1985, p. XVI.

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no? forse anche qualche adulto…) potrebbero ricavarne qual-

che spunto per elaborare una sintesi (perché pur sempre di que-

sto si tratta) autonoma sull’“Età di Mezzo”, una sintesi forse

meno inficiata da etichette categoriali,28

che credo non soddisfi-

no adeguatamente le loro esigenze di comprensione29

di que-

st’epoca storica.

All’interno di questa trattazione riserverei ancora qualche

spunto all’intento di sensibilizzare i colleghi di storia o, chissà,

forse anche qualche storico30

circa l’opportunità di un ulteriore

approfondimento del dialogo metodologico fra l’antropologia

e la storia. È possibile che, in un futuro lavoro, una sorta di

complemento di queste riflessioni, io tenti di cercare una rispo-

sta a determinate aporie del discorso storiografico medievistico

operando una serie di confronti con i Subaltern Studies, i Postcolonial

Studies e con la corrente dell’antropologia critica.31

Non è im-

possibile che da ciò possa scaturire qualche suggestione valida

per affinare le metodiche scientifiche32

di approccio allo specifi-

co medievale. Sotto questo profilo, del resto, non faccio che

28

Le etichette categoriali o etichettazioni sono espressioni che diventano «un

punto di ancoraggio per l’interpretazione di tratti di personalità e descrizioni

comportamentali ad essa associate» [ARCURI L., Percezione e cognizione sociale, in

ID. (a cura di), Manuale di psicologia sociale, Il Mulino, Bologna 1996, pp. 128-

129]; mediante le etichettazioni viene poi attivata la memoria semantica del

soggetto, nella quale viene così innescata una serie di associazioni di tali

espressioni con altre che a esse si collegano. Cfr. infra nt. 65.

29

Cfr. infra paragrafo 3.

30

PERNOUD R., op. cit., p. 165, nt. 3 non sottace la differenza di formazione fra

gli storici, avvezzi al trattamento dei dati documentali, e gli insegnanti di

storia, che non sempre fanno esperienza in tal senso.

31

Per una prima introduzione vd. CHAMBERS I. (a cura di), Esercizi di potere.

Gramsci, Said e il postcoloniale, Meltemi, Roma 2006, passim; PASQUINELLI C. (a

cura di), Occidentalismi, Carocci, Roma 2005, passim; vd. anche infra nt. 171.

32

Cfr. MARROU H.-I., op. cit., p. 5, che scrive di una «filosofia critica della storia».

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pormi al seguito di parecchi storici, che sottolineano la criticità

dell’utilizzo di categorie rigidamente e, talora, inconsapevolmente

etnocentriche nella ricerca storiografica.33

1.1. Limiti del saggio

Riuscire a fondare in poche decine di pagine un’ipotesi, che si

colloca sul versante opposto rispetto a quanto una pluriseco-

lare rielaborazione mediatica (dapprima prodotta dalla lettera-

tura polemica colta, poi – nell’ultimo secolo e mezzo – “disce-

sa” al “livello”34

del senso comune) va alimentando, è senz’al-

tro impresa improba. Va interpretata in questa prospettiva la

trattazione selettiva che seguirà, dalla quale potrà emergere

una versione consapevolmente migliorativa dell’Età di Mez-

zo; si tratterà di un’esposizione che – però – non intende suf-

fragare alcuna «leggenda fantastica»35

sul Medioevo stesso. Do

pertanto per valida la ricerca storiografica precedente, anche

quella più scopertamente denigratoria,36

e propongo al lettore

di sostituire all’aut aut di un certo tipo di approccio, forse tal-

volta manicheo, un et et «multivocale» più in sintonia con l’oriz-

zonte metodologico di certe correnti di pensiero delle scienze

33

Cfr. ad es. BURKE P., Cultura e società nell’Italia del Rinascimento, Einaudi, Tori-

no 1984 (1972), p. 21; CHABOD F., Storia dell’idea di Europa, Laterza, Roma-

Bari 20014

(1961), p. 18; GUREVIČ A.J., Contadini e santi. Problemi della cultura

popolare nel Medioevo, Einaudi, Torino 20002

(1981), p. 182; LE GOFF J., Prefa-

zione, in ID., Tempo, cit., p. IX.

34

Rinvio ai concetti di “livelli di cultura”, “prodotto culturale”, “processo di

discesa/salita dei fatti culturali” (CIRESE A.M., op. cit., pp. 15-23 e ID., Dislivelli

di cultura e altri discorsi inattuali, Meltemi, Roma 1997, passim.

35

Cfr. ad es. DEDIEU J.-P., L’Inquisizione, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI)

2003 (1987), p. 6.

36

Ivi, pp. 76 e 77; MERLO G.G., Eretici ed eresie medievali, Il Mulino, Bologna

1989, p. 10.

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umane,37

ma compatibile – suppongo – anche con uno studio

storiografico aperto alla logica del Verstehen.38

All’inizio della ricerca avevo formulato una serie di ipote-

si alla luce del «secolare pregiudizio» colto da diversi angoli

prospettici. In particolare, avevo pensato di occuparmi di

quattro ambiti o aspetti del preconcetto antimedievale: quel-

lo della solidarietà e dei diritti umani39

, all’interno del quale

avrei considerato soprattutto i nodi problematici delle cro-

ciate40

e dell’Inquisizione,41

quello della condizione femmi-

nile,42

quello della presunta ignoranza e, infine, quello del-

37

Cfr. CHAKRABARTY D., Storia, cit., p. 146.

38

Vd. infra paragrafo 3.

39

Intorno all’influenza del pensiero cristiano medievale ai fini dell’elabora-

zione della nozione di “diritti umani” cfr. FACCHI A., Breve storia dei diritti

umani, Il Mulino, Bologna 2007, pp. 26-27, 37 et alibi. Altre indicazioni sull’in-

cidenza del cristianesimo medievale sulla solidarietà sociale e sul tramonto

della schiavitù si trovano in BLOCH M., Come e perché finì la schiavitù antica, in

ID., Lavoro e tecnica nel Medioevo, Laterza, Roma-Bari 20013

(1947), pp. 221-63;

DOLZA L., Storia della tecnologia, Il Mulino, Bologna 2008, p. 51; FROMM E.,

Psicanalisi della società contemporanea, Mondadori, Milano 1987 (1955), pp. 95-

96; GUGLIELMI N., Il medioevo degli ultimi. Emarginazione e marginalità nei secoli

XI-XIV, Città Nuova, Roma 2001, passim; LE GOFF J., Il Medioevo. Alle origini

dell’identità europea, Laterza, Roma-Bari 20037

(1996), pp. 53-54; PERNOUD R.,

Le rane e gli uomini, in EAD., Medioevo, cit., pp. 87-99.

40

FLORI J., La cavalleria medievale, Il Mulino, Bologna 2002 (1998), passim; ID.,

Le crociate, Il Mulino, Bologna 2003 (2001), passim; HÖFFNER J., La dottrina

sociale cristiana, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 19863

(1983), p. 237.

41

CARDINI F.-MONTESANO M., La lunga storia dell’Inquisizione. Luci e ombre della

“leggenda nera”, Città Nuova, Roma 2005, passim; DEDIEU J.-P., op. cit., passim;

MEREU I., Storia dell’intolleranza in Europa, Bompiani, Milano 1988, passim;

PERNOUD R., L’indice accusatore, in EAD., Medioevo, cit., pp. 119-142.

42

Vd. ad es. CONTE F., Gli slavi. Le civiltà dell’Europa centrale e orientale, Einaudi,

Torino 1991 (1986), pp. 161-201; DUBY G., Il potere delle donne nel Medioevo, Laterza,

Roma-Bari 2001 (1995), passim; LE GOFF J., Il Medioevo, cit., p. 105; cfr. anche

PERNOUD R., La donna priva di anima, in EAD., Medioevo, cit., pp. 101-117.

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l’anticlericalismo43

. A un certo punto dell’indagine questo pro-

getto si è rivelato essere decisamente troppo vasto rispetto

alle caratteristiche della presente pubblicazione, perciò, ho

voluto ridimensionarlo notevolmente, limitandomi a conside-

rare più in particolare una sola di queste tematiche e operando

– al limite – qualche digressione più o meno ampia con riferi-

mento alle rimanenti piste di ricerca.

Fra le quattro opportunità ho inteso privilegiare quella offerta

dalla presa in esame della presunta ignoranza44

del Medioevo. I

topoi della staticità intellettuale e dell’oscurantismo retrivo, dell’in-

capacità innovativa in ambito tecnico e del supposto culto della

ripetizione in ossequio alle auctoritates sono fra i più significativi

nella rappresentazione del Medioevo e, se si vuole, sono anche

quelli che influenzano sensibilmente gli altri stereotipi, quasi dei

corollari, della brutalità e della prevaricazione della donna. Anche

il tema dell’anticlericalismo non potrà non emergere – fra l’altro –

anche per la strettissima correlazione che, notoriamente, inter-

corre fra la cultura medievale e l’ordo dei clerici.45

2. Falsificazione o selettività?

Dopo quanto premesso credo che, a fornire qualche spunto su

quanto già da molto tempo conosciamo intorno al Medioevo,

possano contribuire alcuni strumenti concettuali ricavati

43

Vd. un accenno in questo senso in PORCARELLI A., op. cit.

44

PERNOUD R., op. cit., p. 45.

45

FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI M., L’intellettuale, in LE GOFF J. (a cura di),

L’uomo medievale, Laterza, Roma-Bari 199913

(1987), p. 205.

46

SPINOZA B., Tractatus teologico-politicus, Einaudi, Torino 1958 (1670), 1, 4.

Humanas actiones non ridere, non lugere neque

detestari, sed intelligere.46

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Medioevo: un pregiudizio secolare

47

dall’etno-antropologia, dalla psicologia sociale e dalla sociologia,

che consentono di limitare, almeno in parte, l’influenza derivata

da una lettura storica troppo semplicistica come è, qualche vol-

ta, quella riportata dai manuali scolastici e, come abbiamo visto,

da certa divulgazione mediatica. I concetti di cui scriverò po-

trebbero – in effetti – consentirci di prendere maggiore consa-

pevolezza di una serie di “impliciti del discorso”.47

Alla domanda da cui parto, che non vorrebbe essere retori-

ca, potrà rispondere l’eventuale lettore integrando nel proprio

bagaglio concettuale gli strumenti che cercherò di fornirgli

lungo il percorso. Credo il quesito non abbisogni di soverchie

spiegazioni: mi pare sia abbastanza chiara la differenza fra

l’azione consapevole della falsificazione e, invece, l’eventuale

inconscia (o parzialmente inconscia) selezione delle notizie

congruenti con la propria concezione del mondo effettuata

ad opera dell’autore che scrive di Medioevo.48

È appena il caso

di aggiungere che la risposta del lettore potrà riguardare, ov-

viamente, solo ed esclusivamente i pochi testi che saranno og-

getto della nostra analisi e, perciò, senza alcuna pretesa di dare

risposte totali a un problema, la cui risoluzione comportereb-

be un rilevamento empirico da effettuarsi all’interno di un cam-

pione di ben più vaste proporzioni.

2.1. Schemi culturali, stigmatizzazione ed epoché

Gli studiosi registrano la tendenza di ogni epoca storica, grup-

po sociale, cultura a giudicare le epoche, i gruppi sociali e le

culture “altri” (out-groups) secondo i parametri peculiari del pro-

47

Vd. SBISÀ M., Detto non detto. Le forme della comunicazione implicita, Laterza,

Roma-Bari 2007, passim.

48

GILI G., Il problema della manipolazione: peccato originale dei media?, Franco An-

geli, Milano 2001, p. 119.

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Franz Brandmayr

48

prio gruppo di appartenenza49

(in-group)50

. È certo che gli scien-

ziati sociali e – in particolare – gli etnoantropologi hanno fatto

della differenza culturale51

il loro campo specifico di osserva-

zione e di riflessione. Almeno teoricamente essi dovrebbero

essere particolarmente consapevoli della pervasiva influenza degli

schemi culturali52

del ricercatore sugli strumenti concettuali (che

si vorrebbero “oggettivi”), che questi adopera nel suo lavoro.

Tuttavia non manca certo anche fra gli storici chi prende molto

sul serio il rischio di contrabbandare per indagine storiografica

ciò che è frutto, invece, di meri giudizi di valore.

Il problema non è di poco conto; intorno alla questione si

sono scritti fiumi di parole e non mi illudo certamente di poter

dire una parola definitiva in merito. A mio avviso, però, certa

produzione storiografica e – chissà – forse anche un certo tipo di

insegnamento della storia potrebbero essere inclini a esercitarsi

troppo poco – o troppo maldestramente – a fare tabula rasa53

, in

particolare, degli idola fori e degli idola theatri54

della propria epoca

storica o del proprio gruppo sociale di appartenenza.

In che misura l’osservatore può considerarsi immune da queste

categorie prevalenti (stereotipi ed etichettazioni), se esse sono

incorporate nella sua cultura? […] nulla garantisce automatica-

mente l’immunità del ricercatore dai pregiudizi […] la pretesa

che le scienze umane si siano liberate del linguaggio e delle cate-

49

STRUFFI L.-POLLINI G., s.v. Appartenenza, in DEMARCHI F.-ELLENA A.-

CATTARINUSSI B. (a cura di), op. cit., pp. 155-168.

50

Cfr. MALIGHETTI R., s.v. Etnocentrismo, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di),

op. cit., pp. 273-274.

51

HANNERZ U., La diversità culturale, Il Mulino, Bologna 2001 (1996), passim.

52

Cfr. TENTORI T., Antropologia culturale, Studium, Roma 1960, p. 19.

53

Sui limiti storiografici dell’utilizzo di questo strumento concettuale

«cartesiano» vd. PERNOUD R., op. cit., pp. 170-171.

54

BACONE F., Novum organum, La Scuola, Brescia 1968 (1620), I, pp. 264-266.

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Medioevo: un pregiudizio secolare

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gorie di senso comune è solo una pia illusione […] L’implicazio-

ne nella cultura retroagisce sull’osservatore […] in un gran nu-

mero di modi, spesso indiretti e scarsamente visibili […] Molto

frequentemente, il solo fatto di formulare un problema relativo a

un oggetto contiene un pregiudizio implicito che qualifica in

modo distorto quell’oggetto, indipendentemente dalla buona

volontà o dalla correttezza procedurale del ricercatore […] Gli

orizzonti di senso comune […] non sono semplici dimensioni

cognitive […] vincolano chi vi si riconosce al mantenimento di

gerarchie, di micropoteri, di inclusioni e di esclusioni […] so-

stengono le forme di identità, le appartenenze, quel senso del

“noi” che è essenziale alla vita di ogni comunità.55

Probabilmente nel prendere in considerazione il Medioevo

questo sforzo, che è di autoanalisi e di autoeducazione, non risul-

ta essere sempre facile: uno storico contemporaneo si sente «ge-

lare il sangue» quando legge le pene previste nei penitenziali mo-

nastici irlandesi per infrazioni alla regola che noi, donne e uo-

mini del Terzo millennio, riterremmo assolutamente irrilevanti.56

Parimenti, ci rallegriamo di non dover più manifestare la nostra

piena appartenenza al gruppo con assordanti urla corali57

e dopo

avere attraversato le durissime prove iniziatiche dei berserkr58

ger-

55

DAL LAGO A., I nostri riti quotidiani. Prospettive nell’analisi della cultura, Costa &

Nolan, Genova 1995, pp. 12-13.

56

LAWRENCE C.H., Il monachesimo medievale. Forme di vita religiosa in Occidente, San

Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1993 (1989), pp. 76-78; cfr. DAWSON CH., op.

cit., p. 77; PENCO G., Il monachesimo, Mondadori, Milano 2000, p. 85.

57

Per la verità certe forme espressive degli ultras negli stadi di calcio mi

dissuadono ancora dal cantare la vittoria definitiva della dea ragione nel no-

stro vecchio Occidente [cfr. BROMBERGER C., La partita di calcio. Etnologia di

una passione, Ed. Riuniti, Roma 1999 (1995), passim; DAL LAGO A., Descrizione

di una battaglia. I rituali del calcio, Il Mulino, Bologna 20012

(1990), passim].

58

ELIADE M., La nascita mistica. Riti e simboli d’iniziazione, Morcelliana, Brescia

19883

(1958), pp. 125-130.

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manici, anche se i progressi forse più significativi rispetto agli an-

tenati europei del Nord sembrano riguardare – piuttosto che una

maggiore propensione alla vita pacifica – la nostra maggiore di-

mestichezza con l’acqua…59

Considerare i contadini alla stregua

di «mostri appena umani»60

, trasformare un mite rabbì ebreo in un

konung, un re sassone in armi,61

percorrere in massa strade e vil-

laggi infliggendosi penitenze le più sanguinose,62

praticare i cru-

deli rituali carnevaleschi…63

Che cosa rimane da fare a chi si accinge a studiare questa

realtà storica così distante? Gli “stigmi” – così li chiamano certi

antropologi – della superstizione, della brutalità (anche

masochista), dell’autoritarismo, della rozzezza dei costumi, del-

l’ottusità, dell’aggressività più selvaggia, del disprezzo degli umili

e altri ancora sembrerebbero potersi applicare senza esitazione

alcuna ai pochi esempi richiamati. Potremmo non sentirci in-

dotti a svolgere neanche un’opportuna verifica documentale,

tanto essi paiono scontati nella loro chiarezza, inoltre continua-

mente rievocata e ribadita dai media.64

Essi – gli stigmi –

indica{no} un attributo (fisico o morale) profondamente dispre-

59

CONTE F., op. cit., pp. 117-118.

60

Cfr. LE GOFF J., I contadini e il mondo rurale nella letteratura dell’alto Medioevo

(secoli V e VI), in ID., Tempo, cit., p. 107.

61

GUREVIČ A.J., op. cit., pp. 78-79.

62

TOSCHI P., s.v. Flagellanti, in AA.VV., Enciclopedia Cattolica, Ente per l’Enciclo-

pedia Cattolica e per il Libro Cattolico – Sansoni, Città del Vaticano – Firen-

ze 1950, vol. V, cc. 1439-1441.

63

Cfr. ad es. BACHTIN M., L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carne-

vale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale, Einaudi, Torino 1979

(1965), passim.

64

Vd. il concetto di «manipolazione per inondazione», che risulta funzionale

alla creazione di pseudo-eventi in GILI G., op. cit., pp. 244-250: una “verità”

continuamente proclamata alla fine diventa tale anche se non lo è.

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51

giativo e [...] mett{ono} in relazione tale attributo con gli stereo-

tipi relativi alla “normalità”, espressi dalla cultura dominante65

,

cultura dominante che – in questo caso – neanche a dirlo, è

quella occidentale attuale: secolarizzata, urbanizzata, post-

borghese, ispirata alla “gabbia di ferro” della razionalizzazione

weberiana, postindustriale, telematica, individualistica66

(tal-

volta fino al narcisismo)67

, consumistica,68

tesa a dare attua-

zione la più completa al freudiano principio di piacere e via

dicendo.

Da almeno tre secoli nelle “descrizioni” medievalistiche del

discorso comune, dove abbondano delle autentiche “clave

terminologiche” – fortemente peggiorative – come «feudale»,

«gotico»,69

«barbaro/barbarico»70

ecc. sembrano manifestarsi una

sovrabbondanza di alterità, un divario incolmabile e gli stigmi

rispondono proprio all’esigenza di contenere una diversità

debordante, eccessiva. Nel campo della verbalizzazione, infatti,

essi ottemperano alla funzione di esorcizzare ciò che è “stra-

no”, “estraneo”, “straniero”, “forestiero”, in quanto viene “da

65

AIME M., s.v. Stigma, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op. cit., p. 709; le

parentesi quadre sono mie. Nel corso della trattazione potrò usare come

quasi-sinonimi anche le espressioni etichetta categoriale o etichettazione (vd.

supra nt. 28) adoperate, solitamente, dagli psicologi sociali.

66

Vd. ad es. BAUMAN Z., La società individualizzata. Come cambia la nostra espe-

rienza, Il Mulino, Bologna 2002 (2001), passim.

67

LASCH CH., La cultura del narcisismo, Bompiani, Milano 20014

(1979), passim.

68

Cfr. ad es. il classico BAUDRILLARD J., La società dei consumi, Il Mulino, Bolo-

gna 1976, passim.

69

PERNOUD R., op. cit., pp. 80-86.

70

Come è noto si tratta, inoltre, di un’espressione pesantemente connotata in

senso italocentrico e francocentrico [AZZARA C., Le invasioni barbariche, Il

Mulino, Bologna 1999, p. 9; cfr. anche WOLFRAM H., I germani, Il Mulino,

Bologna 2005 (1997), p. 89].

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fuori” rispetto al gruppo-noi.71

Sotto questo profilo corrispon-

dono funzionalmente a quanto mirano a realizzare le liturgie

apotropaiche nell’ambito della ritualità.

Ritengo di semplificare l’esposizione eleggendo a terreno

di fondazione di alcune delle mie ipotesi sugli stigmi o

etichettazioni soprattutto un testo della fine degli anni No-

vanta. La Breve storia delle grandi scoperte scientifiche di Giovanni

Caprara dedica soltanto ventidue pagine al Medioevo,72

ma il

volume mi sembra rappresentare validamente un certo tipo di

approccio divulgativo al nostro tema. Mentre fornisce notizie

sullo stato della scienza nel Terzo secolo, il nostro «giornalista

scientifico del “Corriere della Sera”», autore di diversi volumi

e premiato per la sua attività di divulgazione scientifica,73

sin-

tetizza lapidariamente un millennio e più di storia con due

brevi frasi introduttive della storia alla scienza medievale. Se-

condo me queste due proposizioni – vergate con accenti

apodittici – potrebbero rappresentare emblematicamente la

diffusa pratica della stigmatizzazione antimedievale per il tra-

mite dell’etichettazione oscurantistica. Ecco la prima:

I padri della Chiesa rifiutavano la cultura classica perché la rite-

nevano troppo compromessa con la religione pagana.74

Un asserto di questo genere presenta notevoli errori e lacu-

ne anche se lo si voglia riferire al solo alto Medioevo, ma l’Auto-

re non lo integra né lo ridimensiona nel prosieguo dell’esposi-

71

Vd. infra nt. 289.

72

CAPRARA G., Breve storia delle grandi scoperte scientifiche, Bompiani, Milano 19992

(1998), pp. 43-64.

73

Ivi, quarta di copertina.

74

Ivi, p. 42.

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Medioevo: un pregiudizio secolare

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zione, lasciando – con ciò – intendere che tale situazione perdu-

ri addirittura per tutta l’età medievale.

Un’analisi, ancorché generica, delle letterature patristica e

scolastica nel loro rapporto di dipendenza e innovazione ri-

spetto alla tradizione classica non si può neanche accennare in

queste pagine.75

Forse vale la pena di fare qualche richiamo,

piuttosto, alla tradizione monastica occidentale, intorno alla

quale gli storici non nutrono dubbi sul fatto che nel VI secolo

l’intellettuale di origine siriaca (e già ministro di Teodorico)

Cassiodoro creava «il primo esempio di monachesimo dotto e

umanistico, che conciliava l’otium classico e la preghiera»76

. In

Italia egli agì soprattutto nell’ambiente calabrese e i suoi scritti

si diffusero, pare, fino all’ambiente romano e alla biblioteca

papale del Laterano in particolare,77

da dove – secondo alcuni

– la sua influenza si sarebbe propagata a tutte le successive

esperienze monastiche occidentali. A lui si devono, fra le altre

cose, la composizione di «una vera e propria ratio studiorum», di

un autentico «programma enciclopedico […] tracciato con

l’esame delle sette arti liberali […] nella linea degli enciclopedisti

del tardo mondo antico [… (che)] prepara l’avvento di quelli

dell’Alto Medioevo, Isidoro, Beda, Rabano Mauro».

75

Una prima introduzione al tema si può ricavare, da un punto di vista teologi-

co, in RAHNER K.-VORGRIMLER H., s.v. Patristica, in IID., Dizionario di teologia,

Herder-Morcelliana, Roma-Brescia 1968, pp. 475-476; da una prospettiva filo-

sofica vd. VANNI ROVIGHI S., s.v. Aristotelismo, in AA.VV., Dizionario teologico

interdisciplinare, Marietti, Casale Monferrato (AL) 1977, vol. I, pp. 419-423; EAD.,

s.v. Platonismo, in AA.VV., Dizionario, cit., vol. II, pp. 731-735. Anche in ambito

manualistico una sintesi critica argomentata e in totale disaccordo con il Caprara

viene proposta da CONTE G.B.-PIANEZZOLA E., Corso integrato di letteratura latina,

5, La tarda età imperiale, Le Monnier, Firenze 2004, pp. 146-147.

76

AA.VV., s.v. Cassiodoro, in IID., Enciclopedia Garzanti di filosofia, Garzanti, Mi-

lano 19822

(1981), p. 130.

77

PENCO G., op. cit., p. 47.

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78

Ivi, pp. 46-47; parentesi rotonda dello scrivente; cfr. anche ivi, pp. 48 e 176.

79

Ivi, pp. 32-33.

80

LAWRENCE C.H., op. cit., pp. 100-104; TURBESSI G., Il monachesimo in Occidente

fino a S. Benedetto (c. 480-547), in ID., Ascetismo e monachesimo prebenedettino,

Studium, Roma 1961, pp. 134-148.

81

ULLMANN W., Radici del Rinascimento, Laterza, Bari-Roma 1980 (1977), p. 36;

DAWSON CH., op. cit., p. 37 riferisce che «“Romano” e “cristiano” divennero

quasi termini sinonimi» (cfr. anche ivi, pp. 63 e 81). Il terzo e il quarto ele-

mento dell’amalgama culturale della Civiltà occidentale saranno quello

germanico-pagano (ULLMANN W., op. cit., p. 29) e quello «“tradizionale” delle

vecchie culture indigene» (LE GOFF J., Guerrieri e borghesi rampanti. L’immagine

della città nella letteratura francese del secolo XII, in ID., L’immaginario, cit., p. 32).

82

Ivi, p. 3.

83

LAWRENCE C.H., op. cit., p. 69; PENCO G., op. cit., pp. 60 ss.

84

Cfr. infra le nt. 91 e 95.

85

PENCO G., op. cit., p. 175.

Egli getta, inoltre, «le basi di tutta la morfologia della cultura

medievale», nella quale la cultura greca e quella latina, quella sacra

e quella profana vengono impostate nei loro sviluppi futuri.78

Di lì a poco sarà il monachesimo benedettino a farsi via via

promotore di istanze culturali di portata sempre crescente, ope-

rando una sintesi fra la humanitas ereditata dalla cultura roma-

na e le esigenze di un evangelismo radicale mutuato dalle espe-

rienze monastiche copte e siriache.79

Ne scaturirà uno stile ce-

nobitico originale, praticato secondo modalità autoctone «la-

tine»80

; ciò costituirà la premessa indispensabile alla creazione

di una sorta di identificazione della romanitas e della christiani-

tas,81

che si realizzerà fin dall’epoca altomedievale.82

I rigori

ascetici degli anacoreti e dei monaci orientali troveranno nel

movimento benedettino un’interpretazione meno austera,83

progressivamente sempre più aperta alla dimensione cultura-

le,84

di cui è opportuno sottolineare la «polivalenza»85

sotto

vari profili: le interpretazioni – diversificate a seconda delle

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situazioni – del contemptus mundi e l’enorme varietà delle attivi-

tà culturali (teologia monastica,86

letteratura, scienze e arti,87

scriptoria e biblioteche88

), della quale non è possibile rendere

ulteriormente conto in queste pagine.89

Si tratta di un’opera

immensa, efficacemente riassunta nel celebre motto ora et labo-

ra, che in seguito, allargata ad altre componenti ecclesiali e

sociali, fonderà, secondo molti autori senza possibilità di equi-

voco, l’edificio della Civiltà occidentale.90

L’influsso poderoso

dei benedettini diventerà ancor più trainante nei secoli X-XII91

e riguarderà in maniera eminente, oltre l’avanzamento tecno-

logico92

, tanto gli aspetti dell’alfabetizzazione e dell’istruzione

quanto la cultura dotta.93

È sul fondamento monastico, quindi, che si costruisce la

cultura medievale nel suo rapporto con i classici greci e latini.

Questi sarebbero stati trascurati, oppure selezionati a seconda

delle esigenze di «purificazione» della Chiesa94

o addirittura cen-

86

Ivi, pp. 181-186.

87

Ivi, pp. 186-192.

88

Ivi, 192-193.

89

Cfr. anche MICCOLI G., Il monaco, in LE GOFF J. (a cura di), L’uomo medievale,

cit., p. 48 et passim.

90

Cfr. ad es. CHABOD F., op. cit., pp. 162-163; CROCE B., “Perché non possiamo non

dirci cristiani”, in “La Critica”, XL (1942), pp. 289 ss; DAWSON CH., op. cit., pp.

26-27 et alibi; NOBLE D.F., La religione della tecnologia. Divinità dell’uomo e spirito

d’invenzione, Comunità, Torino 2000 (1997), pp. 4-5.

91

DOLZA L., op. cit., p. 52; MICCOLI G., op. cit., pp. 56-68 dal punto di vista

dell’importanza storica del fenomeno monastico definisce questo periodo

come gli aurea saecula.

92

Vd. infra paragrafo 2.3.

93

GRAFF H.J., Storia dell’alfabetizzazione occidentale, 1, Dalle origini alla fine del

medioevo, Il Mulino, Bologna 1989 (1987), p. 22; LAWRENCE C.H., op. cit., p. 65.

94

Cfr. MICCOLI G., op. cit., p. 75.

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surati e messi in ombra. Anche tutto ciò è senz’altro vero (alme-

no fino all’epoca carolingia)95

, ma, al contempo,

ci si è potuti accorgere che, in effetti, nel Medioevo, gli autori

latini, e anche quelli greci, erano già parecchio conosciuti e […]

l’apporto del mondo antico, classico o no che fosse, era a quel-

l’epoca lontano dall’essere disprezzato o rifiutato.96

Non va ignorato, inoltre, il fatto che persino nei cosiddetti

«anni bui»97

(V-VII) non si potesse parlare di ignoranza del lati-

no neanche tra gli stessi laici,98

fra i quali si potevano annovera-

re delle donne nonché «alcuni barbari»99

.

Già all’epoca di Carlomagno e, ancor di più, al tempo di Ber-

nardo da Chiaravalle la conoscenza degli autori greci e latini

viene coltivata al punto che «taluni studiosi […] hanno parlato

allora di una “Rinascita carolingia” […] di “Rinascita del XII

secolo”, o anche di “umanesimo medievale”»100

anche con un

riferimento preciso alla frequentazione dei classici. Perciò, al-

meno per quanto riguarda il latino, l’idioma e i testi sarebbero

sempre stati «fascinosi» per la civiltà medievale presa nel suo

95

Va precisato che LAWRENCE C.H., op. cit., p. 78 osserva una più spiccata

libertà di spirito presso i monaci irlandesi, che – come è noto – operarono in

gran parte dell’area centro-occidentale del continente e diffusero la sensibi-

lità verso la cultura classica (DAWSON CH., op. cit., pp. 71-77) proprio nel peri-

odo in cui i benedettini ne fecero talora oggetto di ascetica diffidenza.

96

PERNOUD R., op. cit., pp. 20-21; cfr. anche LE GOFF J., Prefazione, in ID.,

L’immaginario, cit., p. XX.

97

GRAFF H.J., op. cit., p. 69; cfr. LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., p. XVI.

98

Sull’alfabetizzazione dei chierici e dei monaci, peraltro, non è bene operare

troppe generalizzazioni; lo stesso discorso si pone intorno alla loro cono-

scenza del latino; cfr. infra nt. 267.

99

GRAFF H.J., op. cit., p. 72.

100

PERNOUD R., op. cit., p. 21.

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complesso e non soltanto fra il 1380 e il 1450.101

Per quanto

concerne il latino liturgico, inoltre, Graff rileva che esso sareb-

be stato conosciuto in misura persino maggiore fra le donne e

per tutto l’arco temporale del Medioevo.102

In definitiva, secondo Garin il pensiero cristiano medievale,

dopo «secoli di meditazione», di «critica insistente, inesorabile e

sempre più consapevole della concezione classica»,

si impadroniva delle armi dell’avversario, pur col pericolo, scenden-

do sul suo terreno ed usando i suoi mezzi, di confondersi con esso;

che è l’impressione che, dalla patristica in poi, dà così spesso il pen-

siero medievale, tutto fatto di apparenti ritorni e di strani miscugli:

platonismo, stoicismo, neoplatonismo, aristotelismo, averroismo,

fino a pervenire alla «formulazione cosciente, e cioè filosofica

[…] della propria concezione, e delle proprie ragioni»103

. Peraltro,

è noto che una delle più profonde operazioni culturali dell’intero

percorso filosofico europeo è consistita nella faticosa adozione

del sistema aristotelico nel XIII secolo,104

a riprova di un rapporto

con la classicità vissuto intensamente e ricco di sviluppi originali.

La Pernoud ricorda ancora che «i cataloghi delle biblioteche

che ci sono stati conservati […] provano abbondantemente»

che non fu la caduta di Costantinopoli (1453), se non in minima

parte, a determinare «l’introduzione in Europa delle biblioteche

di autori antichi conservate a Bisanzio»105

.

101

GRAFF H.J., op. cit., p. 162; cfr. ULLMANN W., op. cit., p. 35.

102

GRAFF H.J., op. cit., p. 119.

103

GARIN E., La crisi del pensiero medievale, in ID., Medioevo e Rinascimento. Studi e

ricerche, Laterza, Roma-Bari 19803

(1950), p. 18.

104

PERNOUD R., op. cit., p. 162.

105

Ivi, p. 22; cfr. LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., p. XX, ove

l’Autore menziona il «ritorno all’antico» fin dal secolo XIII e l’«invasione di

Aristotele» nelle forme scultoree dei Pisano.

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Dai semplici richiami prodotti scaturisce – pertanto – una

notevole ricchezza di sfumature, di situazioni diversificate a se-

conda dei vari segmenti sociali, cui andrebbero aggiunte le di-

versità rispetto alle aree geografiche. Si tratta di differenze, delle

quali una divulgazione, effettuata sulla scorta di studi speciali-

stici non si sa quanto fondati e che si esprime con affermazioni

lapidarie, non sembra riuscire a rendere ragione neanche ap-

prossimativamente.

Caprara insiste nel proporre l’immagine di un Medioevo oscu-

rantista, cui continua a soggiacere il tema, che a lui pare fonda-

mentale, del rapporto antitetico fra la scienza e la religione:

Se nei secoli precedenti, l’ondata di misticismo aveva demolito

l’interesse per la scienza, ora l’insistenza sui temi della salvezza e

della fede predicati come fondamentali e prioritari rafforzava ed

ampliava l’opera di chiusura culturale. E quando non si dimo-

strava avversione si esibiva indifferenza.106

Sulla fragilità documentaria di un’affermazione tanto lontana

dalla realtà abbiamo già scritto qualcosa per quanto riguarda il

rapporto con i classici; per quanto concerne lo spirito di inven-

zione, invece, dovremo soffermarci ancora oltre.107

Già a questo

punto mi piace, però, richiamare un passo di Bertrand Russell,

uno dei tanti del suo Misticismo e logica, che può contribuire a libe-

rare dai gravami del pregiudizio questo tema, che i più affrontano

in una condizione di coinvolgimento preconcetto:

Anche la cauta e paziente ricerca della verità per mezzo della

scienza, che sembra l’assoluta antitesi dell’incrollabile certezza

106

CAPRARA G., op. cit., p. 42.

107

Vd. infra paragrafo 2.3.

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Medioevo: un pregiudizio secolare

59

del mistico, può essere incoraggiata e nutrita da quell’autentico

spirito di venerazione nel quale il misticismo vive e opera.108

Punto di vista dell’osservatore, da una parte, e società, cultu-

ra, civiltà osservata, dall’altra: come stabilire un rapporto cor-

retto con l’oggetto dello studio storiografico? Credo non vi sia

indagine seria, non c’è scienza storica senza una sospensione

del giudizio,109

cioè senza la messa tra parentesi dei propri sche-

mi culturali da parte del ricercatore. È umano, umanissimo pro-

vare sentimenti di ripulsa o assumere atteggiamenti irridenti di

fronte a palesi manifestazioni di differenza culturale, ma essi

vanno considerati per quello che sono: mere reazioni emotive,

oltre che difensive. Nella migliore delle ipotesi, se vengono in-

serite in un quadro filosofico coerente, potrà trattarsi di rifles-

sioni etiche, ma quando i piani filosofico-morale e storiografico

vengono sovrapposti fino a confondersi, difficilmente il discor-

so eviterà uno slittamento su di un piano puramente moraleg-

giante e – con ciò – antiscientifico.110

108

RUSSELL B., Misticismo e logica, in ID., Misticismo e logica e altri saggi, Longanesi,

Milano 1970 (1914), p. 12; cfr., da un punto di vista antropologico-culturale,

BASTIDE R., Un misticismo senza dei, in ID., Il sacro selvaggio, Jaca Book, Milano

1979 (1931), p. 22. Sul rapporto fra mistica e spirito innovativo possono

risultare interessanti anche le riflessioni riportate nei paragrafi 2.3. e 2.4.

109

Si tratta, come è noto, dell’™poc» = epoché; vd. ABBAGNANO N., s.v. Epoché,

in ID., op. cit., pp. 309-310. Nella traduzione tedesca il lemma presenta sfu-

mature quasi ascetiche: Ausschaltung significherebbe, quindi, «esclusione»

ed «eliminazione» (MACCHI V., s.v., in ID., Dizionario Sansoni. Tedesco-Italiano.

Italiano-Tedesco, Sansoni, Firenze-Roma 1977) del proprio Io, delle proprie

preoccupazioni di studioso (cfr. MARROU H.-I., op. cit., p. 78); la forma ver-

bale ausschalten, inoltre, si adopera per indicare lo «spegnere» (ad es. di fonti

di energia elettrica).

110

WEBER M., La scienza come professione, in ID., Il lavoro intellettuale come professio-

ne, Einaudi, Torino 1966 (1919), pp. 18 e 26-27.

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Franz Brandmayr

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2.2. Avalutatività, anacronismo, luoghi comuni ed etnocentrismo

È quando lo studioso si colloca in una disposizione mentale di

“avalutatività”111

, dunque, che trova attuazione pratica la meto-

dologia baconiana della tabula rasa, della almeno provvisoria di-

sattivazione degli idola tribus e degli idola fori. Gli storici e – non-

dimeno – gli antropologi non coltivano più alcun mito della

pura oggettività,112

tuttavia caldeggiare questo genere di autoa-

nalisi e autocontrollo nello studioso, ma anche nel docente e

nello studente stessi, può «evitare (a tutti costoro) il vicolo cieco

[…] dell’anacronismo»113

.

Propriamente, l’anacronismo è un «errore in cui si cade attri-

buendo certi fatti ad un’epoca diversa da quella in cui sono av-

venuti»114

. Si tratta, in buona sostanza, di un meccanismo pro-

iettivo,115

che può agire almeno in due modi, positivo il primo e

negativo il secondo. Nel primo caso il soggetto può assegnare

positivamente a un’epoca o a un personaggio del passato dei

sentimenti o degli atteggiamenti che sono, in realtà, estranei al-

l’epoca o al personaggio in questione. Come esempio richiamo

quello portato dalla Pernoud, che scrive di come certi studiosi

abbiano ascritto ad Abelardo una miscredenza e uno scettici-

smo, che non emergono assolutamente da una attenta e com-

pleta disamina documentaria. In studi parziali e – spesso – ela-

111

ID., Il metodo delle scienze storico-sociali, Einaudi, Torino, 19812

(1922), pp.

309-375.

112

MARROU H.-I., op. cit., p. 44.

113

Ivi, p. 78 (parentesi rotonda mia).

114

DEVOTO G.-OLI G.C., s.v. Anacronismo, in IID., Il dizionario della lingua italia-

na, Le Monnier, Firenze 1995.

115

TOMAN W., s.v. Proiezione, in ARNOLD W.-EYSENCK H.J.-MEILI R. (a cura di),

Dizionario di psicologia, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 19863

(1980), pp.

894-895.

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Medioevo: un pregiudizio secolare

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borati sulla scorta di ricerche puramente compilative vengono

fatte risaltare del teologo, invece, delle caratteristiche di presun-

ta modernità che – perlomeno negli anni Settanta – erano date

per acquisite pur in assenza di un adeguato approfondimento

dei testi originali.116

La modalità negativa dell’anacronismo, invece, rivela una ten-

denza del soggetto a proiettare a ritroso lungo l’asse del tempo

la propria energia psichica117

nel senso di una colpevolizzazione

dell’epoca o del personaggio considerati. Qui la negatività non

va letta nel suo significato psicologico e morale (di acrimonia

che, invece, può essere sottesa al lemma “colpevolizzazione”),

bensì nel senso etimologico del mancato riscontro, ad opera del

ricercatore, di una sintonia di atteggiamenti e sentimenti fra il

periodo storico esaminato e il ricercatore stesso. In definitiva,

questi attiva un meccanismo di difesa118

(perché di questo in

definitiva si tratta) mediante il quale egli, lo studioso, tutela – in

qualche modo – la propria concezione del mondo e la propria

gerarchia dei valori, rilevando, talvolta lamentando o, addirittu-

ra, deprecando la loro assenza o il loro misconoscimento nel-

l’epoca, nel personaggio o nella cultura specifica che è chiamato

a indagare e conoscere. Gli esempi in questo ambito potrebbe-

ro essere numerosi: valga per tutti il richiamo alla mentalità guer-

riera119

dell’uomo medievale, che indigna, forse giustamente, il

pacifista europeo contemporaneo. Si potrebbe, forse, dare per

scontata la capacità dello storico di professione – abituato a la-

vorare sui documenti – di evitare quell’anacronismo, per cui si

proiettano sul Medioevo le sensibilità e le esperienze dei movi-

116

PERNOUD R., op. cit., pp. 149-150.

117

MULLER P., s.v. Psichica/energia, in ARNOLD W.-EYSENCK H.J.-MEILI R. (a

cura di), op. cit., p. 902.

118

Cfr. TOMAN W., v. cit., p. 894.

119

LE GOFF J., Il Medioevo, cit., pp. 36 e 100-107.

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menti pacifisti del secolo XX.120

È possibile, però, che qualche

insegnante e, più ancora, gli studenti risultino particolarmente

esposti a questa ingenuità metodologica.

Va detto che il meccanismo proiettivo di difesa sussiste an-

che nel primo tipo di anacronismo, quando – cioè – il soggetto

si addentra a esplorare un’epoca, un personaggio, una cultura

che portano valori dissonanti rispetto ai propri schemi culturali

e tende a plasmare a propria immagine e somiglianza l’oggetto

della propria ricerca per renderlo meno unheimlich121

e, in qual-

che modo, più domestico e utilizzabile.122

Una dinamica di que-

sto genere si ripropone anche quando, con rialzismo cronologi-

co123

patente, si cercano antenati illustri, che solitamente confe-

riscono prestigio e avvalorano la posizione culturale propria di

chi effettua l’indagine, come probabilmente è accaduto nel caso

della vulgata costruita intorno ad Abelardo e denunciata dalla

Pernoud. È verosimile, inoltre, che un simile atteggiamento di

riplasmazione della storia a immagine e somiglianza della me-

moria storica del proprio gruppo di appartenenza possa pro-

durre più facilmente esiti configurabili come œpoj (= epos) col-

lettivo piuttosto che come vera e propria storiografia.124

120

Per un’introduzione al tema vd. GIACOMINI M.R., Antimilitarismo e pacifismo

nel primo Novecento. Ezio Bartalini e “La Pace”. 1903-1915, Franco Angeli, Mila-

no 1990, passim con le relative indicazioni bibliografiche.

121

Tengo presente il concetto di Unheimlichkeit = «spaesamento» (HEIDEGGER

M., Essere e tempo, Longanesi & C., Milano 1976 (1927), p. 548), cui ricollego

l’aggettivo unheimlich, che significa: «sospetto», «poco rassicurante» (s.v. in

MACCHI V., op. cit.).

122

TULLIO-ALTAN C., Soggetto simbolo valore. Per un’ermeneutica antropologica,

Feltrinelli, Milano 1992, pp. 26-32.

123

CIRESE A.M., Cultura, cit., pp. 110-114.

124

Lo spazio non consente di trattare l’importante argomento [per un primo

approccio vd. ad es. PIVATO S., op. cit., p. 47-49; RICOEUR P., La memoria, la

storia, l’oblio, Cortina, Milano 2003 (2000), passim; TRAVERSO E., Il passato: istru-

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Medioevo: un pregiudizio secolare

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Il concetto di avalutatività, che vado richiamando in queste

pagine, viene spesso confuso con un’improbabile asetticità (tal-

volta scambiata a sua volta con l’oggettività) di tipo vetero-

positivistico; essa affonda le proprie radici culturali – come è

noto – nell’approccio sperimentale proprio delle scienze della

natura.125

L’entusiasmo ottocentesco per l’enorme sviluppo

metodologico di questo ambito della conoscenza umana e la

grande mole di risultati ottenuti sul piano strettamente cognitivo

hanno finito per influenzare profondamente anche le scienze

umane, facendo ritenere che lo storico,126

il sociologo e

l’antropologo127

potessero osservare i fenomeni umani alla stre-

gua dello scienziato nel suo laboratorio, impegnato con le pro-

prie sperimentazioni in campo fisico o chimico. Tramontato del

tutto – suppongo – fra gli storici questo tipo di sensibilità, esso

non è per niente scomparso dal discorso comune,128

quell’im-

menso terreno di gioco verbale nel quale tutti noi, studenti e

insegnanti (e – nonostante tutto – anche gli storici), siamo im-

mersi. È ancora Max Weber, però, a ricordarci che l’atteggia-

mento avalutativo non comporta affatto il rinnegamento delle

appartenenze né delle personalissime concezioni del mondo del

singolo ricercatore, dell’insegnante e dello studente;129

il

sociologo tedesco invita – semplicemente – a non confondere i

zioni per l’uso. Storia, memoria, politica, Ombre Corte, Verona 2006, passim], de-

cisivo anche per individuare le «strategie del discredito» [che sono: la «co-

struzione del nemico», la «disconferma» e l’«insinuazione» (GILI G., op. cit.,

pp. 98-102)] dell’Età medievale e gli eventuali imprenditori delle stesse.

125

GRANGER G.-G., La scienza e le scienze, Il Mulino, Bologna 1996, pp. 77-92.

126

MARROU H.-I., op. cit., pp. 44 e 74.

127

TULLIO-ALTAN C., Antropologia, cit., pp. 38-49.

128

GEERTZ C., Antropologia interpretativa, Il Mulino, Bologna 1988 (1983), pp.

91-117.

129

WEBER M., Il metodo, cit., p. 68.

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due piani: quello valutativo-etico personale e quello espositivo e

analitico della materia considerata. Per di più – come si sa – lo

studioso manifesta la propria onestà intellettuale nella misura in

cui esplicita i presupposti metodologici e, al limite, ideologici

dai quali prende le mosse la propria ricerca, offrendo – in que-

sto modo – al destinatario del proprio lavoro gli strumenti atti a

confutare, eventualmente, la tesi della quale lo studioso stesso si

facesse portatore.130

Forse legata a questo atteggiamento positivistico di distanza

e di osservazione dall’esterno, va menzionata anche una specie

di ipercriticismo, che si presumeva dovesse sostanziare, in un

certo immaginario collettivo non estraneo neanche agli storici,

la ricerca storiografica di qualità:

Storico […] era soprattutto il critico […] capace di scorgere

l’interpolazione, smascherare il falsario, respingere un’attribu-

zione usurpata. Di qui […], a lungo andare, l’accentuazione di

un atteggiamento odioso, che consisteva nel sottolineare ironi-

camente le altrui miserie e debolezze, una disposizione all’ar-

roganza e al disprezzo; in definitiva, una sorta di incapacità a

comunicare a riconoscere e ad accogliere – laddove esistessero

– gli autentici valori umani.131

Si tratta dunque di un atteggiamento complessivo, che può inficiare

un approccio storiografico o una esposizione storica corretti e che

tende ad assommare le componenti valutative, stigmatizzanti e

anacronistiche, che ho cercato di evidenziare sopra.

Altre volte ancora chi scrive di Medioevo può fare ricorso a

vari artifici retorici, talora piuttosto manifesti. Riporto qui bre-

vemente un passaggio di un noto e peraltro validissimo manua-

130

POPPER K., Congetture e confutazioni. Lo sviluppo della conoscenza scientifica, Fab-

bri, Milano 19982

(1962), vol. I, pp. 66-67 et circa.

131

MARROU H.-I., op. cit., p. 88.

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Medioevo: un pregiudizio secolare

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le scolastico della fine degli anni Ottanta e cerco di confrontar-

lo con un’opera più recente, che ci permette di ipotizzare una

possibile evoluzione nella tematizzazione della didattica

medievalistica. Gli Autori, citando un passo di Le Goff dal regi-

stro quasi confidenziale, invitano a diffidare di una visione troppo

rosea del rivalutato Medioevo:

Se mi si permetterà di dare un consiglio assai grossolano, dirò al

lettore che, di fronte a queste tentazioni di evasione verso un

Medioevo trasfigurato, chieda onestamente a se stesso se gli pia-

cerebbe, per virtù del mago Merlino […] essere trasportato in

quel tempo e viverci.132

Questa soluzione scelta dai nostri per equilibrare i presunti

eccessi di un certo revisionismo storico, oltre a prestare il fianco

a una facile ironia (gli Autori del testo avrebbero ambito «one-

stamente» – forse – di «evadere» in qualche paradiso di una «tra-

sfigurata» classicità, modernità o postmodernità? …), non rie-

sce a nascondere le proprie connotazioni valutativa e retorica.

Valutativa, in quanto gli Autori ritengono sia «importante non

cadere nell’eccesso opposto» alla tabuizzazione del Medioevo,

in quanto esso configurerebbe una «tentazione ancora più gra-

ve della precedente». L’asserto non risulta argomentato in alcun

modo, ma viene da chiedersi se si possa lasciare a uno stadio

tanto “grezzo” la trattazione della Parola chiave Medioevo, quella

che – in fondo – dà, o dovrebbe dare, il “la” all’intero volume

primo dell’opera. Viene pertanto spontaneo porre una serie di

quesiti a Giardina, Sabbatucci e Vidotto, come ad esempio: per-

ché proporre un’immagine «ottimistica» del Medioevo sarebbe

un errore più grave rispetto alla divulgazione della precedente

132

LE GOFF J., cit. in GIARDINA A.-SABBATUCCI G.-VIDOTTO V., Uomini e storia,

1, Dal Medioevo all’età moderna, Laterza, Roma-Bari 19902

(s.d. orig.), pp. 6-7

(citato senza indicazione della fonte).

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immagine pessimistica dello stesso? Perché non potrebbe essere

semplicemente un errore storico, esattamente come lo è la ver-

sione peggiorativa del periodo in questione? Esiste per caso una

classifica degli errori storici (una “serie A” e una “serie B”, per

intenderci)? Inoltre: a chi era allora funzionale un’immagine ne-

gativa del Medioevo? È sicuro che servisse solo agli interessi

degli «umanisti italiani»? Come mai fra i medievisti si chiamano in

causa anche molti pensatori illuministi,133

che invece gli Autori

del nostro manuale non menzionano nemmeno? È certo, inoltre,

che non persista ancora adesso un «uso o un abuso della storia»134

medievale simile – in qualche modo – a quello realizzato dagli

umanisti e da una parte delle correnti illuministiche? In conside-

razione del fatto che è «opinione comune» che il Medioevo sia

«sinonimo di età buia e barbara, di epoca segnata da un grave

regresso economico e culturale»135

, come mai non viene

configurata alcuna ipotesi né – tantomeno – viene esposta alcuna

tesi136

in merito alla rivalutazione del periodo in questione? Ecco

tutta l’argomentazione proposta dal manuale in questione:

Contro questa valutazione negativa ha reagito una parte degli

storici moderni, che ha cercato di rivalutare, soprattutto sotto il

profilo culturale, la vitalità dell’epoca medievale. Questa reazio-

ne ha fatto compiere notevoli progressi alla nostra conoscenza

del periodo.137

Il fatto che la “finestra” dedicata dal suddetto manuale alla

Parola chiave Medioevo non riporti alcuna suggestione che possa

133

Cfr. infra nt. 294.

134

Cfr. PIVATO S., op. cit., passim.

135

GIARDINA A.-SABBATUCCI G.-VIDOTTO V., op. cit., p. 6.

136

In merito vd. infra al paragrafo 2.4.

137

GIARDINA A.-SABBATUCCI G.-VIDOTTO V., op. cit., p. 6.

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aiutare lo studente a riflettere anche nelle direzioni sopra indi-

cate, ma che denoti – al di là del generico riconoscimento di

una certa validità cognitiva alla reazione di «una parte degli

storici»138

– una malcelata e più evidente preoccupazione di

inibire un’improbabile concezione ottimistica del Medioevo,

lungi dallo scandalizzare, consente di scorgere con maggiore

chiarezza un certo tipo di approccio manualistico, che sembra

orientato a preservare l’«opinione comune»139

intorno alla ci-

viltà medievale.

La posizione valutativa dei nostri Autori pare confermata

anche dall’espediente retorico da loro adoperato; essi fondano,

infatti, il proprio giudizio riassuntivo circa il Medioevo per il tra-

mite dell’ironia di Jacques Le Goff, senz’altro «un grande medie-

vista contemporaneo»140

, ma anche – e questo non viene invece

da loro riportato141

– un grande estimatore del Medioevo.142

Os-

serviamo – in questo caso – il riferimento a una auctoritas indi-

scussa, all’ipse dixit dello storico affermato. Di per sé in certi fran-

genti ciò è inevitabile: è naturale (lo sto attuando con una certa

frequenza anch’io nella presente trattazione) fare un consapevole

e abbondante utilizzo di autori che godono di un prestigio scien-

tifico universalmente riconosciuto; è essenziale – tuttavia – non

farne un esercizio meramente retorico e cercare di esporre le loro

descrizioni e argomentazioni in chiave dialettica,143

fornendo an-

138

Lo stesso Le Goff sembra invece intendere che la totalità degli storici

abbia rivalorizzato l’epoca medievale (LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immagi-

nario, cit., p. XVIII; cfr. supra anche nt. 12).

139

GIARDINA A.-SABBATUCCI G.-VIDOTTO V., op. cit., p. 6.

140

Ibidem.

141

Cfr. infra nel paragrafo 2.3. le indicazioni circa la selettività.

142

Cfr. ad es. infra nt. 354 e – più in generale – il volume di LE GOFF J.,

Medioevo, cit., passim; cfr. anche infra nt. 156.

143

Cfr. ad es. PIVATO S., op. cit., pp. 87-88.

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che indicazioni contrarie144

e cercando di fornire al lettore gli stru-

menti atti a cogliere i punti deboli della propria trattazione.145

Al contrario, Giardina, Sabbatucci e Vidotto sembrano se-

guire una via più facile e ad effetto: a una auctoritas146

– come

abbiamo visto – viene delegato il compito di liquidare il tema in

oggetto con una battuta ironica; questa è – per sua stessa natura

– agonistica147

e mirata non a porre le premesse per una

tematizzazione adeguata (per esempio mediante la definizione

più precisa delle diverse posizioni esistenti fra gli storici), bensì

tesa a sottrarre all’avversario la possibilità di argomentare pro-

prio per l’“evidente” plausibilità148

del contenuto proposto. In

questo modo viene strumentalizzato il prestigio sociale di un

luminare, attingendo a una sua produzione, di cui non si danno

gli estremi,149

selezionata fra le numerosissime testimonianze di

ammirazione per l’Età medievale formulate dallo stesso storico,

nella quale questi pronuncia apoditticamente una frase che si

propone come un entimema.150

In questo «sillogismo ellittico» è

144

GUITTON J., Arte nuova di pensare, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 198611

(s. d. orig.), pp. 109-110 e 114-117.

145

Vd. supra nt. 130.

146

Cfr. l’«argomento d’autorità» in MORTARA GARAVELLI B., Manuale di retorica,

Bompiani, Milano 1997 (1988), p. 77.

147

Il passaggio al registro confidenziale da parte di Le Goff rinvia alla co-

municazione orale, nella quale è sovente implicito un «tono agonistico» [ONG

G.W., Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, Il Mulino, Bologna 1986 (1982),

pp. 73-75], che pare confermato dal fatto che «dal punto di vista della retori-

ca l’ironia acquista la funzione di arma oratoria» (INFANTINO M.G., L’ironia.

L’arte di comunicare con astuzia, Xenia, Milano 2000, p. 8).

148

Mi rifaccio al concetto di «struttura di plausibilità» di BERGER P.L.-LUCKMANN

TH., La realtà come costruzione sociale, Il Mulino, Bologna 1969 (1966), cap. 3.

149

Vd. supra nt. 132; è certo che individuare la fonte consenta al lettore una

sua più agevole messa in discussione critica.

150

MORTARA GARAVELLI B., op. cit., pp. 77-78.

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dato cioè per presupposto dal senso comune (orizzonte nel quale

pare scontato che non vi sia alcuno che «onestamente» asserirebbe

di ambire a vivere nel Medioevo), ciò che andrebbe invece appe-

na argomentato151

con gli strumenti metodologici storiografici e

non con una battuta ad effetto. La tautologia sottesa a questa

pseudo-argomentazione è tipica, come abbiamo già evidenziato,

delle retoriche del senso comune,152

che solitamente attingono

alla ricca messe dei topoi, dei «luoghi comuni della quantità»153

,

cioè approvati dalla massa. Di questo tipo di paralogismo si può

dire, ancora, che – scritto al più tardi nel 1990 – esso pare ricorda-

re, per la sua levità, un certo modo «giornalistico» di affrontare gli

argomenti154

e – in particolare – la storia.155

Può risultare di qualche interesse rilevare che, invece, nel-

l’impostare il quadro storico-letterario medievale, un recentissi-

mo manuale di letteratura italiana supera senza alcuna reticenza

il vecchio pregiudizio e, sempre per il tramite di Le Goff, pone

in particolare luce il novum, che sembra emergere soprattutto a

partire dall’anno Mille.156

Ai nostri fini – comunque – ciò non sposta i termini com-

plessivi del discorso: il senso comune157

pare continuare a essere

151

Ciò vale in quanto l’entimema consiste in un sillogismo che non è fondato

su una premessa necessaria (cfr. ABBAGNANO N., s.v. Entimema, in ID., op. cit.,

p. 305).

152

Vd. infra nt. 165.

153

MORTARA GARAVELLI B., op. cit., pp. 78-80.

154

SORRENTINO C., Tutto fa notizia. Leggere il giornale, capire il giornalismo, Carocci,

Roma 2010, p. 134.

155

Cfr. ad es. PIVATO S., op. cit., pp. 87-88.

156

LUPERINI R.-CATALDI P.-MARCHIANI L.-MARCHESE F., Il Nuovo la scrittura e

l’interpretazione. Storia della letteratura italiana nel quadro della civiltà europea secondo

i nuovi programmi, 1, Dalle origini al Medioevo (dalle origini al 1380), Palumbo,

Palermo 2011, p. 4.

157

Cfr. anche ibidem.

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Franz Brandmayr

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informato dal consueto pregiudizio, al quale – a livello di

manualistica – vengono portate appena in questi anni le prime

critiche serie e argomentate.

A questo punto, va messo ancora in evidenza un altro aspet-

to della questione del pregiudizio antimedievale; finora ho cre-

duto opportuno rimarcare soprattutto gli aspetti individuali e

psicologici del rapporto che lo storico, il docente e lo studente

potrebbero intessere con la materia medievalistica in cui si do-

vessero imbattere; va tuttavia ribadita anche la componente so-

ciale dei loro eventuali comportamenti valutativi, stigmatizzanti

e anacronistici. Questi comportamenti, che scaturiscono da sen-

timenti e valutazioni personali,158

si inseriscono – infatti – in un

contesto collettivo e condiviso, da questa cornice olistica rice-

vono un rinforzo ed essi stessi, a loro volta, la corroborano,

instaurando con essa una prassi reciproca.159

Ciò accade, va detto, nonostante il soggetto, si tratti di uno

storico, di un docente o di uno studente, non sia sempre avver-

tito delle dinamiche psico-sociali, discorsive e interetniche, che

rendono attivi i suoi criteri valutativi e di quanto il proprio ethos

sia condizionato dall’ambiente sociale.160

In realtà non esiste solo un etnocentrismo legato ai grandi

insiemi sociali, alle grandi civiltà e alle entità nazionali; questo

concetto, se preso nel suo significato tecnico di erezione degli

schemi culturali di una «collettività» a criterio assoluto di valuta-

158

Sentimenti, valutazioni e comportamenti degli informatori costituisco-

no, in buona sintesi, l’oggetto della ricerca etnoantropologica [BIANCO C.,

op. cit., pp. 162-163; cfr. TURNER V., Dal rito al teatro, Il Mulino, Bologna

1986 (1982), p. 120].

159

Mi rifaccio al concetto marxiano di umwälzende Praxis (condizionamento

vicendevole).

160

Per un’introduzione a queste dinamiche vd. DUBAR C., La socializzazione.

Come si costruisce l’identità sociale, Il Mulino, Bologna 2004 (2000), passim.

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Medioevo: un pregiudizio secolare

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zione: a) della realtà; b) degli altri gruppi,161

può esprimere l’iden-

tificazione del soggetto con gli schemi culturali di una

subcultura,162

di una classe sociale,163

di un gruppo religioso, di

un partito politico e via discorrendo.164

Secondo gli antropologi esiste una versione «spontanea»165

dell’etnocentrismo. Senza una certa dose di etnocentrismo l’in-

dividuo non avrebbe punti di riferimento, non disporrebbe di

una “mappa” interpretativa della realtà che lo circonda e si tro-

verebbe esposto al disorientamento culturale e, forse, a

un’“anomia”166

psicologicamente destrutturante e pericolosa per

l’equilibrio personale.

La collettività in cui il soggetto è inserito, dunque, codifica e

veicola i contenuti e le articolazioni dei propri schemi attraver-

so una serie di linguaggi verbali, gestuali e simbolici, che solo in

parte possono venire condivisi anche da altre collettività. All’in-

terno del gruppo ogni individuo coordina i propri comporta-

menti con quelli degli altri membri, in una tensione alla recipro-

ca conferma della validità dei comuni schemi di valutazione,

emozionali ed etici. È a questo punto che si può parlare di un

“senso comune”:

161

BERNARDI B., op. cit., p. 44.

162

CUCHE D., La nozione di cultura nelle scienze sociali, Il Mulino, Bologna 2003

(1996), p. 58.

163

Si veda il concetto di classicentrismo in LOMBARDI SATRIANI L.M., Antropo-

logia culturale ed analisi della cultura subalterna, Guaraldi, Firenze 1976, p. 104.

164

Per la nozione di esclusivismo culturale, una specie di etnocentrismo che

non concerne necessariamente un gruppo etnico, cfr. CIRESE A.M., Cultura,

cit., p. 7.

165

TULLIO-ALTAN C., Antropologia, cit., p. 70.

166

Si tratta, in buona sostanza, del disagio che può pervadere singoli o gruppi

a causa della «inadeguatezza delle norme» della convivenza sociale durante le

fasi di mutamento [MILANESI G., s.v. Anomia, in DEMARCHI F.-ELLENA A.-

CATTARINUSSI B. (a cura di), op. cit., p. 140].

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Il senso comune non è ciò che la mente comprende spontanea-

mente, (una volta) liberata dal ciarpame; è quello che la mente

riempita di presupposti [(socio-culturali) …] conclude […] Come

struttura del pensiero e suo esemplare il senso comune è totaliz-

zante come ogni altro: nessuna religione è più dogmatica, nessu-

na scienza più ambiziosa, nessuna filosofia più generale [… (esso)]

pretende di raggiungere la realtà oltre l’illusione, le cose come

sono [… (ciò che è)] “realmente reale”.167

Il senso comune si esprime e si nutre mediante il discorso

comune, tutto strutturato attorno agli schemi che fondano e

danno consistenza alla cultura del gruppo o di una società. Esso

si sviluppa dalla bottega alla piazza, passa attraverso l’aula sco-

lastica, ma – come abbiamo già costatato – arriva nondimeno

nei salotti che si presumono “buoni”168

, informa gran parte dei

media e, conseguentemente, viene rilanciato nuovamente ai

fruitori degli stessi mezzi di comunicazione, in uno scambio

quotidiano continuo.169

Le sue «semiqualità» sarebbero, secon-

do Geertz, la «naturalezza», la «praticità», la «leggerezza», la

«mancanza di metodo», una facile «accessibilità»170

per chiun-

que: in buona sostanza, in questa quasi-filosofia (o filosofia spic-

ciola) i contenuti sembrerebbero presentare i caratteri di un’ov-

vietà priva di ogni senso di meraviglia171

e di scoperta. All’inter-

no di questo complesso di narrazioni il Medioevo potrebbe ri-

167

GEERTZ C., Antropologia, cit., pp. 105-106; parentesi rotonde mie.

168

Cfr. supra nt. 9.

169

Vd. ad es. GOFFMAN E., La vita quotidiana come rappresentazione, Il Mulino,

Bologna 1969 (1959), passim.

170

GEERTZ C., Antropologia, cit., p. 107.

171

Geertz (ivi, p. 104) mi induce a richiamare il di¦ g¦r tÕ qaum£zein oƒ

¥nqropoi [...] ½rxanto filosofe‹n [gli uomini hanno incominciato a

filosofare a causa della (capacità di provare) meraviglia (ARISTOTELE, Metafisi-

ca, 2, 12-13); trad. di Giovanni Reale; parentesi rotonda mia].

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Medioevo: un pregiudizio secolare

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sultare configurato (è quanto un’analisi antropologica dovrebbe

accertare) alla stregua dei divertenti luoghi comuni tanto spiri-

tosamente descritti da Régine Pernoud nella raccolta di saggi

che ho ripetutamente citato.

L’etnocentrismo (quello cosiddetto spontaneo, perlomeno),

dunque, è un atteggiamento insito nella condizione umana, ab-

biamo detto e ciò, a scanso di idealismi fuorvianti, non va mai

dimenticato.172

Esistono, però, due reazioni tipiche a una consta-

tazione di questo genere: una, la prima, configura una sorta di

nichilismo antiscientifico,173

che porta a negare al ricercatore ogni

competenza a proferire qualsivoglia contenuto sull’“Altro”, che

non sia una mera proiezione del sé. La seconda reazione, simme-

trica alla prima, parte dalla identica considerazione dell’impossi-

bilità di evitare l’etnocentrismo, ma ne ricava una conclusione

opposta e propone una “scienza” consapevolmente etnocentrica

(una sorta di ossimoro, direi) e tetragona ad accogliere contributi

dagli out-groups, a meno che non siano consonanti174

con la pro-

pria concezione della realtà. Questa seconda posizione risulta,

probabilmente, presente sia al livello del discorso comune175

che a

quello accademico176

e si caratterizza per la confusione che tende

a operare fra i concetti di storiografia e di memoria storica.177

Si

172

Cfr. ad es. MALIGHETTI R., s.v. Etnocentrismo critico, in FABIETTI U.-REMOTTI

F. (a cura di), op. cit., p. 274.

173

Cfr., ad es., GEERTZ C., L’io testimoniante. I figli di Malinowsky, in ID., Opere e

vite L’antropologo come autore, Il Mulino, Bologna 1995 (1992), pp. 101-102. Vd.

anche supra nt. 31.

174

Cfr. TRENTIN R., Gli atteggiamenti sociali, in ARCURI L. (a cura di), op. cit., pp.

274-281, soprattutto a p. 276.

175

Vd. ad es. DAWSON CH., op. cit., p. 17.

176

La Pernoud scriveva che «per la Sorbona, tra Plotino e Cartesio non c’è

niente» (EAD., op. cit., pp. 49 e 153).

177

Vd. supra nt. 124.

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tratta di un salto di qualità che, sempre a detta degli antropologi,

può provocare il passaggio a una versione «ideologica» dell’etno-

centrismo; è quanto si verificherebbe allorché venisse teorizzata

consapevolmente una presunta superiorità della propria cultura

di appartenenza rispetto alle culture “altre”178

. A un etnocentri-

smo spontaneo si sostituirebbe, allora, una costruzione sociale

più dottrinaria, solitamente pianificata e promossa da agenzie e

da gruppi di interesse,179

che intendono porsi a capo o – comun-

que – concorrere all’elaborazione di un processo di autoafferma-

zione o addirittura di egemonizzazione180

rispetto a culture o sub-

culture altre percepite come antagonistiche.181

Esiste, però, una terza via, quella dell’“etnocentrismo criti-

co” prefigurato da Ernesto de Martino182

e rielaborato da Vitto-

rio Lanternari183

. In poche parole, partendo dal dato inevitabile

dell’etnocentrismo, si tratterebbe di operare delle concettualiz-

zazioni che consentano, tanto allo storico quanto allo studente,

di «defamiliarizzarsi»184

rispetto ai propri paradigmi valutativi e

di simpatizzare185

con quelli altrui, dopo averli conosciuti attra-

verso lo spoglio documentario e i testi specialistici (lo storico o,

178

TULLIO-ALTAN C., Antropologia, cit., p. 70.

179

Cfr. COLOMBO E., Le società multiculturali, Carocci, Roma 2002, pp. 53-57;

FABIETTI U., L’identità etnica. Storia e critica di un concetto equivoco, Carocci, Roma

19982

(1995), pp. 33-34.

180

AIME M., s.v. Egemonia, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op. cit., pp. 256-257.

181

Cfr. il concetto di “acculturazione” in CUCHE D., op. cit., pp. 63-83.

182

DE MARTINO E., La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali,

Einaudi, Torino 1977, pp. 396-397.

183

LANTERNARI V., Ernesto De Martino, etnologo meridionalista: vent’anni dopo, in

“L’Uomo”, 1, 1977, pp. 29-56.

184

Cfr. CLEMENTE P., Lontananze vicine: sui modi di pensare e insegnare l’antropologia

nel mondo globale, in PASQUINELLI C., (a cura di), op. cit., p. 167.

185

Vd. infra paragrafo 3.

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Medioevo: un pregiudizio secolare

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eventualmente, il docente) o, più modestamente, attraverso i

manuali (lo studente).

2.3. Effetto alone, selettività, tautologia ed etnicità

Per le cause già accennate sopra186

il Medioevo costituisce un

complesso di contenuti didattici che si presta in modo partico-

lare a subire l’azione dell’effetto alone, cioè la tendenza del sog-

getto inquirente a «lasciarsi guidare da un’impressione generale

o da un tratto emergente»187

invece che da una totalità di fatti

rilevati empiricamente e analizzati nei loro rapporti reciproci.

Nei dialoghi didattici in aula – come ogni insegnante sa bene –

è molto frequente emergano dagli studenti (solo da loro?) “sin-

tesi” piuttosto stereotipate su tematiche che abbisognerebbero

di trattazioni ben più articolate, più ricche di sfumature e, so-

prattutto, con un riferimento più preciso alla documentazione

relativa all’oggetto di studio.188

Quando si spiega, ad esempio, che le critiche più risolute al-

l’azione dei tribunali dell’Inquisizione durante la “crociata degli

albigesi”189

provengono dall’interno della Chiesa, gli studenti per-

plessi – almeno all’inizio – scoprono essere la Chiesa un organi-

smo piuttosto complesso e multivoco, dove – nella fattispecie –

gli inquisitori domenicani incontravano una forte opposizione da

parte dei vescovi nelle diocesi dei quali si trovavano a operare,190

186

Cfr. supra paragrafo 1.

187

MANDL H., s.v. Alone/effetto, in ARNOLD W.-EYSENCK H.J.-MEILI R. (a cura

di), op. cit., p. 61.

188

PERNOUD R., op. cit., pp. 144 e 173.

189

Metto fra virgolette l’espressione, perché il termine “crociata” è moderno

(ivi, p. 141, nt. 13).

190

CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., pp. 36 e 40; DEDIEU J.-P., op. cit., pp. 14-

16 et alibi.

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in cui Domenico di Guzmàn stesso «non era favorevole all’uso

della forza» e nel quale «anche la popolazione cattolica (della

Linguadoca) detestava l’istituzione inquisitoria, perché simboleg-

giava un’occupazione mal sopportata»191

. All’interno della Chie-

sa, del resto, non si era mai inaridita nei secoli una corrente di

pensiero192

, spesso perdente, ma mai priva di influenza, che cal-

deggiava linee d’azione missionaria non-violente direttamente

improntate al vangelo, piuttosto che alla Realpolitik ritenuta fun-

zionale al governo della societas christiana.

Francesco d’Assisi e Domenico, personaggi carismatici per-

sonalmente propensi alla predicazione pacifica,193

la popolazio-

ne cattolica del Mezzogiorno francese insofferente nei confronti

degli eserciti del re e dei grandi feudatari del Nord (a loro volta

cattolici), veri vincitori politico-militari della crociata degli

albigesi,194

le gerarchie ecclesiastiche e civili locali sovente vici-

ne ai borghesi catari195

e ostili ai domenicani forestieri, le indica-

zioni – spesso mitigatrici nei toni196

– provenienti dai papi di

Roma… Si fa presto a dire: “Chiesa”. Dov’è la Chiesa qui? È la

Chiesa gerarchica? Ma, in questo modo, il concetto risulta

pregiudizialmente valutativo, come ora cercherò di chiarire. È la

191

Ivi, p. 18 (parentesi mia).

192

Cfr. ad es. CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 65; DEDIEU J.-P., op. cit., p.

12. FLORI J., Le crociate, cit., pp. 13-16 preferisce, invece, mettere in evidenza

il processo di «sacralizzazione della guerra» interno alla Chiesa, completatosi

dopo l’anno Mille in seguito al processo di acculturazione verificatosi nel

plurisecolare contatto fra la Chiesa stessa e le popolazioni germaniche.

193

DEDIEU J.-P., op. cit., p. 12.

194

CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 32; DEDIEU J.-P., op. cit., p. 17. Al di là

della crociata degli albigesi, sul rapporto potere politico/Inquisizione e

sull’egemonizzazione di questa ad opera degli Stati, vd. CARDINI F.-MONTESANO

M., op. cit., pp. 36, 49, 81-98 e 159; DEDIEU J.-P., op. cit., pp. 12-27.

195

Ivi, p. 19 et alibi.

196

Cfr. CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 32; DEDIEU J.-P., op. cit., p. 18.

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Medioevo: un pregiudizio secolare

77

“Chiesa spirituale”197

dei santi succitati? Oppure dobbiamo espel-

lerne Domenico, come fa qualcuno, per le nefandezze ascritte

al suo ordine? Eppure non è infrequente il caso dei domenicani

che, proprio perché giudicano in favore del presunto eretico, si

inimicano l’autorità civile e la popolazione locale propense al-

l’esecuzione.198

Ciò sembra confermare ulteriormente l’oppor-

tunità che l’evento storico della cosiddetta “crociata” venga let-

to con una serie più articolata di chiavi di lettura. Infatti, non

sempre vengono considerate, accanto alle istanze omologatrici199

della Chiesa, che certo sussistono, anche le dinamiche locali (con-

flitti di potere, la concorrenza economica interna a una classe

mercantile in espansione, risentimenti personali, vendette poli-

tiche200

ecc.), oltre alle mire espansionistiche del re di Francia e

dei suoi feudatari settentrionali.

Ma, se identifichiamo la Chiesa con le sue élites dove collo-

chiamo, in questo caso, la Chiesa della religione popolare, tanto

rivalutata dalla più matura storiografia degli ultimi decenni201

e

che coinvolge la gran parte delle popolazioni europee di allora?

Che cosa intendono gli autori dei manuali designando l’istitu-

zione ecclesiale? E il docente? E che cosa coglie, in tutto ciò, lo

studente? Si tratta, direi, di uno dei numerosi casi in cui un’eti-

chetta categoriale, il vocabolo “Chiesa”, che viene ingiustifica-

tamente a designare le generiche “gerarchie” (quali poi? quelle

del clero regolare o di quello secolare? tutte e due?), si estende a

197

Mi riferisco al noto concetto della tradizione gioachimita (cfr. POTESTÀ

G.L., s.v. Gioacchino da Fiore, in AA.VV., Enciclopedia Garzanti, cit., p. 357).

198

CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 54.

199

Ivi, p. 160.

200

Ivi, p. 35.

201

Per una bibliografia introduttiva vd., ad es., GUREVIČ A.J., op. cit., passim;

MANSELLI R., op. cit., passim e SCHMITT J.C., Religione folklore e società nell’Occidente

medievale, Laterza, Bari 1988 (anno), passim.

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coprire semanticamente un’ampia serie di altri sottoinsiemi (dei

quali ho elencato una parte) compresi nella societas ecclesiale.

Non si tratta, tuttavia, di un’estensione semantica dalle con-

seguenze meramente teoriche e oziose: se ne può ricavare una

generica impressione di monolitismo ecclesiale che, storica-

mente, non si è assolutamente dato. L’effetto alone, in questo

modo, pare assicurato: i «tratti (che si vorrebbero) emergenti»

del potere e della violenza assorbono in un unico lemma omo-

logante tutta una pluralità di diverse componenti sociali, cul-

turali e politico-militari (clero/popolo, clero regolare/clero

secolare, clerici/bellatores, borghesi/popolo, alto clero/basso

clero, monarchia francese/papato, re e grandi feudatari del

Nord della Francia/feudatari meridionali, inquisitori/non-in-

quisitori ecc.), nessuna delle quali, fatte salve le élites più con-

sapevoli dei catari,202

avrebbe mai rinunciato alla propria pre-

rogativa di appartenere alla cristianità.

Pertanto, applicando il concetto di Chiesa senza una defini-

zione precisa dei suoi contorni sociologici, non è impossibile

che esso perda di consistenza e si riduca a una mera etichetta

categoriale. In questo modo il ricercatore, il docente o lo stu-

dente sono esposti a una serie di rischi teoretici: a) il riduzionismo

della comunità ecclesiale a una sua parte: la gerarchia, e ciò – di

solito – senza un’adeguata motivazione metodologica; b)

l’anacronismo di un dualismo radicale203

clero/laicato,204

la cui

radice socio-culturale è decisamente moderna, viene proiettato

202

Nel catarismo «strutturatosi in modo mimetico rispetto all’organismo ec-

clesiastico egemone» (MERLO G.G., op. cit., p. 45) i simpatizzanti tendevano a

riconoscere nei «perfetti» semplicemente dei «buoni cristiani», senza render-

si sempre conto del fatto che si trattasse di una religione dualistica e diversa

dal cristianesimo.

203

Cioè l’antitesi inconciliabile di due entità concepite come opposte (VIGLINO

U., s.v. Dualismo, in AA.VV., Enciclopedia Cattolica, cit., vol. IV, c. 1942).

204

Cfr. GRAFF H.J., op. cit., pp. 104, 111 e 113.

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nel XIII secolo,205

epoca nella quale era – al contrario – netta-

mente dominante una concezione ecclesiale sì dialettica,206

ma

anche fortemente unitaria;207

c) l’affermazione di una sorta di

univocità del gruppo-Chiesa e la complementare obliterazione

dell’esistenza di un pluralismo di culture e subculture ecclesiali,

di cui la storiografia dà abbondante testimonianza; d) la perdita

di concretezza storica dovuta al misconoscimento della

microstoria e della storia locale, che – della crociata – offrono

molte varianti contraddittorie rispetto alla «leggenda nera».208

205

TORTAROLO E., Laicismo, Laterza, Roma-Bari 1998, pp. 11-13.

206

Cfr. REINHARD W., Storia dello stato moderno, Il Mulino, Bologna 2010 (2007),

p. 58.

207

Cfr. il concetto di «unipolarità» del «corpo della Chiesa» (ULLMANN W., op.

cit., p. 24).

208

DEDIEU J.-P., op. cit., p. 6. Trattare a fondo la questione dell’Inquisizione e

dei diritti umani (cfr. supra paragrafo 1.1.) non fa parte degli scopi di questo

saggio, pertanto mi limito a una brevissima serie di riferimenti forse indica-

tivi di un certo uso della storia poi concretizzatosi nella “leggenda nera”.

Può essere interessante rilevare, ad esempio, la comminazione della condan-

na a morte al “solo” (non si tratta comunque di una vittoria della civiltà…)

1% degli imputati da parte del tribunale dell’Inquisizione di Tolosa nella

seconda metà del Duecento (DEDIEU J.-P., op. cit., p. 18); questo 1 % va ridot-

to ulteriormente, in quanto è certo che la condanna spesso si risolveva in un

pentimento dell’ultima ora davanti al patibolo. La «moderazione» degli in-

quisitori si concretizzava, inoltre, anche con la risoluzione pro reo in dubiis

(CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 57), con una pratica della tortura che –

a differenza da quella esercitata dai poteri laici – non doveva portare alla

morte (ivi, p. 61), né alle mutilazioni (ivi, p. 55), che era sottoposta a limitazio-

ni e controlli (ivi, pp. 63 e 65), a sospensioni e annullamenti (ivi, p. 62). La

tortura – ancora – praticata dagli Stati fino al XVIII secolo, secondo alcuni

autori fu «forse» poco usata, «perché raramente documentata» [PAOLINI L., Il

modello italiano nella manualistica, in AA.VV., L’Inquisizione, Atti del Simposio

internazionale (29-31 ottobre 1998) Città del Vaticano, Roma 2003, p. 101].

Senza misconoscere l’esistenza di una certa letteratura che tende a minimiz-

zare la portata delle vicende delle Inquisizioni, Cardini ricorda che il con-

fronto sulla tortura va fatto con i contemporanei [ivi, p. 64; cfr. anche LE

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Può essere di qualche utilità notare come di tutti questi aspetti

descrittivi, che rendono problematica l’interpretazione della cro-

ciata degli albigesi e dell’Inquisizione, il già citato manuale di

Giardina, Sabbatucci e Vidotto non riporti praticamente nulla.209

Una consapevolezza più profonda della matrice etnico-

identitaria del conflitto e della strumentalità dell’alibi religioso

dei «Franchi», portatori della cultura feudale del Nord france-

se e lanciati alla conquista della civiltà urbana «romana» della

Linguadoca, traspare – invece – in un testo recente,210

nel qua-

le si afferma a chiare lettere che «la crociata contro gli albigesi

appare un momento significativo nel processo di consolida-

mento territoriale della monarchia francese»211

. Per il resto,

però, neanche De Bernardi e Guarracino consentono allo stu-

dente del XXI secolo, a mio avviso, di comprendere come mai,

in una istituzione che si proclamava fondata sul Vangelo, una

consistente parte delle gerarchie e degli intellettuali potesse

non trovare abominevole l’impiego della coercizione violenta

e di massa nella propria pratica pastorale.212

Non vi si trova

alcun riferimento al Decretum Gratiani,213

uno dei documenti

fondamentali del Medioevo, nessun richiamo al concetto di

GOFF J., La nascita del Purgatorio, Einaudi, Torino 19962

(1981), p. 248; vd.

supra al paragrafo 2.2. le osservazioni sugli anacronismi] e che i dati quantitativi

sull’Inquisizione sono ancora carenti (CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p.

158) e, pertanto, anche gli storici rischiano di subire l’influenza dell’effetto

alone (cfr. DEDIEU J.-P., op. cit., p. 76).

209

Cfr. GIARDINA A.-SABBATUCCI G.-VIDOTTO V., Uomini, cit., pp. 89-94.

210

DE BERNARDI A.-GUARRACINO S., I saperi della storia. 1. Dalla società feudale alla crisi

del Seicento, Paravia Bruno Mondadori, Milano 2006, p. 72; gli Autori evitano,

peraltro, di menzionare le numerose vittime cattoliche delle stragi perpetrate dai

Franchi (cfr. DE ROSA G., Storia medioevale, Minerva Italica, s.l., 19823

, p. 187).

211

DE BERNARDI A.-GUARRACINO S., op. cit., p. 73.

212

Ivi, pp. 70-73.

213

DE ROSA G., op. cit., pp. 188-189.

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Medioevo: un pregiudizio secolare

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società olistica214

né al delitto di lesa maestà,215

nessuna vera

esplorazione della mentalità medievale, nessuno sforzo

ermeneutico: l’“Altro” rimane distante e fissato nella sua ri-

provevole estraneità, resa in maniera quasi caricaturale.

Eppure già il De Rosa, ad esempio, nel suo vecchio manuale

aveva proposto un’interpretazione che non sembrava affatto una

giustificazione.216

Che l’avesse fatto con spirito apologetico, in

quanto studioso di matrice cattolica? La storiografia si ridurreb-

be, allora, a una noiosa sequenza di polemiche da quotidiano spor-

tivo, con la “curva nord” a disputare con la “curva sud” intorno

al comportamento arbitrale? Comprendere significa forse giusti-

ficare? Un approccio ermeneutico comporta necessariamente il

condividere i valori e le scelte dell’“avversario”? Domande

senz’altro retoriche, ma la cui riproposizione pare essere tutt’altro

che fuori luogo in una temperie culturale nella quale vengono

giustamente denunciati tanto gli usi e abusi della storia quanto il

dilettantismo. Perciò su quest’argomento dovrò ancora insistere

più avanti, ma – nel frattempo – possiamo rilevare anche nei casi

ora richiamati il persistente riprodursi delle dinamiche

etnocentriche e psicosociali che andiamo analizzando.

Certo, le esigenze di sintesi didattica richiedono inevitabil-

mente il ricorso a espedienti, che scoprono il fianco a questo

genere di difetto: con gli studenti – si dice – non sempre si può

entrare in un dettaglio troppo analitico. L’effetto alone, in ogni

caso, rivela meglio la sua qualità affabulatoria se esaminato

unitamente a un’altra caratteristica che, non di rado, accompa-

214

MATERA V., s.v. Olismo/individualismo, in FABIETTI U.-REMOTTI F., op. cit., pp.

531-532.

215

CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 9.

216

DE ROSA G., op. cit., pp. 188-189; certo, lo storico siciliano mi dà talvolta

l’impressione di non volere scendere troppo nei particolari di questo nodo

storico scabroso.

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Franz Brandmayr

82

gna le narrazioni sul Medioevo: si tratta dell’«esposizione

selettiva»217

. Essa consiste nella

tendenza delle persone a cercare informazioni congruenti con i

loro sentimenti, credenze e comportamenti passati e ad evitare

attivamente quelle incoerenti o dissonanti.218

Alla reticenza ad ascoltare ciò che non collima con le proprie

idee si associa, in maniera complementare, l’«aspettativa

stereotipica»219

, che induce il soggetto a rilevare nell’oggetto del

suo studio solo ed esclusivamente i tratti culturali, che sarebbe

stato disposto a reperire fin dal principio.

Vediamo ancora qualche esempio.

Caprara scrive ancora del “triste panorama” offerto dalle

scienze astronomiche di allora. «Ne era responsabile la diffu-

sione del cristianesimo che […] imponeva la descrizione (sic)

della Bibbia e del capitolo (sic) della Genesi»220

. A prescindere

dall’incompetenza circa gli aspetti esegetico-biblici e dal grave

errore cronologico dell’attribuzione di un potere impositivo

alla Chiesa del Terzo secolo (notoriamente oppressa dalle au-

217

GILI G., op. cit., pp. 42 ss. ne scrive collegando l’esposizione con gli altri

due meccanismi selettivi della percezione e della memorizzazione.

218

TRENTIN R., Gli atteggiamenti sociali, in ARCURI L. (a cura di), op. cit., p. 276.

219

ID., Percezione e cognizione sociale, in ID. (a cura di), Manuale, cit., p. 127.

220

CAPRARA G., op. cit., p. 42. Non è qui possibile esplicitare nei dettagli

l’erroneità del linguaggio del Caprara: basti ricordare che, in un’opera di di-

vulgazione scientifica, risulta quantomeno equivoco riferirsi a una narrazio-

ne cosmogonica con il termine di «descrizione» (cfr. ABBAGNANO N., s.v. De-

scrittivo, in ID., op. cit., p. 218), che risulta certamente inadeguato per espri-

mere il significato [BONORA A., s.v. Cosmo, in ROSSANO P.-RAVASI G.-GIRLANDA

A. (a cura di), Nuovo dizionario di teologia biblica, San Paolo, Cinisello Balsamo

(MI) 20017

(1988), pp. 327-328] dei due “racconti della creazione” compresi

nei primi tre capitoli della Bibbia.

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Medioevo: un pregiudizio secolare

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torità imperiali)221

, risalta fin dal primo impatto con il testo la

selezione operata dall’Autore, che – fra tutte le dottrine sote-

riologiche orientali, coinvolgenti e ricche di cosmogonie e di

riferimenti cosmologico-escatologici i più immaginifici,222

di

cui la civiltà romana (ormai priva di riferimenti valoriali signi-

ficativi)223

è assetata – sceglie il cristianesimo ed esso soltanto

come causa dell’oscurantismo anti-astronomico. A una conte-

stualizzazione (è la soluzione migliore?) o a una attenuazione

dei toni [es.: la Chiesa (ovviamente quella teodosiana e post-

teodosiana, dal 391 in poi) «concorre a promuovere una con-

cezione creazionistica» (e chi non lo faceva, allora?)] o a una

estensione delle corresponsabilità (se proprio si deve studiare

il passato per cercare dei colpevoli, non è meglio trovarli tut-

ti?), il Caprara preferisce forse «dare informazioni congruenti

con i propri sentimenti ed evitare quelle incoerenti o disso-

nanti» rispetto agli stessi? In un eventuale sviluppo di questa

indagine sarebbe opportuno riprendere questo quesito, per ri-

connetterlo agli attuali usi e abusi della storia finalizzati a pos-

sibili strumentalizzazioni nella sfera pubblica. Questa argo-

mentazione iniziale dell’Autore sembra essere il preludio in-

terpretativo di più di un millennio di scienza e tecnica e, infat-

ti, il Medioevo narrato dal nostro si caratterizzerà per una se-

rie di carenze, o di “oscuramenti”, frutto di operazioni che

noi, fino a prova contraria, non vogliamo pensare come dolo-

samente falsificanti bensì come inconsapevolmente selettive.

221

È il secolo delle dure persecuzioni di Simplicio Severo, di Decio e Valeriano

[FRANZEN A., Breve storia della Chiesa, Queriniana, Brescia 19825

(1965), pp. 57-61].

222

CUMONT F., Le religioni orientali nel paganesimo romano, Laterza, Bari 1967

(1913), pp. 56-58; vd. anche ELIADE M., Paganesimo, cristianesimo e gnosi all’epoca

imperiale, in ID., Storia delle credenze e delle idee religiose, II, Da Gautama Buddha al

trionfo del Cristianesimo, Sansoni, Firenze 1980 (1978), pp. 363-394.

223

CUMONT F., op. cit., p. 54.

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Ad esempio, nel suo volume non vi è alcuna menzione del

fatto che il Medioevo riconobbe il valore delle arti meccaniche224

e che lo fece «investendo le arti pratiche di un significato spiritua-

le»225

, per il quale «venne loro conferita una nuova dignità»226

. Né

il Caprara scrive che a compiere questo passo sotto il profilo

teorico è l’abate-filosofo Giovanni Scoto Eriugena, che nel IX

secolo equipara il lavoro manuale a quello intellettuale227

e ope-

ra – con ciò – una netta rottura epistemologica sia nei confronti

della civiltà classica che rispetto al pensiero di Agostino

d’Ippona.228

Nella società «ecclesiologica»229

dell’alto Medioevo,

infatti, il fine di ogni vita, che non può essere altro che vita

cristiana, è: divenire “immagine e somiglianza di Dio”, e ciò si

realizza anche attraverso il lavoro.230

Già a partire dal VI secolo

224

Associandole per dignità a quelle liberali (LE GOFF J., Il Medioevo, cit., p. 71).

225

NOBLE D.F., op. cit., p. 17.

226

DOLZA L., op. cit., p. 52.

227

NOBLE D.F., op. cit., p. 20; Dolza, invece, sembra situare nel secolo XII,

quello della Rinascenza, questo passaggio assai importante sotto il profilo

teorico-filosofico: secondo la storica sarebbe stato Ugo da San Vittore a

«colloca[re] le arti meccaniche nell’ambito del sapere» nelle sue opere intito-

late Didascalicon ed Epitome Dindimi in philosophiam (DOLZA L., op. cit., p. 57;

parentesi quadrata mia). In Noble (ivi, pp. 24-26) gli scritti di Ugo sembrano

avere piuttosto un valore di rinforzo e di amplificazione, nella mutata temperie

culturale, dei contenuti elaborati da Giovanni Scoto. Cfr. anche LE GOFF J.,

Lavoro, tecniche e artigiani nei sistemi di valore dell’alto Medioevo (V-X secolo), in ID.,

Tempo, cit., (1971), p. 90, che avvalora la posizione di Noble.

228

NOBLE D.F., op. cit., p. 21. Come è noto, Agostino, già manicheo e – co-

munque – neoplatonico anche dopo la conversione, manifesta un atteggia-

mento non particolarmente positivo verso la materia in generale e il lavoro

manuale in particolare (DOLZA L., op. cit., pp. 47-48; cfr. NOBLE D.F., op. cit.,

14-15 ); in definitiva egli non sembra discostarsi dalla posizione classica, che

fa prevalere le arti liberali su ogni altra forma di attività umana.

229

ULLMANN W., op. cit., p. 12 et passim.

230

DOLZA L., op. cit., p. 51. Cfr. infra le nt. 314 e 321.

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le comunità benedettine, con il loro celebre motto ora et labora,

si sforzano di tradurre questa concezione del mondo in com-

portamenti conseguenti, con la ferma convinzione che l’attività

pratica e la tecnica servano i disegni divini, oltre che la stessa

comunità monastica.231

In questo modo

l’ideologia del lavoro viene riscattata positivamente dal cristiane-

simo e sarà determinante anche per la nascita e la diffusione […]

dei mestieri;

sarà dunque la progressiva evangelizzazione dell’Europa a mo-

dificare l’attitudine dell’uomo medievale verso il lavoro manua-

le,232

il quale assumerà – in questo modo – un «significato spiri-

tuale»233

in tutta l’area cristianizzata. Persino gli attrezzi da lavo-

ro, in particolare quelli prodotti con il ferro o con parti in fer-

ro,234

vengono assimilati dalla Regola benedettina agli stessi vasi

sacri.235

Marc Bloch non teme di scrivere che le

acquisizioni e invenzioni (medievali) portano, a ben vedere, la

stessa testimonianza: quella di una notevole agilità delle mani,

dello sguardo e dello spirito. In questa capacità di rinnovamento,

diffusa sin nelle masse degli artigiani, come non riconoscere una

delle fonti di quella grandezza europea che fu vista sorgere, con

231

DOLZA L., op. cit., p. 50.

232

Ivi, p. 51; sull’importanza del lavoro già agli inizi del monachesimo copto

vd. LAWRENCE C.H., op. cit., pp. 35 e 64.

233

NOBLE D.F., op. cit., p. 17; sarà l’umanista Petrarca a manifestare un rinno-

vato disprezzo verso il lavoro manuale (FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI M.,

op. cit., p. 230).

234

Nella storia delle religioni sono conosciuti i significati simbolici attribuiti

alla figura del fabbro [ELIADE M., Storia delle credenze e delle idee religiose, I, Dal-

l’età della pietra ai misteri eleusini, Sansoni, Firenze 1996 (1975), pp. 65-68].

235

LE GOFF J., Lavoro, cit., p. 86.

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uno slancio così prodigioso, dal seno dei torbidi più gravi? L’ho-

mo europaeus, in altri termini, fu per eccellenza un homo faber.236

Il «gusto dell’esperimento»237

, la sete di scoperta e di ricerca

che porterà gli europei alla conquista del mondo,238

l’ingegno e

l’abilità meccanica tali da raggiungere «risultati tecnici moder-

ni»239

non sembrano giustificare l’appellativo di “zotico e incol-

to”240

attribuito all’uomo medievale. Si può giustamente porre

l’obiezione che i riferimenti dei nostri storici sembrano calcare

l’accento sulla dimensione della tecnica più che su quella della

scienza, tuttavia già nel 1959 Butterfield osservava che

si comincia ora a comprendere che la storia della tecnica ha, nel-

lo sviluppo del movimento scientifico, una parte più importante

di quanto si reputasse un tempo.241

Ancora, a un uomo medievale esageratamente rappresenta-

to come alienato e proiettato verso attese ultraterrene,242

Garin

236

BLOCH M., Le “invenzioni” medievali, in ID., Lavoro, cit., p. 210; parentesi mia.

237

ID., Le “invenzioni”, cit., pp. 204-205.

238

DOLZA L., op. cit., p. 83.

239

BUTTERFIELD H., Le origini della scienza moderna, Il Mulino, Bologna 1998

(1958), p. 110.

240

Cfr. PERNOUD R., op. cit., p. 45.

241

BUTTERFIELD H., op. cit., p. 110.

242

Sul «dualismo tra l’“aldilà” e l’“aldiquà” che la maggior parte degli stori-

ci attuali riduce sbrigativamente a evasione dal mondo» (CARMO FELICIANI

S., Introduzione, cit., p. 8) pare concentrarsi con una certa insistenza forse

anche Le Goff (cfr., ad es., ID., Lavoro, cit., pp. 75 e 85 e ID., Medioevo, cit.,

p. 23), che – in quei casi – sembra tenere in scarso conto il giovanneo

Verbum caro factum est e le conseguenze storiche che ne sono derivate; eppu-

re sul cattolicesimo inteso come fomite della «religione della tecnologia»

(cfr. NOBLE D.F., op. cit., passim) e «del lavoro» (cfr. infra nt. 354) pare con-

cordare anche lo storico francese.

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sembra restituire il suo spirito d’invenzione e la sua attitudine

alla ricerca, a perseguire la conoscenza e ad aderire alla realtà

concreta.

Quando, liberati da una pericolosa eredità illuministica, gli stori-

ci della filosofia avranno imparato a valutare in pieno, nel suo

reale significato, l’enorme produzione medievale medico-magi-

ca, astrologica, alchimistica, ci renderemo, credo, conto di una

esigenza di congiungere la cognizione […] delle cose con la tra-

sformazione di esse secondo i bisogni umani: di far convergere

continuamente teoria e pratica, tecnica e scienza: di afferrare un

ordine esistente, ma per modificarlo.243

Prendiamo ora in esame un altro aspetto della cultura diffu-

sa: l’alfabetizzazione, senza la quale, sottolineano due fra i mas-

simi studiosi della tradizione orale, non avrebbe potuto sussi-

stere una logica lineare,244

quella stessa che ha contribuito al

decollo culturale, sociale ed economico dell’Europa.245

In rela-

zione a questo vasto campo voglio qui richiamare la rilevanza,

anche a giudizio di Le Goff,246

dell’estendersi dell’istruzione

commerciale e giuridica nel periodo che va dall’XI al XIII seco-

lo. Laici appartenenti alla nascente classe media dei commer-

cianti, dei notai e degli avvocati fondarono scuole con curricula

propri.247

L’offerta formativa, come la si chiamerebbe oggi con

243

GARIN E., op. cit., p. 25; cfr. anche PERNOUD R., op. cit., p. 30.

244

GOODY J., Il potere della tradizione scritta, Bollati Boringhieri, Torino 2002

(2000), pp. 88-94; cfr. ONG W.J., op. cit., p. 89.

245

Cfr. CIPOLLA C.M., Vele e cannoni, Il Mulino, Bologna 19993

(1965), p. 87;

DAWSON CH., op. cit., p. 20; LE GOFF J., Il Medioevo, cit., p. 69.

246

Vd. infra nt. 253.

247

CIPOLLA C.M., Istruzione e sviluppo. Il declino dell’analfabetismo nel mondo occi-

dentale, Il Mulino, Bologna 2002 (1969), pp. 51ss; GRAFF H.J., op. cit., pp. 110

e 125-126.

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espressione mercantile, aumentò la propria diversificazione in

svariate zone geografiche europee toccate dal fenomeno del-

l’urbanesimo e ciò al punto di determinare nel XII secolo una

sorta di competizione fra le scuole monastiche e quelle secola-

ri.248

Graff riporta l’esempio inglese del secolo XIII, quando

esisteva una vasta gamma di istituti: Grammar Schools, scuole cat-

tedrali, scuole di monastero, scuole di chiese collegiate,249

Hospital

Schools, scuole di gilda, scuole comunali, cappellanie, scuole par-

rocchiali primarie, oltre a varie scuole specialistiche (di canto, di

scrittura, di lettura) e ad altre opportunità informali.250

Oramai

nell’Inghilterra del XIII secolo

reali, nobili, cavalieri, mercanti ed ecclesiastici erano nella stra-

grande maggioranza in grado di leggere e scrivere. Fra gli artigia-

ni l’alfabetizzazione era divenuta più diffusa, ma restava molto

lontano dall’essere universale. Fra i contadini dovette rimanere

cosa rara, ma non del tutto impossibile.251

Il fatto può lasciare freddo l’osservatore contemporaneo,

abituato all’attuale velocità del mutamento sociale, ma non è

certo questo sguardo assuefatto quello che permette di cogliere

lo specifico medievale; all’occhio incapace di guardare con par-

tecipazione252

il fenomeno storico del deciso ampliamento delle

percentuali di alfabetismo rischia di sfuggire la rivoluzione cul-

248

LAWRENCE C.H., op. cit., pp. 193-195.

249

«Dal latino collegium, “associazione”. Chiesa che possiede un capitolo di

canonici, di solito regolari, pur senza essere la sede di un vescovato»

[BARBERO A.-FRUGONI C., Dizionario del Medioevo, Laterza, Roma-Bari 20022

(1994), p. 78].

250

GRAFF H.J., op. cit., pp. 136-137.

251

Ivi, p. 133.

252

Vd. infra paragrafo 3.

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turale, che – secondo Graff – si sarebbe verificata fra il X e il

XIII secolo: «una cosa molto più nuova di quanto non sarebbe

diventata più tardi»253

. Viene compresa – per la prima volta a un

livello massivo – l’utilità dell’istruzione «per la partecipazione, il

servizio, il potere»254

. Persino la cultura cavalleresca non è più

ostile255

alle lettere e all’alfabetizzazione256

.

A questo proposito Ullmann scrive del riuscito amalgama

degli elementi cristiani, romani e germanici, anche se questi ul-

timi «dovettero cedere alla autorità della dottrina e del dogma»257

.

Parafrasando la celebre battuta di Stalin, secondo il quale lo Sta-

to del Vaticano disponeva di troppo poche divisioni per impen-

sierirlo, gli storici solitamente sono propensi a credere che – più

che imporre la dottrina e il dogma – la Chiesa abbia piuttosto

esercitato una costante pressione culturale e sociale sulle aristo-

crazie germaniche e che lo abbia fatto soprattutto per mezzo

del “cavallo di Troia” rappresentato dai numerosi membri della

nobiltà, che nel corso di tutto l’alto Medioevo ingrossarono le

file di quelli che furono alfine chiamati gli oratores e, in questo

253

GRAFF H.J., op. cit., p. 107. «La lettura si diffonde ben prima della galassia

Gutenberg e l’alfabetizzazione – è il fenomeno culturale che più conta – non

attende l’invenzione della stampa» (LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immagina-

rio, cit., p. XX).

254

GRAFF H.J., op. cit., p. 107.

255

Per una serie di indicazioni introduttive circa il lento evolvere delle culture

germaniche da una tradizione orale alla loro «romanizzazione» (cfr. ULLMANN

W., op. cit., p. 29) vd., ad es., BARBERO A., Santi laici e guerrieri. Le trasformazioni

di un modello nell’agiografia altomedievale, in BARONE G.-CAFFIERO M.-SCORZA

BARCELLONA F. (a cura di), Modelli di santità e modelli di comportamento, Rosenberg

& Sellier, Torino 1994, p. 127; CHABOD F., op. cit., p. 38; CIPOLLA C.M., Istru-

zione, cit., pp. 47-48; DAWSON CH., op. cit., pp. 89-131; ELIADE M., La nascita

mistica, Morcelliana, Brescia 19883

(1958), pp. 125-130; ID., Storia, cit., pp.

164-166; cfr. anche PERNOUD R., op. cit., p. 55.

256

GRAFF H.J., op. cit., pp. 120, 122 e 128.

257

ULLMANN W., Radici, cit., p. 29.

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modo, portando i bellatores a un grado di crescente mitigazione

dei loro costumi violenti.

A ciò contribuisce anche l’epoca aurea del monachesimo be-

nedettino (secoli XI-XII), durante la quale si diffonde fra i cadetti

dell’aristocrazia una modalità culturale, fatta di preghiera e di stu-

dio (e non più soltanto guerresca) di affermazione del proprio

«onore».258

Questo nuovo atteggiamento della classe dei cavalieri

si manifesta anche nel crescente prestigio che la città e la classe

borghese sembrano assumere ai loro occhi ad esempio in alcune

opere della giovane letteratura volgare in lingua d’oil.259

Nell’Occidente europeo lettere e alfabetizzazione riacquistano

finalmente, abbiamo visto, un prestigio sociale oramai da lungo

tempo perduto e che rimarrà un’acquisizione definitiva della

cultura occidentale:

La gente incominciò ad attribuire un connotato negativo all’anal-

fabetismo e in prosieguo di tempo gli analfabeti furono sempre

più considerati inadatti ad un numero sempre crescente di attivi-

tà sociali ed economiche.260

Con l’alfabetizzazione aumentano la coerenza dottrinale cri-

stiana e, ad un tempo, lo spirito critico,261

mentre

con il secolo XI la Chiesa perse progressivamente il monopolio

dell’istruzione specie in quelle aree dove […] i benestanti […]

solevano assumere tutori privati per […] i loro figli;262

in questo modo, conclude Cipolla, il «principio morale» del-

258

Cfr. MICCOLI G., op. cit., p. 71; GRAFF H.J., op. cit., p. 128.

259

Vd. LE GOFF J., Guerrieri, cit., passim.

260

GRAFF H.J., op. cit., p. 49.

261

Ivi, p. 126; vd. anche infra le nt. 269, 307-313 e 321-326.

262

CIPOLLA C.M., Istruzione, cit., p. 51; LAWRENCE C.H., op. cit., p. 308.

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l’istruzione, fino ad allora «proclamato da uno sparuto grup-

po di clerici illuminati, divenne un’idea corrente»263

, della qua-

le le istituzioni religiose continuarono a farsi promotrici inve-

stendo gran parte delle risorse disponibili264

e con una speciale

attenzione alle classi sociali svantaggiate.265

Se è vero, dunque,

che nei secoli X-XIII «senza la chiesa l’offerta d’istruzione e

alfabetizzazione in Occidente sarebbe stata incredibilmente li-

mitata»266

e se è parimenti vero che fosse quello del clero il

gruppo sociale più colto,267

sembra tuttavia di poter dire con

una certa sicurezza che il basso Medioevo vide in svariate zone

d’Europa268

un laicato autonomo e critico,269

capace di pro-

durre iniziative culturali significative sia all’interno che all’ester-

no dell’istituzione ecclesiale.

In effetti, soprattutto dopo l’opera fondamentale di

Grundmann,270

gli studi eresiologici di quasi tutte le impostazioni

sottolineano gli aspetti di omogeneità fra le esperienze carisma-

tiche ortodosse (come – ad esempio – il francescanesimo) ed

263

CIPOLLA C.M., Istruzione, cit., p. 50.

264

GRAFF H.J., op. cit., pp. 113-115.

265

CIPOLLA C.M., Istruzione, cit., p. 50; GRAFF H.J., op. cit., p. 117.

266

Ivi, p. 113.

267

Per la situazione dell’Inghilterra dei secoli XIV e XV, che è fra quelle più

accuratamente studiate, vd. ivi, p. 205. È probabile che l’osservazione possa

venire estesa anche ad altre parti dell’Europa. È opportuno, tuttavia, non

omologare il clero in un’unica categoria socio-culturale: vi è, ad es., chi lo

divide in due (per l’alto Medioevo vd. MANSELLI R., op. cit., pp. 12-13) o quat-

tro gruppi (BURKE P., op. cit., pp. 265-268). Vd. anche supra nt. 98.

268

Probabilmente soprattutto nelle zone più urbanizzate d’Europa, che – nel

periodo dal 1440 al 1492 – erano i Paesi Bassi e l’Italia (BURKE P., op. cit., p. 56).

269

Ad es. MANSELLI R., op. cit., pp. 80-85 scrive di «anticlericalismo» già nei

secoli XI-XIII.

270

GRUNDMANN H., Movimenti religiosi nel medioevo, Il Mulino, Bologna 1980

(1935), passim.

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eterodosse, colte nel loro insieme come grande e creativa sta-

gione dei movimenti spirituali medievali.271

Appare perciò dai contributi di autori di varia impostazione

un’immagine del Medioevo assai più luminosa e, soprattutto,

differenziata e ricca di sfumature rispetto alle stereotipie di cer-

ta manualistica. Di questi (come di altri) importanti passaggi

teorici e descrittivi fondamentali272

nel volume di Caprara non

si trova invece traccia. La Weltanschauung del nostro narratore

sembra sottendere una concezione aprioristicamente e

irreversibilmente antagonistica fra scienza e fede del tutto leci-

ta, naturalmente, nella dimensione noetica personale, ma i cui

presupposti non vengono tematizzati e – tantomeno – discussi

neanche sotto forma di abbozzo larvato.273

Conseguentemente,

in questa prospettiva la religione e la Chiesa sembrano ricoprire

un ruolo esclusivamente oscurantista e retrivo, anche in questo

caso senza che appaia argomentazione di sorta né disamina dia-

lettica in merito; l’assioma sembra innervare la trama della nar-

razione “in punta di piedi”, come un implicito del discorso, che

poggia sulla sua stessa “ovvietà”, “costruita” con etichette ed

espressioni ritenute familiari e scontate per il lettore.274

La selettività, però, non consiste soltanto nell’eliminare radi-

calmente tutto ciò che non risulta congruente con il sentire del-

lo scrittore. Vi sono, infatti, nomi ed eventi che – per la loro

271

Vd. ad es. MERLO G.G., op. cit., pp. 16-19 et passim; PERETTO E., Movimenti

spirituali laicali del Medioevo. Tra ortodossia ed eresia, Studium, Roma, 1985, p. 18

et passim. Cfr. anche supra nt. 261 e infra nt. 323.

272

Per i quali rimando alla bibliografia delle note precedenti e a quella conte-

nuta all’interno delle opere indicate stesse.

273

NOBLE D.F., op. cit., p. 5. Per una introduzione filosofica al problema vd.,

ad es., BOGDANOV G.- BOGDANOV I.-GUITTON J., Dio e la scienza. Verso il

metarealismo, Bompiani, Milano 1998 (1991), passim, in cui si propone il dialo-

go fra un fisico teorico, un astrofisico e un filosofo; cfr. infra anche nt. 280.

274

Vd. supra paragrafo 2.1.

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Medioevo: un pregiudizio secolare

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importanza – non si possono cancellare del tutto. In questo caso

la menzione risulta – in qualche modo – come l’esito di una

selezione effettuata per mezzo di una riduzione dell’alterità alle

categorie proprie della visione del mondo del narratore o,

quantomeno, ad attribuzioni apparentemente “neutre”.

Il britannico Ruggero Bacone inventava gli occhiali.275

Chi non vuole scadere a sua volta nel pregiudizio e nell’erro-

re, che abbiamo definito effetto alone, non può ricavare certo

da un unico indizio la tendenza a celare l’appartenenza al clero

di Roger Bacon e la sua identità squisitamente francescana. Al-

lora insistiamo e più sotto troviamo che

Nel XIII secolo [… (il)] filosofo inglese Ruggero Bacone […]

professava la “scienza come esperimento” e rilevava i gravi erro-

ri scientifici contenuti nelle Sacre Scritture, (e) cominciava a por-

re la “questione del metodo” che è alla base della ricerca.276

Ci accorgiamo, del resto, che qui è in gioco un complesso di

fattori di grande rilievo storico. Si tratta nientemeno che della

genesi remota della scienza sperimentale moderna:277

possibile

che a farsene iniziatore e promotore sia un frate dal cervello

fino? Ciò sembra contravvenire a un certo senso comune, che si

affermerà con decisione molti secoli dopo, secondo il quale i

frati – probabilmente – potrebbero avere altre qualità, ma certa-

mente non quella del raziocinio innovatore. O forse l’Autore

ritiene che l’Opus maius sia frutto solo del Bacone-filosofo, per

cui non occorre mettere in rilievo la (disdicevole?) appartenen-

275

CAPRARA G., op. cit., p. 54.

276

Ivi, p. 56 (parentesi rotonde mie).

277

DAWSON CH., op. cit., pp. 23 e 285-286.

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za religiosa del pensatore. A ciò si aggiunge un ulteriore ele-

mento destabilizzante: pare che a evidenziare «i gravi errori scien-

tifici contenuti nelle Sacre Scritture» sia proprio un soggetto

ben inserito nella Chiesa; in questo modo la compagine eccle-

siale sembrerebbe essere composta anche da soggetti capaci non

solo di prescindere dalle auctoritates,278

ma inoltre di innovare, di

pensare criticamente279

(persino sulla Sacra Scrittura!) e di anti-

cipare i tempi proprio sotto il profilo della riflessione intorno

all’ambito scientifico-sperimentale, “notoriamente” appannaggio

del “pensiero laico”.280

Offrire anche questa immagine della so-

cietà ecclesiale, pertanto, risulta troppo dissonante rispetto a un

copione che pare venga rispettato fedelmente attraverso la sem-

plice omissione di qualche termine identificativo (il “teologo”?

il “filosofo francescano”?). Sottacendo qualche particolare, per-

tanto, l’Autore ottiene l’effetto di riordinare la trama della pro-

pria narrazione secondo uno schema selettivo e consonante281

con la propria pregiudiziale di fondo, ancorata all’idea di una

Chiesa retriva e chiusa al novum.282

278

Cfr. infra nt. 313.

279

Cfr. supra nt. 261.

280

Uso l’espressione fra virgolette, in quanto topos «della quantità», che richie-

derebbe un’analisi molto approfondita, per il suo radicamento nel discorso

comune (cfr. supra nt. 151). In mancanza di spazio, invito il lettore alla lettura di

EINSTEIN A., Idee e opinioni. Come io vedo il mondo, Fabbri, Milano 1996 (1957), pp.

187-193. Intorno alle stereotipie connesse al termine “laico” vd. POSSENTI V.,

Le ragioni della laicità, Rubbettino, Soveria Mannelli (CT) 2007, pp. 14-15, che

sottolinea il riduzionismo dell’odierna interpretazione dominante del concetto

a fronte delle sue possibili cinque accezioni. Per rinvenire ancora alcune indi-

cazioni circa questo specifico anacronismo cfr. supra le nt. 204-207.

281

Cfr. supra nt. 174.

282

Se esco dall’ambito medievistico rilevo la menzione selettiva del fisico

belga Georges-Henri Lemaitre, che negli anni Venti del Novecento elabora

per primo l’ipotesi del Big Bang e del quale il Caprara omette di indicare la

confessione cattolica e lo stato di vita sacerdotale (ID., op. cit., p. 247).

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Se procediamo nell’analisi, ancora più sotto troviamo che,

con quasi duecento anni di ritardo rispetto ai presbiti, soccorsi

dall’inventività di Bacone,

ai miopi, invece, penserà lo studioso tedesco Niccolò Cusano

nel 1451.283

In questo caso si tratta del celebre filosofo neoplatonico,

astronomo e matematico illustre,284

che ha però il grave difet-

to di essere addirittura un cardinale, per cui forse sembra più

opportuno celare il suo stigma vergognoso sotto le generiche

e pudiche espressioni di «studioso» e di «tedesco», certamente

più neutre rispetto alla pretesa antinomia scienza/religione.

Perciò possiamo concludere che quando l’inventore è un uomo

di Chiesa e inoltre, come nel caso di Bacone e di Cusano, filo-

sofo di prima grandezza, la tendenza è quella di lasciare emer-

gere solo ed esclusivamente gli elementi che possano favorire

l’ipotesi di partenza (cioè: il Medioevo come età oscura, bar-

bara, di fanatismo religioso e di superstizione, tutte qualità

negative determinate dall’influenza della Chiesa cattolica), oc-

cultando o minimizzando, dall’altro lato, i fatti storici che po-

trebbero indebolirla.

A volte il discorso comune ma, come vedremo, nondimeno

anche la pubblicistica divulgativa, ricorrono a delle false spiega-

zioni, in cui il pregiudizio lascia intravedere una sclerotizzazione

oltremodo evidente del suo nucleo cognitivo, cioè dello

stereotipo.285

Ne riporto un esempio ricavato dallo stesso ma-

nuale del Caprara:

283

Ivi, p. 58.

284

Cfr. ad es. VANNINI M., Mistica e filosofia, Piemme, Casale Monferrato 1996,

pp. 62-70 e 79.

285

MAZZARA B.M., Stereotipi e pregiudizi, Il Mulino, Bologna 1997, p. 16.

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Fibonacci (1170-1240?) […] proponeva miglioramenti alle di-

mostrazioni ottenute dai grandi classici come Archimede. E an-

che questo era un segno del nuovo spirito innovatore che stava

portando ormai il Medioevo verso il tramonto.286

Il concetto di Medioevo sembra oramai reificato287

e lo stigma

dell’ignoranza oscurantista lo penetra e lo pervade fino alla satu-

razione. Il fatto di reperirvi qualche prodotto culturale innovativo

non induce l’Autore a porre in dubbio le sue sicurezze o ad atte-

nuarne e sfumarne i toni: tale progresso, infatti, non può (“per

definizione”…) essere un frutto della civiltà medievale e rappre-

senta con ogni certezza, perciò, un anticipo della fervida e fecon-

da età rinascimentale… Abbiamo qui un esempio di pseudo-ezio-

logia, una proposizione di chiara natura tautologica,288

nella qua-

le, per giustificare il verificarsi di un progresso matematico nel

Medioevo si ribadisce il Leitmotiv dell’opera in questione: eviden-

temente non si tratta più di Medioevo…

L’ultimo concetto che mi propongo di richiamare in questo

paragrafo porta il discorso a stretto contatto con uno dei fattori

causali nodali del pregiudizio antimedievale, fattore che, a mio

avviso, potrebbe rivelarsi forse il più importante: si tratta del pro-

cesso dell’“etnicità”. Attraverso questo complesso di dinamiche

interculturali trovano espressione la «classificazione, l’organizza-

zione e la comunicazione della differenza culturale tra i gruppi»,

che polarizza le relazioni diadiche noi/loro in una dialettica di

contatto-somiglianza e, al contrario, di differenziazione.289

286

CAPRARA G., op. cit., p. 53.

287

ABBAGNANO N., s.v. Reificazione, in ID., op. cit., p. 738.

288

Cioè un «discorso […] ripetente nella conseguenza, o nel predicato […] il

concetto già contenuto nel primo membro» (ABBAGNANO N., s.v. Tautologia,

in ID., op. cit., p. 857).

289

SACCHI P., s.v. Etnicità, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op. cit., p. 271.

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Faccio di seguito l’esempio, credo assai chiaro, della contrap-

posizione fra Medioevo e Rinascimento. È probabile che – alla

stregua dei processi dell’etnicità che pure oggi vediamo instau-

rarsi fra culture che si confrontano e si scontrano nel mondo

contemporaneo (ad es. l’Occidente e il mondo islamico)290

parimenti, ai fini della promozione e della celebrazione del Ri-

nascimento, la denigrazione del Medioevo abbia costituito una

sorta di punto d’appoggio archimedeo sul quale è stato possibi-

le fare leva per lo meno fino al celebre studio di Burckhardt.

Come si è già evidenziato sopra, inoltre, al di fuori dell’ambito

ristretto degli specialisti, questa ricostruzione storiografica ora-

mai superata sembrerebbe perdurare e riprodursi, come per iner-

zia, nel senso comune, nella produzione “storica” non speciali-

stica e persino in un certo genere di manualistica.291

La connotazione negativa dell’immagine del Medioevo, per-

tanto, è stata fin dal principio resa funzionale alla costruzione

culturale di un Rinascimento colto e interpretato come una sor-

ta di riemersione dall’abisso della barbarie. Nel suo corso le arti

290

Svariati studiosi come, ad es., il sociologo ALLIEVI S., Parole dell’islam, parole

sull’islam. Formazione culturale, comunicazione e ruolo dei mass media, in SIGGILLINO

I. (a cura di), I media e l’islam. L’informazione e la sfida del pluralismo religioso,

E.M.I., Bologna 2001, p. 41, attribuiscono al testo di HUNTINGDON S.P., Lo

scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, Milano 1997 (1996), passim

un intento politico strumentale; in esso si fomenterebbe, infatti, una

contrapposizione frontale tra Occidente e Civiltà islamica funzionale a una

riaggregazione degli Stati occidentali intorno agli Stati Uniti d’America, visti

come vessilliferi del mondo “civile”. Questa lettura sembrerebbe sostanzial-

mente condivisa anche da CARDINI F., Astrea e i Titani. Le lobbies americane alla

conquista del mondo, Laterza, Roma-Bari 2005 (2003), passim.

291

VASOLI C., Prefazione, in BURDACH K., Riforma Rinascimento Umanesimo. Due

dissertazioni sui fondamenti della cultura e dell’arte della parola moderne, Sansoni,

Firenze 19862

(1918), p. VII scrive della «volgarizzazione» del «grande affre-

sco storiografico del Burckhardt», trasformato troppo spesso in «un facile

cliché» da «mediocri storici, pubblicisti e banali giornalisti».

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sarebbero rifiorite, avrebbero assunto nuovi valenze e significa-

ti – in certo modo più moderni – e avrebbero espresso «deter-

minate tendenze prevalenti, cioè il realismo, la secolarizzazione

e l’individualismo»292

. Ancora, va evidenziato – in prima appros-

simazione – il fatto che, di questo genere di ermeneutica della

civiltà medievale europea, si siano fatti imprenditori in modo

particolare la storiografia di matrice riformata293

e, in seguito,

gran parte degli esponenti della corrente illuministica:

Oggi sappiamo che il mito del Medioevo, come epoca di barba-

rie, era, appunto, un mito, costruito dalla cultura degli umanisti e

dai padri fondatori della modernità.294

2.4. Rinascimento vs. Medioevo: la revisione di un dualismo storiografico

La contrapposizione fra le due epoche, come si sa, si è progres-

sivamente attenuata nel mondo accademico europeo, fino a de-

terminare un cambiamento di rotta particolarmente avvertibile

negli ultimi decenni.295

La concezione di Jakob Burckhardt, che

colse nel Rinascimento un fenomeno culturale moderno creato

da una società moderna, negli anni Ottanta del XX secolo or-

mai «non appare più in questa luce»296

e viene attaccata in vari

modi dagli storici. Secondo una parte di costoro andrebbero

invece messi in maggiore risalto gli elementi di continuità fra le

292

BURKE P., op. cit., p. 29.

293

Cfr. supra nt. 36.

294

ROSSI P., Introduzione, in ID., La nascita della scienza moderna in Europa, Laterza,

Roma-Bari 20075

(1997), p. XIV. Cfr. supra nt. 133. Vd. anche BURKE P., op.

cit., pp. 16-17 e 32; DAWSON CH., op. cit., pp. 23 e 31; GARIN E., op. cit., p. 25; LE

GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., p. XVI.

295

Ivi, p. XVII.

296

BURKE P., op. cit., p. 4.

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due epoche e ciò va inteso in un duplice senso: nel senso del

reperimento di elementi documentari che impongono di antici-

pare al Medioevo fenomeni che si ritenevano essere caratteristi-

ci del Rinascimento e, per converso, nel senso dell’individuazione

di numerose persistenze e prolungamenti di “tratti culturali”297

,

che si presumevano essere “medievali”, ben addentro alla cro-

nologia rinascimentale.

Nel primo gruppo di fenomeni va senz’altro inserita la cre-

scita dell’alfabetismo;298

Graff, come abbiamo già visto sopra,299

scrive di una «discreta alfabetizzazione»300

già nell’uomo medie-

vale e osserva anche che

gli studi sul Rinascimento spesso associano i “decolli” intellet-

tuali e culturali a risultati nel campo dell’istruzione e della stam-

pa […] su di essi si è in genere esagerato. Le attività del Rinasci-

mento erano già ben evolute prima dell’invenzione della tipogra-

fia a caratteri mobili […] La presenza dell’alfabetizzazione è co-

stante anche se contraddittoria,301

e – perciò – non si può parlare di salti improvvisi. La percen-

tuale di alfabetizzazione del 5-10% nel secolo XV, pertanto, sa-

rebbe – secondo lo storico inglese – una «base per il futuro» e

un «traguardo fondamentale»302

. Ciò si sarebbe verificato, per di

più, nonostante la stabilità e il benessere fossero stati “spazzati

via” in tante parti d’Europa da una serie di calamità e di eventi

negativi verificatisi fra il 1270 e il 1470303

e le condizioni stori-

297

MERCIER P., Storia dell’antropologia, Il Mulino, Bologna 19962

(1966), pp. 83 ss.

298

GRAFF H.J., op. cit., p. 150 et alibi.

299

Vd. supra paragrafo 2.3.

300

GRAFF H.J., op. cit., p. 71.

301

Ivi, p. 163.

302

Ivi, p. 209.

303

Ivi, p. 147.

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che favorevoli per una ripresa si fossero presentate appena ver-

so la fine del XV secolo.304

Questo discorso sarebbe valido anche qualora si volesse con-

siderare soltanto la cultura dotta sotto il profilo della sua creati-

vità, della quale scrive, ad esempio, Le Goff nel suo celebre La

nascita del Purgatorio:

Certo, la cristianità medievale – questo libro spera di dimostrarlo –

non è stata né immobile né sterile, ma anzi estremamente creativa.305

Infatti, se – come abbiamo visto sopra – nel Medioevo le

arti hanno prodotto molte innovazioni,306

anche al livello

dell’intelligencija la capacità di innovare non è mancata affatto

e, al contrario di quanto comunemente si crede,307

proprio in

virtù delle doti inventive di un certo numero di intellettuali

combattivi, di uomini d’azione e di pensiero,308

di uomini il cui

«prestigio», il cui «fascino» e la cui «autorevolezza» fanno com-

prendere come si sia resa possibile l’egemonia culturale309

da

loro stessi esercitata fra i contemporanei. Questa creatività si

dipana attraverso percorsi di ricerca spesso travagliati (come –

ad esempio – in Wycliff, Hus e Gerson), lungo i quali dissenso

e conservazione convivono con diversa intensità, alternanza e

304

Ivi, p. 148.

305

LE GOFF J., La nascita, cit., p. 256.

306

Cfr. supra le nt. 224-241.

307

La teoria della creatività rinascimentale, esposta con grande ricchezza di

sfumature e con molti distinguo da BURKE P., op. cit., passim (cfr. ad es. infra le

note relative all’Autore in questione), fornisce talvolta l’estro per

generalizzazioni piuttosto grossolane circa la presunta incapacità innovativa

dell’intellettuale medievale (colloquio 2.1.13.12.2009).

308

FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI M., op. cit., p. 213.

309

MICCOLI G., op. cit., pp. 65-67.

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dosaggio,310

mentre vengono anticipati sensibilmente luoghi

comuni che si presumono “moderni”, come il «teismo della

religione universale e l’idea di tolleranza»311

e precoci «tenden-

ze illuministiche»312

. Tutto ciò fa concludere alla Fumagalli che

la cosiddetta subordinazione alle auctoritates da parte dell’intel-

lettuale medievale possa configurarsi come un vero e proprio

pregiudizio.313

Come è noto, poi, Ullmann si fa portatore di una tesi ancor

meno conforme al discorso comune, secondo la quale la stessa

idea di Rinascimento, inteso in particolare modo come svilup-

po della humanitas dell’individuo come della collettività, non sia

comprensibile se non alla luce del concetto di «rinascita battesi-

male», contenuto teologico che – lungo tutto l’arco temporale

del Medioevo – sta alla base della dottrina della “deificazione”

dell’uomo, di cui ho già fatto menzione.314

La rinascita battesimale era l’assunto esplicito e implicito su cui

poggiava tutt’intera la concezione del mondo del Medioevo: i

suoi effetti globali toccavano l’uomo dalla culla alla tomba, in

ogni sfera della sua vita privata e pubblica e in tutti gli aspetti

socialmente e costituzionalmente rilevanti.315

Con queste considerazioni Ullmann riprende e approfondi-

sce la tesi – già avanzata da Burdach316

– della matrice squisita-

310

Cfr. FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI M., op. cit., pp. 221-225.

311

STADELMANN R., Il declino del Medioevo. Una crisi di valori, Il Mulino, Bologna,

1978 (1929), pp. 211-254.

312

Ivi, pp. 255-291.

313

FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI M., op. cit., pp. 231-232.

314

Cfr. supra nt. 230 e infra nt. 321.

315

ULLMANN W., Prefazione, cit., p. IX.

316

BURDACH K., Significato ed origine dei termini Rinascimento e Riforma, in ID.,

Riforma, cit., p. 8 et passim.

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mente religiosa che soggiacerebbe al Rinascimento; ciò lo porta

a concludere che «il rinascimento umanistico fu in sostanza

un’espansione di questo tema ecclesiologico»317

della rinascita

battesimale. Infine altri ancora – sia pure con minore convin-

zione – riconoscono la possibilità di una genesi rinascimentale

in eventuale dipendenza teoretica dalla apocalittica renovatio mundi,

a suo tempo fatta oggetto di riflessione da parte di Gioacchino

da Fiore318

e riattualizzata319

da una congerie di autori e correnti

di pensiero basso-medievali fino al Rinascimento e oltre.320

Fa loro eco Le Goff, che sostiene essere il tema dell’uomo-

imago Dei a ispirare, animare «lo sviluppo dell’umanesimo me-

dievale. Un umanesimo all’opera in tutte le attività della società

medievale, dalle imprese economiche fino alle più alte creazioni

culturali e spirituali»321

, mentre lo stesso storico francese ricorda

ai sostenitori della teoria della creatività rinascimentale322

che ci

fu maggiore innovazione religiosa nel periodo della nascita de-

gli Ordini mendicanti e – possiamo aggiungere noi – degli

eresiarchi medievali,323

rispetto a quanto realizzò più tardi il

Concilio di Trento.324

Analogamente, Manselli sostiene esservi

317

ULLMANN W., Radici, cit., pp. 12 e 28.

318

BURKE P., op. cit., pp. 237-238.

319

PANOFF M.-PERRIN M., Dizionario di etnologia, Newton Compton, Roma

1975, pp. 184-185.

320

NOBLE D.F., op. cit., pp. 27-50. Per una penetrante sintesi intorno al prolun-

gamento in piena Età Moderna e Contemporanea dell’escatologismo medie-

vale vd., dal punto di vista della Storia delle Religioni, ELIADE M., Paradiso e

utopia: geografia mitica ed escatologia, in ID., La nostalgia delle origini. Storia e signifi-

cato nella religione, Morcelliana, Brescia 20003

(1969), pp. 103-127.

321

LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., p. XV. Cfr. supra le nt. 230

e 314.

322

BURKE P., op. cit., passim.

323

Cfr. supra le nt. 261 e 269-271.

324

LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., p. XX.

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stata una maggiore lungimiranza e una più profonda compren-

sione dei movimenti popolari – ereticali e ortodossi – in

Innocenzo III nel Duecento di quanto si sia in seguito verifica-

to fra i papi dell’inizio dell’Età moderna.325

È ancora Manselli a farci presente che l’anticlericalismo non

è un prodotto tardo-medievale o rinascimentale, bensì un senti-

re comune a svariati gruppi e aree geografiche fra l’XI e il XIII

secolo.326

Fra i mecenati pare essere la Chiesa il protettore dei

letterati più tollerante (anche con riferimento alla condotta

morale), mentre dal Quattrocento la libertà per gli intellettuali

di corte sarà sempre più limitata, in quanto essi si vedranno

progressivamente costretti a uno sdoppiamento delle loro fun-

zioni pubbliche e private, fino a dovere cercare un rifugio più

sicuro nell’intimità della loro coscienza.327

Ancora a proposito

della cosiddetta “tolleranza”, inoltre, il Medioevo cristiano rie-

sce a inculcare nell’uomo europeo il messaggio universalistico,328

per il quale, dal momento che gli attributi naturali

non giocavano alcun ruolo all’interno della realtà ecclesiologica,

i suoi princìpi, i suoi dommi e le sue mete […] erano di fatto

universali. Regionalismo, provincialismo, tribalismo, e tutte le tante

altre varietà di aggregazione sociale naturale, non avevano alcu-

na incidenza concreta. Non c’era che una sola società – la società

ecclesiologica universale, che programmaticamente metteva da

parte le peculiarità biologiche, etniche, linguistiche e geografiche

e le riduceva ad un ruolo secondario.329

325

MANSELLI R., op. cit., p. 129.

326

Cfr. supra nt. 269.

327

FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI M., op. cit., pp. 228-229.

328

LE GOFF J., L’uomo medievale, in ID. (a cura di), L’uomo, cit., p. 9.

329

ULLMANN W., Radici, cit., p. 12; cfr. anche DAWSON CH., op. cit., pp. 150 e 152.

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Franz Brandmayr

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Al ridimensionamento storiografico del concetto di disconti-

nuità e rottura applicato alla diade ideal-tipica330

Medioevo/Rina-

scimento e alla fragilità concettuale che oramai vi viene attribuita

contribuiscono anche i motivi di continuità, che il Rinascimento

sembra mostrare rispetto a certe caratteristiche medievali. Su questa

linea sembra porsi anche il notevole lavoro di Burke,331

che pren-

de in esame gli anni fra il 1440 e il 1520 e che – perciò – coglie in

pieno il periodo che ci interessa, quasi una sorta di sutura fra le

due epoche. In queste pagine lo storico inglese sostiene che la

fioritura artistica e le ipotetiche caratteristiche rinascimentali della

modernità, del realismo, della secolarizzazione e dell’individuali-

smo non costituiscono affatto dei dati storici sicuri: «se pure è

possibile salvarle, lo si potrà fare solo a costo di notevoli riformu-

lazioni», in quanto «tutte queste certezze si sono andate dissol-

vendo» nel corso della sua ricerca,332

mentre – in realtà – nel-

l’«umanesimo rinascimentale […] sono ancora operanti un buon

numero di elementi medievali»333

. Il fenomeno rinascimentale ita-

liano è reso infatti possibile da un laicato colto334

– sulla cui matri-

ce squisitamente medievale ci siamo già soffermati335

– e dalla

«vita ecclesiastica», che «in nessun altro paese d’Europa […] ave-

va uguale portata»336

. Anche Lucien Febvre mette in evidenza come

lo spirito religioso del Medioevo sia «ben vivo […] in quel genio

che più d’ogni altro a quel tempo aveva rivendicato la modernità

del suo secolo»337

, cioè in Rabelais, mentre altri insistono sul fatto

330

WEBER M., Il metodo, cit., pp. 107-120.

331

BURKE P., op. cit., pp. 29, 36-37, 39, 71, 214 e 223.

332

Ivi, p. 29.

333

BURKE P., Prefazione, in ID., Cultura, cit., p. X.

334

Ivi, pp. 36-37.

335

Vd. supra paragrafo 2.3.

336

ULLMANN W., Radici, cit., p. 16.

337

LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., pp. XX-XXI; l’A. si riferi-

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Medioevo: un pregiudizio secolare

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che la secolarizzazione del Rinascimento è relativa,338

che «la mag-

gior parte dei quadri aveva soggetto religioso»339

e che «Dio è

ovunque nella letteratura dell’epoca»340

.

Si è visto sopra che gli intellettuali e gli “artisti” del Medioe-

vo sono stati capaci anche di creatività, mentre – contro ogni

“aspettativa stereotipica”341

è paradossale che in un’epoca in cui la cultura italiana fu contras-

segnata da quella che potremmo definire “propensione al nuo-

vo”, l’innovazione fosse considerata in modo negativo.342

In effetti, l’ideale rinascimentale è quello di considerare «le opere

antiche come altrettanti modelli da imitare»343

e anche Burke rico-

nosce che gli italiani del Rinascimento, con Guicciardini in testa,

sono contrari alle novità,344

che la creatività sia per loro qualche

cosa di strano345

e che, in ogni caso, anche i cosiddetti “creativi”

attingono sia alla tradizione che all’innovazione.346

A proposito dell’ultimo elemento innovativo considerato,

infine, quello del presunto individualismo rinascimentale, Burke

osserva che gli artisti del periodo da lui esaminato sono formati

sce al celebre studio di FEBVRE L., Il problema dell’incredulità nel secolo XVI. La

religione di Rabelais, Einaudi, Torino 1978 (1942), passim.

338

BURKE P., Cultura, cit., p. 3.

339

Ivi, p. 214.

340

Ivi, p. 223; ULLMANN W., Radici, cit., p. 6.

341

Vd. supra nt. 219.

342

BURKE P., Cultura, cit., p. 237.

343

PERNOUD R., op. cit., p. 22.

344

BURKE P., Cultura, cit., pp. 236-237.

345

Ivi, p. 377.

346

Ivi, p. 32.

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a una collaborazione intensa e costante decisamente «contraria

allo sviluppo dell’individualismo»347

.

È opinione di svariati studiosi, perciò, che vi sia un certo acca-

nimento nel ricorso alle suddivisioni e una sottolineatura esagera-

ta delle cesure che separerebbero il Medioevo dal Rinascimento.

Ullmann – ad esempio – non nutre dubbi sul fatto che sia

insostenibile la posizione, comunemente accettata,348

di chi parla

di una “nuova era” o di una “frattura (del Rinascimento) nei

confronti del passato medievale”.349

Molti elementi documentari raccolti dagli studiosi sembre-

rebbero perciò suffragare la posizione della continuità storica

fra le due epoche, ma Pietro Rossi mette in guardia da

omologazioni eccessive: quando si parla di scienza medievale e

di scienza moderna

il continuismo è solo una mediocre filosofia della storia sovrappo-

sta alla storia reale.350

Almeno sotto il profilo scientifico, sostiene l’Autore, va con-

fermata l’esistenza di una sorta di discontinuità. Anche Butterfield,

pur nutrendo – come abbiamo già visto351

– una considerevole

opinione sulla capacità d’invenzione medievale, sembra incorag-

giare una posizione di non-omologazione fra le due epoche, quan-

do argomenta che l’Età di Mezzo pare esprimere una serie di

conati in direzione di una scienza empirica, ma

347

Ivi, p. 71.

348

L’Autore pubblicava l’opera nel 1977.

349

ULLMANN W., Radici, cit., p. 261; parentesi mia. Vd. anche ivi, p. 10 et alibi.

Cfr. infra anche nt. 354.

350

ROSSI P., Introduzione, cit., p. XIX.

351

Vd. supra nt. 239 e 241.

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Medioevo: un pregiudizio secolare

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l’uso degli esperimenti non venne tuttavia, per così dire, addo-

mesticato e bardato prima del diciassettesimo secolo, quando gli

si dette un ordine interno, così che esso divenne come una gran-

de macchina in movimento.352

Osserviamo, pertanto, che – com’è comprensibile – le diffe-

renze diventano più nette soprattutto mano a mano che ci si

addentra nell’Età moderna e si attraversa la stessa età rinasci-

mentale. In definitiva, mi sembra che la posizione teorica più

prossima a una visione d’insieme abbastanza equilibrata è forse

quella che proviene dagli studi sull’alfabetizzazione di Graff:

Quando si descrivono circostanze in cui sviluppo e mutamento

tendono ad essere graduali piuttosto che rapidi, come nel caso

dell’alfabetizzazione del Continente, è più efficace ricorrere ai

concetti di “continuità” e “contraddizione”.353

Non pare trattarsi più di un aut aut, quindi, bensì di un et et,

che può sinteticamente rendere ragione di un polimorfismo di

esperienze e di situazioni particolari assai mutevoli a seconda

delle classi sociali, delle aree geografiche, delle subculture e de-

gli aspetti o tratti culturali considerati.

Ho voluto dare spazio, per quanto possibile in un contributo

di queste dimensioni, ad angolature prospettiche diversificate per

oggetto di studi e per la sensibilità degli autori rispetto al tema del

rapporto fra il Medioevo e il Rinascimento. Non mi sembra inu-

tile, però, lasciare concludere questa argomentazione a Le Goff,

che non mostra reticenze di sorta quando afferma che

la maggior parte dei segni caratteristici per mezzo dei quali si è

voluto riconoscerlo [il Rinascimento] sono apparsi ben prima del-

352

BUTTERFIELD H., op. cit., p. 110.

353

GRAFF H.J.., op. cit., pp. 19-20.

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l’epoca (secoli XV-XVI) in cui il Rinascimento viene collocato. Il

“ritorno all’antico” si manifesta fin dal secolo XIII […] lo stato

“machiavellico” è già presente nella Francia di Filippo il Bello. La

prospettiva entra nell’ottica e nella pittura già alla fine del secolo

XIII. La lettura si diffonde ben prima della galassia Gutenberg e

l’alfabetizzazione – è il fenomeno culturale che più conta – non

attende l’invenzione della stampa. Fra la fine del secolo XII e gli

inizi del XIII l’individuo si afferma con altrettanta forza che nel-

l’Italia del Quattrocento […] Non sono d’accordo con Max We-

ber e Robert Tawney quando collegano la “religione” del lavoro al

protestantesimo. Questa esiste fin dal secolo XIII.354

3. Verstehen, empatia, osservazione partecipante

Quando si tratta di mettere in rilievo gli errori o i limiti altrui il

lavoro del critico risulta sempre facilitato, perché distruggere è

più facile che costruire. Il soggetto sottoposto a valutazione cri-

tica ha lavorato, ha indagato, ha esercitato uno sforzo di analisi

e di scelta e si è – con ciò – caricato di una serie di atti di respon-

sabilità. Chi lo giudica, invece, dispone del vantaggio di costru-

ire il proprio edificio teorico sul fondamento del travaglio al-

354

LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., pp. XIX e XX; parentesi

quadrata mia. Per quanto attiene alla nascita dello stato si veda anche REINHARD

W., op. cit., pp. 34-35. Dal punto di vista della sociologia delle religioni si

evince un considerevole rinforzo a questa visione positiva del Medioevo an-

che dai primi cinque capitoli di STARK R., La vittoria della Ragione. Come il

cristianesimo ha prodotto libertà, progresso e ricchezza, Lindau, Torino 2006 (2005).

355

CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 164.

Condannare o assolvere il passato non dovrebbe rientrare

fra i compiti dello storico ma, in generale, neppure delle so-

cietà contemporanee: il Novecento e gli inizi del nuovo mil-

lennio hanno registrato sufficienti crimini perché nessuno fra

i contemporanei si possa sentire giudice del passato.355

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Medioevo: un pregiudizio secolare

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trui. È con questa consapevolezza e con questo atteggiamento

di rispetto che cerco di fornire qualche spunto in direzione di

un approccio più efficace alla storia medievale.

È possibile che la carenza principale che denotano certe trat-

tazioni del tema di cui ci occupiamo possa riguardare la sua pro-

blematica comprensione da parte dei suoi volgarizzatori, (così

potremmo essere considerati noi insegnanti quando non siamo

anche storici), ma talvolta – perché negarlo? – forse anche da

parte di qualche storico. Come si sa, il termine “comprensione”,

reso dal tedesco Verstehen356

a partire dal dibattito epistemologico

– svoltosi a cavallo fra l’Ottocento e il Novecento357

– chiamato

Methodenstreit358

, non ha soltanto un generico significato legato

semplicemente al “capire”. Fin dalla sua radice latina (capere) il

verbo capire dà l’idea di «afferrare»359

, di «prendere», perciò, un

qualche cosa di estrinseco, di esterno rispetto al soggetto che “co-

glie”. Il con-prehendere del latino360

sembra invece rinviare a un si-

gnificato più inclusivo e a un coinvolgimento tale da permettere

una Einfühlung361

, un sentire dentro362

e, al contempo,

un’«immedesimazione»363

. Si tratta, perciò, come si può constata-

re, della stessa etimologia, ma – soprattutto – dello stesso atteg-

356

MARROU H.-I., op. cit., p. 73.

357

ABBAGNANO N., s.v. Comprendere, in ID., op. cit., pp. 141-142.

358

TULLIO-ALTAN C., Antropologia, cit., p. 287.

359

LIOTTA G.-ROSSI L.-GAFFIOT F., s.v. Capio, in IID., Dizionario della lingua latina.

Latino-italiano, il capitello, Torino 2010; il complesso greifen – Begriff – begreifen =

«prendere, pigliare» – «concetto» – «capire, comprendere» (MACCHI V., s.vv., in

ID., op. cit.) sembra rinviare a rapporti di significato abbastanza simili.

360

DEVOTO G.-OLI G.C., s.v. Comprendere, in IID., Il dizionario della lingua italia-

na, Le Monnier, Firenze 1995.

361

MALIGHETTI R., s.v. Verstehen, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op. cit., p. 790.

362

MACCHI V., s.vv. Ein e Fühlen, in ID., op. cit.

363

Ivi, s.v. Einfühlung.

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110

364

Sotto il profilo psicologico si tratta del «tentativo di riprodurre in proprio

i sentimenti altrui, al fine di comprendere l’altra persona» [STECK P., s.v.

Empatia, in ARNOLD W.-EYSENCK H.J.-MEILI R. (a cura di), op. cit., p. 354].

365

Cfr. ad es. il riferimento alla «simpatia» dell’antropologo per l’oggetto di

studio (FIRTH R., I simboli e le mode, Laterza, Bari 1977, p. 40); a sua volta TULLIO-

ALTAN C., Soggetto, cit., pp. 210-222 scrive dell’«empatia» richiesta nella ricerca

intorno alle varie tematiche inerenti l’ambito del simbolico. Sono espressioni,

comunque, che non vanno intese in senso «emotivo», né confuse con opzioni

teoriche che rifiutino a priori il tentativo di una «comprensione» oggettiva della

cultura studiata (cfr. TULLIO-ALTAN C., Manuale, cit., p. 543).

366

Si tratta, ad es., di Weber, di Simmel, di Talcott Parsons e di Wright Mills

(MALIGHETTI R., s.v. Verstehen, cit., p. 790).

367

ID., s.v. Antropologia interpretativa, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op.

cit., p. 71; va tuttavia notato che – rispetto al Verstehen – la prospettiva geertziana

non contempla la nozione di empatia (MALIGHETTI R., s.v. Verstehen, cit., ib.).

368

BERNARDI B., op. cit., pp. 114 e 249-250; CIRESE A.M., Cultura, cit., pp. 249-

250, dove l’Autore rende il medesimo concetto con l’espressione «integra-

zione mentale»; TULLIO-ALTAN C., Manuale, cit., pp. 515-516 e 542-545.

giamento364

di empatia metodologica, che gli antropologi cercano

di porre in atto nella loro ricerca sul campo.365

Ciò non consiste,

come il lettore capisce, in una mera concessione al sentimentali-

smo, bensì in un percorso metodologico che, a partire da svariati

autori che hanno fondato le scienze sociali,366

ha dato i suoi buoni

frutti fino a pervenire – in tempi a noi più vicini – all’elaborazio-

ne originale del metodo dell’antropologia interpretativa affinato

da Clifford Geertz.367

In questa sede non è possibile neanche ac-

cennare ai passaggi più significativi che portano a questi esiti teo-

rici; è sufficiente proporre all’attenzione di chiunque si occupi di

divulgare i contenuti della civiltà medievale l’opportunità di un

approccio dall’interno ai singoli dati, come alle epoche e alle cul-

ture fatte oggetto di studio. Ciò si può realizzare in maniera in

qualche modo analoga a quella attuata dall’antropologo che ri-

corre all’«osservazione partecipante»368

quando si trova a indaga-

re “sul campo” intorno a una qualche cultura specifica.

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Medioevo: un pregiudizio secolare

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369

MARROU H.-I., op. cit., p. 85.

370

Per una serie di argomentazioni sulla differenza fra “metodo” e “sistema”

e sulla loro articolazione speculare rispetto alla diade concettuale “apertu-

ra”/”chiusura” si veda ad es. GUITTON J., op. cit., pp. 119-120.

371

MARROU H.-I., op. cit., p. 85. Cfr. supra anche nt. 131.

372

ID., op. cit., p. 86.

Ma non occorre uscire dall’ambito degli studi storici per rinve-

nire indicazioni metodologiche – espresse con grande autorevo-

lezza – sui temi della comprensione e della simpatia metodologica:

Storico è colui che, attraverso l’epokhè, sa uscire da se stesso

per incontrarsi con gli altri. A tale virtù possiamo dare un

nome: “simpatia”.369

I «vecchi maestri positivisti», continua Marrou, ritenevano

essere lo spirito critico la migliore virtù dello storico: il dubbio

metodologico di ispirazione cartesiana – peraltro imprescin-

dibile in ogni scienza – veniva da loro esasperato fino a diven-

tare una «diffidenza programmatica», che – eretta a sistema370

– «dovrà considerarsi come una delle più gravi deficienze del-

lo storico»371

.

In assenza di simpatia metodologica, addirittura di una sorta

di amicizia372

con l’autore del documento, con il suo mondo fatto

di sentimenti, di passioni da occultare, di interessi materiali e sim-

bolici da difendere, di tragedie rimosse e di sofferenze forse am-

plificate, difficilmente la fonte potrà venire “sfruttata” appieno e

solo con difficoltà essa potrà esprimere ogni sua potenzialità. Se

l’Altro non viene, in qualche modo, guardato con “partecipazio-

ne” (è il termine – forse meno enfatico dell’“amicizia” di Marrou

– che preferisco attingere dalla letteratura antropologica), egli –

l’Altro – rischierà di diventare «una creatura della ragione, un

fantasma che la mia immaginazione si compiace di alimenta-

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112

re»373

o, se vogliamo adoperare un termine che abbiamo già in-

contrato, un concentrato di etichettazioni al quale la ricerca d’ar-

chivio o sul terreno non potrà aggiungere niente di nuovo. Si

configurerà – in questo modo – ciò che gli psicologi sociali defi-

niscono aspettativa stereotipica, cioè la supposta conferma – ot-

tenuta dai cosiddetti “fatti documentati” – di ciò che già si era

fissato a priori nella memoria selettiva del ricercatore, l’unica evi-

denza che – fin dal principio – egli sarebbe stato disposto a rileva-

re sul terreno dell’indagine. In questi casi ogni dissonanza cognitiva

rispetto all’ipotesi di partenza tenderà a venire obliterata, in quan-

to non suffragherà l’ipotesi di partenza del ricercatore e si perver-

rà, come abbiamo già visto sopra, a una sorta di pseudo-cono-

scenza di natura tautologica. Mi piace concludere il paragrafo con

una citazione ricavata da uno studio di un importante sociologo

della comunicazione, mentre tratta il delicato tema della perce-

zione delle culture islamiche ad opera degli occidentali:

Comprendere i valori degli altri […] non significa […] necessaria-

mente condividerli, anche se generalmente il risultato del procedi-

mento è quello di un arricchimento della propria sensibilità etica.374

3.1. Per una conclusione aperta…

Abbiamo già accennato alla reticenza e finanche alla diffidenza

che certe espressioni (sospensione del giudizio, simpatia, parte-

cipazione) suscitano in una parte dei ricercatori dei Cultural

Studies, fino a portarli talora a esiti nichilistici375

rispetto alla pos-

373

Ibidem.

374

MARLETTI C., Le immagini dell’islam nella narrazione di eventi e nel dibattito su temi.

Analisi qualitativa dei testi e dei generi, in ID. (a cura di), Televisione e Islam. Immagini e

stereotipi dell’islam nella comunicazione italiana, RAI-Nuova ERI, Roma 1995, p. 157.

375

Vd. supra nt. 173.

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Medioevo: un pregiudizio secolare

113

sibilità di fare ricerca su culture e civiltà altre. Credo – del resto

– che anche certi storici non siano disposti a offrire uno spazio

eccessivo a questi atteggiamenti, che ben si presterebbero a es-

sere resi funzionali a un irenismo accomodante. Ma non è cer-

tamente a questo che allude Marrou, il quale infatti precisa che

al progresso della nostra scienza (la storia) non nuoce che una

critica esigente, a volte ingiusta, possa scuotere una pigra simpa-

tia pronta a scivolare nell’indulgenza e nella facilità.376

La sfida è certamente aperta e i risultati, sempre se arrivano,

non sono affatto scontati. Credo fosse, in ogni caso, importante

tornare a sollevare il problema del pregiudizio antimedievale e

cercare di mettere in ulteriore evidenza quanto esso sia compe-

netrato con il senso comune: dalla messa in luce delle modalità

riproduttive377

del pregiudizio che abbiamo cercato di esamina-

re, il docente, lo studente, forse lo storico stesso, potrebbero

attingere spunti per l’autoanalisi e per l’affinamento degli stru-

menti concettuali necessari per la comprensione del Medioevo.

Si tratterebbe, inoltre, di un esercizio utile anche per la com-

prensione di realtà socio-culturali “altre”, con le quali siamo

chiamati a misurarci nella concretezza dell’oggi.378

Restano aperte, a mio avviso, ancora due questioni, alle quali

ho accennato nel corso del saggio. In primo luogo, credo sia

opportuno un futuro approfondimento, complementare a que-

ste riflessioni, della matrice occidentalista del pregiudizio an-

timedievale: potrebbe derivarne una visione nuova e, forse,

meno dogmatica di alcuni assiomi della civiltà euroamericana.

376

MARROU H.-I., op. cit., p. 87.

377

MAZZARA B.M., op. cit., p. 16.

378

Cfr., ad es., supra nt. 290.

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114

“Sacralizzati”379

e divenuti un tutt’uno con il discorso comune, i

valori e i paradigmi dell’Occidente (ad es.: «la visione universale

e secolare di ciò che è {autenticamente} umano», i «diritti uma-

ni», il pensiero marxista e liberale e le «scienze umane»380

, l’idea

del «soggetto-cittadino», «le concezioni della società civile […],

le diverse distinzioni fra pubblico e privato […], il tempo stori-

co {lineare}»381

, l’«individualismo», l’«intellettualismo»,

l’«antitradizionalismo» e l’idea di «nazione» ecc.) hanno rap-

presentato un saldo supporto teorico funzionale alla tesi della

missione «civilizzatrice» dell’Occidente nei confronti del resto

del mondo.382

Essi potrebbero conferire – secondo alcuni –

una connotazione addirittura “religiosa” alla modernizzazio-

ne,383

all’interno della quale dette nozioni rischiano di assume-

re significati imperituri e sottratti alla critica storica.384

Altri

ancora, come – ad esempio – Jürgen Habermas, non esitano a

cogliere nella stessa storia della filosofia occidentale un «ten-

tativo delle società democratiche di rassicurare se stesse» circa

379

Sul processo di “sacralizzazione dei simboli” cfr. REMOTTI F., Noi primitivi.

Lo specchio dell’antropologia, Boringhieri, Torino 1990, p. 157.

380

CHAKRABARTY D., Provincializzare, cit., pp. 16-17; parentesi mia. Qualche

“impressionista” è portato a credere che il pensiero marxista sia stato abbat-

tuto con il Muro di Berlino; Chakrabarty opportunamente ci ricorda la sua

persistenza e vitalità. In questo senso credo che il volume di MASSET P., Il

marxismo nella coscienza moderna, Città Nuova, Roma 19772

(s.d. orig.), passim,

pur superato dagli eventi, rappresenti ancora un’utile introduzione.

381

CHAKRABARTY D., Provincializzare, cit., p. 38; parentesi graffe mie.

382

Cfr. ad es. BASTIDE R., Noi e gli altri. I luoghi di incontro e di separazione culturali

e razziali, Jaca Book, Milano 19902

(1970), pp. 27-28; CHAKRABARTY D.,

Provincializzare, cit., p. 21; TRIULZI A., Lo sguardo coloniale, in PASQUINELLI C. (a

cura di), op. cit., p. 106.

383

Cfr. ad es. KIPPENBERG H.G., La scoperta della storia delle religioni. Scienze delle

religioni e modernità, Brescia, Morcelliana 2002 (1997), pp. 196-197, 253 e 256-257.

384

Cfr. REMOTTI F., op. cit., p. 157.

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Medioevo: un pregiudizio secolare

115

la bontà del proprio progetto modernistico385

da estendere al

mondo intero.

Rimanderei, pertanto, a un ipotetico lavoro futuro l’analisi di

questa particolare tipologia di precomprensioni, le quali – per

quanto a noi care – fondano, sostengono e rendono eurocentri-

che – oltre alla storiografia che si occupa delle aree extraeuropee

– anche le narrazioni moderne del Medioevo europeo. Questa

seconda fase del nostro esercizio decostruttivo potrebbe consen-

tirci di portare a compimento quel lavoro di defamiliarizzazio-

ne386

rispetto alle prospettive moderne e postmoderne, che ave-

vamo posto come nostro obiettivo critico.

Da ultimo, si pone la necessità della ricerca delle cause

dell’«ostilità simbolica»387

contro il Medioevo. Vi è chi la attribu-

isce non tanto alla malignità, quanto – piuttosto – all’incompe-

tenza e alla mancanza di curiosità;388

vi è anche chi sosteneva già

alla metà del secolo scorso che

fuori del mondo accademico si sono affermate nuove forze so-

ciali che si servono della storia o d’una versione particolare della

storia per fini sociali, come un mezzo per trasformare la vita e le

azioni degli uomini.389

È compito degli storici l’ipotizzare e il verificare se nella se-

conda metà del Novecento vi sia stata una manipolazione della

narrazione medievalistica ad opera di agenzie culturali, che non

385

Cfr. anche le argomentazioni di CHAKRABARTY D., Provincializzare, cit., pp. 62-63.

386

Vd. supra nt. 184.

387

È un concetto che attingo da DAL LAGO A., Non-persone. L’esclusione dei

migranti in una società globale, Feltrinelli, Milano 20042

(1999), p. 50; in COLOM-

BO E., op. cit., p. 37 trovo la nozione affine di «violenza simbolica».

388

PERNOUD R., op. cit., p. 152.

389

DAWSON CH., op. cit., p. 17.

Page 80: Medioevo: un pregiudizio secolare che perdura nel discorso ... · PDF fileogni caso la storia ha continuato a rappresentare un mio interesse ... getto l’epoca medievale o qualche

Franz Brandmayr

116

390

Cfr. supra nt. 158.

391

JUNG C.G., s.v. Individuazione, in ID., Dizionario di psicologia analitica,

Boringhieri, Torino 1977 (1921), pp. 82-85.

abbiano tenuto che in scarso conto gli sviluppi della ricerca

storiografica meno condizionata da istanze extrascientifiche.

Per quanto mi riguarda sarei più interessato per formazione

a un rilevamento in ambito sincronico, da effettuarsi all’interno

di qualche collettività (alcune classi di studenti? un gruppo di

colleghi?) o su una certa tipologia di prodotti culturali (un se-

mestre di osservazione e controllo della produzione scritta di

una o più testate giornalistiche? una disamina sistematica dei

manuali in commercio nell’arco di un periodo determinato?): il

lavoro di registrazione e di analisi dei sentimenti, delle valuta-

zioni e delle scelte390

degli individui e delle comunità riguardo al

Medioevo potrebbe anche essere molto significativo rispetto sia

alla conoscenza del processo di individuazione391

dei singoli at-

tori sociali sia alla costruzione dell’identità negli specifici gruppi

di appartenenza.