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21 MATERIALI DEL MUSEO DEL TESORO DEL DUOMO DI VERCELLI: UN AGGIORNAMENTO PRELIMINARE di SOFIA UGGÉ La prospettiva di una futura espansione del Museo del Tesoro del Duomo di Vercelli è stata l’occasione per avvia- re, in parallelo, uno studio sui materiali già esposti, presi in esame nella letteratura scientifica quasi esclusivamente in cataloghi della prima metà del Novecento (BRIZIO 1935a; BRIZIO 1935b; VIALE 1967) e oggetto di interventi di restau- ro in anni più recenti, che hanno migliorato notevolmente la loro leggibilità. In questo articolo si intende focalizzare l’attenzione su alcuni pezzi di particolare interesse, due re- liquiari e due bacili in rame, che consentono alcuni spunti di riflessione, seppur limitati in quanto si tratta di un lavoro di ricerca in fase iniziale. Il reliquiario noto come «reliquiario dei capelli e del vestito della Vergine, delle ossa di S. Pietro e di altri santi di incerto nome» è parte del fondo più antico del Tesoro della cattedrale di Vercelli, e viene ricordato per la prima volta in un inventario del 1426 (DE GUIDALARDIS 1426, f. 163), poi in una descriptio reliquiarium riportata dal Cusano nel 1676 (CUSANO 1676) e, molto tempo dopo, nel “Diario di viaggio” di monsignor Bandini (BECCARIA 1910, p. 248), in visita a Vercelli nel 1778, che lo attribuì a «fattura dei tempi de’ Re longobardi». Esso appartiene alla tipologia dei reliquiari definiti “a borsa” o “a scarsella” (BRAUN 1940, pp. 198-200, 505-509, e BRAUN 1954), caratterizzati da una lieve rastremazione dei fianchi minori che prepara una con- vergenza verso il profilo cuspidato del coperchio. L’aspetto di questi oggetti indica effettivamente quello di una scar- sella, ma anche quello di una piccola casa, con quattro pa- reti verticali, due pignoni triangolari e il tetto a due spio- venti, caratteristiche che si riscontrano in alcuni reliquiari paleocristiani (CAILLET 1995, p. 49), simili a una tipologia di sarcofago, suggerendo richiami tra funzionalità liturgica e iconologia strutturale. Peculiare nei reliquiari “a borsa” è il sistema di aggancio laterale per consentire la loro sospensione, assicurata, nel caso esaminato, da due anelli sui lati brevi, sebbene i quattro pe- ducci di forma sferica alla base suggeriscano anche l’even- tualità di un appoggio stabile. Tali reliquiari potevano essere trasportati sul petto – appendendoli al collo tramite striscie di cuoio (MANCINELLI 1973-74, p. 253) o catenelle metalliche (799. Kunst und Kultur 1999, p. 457) – durante processioni liturgiche, nei pellegrinaggi, nei viaggi (Gregorio di Tours, Hist. Franc. VIII, 15, p. 192 in OLDONI 2001), o in guerra, per proteggere i combattenti (ELBERN 1999); si potevano anche appendere all’altare e Gregorio di Tours ricorda inoltre che venivano sospesi nelle case (Gregorio di Tours, Hist. Franc. VII, 31, ed. cit. p. 140). La caratteristica della sospensione richiama le croci reliquiario, e anche le ridotte dimensioni dei reliquiari “a borsa”, non superiori ai 15 cm, sembrano accordarsi bene a questo uso, con un valore profilattico che non esclude eventuali finalità liturgiche date dalla presenza dei corpi santi che custodivano. Il reliquiario dei capelli della Vergine (altezza totale, com- presi i peducci, cm 13; lunghezza alla base cm 11,2; larghez- za cm 5,2), è formato da una cassetta parallelepipeda con tetto a due spioventi, dal centro del quale si eleva un rialzo cuspidato alto circa cm 5 (Figg. 1-2). È costituito da un’ani- ma in legno, realizzata con listelli di circa cm 1,5 giuntati fra loro, rivestita da sottili lamine d’argento lavorate a sbalzo e dorate, fissate al legno da piccoli chiodini; gli spigoli sono contornati e impreziositi mediante un filo di perline. La pre- senza di un nastro legato ai due anelli infissi ai lati brevi, e fermato con il sigillo dell’arcivescovo Alessandro d’Angennes (1832-1869), chiude attualmente il reliquiario nella parte in- feriore, dove è da collocarsi l’apertura, sebbene celata da una lamina di rivestimento in ottone; sul lato anteriore un carti- glio in pergamena di età moderna, opportunamente ritagliato secondo le dimensioni della cuspide, riporta, nascondendo parte della decorazione originaria, la seguente indicazione: «De/capillis et/ vestimento/B. Mariae virg./ex oss. S. Petri ap. /et aliorvm SS./incerti nominis». Per tipologia e realizzazione tecnica questo reliquiario è analogo ad un altro, conservato anch’esso nel Tesoro del Duomo (DESTEFANIS 2000), ma presenta una struttura più complessa (PERONI 1984, p. 255); per entrambi è proponibi- le con cautela un’attribuzione cronologica alla seconda metà del VII-VIII secolo, mentre è maggiormente difficoltoso risalire all’area di provenienza. Rispetto a quanto eviden- ziato negli studi precedenti (BRIZIO 1935a, pp. 53-54; BRI- ZIO 1935b, pp. 78-79; VIALE 1967, p. 21), allo stato attuale della ricerca è possibile almeno precisare i motivi che de- corano questo oggetto, come l’albero della vita, visibile sulla cuspide (Fig. 2), ai cui lati si dispongono due figure affron- tate di animali, iconografia che sembra richiamare la fibula bratteata di Illingen (HASELOFF 1989, fig. 51, pp. 86-88; cfr. inoltre Die Alamannen 1997, fig. 513, p. 449). Similmente, gli spioventi della cassetta e della cuspide presentano plac- chette rettangolari, ciascuna decorata con due grifi analo- ghi a quelli sulla cuspide, disposti specularmente rispetto ad un asse divisorio verticale. Sul retro della cassetta e su parte del lato anteriore si ripete lo stesso motivo decorativo, formato da un cervo, identificabi- le verosimilmente dalle corna ramificate, inseguito da un ani- male fantastico, raffigurato con fauci aperte, denti aguzzi, orec- chie appuntite e una lunga coda ripiegata sul corpo. A fuggire dalla parte opposta alla fiera vi è un altro animale con lunghe corna, differenti però da quelle del cervo; negli spazi liberi si affollano inoltre numerosi riempitivi, alcuni che richiamano altri esseri del mondo animale, contribuendo a creare una com- posizione vibrante, caratterizzata da un marcato horror vacui e da un caotico gioco di luci riflesse dalle lamine. Questa sce- na di animali si ritrova sui due lati lunghi del reliquiario, iden- tica per dimensioni e caratterizzazione delle figure, che riman- dano quindi ad una stessa matrice; a cambiare è soltanto l’im- paginazione del motivo: ripetuto in due fasce parallele ed oriz- zontali sul retro del reliquiario, mentre sulla fronte è ruotato di novanta gradi, funzionale all’inquadramento di un agnello, nimbato e con la croce (Fig. 1), posto in un clipeo perlinato al centro dello spazio disponibile. Emerge con evidenza il con- trasto tra le figure stilizzate di tutti gli altri animali e la marcata ricerca di naturalismo che caratterizza l’Agnus Dei, rifinito in ogni particolare anatomico: con uno sbalzo più accentuato delle lamine al fine di evidenziarne la muscolatura; con una serie di fitte strigilature, che ne definiscono il manto; con una resa at- tenta e particolareggiata del muso e delle zampe. La sua icono- grafia, con rimandi all’arte paleocristiana, si discosta dal dise- gno e dalla lavorazione dei restanti animali, ed una serie di altre indicazioni, desunte da un esame autoptico delle lamine, permettono di considerarlo un elemento di reimpiego. Alla sommità di ciascuno dei due lati brevi (Fig. 3) vi è invece un decoro di forme geometriche, simile a triangoli intersecati, motivo che si ritrova, sebbene in un’organizza- zione decorativa più articolata, in un reliquiario conservato a Coira (ELBERN 1962, fig. 285 e p. 63). Singolari sono le figu- re che ornano ciascun lato breve, disponendosi su due regi- stri: in quello superiore vi sono due angeli, con ali, aureola, ed una specie di “gonnellino”, stretto alla vita da una cintura e mosso da numerose pieghe; essi paiono collocati sotto due arcatelle, evidenziate da alcune linee aggettanti. Nel registro inferiore vi sono altri due esseri alati, con lo stesso abbiglia- mento degli angeli ma con testa animale, caratterizzata da un lungo becco ricurvo, simile a quello di rapaci, orecchie a punta, e dotati verosimilmente anche di coda (Fig. 4). In attesa di ulteriori approfondimenti e di una riproduzio- ne grafica in scala 1:1 degli elementi decorativi, si possono

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MATERIALI DEL MUSEO DEL TESORODEL DUOMO DI VERCELLI:

UN AGGIORNAMENTO PRELIMINARE

diSOFIA UGGÉ

La prospettiva di una futura espansione del Museo delTesoro del Duomo di Vercelli è stata l’occasione per avvia-re, in parallelo, uno studio sui materiali già esposti, presi inesame nella letteratura scientifica quasi esclusivamente incataloghi della prima metà del Novecento (BRIZIO 1935a;BRIZIO 1935b; VIALE 1967) e oggetto di interventi di restau-ro in anni più recenti, che hanno migliorato notevolmentela loro leggibilità. In questo articolo si intende focalizzarel’attenzione su alcuni pezzi di particolare interesse, due re-liquiari e due bacili in rame, che consentono alcuni spuntidi riflessione, seppur limitati in quanto si tratta di un lavorodi ricerca in fase iniziale.

Il reliquiario noto come «reliquiario dei capelli e delvestito della Vergine, delle ossa di S. Pietro e di altri santidi incerto nome» è parte del fondo più antico del Tesorodella cattedrale di Vercelli, e viene ricordato per la primavolta in un inventario del 1426 (DE GUIDALARDIS 1426, f.163), poi in una descriptio reliquiarium riportata dal Cusanonel 1676 (CUSANO 1676) e, molto tempo dopo, nel “Diariodi viaggio” di monsignor Bandini (BECCARIA 1910, p. 248),in visita a Vercelli nel 1778, che lo attribuì a «fattura deitempi de’ Re longobardi». Esso appartiene alla tipologiadei reliquiari definiti “a borsa” o “a scarsella” (BRAUN 1940,pp. 198-200, 505-509, e BRAUN 1954), caratterizzati da unalieve rastremazione dei fianchi minori che prepara una con-vergenza verso il profilo cuspidato del coperchio. L’aspettodi questi oggetti indica effettivamente quello di una scar-sella, ma anche quello di una piccola casa, con quattro pa-reti verticali, due pignoni triangolari e il tetto a due spio-venti, caratteristiche che si riscontrano in alcuni reliquiaripaleocristiani (CAILLET 1995, p. 49), simili a una tipologiadi sarcofago, suggerendo richiami tra funzionalità liturgicae iconologia strutturale.

Peculiare nei reliquiari “a borsa” è il sistema di agganciolaterale per consentire la loro sospensione, assicurata, nel casoesaminato, da due anelli sui lati brevi, sebbene i quattro pe-ducci di forma sferica alla base suggeriscano anche l’even-tualità di un appoggio stabile. Tali reliquiari potevano esseretrasportati sul petto – appendendoli al collo tramite strisciedi cuoio (MANCINELLI 1973-74, p. 253) o catenelle metalliche(799. Kunst und Kultur 1999, p. 457) – durante processioniliturgiche, nei pellegrinaggi, nei viaggi (Gregorio di Tours,Hist. Franc. VIII, 15, p. 192 in OLDONI 2001), o in guerra, perproteggere i combattenti (ELBERN 1999); si potevano ancheappendere all’altare e Gregorio di Tours ricorda inoltre chevenivano sospesi nelle case (Gregorio di Tours, Hist. Franc.VII, 31, ed. cit. p. 140). La caratteristica della sospensionerichiama le croci reliquiario, e anche le ridotte dimensionidei reliquiari “a borsa”, non superiori ai 15 cm, sembranoaccordarsi bene a questo uso, con un valore profilattico chenon esclude eventuali finalità liturgiche date dalla presenzadei corpi santi che custodivano.

Il reliquiario dei capelli della Vergine (altezza totale, com-presi i peducci, cm 13; lunghezza alla base cm 11,2; larghez-za cm 5,2), è formato da una cassetta parallelepipeda contetto a due spioventi, dal centro del quale si eleva un rialzocuspidato alto circa cm 5 (Figg. 1-2). È costituito da un’ani-ma in legno, realizzata con listelli di circa cm 1,5 giuntati fraloro, rivestita da sottili lamine d’argento lavorate a sbalzo edorate, fissate al legno da piccoli chiodini; gli spigoli sonocontornati e impreziositi mediante un filo di perline. La pre-senza di un nastro legato ai due anelli infissi ai lati brevi, efermato con il sigillo dell’arcivescovo Alessandro d’Angennes

(1832-1869), chiude attualmente il reliquiario nella parte in-feriore, dove è da collocarsi l’apertura, sebbene celata da unalamina di rivestimento in ottone; sul lato anteriore un carti-glio in pergamena di età moderna, opportunamente ritagliatosecondo le dimensioni della cuspide, riporta, nascondendoparte della decorazione originaria, la seguente indicazione:«De/capillis et/ vestimento/B. Mariae virg./ex oss. S. Petriap. /et aliorvm SS./incerti nominis».

Per tipologia e realizzazione tecnica questo reliquiarioè analogo ad un altro, conservato anch’esso nel Tesoro delDuomo (DESTEFANIS 2000), ma presenta una struttura piùcomplessa (PERONI 1984, p. 255); per entrambi è proponibi-le con cautela un’attribuzione cronologica alla seconda metàdel VII-VIII secolo, mentre è maggiormente difficoltosorisalire all’area di provenienza. Rispetto a quanto eviden-ziato negli studi precedenti (BRIZIO 1935a, pp. 53-54; BRI-ZIO 1935b, pp. 78-79; VIALE 1967, p. 21), allo stato attualedella ricerca è possibile almeno precisare i motivi che de-corano questo oggetto, come l’albero della vita, visibile sullacuspide (Fig. 2), ai cui lati si dispongono due figure affron-tate di animali, iconografia che sembra richiamare la fibulabratteata di Illingen (HASELOFF 1989, fig. 51, pp. 86-88; cfr.inoltre Die Alamannen 1997, fig. 513, p. 449). Similmente,gli spioventi della cassetta e della cuspide presentano plac-chette rettangolari, ciascuna decorata con due grifi analo-ghi a quelli sulla cuspide, disposti specularmente rispettoad un asse divisorio verticale.

Sul retro della cassetta e su parte del lato anteriore si ripetelo stesso motivo decorativo, formato da un cervo, identificabi-le verosimilmente dalle corna ramificate, inseguito da un ani-male fantastico, raffigurato con fauci aperte, denti aguzzi, orec-chie appuntite e una lunga coda ripiegata sul corpo. A fuggiredalla parte opposta alla fiera vi è un altro animale con lunghecorna, differenti però da quelle del cervo; negli spazi liberi siaffollano inoltre numerosi riempitivi, alcuni che richiamanoaltri esseri del mondo animale, contribuendo a creare una com-posizione vibrante, caratterizzata da un marcato horror vacuie da un caotico gioco di luci riflesse dalle lamine. Questa sce-na di animali si ritrova sui due lati lunghi del reliquiario, iden-tica per dimensioni e caratterizzazione delle figure, che riman-dano quindi ad una stessa matrice; a cambiare è soltanto l’im-paginazione del motivo: ripetuto in due fasce parallele ed oriz-zontali sul retro del reliquiario, mentre sulla fronte è ruotato dinovanta gradi, funzionale all’inquadramento di un agnello,nimbato e con la croce (Fig. 1), posto in un clipeo perlinato alcentro dello spazio disponibile. Emerge con evidenza il con-trasto tra le figure stilizzate di tutti gli altri animali e la marcataricerca di naturalismo che caratterizza l’Agnus Dei, rifinito inogni particolare anatomico: con uno sbalzo più accentuato dellelamine al fine di evidenziarne la muscolatura; con una serie difitte strigilature, che ne definiscono il manto; con una resa at-tenta e particolareggiata del muso e delle zampe. La sua icono-grafia, con rimandi all’arte paleocristiana, si discosta dal dise-gno e dalla lavorazione dei restanti animali, ed una serie dialtre indicazioni, desunte da un esame autoptico delle lamine,permettono di considerarlo un elemento di reimpiego.

Alla sommità di ciascuno dei due lati brevi (Fig. 3) vi èinvece un decoro di forme geometriche, simile a triangoliintersecati, motivo che si ritrova, sebbene in un’organizza-zione decorativa più articolata, in un reliquiario conservato aCoira (ELBERN 1962, fig. 285 e p. 63). Singolari sono le figu-re che ornano ciascun lato breve, disponendosi su due regi-stri: in quello superiore vi sono due angeli, con ali, aureola,ed una specie di “gonnellino”, stretto alla vita da una cinturae mosso da numerose pieghe; essi paiono collocati sotto duearcatelle, evidenziate da alcune linee aggettanti. Nel registroinferiore vi sono altri due esseri alati, con lo stesso abbiglia-mento degli angeli ma con testa animale, caratterizzata da unlungo becco ricurvo, simile a quello di rapaci, orecchie apunta, e dotati verosimilmente anche di coda (Fig. 4).

In attesa di ulteriori approfondimenti e di una riproduzio-ne grafica in scala 1:1 degli elementi decorativi, si possono

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individuare, in via preliminare, alcuni termini di confronto,sebbene ancora insufficienti per comprendere rielaborazionitematiche e vicende storico-artistiche alla base della realizza-zione di questo reliquiario, appartenente, tra l’altro, ad una ti-pologia diffusa in tutta Europa e caratterizzata da una varietàdi tecniche di lavorazione e di materiali, che consentono paral-leli tra aree e momenti diversi (PERONI 1984, p. 238). L’icono-grafia delle figure sui lati brevi ricorda talune lamine bratteatedi arte alamannica, a loro volta ispirate da monete con imma-gini della Vittoria alata o degli imperatori; l’abbigliamento diquesti ultimi come duces militiae, mediato forse dalle rappre-sentazioni della tradizione bizantina, che raffigura talora an-che Cristo nella stessa foggia (TESTINI 1985, fig. 45 e p. 1149),potrebbe aver influito su quello dei personaggi del reliquiariovercellese. Per quanto concerne il “gonnellino” un rapportosignificativo si può stabilire con alcune raffigurazioni presentisu bracteae in oro rinvenute nell’Europa del Nord (nello spe-cifico, cfr. HAUCK 1986, fig. 4, p. 495 e fig. 5, p. 496), caratte-rizzate da legami stilistici con l’arte tardoromana dei ritratti dibusti di imperatori su monete e medaglioni, ma anche da com-posizioni di non facile identificazione (Die Goldbrakteaten1985-89; HAUCK 1986); meno immediato invece il richiamocon il guerriero del disco in lamina d’oro di Pliezhausen, cheindossa un gonnellino percorso in basso, così come sotto lacintura, da strisce di cuoio che cadono parallele (HASELOFF 1989,figg. 45-46, pp. 74-79; 799. Kunst und Kultur 1999, n. VII.6,pp. 439-440). Più difficoltosi si presentano i confronti relativiagli esseri zoomorfi (ELBERN 1962, fig. 165 e p. 42; SALIN 1959,fig. 156, pp. 365-366; VALLET 1996, fig. 560, p. 688), così comerimangono problematici, allo stato attuale della ricerca, anchei caratteri grafici che sembrerebbero visibili all’estremità infe-riore destra di ognuno dei lati brevi (suggerendo forse la paro-la “Amen”), senza escludere tuttavia che si tratti di sempliciriempitivi con valore decorativo.

Il successivo reliquiario preso in esame, dedicato a S. Gio-vanni Battista e agli Apostoli, non può essere riconosciuto concertezza nell’inventario del 1426, sebbene in un passo di que-sto documento si ricordi una «capsa... in qua sunt capsetaeseptem de ebore et una de ligno fulta de auricalco» (DEGUIDALARDIS 1426, f. 163); non è ricordato inoltre né dal Cusanoné dal Bandini. Si tratta di una cassetta in legno di forma paral-lelepipeda, con coperchio a quattro bassi spioventi (altezzatotale, compresi i peducci, cm 16; lunghezza della cassa li-gnea cm 19,5 e larghezza cm 12), decorata mediante placchet-te in avorio (cm 5×3 circa) fissate al legno con piccoli chiodini(Fig. 5); i due peducci della parte posteriore si differenzianoda quelli anteriori, e sembrerebbero rifatti in un secondo tem-po. La decorazione delle placche raffigura aquile, in posa aral-dica e viste di profilo fra rami, alternate a girali vegetali, che siintrecciano formando cerchi in cui si inscrivono foglie espan-se in quattro terminazioni lobate, o si incurvano ad S, svilup-pando alle estremità gli stessi motivi fogliacei di cui si è detto;maggiormente articolata la disposizione dei girali sul coper-chio (Fig. 6). Le placchette sono delimitate, su ogni lato, dauna cornice formata da listelli di avorio, in cui erano incasto-nate, poggiando su una sottilissima foglia d’oro in modo darifletterne colore e luminosità, paste vitree trasparenti (ne sonovisibili ancora tre sul lato anteriore), di forma quadrangolare ocircolare. La doratura copriva inoltre le parti lignee lasciate invista attraverso i motivi traforati dell’avorio: durante l’inter-vento di restauro sono state infatti individuate, nel retro delleplacchette, tracce di oro, e percentuali minime di colla conpresenza di doratura sono ancor’oggi visibili sulla cassetta inlegno. Il coperchio, tagliato in un pezzo unico di legno scava-to, è decorato all’interno mediante una sottile intonacatura dicolore giallo, ravvivata da pennellate in rosso bruno conserva-te solo parzialmente.

Alcune delle placche che rivestivano la cassetta sonoandate perdute, così come la maggior parte delle cornici;mancano anche i listelli dentellati che, come si vede nell’uni-co esemplare conservato sulla fronte, servivano a riempiregli interstizi tra le placchette, che sono di reimpiego, fissate

con chiodini in metallo e non nello stesso materiale di questeultime, come si riscontra invece in reliquiari dove l’avorionon è di riutilizzo (Byzance 1992, nn. 156-157, pp. 243-245).Si spiegano pertanto le cesure innaturali delle volute vegeta-li, o della cornice, che viene tagliata in quanto non potevaessere ricollocata in tutta la sua lunghezza originaria. Similiirregolarità o l’iconografia di soggetto pagano presente talo-ra su lastrine eburnee reimpiegate nei reliquiari tendono arimanere in secondo piano rispetto al valore in sé del mate-riale (CAILLET 1995, p. 52); avorio, oro, argento, le pietre pre-ziose dei contenitori di reliquie divengono, com’è stato detto(SCHMITT 1999, p. 146), l’«ornatus del culto», strumenti ca-paci di trasmettere la potenza del contenuto e garantirne l’au-tenticità. Nella cassetta vercellese il reimpiego delle plac-chette articola ulteriormente la discussione sull’area di pro-duzione (di derivazione bizantino-ravennate, secondo BRIZIO1935a, p. 53; un lavoro saraceno, forse prodotto in Sicilia,secondo la tesi di VIALE 1967, p. 25) e sulla sua datazione,ascrivibile all’epoca romanica (X-XI secolo).

Il Viale ricorda (VIALE 1967, p. 25) che in occasione del-l’allestimento della mostra sul Gotico in Piemonte, realizza-tasi a Torino nel 1938-39 (Gotico e Rinascimento in Piemon-te 1939), il reliquiario di S. Giovanni Battista fu aperto ed alsuo interno si rinvenne un ritaglio di tessuto (Fig. 7); sebbe-ne non menzionata dallo Studioso si deve aggiungere ancheuna borsetta porta-reliquie (cm 17,5×12), in taffetas di setacangiante con trame in rosa e orditi in azzurro, foderata inter-namente in cuoio e tela di lino grezzo, e chiusa da una stringain cuoio intrecciato terminante con due piccole nappe in seta.Entrambi gli oggetti sono stati sottoposti ad un intervento direstauro nel 2000, a seguito del quale è stata proposta unadatazione al sec. XIII per il tessuto (cm 12,5×27,5), un «fram-mento in lampasso operato in seta verde e avorio e broccatocon trame in oro membranaceo» (scheda di restauro redattada Cinzia Oliva); data la sua lavorazione ricercata esso puòessere servito per avvolgere reliquie e proteggerle, venen-do forse in seguito ad essere lui stesso considerato comeuna vera e propria reliquia, secondo quanto attestato in altricasi (GEORGES 1996, pp. 101-102).

Più per il loro valore artistico che per quello storico ireliquiari hanno spesso assunto un ruolo di rilievo nella pre-cedente tradizione degli studi, ma solo di recente si è cerca-to di indagare i meccanismi alla base della formazione deitesori di cattedrali o abbazie (Trésors et routes depélerinage 1994; CAILLET 1995; Les Trésors desanctuaires 1996), ricostruendo modalità e tempi di acqui-sizione dei diversi oggetti, il loro cambio di destinazioned’uso, con relazioni spesso complesse tra funzione pubbli-ca e privata dei reliquiari, tesori laici ed ecclesiastici. Lelinee guida di una riflessione sulla natura di questi tesori,sia in una prospettiva socio-economica quanto spirituale,sono già state tracciate, e hanno evidenziato che il tesoro èun organismo “vivente” su una lunga durata, centrale so-prattutto in secoli di instabilità politica e carenza monetariadove la tesaurizzazione dei metalli preziosi può giocare unruolo importante (CAILLET 1996, pp. 5-6, 18). Per quantoconcerne l’altomedioevo, data la scarsità di testimonianzemateriali e testuali, risulta difficoltoso ricostruire la prove-nienza di molti oggetti, doni spesso di pellegrini o di impe-ratori, e delineare la formazione di tesori. Il problema è ul-teriormente articolato per quei centri che beneficiano di unafelice posizione viaria, come nel caso di Vercelli, inseritoin una rete di percorsi di grande frequentazione a partiredalla tarda antichità e per tutto il medioevo.

All’interno di questi complessi meccanismi fu sicuramen-te rilevante per la formazione del Tesoro del Duomo di Vercel-li la figura del cardinale Guala Bicchieri, attivo tra la fine delsec. XII e i primi decenni del XIII: legato papale, uomo difiducia di Innocenzo III, egli si recò alle corti di Filippo Augu-sto, Giovanni Senzaterra e presso l’imperatore Federico II,venendo in contatto, attraverso i suoi lunghi viaggi per l’Euro-pa, con le tendenze artistiche e il gusto culturale dell’epoca, e

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Figg. 1-6 – Vercelli. Museo del Tesoro del Duomo. 1) Reliquiariodei capelli della Vergine e di altri santi: veduta del lato anteriore(Foto P. Robino); 2) Reliquiario dei capelli della Vergine e dialtri santi: veduta del lato posteriore (Foto P. Robino); 3) Reli-quiario dei capelli della Vergine e di altri santi: veduta laterale(Foto S. Uggé); 4) Reliquiario dei capelli della Vergine e di altrisanti: veduta laterale, particolare della decorazione sul registroinferiore (Foto S. Uggé); 5) Reliquiario di S. Giovanni Battista:veduta laterale (Foto P. Robino); 6) Reliquiario di S. GiovanniBattista: veduta dall’alto del coperchio e del retro (Foto P. Robino).

ricevendo spesso in dono, durante le sue visite, numerosi og-getti. L’inventario dei beni ritrovati nella camera del cardinaledopo la sua morte, nel 1227, ricorda scrigni, calici, anelli edinoltre «IV ciminilia quorum duo sunt laborata et aliquantulumdeaurata et duo eorum sunt de simplice argenti...item duociminilia quae ponderant tres marchas; item duo alia pariacimanilium quae ponderant X marchas» (FROVA 1767, pp. 173-174); verosimilmente, come già ipotizzato (CASTRONOVO 1992,p. 225), i tre bacili in rame lavorati ad incisione, attualmenteconservati al Museo del Tesoro del Duomo, potrebbero prove-nire dal tesoretto del cardinale. Uno di essi (diametro cm 27) è

decorato con figurazioni allegoriche dei Vizi, gli altri due (dia-metro esterno di circa cm 34) con storie apocrife di S. Tommasoin India; la critica li ascrive tutti alla prima metà del sec. XII,riconducendoli a manifattura oltralpina, precisamente all’areatedesca (CASTRONOVO 1992, pp. 224-232).

In attesa di ulteriori indagini autoptiche e della realizza-zione di analisi per individuare eventuali tracce di doratura oargentatura, generalmente presenti su questi oggetti (DIBERARDO 1991, p. 831), è prematuro sbilanciarsi in considera-zioni più puntuali riguardo la provenienza di tali catini o il loroinserimento nel Tesoro della cattedrale vercellese. In questa

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Figg. 7-8 – Vercelli. Museo del Tesoro del Duomo. 7) Ritaglio di tessuto conservato nel reliquiario di S. Giovanni Battista (Foto P.Robino); 8) Primo bacile in rame con incise le storie di S. Tommaso in India; scena sesta. (Foto P. Robino).

sede ci si occuperà pertanto di formulare solo alcune riflessio-ni sulla decorazione dei due bacili con le storie di S. Tommasoin India, che trovano confronti in altri sei bacili, incisi analo-gamente con episodi della vita di questo santo (WEITZMANN-FIEDLER 1981, pp. 39-48, 78-79; da rilevare che la studiosa te-desca ignorava all’epoca l’esistenza di quelli vercellesi): duesono conservati a Gerusalemme, al Museo dello StudiumBiblicum Franciscanum; due a Todi, nella chiesa di S. Mariain Camuccia; uno, molto simile al bacile di Vercelli che narra iprimi episodi della vita di Tommaso, è al British Museum diLondra; un altro, infine, è visibile al Louvre di Parigi.

L’iconografia dei catini di Vercelli è stata analizzata finoad ora unicamente in un lavoro del Viale, che ha propostoun’identificazione puntuale delle singole scene (VIALE 1948;brevi considerazioni di recente in CASTRONOVO 1992, p. 229);tuttavia, allo stato attuale della ricerca, pare opportuno rie-saminare talune delle sue argomentazioni, come la presun-ta esistenza di un terzo bacile (VIALE 1948, pp. 13-15), de-stinato a narrare alcuni episodi della vita di Tommaso chein realtà sono presenti proprio in uno dei due acquamanili

esistenti. Si è scelto quindi di proporre in questa sede, ac-compagnandola da sintetiche descrizioni, una rilettura deisoggetti incisi, che trovano ispirazione nel Liber de miraculisbeati Tomae, noto dalle versioni in greco e siriaco del sec.IV, amplificate in seguito nella Passio Sancti Tomae(WRIGHT 1871, pp. 146-298; BONNET 1883, pp. 133-160;BONNET 1903, pp. 99-288; MORALDI 1994, pp. 321-428).

Procedendo in senso orario, nella prima scena del primobacile è raffigurato Cristo imberbe, nimbato e recante il ves-sillo della croce, che prende per un braccio il santo e lo inco-raggia ad andare a convertire gli Indi; sulla destra infatti, ar-mato di spada, vi è il mercante Abban, l’inviato del re delleIndie, Gondefar, in cerca di un architetto esperto per costrui-re il palazzo regio. Secondo quanto narrato nei testi letterari,Cristo avrebbe fatto credere ad Abban che Tommaso era unabile architetto per mandarlo così nelle Indie a compiere lasua missione, come si legge nell’iscrizione, incisa su una solalinea poco sotto l’orlo del bacile, che riporta: † ADCONVERTENDOS · THOMAS · TRANSMITTITUR INDOS CUIUS VIRTUTES ·CUPIUNT · SI · SCIRE · FIDELES · HAEC · PERSCRUTENTUR · QUE ·

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CORA(M) · SCULPTA · VIDENTUR. Apre la seconda scena una grandecittà cinta da mura, Andrapoli, riguardo cui le fonti non for-niscono indicazioni geografiche, limitandosi a narrare che inquel luogo era in corso un ricco banchetto per le nozze dellafiglia del re: sono infatti raffigurati come commensali, sottoun baldacchino sorretto da colonne, i due sposi, il re e Tom-maso, ritratto con le mani protese in avanti per evidenziare ilsuo rifiuto a prendere cibo. Fuori dall’edificio, sulla sinistradel santo, vi è la suonatrice ebrea, dalla quale secondo il rac-conto Tommaso era stato riconosciuto; sulla destra non è quasipiù visibile, rispetto a quanto evidenziato dal Viale (VIALE1948, p. 11), il cane avente tra le fauci la mano del coppieresacrilego, che aveva schiaffeggiato il santo in quanto rilut-tante a mangiare e subito dopo era stato divorato dall’anima-le. L’immagine successiva ritrae Tommaso con una coppiareale, probabilmente la stessa di prima; significativo è il par-ticolare della palma da datteri che il giovane ha in mano, chetrova un diretto confronto nel bacile conservato al BritishMuseum di Londra (DALTON 1922, pp. 138-139), ma di cuinon vi sono indicazioni nel testo degli Acta. La quarta figura-zione del catino ritrae il santo al cospetto di Gondefar, redelle Indie, che lo assolda per farsi costruire il palazzo, suconsiglio del mercante Abban, inciso dietro l’apostolo. Tom-maso reca in mano una canna, usata secondo gli Acta pertracciare le dimensioni dell’edificio; il re invece è assiso introno, sotto un baldacchino sorretto da colonne, e sembraporgere al santo del denaro, necessario alla realizzazione dellareggia. Nel seguito del racconto scritto il re, venuto a sapereche Tommaso aveva dilapidato i finanziamenti per la costru-zione facendone dono ai poveri, decide di ucciderlo, ma isuoi propositi vengono a mutare quando suo fratello Gad,morto e miracolosamente ritornato in vita, gli dice di avervisto in cielo uno splendido palazzo, quello costruitogli daTommaso. Nella quinta scena, ambientata nel testo scrittonella camera da letto di Gad, così come è raffigurato sul ba-cile, i due fratelli si prostrano ai piedi dell’apostolo, chieden-do di abbracciare la fede cristiana e di ricevere il battesimo;questo catino si conclude infatti con Tommaso intento a bat-tezzare in una grande vasca cinque personaggi (Fig. 8). L’aiu-tante sulla destra, che reca l’asciugatoio, è abbigliato come ilCristo raffigurato nella prima scena, e potrebbe richiamarel’apparizione del Signore, ricordata negli Acta proprio inquesta occasione. Nel bacile di Vercelli non si conserva l’epi-sodio inciso sul fondo e rimangono poche lettere – [...]E [.]APUTE[.]SE · M[...] – dell’iscrizione che lo circonda, in basso; essecorrispondono però a quanto ancora visibile nel bacile delBritish Museum e in uno dei due di Gerusalemme, che ricor-da come Migdonius, da identificare con il re Mazdai,«praecipit abscidi Thomae caput ense minaci», e raffiguraTommaso legato davanti a questo re.

Il secondo bacile vercellese riporta in alto la seguenteiscrizione: † FULGET · AP(OSTOL)ICIS · HEC · PELVIS · COMPTA ·TRIU(M)PHIS · ADTESTANS · THOMAM FIDEI · MERUISSE · CORONA(M)· COLLU(M) · P(RO) D(OMI)NO · FLECTENTE(M) SANGUIE · FUSO · Leraffigurazioni incise rimandano ad episodi scollegati e si ri-feriscono ai testi scritti in modo più sommario: ad esempionelle prime due scene il santo, dopo aver benedetto una don-na velata, battezza in una vasca simile a quella del primobacile, quattro figure, probabilmente femminili. Difficile èproporne un’identificazione, tra le tante donne convertite daTommaso secondo gli apocrifi; si potrebbe pensare tuttavia,cercando di evidenziare un collegamento tra i dueacquamanili, che una di esse sia Terzia, moglie di Mazdai, eun’altra la moglie di suo cugino, il terribile Carisio. Nellaterza scena il santo benedice un bambino, sotto gli occhi diun adulto, allusione forse all’episodio in cui Tommaso scac-cia due demoni, padre e figlio, che vessavano moglie e figliadel generale Sifur. La casa di quest’ultimo è probabilmentelo scenario della quarta scena, dove l’apostolo è raffiguratoseduto su un trono a forma di capitello, sotto un baldacchinosorretto da colonne simile a quello della quarta scena del pri-mo bacile. Secondo il racconto scritto la casa di Sifur era il

luogo dove molti fedeli si radunavano per ascoltare gli inse-gnamenti di Tommaso, raffigurato infatti con un libro in mano;l’identificazione degli altri personaggi potrebbe quindi esse-re, a partire dal lato sinistro, Terzia, moglie di Mazdai, e suofiglio Visan, mentre alla destra del santo vi sono Migdonia,moglie di Carisio, e un lebbroso, coperto di piaghe su tutto ilcorpo. Nella quinta scena Tommaso viene portato incatenatoal cospetto del re Mazdai, che lo condanna a morte; nell’ulti-ma scena, infatti, l’apostolo viene decapitato, mentre dal cie-lo, rappresentato da quattro file di stelle, si protende, come inun gesto consolatorio, la mano di Dio. L’episodio raffiguratosul fondo, riferibile alla sepoltura del santo, come si evincedal catino del Louvre o da quelli di Gerusalemme e Todi, nonsi è conservato, mentre rimane leggibile parte della scritta,sebbene a fatica.

I bacili con le storie di S. Tommaso sono confrontabilicon una serie di bacili, prodotti in area tedesca tra la fine delsec. XI e l’inizio del sec. XIII, indicati dalla critica come«bacili dell’Hansa» in quanto concentrati in prevalenza al-l’interno dell’area di influenza commerciale della lega anse-atica (WEITZMANN-FIEDLER 1981; ZARNECKI 1984, p. 284); inrealtà, come di recente è stato sottolineato (DI BERARDO 1991,p. 834), essi sono anteriori cronologicamente al formarsi del-l’associazione mercantile, e la loro diffusione travalica i li-miti geografici di quest’ultima. Risulta quindi discutibilel’ipotesi di un unico centro produttivo (SANTANGELO 1940),così come lo stretto collegamento tra i bacili e i conventifemminili di monache agostiniane presso i quali sono statirinvenuti molti di essi; secondo la Weitzmann, infatti, il re-pertorio decorativo di questi bacili aveva una funzione edu-cativa, in quanto rimandava alla letteratura scolastica studia-ta in questi conventi (WEITZMANN-FIEDLER 1981, pp. 9-17; daultima CASTRONOVO 1992, pp. 225-226). In realtà la varietàdelle raffigurazioni, sebbene molte incentrate su temi mora-leggianti (le storie di Tommaso, di Susanna, i Vizi e le Virtù),adatti dunque ad un uso liturgico di questi oggetti, non esclu-de anche un impiego profano, caratterizzato da episodi e per-sonaggi mitologici (DI BERARDO 1991, pp. 834-836).

Nei bacili con le storie di S. Tommaso sono evidentiresa esecutiva e qualità artistica modeste: le figure incise,fortemente schematizzate, si dispongono radialmente intornoal centro e sono minime le varianti iconografiche (tra le piùsignificative quelle relative alle corone dei re), segno di unaripresa di modelli preesistenti e, forse, come sostiene la stu-diosa tedesca, della presenza di un codice miniato relativoalla leggenda del santo, ipotesi che apre la riflessione sulrapporto tra cultura scritta e cultura materiale.

Sotto il profilo compositivo si registra la divisione deisoggetti in parti distinte, con una ordinata organizzazionedelle singole scene che denota una certa abilità da partedell’incisore; le stesse considerazioni non valgono inveceper l’impaginazione del testo scritto, in quanto le letteredelle parole terminali risultano o molto allargate fra di loro,per riuscire ad occupare tutto lo spazio disponibile, oppuredecisamente ravvicinate. Non mancano inoltre alcuni erro-ri grammaticali, come già rilevato per i catini di Gerusa-lemme (PICCIRILLO 2000, p. 252).

In questo lavoro si è cercato di delineare problemi eprospettive per un avanzamento dello studio degli oggetticonservati al Museo del Duomo di Vercelli e dei meccani-smi alla base della formazione del suo Tesoro. Alla ricercafutura è richiesta un’analisi ampia, rivolta ai Tesori eccle-siastici di siti limitrofi (Milano, Monza, Pavia), approfon-dendo in particolare le interazioni tra le due aree geografi-che dei versanti alpini. I confronti che lentamente inizianoa delinearsi, riguardo ad oggetti che spesso riflettono più ledifficoltà di conservazione che non le condizioni di produ-zione, appaiono ancora confusi in una rete molteplice dirimandi, testimoni di un intreccio articolato e mutevole discambi tra culture diverse (germanica, bizantina), senzaescludere la possibilità di artigiani e artisti itineranti

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(THURRE 1996, pp. 69-70; BOUGARD 1996, p. 190). Succes-sivamente, alla luce di ulteriori approfondimenti, si potràvalutare la possibilità di leggere motivi decorativi qualequelli animalistici, di grande diffusione nel crogiolo cultu-rale dell’altomedioevo, attribuendo loro un particolare si-gnificato teologico e/o cosmologico (L’uomo di fronte almondo animale 1985).

Infine occorrerà riflettere sul fatto che la comprensionedi tutte le forme artistiche connesse alle reliquie, per garan-tirne una rappresentazione visibile e sintetizzarne il valore,è strettamente legata agli aspetti liturgici e rituali del cultoreso a queste ultime, soprattutto in un’epoca, quale quellamedievale, in cui l’immagine non è un oggetto definito soloin base alle sue funzioni estetiche, ma anche da quelle ri-tuali e devozionali (BELTING 1990; SCHMITT 1999). L’analisiarcheologica dei reliquiari dovrà pertanto procedere in pa-rallelo allo studio degli inventari e delle fonti diplomatiche,per evidenziare quali riflessi le reliquie hanno avuto nellasfera economica, le circostanze in cui esse sono state utiliz-zate per fini politici, o accumulate come un “capitale sim-bolico”, garante di una efficacia miracolosa e segno di unaccresciuto prestigio sociale.

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