Matematica Al Cinema

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Matematica al cinema Silvia Bertoluzza È difficile immaginare cosa la matematica abbia a vedere con il cinema. Certo,ci sono molti film dove la matematica gioca un ruolo essenziale nella trama (in un certo senso si potrebbe dire che la matematica è un personaggio del film). Ricordiamo film come A beautiful mind o The proof. Sto però pensando al contributo che la matematica può dare alla realizzazione di un film, alla matematica vista, in un certo senso, come un membro del cast. Certo, tutti sappiamo che la Computer Graphics svolge oramai un ruolo importante in molti film. Se ci si ferma, al termine di una proiezione cinematohrafica, a leggere i titoli di coda, si noterà che sempre più spesso un numero di persone è elencato sotto voci che si riferiscono alla realizzazione degli effetti visivi digitali. Dietro al lavoro di queste persone c'è evidentemente il lavoro di specialisti di informatica di altissimo livello. Il talento degli artisti degli effetti digitali è però anche supportato da una dose di matematica vera e propria che è però più difficile da intravedere e riconoscere. Questo contributo della matematica è uscito alla ribalta quando, nel 2013, la Academy of Motion Picture Arts and Sciences (l'organizzazione responsabile della assegnazione dei premi Oscar) ha premiato con il technical achievement award Theodore Kim, Nils Thuerey, Markus Gross e Doug James per l'invenzione, la pubblicazione e la disseminazione del Wavelet Turbulence software. Nel messaggio che l'Academy ha usata per motivare l'assegnazione del premio si spega che "questa tecnica ha permesso la creazione rapida e art-directable di simulazioni di gas altamente dettagliate, rendendo facile, per l'artista, controllare l'aspertto di questi effetti nell'imagine finale". Come vedremo più avanti, questo software ha a che vedere con tecniche matematiche sofisticate ed all'avanguardia sviluppate per risolvere problemi che che sono assolutamente attuali e la cui importanza va ben al di la dell'uso in campo cinematografico di cui si parlerà in questo articolo. Ma facciamo un passo indietro. Gli effetti speciali nascono praticamente con la nascita del cinema. Già nell'Agosto del 1985, prima ancora dalla proiezione pubblica a Parigi di La sortie de l'usine Lumières a Lyon, dei fratelli Lumières, che viene comunemente considerata come l'inizio della storia del cinema, Alfred Clark, un collaboratore di Thomas Edison, dirige The execution of Mary, Queen of Scots, un film di ? minuti in cui si mette in scena la decapitazione di Maria Stuarda. La scena è realizzata, in maniera assai convincente, utilizzando la tecnica dello stop motion. L'attore che interpreta en travesti il personaggio di Maria Stuarda si inginocchia davanti al patibolo e poggia la testa sul ceppo. Un taglio è

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Articolo sulla matematica e gli effetti speciali

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Matematica al cinema Silvia Bertoluzza

È difficile immaginare cosa la matematica abbia a vedere con il cinema. Certo,ci sono molti film dove la matematica gioca un ruolo essenziale nella trama (in un certo senso si potrebbe dire che la matematica è un personaggio del film). Ricordiamo film come A beautiful mind o The proof. Sto però pensando al contributo che la matematica può dare alla realizzazione di un film, alla matematica vista, in un certo senso, come un membro del cast. Certo, tutti sappiamo che la Computer Graphics svolge oramai un ruolo importante in molti film. Se ci si ferma, al termine di una proiezione cinematohrafica, a leggere i titoli di coda, si noterà che sempre più spesso un numero di persone è elencato sotto voci che si riferiscono alla realizzazione degli effetti visivi digitali. Dietro al lavoro di queste persone c'è evidentemente il lavoro di specialisti di informatica di altissimo livello. Il talento degli artisti degli effetti digitali è però anche supportato da una dose di matematica vera e propria che è però più difficile da intravedere e riconoscere. Questo contributo della matematica è uscito alla ribalta quando, nel 2013, la Academy of Motion Picture Arts and Sciences (l'organizzazione responsabile della assegnazione dei premi Oscar) ha premiato con il technical achievement award Theodore Kim, Nils Thuerey, Markus Gross e Doug James per l'invenzione, la pubblicazione e la disseminazione del Wavelet Turbulence software. Nel messaggio che l'Academy ha usata per motivare l'assegnazione del premio si spega che "questa tecnica ha permesso la creazione rapida e art-directable di simulazioni di gas altamente dettagliate, rendendo facile, per l'artista, controllare l'aspertto di questi effetti nell'imagine finale". Come vedremo più avanti, questo software ha a che vedere con tecniche matematiche sofisticate ed all'avanguardia sviluppate per risolvere problemi che che sono assolutamente attuali e la cui importanza va ben al di la dell'uso in campo cinematografico di cui si parlerà in questo articolo. Ma facciamo un passo indietro. Gli effetti speciali nascono praticamente con la nascita del cinema. Già nell'Agosto del 1985, prima ancora dalla proiezione pubblica a Parigi di La sortie de l'usine Lumières a Lyon, dei fratelli Lumières, che viene comunemente considerata come l'inizio della storia del cinema, Alfred Clark, un collaboratore di Thomas Edison, dirige The execution of Mary, Queen of Scots, un film di ? minuti in cui si mette in scena la decapitazione di Maria Stuarda. La scena è realizzata, in maniera assai convincente, utilizzando la tecnica dello stop motion. L'attore che interpreta en travesti il personaggio di Maria Stuarda si inginocchia davanti al patibolo e poggia la testa sul ceppo. Un taglio è

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fatto rimuovendo l'istante in cui l'attore viene rimpiazzato da un manichino, la cui testa viene tagliata sotto gli occhi dello spettatore. È difficile immaginare come gli spettatori del 1985 possano aver reagito a una tale scena. La tecnica dello stop motion prende subito piede e viene ampliamente utilizzata, per esempio, nei film di Méliès. Le manoir du diable, del 1898, che viene considerato come il primo film horror della storia del cinema mostra apparizioni e sparizioni di personaggi, oggetti, animali, tutti effetti realizzati con questa tecnica. Mano a mano che il cinema cresce, si sviluppano anche le tecniche per realizzare effetti speciali. Intorno al 1900 si inizia a utilizzare la tecnica del glass shot (i particolari da aggiungere ad una scena vengono dipinti su una lastra di vetro che viene interposta tra la cinepresa e lo sfondo), che viene rimpiazzata, negli anni '20/'30, dalla tecnica del matte painting: l'azione viene filmata e lo sfondo viene dipinto su grandi lastre di vetro che vengono filmate separatamente. L'azione e lo sfondo vengono poi fusi grazie ad una stampante ottica (un dispositivo composto da uno o più proiettori meccanici collegati a una macchina da presa che permette ai cineasti di riprendere di nuovo e contemporaneamente piu spezzoni di film), utilizzando mascherine opache (matte), una negativa rispetto all'altra, perché di ciascuno dei due film venga stampata sulla pellicola finale solo la regione di interesse. Questa tecnica è stata migliorata e perfezionata ma è rimasta essenzialmente la stessa fino all'inizio degli anni '90. Ancora in film come Aliens (1986) o Batman returns (1991) gli sfondi e i paesaggi fantascientifici sono dipinti a mano da artisti del matte painting.

Figura 1

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Quasi subito gli effetti speciali si sono rivelati indispensabili alla realizzazione di un film di finzione. In alcuni casi la loro presenza è evidente, più spesso lo spettatore non si accorge della loro presenza. Un caso tipico di un effetto speciale che si trova in praticamente tutti i film è quello legato alla presenza di nuvole negli sfondi delle scene. Infatti, ogni volta che una scena ha come sfondo un cielo nuvoloso, questo non può essere utilizzato così come è, perché sempre la scena viene realizzata in più tempi (a volte anche in giorni diversi) e, da una presa all'altra, la posizione delle nuvole cambia. È quindi necessario rimpiazzare i cielo che fa naturalmente da sfondo all'azione (filmata in più prese), con un cielo in cui le nuvole sono tradizionalmente dipinte a mano. Naturalmente, gli effetti speciali possono essere di natura molto diversa l'uno dall'altro. Si riproducono paesaggi inesistenti, creature fantastiche, fenomeni fisici irrealistici o troppo pericolosi per essere scatenati realmente (si pensi, per esempio a certe scene di alluvioni o di incendi). In questo articolo ci si concentrerà sugli effetti speciali che hanno a che vedere con i fluidi. Pensiamo a fenomeni che hanno a che vedere con l'aria: il vento, che può diventare una tromba d'aria; il fuoco; le nuvole. O con l'acqua: le onde, che in casi estremi possono diventare tsunami. Moltissimi film hanno scene, anche importanti, che hanno a che vedere con fenomeni (realistici o irrealistici) di questo tipo. L'elenco è immenso, ma, giusto per fare degli esempi, si pensi all'apertura del Mar Rosso e alla sua "richiusura" sull'esercito egiziano ne I dieci comandamenti, di Cecil B. Demille. Al tornado che spazza via la casetta di Dorothy ne Il mago di Oz o all'incendio di Atlanta in Via col vento, entrambi di Victor Fleming. Alle colate laviche di film come Dante's peak o Volcano, allo tsunami che devasta la città di New York in L'alba del giorno dopo di Roland Emmerich, alla innumerevoli scene di esplosioni, fiamme e fumo che si vedono in praticamente ogni film scene di azione. Alla voce "fluido" l'enciclopedia Treccani riporta: "In fisica, viene detto generalmente f. un corpo allo stato liquido o aeriforme; in tale solido manca l’elasticità di forma propria dello stato solido; pertanto, imponendo al f. una variazione di forma (a volume costante) si ha uno scorrimento, più o meno accentuato, delle sue parti le une sulle altre; a tale scorrimento si oppone sempre, nei f. reali, un attrito interno (viscosità). In tal senso si parla distato f. (in contrapposizione a stato solido)". Le caratteristiche intrinseche dei fluidi fanno si che gli effetti speciali che li coinvolgono, siano molto difficili da realizzare con tecniche tradizionali. Tutti abbiamo prima o poi visto film

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catastrofici a basso costo in cui scene come la rottura di una diga o uno tsunami erano realizzati su modellini in scala. In questi film la presenza dell'effetto speciale solitamente salta all'occhio. Questo perché, contrariamente a quello che succede per altri fenomeni fisici, il comportamento di un fluido, come per esempio l'acqua, non è invariante per scala. Questo, tra tante altre cose, implica che se fotografiamo da vicino un fluido in movimento ad una certa velocità e ingrandiamo la fotografia otterremo qualcosa di estremamente diverso da quello che avremmo fotografando da lontano lo stesso fluido. Per avere, con una fotografia da vicino, un comportamento almeno apparentemente simile (e ricordiamo che nella realizzazione di effetti speciali, un comportamento apparentemente simile è quello che si cerca di ottenere) a quello di un fluido fotografato ad una scala più ampia, bisogna cambiare fluido, e non sempre un fluido con le caratteristiche richieste esiste o è utilizzabile come sostituto del fluido che si vuole riprodurre. È ben nota la storia dell'effetto speciale del sangue che esce dall'ascensore che Stanley Kubrick ha realizzato per il film Shining. L'effetto (realizzato in realtà a grandezza naturale) è stato girato con sole tre prese. Ci vollero però tre anni perché i tecnici degli effetti speciali riuscissero a comporre un fluido che Kubrick ritenesse sufficientemente realistico. L'alternativa alla realizzazione con tecniche tradizionali è, naturalmente, l'uso della computer graphics. Nel caso della simulazione di un fluido questo non vuol dire realizzare un lavoro che può essere fatto a mano, come sarebbe quello di un pittore che realizzi una figura realistica. La realizzazione con computer graphics del flusso di un fluido implica l'esecuzione di un programma che sia in grado di calcolare autonomamente il flusso, utilizzando un modello matematico. Un modello è "una rappresentazione di un oggetto o di un fenomeno, che corrisponde alla cosa modellata per il fatto di riprodurne [...] alcune caratteristiche o comportamenti fondamental, in modo tale che questi aspetti possano essere mostrati, studiati, conosciuti laddove l'oggetto modellato non sia direttamente accessibile". Un modello matematico è un modello che usa il linguaggio della matematica per descrivere l'oggetto o il fenomeno modellato. Da secoli l'uomo cerca di sviluppare leggi e metodi che permettano di predire la dinamica del mondo. L'esempio più semplice di un modello matematico è quando si dice

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"la traiettoria di un sasso è, in prima approssimazione una parabola e quindi la si può predire conoscendo la sua posizione e velocità iniziali"

Questa legge viene formulata tramite equazioni che mettono in relazione quantità quali la velocita del sasso an certo istante, la sua posizione e la velocità e posizione iniziale, e diventa così un modello matematico. È, in realtà, il più semplice modello matematico che descrive il fenomeno della caduta di un sasso. Naturalmente, in realtà, le cose sono più complicate di così. Può esserci vento. Il sasso può avere una forma strana. Quando si lancia il sasso, gli si può dare una rotazione iniziale che ne cambia completamente la traiettoria (avete presente i colpi ad effetto che si vedono in certe partite di tennis?). In realtà, quando si descrive un fenomeno si crea tutta una gerarchia di modelli. Si dovrà poi scegliere quale modello della gerarchia serve per un dato scopo o una data applicazione. Lo studio dei fluidi ha anch'esso una lunga storia. Già Leonardo da Vinci se ne interessa. Nel Codice Liecester (datato fra il 1504 e il 1508), attualmente di proprietà di Bill Gates, Leonardo introduce i concetti di viscosità, pressione e capillarità. Bisogna aspettare però il 1821 perché l'ingegnere francese Jean-Claude Navier ricavi euristicamente delle equazioni che descrivono il moto di un fluido mediante relazioni fra la velocità del fluido e la sua pressione. Qualche anno dopo il matematico inglese George Gabriel Stokes sviluppa una teoria rigorosa, arrivando, indipendentemente, alle stesse equazioni, che sono conosciute ad oggi con il nome di equazioni di Navier-Stokes. Queste equazioni traducono, in linguaggio matematico, le seguenti leggi:

"il fluido considerato è incomprimibile: per ogni volumetto il volume del fluido in entrata ad un dato istante deve essere uguale al volume del fluido in uscita"

"il fluido è accelerato da zone di alta pressione a zone di bassa pressione"

"le particelle del fluido sono accelerate dal trascinamente esercitato dalle particelle vicine che vanno a velocità diverse (per effetto della viscosità) "

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"il fluido è accelerato dall'azione di forze esterne (quali la forza di gravità"

L'equazione di Navier-Stokes, che riassume queste leggi, è sicuramente un problema larghissimamente studiato, forse uno dei più studiati. Una semplice ricerca su google con parole chiave "Navier stokes equations" da, al momento in cui questo articolo è stato scritto, circa 2.300.000 risultati. Di questi, circa 500.000 si riferiscono a pubblicazioni scientifiche. Le equazioni di Navier-Stokes sono di importanza cardinale in molte applicazioni: pensiamo, per esempio all'aeronautica e alla nautica o alla medicina (per lo studio dei flussi sanguingi o del flusso d'aria nei polmoni). Per dare un idea dell'importanza che ha, nel mondo della matematica, ricordiamo che nel 2000 la Fondazione Clay ha stanziato 7.000.000$ per la soluzione di sette problemi aperti. Uno dei sette problemi è, appunto, quello legato alla soluzione (dal punto di vista teorico) di tale equazione. Recita la pagina web della Fondazione "Anche se queste equazioni sono state scritte nel XIX secolo, la loro comprensione rimane minima. La sfida è quella di ottenere un avanzamento sostanziale verso una teoria matematica, che porti alla luce i segreti nascosti nelle equazioni di Navier-Stokes". Più precisamente si vuole sapere sotto quali condizioni (quali possono essere, per esempio, la verlocità e la pressione del fluido all'istante iniziale, o le forze esterne) si può garantire che l'equazione abbia una unica soluzione e che questa sia "regolare". È dell'inizio del 2014 la notizia che il matematico Mukhtarbay Otelbayev, professore della Eurasian National University di Astana in Kazakistan, ha annunciato di aver risolto il problema, pubblicando su internet un articolo di più di 100 pagine (in russo) con la sua soluzione. Purtroppo la lingua rende difficoltosa la verifica della correttezza dell'articolo, e quindi il problema non è ancora considerato come risolto. Quello che però interessa per poter simulare il flusso di un fluido da inserire in un film come effetto speciale, non è tanto un qualche risultato teorico sull'esistenza di una soluzione, quanto riuscire a calcolare la soluzione in pratica. Per rendersi conto di cosa questo voglia dire, cominciamo a cercare di capire cosa vuol dire una "soluzione" dell'equazione di Navier-Stokes. Solitamente, quando si parla di soluzione di un'equazione si è abituati a pensare ad un numero. La soluzione dell'equazione è l'intera descrizione dell'evoluzione del tempo del flusso. Cosa vuol dire questo, dal punto di vista matematico? Per capirlo, facciamo un passo indietro e chiediamoci come si misura l'evoluzione di un fluido. Esistono due modi diversi, che i matematici chiamano approccio Lagrangiano e approccio

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Euleriano. Nell'approccio Lagrangiano si descrive la traiettoria di ogni signola particella: per ogni istante e per ogni particella si misura in che direzione e con che velocità la particella si stia muovendo. Nell'approccio euleriano si descrive quello l'evoluzione della veloità del fluido in ogni punto dello spazio fisico: per ogni istante temporale si misura la velocita della particella che in quell'istante sta passando per quel punto. È facile capire la differenza fra i due approcci pensando a come si può misurare l'evoluzione del traffico in un'autostrade: nell'approccio Lagrangiano il traffico è descritto dalla storia dei tachimetri delle diverse auto. Nell'approccio euleriano, il traffico è descritto dall'output di una serie di autovelox. Avere una particolare soluzione dell'equazione di Navier-Stokes significa avere una descrizione dell'evoluzione del fluido, descritto con l'approccio Euleriano (autovelox!) per tutti gli istanti del periodo che ci interessa e per tutti i punti della regione di spazio che ci serve. La soluzione è quello che si dice una "funzione", a cui si può pensare come ad un marchingegno a cui si danno in pasto un'istante temporale ed un punto spaziale, e se ne ricava la velocità e la direzione del fluido in quel punto e in quell'istante. È evidente che, in generale, un marchingegno del genere non è descrivibile con un numero finito di punti, e quindi non è descrivibile (almeno, non esattamente) in un computer. Quello che però si può fare è cercare un'altra funzione, che sia descrivibile con un numero finito di valori e che sia il più simile possibile alla soluzione esatta. Avremo così trovato una "soluzione approssimata". Esistono molti metodi diversi per trovare una soluzione approssimata per l'equazione di Navier Stokes. Ripetendo la ricerca google effettuata in precedenza, questa volta con parole chiave Navier Stokes simulation si trovano, al momento in cui questo articolo viene scritto, 2.310.000 risultati. Una delle difficoltà principali che si devono affrontare in questo campo, legata alla complessità del problema, è la dimensione che questo problema ha, se si vuole ottenere una soluzione accurata: se la velocità è elevata e/o la viscosità è piccola, il flusso sviluppa dei fenomeni di turbolenza, e la simulazione di un flusso turbolento è estremamente costosa in termini di memoria e di CPU. Per dare un'idea delle dimensioni che tale problema può avere, riportiamo alcuni dati relativi ad una simulazione eseguita nel 2002 sul computer parallelo Earth simulator, a Yokohama, in Giappone. Cominciamo con qualche dato sul computer. Earth simulator era un computer con 5120 processori e 10 terabyte di RAM, che è costato 400 milioni di dollari. La simulazione è stata eseguita calcolando i valori approssimati di velocità e pressione in 8,5 miliardi di punti, per un totale di più di 34 miliardi di incognite. Per simulare un giro intero di u vortice (eddy turnover time) il tempo di calcolo necessario era di 43 ore. È chiaro

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che questo tipo di simulazione non è utilizzabile per realizzare effetti speciali! Simulare accuratamente i vortici piccoli è troppo costoso. D'altra parte, i vortici globale del flusso, anche a scale molto più grandi. Quello che si fa allora è risolvere una equazione corretta con un modello di turbolenza. Cosa vuol dire. Si scrive una nuova equazione dove l'effetto dei vortici piccoli sia inserito nel modello come termine aggiuntivo. Questo è fatto in maniera tale che il flusso globale si comporti nella maniera corretta, anche se si perdono tutte le informazioni sulle piccole scale. Per molte applicazioni questo è sufficiente. Non è però sufficiente per creare degli effetti speciali. La turbolenza è visibile ad occhio nudo e fa parte integrante del fenomeno che vogliamo riprodurre sullo schermo. Cosa si fa allora: si approfitta del fatto che non abbiamo bisogno di una soluzione accurata; ci basta una soluzione che sembri verosimile! Quindi si calcola il flusso globale a larga scala usando l'equazione con un modello di turbolenza, e si costruisce un campo di vortici a piccola scala che non ha niente a che vedere con l'equazione ma che abbia le giuste caratteristiche (in particolare l'incomprimibilità) per sembrare giusto. La somma fra il flusso a larga scala calcolato risolvendo l'equazione e il campo di vortici sintetizzato ci darà il nostro effetto speciale.

Figura 2a Figura 2b Come si costruisce, dunque, un campo con le caratteristiche giuste? Per capirlo dobbiamo fare una deviazione e dare un'occhiata a come funzionano gli algoritmi

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di compressione di immagine. Quando scarichiamo da internet un immagine jpeg (ad esempio quella nella figura 3a), l'informazione che in realtà stiamo scaricando è codificata come mostrato nella figura 3b. Nel quadrettino chiaro in alto a sinistra si riconosce una versione ridotta dell'immagine originale, rappresentata con un numero molto ridotto di pixel. Il resto dell'immagine (la parte scura) codifica, per livelli successivi, tutta l'informazione che si è persa passando dall'immagine originale a quella compressa. Ma come viene costruita l'immagine compressa? Un'immagine digitale in bianco e nero non è altro che una tabella di numeri interi da 0 a 255. Per ogni pixel, il numero corrispondente al pixel indica il livello di grigio del pixel. Il nero corrisponde al valore 0, il bianco al valore 255, e tutti i valori intermedi corrispondono alle diverse intensità di grigio. La maniera più semplice per costruire un'immagine compressa funziona così. Si prende una riga dell'immagine

18 20 25 36 36 37 38 57 127 128 130 81 77 72 Si raggruppano i pixel a 2 a due

18 20 25 35 36 38 39 57 127 129 130 82 76 72 Per ogni coppia si calcola la media dei 2 elemento

19 30 37 43 128 106 74 Questa è una versione a risoluzione dimezzata della riga originale. Si calcola poi la differenza fra la riga originale e la riga delle medie

-1 1 -5 5 -1 1 -4 4 -1 1 24 -24 2 -2

Si nota facilmente che se si guarda la riga delle differenze, i numeri sono accoppiati a due a due e ogni coppia è formata da un numero e dal suo opposto. Grazie a questa caratteristica, possiamo codificare ogni coppia con il primo numero. La riga delle differenze viene quindi codificata come

-1 -5 -1 -4 -2 24 2

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Se mettiamo a fianco l'una dell'altra la riga delle medie e quella delle differenze otteniamo una versione codificata della riga originale.

19 30 37 43 128 106 74 -1 -5 -1 -4 -2 24 2

Questa operazione si ripete su tutte le righe. Si ottiene un risultato mostrato in figura 4a. Questo si prende e si esegue la stesso operazione sulle colonne, ottenendo come risultato l'immagine di figura 4b. A questo punto si ricomincia con il quadrato in alto a sinistra. Ripetendo tutto questo un certo numero di volte si ottiene l'immagine di figura 3b. La compressione deriva dal fatto che nell'immagine di figura 3b ci sono tantissimi zeri (il nero!). Si possono codificare solo i pixel che hanno un valore diverso da zero, risparmiando molta memoria. Non ci interessa in questo momento andare nei dettagli degli algoritmi sofisticati che dalla figura 3b costruiscono il file .jpeg compresso.

Figura 3a Figura 3b Quello che vogliamo fare è capire come, utilizzando questo tipo di tecnica, che prende il nome di trasformata wavelet, si possano costruire dei campi di vortici sintetici che si possano usate per realizzare gli effetti speciali che ci interessano.

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L'idea è quella di cominciare con una immagine costituita solo da rimore (come quella nell'angolo in alto a sinistra di Figura 5). All'immagine viene applicato uno step della trasformata wavelet (immagine in basso a destra di figura 5), la parte dell'immagine corrispondente alle differenze viene annullata (lasciando praticamente solo il quadrato in alto a sinistra dell'immagine trasformata) che viene ricostruito alla risuluzione di partenza (immagine in alto a destra di figura 5). Questa operazione viene ripetuta a diverse risoluzioni (Figura 6) e i risultati possono venir combinati in modi diversi, facendo pesare più o meno le diverse risoluzione, ottenendo "rumore sintetico". Questo tipo di tecnica è utilizzata in computer graphics per costruire, per esempio, l'effetto frastagliato di rocce o di un terreno in un paesaggio costruito artificialmente.

Figura 5

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Quello che hanno fatto Theodore Kim, Nils Thuerey, Markus Gross e Doug James, i quattro scienziati che hanno vinto il premio Oscar a cui si accenna all'inizio di questo articolo, è stato adattare questa tecnica affinché da un lato funzionasse in tre dimensioni e soprattutto, perché il risultato fosso incomprimibile, risultando quindi verosimile come campo di vortici in un fluido. In Figura si mostra il risultato del loro lavoro. Si considera uno sbuffo di fumo che si infrange su una sfera. Lo sbuffo di fumo è diviso a metà: sulla metà di sinistra si mostrano solo le scale calcolate risolvendo numericamente l'equazione di Navier-Stokes. Sulla sinistra quello che avviene aggiungendo il campo di vortici creato artificialmente.

Figura 8 Courtesy of ETH Zurich

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Questa tecnica è stata implementata in un software, il Wavelet turbulence software, che viene attualmente utilizzato sia dalle major holliwoodiane che dagli studi indipendenti. Una lista parziale dei film in cui questo software è stato utilizzato per realizzare effetti speciali comprende: Avatar (2009), Sherlock Holmes (2009), Transformers, The A Team (2010), Alice in Wonderland (2010), Shrek Forever After (2010), Thor (2011), Hugo (2011), Battleship (2012), Madagascar 3: Europe's Most Wanted (2012), The Amazing Spider-Man (2012), Iron Man 3 (2013), Man of Steel (2013), Life of Pi (2013), solo per citarne alcuni.