MAURO LEVRINI - 2014 - ml-grafica.it di apnea.pdf · • Il Principio di Archimede ... pesante...

28
MAURO LEVRINI - 2014

Transcript of MAURO LEVRINI - 2014 - ml-grafica.it di apnea.pdf · • Il Principio di Archimede ... pesante...

Page 1: MAURO LEVRINI - 2014 - ml-grafica.it di apnea.pdf · • Il Principio di Archimede ... pesante quanto più aumenta la sua salinità cosicché la spinta di galleggiamento in acqua

MAURO LEVRINI - 2014

Page 2: MAURO LEVRINI - 2014 - ml-grafica.it di apnea.pdf · • Il Principio di Archimede ... pesante quanto più aumenta la sua salinità cosicché la spinta di galleggiamento in acqua

CORSO DI APNEA - BASI DI FISICA

Ritengo sia più che opportuno fare una rapida carrellata sulle leggi fisiche che entrano in gioco in

immersione e conoscere le basi del funzionamento del nostro organismo, per analizzare e capire le

sue reazioni in un'immersione in apnea. Senza queste basi sarebbe più difficile capire il significato

delle tecniche illustrate nella parte pratica.

Le leggi fisiche

• Il Principio di Archimede

• La Pressione

• La legge di Dalton

• La legge di Boyle e Mariotte

IL PRINCIPIO DI ARCHIMEDE

"Un corpo immerso in un fluido riceve una spinta dal basso verso l'alto pari al peso del volume di

fluido spostato"

Si parla di "fluido" in generale, perché il principio funziona anche nell'aria (aerostati), ma a noi

interessa l'acqua!

Un corpo immerso in acqua occupa un certo spazio e quindi sposta una certa quantità d'acqua.

Perché alcune cose galleggiano e altre no? È abbastanza intuitivo che se il corpo immerso pesa più

dell'acqua che sposta andrà irrimediabilmente a fondo, mentre se è più leggero galleggerà... e

galleggerà più o meno sempre in base a questo rapporto. A un oggetto leggerissimo (polistirolo?),

basterà una piccolissima parte immersa per pareggiare il suo peso; un pezzo di legno sarà imerso

magari per metà, cioè per quella parte che se fosse acqua peserebbe come tutto l'oggetto. Un blocco

di ferro andrà sicuramente a fondo, perché il peso (specifico) del ferro è superiore a quello

dell'acqua... ma allora perché le navi galleggiano? Ovviamente perché sono costruite con una forma

che sposta un volume di acqua molto più pesante di tutta la nave!

In piccolo, disponendo di un contenitore graduato, potremmo verificare direttamente queste

affermazioni.

La spinta di galleggiamento dipende ovviamente dalla densità (peso specifico) del fluido considerato.

Nell'esempio si è usato come riferimento lo standard dell'acqua distillata a 4° C, che difficilmente si

Page 3: MAURO LEVRINI - 2014 - ml-grafica.it di apnea.pdf · • Il Principio di Archimede ... pesante quanto più aumenta la sua salinità cosicché la spinta di galleggiamento in acqua

trova in natura; da cui si comprende che un'acqua in cui sono disciolti sali minerali, sarà tanto più

pesante quanto più aumenta la sua salinità cosicché la spinta di galleggiamento in acqua di mare sarà

più forte che in acqua dolce.

Anche se con piccole variazioni soggettive, il corpo umano, con i polmoni pieni d'aria, in acqua ha una

leggera spinta di galleggiamento. Questa spinta aumenterà se indossiamo una muta, perché con il

suo spessore aumenterà il nostro volume e quindi il peso dell'acqua spostata.

LA PRESSIONE

Esaminiamo il concetto di pressione (P) riferito ai

fluidi.

L'essere umano è "progettato" per vivere in un

ambiente terrestre, respirando l'aria in cui è

immerso. La Terra è circondata dall'atmosfera,

cioè dall'aria, che è una miscela composta

essenzialmente da Azoto (N - 78%), Ossigeno (O2

- 21%) e il restante 1% di gas rari tra cui il

principale è l'Argon ma che possiamo

considerare ininfluenti.

L'atmosfera si può considerare come la massa

d'aria che ci circonda, per un'altezza di circa 10

km e siccome anche l'aria pesa, al livello del

mare la sua pressione (che sullo stesso punto

agisce in ogni direzione) è di circa 10 kg/cm2,

quindi circa 1 kg per km di altitudine. Questo

vuol dire che, salendo di quota la pressione

diminuisce.

Le unità di misura adottate per misurarla sono

molte, a seconda della branca di scienze che le

utilizza di preferenza:

1 atm = 760 mm Hg = 760 torr = 101325 Pa =

1013,25 mbar, ma a parte i mm di mercurio,

utilizzati soprattutto in passato per il riferimento

al barometro, le altre sono praticamente

equivalenti e per comodità di calcolo si assume 1

atm = 1 bar = 1000 hPa.

In acqua succede la stessa cosa, però l'acqua è più pesante dell'aria e ne bastano 10 m per generare

una pressione di 1 bar. Ne consegue che, sommando la pressione atmosferica sul livello del mare, a

10 m di profondità saremo sottoposti a una P assoluta di 2 bar, a -20 di 3 e così via.

Page 4: MAURO LEVRINI - 2014 - ml-grafica.it di apnea.pdf · • Il Principio di Archimede ... pesante quanto più aumenta la sua salinità cosicché la spinta di galleggiamento in acqua

LA LEGGE DI DALTON

"La pressione totale esercitata da una miscela di gas, è uguale alla somma delle pressioni parziali che

sarebbero esercitate dai gas se fossero presenti da soli in un eguale volume".

Come abbiamo visto, l'aria è una miscela di gas composta essenzialmente da azoto e ossigeno in una

percentuale che per comodità possiamo arrotondare rispettivamente in 80% e 20%. Per quanto

enunciato sopra, potremo dire che a un bar di pressione (cioè al livello del mare) l'azoto ha una

pressione parziale di 0,8 bar (800 mbar) e l'ossigeno di 0,2 bar (200 mbar).

Questi valori andranno ricordati quando si valuterà come interagiscono in rapporto alla pressione e al

sistema cardio-respiratorio.

Page 5: MAURO LEVRINI - 2014 - ml-grafica.it di apnea.pdf · • Il Principio di Archimede ... pesante quanto più aumenta la sua salinità cosicché la spinta di galleggiamento in acqua

LA LEGGE DI BOYLE E MARIOTTE

Espressa dalla formula P x V = K (a temperatura costante, Pressione x Volume = costante),

ovviamente si riferisce a volumi liberi di modificarsi: un contenitore rigido sottoposto a una pressione

continuerà a mantenere il proprio volume... almeno fino a quando la sua resistenza meccanica lo

consentirà. Proprio per questo medici e scienziati, fino ai primi del '900, ritenevano impossibile

l'immersione umana in apnea al di sotto dei 30 m, perché, valutando la resistenza della gabbia

toracica e i volumi polmonari, prevedevano il suo schiacciamento a quella pressione e la conseguente

morte del subacqueo. Posti davanti all'evidenza che invece molti pescatori di spugne raggiungevano

quote ben superiori, come in greco Haggi Statti, noto per il recupero dell'ancora della nave "Regina

Margherita" con diverse immersioni attorno ai 70 m, i medici approfondirono (è il caso di dirlo!) i loro

studi, arrivando a comprendere uno dei fenomeni più particolari che coinvolgono l'organismo nelle

discese molto profonde. Si tratta dello spostamento del sangue dalle zone periferiche del nostro

corpo (mani, braccia, piedi, gambe), verso il tronco. Questo movimento di sangue viene chiamato

emocompensazione (blood shift). Questa particolare capacità di adattamento, che accomuna l'uomo

a tutti i mammiferi marini, instaura all'interno del nostro torace una massa liquida incomprimibile

che ne impedisce l'implosione. Il fenomeno riguarda soprattutto immersioni molto profonde, che

coinvolgono solo marginalmente le immersioni ricreative di cui si sta parlando qui.

In generale, comunque, l'aria presente nei nostri polmoni, immergendoci in apnea, subisce l'aumento

di pressione, riducendo proporzionalmente il volume. Per quanto detto prima riguardo alle pressioni

parziali dei gas che compongono l'aria atmosferica, anche queste varieranno nella discesa e

successiva risalita ed è bene conoscerne gli effetti dal punto di vista fisiologico, che condizioneranno

di conseguenza anche l'aspetto tecnico dell'imersione.

Page 6: MAURO LEVRINI - 2014 - ml-grafica.it di apnea.pdf · • Il Principio di Archimede ... pesante quanto più aumenta la sua salinità cosicché la spinta di galleggiamento in acqua

CORSO DI APNEA - BASI DI FISIOLOGIA

Nel complesso funzionamento dell'organismo, le interazioni fra le varie funzioni e le mutate

condizioni a cui siamo sottoposti in immersione vanno capite per evitare rischi che spesso non sono

immediatamente evidenti. In passato, chi affrontava le attività subacquee privo delle conoscenze

attuali, spesso incorreva in incidenti anche mortali che la medicina dell'epoca non era nemmeno in

grado di spiegare, quando addirittura non dava indicazioni completamente sbagliate. Ancora all'inizio

del '900 si credeva che la gabbia toracica venisse irrimediabilmente schiacciata a profondità superiori

ai 30m ed era pressoché sconosciuta la manovra di compensazione, con la conseguenza di frequenti

rotture dei timpani.

Ricordando le leggi fisiche descritte nella pagina relativa, vediamo quindi di individuare gli argomenti

da analizzare:

Le conoscenze fisiologiche di base

• La respirazione

• La circolazione sanguigna

• La vista

• L'udito

• Sincopi e barotraumi

LA RESPIRAZIONE

La respirazione è un'azione automatica ma controllabile. Una buona respirazione è la base per una

buona apnea.

L'elemento più importante

per la salute delle cellule è

l'ossigeno: si può

sopravvivere settimane senza

cibo, giorni senz'acqua, ma

solo pochi minuti senza aria.

L'ossigeno è necessario per

convertire il glucosio in ATP

(adenosina trifosfato), ossia

energia, utile a sua volta per

rimuovere le tossine; infatti,

senza un sufficiente apporto

di ossigeno, il corpo non

riesce ad espellere i rifiuti e il

funzionamento degli organi, il

lavoro muscolare e le funzioni cerebrali sono legate all'apporto di ossigeno che deriva dalla

respirazione.

Page 7: MAURO LEVRINI - 2014 - ml-grafica.it di apnea.pdf · • Il Principio di Archimede ... pesante quanto più aumenta la sua salinità cosicché la spinta di galleggiamento in acqua

I polmoni sono contenuti e protetti dalla gabbia toracica e separati dagli intestini dal diaframma. La

contrazione e l'espansione della gabbia toracica e del diaframma variano il volume polmonare,

consentendo la ventilazione.

La ventilazione si caratterizza per volumi e capacità:

• Volume corrente Volume di aria inspirato ed espirato durante la normale respirazione;

• Volume di riserva inspiratoria Volume di aria che può essere ulteriormente introdotto dopo una

normale inspirazione;

• Volume di riserva

espiratoria Volume di aria

che può essere

ulteriormente espirato dopo

una normale espirazione;

• Volume residuo Volume

rimanente nei polmoni dopo

l'espirazione massima;

• Capacità vitale Volume che

può essere espirato dopo

un'inspirazione forzata (la

somma di 1, 2 e 3);

• Capacità inspiratoria

Volume che può essere

inspirato dopo

un'espirazione normale (la

somma di 1 e 2);

• Capacità funzionale residua

Volume di aria rimanente

nei polmoni al termine di

un'espirazione normale (la

somma di 3 e 4);

• Capacità polmonare totale

Volume massimo che può essere contenuto nei polmoni dopo un'inspirazione forzata (la somma

di 1, 2, 3 e 4);

Strutturalmente l'apparato respiratorio è composto da:

• naso esterno (fosse nasali e cavità nasali);

• faringe;

• laringe, in cui si trovano le corde vocali;

• trachea;

• bronchi e bronchioli;

• polmoni, costituiti dagli alveoli polmonari;

• pleura, formata da due foglietti, viscerale e parietale che sono rispettivamente adesi al polmone

e alla gabbia toracica creando fra di essi una cavità a pressione negativa, contenente il liquido

pleurico, fondamentale per permettere ai polmoni di non collassare e contrarsi e dilatarsi nei

movimenti respiratori.

Page 8: MAURO LEVRINI - 2014 - ml-grafica.it di apnea.pdf · • Il Principio di Archimede ... pesante quanto più aumenta la sua salinità cosicché la spinta di galleggiamento in acqua

L'inspirazione avviene per un meccanismo attivo: il diaframma si abbassa e i muscoli intercostali

provocano l'espansione delle costole, determinando un aumento complessivo della capacità della

cavità toracica e di conseguenza una depressione che richiama aria dall'esterno. L'espirazione è dova

soprattutto alla componente elastica dei polmoni, che, con il rilassamento dei muscoli intercostali e

del diaframma, li fa tornare al volume di partenza.

La respirazione, quando è automatica, (cioè involontaria), viene regolata dagli impulsi nervosi che

partono dal bulbo, definito anche midollo allungato, che è la parte più inferiore del Tronco cerebrale

e che a sua volta riceve informazioni da barocettori e chemiocettori presenti nei vasi sanguigni, che

rilevano essenzialmente le concentrazioni di

CO2.

La massa dei polmoni composta da migliaia

di alveoli consente di sviluppare una

superficie di quasi 200 m2 e può essere

immaginata come una spugna.

All'interno di ciascun alveolo, attraverso le

diramazioni dei bronchioli, arriva l'aria

inspirata e attraverso le sottilissime pareti

alveolari avvengono gli scambi gassosi con il

sangue. Con un processo osmotico legato

alle differenze di concentrazione gassosa,

l'emoglobina dei globuli rossi cede l'anidride

carbonica (CO2) prodotta dalle cellule e fissa

l'ossigeno (O2) presente negli alveoli. Il

limite minimo perché possa avvenire questo

scambio è di circa 66 mbar di pressione parziale dell'Ossigeno e questo può provocare i problemi

descritti nel capitolo di tecnica.

Page 9: MAURO LEVRINI - 2014 - ml-grafica.it di apnea.pdf · • Il Principio di Archimede ... pesante quanto più aumenta la sua salinità cosicché la spinta di galleggiamento in acqua

LA CIRCOLAZIONE SANGUIGNA

Appurato che respiriamo per avere a disposizione il prezioso ossigeno che serve al nostro organismo

per sopravvivere... occorre che "qualcosa" lo trasporti e lo distribuisca in tutto il corpo e, già che c'è,

raccolga la spazzatura e la porti allo smaltimento! ;-)

Il veicolo è il sangue, per mezzo dei

globuli rossi che, tramite l'emoglobina,

possono fissare O2 e CO2 percorrendo

vene e arterie per raggiungere ogni

singola cellula del corpo.

Intanto, definiamo che si chiamano

arterie tutti i vasi sanguigni che

partono dal cuore, muscolo cavo che

funge da pompa, diramandosi in

sezioni sempre più piccole fino a

diventare capillari (sempre arteriosi)

che, finito il percorso verso la periferia

si trasformano in capillari venosi

ingrandendosi sempre di più fino a

confluire nelle vene, che sono tutti i

vasi sanguigni che arrivano al cuore.

Detto questo possiamo individuare

due "circuiti" distinti: il grande circolo,

che si dirama in tutto il corpo per

portare il sangue dal cuore verso la

periferia e il circolo polmonare o

piccolo circolo che porta il sangue

"sporco" arrivato al cuore, verso i

polmoni dove, grazie alla respirazione,

viene ripulito (come visto prima,

tramite gli alveoli) e torna al cuore per

ricominciare il giro.

Rispetto al suo contenuto e alla circolazione principale e relativamente più "visibile" si iniziò a

chiamare "sangue arterioso" quello ossigenato che circola nelle arterie del grande circolo e per

contro, "venoso" quello povero di ossigeno e carico di CO2 che torna al cuore nelle vene... però,

rispetto al circolo polmonare il discorso si ribalta, perché le arterie polmonari (che partono dal cuore

per andare ai polmoni) porteranno sangue cosiddetto "venoso" e viceversa le vene polmonari che

arrivano al cuore dopo il passaggio nei polmoni, porteranno il sangue appena ripulito e quindi

tipicamente "arterioso"!

Oltre ai globuli rossi (eritrociti, 4/5 milioni/mm3), il tessuto sanguigno è composto anche di globuli

bianchi (fagociti, 7.000/mm3) che si occupano della difesa dell'organismo e piastrine (trombociti,

~300.0003) che hanno la funzione di bloccare le perdite di sangue (emostasi) e contribuiscono alla

sua coagulazione.

Page 10: MAURO LEVRINI - 2014 - ml-grafica.it di apnea.pdf · • Il Principio di Archimede ... pesante quanto più aumenta la sua salinità cosicché la spinta di galleggiamento in acqua

Il cuore è sicuramente il muscolo più importante del nostro corpo e lavora ininterrottamente da

prima della nascita fino alla nostra morte, per pompare il sangue e alimentare tutto l'organismo.

Il battito cardiaco è un atto involontario e non controllabile, se non in minima parte... anche se si dice

che alcuni santoni, dopo una vita di meditazione trascendentale, possano arrivare a rallentarlo fino a

fermarsi. L'automatismo è controllato, come per la respirazione, dai soliti centri bulbari, che

reagiscono a situazioni di stress o impegno fisico, accelerando i battiti per preparare o sostenere un

lavoro muscolare più intenso. Le reazioni emotive (spavento, rabbia) sono uno stimolo ancestrale alla

fuga o alla lotta (che quindi richiedono energia), mentre uno sforzo intenso o prolungato va

comunque sostenuto per consentire il lavoro muscolare necessario.

Abbiamo detto che il cuore lavora come una pompa e come una pompa è provvisto di cavità separate

da valvole che consentono la

gestione indipendente dei due

circoli. La fase di contrazione

(compressione) è detta sistole

e quella di dilatazione

(aspirazione), diastole.

Durante la diastole tutto il

cuore è rilassato, permettendo

al sangue di fluire nelle

quattro cavità. Il sangue

confluisce dalle vene cave

nell'atrio destro e dalle vene

polmonari nell'atrio sinistro.

Le valvole atrioventricolari

sono contemporaneamente

aperte e consentono il

passaggio del sangue dagli atrii

ai ventricoli. La diastole dura

circa 0,4 secondi, abbastanza da permettere ai ventricoli di riempirsi quasi completamente.

La sistole comincia con una contrazione degli atrii, della durata di circa 0,1 secondi, che determina il

riempimento completo dei ventricoli. Quindi si contraggono i ventricoli per circa 0,3 secondi. La loro

contrazione chiude le valvole atrioventricolari e apre le valvole semilunari; il sangue povero di

ossigeno viene spinto verso i polmoni, mentre quello ricco di ossigeno si dirige verso tutto il corpo

attraverso l'aorta.

Una frequenza cardiaca compresa tra 60 e 100 battiti per minuto (bpm) è considerata fisiologica; una

frequenza inferiore ai 60 bpm viene chiamata bradicardia; una frequenza superiore ai 100 bpm è

definita tachicardia. Non sempre le bradi- o tachicardie sono patologiche (ad esempio tachicardia

fisiologica nell'attività fisica). Durante il sonno il cuore pompa 5 litri di sangue in un minuto, mentre

durante un'attività fisica moderata la quantità è doppia. Per un'attività pesante o una vigorosa

attività atletica si arriva a 20-30 litri al minuto.

Page 11: MAURO LEVRINI - 2014 - ml-grafica.it di apnea.pdf · • Il Principio di Archimede ... pesante quanto più aumenta la sua salinità cosicché la spinta di galleggiamento in acqua

LA VISTA

La luce attraversando un mezzo trasparente,

viene deviata proporzionalmente alla densità del

mezzo attraversato (rifrazione). L'aria e l'acqua

hanno due coefficienti di rifrazione diversi pari

rispettivamente a 1 e 1,33 però la cornea del

nostro occhio, a contatto con l'aria, ha lo stesso

indice di rifrazione dell'acqua, ciò permette di

deviare i raggi luminosi che colpiscono la cornea,

in modo tale da esseri messi a fuoco sulla retina,

ma se ci immergiamo in acqua, a contatto con la

cornea abbiamo un liquido con lo stesso indice di

rifrazione pertanto i raggi luminosi non

subiscono alcuna deviazione e non vengono

messi a fuoco sulla retina ma dietro di essa.

La maschera subacquea ricrea uno strato di aria

davanti alla cornea, consentendoci una visione

nitida, ma si determina comunqe una certa

rifrazione dovuta al passaggio dei raggi luminosi

attraverso l'acqua, il vetro della maschera e l'aria

da essa incamerata, ciò porta a percepire un'immagine più vicina e ingrandita di circa 1/3.

Oltre alla rifrazione, anche la

diffusione della luce da parte

dell'acqua, contribuisce a

peggiorare la visione subacquea e

la visione dei colori è

condizionata dal fenomeno

dell'assorbimento: la luce solare

penetra con difficoltà nell'acqua

e i vari colori si comporteranno in

maniera diversa in rapporto alla

lunghezza d'onda del loro raggio

luminoso; già dai primi metri si

perde il rosso e in sequenza giallo e verde, oltre i 40 m sarà presente solo più il blu. Solo illuminando

un oggetto con un'altra fonte di luce (un faro subacqueo) se ne potranno vedere i colori naturali.

Chi è affetto da disturbi della vista (miopia, presbiopia) necessiterà di una maschera ottica, con lenti

appropriate per correggere il difetto, analogamente all'uso degli occhiali nella vita normale. Alcune

dei principali produttori di attrezzature subacquee prevedono maschere di questo tipo per

correggere i difetti più comuni, altrimenti è possibile rivolgersi ad un ottico per far incollare una lente

adatta al vetro interno della maschera.

Page 12: MAURO LEVRINI - 2014 - ml-grafica.it di apnea.pdf · • Il Principio di Archimede ... pesante quanto più aumenta la sua salinità cosicché la spinta di galleggiamento in acqua

L'UDITO

Gli orecchi costituiscono l'organo dell'udito. Il fatto che siano due ci consente di distinguere la

provenienza dei suoni, perché il cervello è in grado di valutare l'eventuale differenza del tempo di

arrivo dei suoni tra un orecchio e l'altro (milionesimi di secondo) per determinarne la direzione.

Dal punto di vista anatomico l'orecchio è suddiviso in tre parti: l'orecchio esterno, costituito dal

padiglione e dal condotto uditivo; l'orecchio medio, che parte dalla membrana timpanica, racchiude

la catena degli ossicini (martello, incudine e staffa) ed è collegato al naso e al retrobocca attraverso la

tuba di Eustachio; l'orecchio interno, con l'apparato vestibolare, la coclea e i canali semicircolari.

Dal punto di vista funzionale invece, l'orecchio svolge una duplice funzione: quella uditiva, che ci

permette di sentire e quella vestibolare (dell'equilibrio), che regola gli aggiustamenti degli occhi e del

corpo in rapporto al movimento.

Mentre per la funzione uditiva sono coinvolti tutti i settori dell'orecchio, la funzione vestibolare viene

svolta esclusivamente nell'orecchio interno, dai canali semicircolari e dal vestibolo.

Page 13: MAURO LEVRINI - 2014 - ml-grafica.it di apnea.pdf · • Il Principio di Archimede ... pesante quanto più aumenta la sua salinità cosicché la spinta di galleggiamento in acqua

Rispetto all'attività subacquea, sono importanti

alcune considerazioni legate alle diverse condizioni

ambientali. L'acqua è più densa dell'aria e

l'impulso sonoro si diffonde molto più lontano e

più velocemente. L'udito umano è adatto a

captare suoni dai 20 hertz fino a 20mila hz, ma

sott'acqua, la capacità uditiva aumenta grazie alla

trasmissione ossea tramite l'osso mastoide,

arrivando, secondo recenti studi, a sentire suoni e

rumori con frequenza pari a 200mila hz

(ultrasuoni).

Abbiamo già visto nella parte tecnica gli effetti (e i rischi) della pressione sul timpano e le manovre di

compensazione necessarie, ma occorre anche evidenziare che sott'acqua verrà meno una delle

facoltà dell'udito: distinguere la provenienza dei suoni. In aria, la velocità di propagazione delle onde

sonore è di 300 m/sec, mentre in acqua si raggiunge un valore 4 volte e mezzo superiore. Questo

annulla la possibilità di apprezzare una differenza di tempi di percezione da un orecchio all'altro e di

conseguenza la direzione da cui proviene il suono, mentre la maggiore propagazione falsa la

valutazione della distanza dell'origine, basata sui parametri abituali che paragonano la conoscenza

del suono all'intensità percepita.

Ne consegue che, pur essendo in grado di sentire "meglio" i suoni, risulta più difficile localizzarli e

quindi aumenta il rischio di non percepire correttamente un eventuale pericolo.

Page 14: MAURO LEVRINI - 2014 - ml-grafica.it di apnea.pdf · • Il Principio di Archimede ... pesante quanto più aumenta la sua salinità cosicché la spinta di galleggiamento in acqua

SINCOPI E BAROTRAUMI

Può essere utile conoscere i principali incidenti in cui può incorrere l'apneista, per il sano principio

del: "Se li conosci li eviti!". Escludendo gli incidenti "meccanici" quali urti contro gli scogli o le barche

in transito, crampi, ingestione accidentale di acqua, contatto con agenti urticanti o pesci pericolosi,

qui analizzeremo solo quelli di natura fisiologica o derivanti dalle variazioni di pressione dovute

all'immersione.

Sincopi

L'incidente classico da apnea è la sincope, a cui si è già accennato in altri paragrafi e che qui cerco di

spiegare negli aspetti principali.

Nell'immersione in apnea il subacqueo può contare soltanto sull'ossigeno presente nel suo

organismo (nei polmoni, nel sangue, nei tessuti) all'inizio dell'apnea. Durante l'immersione,

l'ossigeno gradualmente diminuisce e parallelamente aumenta l'anidride carbonica prodotta

dall'attività metabolica dei vari tessuti del corpo umano.

Sarà proprio il graduale accumularsi di CO2 nel sangue a stimolare i centri bulbari cerebrali preposti

alla respirazione, che a loro volta stimoleranno nel subacqueo la ripresa della respirazione attraverso

le contrazioni diaframmatiche, che però dopo un certo tempo cessano. Queste contrazioni del

diaframma vanno dunque considerate dal subacqueo come un utilissimo campanello d'allarme:

infatti il nostro organismo non può tollerare tassi troppo elevati di CO2 (ipercapnia) e tassi troppo

bassi di O2 (ipossia). Al di sopra (per la CO2) e al di sotto (per O2) di questi valori si avrebbe la

sincope respiratoria, con conseguente perdita di coscienza, detta appunto sincope da apnea

prolungata. Una sincope di questo tipo normalmente si risolve da sola dopo 30" - 1min, con un

tentativo spontaneo di ripresa della respirazione. È evidentemente essenziale che a questo punto ci

sia qualcuno che ci assite, anche solo tenendoci la testa fuori dall'acqua, perché altrimenti questa

inspirazione provocherebbe l'entrata di acqua nei polmoni con conseguente annegamento!

Le cause possono essere principalmente due:

• L'effettivo prolungamento dell'apnea

• La riemersione da un'apnea in profondità (anche qui comunque troppo prolungata)

Nel primo caso la causa principale è quasi sempre l'attuare, prima dell'apnea, una iperventilazione

(respirazione forzata) troppo prolungata. L'iperventilazione può essere praticata con metodi diversi e

tende comunque ad abbassare il tasso alveolare ed ematico dell'anidride carbonica.

Il sangue quando lascia i polmoni, anche nella normale respirazione, è pressoché saturo di O2: di

conseguenza l'iperventilazione riesce ad aumentare di pochissimo la quantità di ossigeno a nostra

disposizione per l'apnea e per questo sono comunque sufficienti pochi atti respiratori profondi.

Continuando l'iperventilazione sarà solo la CO2 a diminuire, ritardando l'insorgere degli stimoli

respiratori e riducendo sensibilmente il tempo che intercorre tra l'inizio delle contrazioni

diaframmatiche e la sincope da ipossia.

Nel secondo caso, il meccanismo è stato descritto ampiamente nella parte di tecnica, ma ribadisco

che oltre i 10m non è il caso di attendere le contrazioni diaframmatiche per iniziare la risalita. La

regola per immergersi in apnea in sicurezza è quella di non compiere più di 4 /5 atti respiratori

profondi ricercando mentalmente la massima tranquillità psicologica. È infatti quest'ultimo il fattore

di gran lunga più importante nel determinare la durata dell'apnea.

Page 15: MAURO LEVRINI - 2014 - ml-grafica.it di apnea.pdf · • Il Principio di Archimede ... pesante quanto più aumenta la sua salinità cosicché la spinta di galleggiamento in acqua

Un altro tipo di sincope possibile è quella detta "da idrocuzione", cioè praticamente provocata da

uno shock termico per l'ingresso improvviso in acqua dopo essere stati al sole o comunque al caldo

per lungo tempo. Non si può dire che sia strettamente connesso all'attività dell'apneista, ma è

comunque utile conoscere questa eventualità nelle nostre uscite al mare.

Da non dimenticare, comunque, di avere sempre un compagno che veglia sul nostro operato: da

questo ultimo aspetto può dipendere la nostra vita.

Barotraumi Si intende barotrauma un trauma fisico dovuto alla pressione. La manifestazione tipica

nell'immersione è la rottura del timpano dovuta all'aumento di pressione nella discesa verso il

fondo, non adeguatamente compensata dalle manovre descritte nel paragrafo di tecnica. Da notare

che in caso di difficoltà di compensazione per infiammazione della mucosa e presenza di catarro che

ostruisce le tube, l'inconveniente, anche se più raramente, si può verificare anche in senso inverso,

cioè per estroflessione, se, dopo aver compensato nella discesa, si risale, magari troppo velocemente

e l'aria che era stata spinta a forza nell'orecchio medio non riesce più a uscire a causa dell'ostruzione.

Una seconda causa può essere la presenza di una bolla d'aria nel condotto uditivo (orecchio esterno)

che, liberandosi improvvisamente per un movimento della testa, provoca l'ingresso violento di acqua

che battendo sul timpano lo può sfondare per il cosiddetto "colpo d'ariete".

La rottura del timpano, oltre al dolore, provoca l'ingresso di acqua nell'orecchio medio, con possibili

danni alla catena degli ossicini ed effetti destabilizzanti sull'orientamento e l'equilibrio, con vertigini

anche violente. In questi casi, oltre all'intervento del compagno di immersione (!) è utile mantenere il

controllo e sganciare la cintura di zavorra per riacquistare una spinta di galleggiamento che ci riporti

in superficie. Normalmente il timpano si cicatrizza da solo e se non ci sono altri danni l'udito non

dovrebbe subire menomazioni rilevanti, salvo una possibile riduzione a causa di rotture (e

cicatrizzazioni) ripetute che potrebbero irrigidire la membrana.

Altri inconvenienti dovuti alla mancata o difficile compensazione sono i forti dolori alle cavità ossee

del cranio (seni frontali e mascellari) o le piccole lesioni capillari all'occhio o alla pelle all'interno della

maschera, di cui si è già parlato nella pratica.

In ultimo si può considerare l'eventualità che l'apneista si trovi nella possibilità di prendere aria da un

subacqueo con autorespiratore che lo soccorra in profondità facendolo respirare dal suo erogatore

oppure respiri l'aria rimasta imprigionata sotto la volta di una cavità subacquea. Se poi l'apneista

risale autonomamente, deve ricordarsi che l'aria respirata in profondità, risalendo si espande (legge

di Boyle) e i suoi polmoni NON sono in grado di contenerla! Bisognerà lasciar uscire quella in eccesso,

senza trattenere l'espirazione, per evitare lacerazioni negli alveoli con possibili gravissime

conseguenze, quali embolia gassosa traumatica (EGA), danni polmonari e conseguenti emorragie che

possono provocare la morte!

Analogamente si può verificare l'eventualità (meno prevedibile) di una dolorosa espansione di gas

intestinali o gastrici, dovuti a fermentazioni di un'alimentazione poco corretta, che devono liberarsi

per "via naturale", magari agevolando questa uscita con una favorevole posizione del corpo (a testa

in alto per lo stomaco, viceversa per l'intestino) ;-)

Bisogna dire però che nei brevi tempi dell'apnea difficilmente possono accumularsi quantità di gas

tali da creare reali fastidi.

Page 16: MAURO LEVRINI - 2014 - ml-grafica.it di apnea.pdf · • Il Principio di Archimede ... pesante quanto più aumenta la sua salinità cosicché la spinta di galleggiamento in acqua

CORSO DI APNEA - TECNICA

Per comprendere a fondo (!) il motivo di molte delle indicazioni che seguono è utile, se non

indispensabile aver acquisito le nozioni teoriche di base di fisica e di fisiologia riportate nelle pagine

precedenti. Lo scopo è di puntualizzare su alcuni aspetti della didattica pratica che ritengo

fondamentali, basandomi su 10 anni di esperienza diretta nella conduzione di questi corsi, per dare

qualche consiglio, proporre le mie esperienze e qualche trovata particolare da applicare nella pratica

in piscina

A volte potrò sembrare troppo insistente sull'acquaticità e sui movimenti corretti, ma ritengo che

muoversi bene in acqua, soprattutto in apnea, non sia solo una questione di estetica, ma un

elemento fondamentale per avanzare nell'acqua nel modo più efficace e quindi risparmiare ossigeno

prolungando lo spazio e il tempo a disposizione.

IL CONCETTO DI ALLENAMENTO IN PISCINA

Nei corsi l'attività principale si svolge in piscina, ma è necessario che l'allievo impari ad affrontare e

gestire le situazioni che si presenteranno al mare. Capire i problemi e le difficoltà, in un ambito

protetto e controllato, aiuterà ad evitare incidenti quando ci troveremo al mare, in situazioni spesso

prive di assistenza e con scarse possibilità di ricevere aiuti

Voglio aprire una parentesi sul nuoto di superficie che quasi sempre si fa in piscina, definendolo

"riscaldamento". In qualsiasi sport il cosiddetto riscaldamento si fa per impegnare gradualmente la

muscolatura, accelerando i battiti cardiaci con un'attività fisica moderatamente più intensa, per

aumentare la circolazione del sangue e smaltire meglio il carico di acido lattico che si accumula a

seguito del lavoro muscolare maggiore richiesto dallo sport. Ai fini dell'apnea in sé, questo

riscaldamento NON è necessario, perché in apnea dovremo cercare di limitare al massimo lo sforzo

muscolare, al fine di ridurre il consumo di ossigeno! Un paio di vasche potrebbero essere utili per

acclimatarsi alla temperatura dell'acqua, ma nulla di più. Però l'attività in piscina serve a prepararci

alle immersioni al mare, dove nuoteremo anche per ore per esplorare i fondali e potremmo trovarci

in presenza di correnti e di onde che ci ostacoleranno. È quindi utile un certo allenamento muscolare

e un'abitudine all'uso delle pinne, per cui anche queste vasche (spesso noiosissime) hanno la loro

giustificazione... soprattutto quando si fanno usando, appunto, le pinne.

In piscina vanno quindi sviluppate le basi per una buona apnea, che, senza pretese agonistiche,

permettano di ottenere buoni tempi, resistenza e prestazioni che consentano di divertirsi in

sicurezza.

Saranno perciò fondamentali le tecniche di base:

• Una corretta respirazione

• La rana subacquea

• Una buona pinneggiata

• Una capovolta efficace

• Una corretta compensazione

• L'attività subacquea

• Un'attrezzatura adatta

Page 17: MAURO LEVRINI - 2014 - ml-grafica.it di apnea.pdf · • Il Principio di Archimede ... pesante quanto più aumenta la sua salinità cosicché la spinta di galleggiamento in acqua

LA RESPIRAZIONE

La respirazione è un'attività automatica, ma controllabile. Come si apprende nella teoria, la

respirazione è controllata da un sistema di barocettori e chemiocettori che essenzialmente rilevano

la presenza di CO2 nel sangue e in base a queste rilevazioni il centro del respiro, nel cervello, regola la

frequenza e l'ampiezza del respiro. Questo però è un meccanismo adatto ad attività aerobiche, dove

l'apporto d'aria è costante e sufficiente a soddisfare le necessità vitali. In apnea, dove la riserva d'aria

è quella contenuta nei polmoni al momento dell'immersione e non può essere rinnovata, sarà

necessaria una respirazione costantemente controllata per tutta la durata degli intervalli tra una

discesa e l'altra, al fine di avere sempre condizioni di partenza ottimali per poter prolungare

un'apnea, anche in rapporto allo sforzo sostenuto.

Cercando di descrivere in modo semplice i meccanismi che regolano l'apnea, bisogna innanzitutto

capire che l'iperventilazione, in qualsiasi forma, NON aumenta se non minimamente la disponibilità

di O2 (l'emoglobina, respirando normalmente, è già a livelli di saturazione attorno al 96-98%). Quella

che cambia è la percentuale di CO2, che con una ventilazione forzata può ridursi anche di 1/5,

ritardando così lo stimolo a respirare. La sensazione del neofita quando afferma che gli "manca il

fiato" già dopo pochi secondi di apnea è dovuta soprattutto ad un cattivo uso della respirazione

prima dell'apnea.

Si è disquisito a lungo su forme di iperventilazione e/o respirazione yoga. Probabilmente la

respirazione yoga è ottima in preparazione, a secco, per un'immersione sportiva da record, ma le

tecniche yoga relative alla respirazione non sono altro che le tecniche di ventilazione polmonare

ottimali che abbiamo sempre insegnato (io almeno le ho insegnate) prima dell'arrivo di mode

"innovative". Ventilare utilizzando aree polmonari poco interessate nella respirazione automatica,

consentendo un miglior ricambio ed eliminazione della CO2 non è un'invenzione orientale! Del resto

ho troppo rispetto per le antiche culture orientali per apprezzare gli scimmiottamenti fatti in

occidente, spesso da autentici ciarlatani. Per contro sono ormai noti i rischi di un'iperventilazione

forzata e prolungata, che riduce troppo i livelli di CO2 ritardando i "campanelli d'allarme" delle

contrazioni diaframmatiche. Io sono abbastanza scettico su queste considerazioni, tutte

correttissime, per carità, ma che mostrano dei limiti se applicate ad un'attività sportiva di svago. A

mio parere un buon apneista non ha bisogno di "campanelli d'allarme" per capire quando la sua

apnea volge al termine... ha bisogno piuttosto dell'abitudine a una costante consapevolezza e attenta

vigilanza sulle sue condizioni fisiche ed emotive. Nuotando in superficie, mentre si osserva il fondale

per decidere dove e quando immergersi, non c'è yoga che tenga e l'unica "tecnica" è un respiro

profondo (ma non eccessivamente) e costante, attraverso un aeratore non troppo lungo o troppo

grosso (per non aumentare troppo lo spazio morto), che mantenga buoni livelli di ventilazione e

ricambio nei polmoni, con 3-4 respirazioni più profonde prima della capovolta.

Anche in piscina, tra un esercizio e l'altro, si consiglia di eseguire quella che chiamiamo "respirazione

alternata". Si tratta semplicemente di respirare, rilassandosi, tenendosi al bordo o alla corsia,

espirando sott'acqua e riaffiorando appena per inspirare. NON deve essere un "esercizio", ma un

momento di recupero in cui è importante respirare profondamente e con ritmo, ma è quasi più

importante concentrarsi sul rilassamento dei muscoli, partendo idealmente dalla testa e scendendo

alle spalle, al busto e alle gambe. Mentre si espira dovrebbe diventare abituale rilasciare la

spontanea contrazione dei muscoli, abbandonandosi, con l'unico appoggio della mano che ci sostiene

e senza altri movimenti. Io preferisco fare questa respirazione lasciandomi andare sott'acqua (per la

lunghezza del braccio che mi sostiene) sfuttando così la compressione di quel metro d'acqua che

Page 18: MAURO LEVRINI - 2014 - ml-grafica.it di apnea.pdf · • Il Principio di Archimede ... pesante quanto più aumenta la sua salinità cosicché la spinta di galleggiamento in acqua

aiuta acomprimere l'addome, migliorando la ventilazione. Bastano 7-8 atti respiratori completi e si

riparte! Questo in alternativa alle normali 4 chiacchiere tra una vasca e l'altra... che non sono certo il

modo migliore per prepararsi a un'apnea ;-)

È comunque importante considerare alcuni aspetti "collaterali" legati alla corretta ventilazione;

aspetti su cui, secondo me, si è fatta molta "letteratura", stabilendo spesso dei dogmi ingiustificati: il

primo è relativo agli ultimi metri della risalita, che sono sempre i più critici per il crollo della pressione

parziale dell'ossigeno, che può portare alla sincope proprio nella risalita. Di solito si consiglia di

evitare l'ulteriore sforzo di soffiare via l'acqua presente nel boccaglio per ricominciare a respirare.

Questo è corretto, ma bisogna valutare se si è in una situazione estrema, dopo un'apnea protratta o

se ci sono margini che consentono di farlo. Nel primo caso si sputa il boccaglio, nel secondo non è

necessario (e qui ritorna il discorso sulla coscienza di quello che si sta facendo) e sputando il

boccaglio si è obbligati a respirare alzando la testa, con la bocca a pelo d'acqua, rischiando che uno

spruzzo di onda ci "affoghi" proprio mentre, finalmente, facciamo il primo bel respiro a pieni

polmoni! Una mia abitudine, collaudata in tanti anni di immersioni, è quella di cominciare a espirare

(nell'aeratore) circa 1/2 metro prima della superficie. Questo consente di uscire concludendo

l'espirazione senza sforzo e trovarsi con il tubo vuoto (senz'acqua) pronti per un'immediata

inspirazione.

Un secondo aspetto è quello del "recupero" dell'aria espirata per compensare la maschera, che, in

risalita, espandendosi, uscirebbe e andrebbe sprecata. Recuperarla mantenendo una leggera

inspirazione dal naso, negli ultimi metri, è forse più un sollievo psicologico ed è possibile solo se non

c'è acqua nella maschera, altrimenti si rischia che il rimedio sia peggiore del male. Se usiamo una

buona maschera da apnea, a volume ridotto, la quantità d'aria sprecata è irrisoria.

In ultimo e in relazione a questo discorso, apro una parentesi, ispirata alla visione di tante scene

subacquee che siamo abituati a vedere al cinema o nei telefilm. Invariabilmente vediamo subacquei

(o semplicemente gente caduta in acqua) che, mentre sono immersi espirano piccole o grandi

quantità d'aria. Soprattutto nelle scene di lotta o di spasmodiche risalite vediamo esagerate colonne

di bolle uscire dalla bocca di chi già dovrebbe essere in carenza d'aria, con effetto indubbiamente

drammatico, ma con grande sconcerto di chi sott'acqua ci va davvero. La "respirazione interna" a

livello polmonare, è consentita dagli scambi gassosi alveolari, che necessitano di tutta l'aria

disponibile (quella che abbiamo inspirato in superficie). Buttarla fuori è una manovra inutile e

pericolosa (sostanzialmente stupida!).

Capisco che il motivo di queste scene risiede nel fatto che gli attori in realtà respirano da erogatori

passati (fuori inquadratura) dai subacquei di supporto e quindi non hanno bisogno di economizzare

l'aria, anzi, soprattutto in risalita DEVONO lasciar uscire l'aria in eccesso (per l'aumento di volume di

quella respirata in profondità) ... però rimane l'aspetto "scenico" errato e che potrebbe indurre a

gravi errori chi si trovasse realmente in situazioni analoghe senza le conoscenze pratiche necessarie.

Page 19: MAURO LEVRINI - 2014 - ml-grafica.it di apnea.pdf · • Il Principio di Archimede ... pesante quanto più aumenta la sua salinità cosicché la spinta di galleggiamento in acqua

LA RANA SUBACQUEA

Senza le pinne lo stile di nuoto più efficace e meno dispendioso è

la rana. Tralasciando lo stile agonistico, che, privilegiando la

velocità, è più improntato a una forte spinta di braccia, il tipo di

rana, anche di superficie, che si pratica per l'apnea deve sempre

essere improntato all'ottenimento del massimo risultato con il

minimo sforzo. A differenza del nuoto in superficie, dove la

bracciata è molto ridotta e serve praticamente solo per dare

l'appoggio per sollevare la testa nella respirazione, sott'acqua la

bracciata è completa e la spinta risulta in genere leggermente

maggiore di quella delle gambe a rana. La passata di gambe

comunque deve essere efficace per contribuire all'avanzamento

e diventano importanti le pause, esasperate fino quasi all'arresto,

per risparmiare le energie e prolungare l'apnea.

Una terza cosa, meno appariscente ma altrettanto importante è

l’ottenimento di un assetto perfetto, che consente al corpo di

restare in perfetto equilibrio

idrostatico, consentendo di

rivolgere tutta la forza delle

spinte al solo avanzamento,

senza sprecare energie per

non salire verso l'alto o

raschiare il fondo.

Nelle tre figure si vedono

rispettivamente 1: la partenza

dal bordo, con il caricamento

delle gambe e la spinta. 2:

dopo la pausa, la bracciata

completa, con la successiva

pausa a braccia lungo i

fianchi. 3: il caricamento delle

gambe mentre si portano avanti le braccia, con un deciso colpo di gambe finale e altra pausa distesi.

Page 20: MAURO LEVRINI - 2014 - ml-grafica.it di apnea.pdf · • Il Principio di Archimede ... pesante quanto più aumenta la sua salinità cosicché la spinta di galleggiamento in acqua

LA PINNEGGIATA

Sono abbastanza deluso dalla progressiva faciloneria con cui si insegna e la conseguente perdita di

una buona tecnica. Una pinneggiata corretta non è solo questione di eleganza, ma permette di

avanzare meglio nell'acqua, riducendo lo sforzo e consentendo apnee migliori. Eppure non vedo più

istruttori che insistano nel correggere questi movimenti... e quel che è peggio è che neanche loro

pinneggiano in maniera corretta!

Sono stufo di vedere in acqua quelli che io chiamo "palombari ciclisti" che "scalciano" nell'acqua

muovendo le gambe solo dal ginocchio in giù, dimezzando la resa perché piegando il ginocchio si

porta indietro il tallone, "sfilando" la pinna nell'acqua senza nessuna spinta. Ancor peggio è il

movimento con i piedi a martello che zappano inutilmente nell'acqua, ma fortunatamente questo è

un difetto che riguarda solo i peggiori autodidatti. Il movimento corretto è dunque a gambe tese (ma

non rigide) con i piedi distesi che "pennellano nell'acqua, spingendo in entrambe le passate.

Anche in verticale è ridicolo e faticoso "pestare" con un movimento "a bicicletta" che, oltre che

ridicolo a vedersi è anche poco produttivo in termini di spinta, perché, alzando il ginocchio (spesso

con il piede a martello, come se si salisse una scala) si provoca una spinta negativa nell'acqua (si tira

verso il basso) e spingendo con la pianta del piede la spinta è molto inferiore a quella della pinna

distesa e che effettua il corretto movimento a "pennello" a gambe distese.

In sostanza, in generale, ma principalmente per l'apnea, non serve pinneggiare con forza, ma

pinneggiare BENE!

I vostri istruttori (spero) vi avranno spiegato nella pratica questi concetti e non mi dilungo oltre.

Piuttosto vorrei accennare alla pinneggiata "a delfino" che in apnea è molto usata e che, se fatta

bene, ha una resa maggiore, perché si utilizza anche il movimento del corpo, oltre a quello delle

gambe. Bisogna fare attenzione a non esagerare nell'ondeggiamento e trovare il giusto equilibrio per

ottenere un movimento fluido ed efficace, altrimenti il lavoro muscolare diventa eccessivo e vanifica i

vantaggi. Ovviamente è meglio utilizzare pinne "lunghe", tipicamente da apnea e il movimento sarà

regolato anche in base alla loro maggiore o minore rigidità. L'ideale sarebbe il monopinna, ma qui

entriamo nel campo agonistico, le cui esigenze sono diverse da quelle dell'immersione sportiva.

Page 21: MAURO LEVRINI - 2014 - ml-grafica.it di apnea.pdf · • Il Principio di Archimede ... pesante quanto più aumenta la sua salinità cosicché la spinta di galleggiamento in acqua

LA CAPOVOLTA

Chi non sa nuotare ha paura, essenzialmente, di "andare a fondo". Chi si affaccia all'attività

subacquea, invece, si rende subito conto che, chi più chi meno, tutti galleggiamo e "andare a fondo"

non è così facile come sembra. L'errore più comune in questi tentativi e quello di cercare di "tirarsi

sotto" a forza di braccia e, in più, sbattendo forsennatamente i piedi quando ancora non sono

immersi, schizzando tutti i vicini e... spaventando i pesci! ;-)

La capovolta invece va fatta bene, soprattutto per scendere senza sforzo e quindi senza bruciare

inutilmente ossigeno, che è il combustibile per lo sforzo muscolare. Come certo avrete constatato,

quello che spinge il corpo sott'acqua è ESCLUSIVAMENTE il peso delle gambe che vengono sollevate

in verticale fuori dall'acqua. Per ottenere questo ci si avvale di un movimento ben preciso detto

"capovolta".

Senza pinne si usa la capovolta in raccolta, con le pinne quella a squadra; in entrambe il primo

movimento da fare è, paradossalmente, di sostentamento, con le braccia che spingono (invece di

tirare) da dietro e dall'alto verso il basso e avanti, per dare l'appoggio necessario per effettuare una

semirotazione, rimanendo inizialmente in superficie, e poter distendere le gambe in alto, sulla

verticale del tronco, nel momento in cui quest'ultimo si troverà perpendicolare alla superficie con le

braccia puntate verso il fondo. Nella capovolta in raccolta il movimento delle braccia è più

"avvolgente" e parte dal sostentamento in verticale (a rana), con una mezza bracciata in avanti per

aiutare la rotazione del corpo; in quella in squadra (dalla posizione orizzontale) basterà

semplicemente portare le braccia distese lungo i fianchi e spingerle, sempre distese, in avanti per

dare l'appoggio al tronco che si piega a 90 gradi. In entrambi i casi, alla fine della rotazione, il tronco

si troverà perpendicolare alla superficie e le braccia distese in avanti, sulla stessa linea. A questo

punto il semplice peso delle gambe, sollevate in verticale, sarà sufficiente a spingere il corpo

sott'acqua senza altri movimenti e senza sforzo. Appena i piedi (o la pala delle pinne) saranno

immersi, si potrà cominciare il movimento di spinta delle gambe (a rana o con la pinneggiata) e la

prima bracciata. Se non si arriva a trovarsi completamente sott'acqua con il solo movimento della

capovolta, vuole semplicemente dire che NON è stata fatta bene!

Page 22: MAURO LEVRINI - 2014 - ml-grafica.it di apnea.pdf · • Il Principio di Archimede ... pesante quanto più aumenta la sua salinità cosicché la spinta di galleggiamento in acqua

LA COMPENSAZIONE

All'aumentare della profondità e quindi della pressione, tutte le parti comprimibili, sia del corpo sia

dell'attrezzatura, supiscono una riduzione di volume.

Riguardo al corpo tutte le cavità contenenti aria sono

coinvolte. L'effetto più evidente si ha nel timpano, che si

introflette dolorosamente perché l'aria contenuta

nell'orecchio medio comprimendosi, non si oppone più

alla pressione esterna in aumento. Anche le cavità (seni)

del cranio (soprattutto frontali e paranasali) subiscono

questa pressione, ma se i canali ossei di comunicazione

tra di loro sono liberi, non ne risentiamo. Per ovviare a

questi problemi si esegue la manovra detta

"compensazione". Fisiologicamente ci può essere una

maggiore o minore facilità soggettiva a compensare; c'è

chi ha la fortuna di avere canali di comunicazione sempre liberi e ampi e chi ha una minore pervietà,

ma, in presenza di sintomi da raffreddore e infiammazione delle vie respiratorie, può risultare

difficoltoso (e doloroso).

La manovra più banale e comunemente usata (Valsalva, dal nome del medico che usava questa

tecnica per espellere le sostanze purulente dall'orecchio medio in caso di otite), consiste nel tenere

tappato il naso, comprimendo, con la contrazione dei muscoli addominali, una piccola quantità d'aria

come per espirare. Quest'aria, non potendo uscire dal naso, si insinua nelle cavità in comunicazione

col retrobocca (tube di Eustachio) e va a compensare timpano e seni facciali. Presenta il difetto di

coinvolgere un certo sforzo muscolare e polmonare nell'esecuzione. Questo può essere rischioso in

certe condizioni, ma se si ha l'accortezza di eseguirla senza aspettare di essere al limite del dolore

(con un maggiore divario di pressione da bilanciare) in genere non comporta inconvenienti.

Una manovra un po' più complessa e difficile da spiegare, che prende il nome da 2 pionieri della

subacquea italiana (Marcante-Odaglia) ed è conosciuta a livello internazionale col nome di 'Manovra

Frenzel', sfrutta sia il movimento sia la pressione: la lingua chiude il collegamento con i polmoni,

iniziando un movimento simile alla deglutizione e in seguito fungendo da pompa, verso l'alto, per

esercitare la spinta pressoria verso l'orecchio medio. Anche questa manovra, come il Valsalva, si

effettua con le narici chiuse e, richiedendo un'esecuzione più elaborata, va imparata con un po' di

pratica.

Passando ora all'attrezzatura, i problemi si concentrano nella maschera, generando il cosiddetto

"colpo di ventosa". Sento con sconforto e raccapriccio che ancor'oggi c'è qualcuno che insiste

nell'affermare che il colpo di ventosa avviene in risalita... mentre ovviamente è esattamente il

contrario! Forse degli effetti ce ne accorgeremo una volta risaliti, ma l'inconveniente è certamente

avvenuto scendendo!! Analizziamo, una volta per tutte, il meccanismo.

Scendendo sotto la superficie anche la maschera è soggetta all'aumento di pressione e, disponendo

di un bordo morbido ed elastico, si schiaccia progressivamente sul viso, seguendo la diminuzione

dell'aria contenuta nel suo interno.

Page 23: MAURO LEVRINI - 2014 - ml-grafica.it di apnea.pdf · • Il Principio di Archimede ... pesante quanto più aumenta la sua salinità cosicché la spinta di galleggiamento in acqua

Fino a un certo punto (nei primi 2 metri) questa elasticità è in genere sufficiente ad ottenere una

pressione interna uguale a quella esterna, ma, esaurita la possibilità di ridurre il volume interno, la

pressione interna resterà quella che è, mentre quella esterna continua ad aumentare (2). Questa

depressione all'interno della maschera fa sì che i fluidi (sangue, muco) del corpo, che è comunque

esposto alla pressione esterna, tendano ad essere risucchiati nella maschera, che funge appunto da

ventosa.

Ciò può provocare la rottura dei vasi capillari più superficiali (dell'occhio o

della pelle, soprattutto dove è compressa dal bordo della maschera), che

non provoca gravi conseguenze, ma resta fastidiosa e lievemente

impressionante. È comunque evidente che la causa è LA DISCESA, perché

in risalita la maschera si allontana dal viso, NON perché una qualche

misteriosa entità la "tira" in fuori, ma perché l'aria al suo interno, aumentando di volume, la spinge a

ritornare alla situazione iniziale. Per essere più chiari, il fraintendimento probabilmente deriva

proprio dall'accostamento all'immagine della ventosa. Se pensate al comune stura-lavandini, la

manovra che si fa con quella "ventosa" è diversa: prima si comprime forzatamente, FACENDO USCIRE

l'aria dai bordi, poi si esercita una forte TRAZIONE MECCANICA dal manico, creando la depressione

che aspira. Dalla maschera, aria NON ne esce, mentre si schiaccia, perché lo schiacciamento è dovuto

alla spontanea riduzione del volume interno. Quindi, se scendendo non superiamo il punto di

'autocompensazione', risalendo si ritorna alla condizione iniziale, senza alcun effetto ventosa.

Ovviamente a questo inconveniente si rimedia facilmente soffiando piccole quantità d'aria dal naso

(3) MENTRE SI SCENDE (ma guarda un po' il caso!) e quest'aria "aggiunta" uscirà da sola,

espandendosi in risalita e sfuggendo dai bordi della maschera. Per inciso, paradossalmente, questo

significa che in quel momento la pressione interna alla maschera è SUPERIORE a quella esterna (e

quindi NON può creare un effetto ventosa!).

A questo punto qualcuno salta sempre su a dire: "...Sarà, ma io resto convinto che succeda in

risalita!" ... Pazienza! La "fede" trascende sempre dalla dimostrazione scientifica! :-/

Page 24: MAURO LEVRINI - 2014 - ml-grafica.it di apnea.pdf · • Il Principio di Archimede ... pesante quanto più aumenta la sua salinità cosicché la spinta di galleggiamento in acqua

L'ATTIVITÀ SUBACQUEA

Applicando le conoscenze teoriche descritte nelle pagine dedicate a fisica e fisiologia, vedremo che

nella discesa in profondità, la pressione dell'acqua che agisce su tutta la superficie corporea

determina la riduzione di volume di tutte le cavità deformabili contenenti gas, principalmente la

cavità toracica, che si riduce con l'innalzamento del diaframma e la compressione delle costole.

Interviene poi un meccanismo (detto blood-shift) che aumenta la concentrazione di sangue a livello

alveolare, contrastando lo schiacciamento... ma questo è un discorso che riguarda profondità

notevoli e che qui non interessa approfondire.

L'aumento della pressione

esterna, nell'immersione, si

traduce in un aumento della

pressione dell'aria alveolare e cioè

delle singole pressioni parziali dei

gas che la compongono (Legge di

Dalton). Tralasciando l'azoto,

l'aumento di pressione parziale di

O2 non potrà che consentire il

mantenimento della saturazione

di ossigeno del sangue per un

periodo più lungo mentre

l'aumento della CO2, da valori

iniziali minimi, sarà poco influente

e aumenterà in rapporto al lavoro

muscolare nel tempo trascorso

senza ricambio. Teoricamente

quindi, ad una certa profondità,

l'apnea potrebbe prolungarsi più

che in superficie... ma bisogna

risalire per respirare! Qui si

nasconde il pericolo maggiore,

perché risalendo, diminuisce la

pressione esterna e quindi anche

quella parziale dell'O2. Da 10 m

alla superficie si dimezza! Gli

scambi alveolari sono possibili fino

a una pressione parziale di circa 66 mbar, quindi un valore che sul fondo poteva essere ancora

sufficiente allo scambio tra alveoli e sangue, dimezzandosi interrompe l'ossigenazione del sangue e,

negli ultimi metri della risalita, può provocare una sincope. Purtroppo non ci sono regole fisse e le

nostre condizioni fisiche non hanno parametri costanti, quindi solo l'attenzione continua,

l'allenamento e l'esperienza possono indicarci quando è il momento di risalire. Le contrazioni

diaframmatiche possono essere un utile 'campanello d'allarme', ma non sono un elemento affidabile

e soprattutto non è il caso di attenderle se ci troviamo a profondità elevate, perché sono il sintomo

del raggiungimento di un limite che in una lunga risalita verrà sicuramente superato. Per dare un

riferimento numerico (indicativo) se il valore di Pp O2 iniziale può essere di 180 mbar, scendendo a 10

Page 25: MAURO LEVRINI - 2014 - ml-grafica.it di apnea.pdf · • Il Principio di Archimede ... pesante quanto più aumenta la sua salinità cosicché la spinta di galleggiamento in acqua

m (e considerando il consumo per farlo) supponiamo arrivi a 300 mbar. Rimaniamo sul fondo un

certo tempo e consideriamo che scenda a 120... è ancora più che sufficiente agli scambi alveolari

(fino a 66), ma se a questo punto risaliamo (consumandone un altro po') questo valore crolla

rapidamente a 50, un livello insufficiente all'ossigenazione alveolare.

Ma torniamo alla pratica...

Appena scesi sotto la superficie, in apnea, il problema principale è muoversi con il minor dispendio di

energie (quindi minor consumo di ossigeno). Gli obiettivi possono essere la semplice esplorazione o

l'esecuzione di un qualsiasi "lavoro" subacqueo. Nel primo caso si cercerà di coprire la maggior

distanza possibile ottimizzando pinneggiata e assetto per ottenere il miglior risultato con il minimo

sforzo. La pinneggiata sarà lenta e ampia (un po' più ampia che in superficie) oppure a delfino. Se

vicini al fondo si dovrà fare attenzione a non sollevare, con la pinneggiata, nuvole di sedimenti che

diminuiranno la visibilità (soprattutto a chi eventualmente ci seguirà). Nel caso si debba eseguire un

lavoro specifico (spedare un'ancora, recuperare qualcosa), l'attenzione sarà rivolta a raggiungere

velocemente il punto su cui operare e valutare quanto prolungare la permanenza, in rapporto alla

profondità, allo sforzo da sostenere e alle condizioni soggettive del momento. A volte, trattenersi

pochi secondi in più, può essere molto rischioso per quanto detto prima.

Dal punto di vista della sicurezza si insiste giustamente sulla necessità di non essere mai da soli,

consiglio spesso disatteso soprattutto da chi pratica la caccia subacquea, ma fondamentale per

evitare gran parte dei rischi. Vorrei puntualizzare comunque su alcuni aspetti di questa procedura:

prima di tutto, se ci si immerge in coppia, le discese vanno alternate. Mentre uno scende l'altro lo

controlla costantemente dalla superficie, approfittando della pausa per recuperare con una

ventilazione corretta e facendo attenzione soprattutto agli ultimi metri della risalita del compagno. Si

dice spesso che i due apneisti 'devono' avere le stesse prestazioni, ma questo, secondo me, non è

fondamentale (anche se aiuta), in quanto la maggior parte degli incidenti avvengono appunto in

risalita. Piuttosto è importante curare l'assetto, che deve essere sempre leggermente positivo. A

corpo libero questo avviene naturalmente, ma se si indossa una muta o un corpetto bisognerà

regolare l'eventuale zavorra in modo da mantenere comunque una spinta leggermente positiva già

da almeno 3 m di profondità. Considerando che, con lo schiacciamento, la galleggiabilità della muta si

riduce scendendo, SE si dispone di una buona capovolta, è preferibile un buon galleggiamento in

superficie, che risulta anche riposante nelle pause.

Se si deve effettuare un lavoro faticoso, come spedare un ancora, è meglio farlo in più riprese,

piuttosto che prolungare uno sforzo e poi trovarsi in debito di ossigeno. Una prima discesa per

valutare il da farsi, poi le successive per eseguire il lavoro. Se si deve fare uno sforzo è meglio trovare

un appoggio stabile con i piedi sul fondo. Se si deve portare un peso in superficie, spesso è meglio

assicurarlo con una cima e recuperarlo da un mezzo di appoggio invece di fare sforzi pericolosi per

risalire a forza di pinne.

Page 26: MAURO LEVRINI - 2014 - ml-grafica.it di apnea.pdf · • Il Principio di Archimede ... pesante quanto più aumenta la sua salinità cosicché la spinta di galleggiamento in acqua

L'ATTREZZATURA

Per la zavorra (che si può anche non usare) ritengo sufficienti le considerazioni fatte prima: va tarata

(di volta in volta) secondo il proprio galleggiamento, che varia in relazione all'uso di una muta, ma

anche dell'acqua in cui ci si immerge: dolce, salata (e di differente salinità).

Una capovolta ben fatta permette di scendere senza sforzo anche con un buon galleggiamento

iniziale e quest'ultimo aiuta a non affaticarsi nel nuoto di superficie (e quindi a recuperare meglio).

Ovviamente deve avere un sistema di sgancio rapido! Quello che ho sempre usato io è una

vecchissima fibbia della Tigullio (che non ho più visto in commercio) che permette, con un semplice

movimento del pollice, uno sgancio veramente immediato e senza scorrimento della cintura nella

fibbia. Ce n'è anche un modelo più recente (della Poseidon) che consente anche una regolazione

istantanea della lunghezza, ma, utilizzando in apnea mute più sottili e non superando i 20m la

compressione non rende necessarie queste regolazioni, per cui l'ho destinata alle immersioni con le

bombole. La sostanza è che questi tipi di fibbie danno una maggiore sicurezza di poter essere

sganciate velocemente.

Per inciso... non mi e mai capitato di avere

necessità di sganciarla! ;-)

Vediamo l'attrezzatura di base: pinne,

maschera... e coltello.

Le pinne sono preferibilmente lunghe, con la

calzata a scarpetta. Le pinne lunghe implicano

una pinneggiata meno ampia e un po' più

veloce rispetto a quelle più corte, perché la

spinta è incrementata dalla flessione e

dall'elasticità della pala. È necessario un po' di

allenamento per evitare l'insorgere di crampi.

Page 27: MAURO LEVRINI - 2014 - ml-grafica.it di apnea.pdf · • Il Principio di Archimede ... pesante quanto più aumenta la sua salinità cosicché la spinta di galleggiamento in acqua

La maschera dovrà essere a ridotto volume interno. Evitare assolutamente le tipiche maschere da

"bombolari", con grandi vetri, spesso anche laterali, che danno la sensazione di una migliore visibilità,

ma comportano grossi volumi da compensare. Per evitare che la maschera si appanni i vetri (interni)

dovranno innanzi tutto essere ben puliti.

Abbondano i consigli su cosa usare come antiappannante:

una patata tagliata, il dentifricio, appositi spray (questi li

escluderei, perché possono essere irritanti) ... secondo me

il metodo migliore rimane quello della propria saliva! Si

sputa nella maschera PRIMA di bagnarla, si sparge la saliva

su tutta la superficie interna del vetro (ho visto gente che

sputava sull'esterno dei vetri!), si sciacqua ed è fatto!

Bisogna considerare che anche la differenza di temperatura

facilita la condensa. Se si è accaldati e ci si immerge in

acque fredde è più facile l'appannamento. È quindi meglio "rinfrescare" anche il viso prima di

indossare la maschera. Collegato alla maschera è importante l'aeratore. Diametro grande (~2,5 cm),

boccaglio morbido, curva di raccordo flessibile. Su quest'ultimo aspetto vorrei spezzare una lancia a

favore del tanto criticato corrugato. Io ho sempre usato quello! Se rimane un po' d'acqua, si ferma

nelle pieghe del corrugato; quando ho usato quelli lisci, spesso quel po' d'acqua mi finiva

direttamente in gola! ;-)

Il coltello... Non serve per epiche lotte con gli squali e non è un vezzo da "macho". Non si usa quasi

mai, ma se rimaniamo impigliati in una lenza o in una

rete può salvarci la vita! Ovviamente deve essere

affilato come un rasoio (un coltello che non taglia è un

pezzo di ferro inutile!). Va fissato preferibilmente al

polpaccio, c'è chi dice che è meglio all'interno (è meno

facile che si impigli in qualcosa), ma io ritengo sia più

difficile raggiungerlo (ed estrarlo) quando serve e lo tengo all'esterno.

L'ultimo importante elemento dell'attrezzatura è il pallone segnasub. A parte il fatto che è richiesto

per legge, svolge due importantissime funzioni: segnalare la nostra presenza in acqua ad eventuali

imbarcazioni in transito e fornire un punto di appoggio e galleggiamento in caso di difficoltà.

Bisogna purtroppo osservare che la dilagante ignoranza di chi va per mare è sempre la causa

principale degli incidenti. Ogni anno si registrano morti e feriti colpiti dalle eliche di motoscafi,

nonostante i segnali e le cautele di chi si immerge. Spesso non si riconosce (o non si vede) la boa

segnasub o addirittura si passa tra la boa e il nuotatore, agganciando la cima di collegamento con la

deriva o il piede dell'elica! Per questo motivo il capo della cimetta andrebbe tenuto in mano e non

fissato al polso o alla cintura.

Esercizi "strani"

Nel corso degli anni, spinto dalla "noia" di macinare vasche su vasche in apnea, abbiamo elaborato

qualche variante e qualche "stranezza" per gli esercizi in piscina. Ce ne sono alcuni che sicuramente

avranno utilizzato anche altri, senza bisogno di suggerimenti:

Percorsi con maschera oscurata. Aiutano a vincere l'apprensione e a concentrarsi sulla posizione e

l'orientamento. Servono anche a verificare se spingiamo più con una gamba che con l'altra... in

Page 28: MAURO LEVRINI - 2014 - ml-grafica.it di apnea.pdf · • Il Principio di Archimede ... pesante quanto più aumenta la sua salinità cosicché la spinta di galleggiamento in acqua

questo caso, invece di andar dritti, si faranno deviazioni inconsapevoli. La maschera oscurata si

ottiene semplicemente coprendo l'interno del vetro con nastro isolante.

Capovolte con la tavoletta. Si utilizza una normale tavoletta in polistirolo per nuoto e serve ad

ottimizzare la capovolta (sia a squadra con le pinne, sia in raccolta, senza). Per riuscire a vincere la

spinta di galleggiamento della tavoletta e immergersi, la capovolta DEVE essere perfetta! La

superficie della tavoletta può essere usata come timone per impostare il corretto assetto di discesa.

Nuoto subacqueo con la tavoletta. Fatta la capovolta, o meglio, partendo dal bordo sfruttando la

superficie della tavoletta per immergersi, muovendola come se si volesse raccogliere una palata di

sabbia davanti ai piedi, si può iniziare a nuotare in orizzontale. Brevi tratti possono anche essere fatti

anche a corpo libero, ma sono particolarmente stancanti. Anche qui, più che nella capovolta, la

superficie della tavoletta aiuterà (come un'ala) a contrastare la spinta di galleggiamento. Se sarà facile

muoversi in orizzontale avanzando veloci, sarà impossibile non venire a galla se si rallenta troppo!

Però l'esercizio a cui sono più affezionato e del quale penso di poter rivendicare la paternità è quello che

ho chiamato scherzosamente " caccia alla cernia".

Piccolo inciso: ai tempi in cui era più in voga la caccia subacquea, la cernia era impropriamente detta

"pesce assassino" per la quantità di subacquei morti nel tentativo di estrarla dalla tana in cui

l'avevano colpita. Nella foga e nello sforzo di recuperare il pesce colpito, incastrato in qualche

anfratto, si rimaneva quei secondi di troppo che poi portavano alla sincope. Questa circostanza,

aggiunta al fatto che i cacciatori spesso si immergevano da soli, gelosi dei loro siti e delle "loro" tane,

provocava spesso tragici incidenti.

Ma veniamo all'esercizio.

Si fa in squadra. Maggiore è il numero

dei partecipanti e più semplice sarà.

L'ideale è in 4: in 3 è molto faticoso (e

dura poco) in 5 si smette per "noia",

ma se qualcuno interrompe prima

diventa subito più impegnativo.

L'obiettivo è portare una tavoletta

(polistirolo) sul fondo e trattenerla

alternandosi nelle discese per dare il

cambio a chi la tiene. È essenziale una

buona coordinazione e il

mantenimento di una tempistica costante. Chi trattiene la tavoletta sul fondo non deve essere

costretto a farlo per più di 10" (parlo di 5 m, se la profondità è inferiore l'esercizio ha meno senso). La

difficoltà (oltre che in una buona tecnica di base) sta nel fatto che i tempi di recupero tra una

capovolta e la successiva sono minimi. Naturalmente è necessaria anche una buona logistica negli

spostamenti e negli scambi, per non intralciarsi e non farsi scappare la... "cernia"! ;-))

Secondo quanto sperimentato, oltre a coinvolgere il gruppo in una specie di gioco impegnativo,

abitua a ragionare in termini di squadra, a collaborare e a sincronizzare e ottimizzare i movimenti, ma

soprattutto a concentrarsi sulle tecniche migliori per migliorare i risultati e diminuire i rischi.

Inizialmente, quando non c'è ancora una buona preparazione, si può "addomesticare" la cernia

sostituendo un peso alla tavoletta e quindi eliminando gran parte dell'impegno fisico per

concentrarsi sui tempi e il sincronismo. ;-)

BUON DIVERTIMENTO!!!